Un
antico viaggio simbolico di autoformazione :
la pratica del Kundalini Yoga attraverso i sette principali chakra
Il
termine sanskrito yoga deriva dalla
radice yuj, cioè congiunzione, legame
(cfr. il latino jugum, giogo, per indicare il vincolo tra due buoi e tra loro e
l’aratro), e si riferisce a ciò che col-lega (cfr. il latino re-ligio)
l’umano al divino.
Il Kundalini
yoga
è una pratica di ascesi che ha forse origini antichissime (si fa risalire a un
leggendario fondatore nelle regioni dell’India orientale, nel III millennio
a.C) e rappresenta una via spirituale sviluppatasi quasi esclusivamente
nell'alveo dello shivaismo (lo Advaita
Tantra Yoga), e delle concezioni e dei culti dell'energia vitale cosmica Shakti.
L'arcaica cultura Shakta,
ripresa poi nel VI-VII secolo d.C., e rifiorita ancora nel X e XI sec., poi nel
XIV, e nel XVIII secolo, ha dato luogo a una visione del mondo e dell’uomo
–quella appunto del Tantra- e a
pratiche e dottrine molto complesse, e con varie correnti anche divergenti tra
loro. Mircea Eliade ancora negli
scorsi anni Cinquanta avvertiva che “è arduo definire il Tantrismo”.
Ma
comunque dovendo qui semplificare al massimo, possiamo ritrovare elementi comuni
a una concezione del corpo umano e dell'energia vitale propri di molte culture e
spiritualità dell'India tradizionale, di matrice sia pre-vedica che vedica
(l’ Atharva Veda). Per esse il corpo
fisico è ritenuto come un involucro attraverso cui passa l’energia che lo
sostiene e vivifica. Il corpo materiale dunque è visto come un veicolo, il
carro sul quale percorriamo la nostra esistenza transeunte, mentre lo spirito è
il cocchiere che stringe le redini (cioè la mente) che controllano i cavalli (i
sensi), ed il terreno su cui si viaggia è il mondo, che ha una base materiale e
un aspetto fenomenico illusorio a causa del dominio di Maya
che vela la nostra mente.
Oltre
ad un corpo materiale, il fisico, che il tantrismo considera la nostra dimora,
il nostro venerabile tempio individuale, lo straordinario insieme organico in
cui siamo incarnati (e con cui siamo anche troppo immedesimati), dunque oltre a
questo che è chiamato corpo "spesso", o concreto, o grossolano, si
concepiscono altre componenti, o dimensioni, o "corpi", più
"sottili", non visibili. Come ad es. il terzo, il "corpo"
senziente (come è stato chiamato da alcuni), cioè l'insieme composto dai
nostri desideri, emozioni, passioni, sogni, fantasie, stati di coscienza, volontà
e decisioni, eccetera (da certi detto anche “astrale”), che noi
potremmo approssimativamente tradurre con l'espressione: la dimensione psichica.
E altri "corpi" componenti ... come il quarto (quello detto da alcuni
anche "causale"), relativo sia all'operatività che alla
consapevolezza. O il quinto, quello mentale, relativo alla comprensione,
all’intelligenza, ai ragionamenti, deduzioni, induzioni, considerazioni,
riflessioni, ecc... Inoltre si considera anche il "corpo" delle forze,
delle energie (da certi detto anche “eterico” o vitale), o secondo
corpo, che noi potremmo forse tradurre con l'espressione: il sistema energetico.
Di questo si è molto occupato il filone spirituale e devozionale collegato alle
visioni del dio Shiva, il Trasformatore, il Danzatore cosmico, il Signore del
Tempo, il coniuge della grande dea Shakti.
Nell’intreccio
inestricabile di queste varie dimensioni, ma soprattutto nell’ àmbito
relativo agli aspetti energetici e anche a quelli emozionali, vengono
identificati dei chakra
(cioè cerchi, o ruote, o vortici), che sono i nodi, i gangli del flusso della
forza vitale, che costituiscono i sacri accumulatori o volani
energetici, e che sono anche i centri che costituiscono il nostro sè
individuale. Nell'immaginario mitico pre-vedico e vedico questa catena di
centri, in parte ritenuti aventi sede dentro il midollo spinale, o comunque
lungo la colonna vertebrale, ce la si figurava come una sequenza, un percorso,
un sentiero ascendente (di ascesi) che la Shakti,
cioè l'energia che ci sostiene e che ci dispensa la vitalità, percorre per
"irrorare" e fortificare tutto il corpo fisico e senziente, e per
affinare e perfezionare la coscienza spirituale. E la
"visualizzazione" (e in effetti si tratta qui di una
"visione" del mondo, dell'essere umano, e della vita, individuale e
cosmica) con cui la si esprimeva, consisteva nell'allegoria di una serpe, o
meglio, data la sua grande potenza, di un pitone-femmina (per fare un paragone con la nostra cultura arcaica, si
pensi a quelli sul cui nido poneva il suo sgabello la Pizia, la pitonessa di
Apollo, cioè all'oracolo di Delphi),
o comunque un serpente-femmina, che se ne sta arrotolata, avvolta (questo il
significato di kundalini)
nelle sue spire (con tre giri e mezzo), e dormiente (in riferimento alle forze
latenti, alle potenzialità) alla base del tronco corporeo. Una volta
risvegliata essa si fa strada nel suo modo sinuoso su lungo la colonna spinale,
attivando man mano i vari centri, o vortici, o varchi attraverso cui passa, sino
a giungere sopra la sommità del capo. Questo percorso costituisce il campo di
studio, di conoscenza e di pratica del cosiddetto Kundalini
Yoga,
che si può intendere anche come un sentiero iniziatico, di iniziazione a certi
“misteri” della forza e dello slancio vitale umano e cosmico, ma anche di
autoformazione, per imparare a percorrere il sentiero spirituale di riflessioni,
meditazioni ed esercizi pratici, volti a realizzare noi stessi, per accrescere e
affinare la nostra consapevolezza (di sé e della realtà sociale e naturale in
cui siamo immersi).
Negli
anni Venti alcuni studiosi europei sottolinearono gli aspetti di valore
universale presenti nel tantrismo (sino ad allora stigmatizzato negativamente e
giudicato con sospetto dalla nostra cultura), e in particolare nel Kundalini
Yoga, riguardo cui ad es. Hereward Carrington (Higher
Psychical Development,
NY 1920)
sottolineava il concetto del Tantra secondo il quale l’energia non va mai
perduta, né va bloccata, conculcata o tanto meno soppressa, e si riferiva alla
shakti che egli intendeva come l’energia elettrochimica primordiale, e che
identificava nell’essere umano con l’energia psichica. La kundalini è stata
anche indicata come paragonabile all’immagine greca arcaica dello speirema, o
speirama, del serpente avvolto, raggomitolato, condensato, in spirale, che era
raffigurato quale simbolo di forza potenziale; e d’altro canto la kundalini
dispiegata è stata anche paragonata alla immagine mistica dell’albero della
vita nel libro biblico della Genesi.
Ma
soprattutto la via tantrica indicava un procedimento di autoanalisi e di presa
di coscienza delle nostre problematiche, o blocchi dei campi energetici, non
tanto rivolto alla ricerca delle occulte origini di esse, quanto piuttosto volto
a perseguire un fine, un orizzonte, di sviluppo psichico superiore, che ci possa
aiutare a procedere, a superare impasse, in un percorso di perfezionamento
spirituale.
Seguiamo
dunque il viaggio simbolico della kundalini.
Ora,
va fatta una premessa quale introduzione a questo “mondo” esperienziale, a
questa modalità di vedere e di conoscere: per iniziare un percorso di
meditazione per la conoscenza di sè, c'è preliminarmente bisogno di quiete e
di raccoglimento. Per cui è estremamente importante, per dedicarci regolarmente
a queste pratiche meditative, individuare un ambiente adatto in cui si possa
restare isolati senza essere disturbati o distratti per almeno un'ora o un'ora e
mezza continuativa.
La separazione e la “scissione” va compiuta non solo nella dimensione
spaziale, ma anche in quella temporale, in modo da poter introdursi, da entrare
in uno scorrere del tempo più rallentato e più adeguato ai nostri personali
tempi psicologici. Questo luogo, che può essere una stanza, la nostra, o un
angolo di una stanza che sarà d'ora in poi appositamente dedicato a ciò, deve
anche essere un luogo familiare in cui cioè noi ci si possa riconoscere, e
trovarci a nostro agio. Quindi va considerato come una sorta di tabernacolo, un
luogo sacro, cioè "separato", "distinto" idealmente dal
resto, nel quale si possa "chiudere fuori il mondo" (più che non
intenderlo come un chiuderci dentro, che è comunque l'atto materiale necessario
per un isolamento sonoro e emotivo). Oppure si può identificare a questo fine
anche un luogo all'aperto, nella natura, ma dunque distante dall’ambiente
sociale; o anche un qualsiasi luogo comunemente concordato con un gruppo di
riferimento con il quale eventualmente si può scegliere di svolgere e
condividere queste pratiche e queste riflessioni. Comunque un luogo che noi per
questa occasione riteniamo adatto e "speciale", fuori dalla
quotidianità del tempo e delle occupazioni mentali routinarie, e da dedicare a
questo scopo, cioè un luogo che viene da noi stessi consacrato a questi momenti
di introspezione e di colloquio intimo con la nostra dimensione interiore che
quindi è intesa come una dimensione del divino che è in noi (quindi una
dimensione spirituale, autonomamente da qualsiasi nostra identificazione
religiosa). Va compiuto questo atto primordiale di separazione e riduzione, che
rinvia all'etimologia stessa di sacro (cfr.
R.Otto, M.Eliade, ecc),
per cui a certi luoghi, o oggetti, o situazioni, o atti, viene conferito un
significato di “distinto” dal mondo “profano”, dalla quotidianità, e
quindi “inviolabile”. Si riferisce a qualcosa che permette di collegarsi
alla dimensione spirituale, del divino, cioè di ciò che è oltre il fisico,
oltre il nostro dominio. Nelle culture arcaiche ad es. certi atti o eventi che
noi consideriamo “semplicemente” fisiologici, vengono percepiti come dotati
di sacralità: ad esempio l’alimentazione, la vita sessuale, certi lavori, i
sogni, le fantasie, l’immaginazione, la creatività, le emozioni, i
sentimenti, gli “istinti”, ecc.
Compiuto
questo atto di dotazione di significato, e di separazione spaziale e temporale,
quindi in esso preliminarmente ci si pone in posizione comoda, in un luogo
riservato, e si mette in atto il silenzio mentale, la calma emotiva e il
rilassamento muscolare e nervoso, per cui si passano in rassegna mentalmente,
nel silenzio, in una osservazione interiore tutti i muscoli, i tendini e i nervi
del nostro corpo per assicurarci di averli ben distesi e rilassati.
Bisogna
considerare che per il tantrismo i chakra dunque sono visti come ruote, o
vortici, che costituiscono i punti di condensazione energetica, e sono i centri
del nostro sè - o Atman
-
individuale, inteso nella spiritualità orientale, e non solo indiana, come
partecipe del Sè Universale. Indra Devi li chiamava “i complementi astrali
dei plessi anatomici”, per chiarire che essi non corrispondono alle parti del
corpo ove si suppone abbiano il loro luogo di espressione e svolgimento.
Cominciamo dunque dai primi tre centri inferiori :
1°
- il primo
centro è quello che funge da fondamento, considerato "radice e
sostegno", in sanskrito: Mûlâdhâra
(Moola, è la base in cui dimora la Shakti Pinda quale potenzialità di
ogni potere energetico), dove risiede dunque la forza latente del sapiente
serpente Kundalini, che è l'elemento divino “femminile”. Partiamo dunque
dalla presa di consapevolezza del nostro corpo fisico, sia con le sue
potenzialità che con i suoi condizionamenti e limiti di natura organica. Dopo
di ché si può passare a concentrarsi su questa base su cui si fonderebbe il
nostro sistema energetico.
Questo
primo chakra viene idealmente collocato nel plesso del coccige, tra l'ano e i
genitali, nell'area del perineo (e intanto noi praticanti prendiamo confidenza
anche con queste parti importanti del nostro fisico), cioè ove si trova la
fascia muscolare del perineo (che è tra l'altro essenziale durante il parto).
Quindi il suo punto di riferimento sta idealmente tra lo scroto per i maschi,
ovvero la vagina per le femmine, e lo sfintere. Ma questo centro energetico
estende la sua influenza anche alle gambe e ai piedi (si pensi ai vari studi
sulla riflessologia plantare nell’antica India); per cui una prima meditazione
consiste nel prendere consapevolezza delle sensazioni e dei sentimenti che
proviamo “semplicemente” a restare ben saldi in piedi sul suolo che ci
sostiene, sulla terra su cui viviamo e da cui traiamo alimenti (energie).
L'elemento di riferimento (Tattva) del
primo chakra infatti è: Terra. Questo chakra è anche il punto su
cui ci sediamo. Tra le sue altre funzioni, esso garantisce l’evacuazione,
dunque provvede alla primaria modalità di purificazione. Questo primo chakra è
quello che presiede alla nostra sicurezza e alla sopravvivenza, e a tutto ciò
che necessita loro.
Riguarda
quindi anche proprio la fisicità, e la nostra connessione con il pianeta in cui
viviamo, il radicamento in esso come nostro ecosistema. E riguarda anche gli
istinti. Trae la sua energia dal basso. Le ghiandole implicate sono le
surrenali. Gli antichi yogi avevano compiuto studi accurati delle
ghiandole, ed avevano elaborato esercizi specifici per stimolarle. (Si pensi che
nella nostra medicina è solo da poco più di un secolo che è nata
l’endocrinologia come specialità medica).
Una
volta che sia ben funzionante, "aperto" in tutte le sue componenti, si
ritiene, nella psicosomatica specifica, che ci dia l’energia per aiutarci
nella nostra capacità di sopravvivere, di sormontare le difficoltà e gli
ostacoli, e nella nostra capacità di adattamento. Ci fornisce la stabilità per
perseverare nella vita quotidiana. Quindi dal punto di vista dell'energia
psichica riguarda quegli aspetti fondamentali che sono l'istinto della
sopravvivenza, e i sentimenti di sicurezza e stabilità. Mentre se si
occlude, ciò può esser causa del nostro inclinare verso insicurezze e il
timore dei cambiamenti. Ma quando è "aperto" (cioè quando l'energia
scorre, si muove fluidamente in esso) ci rende anche più aperti alla bellezza e
al fascino di tutte le opportunità che la vita ci può presentare. La kundalini
concentrata è anche –secondo Jung-
la “bella addormentata”, cioè la possibilità di un mondo non ancora
realizzato. Il colore del primo chakra è il colore del sangue e -sempre secondo
Jung- la sua condizione di latenza e di potenzialità non espresse, richiama in
effetti quella che è la nostra vita reale, le condizioni dell’esistenza su
questa Terra, in cui il dio è addormentato e sembra assente.
Quindi
in seguito ad una chiamata dall’alto (da parte dell’intelletto, la buddhi),
che risveglia la kundalini, il viaggio eroico di conoscenza inizia a passare in
rassegna i vari chakra a partire dal livello della presa di coscienza di quali
siano le nostre potenzialità e quali i nostri limiti a livello organico, cioè
partendo dalla constatazione che siamo radicati in una base materiale. Di qui il
nome sanscrito mûlâ dhâra, base
della radice, o radice base, e il riferimento all'elemento terra, all'elemento
minerale, chimico, al contenitore (composto di carne e ossa, e sangue, e dal
sistema nervoso, a quello linfatico, e da quello simpatico e parasimpatico,
quindi anche dagli istinti reattivi e involontari), con tutte le sue possibilità
e i suoi strumenti, limitati e oggettivamente ineludibili.
E'
una condizione primordiale che per qualche verso ricorda (nonostante l’origine
shivaita del Tantra) quella del Dio Vìshnu (il preservatore, il conservatore)
nel suo aspetto di Narayanah,
addormentato sul grande serpente che galleggia sulle acque primordiali, e che
dorme un sonno vigile che consente alle cose di stare così come stanno,
preservando in tal modo l'essere, l'universo, nella sua forma quale la
conosciamo ora. Il nostro Mondo è dunque il sogno lucido di Vishnu, perciò non
va disturbato e il grande serpente fa da guardia al riposo del nostro
Protettore.
Quindi
incominciando a meditare su questo primo chakra si può iniziare intonando
l'invocazione, che potremmo porre in sottofondo come mantra (temine per indicare un insieme di suoni quale “strumento
per la mente”): "Aum
Namoh Narayanà ye".
Mi
ricordo la grande suggestione che provocò in me la prima volta che lo sentii,
con quel suo ritmo lento, il tono sommesso, la voce dal timbro grave, la nenia
della ripetizione ... sembravano onde sonore come onde del mare che giungono in
successione alla riva. Fu nel grandioso tempio-cittadella cintato da mura, Ranganatha,
nella antica città di Tiruchirappalli (nella regione di Madùrai, nello stato
indiano del sud-est, il Tamil Nadu, un paese di neri di origine dravidica di
antica cultura pali). E' come entrare in una rappresentazione del mondo
interiore, molti ambienti sono nella penombra o nell'oscurità, gli spazi si
susseguono oscuri e bui come in un labirinto, e ovunque risuona sommesso un
canto, incessantemente gli altoparlanti rinviano una nenia a volume moderato,
con un tono basso, che cantilena le lodi al grande Dio della preservazione Vìshnu,
ripetendo lentamente, molto lentamente e quasi a bocca socchiusa: Aum
Namù Naarayanà... ye . ..AUoooom Naa - muuh Na - ra - ya - naaaaaa.....ye. (Ho trovato su YouTube una versione che si avvicina a quel
mio ricordo: http://www.youtube.com/watch?v=
aBy0nU2rPEY&feature=related ).
Nell'antico sanskrito Namoh
o Namù, era inteso come un saluto, come salve, o benedetto; mentre Naara
è un nome per indicare le grandi distese delle acque primordiali, simbolo del
liquido in cui tutto è "fuso" assieme, se guardiamo al Cosmo come ad
una unità vivente complessa e magmatica, ma Una. Il luogo in cui riposa e dorme
il Dio protettore del creato Vìshnu è Ayanà,
cioé il luogo dove si culla il sonno. Quindi Vìshnu è chiamato anche Naarayanà.
Ma Naara indica anche la totalità delle forme viventi (Jivas),
e in questo caso si potrebbe tradurre: il contenitore (yana)
in cui giacciono, riposano, tutte le forme di vita, ovvero la Fonte di Vita. O
lo si può intendere come: tutte le forme di esseri umani viventi e vissute e
che vivranno. Quindi si potrebbe tradurre L'Ente Supremo Fondamento dell'Umanità...
Sono affascinanti polisemie, da prendere sempre sotto una luce simbolica, come
metafore di valore universale, più che non relative a specifiche credenze
religiose, ma come messaggi di spiritualità in senso generale (almeno io è così
che le accolgo). E mi pare che questa invocazione
presa in quanto mantra (la stessa parola Tantra viene dalla fusione tra
Tattva e Mantra) sia in grado di catturare, intrappolare la mente che in essa si
lascia cullare. Pur essendo antichissimo, è un inno, una invocazione, un'ode,
che è stata calibrata sui bioritmi lenti, sulle onde cerebrali più rilassate
(ovvero per indurle e favorirle, e per l'appunto mantenerle, conservarle,
preservarle...). Questa può essere dunque una nostra prima prova di
acquietamento profondo che ci potrà portare ad assaporare una meditazione di
tipo assai potente.
Tra
le visualizzazioni che si potrebbero fare durante una meditazione sul primo
chakra, ve n'è una denominata "la quercia". Questo immedesimarsi in
un albero, in particolare in uno robusto, solido, ben piantato in terra, con un
tronco stabile, e dalle radici profondamente e saldamente ancorate dentro la
materia-terra, altrettanto estese dei rami che sono protesi nell'aria, ci
consente di prendere la misura di quanto ci sentiamo "solidi". E'
bello immedesimarsi con altre forme di vita, e oltretutto noi stessi siamo
partecipi di vita vegetativa con il sistema nervoso linfatico. Questa è una
visione che rinvia al chakra di base, cioè a verificare (o meglio
autoverificare) il nostro buon rapporto con questi elementi base, ovvero con
l'energia che sta a fondamento della nostra vitalità, che è relativa alla vita
organica, fisica e materiale, ma che si riferisce anche alla organizzazione
interiore del sentimento della nostra identità, e alla strutturazione di quella
che è la nostra Personalità di Base, che essendo sufficientemente solida possa
fare da punto di appoggio per ogni ulteriore costruzione e slancio vitale, e
anche ogni ulteriore percorso di coscientizzazione.
Così
pure ci si potrebbe riferire al primo chakra per es. anche con una
visualizzazione relativa
ad una "villa" immaginaria, cioè che verta sulla casa ideale in cui
riconoscerci, su un nostro luogo specifico che ci rifletta, ci rispecchi, e in
cui ci troviamo a nostro agio, con cui ci identifichiamo, sulla nostra cuccia,
sul nostro tabernacolo. Da parte del “maestro” conduttore si richiede
(sottovoce, con interventi dolci e molto lenti) a chi sta meditando di abbondare
nel "vedere" particolari dei vari ambienti. L'analisi dei risultati di
queste visualizzazioni indotte durante uno stato di meditazione silenziosa e ad
occhi chiusi abbastanza profonda, accompagnata da un respiro lento e regolare,
ci può dire molto sul nostro modo di percepire e di vivere molti aspetti della
nostra individualità. Ma richiede la presenza e l'accompagnamento da parte di
una guida esperta, di un facilitatore. Infine la
descrizione di ciò che si è “visto”, e la riflessione su ciò che
è accaduto, ovvero su come abbiamo vissuto, durante la visualizzazione, quel
che abbiamo percepito esserci accaduto, può venire esternata a voce (nei limiti
in cui la parola rende ciò possibile) e comunicata alla guida, e anche
condivisa con il gruppo di riferimento che ci accompagna in questo percorso, e
con loro commentata.
Un
primo esercizio di tipo fisico inoltre può consistere nello stare con la
schiena ben diritta e nel rendere regolare la respirazione liberando il naso e
inspirando con una narice ed espirando con l'altra alternativamente, con l'aiuto
di un dito, per varie volte. Il respiro e le emozioni sono infatti correlati,
perciò dunque preliminarmente la nostra respirazione va resa regolare, lenta e
calma.
Un
altro esercizio fisico consiste nel porre i palmi delle mani sul fondo schiena e
massaggiarci, nell'attivare la muscolatura delle natiche, dei glutei (cfr.
J.Walter), e poi nel sentire il nostro coccige, nel contrarre e rilassare la
muscolatura dell'ano, e dell'area dei testicoli e della vagina, e nel
massaggiarci dolcemente il perineo, massaggino che si può fare stando
semplicemente seduti e muovendo il bacino avanti e indietro per circa una
dozzina di volte. Ciò va fatto prestando anche qui attenzione al respiro che
entra dalle narici e immaginare che esso vada alla base del bacino,
attraversandolo, e purificando tutto il plesso, e poi che esca rifluendo sulla
terra simultaneamente al venir emesso dalle narici con l'espirazione.
Tra
le posizioni (asana)
da assumere in relazione al primo chakra, si può per es. anche praticare una
posizione accovacciata con le gambe divaricate, le piante dei piedi del tutto a
contatto col pavimento, le braccia tra le due ginocchia, e tenendo le mani
giunte vicino al petto. Restando in questa posizione a imitazione della
kundalini rannicchiata su sè stessa, per tre minuti, cercheremo di porre i
piedi ben piatti e diritti sempre più vicini tra loro, le mani più vicine allo
sterno, la schiena la più diritta possibile, e cercheremo di rilassarci
socchiudendo gli occhi, e respirando tranquillamente, senza far resistenza ad un
eventuale assopimento (cfr. U.Raiser).
Tutto
ciò è associato nell'immaginario relativo, al colore rosso, o marrone intenso,
al calore, all'insorgere della luce, a primi piccoli movimenti, alla nostra
disponibilità interiore a cambiamenti, a riconoscere noi stessi pur nelle
nostre metamorfosi, eccetera, e costituisce il preludio al regno del dio Shiva
(se considerato nell'aspetto maschile dell'energia cosmica travolgente) e
dell'energia cosmica Shakti nell' aspetto femminile benefico e accogliente della
sua sposa-gemella Pàrvati.
Prima
di procedere riassumiamo: Mûlâdhâra
(="radice e sostegno"), è la base in cui dimora la Kundalini Shakti,
la forza del serpente energetico, che è la potenza vitale del l'elemento
femminile. Questo primo chakra come dicevo viene supposto risiedere idealmente
nel plesso perineale del coccige, ma estende la sua influenza alle gambe e ai
piedi. E' la nostra connessione con il pianeta in cui viviamo, il radicamento in
esso come ecosistema. Una volta aperto si ritiene che ci aiuti nella nostra
capacità di saper affrontare e sormontare le difficoltà e gli ostacoli, e
nella nostra abilità di adattamento. Ci da la stabilità per perseverare nella
vita quotidiana. Mentre se si occlude, ciò può esser causa del nostro
inclinare verso il timore verso i cambiamenti. Ma quando è aperto ci rende
anche più aperti alla bellezza e al fascino di tutte le opportunità che la
vita ci può presentare.
Ora
proseguiamo nel seguire il percorso di ascesa: per prima cosa dunque la dea
serpente una volta risvegliatasi penetra, per così dire, nel secondo
centro, o cerchio, o vortice energetico, detto Svâdhisthâna
(cioè nel proprio =
swa,
luogo prediletto = âdhisthâna),
che significa anche "dolcezza" (il che ricorda il nostro detto
"casa dolce casa"). Quindi in tal modo passa dal plesso perineale del
chakra di base, al plesso pelvico-sacrale.
Il
2° chakra, detto "sacrale" (ma chiamato anche hara,
cioè dell'ombelico), è idealmente situato nell'area davanti all'osso sacro,
quattro dita sotto l'ombelico, appena sopra l'osso pubico, riguarda il plesso
pelvico e tutte le parti molli contenute nel bacino (vescica, intestini,...). La
facoltà di percezione connessa a questo chakra è il gusto, e l’organo è la
lingua. Elemento di riferimento, o tattva:
Acqua o fluido. E' connesso con tutti i liquidi (come sangue, linfa,
siero, pus, muco, sudore, e tutti gli umori corporei). E’ in relazione dunque
con l’apparato urinario, ed è relativo all'utero, alle ovaie, alle ghiandole
genitali. La sua energia regola l’eliminazione sia dello sperma che delle
secrezioni vaginali, ed è quella che spinge il feto fuori dall’utero.
Presiede alla sessualità e alla creatività. Riguarda le emozioni, le
sensazioni, e le connessioni con la rete degli altri esseri con cui entriamo in
relazione. E, ciò che forse è più importante, è sede delle nostre prime
espressioni, il primo grido, la prima visione, ecc. La sua energia specifica è
la libido. Un suo blocco potrebbe inibire il fluire della energia ed essere
causa di negatività nella nostra vita quotidiana. Anche la sessualità infatti
va vista e vissuta con naturalezza e con gioia, è un primissimo momento in cui
l’individuo si sente incompleto e percepisce che non potrà realizzare
compiutamente tutto sé stesso senza relazionarsi con un altro. Stimola la
fantasia e il desiderio del gioco.
Il
“corpo emotivo” cui appartiene il secondo chakra, quando è calmo e
tranquillo, è uno strumento di sensibilità e di empatia, di unione con gli
altri, per cui si rende
come una sorta di elemento ponte che ci pone in contatto con gli altri e
con l’ambiente. Mentre se è agitato, turbato, mosso da desideri travolgenti,
e da impressioni forti, può costituire un grande ostacolo al progresso
spirituale (cfr. La Sala Batà). Il suo simbolo è l’acqua, perché
l’energia che lo compone è in effetti assimilabile ad una sostanza fluida,
mobile, impressionabile, che prende colore e movimento dal suo ambiente, riceve
impressioni, ogni corrente passeggera la mette in agitazione e ogni suono la fa
vibrare. E quindi prende la forma e riflette il colore del suo recipiente. Per
cui questo centro energetico è un “riflettore” ed un “trasmettitore”.
I
chakra sono visti anche come fiori di loto =padma,
con un diverso numero di petali, che
sbocciano al passaggio del flusso d’energia. E’ dunque ritenuto uno sviluppo
meraviglioso quello che accade, se lo si è riferito alla immagine del loto!
Questo fiore in effetti ben simboleggia il percorso di cui stiamo parlando, dato
che affonda le sue radici nella melma sotto il fondo dell’acqua, poi
attraversa con il suo stelo tutta l’acqua torbida sino a giungere in
superficie dove apre il suo calice alla luce del sole. (Jung diceva che il fior
di loto aperto è metafora della sacra yoni,
simbolo dell’organo sessuale femminile).
Qualche
cosa di comparabile al percorso della kundalini, la possiamo ritrovare anche
nella nostra stessa tradizione arcaica, dunque non si tratta solo di qualcosa di
strano e lontano culturalmente. Si ricordi il cadùceo,
il bastone araldico che portava con sè Ermes (Mercurio) attorno a cui stanno
attorcigliate due serpi speculari che formano sei incroci; se lo osserviamo bene
è assai simile alle raffigurazioni dell'ascesi yogica.
Era
simbolo della comunicazione, del capire e del farsi capire (tra chi è afflitto
da problematiche, e chi lo assiste nel superarle); ma anche simbolo della
farmacopea, dato che i farmaci si ricavavano da estratti delle piante
officinali, e dal veleno dei serpenti (che a seconda dei casi e del dosaggio
poteva essere venefico o benefico). E infine, con un solo serpente, il colubro,
che era simbolo di conoscenza e di rinnovamento, fu l’emblema del divino
Asclepio (Esculapio) cioè della scienza medica, che comportava una visione
complessiva dell'Uomo, della Natura e del Cosmo, in un’ottica olistica
(insegnata da Ippocrate nell’Asclepéion dell’isola di Kos, ma praticata
anche in altri luoghi sacri gemelli ad Epitauro, e in Tessaglia, e a Pergamo).
Quindi
se andiamo semplicemente a leggerci le voci cadùceo e colubro in uno studio di
cultura greca antica, troveremo molti spunti interessanti sulle connessioni, e
sui passaggi culturali tra Oriente e Mediterraneo. Il caduceo è proprio simile
all'immagine simbolica del percorso ascendente della dea serpente kundalini che
va passando per i sei chakra, sino a raggiungere il supremo chakra al di sopra
del capo, che simboleggia la luce dell'aura, o l'aureola degli
"illuminati", nel cadùceo raffigurato con due ali spiegate a
coronamento della verga, simbolo di potere.
Dunque
nella simbologia indiana antica, l'energia Shakti compie un percorso sinuoso
lungo la spina dorsale, e si sdoppia passando attraverso dei condotti, dei
canali (di energia "sottile", non materici, fisici) che si avvoltolano
attorno al "sushumna"
(nel midollo) o percorso retto o regio, della colonna vertebrale, detto anche
"Merudanda"
(il monte Meru era creduto l'ombelico del mondo, e danda significa bastone). Di
queste canalizzazioni dell’energia pranica (o Nadi
che
indica il movimento, lo scorrere),
quella a sinistra è associata alla energia lunare, pallida, o chandrica (la
Luna in sanscrito è Chandra),
che rinfresca, ed è denominata Ida;
mentre la nadi a destra, chiamata Pingala,
è associata alla energia solare (Surya)
che riscalda. Si è voluto vedere in esse le derivazioni simpatiche del sistema
nervoso. Sono concetti che appartengono all’ Ayurveda,
alla scienza vedica della vita; in essa in effetti si nominano non due o tre, ma
decine di migliaia di questi condotti (e comunque anche la struttura anatomica
del sistema nervoso centrale come la conosciamo noi oggi, è intricatissima con
innumerevoli fibre, fibrille, nervi e condotti sottilissimi di cui non sappiamo
con certezza tutte le funzioni ). E’ detto prana
l’alito, il respiro, ed in senso esteso lo spirito vitale che aleggia ovunque
(in altre culture denominato Neshemet, o Ruach, o Pneuma in greco). Per cui
esistono pratiche specifiche di Pranayama volte ad accrescere la sua piena
circolazione, che si attuano nei vari processi di purificazione tramite il
respiro (o shadana).
Così
la nostra dea serpente Kundalini (la “condensata”) ha un lato maschile e un
lato femminile, come tutti noi abbiamo una componente psichica caratteriale
della nostra personalità che è mascolina e una femminina. Quando la abbiamo
risvegliata con la nostra concentrazione su di lei durante la meditazione, e con
gli esercizi che vi riassumevo, o altri più impegnativi, essa alza il capo ed
inizia il suo percorso ascendente di luce.
Diceva
E. Zolla riassumendo lo yoga tantrico: "La pratica
tantrica prevede anche uno yoga, diverso dal classico, fondato sull'idea
essenziale per cui si ottiene la liberazione facendo svolgere il nodo del
serpente avvolto intorno al coccige. Questo serpente, chiamato «Kundalini»,
incarna tutti i sentimenti fondamentali e inconsci dell'uomo, sentimenti fonte
di un'energia quasi soprannaturale che si può scatenare grazie agli esercizi di
questo yoga. Si tratta di contratture dell'addome, spingendo con forza nella
direzione dove si suppone sia avvolto il serpente, sì da scatenarlo. In tal
modo il serpente si ergerebbe lungo la colonna vertebrale fino al cervello,
trasformando radicalmente l'uomo, che attingerebbe la liberazione." (da: http://www.emsf.rai.it/
interviste/interviste.asp?d=83 ).
Il
tantrismo ritiene che ogni essere umano possa liberarsi definitivamente, anche
grazie al fatto che ciò che gli determina problemi può venire trasformato
nella chiave che aprirà le porte della liberazione. Quindi chi sa attingere le
energie per portare a compimento i propri desideri, potrà divenire più
autentico e realizzare il proprio sé. I desideri non vanno ostacolati,
conculcati, repressi, ma seguiti dolcemente in modo tale da poter esprimere
appieno tutto sé stessi. Il Tantrismo dunque fu critico nei confronti della
cultura vigente
nell’India vedica e brahmanica, e postulava il superamento delle proibizioni,
dei tabù, e dei vincoli eccessivi dei riti. Fu critico nei confronti della
morale sociale. Il tantrismo ritiene che le pulsioni primarie vadano soddisfatte
in modo da risvegliare tutte le energie originarie occultate nella materia e
nella fisicità. Chiunque poteva avere accesso alle pratiche Tantra per aspirare
alla liberazione, sia donne che uomini di qualsiasi casta. Perciò il tantrismo
si dedica allo studio e alla sperimentazione degli effetti dei condizionamenti,
delle pulsioni, dei desideri che pervadono la condizione umana. Perciò
l’energia creatrice femminile ha un posto tanto importante, essa è
l’aspetto lunare del potere divino di Shiva, e il fine è sempre la ricerca
dell’armonia tra le forze energetiche.
Kundalini
Shakti risvegliandosi “cessa di essere una potenza statica che sostiene la
coscienza del mondo, il cui contenuto si conserva soltanto sinché ella dorme”
(per cui si interrompe la stato di sospensione tipico delle potenze latenti, e
si mette in moto la potenza dinamica di Shiva che innesca una nuova catena
karmica) “e, una volta messa in movimento, è tratta verso quell’altro
centro statico, situato nel fior di loto dai mille petali che è ella stessa
unita con Shiva-coscienza, o coscienza estatica oltre il mondo delle forme.
Quando Kundalini dorme, l’essere umano è desto alle cose del mondo. Quando
ella si sveglia, egli dorme, cioè perde ogni coscienza di tipo terreno ed entra
nel corpo causale”, cioè in un’altra dimensione energetica. (A.
Avalon,
1919, p.243)
Riprendendo
ora il nostro cammino, dunque per quanto riguarda il secondo chakra
o Svadhisthana (che è il primo
che Kundalini attraversa dopo il risveglio), esso ha sede presso il plesso
epigastrico, dirige gli impulsi, ed è sede della libido.
Bisogna
dire che la forza della libido, che stimola questo centro energetico, non è
solo attrattiva, ma ha in sé anche una capacità coesiva, nonché un potere
trasformativo.
Dunque
il risveglio di Shiva che fa la sua comparsa nel mondo, richiama il movimento,
il mutamento, il nuovo, ma non solo nel suo aspetto distruttivo, ma nel suo
aspetto dolce, femminile, creativo, cioè nella forma-manifestazione di Shiva
(dell'energia vitale) che è Pàrvati, la grande dea. Pàrvati è il volto
femminile, è la gemella di Shiva, la sua sposa, anzi è la divinità stessa
sotto altro aspetto. Ma i due in effetti sono solo vòlti dell'uno (vedi
l’androgino Shiva Ardhanârîshvara
nel tempio rupestre dell’isola di Elephanta, di colore d’oro nella metà
sinistra e di argento nella metà destra).
Scopo
del Kundalini yoga è quello di riconoscere in sè la presenza dei due aspetti,
e di cercare di accoglierli entrambi, di non essere troppo disarmonici e
centrati su un solo lato. Perciò il 2° chakra è molto complesso poiché oltre
a presiedere alla naturalità e alla accettazione del principio di piacere, alle
manifestazioni della sessualità, ad attrarre e ad accogliere un partner,
simboleggia anche le nozze interiori tra le due componenti. Grazie ad un
confronto e ad una meditazione sul secondo chakra, aiutiamo e aiutiamoci a
valorizzare ed esprimere senza timori o pudori la parte femminea di sè presente
negli uomini, e la parte mascolina del sè presente nelle donne.
La
danza è l'arte più congeniale a Shiva/Pàrvati, quindi il ritmo, la musica,
l'armonia. Perciò nel danzare per celebrare il 2° chakra, per aprirlo, si deve
cercare di muoversi (e mostrarsi) in modo sensuale ma anche di provare piacere a
fare tali movimenti, di gradire il fatto di essere sensuali (non solo per dare
piacere al partner ma anche per piacere a sè stessi). Proporrei questi
esercizi:
Ci
si può porre saldamente sul pavimento con i piedi un po' allargati e con le
gambe appena leggermente piegate, e quindi muovere dolcemente le anche verso
destra e a sinistra, cercando di muovere solamente la parte dal giro-vita in giù,
e mantenendo fermo il tronco. Il movimento da compiere è uno sviluppo di quello
che veniva consigliato per il primo chakra. Quindi stando in piedi con le gambe
un po' flesse, si incominci con l'aiuto del ritmo e di una musica soft di
sottofondo, ma ben scandita, a far compiere un percorso ovale al bacino, con un
ancheggiamento a destra, una flessione per portare avanti il pube, un
ancheggiamento a sinistra, e poi portando il sedere all'indietro e un po' verso
l'alto, e così di seguito continuando per almeno un quarto d'ora.
Infine
si inizi lentamente a staccare le mani, che sin'ora erano appoggiate sul fondo
schiena e aiutavano il movimento rotatorio, e a portarle dolcemente verso
l'alto, scivolando lungo il corpo. Tenendo fermi i gomiti ad angolo retto col
corpo, si inizia poi ad alzare le mani sinuosamente verso l'alto e portarle
sopra alla testa a sfiorare i capelli, muovendole leggermente in un piccolo
cerchio, o ovale, quindi agganciando le mani tra loro, alzarle verso l'alto come
se massaggiassimo un soffitto trasparente. Questo esercizio si chiama
"sorreggere il cielo con le proprie mani". Poi rimanere roteando le
mani per un poco, e quindi iniziare a riabbassarle lentamente nello stesso modo
all'inverso, e scivolando sinuosamente lungo il corpo tornare ad aiutare l'
ancheggiamento che avevamo intanto continuato a compiere.
Si
deve cercare di lasciarsi andare al ritmo della musica e compiere i movimenti in
modo sensuale, che ci diano soddisfazione. Qui forse si possono manifestare
delle remore e dei freni interni, e ci si potrebbe trattenere dal sentirsi
spinti al movimento sinuoso del serpente... E' un primo movimento di tipo
tantrico, usato in tutto l'Oriente nella famosa danza del ventre (che fanno le
danzatrici, ma a cui partecipano danzatori). Ed è importante che anche gli
uomini si identifichino un po' di più di quanto non siano soliti, con la
propria componente femminina per favorire un migliore equilibrio interiore.
Così
ora dunque danziamo e volteggiamo al suono di musiche non solo indiane ma
orientali in genere (quindi arabo-berbere, turche, indonesiane, o persino
polinesiane), dalla danza del ventre dunque alla hula, divertendoci a fare
"la mossa", ad ancheggiare e muovere le braccia e le mani in gestualità
dolci, sinuose e sensuali.
Si
possono provare anche alcuni esercizi di postura di tipo yogico (chiamati asana)
legati ai primi due chakra. "La farfalla", che consiste nel stare
seduti in terra con le piante dei piedi combacianti l'una con l'altra, la
schiena incurvata e prendendoci i piedi con le mani e tirandoli a sè, con i
gomiti all'interno delle gambe, mentre le ginocchia saranno più strette
possibile; quindi reclinate il capo col volto verso piedi-mani ed ondeggiate
leggermente mentre tirate in su con le mani (cfr. U.Raiser).
Alla
fine si può attivare una visualizzazione collegata all'elemento acqua (ad es.
quella "della corrente del fiume", oppure quella detta "la
fonte"). Per il secondo chakra si può suggerire anche quella del
passeggiare lungo una spiaggia sul bordo dell'acqua del mare, per poi stendersi
ad ammirare l'alba, o quella in cui attraversando un prato in montagna si giunge
ad un fiume in cui alla fine si entra in acqua e ci si abbandona alla corrente.
Si
può anche intonare un Om
corale stando in cerchio e tenendosi per mano, o sussurrarlo sommessamente
individualmente, o anche solo pensarlo mentalmente. Om,
o Aum,
o Aumn,
la più sacra espressione del Dharma
hindu (o Sanathana Dharma), è una delle parole più antiche che si conoscano.
Quando le tribù nomadi Sindo-Aryan vagarono stanziandosi verso i territori
settentrionali dell'attuale India, essi portarono con sè il prezioso e sacro
suono. Già nei più antichi sacri testi in sanscrito come i Rig-Veda, Om
ha una presenza preminente. Quasi tutti i mantra
(dalle radici man-,
mente, e tra-
proteggere) e gli inni iniziano e terminano con Om,
e Om
è usato anche a sè stante come mantra
e considerato il più "potente", in particolare pronunziandolo come un
canto, mormorando appena, o anche solo pensando: Om
Tat Sat,
cioè "Om è colui che è", che sarebbe il mantra
che fa riferimento alla mistica sillaba Om quale simbolo dell'Assoluto (si
ricordi che nella Torah ebraica, il Verbo divino dice di sè, "sono colui
che è"). Dunque antichissimo è il suono Om,
che riprodurrebbe la vibrazione primigenia che diede luogo alla creazione, è da
pronunciare con il dittongo vocalico Au scandito lentamente, e vibrando poi
lungamente la consonante. La vibrazione che Aum produce nel nostro corpo, nel
cranio, e nella mente è considerata appunto in sintonia con la stringa, o
l'anello, primordiale di vibrazione universale (il Verbo), e dunque può aiutare
a porsi in armonia col Tutto, e ad acquietarsi interiormente, e a porsi in uno
stato di sospensione...e in tale stato il sannyasi
(il “cercatore” che si stacca dal Mondo) sa elevarsi alla ricerca
dell'Assoluto, e della comunicazione del sé individuale con il Sè cosmico.
In
questo quadro i meditatori indiani antichi si sono chiesti se venisse prima
l'essere o la coscienza dell'essere, e a questo proposito nell'invocazione
completa dell'Om si dice: Om,
Sat, Chit, Ananda,
il che sta a significare che la sillaba sacra della vibrazione primordiale Aum,
condensa in sè l'Essere (sat,
riconosciuto come la realtà totale, la verità delle cose), la Coscienza
universale (chit)
e l'implicita serenità, beatitudine (ananda),
quindi vuol significare che essi sono contestuali, compresenti, forse
consustanziali (da qui viene anche una importante indicazione ad un primo
livello: esistere, con consapevolezza, e in serenità).
Che
farebbe in effetti l'energia latente sottile se non si condensasse in massa,
quindi materia? se grazie al movimento delle vibrazioni la materia non fosse
pervasa con questo soffio vitale della energia? senza movimento (=cambiamento)
non ci sarebbe vita, non ci sarebbe nulla. Quindi il movimento, e dunque anche
il cambiamento di stato (ad es. solido, liquido, gassoso) è vita. Solo così,
cioè accettando l'intero ciclo di estrinsecazione, conserservazione,
distruzione-cambiamento, simboleggiato dalla Trimurti
(la trinità hindu: creazione, preservazione, trasformazione), accettando la
totalità dell' Essere (che è materia, vita, pensiero) nella sua incessante
ascesi verso il perfezionamento di sè, si giunge ad assaporare la beatitudine.
Quindi le tre componenti necessariamente sono sempre compresenti, come lo sono
le tre componenti del mantra sopra citato, o anche altre (come: corpo, mente,
spirito), o come: Satyam
(il Vero, il Reale), Sivam
(il Buono), Sandaram
(il Bello).
Joseph
Campbell, dice che "Om è una parola che rappresenta alle
nostre orecchie quel suono della energia dell'universo di cui tutte le cose sono
manifestazioni. Inizi nel retro della bocca con "ahh", e poi "uu" ti riempie la bocca, e "mmm" chiude la bocca. Quando lo pronunci in modo appropriato, vengono incluse
nel pronunciarlo i suoni di entrambe le vocali: AUM. Le consonanti "mmm" qui sono semplicemente come delle interruzioni
del suono delle vocali che è l'essenziale. Tutte le parole sono come frammenti
dell'Aum, così come tutte le immagini sono frammenti della Forma delle forme.
AUM è un suono simbolico che ti pone in contatto con quell'essere risonante che
è l'universo. Se ascolti i monaci tibetani intonare AUM, saprai che cosa questa
parola significhi. Quello è l' AUM dell'esserci nel mondo. Essere in contatto
con quello e cogliere il senso di quello, è il vertice dell' esperienza del
tutto. A-U-M. La nascita, il venire in essere, e la dissoluzione che chiude il
ciclo. AUM è detto "la sillaba dai quattro elementi". A-U-M e il
quarto elemento qual'è? Il silenzio fuori dal quale sorge, e in cui poi
ritorna, e che è sotteso. La mia stessa vita è l' A-U-M, e anche qui è il
silenzio che la sottolinea e la sottende.
Quello è ciò che potremmo chiamare l'immortale. Questo è il mortale, e
quello è l'immortale, e non ci sarebbe il mortale se non ci fosse l'immortale.
Si deve discernere tra l'aspetto mortale e quello immortale di ciascuna nostra
esistenza. Nel fare esperienza di mia madre e mio padre che se ne sono andati,
dai quali io sono nato, sono giunto a comprendere che c'è di più di quella che
fu la nostra relazione temporale. (...)"
(J.Campbell, Il potere del mito, 1988, pp. 286-7).
In
generale dunque ci si riferisce al significato simbolico del seguire il percorso
della energia vitale Shakti, lo spirito vitale che ha infuso nella materia
inerte il movimento. E in effetti cosa
rappresenta lo yoga della Kundalini? si tratta di un viaggio iniziatico
compiuto dal protagonista, o eroe di queste pratiche, che siamo noi stessi,
nell'immaginarci di assistere al risveglio della dea serpente kundalini e al suo
elevarsi graduale verso la sommità, e identificarci con essa e con il suo
viaggio. Si tratta dunque di un risveglio spirituale che partendo dai livelli
inferiori procede verso livelli sempre più sottili in cui si ha occasione di
passare in rassegna i sette principali centri energetici, per acquisirne piena
consapevolezza.
Non
si può che prendere le mosse dalla decisione di risvegliare la coscienza, per
passare poi attraverso i diversi varchi, le varie porte, che caratterizzano le
varie situazioni complesse e problematiche in cui si imbattono le forze
energetiche che ci fanno essere pienamente vivi.
Quindi
si parte dalla constatazione che non è sufficiente che vi sia tutto quel che è
necessario a livello fisico, organico (=1° chakra), perché ci sia vita, e che
non si tratta solamente delle implicazioni psichiche della nostra struttura
organica, o del nostro particolare corredo genetico, ma si tratta di un livello
spirituale-enegetico che vivifica, che anima, il nostro esserci nel mondo (cfr.
l’inno Hari Aum Tat Sat cantato da
Deva Premal: http://www.youtube.com/watch?v=ZLvbmpmKylM
).
Secondo
la cultura vedantica lo spirito vitale onnipervadente (e dunque pervadente anche
la materia di cui siamo fatti noi esseri viventi), da luogo ad una certa forma,
o formazione individuale; il codice genetico individuale costruisce la forma che
è nelle combinazioni del suo programma, dando luogo a una enorme varietà di
forme individuali che nel corso del tempo si succedono, affrontano la realtà e
compiono varie esperienze che consentono al DNA umano di perfezionarsi, di
evolvere, di mettere a punto sempre meglio la composizione del codice genetico.
Poi
la serpente kundalini una volta risvegliata dal suo stare in uno stato di
latenza nella sua nicchia di inconsapevolezza, nel suo stadio di incoscienza,
alza il capo, ovvero il suo punto-luce, ed esce dal primo cerchio per entrare
nel successivo. Secondo Jung il simbolismo del chakra dell’ombelico,
“equivale all’idea, diffusa in tutto il mondo, del battesimo con
l’acqua” ovvero del bagno purificatore nelle sacre acque, o nei riti
misterici con il lavacro che pulisce e lava via le impurità. Quindi per
procedere oltre le potenzialità e i limiti del muladhara bisogna innanzitutto
compiere un passaggio simbolico, come il passaggio di un fiume. E’ come un
battesimo di rinascita. Dunque “ci vuole uno stimolo che ci spinga avanti,
facendoci attraversare l’acqua”, ed è quello di assaporare la libido.
Lì
nello svâdhisthâna
(nel secondo dolce chakra) si sviluppa l'energia collegata all'elemento liquido,
della libido, della sessualità, sensualità, ma anche della fessibilità,
dell'autostima, dell' autogratificazione, e dell'attenzione. E' la forza che sia
pure a livello istintuale, immediato e quasi involontario, ci spinge a legarci
ad un altro individuo, in amicizia, in affetto, in unione sessuale, insomma ad
uscire dall'isolamento e sentire la necessità del partner per capire sé stessi
e insieme il mondo esterno a sè. Se si tratta dell'unione dei due generi
maschile e femminile, allora questa è posta anche a garantire la sopravvivenza
della specie (mentre l'energia del muladahra garantiva quella della propria
sopravvivenza individuale). E' il primo livello risvegliato che presiede al
movimento, e quindi è sotto l'egida del dio Shiva nel suo aspetto di Nataraja,
di Signore della Danza Cosmica, che salutiamo con l’invocazione Om
Namàha Shivay’
(cfr. http://www.youtube.com/watch?
v=WtsmqzcYkMs&feature=related).
Quindi per collegarci ad esso avevamo prestato attenzione nel secondo chakra ai
ritmi, alla musica, all'armonia dei suoni, e avevamo praticato delle danze
sinuose e sensuali, tipo la danza del ventre. Questo è il chakra che ci induce
a evitare di provare dolore e a ricercare il piacere. Rappresenta l'identità
emozionale. Intanto si prende una maggiore confidenza e conoscenza del proprio
corpo, e si riflette sull'impiego della libido come modalità che può portarci
ad un più consapevole appagamento del desiderio di unione che stiamo vivendo. E
anche di capacità di dare e di accogliere, e di godere pienamente in modo
naturale e gioioso il piacere, per un sano impiego della energia libidica, che
dia una aggiunta di senso alle scelte sentimentali che compiamo. Ma che non
riguarda solo un partner sessuale, ma anche altri che siano oggetto della nostra
attrazione amorosa, per esempio nell'amore verso un figlio è importante per
poter essere anche genitori migliori (magari perché più appagati e realizzati
nella vita di coppia). L'unione, il congiungimento erotico è importante nella
concezione tantrica, che può portare a forme di estasi da vivere come momenti
di ascesa spirituale perseguibile solo nel superamento della individualità.
Nella collana di testi sul desiderio sessuale (Kama-sutra,
tr.it.
Ubaldini editore,1963),
questo è visto come il primordiale impulso che diede il via alla Creazione.
Nel
provare alcune posizioni, come esercizi relativi al secondo chakra, si potrebbe
passare alla posizione in cui si cerca di tenere in sospensione e in equilibrio
il capo e i piedi che vengono sollevati da terra, appoggiandoci sui palmi aperti
al suolo con i gomiti nella parte interna dell'articolazione delle gambe. E' uno
sforzo dolce in cui i gomiti premono verso l'esterno mentre le ginocchia premono
le braccia verso l'interno, mentre con gli occhi guardiamo in avanti sollevando
il mento. Come vedremo la posizione risulta soprattutto all’inizio un po'
altalenante. Questo infatti è il chakra della dualità, della polarità, in cui
l'energia si manifesta nell'intreccio ed unione delle componenti maschile e
femminile, interne ed esterne (interiori, psichiche; e culturali-sociali), con
cui essa risale su per il nostro corpo, incrociandosi in spirali lungo la spina
dorsale, attraverso i condotti detti Nada.
Il
Tantra indiano si può distinguere tra una via cosiddetta degli Shakta “della
mano sinistra” (vamachara), o Tantra
rosso, che è più incentrato su pratiche fisiche ritualizzate, e una via
“della mano destra”, o Tantra bianco, che ricerca l’unione del maschile e
del femminile a livello energetico, e con una visione più metafisica del
ricongiungimento dell’energia con la consapevolezza. Vi sono poi differenze
tra i Tantra hindu e quelli buddhisti e in particolare il Tantra tibetano.
Infine i testi tantrici, i Tantra shastra,
si diffusero anche in Cina dove il principio creativo e modificatore del Lingam
shivaita (simbolo dell’organo sessuale maschile) si sviluppò nel principio
dello yang, e quello includente, comprensivo e accudente della Yoni
(simbolo dell’organo sessuale femminile) si sviluppò nel principio yin.
Dopo
questa premessa e ripasso (ed è considerato un bene nel passare da un chakra al
superiore sempre riprendere brevemente il percorso dall'inizio), dobbiamo uscire
dalle acque. Anche se a volte per compiere questo passaggio si tratta
addi-rittura di attraversare un mare, con il pericolo di imbattersi in un Makara,
un mostro marino che simboleggia l’attributo divorante delle grandi acque, che
ti può anche inghiottire e rispingerti nell’inconscio del primo chakra.
E
finalmente se si supera il pericolo costituito dall’affrontare questa
terribile prova, entriamo con la nostra kundalini nel
terzo
centro, che corrisponde al plesso solare, e che è l'ultimo di questi primi tre,
detti "inferiori". Il suo nome è Manipûra,
tradotto come "sede dei gioielli" o “tesoro di gioielli”, o
“pienezza di gioielli”. Entrandovi si dovrebbe invocare Om
Mani Padme Hum,
(o Hung),
cioè: "salve gioiello che sei nel fior di loto!" E' collegato alla
nostra capacità di agire liberi, e a questo livello possiamo lavorare per l'autodefinizione:
è qui che si struttura l' Io (l'Ego)
come soggetto cosciente delle proprie esperienze, che rielabora l'esperienza e
che dirige le azioni volontarie. Rappresenta il primissimo livello di coscienza
con consapevolezza, cioè rappresenta l'impiego della forza di volontà, la
capacità di decisione, di compiere scelte. Siamo già ad un livello superiore
ai precedenti, anche se è un centro ancora strettamente collegato ad aspetti
somatici e del movimento.
E'
il punto di percezione e intuizione di tipo viscerale. Con l'energia di questo
chakra, avverto, sento con i sensi, sento, percepisco il mio stare (bene o male)
in una situazione, condizione, relazione, attraverso i segnali che mi invia lo
stomaco (si stringe la bocca dello stomaco come segnale di disagio), o che mi
invia il fegato (mi "smangio" il fegato), o che percepisco in quanto
certe situazioni si riflettono a livello gastro-intestinale, o riguardano la
bile e le sue secrezioni di acidi, eccetera. E' il primo livello di conoscenza e
di coscienza, che ci fa riflettere, perciò è un chakra solare, che ci può
illuminare. Dunque
è da qui che inizieremo poi il nostro percorso
volontariamente verso le tappe successive superiori e più spirituali. E'
a partire dall'energia di questo chakra che si compiono le azioni con decisione
e per decisione presa, in base alle esperienze fatte. Si accende il calore di
questo chakra come l'energia del fuoco, sempre instabile e mobile, e
trasformativa. E' da qui che si determina il coraggio, come forza interiore di
prendere iniziative.
Nel
processo di sublimazione tutte le energie istintive passano necessariamente
attraverso il plesso solare che ha, accanto alle sue funzioni specifiche, anche
quella di “trasmutare” le energie inferiori, e dirigerle al di sopra del
diaframma; perciò è chiamato anche “il Grande Trasmutatore”. (cfr. La Sala
Batà).
Quindi
ricapitolando: 3° chakra, Manipûra,
il centro "solare". E' posto quattro dita sopra l'ombelico, sotto lo
sterno. Riguarda il plesso solare, sotto al diaframma, prende dalla fonte della
shakti l'energia per coordinare il corpo. Nello specifico controlla tre organi
“cavi”, lo stomaco, l’intestino, e la cistifellea, ed anche organi
“pieni” come il fegato, e il pancreas; inoltre ad esso afferiscono la bile,
la milza, le reni, l’appendice. E’ associato a tutte le funzioni metaboliche
e vegetative. Ad es. il pancreas si deteriora quando si abusa di cibo e/o di
alcool, ed il rimedio è sempre una dieta equilibrata e controllata dalla nostra
volontà intelligente.
Elemento
di riferimento, o tattva: Fuoco,
calore (il calore solare, e il calore dell’ orgasmo). La sua forza è quella
della volontà, in particolare la volontà di potenza, o meglio il sentimento
di potere. Ci rifornisce dell'energia diaria, è la sede della nostra piena
vitalità. Secondo alcuni è la sede dell' Ego. I suoi aspetti positivi sono la
comprensione, l'apertura, l'assumersi responsabilità.
E’
importante imparare a sapere esprimere i propri sentimenti, e quindi ad
accettarli ed esternarli. Secondo il tantrismo si debbono affrontare con
consapevolezza e in modo costruttivo i sentimenti che emergono in noi, ovvero
non guardare la vita con troppo distacco, come tendono a fare gli asceti, ma al
contrario dare espressione ai desideri e alle esigenze personali, anche a
prescindere dalla stessa possibilità di soddisfarli; questo significa
apprendere ad affrontare i sentimenti.
Mentre
l’eccesso di questa forza energetica potrebbe portarla a dominare la persona,
che sarà presa da brama di gloria. Bisogna prendere consapevolezza del fatto
che le disfunzioni negative del terzo chakra dovute ad un funzionamento
disarmonico, possono portare ad egocentrismo ed egoismo.
Qualora
si tratti di cariche negative, distruttive, o aggressive, il flusso di energia
va deviato e trasformato, indirizzandolo verso altri obiettivi più positivi, ma
non conculcato o negato, o combattuto, o trattenuto.
Se
l'elemento bloccante del primo chakra era la paura, e del secondo era il senso
di colpa, qui è il sentimento della vergogna, della propria inadeguatezza, che
può inibire o frenare le iniziative, la volontà di azione, e così rendere
incerta la percezione di poter agire.
Apprendere
a regolare bene il fuoco di Manipura vuole dire imparare a gestire con modestia
e moderazione la relazione col mondo, è dannoso introdurre o stimolare o
desiderare più energia di quella necessaria (magari prendendola dagli altri),
per cui avidità e cupidigia sono tra i risvolti negativi di questo centro
energetico, come lo sono sempre tutti gli eccessi, poiché alterano il delicato
equilibrio tra il nostro microcosmo e il macrocosmo in cui siamo inseriti.
Ma
ci ricorda Aurobindo (un grande filosofo indiano del Novecento che mirava a
riunire Vedanta e Tantra): “L’Io è un aiuto, l’Io è un ostacolo”.
L’Ego nel sviluppare in noi il senso della separatezza inizialmente ci è
d’aiuto per fornirci stabilità. Ci aiuta a dare un centro che tenga assieme i
nostri stessi vari aspetti e le nostre varie energie. Ma ad un certo punto della
nostra maturazione avvertiamo che vi è una continuità nel tempo, abbiamo cioè
la sensazione che nonostante la mutevolezza dei nostri stati d’animo e le
modificazioni che l’accumulo delle esperienze produce in noi, e le mutazioni
dovute al cambiamento di contesti, di ruoli, e di relazioni, persiste un
qualcosa che ci fa riconoscere che siamo pur sempre noi stessi. Capiamo che vi
è un filo conduttore anche dietro ai contenuti psicologici. A quel punto però
sentiamo come una chiamata che ci induce a intraprendere un viaggio di ricerca,
per conoscerci ma anche per superare le nostre limitazioni, la chiusura nell’indivualismo
e nell’egocentrismo. Qui l’Io ci può frenare, ma la stessa decisione di
iniziare un percorso di autoformazione, del prendersi carico della propria
formazione, già segna il passaggio ad un livello evolutivo più elevato e
consapevole.
Un
terzo chakra equilibrato e ben funzionante, permette all’individuo di saper
contrastare l’invadenza dei controlli e dei condizionamenti sociali, o la
prepotenza di altri, e di affermare la propria autonomia.
Quindi
ora forse diviene un po’ più chiaro quale sia il senso del praticare lo yoga
della kundalini. E' -come dicevo- di ripassare dentro di noi (in momenti di
raccoglimento e analisi interiore) una rassegna, e una analisi di come viviamo
questi campi energetici che sono presenti in noi stessi. Un esercizio al
riguardo può essere quello di annotarci su un nostro quadernino, o block-notes
dedicato specificamente a questo percorso, in quale campo, chakra, ci pare di
stare attraversando delle difficoltà, quale chakra ci mostra segni di
malfunzionamento, di intasamento che impediscono il fluire dell'energia vitale,
e il passaggio attraverso questi varchi da parte della kundalini? In quale campo
energetico hai notato in te resistenze, e quali? Quando avrai preso nota di
queste remore, chiediti che cosa vorresti fare per vivere pienamente l'energia
di quel chakra? Ciò è particolarmente importante una volta giunti all'analisi
del terzo chakra essendo esso collegato all'attivazione intenzionale della forza
di volontà.
Lo
scopo infatti è come dicevo, di conoscere meglio il nostro corpo, le sue
energie psichiche, e la nostra mente, dunque noi stessi nella nostra totalità,
e di esercitarci a farci soggetto del proprio auto-perfezionamento, soprattutto
per quanto concerne una crescita di consapevolezza. E qui dunque deve attivarsi,
entrare in campo, la forza di agire, di esternare un intento e portarlo a
compimento, realizzarlo. Perciò il fuoco del terzo chakra è ritenuto un
elemento importante nel Karma Yoga,
cioè nello yoga dell’azione, del fare.
Un
esercizio relativo a Manipûra,
può essere quello di porsi il palmo della mano destra sul plesso solare e
chiedersi: che cosa evito di affrontare? in quali casi ho difficoltà a prendere
decisioni, a esplicitare la mia volontà? in generale che cosa di solito
constato che non procede come vorrei? e prenderne poi nota sul block-notes. Una
volta che si è fatto questo, ci si può fare un dolce massaggio quattro dita
sopra l'ombelico con il palmo della mano destra muovendola in senso orario. Se
percepisci di avere bisogno di un ulteriore supporto, visualizza un punto
di luce che segue e aiuta il movimento di frizione, che si fonde con la tua mano
e ne
potenzia l'effetto. Alla fine del massaggio dì a te stesso una di queste frasi:
ho fiducia nelle miei intuizioni; scelgo il mio percorso; prendo iniziative e
accetto ciò che comportano; sono aperta/o di spirito e mi accetto anche se
altri mi rifiutano...; riesco a vedere il lato buono negli altri; mi dedicherò
a creare intorno a me per quanto possibile il mio "ecosistema
psichico" così come lo necessito; io ho le energie per cui posso
farcela... (cfr. per questi esercizi per es. il percorso di analisi dei chakra
sviluppato nei suoi testi di carattere psicologico da Anodea Judith, e quello
svolto da Rebecca Bardella nel suo “corso a distanza” di
EvoluzioneSpirituale.com su internet).
Grazie
ad una gestione armoniosa di questo centro energetico diveniamo in grado di
prendere decisioni e di compiere scelte, rendendoci conto che siamo poi
responsabili delle loro implicazioni.
L’individuo “comune” che è abituato a servirsi solo della mente
ordinaria, condizionata, “meccanica”,
organizzata per automatismi, che riceve stimoli e li trasforma in
abitudini mentali, pregiudizi, per cui “crede” di pensare, mentre in realtà
è prevalentemente programmato da meccanismi mentali e è attraversato da
pensieri prodotti da questi meccanismi. E’ come nell’immaginario della
nostra antica cultura quel simbolo (originario anch’esso della Tessaglia come
Asklepio) che venne chiamato dai latini Giano bifronte, il quale ha un volto
rivolto al mondo fenomenico esteriore e uno rivolto verso l’interno, verso il
mondo interiore e soggettivo. Le persone nella nostra società usano quasi
sempre la faccia rivolta all’esterno spesso fermandosi alle apparenze, e
divenendo prigioniera di meccanismi illusori. Per questo il mal-funzionamento o
l’uso distorto della mente nell’individuo comune, porta a far sì che la
mente sia la distruttrice del reale, sia il filtro che impedisce di vedere
chiaramente la realtà. Quando comincia a liberarsi da condizionamenti e a
produrre pensieri critici e autonomi, la mente diviene strumento di
coscientizzazione e di crescente presa di consapevolezza e dunque questo chakra
comincia a vibrare, a far fluire l’energia. Lo scienziato, il filosofo, il
ricercatore, lo studioso, coloro che sanno pensare liberamente appartengono già
ad un livello più elevato della mente. Quando avremo superato i condizionamenti
mentali e ci saremo liberati da sovrastrutture e concetti assimilati da opinioni
esterne, per sostituirli con pensieri frutto della nostra ricerca e delle nostre
meditazioni, a questo punto la mente consapevole può produrre modificazioni
positive della realtà, in quanto l’individuo diviene veramente soggetto di
libero arbitrio, e di scelte con coscienza di causa, e si fa responsabile delle
proprie decisioni e delle loro conseguenze. La cultura indovedica ritiene che la
materia fisica possieda tre guna, o
qualità: tamas (inerzia), rajas (attività), sattva (ritmo).
Con il transito in questo chakra possiamo passare dal primo al secondo, e
apprendere a equilibrare i due guna. La prima fase è certo quella di imparare
ad affrontare ed assolvere i compiti che la vita ci presenta, vincendo la
pigrizia e l’inerzia, ma la seconda fase comporta risvegliare la graduale
presa di consapevolezza
di ricercare il significato ed il senso della nostra vita. E Aurobindo
come accennerò anche poco oltre, ci dice che ogni esperienza rappresenta una
occasione, una tappa, per procedere in questo percorso.
Mentre
scrivevo queste righe abbiamo attraversato una importante data di passaggio:
l'equinozio di primavera. E' fondamentale per il Kundalini Yoga essere più
attenti a questi passaggi della natura, ci fa ricordare che stiamo su un pianeta
madre e in un sistema cosmico. Quindi coincideva a puntino con il passaggio dai
tre chakra "inferiori" al chakra del cuore. La primavera è una
rinascita come tutti sappiamo. E la nascita cosa è? è appunto il transitare
dal mondo protettivo dell'elemento liquido (amniotico), a quello dell'elemento
aperto aria (attraverso il passaggio della prova del fuoco del parto). Quindi
passando dai tre chakra inferiori nel nostro allegorico viaggio di conoscenza
del Sè, si lascia la stretta connessione con il corporeo-fisico, -in cui siamo
come dentro un ventre materno, quindi in connessione col dato animale e
istintuale, materiale-, per introdurci alla ricerca spirituale (il divino che è
ovunque nell'aria stessa che respiriamo). Allora va onorato questo filo teso tra
i due mondi (il letargo invernale e il risveglio primaverile), e viaggiando
sull'arcobaleno dell'iride, il ruolo di ponte tra il fisico e il
divino-celestiale lo svolge il cuore, il chakra del cuore. L'essere umano sta a
metà tra natura animale e energia spirituale, è trattenuto dalla prima e
attirato dalla seconda. Accettare un percorso che abbia cuore, e accettare il
valore delle intuizioni, e dei sentimenti, è un modo di permettere, e di
permetterci di entrare nella dimensione del divino. Una volta dissolta la paura,
la colpa e la vergogna (gli ostacoli, le prove che si interpongono nel nostro
viaggio), possiamo lasciar fluire la sinuosa kundalini verso la parte superiore
del sè. Quindi sarà una occasione per celebrare l'obiettivo finale (o meglio
l'orizzonte) della illuminazione (o anche solo dell’intravedere un suo primo
barlume e albeggiare a distanza).
La
grande ruota delle stagioni, è interpretata nel tantrismo anche come una rosa
dei varchi, con una interpretazione che è poi una visione simbolica
antichissima, anzi ancestrale, e comune a tutti i popoli, in cui certi passaggi
dell'anno sono concepiti come passaggi da celebrare con dei riti, che ci
permettono di soffermarci a riflettere e prendere consapevolezza delle diverse
condizioni in cui ci troviamo a vivere, che comportano trasformazioni del nostro
essere e del nostro animo. E a sentirci così maggiormente in sintonia con i
cicli della natura, pensando anche ai nostri cicli vitali individuali. La pasqua
ebraica e poi cristiana è anch’essa una festa di rinascita, una festa della
primavera. La kundalini in letargo, che pare priva di vita nel primo chakra, poi
si ridesterà e svilupperà la sua energia potenziale.
Chi
ha esercitato la pratica di ascesi spirituale, avendo rivissuto idealmente con
compartecipazione questa fase di trasizione e resurrezione, può
ora passare ad esaminare il quarto
chakra detto anche di mezzo o intermedio, o ponte o punto culminante dell'arco
iris dell'arcobaleno (ogni chakra è collegato a un colore), intendendolo come
viaggio metaforico per meditare su noi stessi e sulle nostre reazioni ai vari
campi energetici considerati. Il quarto chakra o “chakra del cuore”, il
primo dopo la serie dei tre chakra inferiori, più fisici, dunque introduce al
concetto di amore come presa di coscienza, come pratica di consapevolezza del
nostro saper dare ed accogliere amore.
Forse
più di quanto già non riguardi gli altri chakra, in modo particolarmente
pregnante il quarto è specialmente anche equilibrio, cioè applica sempre la
massima (che fu anche dei nostri Sette Saggi della Grecia arcaica): "nulla
di troppo nè troppo poco". E poi questo chakra oltre ad essere come tutti
gli altri collegato come una perla di una collana all'insieme, è
particolarmente connesso al secondo (la forza attrattiva libidica) in quanto
esso è in grado di dotarlo di senso. Quindi per sintetizzare il
chakra di mezzo:
4°
- Anâhata,
è il centro del cuore. E' posto nella gabbia toracica delle costole, e riguarda
tutti gli organi ivi contenuti. Estende la sua influenza alle braccia e le mani.
La sua ghiandola è il timo. Elemento, o tattva: Aria. Tramite i polmoni governa il respiro. E' il
centro dell'amore, della gentilezza e delle relazioni affettive, ma è anche il
centro delle passioni. Pone in connessione i chakra inferiori e quelli
superiori, e pone in connessione il corpo, la mente, e lo spirito. E' chiamato anâhata
perché il cuore batte "senza percussione", il suo suono non è
prodotto da percussione, e il suo è ritenuto il ritmo originario. Si dice che
sia “il suono che nasce nel silenzio”, il suono della Vita, perché qui si
accende la scintilla vitalizzante, Jîvâtman,
che è la Shakti la quale appunto in quanto “anima individuale” risiede dove
c’è il Palpito Vitale.
Il
chakra di mezzo è anche un punto di incrocio. Ho ricordato precedentemente che
la shushumna
è la via retta o regia ideale dell'ascesi, e che con i tre chakra superiori si
entrerà nella dimensione sottile e più propriamente spirituale. Ma va aggiunto
che il percorso è in due direzioni: ascensionale, sino ad andare oltre i limiti
corporei e organici, uscendo dalla fontanella sul cranio verso l'infinito, e poi
discendente per rivisitare i chakra già conosciuti con maggiore consapevolezza
nel nostro viaggio di ritorno dentro alla caverna platonica. Pertanto il suo
simbolo è un incrocio di due triangoli isosceli con la punta nelle due
direzioni. Nella tradizione antica del Levante mediterraneo era noto come il
sigillo di Salomone, o lo scudo, lo stemma di Davide.
Un
esercizio può essere quello di ripetere e/o ripetersi mentalmente le frasi
seguenti come dei mantra: io vi
perdono e mi perdono; io mi stimo e vi stimo; io sono in pace con me stesso e
con gli altri; io mi amo e vi amo.
Potremmo
lasciarci intanto trasportare da una “Bhakti
yogini Dance”, intitolata “Gopinatha”
(come in http://www.youtube.com/watch?v=xu6N7SDE1Ww
).
Si
può inoltre attivare una visualizzazione in cui introdurre una caratteristica
tipica del chakra di mezzo, che è quella di punto di intersezione e di
comunicazione e scambio tra una meditazione sulle nostre comunicazioni a livello
di orizzontalità (la natura, dai prati alle montagne innevate, dal mare
all'aria più rarefatta, con tutta l'umanità, e tutte le forme di vita, dai
bruchi, agli uccelli) cioè su un piano spaziale, e sulle comunicazioni con le
verticalità. In quest'ultima ascissa ci si connette innanzi tutto con la
consapevolezza che è la terra il nostro humus, che essa ci da una parte del
calore e dell'energia; e quindi seguendo le radici degli alberi sottoterra
incontriamo i minerali che sono presenti in noi e nelle sostanze di cui ci
alimentiamo, sino a discendere agli inferi cioè ad intravedere il nucleo
rovente del magma, che rende vivibile la superficie. E dall'altra parte ci si
immedesima con l'ascesa verticale verso i cieli e poi più su nello spazio, fino
a vedere il territorio in cui viviamo nella sua complessità, e poi il nostro
mondo nella sua interezza, quindi il pianeta come parte del sistema solare, e
questo come parte della via lattea e della nostra galassia, e intravedere che a
sua volta questa è una delle innumerevoli città stellari fluttuanti. E anche
qui va proposta una visualizzazione del nostro osservatore interiore, che
avevamo identificato nel capo, nella testa di Kundalini come un punto-luce, e
renderlo ora un raggio luminoso, che, come un raggio-laser, prima scende sino
agli abissi sotterranei, poi risale e, attraversato il nostro corpo, vola più
alto delle aquile e dei condor, sino agli abissi siderali più esterni, per poi
ritornare più illuminato a rituffarsi a capofitto nel nostro essere individuale
incarnato, e ritornare a concentrarsi e a fare meditazione nel chakra di base.
E' una visualizzazione non semplice e quindi anche una meditazione non facile.
Nel
trattare sommariamente il
chakra del cuore va accennato anche il tema della passione consapevole,
ovvero nello specifico di quella forma di amore (non solo sentimentale ma anche
spirituale) che certi chiamano pazza saggezza (Italo Cillo) e che per altri è
tranquilla passione (Corrado Pensa) ...
Atre
due visualizzazioni che si possono suggerire su un altro tema collegato sempre
al IV chakra, cioè sull'accettazione delle trasformazioni, l'una (non facile
anch'essa) sarebbe quella "della crisalide"; e l'altra una
visualizzazione della
serpente che dopo essersi messa in movimento attraversa un ruscello e giunta
sull'altra sponda si trasforma in danzatrice sulla riva, la quale danzatrice poi
si trasforma in un falò, con due lingue di fuoco, e poi salendo in fumo, e
quindi in vapore che si eleva sull'aria fresca sempre più in alto, e infine si
tramuta in un gabbiano e poi in un'aquila che volteggia altissima sulle cime
innevate, e che infine ritorna in picchiata verso la terra per posarsi su un
prato. Si tratta di visualizzazioni da guidare lentamente, molto
gradualmente, dando tempo ai meditanti di cogliere e assimilare le suggestioni.
Gorge
Chevrier, un teosofo degli anni Venti, scriveva: “è veramente un essere umano
solo chi si sente inferiore a ciò che potrebbe essere” e vuole
automigliorarsi.
Ma
il centro del cuore “si risveglia solo se noi impariamo a esprimere l’amore
altruistico” (solidarietà, condivisione, empatia) “con tutte le sue
manifestazioni di compassione, comprensione, fratellanza, senso di unità,
ecc… In altre parole non si può risvegliare un centro agendo solo
dall’esterno con esercizi, visualizzazioni e tecniche, se non si operano dei
superamenti, degli sviluppi, delle maturazioni interiori” (La
Sala Batà, Il sé e i suoi strumenti di
espressione, 1991).
Attraversando
il chakra del cuore ci si avvicina già al supremo dono di sé. Sri Aurobindo
diceva: “Ogni esperienza, ogni contatto esteriore col mondo che ci circonda,
per quanto insignificanti e disastrosi possano apparire, servono comunque
all’opera, ed ogni esperienza, compresa la più brutta sofferenza o la caduta
più umiliante, diviene una tappa sulla via del perfezionamento”. (Cfr. Sintesi dello Yoga, vol. I). Quindi ricordiamo che questo percorso
è inteso come un itinerario di purificazione, dalla radice sanskrita pur-
che significa “liberare da inquinamenti”. Quindi trasformare tutto in una
occasione, una opportunità di progresso interiore e di superamento dei propri
limiti attuali di consapevolezza.
Ora
passiamo agli ultimi tre centri, i tre chakra superiori, che hanno sede tutti
nella testa, meno legati alla forma e in un certo senso maggiormente relativi ad
una dimensione simbolica : il quinto
si chiama Vishuddha,
esso è considerato il varco di purificazione, il chakra
“di accesso” al processo di liberazione (questo il significato del
termine sanskrito).
E' il centro della regione della gola e del collo, ha sede nel plesso
faringeo, ed è chiamato anche chakra laringeo, ma comprende anche la base su
cui è posto il cranio, quindi la mandibola, la cavità orale, le tonsille, le
corde vocali, le orecchie. E' il chakra della gola e quindi dell'espressione
e della comunicazione. (Viene anche detto Bhâratîsthâna,
in quanto dimora della Dea del linguaggio Bhâratî).
L'energia dominante è quella sonora, del suono. Quindi simboleggia il
dominio della vibrazione. Perciò è molto collegato con l'aria, però intesa
come prâna,
cioè come fattore vitale, ed infatti l'elemento o tattva predominante è l' ètere (il quinto elemento).
Quindi qui l’energia si chiama Prânashakti
(Forza Vitale).
Il
quinto chakra riguarda anche la creatività, e il messaggio che esterniamo al
mondo. Questo è il suo stato interiore; quindi guida la nostra capacità di
espansione e di estensione. E' collegato con la bocca dato che mediante essa si
articola il suono della voce. La ghiandola più implicata è la tiroide (e le
paratiroidi). Il freno o ostacolo maggiore per questo centro è l'angoscia. Si
considerano sintomi patologici di squilibrio di questo chakra
la logorrea, l'autismo, la balbuzie.
Nel
suo simbolo Shiva appare esplicitamente come androgino, mezzo d’oro e mezzo
bianco o argentato. In Vishuddha le
immagini possono essere comunicate con i suoni, quindi parole e sonorità,
quindi poesia e canto, l’una implica rime, cadenze ed effetti di grande
bellezza estetica, come la musica che implica ritmo, accordi, armonia (o
l’inverso). Perciò lo si potrebbe paragonare all’immagine greca di Pegaso (cfr.
M.V.Adams, The
Mythological Unconscious,
Karnac Ltd – Other Press, New York – London, 2001, cap.5),
il cavallo con le ali, che vola più alto della superficie terrestre, sopra le
nuvole, trasportato e guidato dal pensiero (cfr. “va pensiero con l’ali
dorate” di Solera, nel Nabucco di Verdi).
E’
il chakra che consente di comprendere
“le tre forme del Tempo”, passato-presente-avvenire. Sri Ramakrishna
diceva che “quando la kundalini raggiunge questo piano, il devoto vorrà
parlare e sentir parlare solo del divino”. E’ il chakra di purificazione in
cui il praticante (sâdhaka) che lo
raggiunge cerca di ascoltare solo la voce del divino, liberando al massimo
l’energia dei chakra soggiacenti, facendo esperienza diretta della natura
illusoria delle cose del mondo, prestando seria attenzione ai sogni e divenendo
capace di ricordarli con precisione, e analizzarli. Infine farà meditazione
sulla luce divina, considerando la possibilità di non riferirsi ad un Dio
dotato di forma ma ad un divino senza forma, per poi lasciare andare il primo e
apprendere ad accogliere la voce del secondo.
Questo
centro energetico dunque richiede un livello più alto di coscientizzazione e di
consapevolezza rispetto ai precedenti. Se inizialmente prevale un istinto di
autoconservazione, che riguarda sia la propria sopravvivenza che il sentimento
di potenza; e poi prevale un istinto di riproduzione, che riguarda la
conservazione della specie, ed è mosso dalla forza libidica; poi con
l’apertura verso gli altri può anche prevalere una propensione a fondersi con
il gruppo di appartenenza per riprendere una più salda e garantita sicurezza,
che si persegue nella coesione del gruppo, questa forma di limitata
estroversione può sfociare in uno sterile spirito gregario. Mentre invece qui
con Vishuddha si evidenzia maggiormente, se così si può dire, il fatto che
secondo la visione tantrica e più in generale di matrice vedica, noi siamo
sempre concepiti come collegati al Sé universale, per mezzo del surâtma,
ovvero di quel “filo di vita” che costituisce una sorta di raggio della
scintilla divina che si è incarnato, anche se ne siamo comunemente
inconsapevoli di tale collegamento, per sottile che possa essere (ricorda un
poco il filo che le Moire, o Parche, gestiscono e che Atropo fila, Kloto
avvolge, e infine Làkesi taglia). Quindi si passa da una possibile visione
limitata dovuta ad una attenzione eccessiva nei riguardi delle causalità, con
questo centro energetico si pone tutta la nostra concentrazione sulle finalità
di ogni spinta energetica.
Ora
passiamo al “sesto” chakra, anche se in realtà i chakra identificati
dall'antica cultura Shakta non sono soltanto sette, ma molti di più. Tra i più
importanti tra quelli che non sono nel novero ristretto dei sette, ricordo
quelli plantari e quelli palmari, già menzionati più sopra, e le narici, ma
ora ricorderei che in prossimità del quinto alcuni evidenziano un “5° b” -
detto Kalachakra,
ovvero la Ruota del Tempo,
che avrebbe il suo riferimento alla radice del palato estendendosi dietro
e sopra il palato. Viene denominato anche Lalanâ,
ed è rappresentato da un loto rosso a dodici petali (o foglie). A quanto
riferisce Avalon, le sue qualità o virtù sarebbero le seguenti: fede,
soddisfazione, senso dell'errore, auto-governo, orgoglio, affetto ma anche
collera, purezza e distacco, ma anche agitazione e appetito, rispetto e
rimpianto (cfr.
pp.104,126,130).
Dopodichè
si passa il grande varco, custodito da temibili Guardiani della Soglia; nelle
Upanishad (cfr. Katha Upanishad) si
dice che questa soglia “è come il filo di un rasoio affilato, difficile da
attraversare”.
E
infine vi è il sesto
chakra, che molti ritengono il più alto del nostro corpo, considerando dunque
solo sei chakra principali. Anche nell'immagine del caduceo è qui che si
re-incontrano le due serpi avvinghiate attorno alla verga, e si guardano
faccia-faccia come specchiandosi. E qui in effetti si ricongiungono le due Nadi,
nel cosiddetto "chiasmo ottico". Qui è il “talamo” superiore dove
ci celebrano le “nozze mistiche” tra le due forme di energia (la yoni
e il lingam sono uniti). Per cui sopra questo punto il cadùceo prevede
due ali che si aprono (affini ai due petali del loto di questo chakra), e la sua
energia poi attraverserà il cranio per concentrarsi sopra la fontanella, quindi
al di fuori del corporeo, come volando con quelle ali verso un altro regno più
alto.
Il
6° chakra si chiama Ajnâ,
che significa visione, conoscenza suprema, o riconoscimento, ma anche
comandamento, ed ha sede nella regione tra le sopracciglia, o plesso
“cavernoso”. Viene detto anche “il terzo occhio”, o “occhio di Shiva”,
o chakra frontale o occipitale (a volte identificato con la ghiandola pineale).
Presiede al sistema nervoso autonomo. Ha il suo riferimento dunque nei lobi
frontali del cervello dove ha sede la mente propriamente detta. Il suo centro
nervoso è l'ipotalamo. Il suo fior di loto ha 96 petali. Elemento, o tattva:
la luce che viaggia col supporto dell’ètere. Presiede alla visione,
all'intuizione, alla introspezione, ma anche al pensiero,
all'immaginazione, alle idee, alla conoscenza, all' intellezione, alla più alta
razionalità e astrazione logica, e alla consapevolezza. E’ il chakra
sapienziale. Ma esso consente anche la suprema creatività, l'inventiva, le
espressioni artistiche, la genialità. Ghiandole di riferimento: l' ipofisi e la
ghiandola pituitaria. Il punto da cui emerge è il punto in cui
veniva raffigurato sulla fronte un piccolo serpente nero nei ritratti dei
faraoni egizi. Qui risiede la Shakti suprema, come Coscienza informale, o
dell’Informale. La conoscenza conscia e inconscia, o forse consapevole ed
inconsapevole, qui si incontrano per aprire le nostre capacità e potenzialità
psichiche a dimensioni ulteriori. Rende possibile il manifestarsi, in alcuni
individui particolarmente dotati, del dono della chiaroveggenza (è anche il
chakra favorito dai neofiti perché "facilita" il fatto di avere le
visioni). Ma avere immagini ossessive è un sintomo patologico grave di
disfunzione di questo importantissimo chakra. E’ grazie a questo centro
energetico che possiamo attuare, realizzare la nostra entelechia. Il suo colore
è l'indaco (perciò si dice che vi sarà una prossima generazione di bimbi
indaco, cioè più dotati spiritualmente di noi). Grazie al livello della sua
coscienza, il Tantra trova qui relazioni tra suono, forma, e colore.
I
grandi yogi dicono di riuscire a
“vedere” (o visualizzare) i propri chakra mentre la Kundalini in loro li
attraversa, mediante il terzo occhio o occhio mentale.
Un
“semplice” esercizio per rinforzare l’energia di questo chakra potrebbe
essere per noi comuni principianti quello di leggere moltissimo, di restare
sempre curiosi e aperti, di voler conoscere spiritualità e culture le più
diverse espresse dalla civiltà umana nello spazio e nel tempo, frequentare
corsi e compiere esperienze di conoscenza e di arricchimento interiore,
dedicarsi con regolarità e assiduità alla meditazione. Un altro semplice
esercizio potrebbe essere di riflettere sul termine Tantra, in cui la radice tan- si riferisce ad una espansione, e la radice
tra- a un processo di liberazione, quindi ciò che estende la conoscenza
della liberazione (M.Eliade,
1954, p. 193).
Una
frase che si può ripetere come mantra
con forte intensità è: “Io e il Tutto siamo profondamente e strettamente
correlati”. Nel suo fiordiloto vi è un triangolo nel cui centro vi è il
“Grande Vuoto”, poiché qui si può raggiungere la conoscenza del Nirguna Brahman, dell’Assoluto senza qualità specifiche.
Infine
il settimo
chakra, sede del dio Shiva, si chiama Sahasrâra
o chakra corona, il cui loto è “più pallido della luna piena”. E’ il
“complemento astrale” dello strato corticale del cervello, e si manifesta
all'esterno della fontanella della volta cranica (là dove ancora in dipinti
europei del XIV sec. vi veniva raffigurata uscire una fiammella, indicante i
beati e i santi). Consente la connessione con la coscienza universale,
superiore, la più alta espressione del Sè cosmico, o Sè assoluto, con
l'energia pura del Tutto. E' la sede della spiritualità, dà accesso al
divino, è il centro più alto e più sacro di tutti, ed è la forza principale
da cui proviene l’energia per l'attività stessa degli altri chakra. E'
attraverso la coscienza universale che noi vediamo, sentiamo, parliamo, amiamo,
agiamo. E' grazie a quella energia che noi sappiamo di percepire, di pensare, di
essere, e comprendiamo ciò che ci sta attorno e ci sostiene. La sua ghiandola:
la pineale. E' il chakra in cui possiamo trarre saggezza e comprendere la natura
delle conoscenze. E'
questa energia ciò che ci conduce nel nostro percorso di crescita e ascesi
spirituale. E' ciò che ci “tira” verso l'evoluzione e la trasformazione.
Tramite
esso possiamo realizzare pienamente noi stessi, e potremmo anche avere la
illuminazione e trascenderci. E' la stringa di connessione dell'anima umana e
dell'individuo con la molteplicità e unità del Tutto. E' l'orizzonte cui tende
la conoscenza non-duale della visione Advaita
Vedanta. E’ la presa di esperienza che “Tat
Tvam Asi”, che tu sei Quello.
Questo
ultimo fior di loto che nel pericarpo ha 960 petali, è stato attinto solo dai
grandi iniziati e dagli spiriti superiori, e dunque va praticato con cognizione
di causa, con preparazione adeguata, quando si è giunti ad uno stadio molto
alto di energia sottile, e di esercizi. Qui si può raggiungere il samadhi
(l’estasi mistica, la pace suprema, la beatitudine divina) che è stato
attinto solo da grandi yogi e rishi. Quindi va sfiorato con prudenza e cautela, dato che prelude
ad una esperienza metafisica e di visione non-duale, che ci approssima alla
santità, e forse alla completa illuminazione (ma che potrebbe portare ad una
temporanea perdita dell'Io, se non si è pronti e assistiti adeguatamente). Dopo
di ciò si potrebbe attingere la Moksha,
la liberazione dai condizionamenti del ciclo delle esistenze corporee, che
conduce al Nirvana.
In
certi mandala (lett.: “tondo”,
disegno simbolico per la meditazione) vi è al centro un fulmine-diamante detto
in sanskrito Vajra, che simboleggia lo
stato di perfetta unione. La pratica di purificazione che conduce alla “via
del mantra segreto” (Vajrayana) è
praticata secondo le istruzioni che vengono passate al discepolo da grandi
maestri solamente per via diretta bocca-orecchio e che non sono divulgabili. Il
tantrismo hindu ha influenzato l’origine e l’evoluzione di un indirizzo
tantrico buddhista, il Vajrasattva,
soprattutto in Tibet dove è stato diffuso e insegnato dal guru indiano
Padmasambhava nell’VIII secolo, in tibetano ridenominato maestro Rimpoche, e
considerato come un secondo Buddha, e quindi in esso si trovano vari punti in
comune tra la cultura spirituale hindu e quella buddhista (e tibetana).
Per
noi comuni principianti occidentali, un mantra che si potrebbe ripetere dopo
avere semplicemente meditato a fondo su questo chakra della unione (=yoga)
con il divino che è in noi e che è nella totalità del Tutto, potrebbe anche
essere ad es. quello suggerito da un medico hawaiano Hew Len, seguace
dell’antica tradizione della sua cultura, detta Ho’oponopono (vedi
il testo di M.Katz, Bis edizioni, 2011),
pensando e visualizzando un qualsiasi "oggetto" del nostro amore,
della nostra pietà empatica (o che ci ispira e ci emoziona e intenerisce
particolarmente, suscitando in noi compassione), e dicendo e dicendoci
sinceramente: "Mi spiace, perdonami, ti amo, ti ringrazio",
lentamente, con profonda intensità ed essendo completamente compresi e
concentrati nella carica energetica di questo mantra.
In
un testo di Sri Aurobindo, “Luci sullo Yoga” (riportato nella antologia Guida
allo Yoga), egli compie una ricapitolazione di questo percorso di crescita e
del suo significato, secondo il suo punto di vista, che mi pare una buona
sintesi:
“Nel
processo del nostro yoga ogni centro ha un impiego psicologico determinato e una
funzione generale che formano la base di tutti i poteri particolari e di tutte
le funzioni derivanti da questi centri. Il mulâdhâra governa il fisico sino al subconscio; il centro
addominale dirige il vitale inferiore; il centro ombelicale sostiene il vitale
più vasto; il centro del cuore, l’essere emotivo; il centro della gola, il
potere mentale dell’espressione e dell’esteriorizzazione; il centro situato
tra le sopracciglia dirige la mente dinamica, la volontà, la visione ed il
potere di formazione mentale; al di sopra, il loto dai mille petali, sostiene la
mente pensante superiore, ospita più in alto la mente illuminata, e al sommo si
apre all’intuizione attraverso la quale il sovramentale può entrare in
comunicazione o in contatto immediato con gli altri piani.” (p.133).
A
seconda naturalmente delle capacità e del grado cui è giunto il praticante (sâdhaka).
Come scriveva Avalon: “Il grado cui può arrivare questo processo di
rivelazione della Coscienza dipende dalle capacità di meditazione (Jñana
Shakti) del sâdhaka (…).
D’altra parte Kundalini, che è tutte le Shakti” (Shakti
Pinda) “ed è dunque la stessa Jñana
Shakti, quando uno yogi la desta produce anche la completezza dello Jñana”
(=della Conoscenza).
Con
la vetta del Sahasrâra
ha termine quella che alcuni hanno chiamato “La Via del Ritorno” (cioè
quella cha va dall’io alla ricongiunzione col Sé universale), il percorso di
ascesi, e inizia una seconda fase. Dopo aver approcciato questo chakra supremo,
o dopo avergli perlomeno dato un fugace primo "sguardo", inizia
infatti il viaggio all’inverso, in cui ci rituffiamo nella materialità
corporea per ripercorrere a ritroso i chakra attraversati, facendone una
esperienza più consapevole e più saggia, ri-vedendoli con un'ottica diversa e
rivivendoli con una consapevolezza più matura. Conferendo loro un senso più
spirituale e portando loro i benefìci purificatòri della visione suprema, e
della energia pura che abbiamo attinto nella dimensione meta-fisica. Per
ritornare infine a trovare rifugio nella quiete e nel sicuro alveo del chakra di
base, rinforzati, rassicurati, e con pienezza di coscienza.
A
questo punto l'eroe del nostro viaggio di consapevolezza, ritornando nella
caverna (come un vero Bodhisattva del tantrismo buddhista), avrà modo di
contribuire a contenere l'estensione della sfera della inconsapevolezza,
trasformando anche le più oscure profondità del nostro essere fisico, mentale
e psichico. O perlomeno il nostro protagonista potrà essere di esempio, farsi
modello di riferimento per stimolare anche altri nostri simili a voler compiere
il percorso trasformativo e di liberazione da condizionamenti e limitazioni,
dando così beneficio più in generale anche ad altri esseri senzienti, e a
rasserenare il contesto in cui le varie forme viventi compiono le proprie
esperienze di vita.
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