VIAGGIO IN ZAMBIA A CACCIA DI EMOZIONI
Diario di viaggio 2007
Dopo diversi viaggi in Africa,
ciascuno di enorme soddisfazione, la fiducia nel cosiddetto “Continente
Nero” è cieca, vale a dire che si potrebbe scegliere una meta a caso ed il
risultato sarebbe comunque garantito, anche se mai scontato o ripetitivo,
l’Africa ha, infatti, mille sfaccettature, ogni Paese caratteristiche
differenti.
Con questa premessa intendo dire
che per la scelta dello Zambia sono bastati pochissimi elementi, innanzitutto la
nostra grande passione africana che si traduce in un inguaribile “mal
d’Africa” cui seguono un servizio fotograf co pubblicato su una rivista di
viaggi e la seguente breve descrizione:
"Incastonato
tra Namibia, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Malawi, Tanzania, Congo ed Angola,
lo Zambia è uno dei pochi paesi dove si respira ancora l'Africa vera, quella più
vicina all'immaginario del viaggiatore occidentale. Le sue bellezze naturali e
la sua fauna hanno pochi rivali in tutta l'Africa. Luoghi come le cascate
Vittoria ed il Parco Nazionale del South Luangwa, non dovrebbero assolutamente
mancare nel bagaglio dei ricordi di ogni viaggiatore. Il parco del South Luangwa in particolare, ospita una concentrazione e
varietà di animali tra le più elevate dell'Africa, nonché una delle più
grandi popolazioni di elefanti di tutta l'Africa."
Scelta la meta non resta che
mettersi all’opera per concretizzare il viaggio, operazione non facile in
quanto – cosa per me fondamentale – è mancato il contributo di altri
viaggiatori, lo Zambia non rientra, infatti, tra le destinazioni frequentate
dagli italiani, non esistono, nel vasto mondo di Internet, diari di viaggio se
non parziali che descrivono, perlopiù, una sconfinata dai vicini Botswana,
Namibia e Sudafrica per la visita alle Cascate Vittoria.
Le informazioni ed il materiale
reperiti presso lo Zambia National Tourist Board, presente alla BIT di Milano,
sono uno stimolo ed una buona base per predisporre un itinerario.
L’Ambasciata d’Italia, con sede
a Lusaka, risponde alle mie richieste in modo poco incoraggiante: "Buongiorno,
a seguito della sua richiesta di informazioni, sento innanzitutto l'obbligo di
dirle che in Zambia non esiste veramente nulla di "serio e affidabile"
nel senso in cui lo intendiamo noi, e questo vale anche e soprattutto per il
settore turistico. Vale pertanto l'aureo principio del non fidarsi mai e di non
delegare mai le cose importanti..." ma ciò nonostante individuo diverse
agenzie locali e fatta la selezione delle proposte e dei preventivi scelgo
quella che soddisfa maggiormente le nostre richieste, il progetto prende così
forma e si realizza a partire dal 17 settembre 07, data in cui, con un volo
Ethiopian Airlines, da Milano Linate, dopo gli scali di Roma, Addis Abeba ed
Harare, raggiungiamo Lusaka.
Avendo
scelto di dedicare l’intera vacanza alla natura, alla ricerca ed
all’osservazione degli animali, la cronaca del viaggio può essere concentrata
in soli 4 “capitoli” ciascuno dedicato ad un diverso Parco o area
naturalistica:
1)
Kafue N.P.
2)
Lower Zambezi N.P.
3)
South Luangwa N.P.
4)
Victoria Falls
ITINERARIO
18
settembre 07
Atterrati a Lusaka lasciamo
rapidamente l’aeroporto allontanandoci dalla Capitale di circa una ventina di
chilometri.
La temperatura è gradevole, i
caldi colori africani ci “aggrediscono”, siamo stanchi per il lungo viaggio,
ma non possiamo fare a meno di apprezzare le due file di alberi di Jacaranda in
fiore che bordeggiano la strada e di lasciarci inebriare dal profumo dolce ed
intenso che diffondono: l’Africa, ancora una volta, ci accoglie con un
caloroso abbraccio.
Abbandonata la strada asfaltata
imbocchiamo una pista sterrata avanzando poi, tra nuvole di polvere, fino a
raggiungere Pioneer Camp, graziosissima sistemazione costituita da pochi
eleganti bungalow, con tetto di paglia, immersi nella vegetazione (bush).
Trascorriamo la prima mezza
giornata di vacanza in totale rilassatezza, esplorando la proprietà e
respirando a pieni polmoni il profumo d’Africa fino a che il primo di una
lunga serie di tramonti ci avvolge con i suoi magnifici colori… ci sentiamo a
“casa” e siamo felici, tutto ciò per oggi può bastare.
KAFUE
NATIONAL PARK:
La guida “Zambia: safari, parchi
nazionali, escursioni, lodges, città” (unica guida in lingua italiana), FBE
Edizioni, scritta dal fotografo e grande viaggiatore milanese Maurizio
Bersanelli, definisce il parco come segue:
“si trova nello Zambia
occidentale ed è il parco nazionale più grande del Paese, con una superficie
di circa 22.400 kmq è tra le cinque riserve naturali più grandi del Continente
africano”.
19,
20 e 21 settembre 07
Partiamo di buonora con Justin,
driver di dubbia abilità e di scarsa conoscenza del territorio, per raggiungere
il settore Nord del Kafue N.P.
La distanza da percorrere in
chilometri non è molta, ma, terminato l’asfalto, la strada ben presto si
trasforma in pista sterrata, senza segnaletica e con diverse diramazioni.
E’ da subito evidente che il
driver non conosce il percorso, non possiede una cartina e neppure un GPS, sta
di fatto che ci perdiamo più volte, che l’estenuante trasferimento richiede
circa 6 ore di viaggio e che raggiungiamo, con sollievo, McBrides camp solo nel
pomeriggio.
Charlotte e Chris McBrides,
africani bianchi proprietari del bush camp, ci danno il benvenuto, siamo, per i
primi due giorni, gli unici ospiti, l’atmosfera è molto famigliare, ci
sentiamo subito a nostro agio.
Una delle prime cose che Charlotte
tiene a precisare è la seguente: “questo è un bush camp, qui non si trova il
lusso, ma un autentico contatto con la natura”.
Apro una parentesi per descrivere
il nostro alloggio ed il bush camp.
Si tratta di uno chalet di forma
circolare, molto spazioso, con tetto di paglia a cono, altissimo nella parte
centrale (qui ha trovato dimora un grosso pipistrello, che sta tranquillamente
appeso a testa in giù e non reca alcun disturbo), le pareti sono basse e
costruite con cannette di bambù, dalla parte superiore della parete
all’inizio del tetto, lungo tutta la circonferenza, c’è uno spazio aperto
(senza vetri o altra protezione) di circa 60-80 cm che funge da “finestra”.
La zona notte ospita due letti
sovrastati da zanzariere, la zona bagno, cui si accede dalla zona notte tramite
un’apertura (senza porta), non ha tetto, è solo un alto recinto di cannette
ombreggiato da alberi. Per chi, come me, ha paura dei serpenti, in un primo
momento, è scioccante, ma, superata la prima notte, è stato fantastico
addormentarsi ascoltando i suoni prodotti dalle cicale, dagli ippopotami e da
tutti gli animali che vivono nel bush.
Il fatto di dormire sotto la
zanzariera procura un enorme senso di sicurezza, che se stiamo a ben guardare
non è poi tanto giustificato, in fondo si tratta di un velo leggerissimo, ma è
proprio quella la sensazione che si prova. Il problema è uscire dal
“riparo” nel bel mezzo della notte, per giunta senza luce, per andare in
bagno.
Il bush camp è una struttura per
pochi ospiti, isolata, realizzata in un ambiente naturale, selvaggio,
bellissimo, dove l’unica compagnia è rappresentata dagli animali, dove manca
qualsiasi forma di modernità o di civiltà e l’illuminazione è assicurata da
lampade a petrolio.
All’esterno dello chalet una
bella veranda con tavolo e poltroncine permette di osservare, solo durante il
giorno (di notte è proibito uscire dall’alloggio), gli animali che transitano
nell’area.
McBrides camp è costituito da 7
chalet ben distanziati uno dall’altro, da un ampio padiglione che funge da
salotto / luogo dove si consumano i pasti e da poche altre “capanne” o
semplici ripari che ospitano la dispensa, la cucina, gli alloggi del personale e
l’ “ufficio” di Charlotte e Chris.
Il luogo è meraviglioso, a pochi
metri dal campo scorre il fiume Kafue, sulla cui riva opposta vediamo subito un
branco di bufali, mentre in acqua ed all’ombra di alcuni alberi ci sono
numerosi ippopotami che ci terranno compagnia giorno e notte: il loro verso è
inconfondibile e poderoso.
Dopo una mezz’ora di
assestamento, direi anzi di contemplazione, accompagnati da Charlotte, Chris
(armato di fucile) e da un tracker lasciamo il campo per un primo walking
safari.
Non incontriamo animali
“pericolosi” (alludo ai felini), ma è stato interessante imparare a
riconoscerne le impronte e le fatte (cacche!) ed a seguirne le tracce.
E’ difficile descrivere le
emozioni provate; se durante un qualsiasi safari in macchina ci si sente parte
integrante del documentario ed è magnifico, a piedi la sensazione è
amplificata e si ha la chiara consapevolezza, pur non provando alcun timore,
della propria piccolezza, si percepisce maggiormente la forza e la grandezza
della natura ed è straordinario.
I giorni trascorsi presso il campo
sono scanditi da ritmi precisi.
Ogni giornata comincia prestissimo,
la sveglia è prima dell’alba, si esce poi per un walking safari di alcune ore
che si conclude prima che la temperatura sia troppo elevata.
Durante le nostre uscite a piedi
non avremo mai il piacere di incontrare leoni o altri felini, inoltre dagli
ippopotami che ancora non hanno fatto ritorno al fiume ci teniamo lontani
(l’ippopotamo è un animale molto pericoloso!), ci “accontentiamo” di
osservare diverse specie di antilopi, impala, facoceri, ma possiamo aggiungere
un nuovo animale alla nostra già ricca “collezione”,
infatti qui per la prima volta vediamo il puku: piccola antilope di pianura che
ha stabilito il proprio habitat nelle savane, vicino alle paludi o sulle rive
dei fiumi.
A piedi si ha anche l’opportunità
di osservare molto bene piante, fiori ed uccelli che in tutto lo Zambia sono
numerosi, bellissimi e dai colori vivaci.
Nelle ore centrali della giornata
il caldo è opprimente, spesso cediamo al sonno, abbiamo, inoltre, spostato
l’orario della doccia nel pomeriggio perché farla dopo il tramonto (nel bagno
totalmente aperto) significherebbe offrirsi in pasto alle zanzare.
Dopo il rito del tè (verso le
15,30-16) e di una fetta di torta casalinga ci si rianima e si va in barca ad
esplorare il fiume popolato da coccodrilli ed ippopotami oppure a pescare con
risultati sorprendenti, mai visti sino ad ora bottini così ricchi e pesci tanto
grossi.
Dopo cena safari in jeep e
finalmente s’è visto un leone.
La simpatia, la preparazione ed il
profondo amore per la natura africana dei coniugi Charlotte e Chris McBrides
hanno reso la nostra permanenza al campo indimenticabile.
Complessivamente non si sono visti
moltissimi animali, ma siamo comunque molto soddisfatti dell’ambiente e
dell’esperienza vissuta.
Tra le altre cose, Chris McBrides
è autore di diversi libri, uno dei quali tradotto in italiano da Rizzoli: “I
bianchi leoni di Timbavati”.
22
settembre 07
Sveglia alle 5, ultimo walking
safari in compagnia di Charlotte e Chris e di due nuovi ospiti, colazione
abbondante e saluti commossi con la promessa di mantenere i contatti almeno via
e-mail.
Si parte con il driver ed un
ragazzo che lavora presso il campo cui diamo molto volentieri un passaggio.
Ripercorriamo a ritroso la pista di
terra fatta giorni fa, non siamo rilassati, l’autista va troppo veloce,
spesso, all’approssimarsi di una cunetta, un dosso o un ostacolo imprevisto,
frena bruscamente, si viaggia così per un paio d’ore, poi accade
l’inevitabile.
Dopo l’ennesima frenata sentiamo
l’auto sbandare più volte sino a che usciamo dalla carreggiata, l’argine
terroso che delimita la pista fa da trampolino, il veicolo compie così un lungo
salto rischiando di rovesciarsi, solo dopo aver abbattuto 3 alberelli cade
miracolosamente diritto e si arresta nella boscaglia.
Un incidente d’auto è uno choc
indescrivibile, lasciamo immediatamente l’auto, siamo spaventati, ammaccati,
furiosi, occorrono alcuni minuti per riprendere il controllo, razionalizzare e
capire se il viaggio finisce qui e come uscire da questo grosso pasticcio.
Il motore dell’auto è ancora
acceso, ma la carrozzeria è incastrata tra la vegetazione, nel tentativo di
uscire dal terreno accidentato il mezzo si insabbia e le ruote girano a vuoto.
Insieme allo sfortunato ragazzo nostro passeggero, con le mani e con l’aiuto
di rami d’albero spezzati, apriamo
un passaggio nello sbarramento di terra, mettiamo fasci di rametti sotto le
ruote per creare uno spessore e per facilitarne il passaggio, ma l’autista è
perso, gira il voltante a caso senza seguire le nostre istruzioni così si
ritrova a cavallo della montagnola di terra senza più riuscire ad avanzare e
neppure a retrocedere.
Sotto un sole cocente e con il
tedio di fastidiosi insetti ci impegniamo nuovamente per togliere la terra in
eccesso e, dopo l’immane sforzo impiegato per spingere l’auto, finalmente
riusciamo a riportarla sulla pista.
Siamo esausti, sporchi e graffiati
ovunque, la carrozzeria dell’auto è piegata in diversi punti, i danni esterni
sono molti, ma pare che il motore e le parti vitali non abbiano subito gravi
lesioni.
L’autista, senza essersi
minimamente preoccupato delle nostre condizioni di salute tanto meno di quelle
del passeggero e senza scusarsi per l’accaduto, riprende il viaggio. Siamo
furiosi, quanto è successo poteva essere evitato rispettando le più elementari
regole, chiunque sa quanto sia pericolosa l’elevata velocità su strada
sterrata, non possiamo tollerare che un driver, autorizzato al trasporto di
turisti, sia tanto incapace, tuttavia non possiamo permetterci uno sfogo,
purtroppo siamo nel nulla del bush africano, nelle sue mani e spaventati dalla
sua assenza di scrupoli.
Ci ripetiamo che poteva andare
molto peggio e che, tutto sommato, siamo fortunati, non abbiamo nessuna ferita e
niente di rotto, con questo pensiero mettiamo a tacere la nostra rabbia.
Dopo qualche decina di chilometri
il ragazzo nostro compagno di viaggio e di disavventura fa cenno all’autista
di fermarsi, per lui la corsa è finita, saluta, scende dall’auto e si avvia
verso il villaggio dove abita, noi, in compagnia del solo driver, ci sentiamo
ancora più smarriti, ma il viaggio deve continuare. In prossimità dell’unica
cittadina nel raggio di centinaia di chilometri l’”amico” ci comunica che
per denunciare l’incidente è necessaria una sosta presso il locale ufficio di
Polizia, sfumano così le nostre speranze di raggiungere, per l’ora di pranzo,
il lodge collocato nella parte centrale del Parco.
Se proprio non si può evitare che
si fa? ci si rassegna, sperando che l’operazione non richieda troppo tempo, ma
in Africa è una vana illusione!
Dopo lunghissima attesa scopriamo
che nell’ufficio di Polizia non c’è l’addetto agli incidenti, l’autista
deve andare a recuperarlo non sappiamo dove, ci invita, quindi, a scaricare
dall’auto lo zaino con i nostri documenti e ad attenderlo, poi mette in moto e
va…
Ci sediamo sui gradini
all’esterno dell’edificio, fa un caldo esagerato, siamo lerci, pieni di
graffi, non troppo sicuri che il tipo sarebbe tornato e decisamente poco inclini
alle pubbliche relazioni.
Un anziano in camicia e giacca
comincia a parlare, ci guardiamo attorno, non c’è nessun altro, ce l’ha con
noi, ma non gli diamo retta, ha l’aria un po’ spiritata e lo scambiamo per
il matto del villaggio, poi la parola “God” ci riscuote, facciamo più
attenzione a quel che dice e così realizziamo che ci sta parlando di
fratellanza, amore e così via, sta forse ripetendo la predica appena fatta in
chissà quale chiesa oppure sta facendo le prove per quella successiva, fatto
sta che per una buona mezz’ora prosegue imperterrito e sempre più
infervorato.
Ci troviamo così proiettati in
un’altra dimensione, un’esperienza d’altri tempi, condita dalla
predica/benedizione di un pastore di anime di non sappiamo quale Confessione (in
Zambia si trovano tutte le Chiese possibili ed immaginabili: dagli Avventisti ai
Pentecostali, dai Protestanti ai Testimoni di Geova, etc.) la sventura si
trasforma in una scenetta comica, che come, nelle vecchie pellicole, vede quali
protagonisti noi storditi e preoccupati per i fatti successi ed un pastore preso
dal proprio sermone e sempre più esaltato. Insomma tutta ridere!
Nel frattempo nel cortile in cui ci
troviamo sfilano diversi detenuti ammanettati seguiti da guardie, la scena è
inquietante, sono legati con corde rudimentali, laceri e sporchi. Di nuovo
proviamo la sensazione di essere dentro un vecchio film.
Dopo diverso tempo finalmente si
rifà vivo l’autista con tanto di “sceriffo” al seguito, quest’ultimo ci
invita a seguirlo in un buco d’ufficio dove è collocata una vecchia scrivania
in metallo con sopra una pila di carte, appesi alle pareti un paio di scaffali
con malconci faldoni porta documenti, un ritratto del Presidente ed
un’immagine di Cristo, l’unica finestra ha i vetri rotti e su ogni cosa c’è
uno spesso strato di polvere (peccato sia proibito fotografare, mi piacerebbe
tanto farlo per fissare meglio i particolari).
Accomodati su due sedie sfondate
assistiamo all’interrogatorio ed alla compilazione del verbale, in duplice
copia, con tanto di carta carbone spiegazzata che non vuole saperne di stare tra
i due fogli fino a che lo “sceriffo” ha un’idea geniale e decide di
pinzare il tutto con una graffettatrice;
lo “sceriffo” in camicia rosa
inamidata siede accanto alla scrivania (perché non dietro? sarebbe anche più
comodo!) in una posizione da contorsionista, cerca LA penna (l’unica
evidentemente) buttando all’aria tutte le carte, trovata la penna fa passare
un intero contenitore alla ricerca di non si sa che (che ovviamente non trova!),
con una lentezza esasperante fa le domande di rito, con ancora più calma scrive
sillabando a voce alta e poi – mentre noi cerchiamo di non ridere (non sta
bene!) - rilegge a fatica ciò che lui stesso ha scritto, lo “sceriffo” è
un duro, soppesa ogni parola lanciando sguardi ironici al driver… “ah!
Andavi a 40 km/ora? e com’è che la macchina è così distrutta?”
il driver ingobbito è il solo a
non essere seduto, sta zitto e noi pure, mica che lo mettano in prigione e che
si resti a piedi e lontani dalla capitale centinaia di chilometri;
lo “sceriffo” riscuote alcune
banconote (pensiamo sia il corrispettivo di una multa) chiede poi al driver di
esibire la patente e chiede anche una fotocopia della stessa, è evidente che in
questo ufficio non c’è una fotocopiatrice… beh dov’è il problema? si va
tutti in cerca di una macchina per fotocopie, si prende l’auto, si percorrono
alcuni chilometri fino a raggiungere il più vicino “centro commerciale”:
una serie di malandate bottegucce in lamiera sparse a casaccio su una spianata
sterrata piena di persone, di animali, di merci varie.
Passano diversi minuti poi
finalmente HABEMUS FOTOCOPIAM, il solerte poliziotto ha portato a termine la
missione, risaliamo in macchina e lo depositiamo dove chiede di essere lasciato.
Dopo un certo numero di ore
possiamo riprendere il viaggio e raggiungiamo ormai nel tardo pomeriggio Mukambi
Safari Lodge, insieme di bungalow molto eleganti dalla forma circolare e con il
classico tetto di paglia affacciati sul fiume, l’alloggio è decisamente meno sauvage di quello appena lasciato, qui la pipì notturna non sarà
avventurosa come le precedenti, particolare che non ci disturba affatto.
Mentre, presso la Reception, stiamo
registrando i nostri documenti passa un facocero, lo guardiamo increduli, ci
assicurano però che è “normale” assistere al passaggio di animali nelle
vicinanze del lodge ed anche al suo interno, ci invitano poi a guardare le foto
appese alle pareti, constatiamo così che il bar all’aperto è stato visitato
più volte da “personaggi” illustri, compreso un hippo.
Prendiamo accordi per un safari
mattutino e scopriamo, con grande piacere, che è possibile partire subito per
un’escursione in barca sul fiume Kafue, rimandiamo la quanto mai necessaria
doccia a più tardi e via si parte.
In questa zona il fiume Kafue è
ancora più largo ed è punteggiato da diverse isole, durante la navigazione
vediamo enormi coccodrilli, numerose famiglie di ippopotami, uccelli bellissimi
e godiamo di un magnifico tramonto. Siamo, altresì, impressionati dalle
precarie canoe ricavate da tronchi d’albero scavati utilizzate dai pescatori
che attraversano il fiume incuranti del pericolo costituito da coccodrilli ed
ippopotami.
Parentesi:
questo viaggio è stato ricchissimo
di acqua (ogni parco è attraversato da fiumi immensi), amo l’acqua, mi
infonde un senso di pace e benessere, andare spesso in barca o canoa e vedere
gli animali da una prospettiva diversa è stato fonte di grande soddisfazione
nonché di emozione soprattutto quando ci siamo avvicinati agli elefanti, cosa
che racconterò nelle prossime pagine.
23
settembre 07
All’alba si attraversa il fiume
Kafue in battello, sbarcati sulla riva opposta c’è una jeep scoperta che ci
attende, da questo punto ha inizio l’esplorazione del Parco.
Per la prima mezz’ora non succede
nulla di significativo, vediamo solo alcune antilopi, famiglie di facoceri e
poco altro, poi la parola “leopard” sussurrata dalla guida ci riscuote,
seguiamo con lo sguardo la direzione indicata dal dito indice della sua mano e,
tra i rami di un albero, ecco l’immagine “classica” tante volte vista
sulle riviste e ancor più volte sognata: il leopardo sta seduto su un ramo con
le zampe anteriori che penzolano verso il basso, è stupendo e pare
disinteressato a noi, sta, infatti, tranquillo e immobile. Dopo tanti viaggi
senza averlo mai incontrato, salvo una sola fugace volta, non mi pare vero di
poterlo finalmente osservare in tutta calma, sono così concentrata
sull’animale che dimentico di possedere una macchina fotografica e non penso a
scattare fotografie (per fortuna ci pensa Sandro, mio marito).
L’emozione è forte, mi si fanno
gli occhi lucidi e non riesco a trattenere le lacrime, questo è uno dei momenti
che da solo vale il viaggio.
Dopo esserci saziati a lungo della
bellezza del felino riprendiamo il safari, a questo punto se anche non
succedesse più nulla saremmo comunque più che soddisfatti, ma, non molto
distante e non molto tempo dopo, Sandro vede, di nuovo sopra i rami di un
albero, un secondo leopardo, non posso credere a tanta fortuna, ma c’è
davvero e, mentre quello precedente non si è scomposto più di tanto,
quest’ultimo si muove, è “agitato”, probabilmente affamato, sta in
agguato aguzzando la vista in cerca di un’eventuale preda, ci guardiamo anche
noi attorno, ma non vediamo nulla di “papabile”, il vuoto che si crea nel
raggio di km in presenza di un felino è totale, ci spieghiamo così il fatto di
non aver visto, sino ad ora, molti erbivori e animali che di consueto popolano
il bush e le savane.
Ci soffermiamo diverso tempo per
ammirare, in silenzio, anche questo secondo leopardo, poi ci spostiamo
proseguendo la “caccia” (solo fotografica!) agli animali.
In una valletta nascosta si vedono,
da lontano, due leoni maschio, la guida dirige la jeep verso il fondo
dell’avvallamento permettendoci così di osservare e fotografare le due
magnifiche bestie da molto vicino.
Dopo aver visto ben 2 leopardi e
due leoni cosa si può volere di più? siamo più che appagati, raggianti e
tanto ci basta, ma il Kafue N.P. ha in serbo per noi un’ultima sorpresa.
Stiamo avanzando su una stretta
pista con gli occhi sempre ben aguzzati quando una donna del nostro gruppo
segnala, con fare eccitato, un punto alla base di un albero, ci sembra d’aver
capito “leopard”, ma sperare in un nuovo avvistamento sarebbe pretendere
troppo dalla già ricchissima giornata (e anche dalla fortuna), guardo, senza
troppa convinzione, con il binocolo e mi dico che, forse, la donna, dopo aver
visto due leopardi, s’è fatta prendere un po’ la mano dall’entusiasmo. La
guida però non è altrettanto scettica e, con fare deciso, punta la jeep nella
direzione indicata; seguendo un movimento furtivo, quasi impercettibile, metto a
fuoco un mantello giallo a macchie scure e, anche se ben mimetizzato, si
riconosce un leopardo, SI un terzo leopardo seduto a terra, per vederlo meglio
ci avviciniamo ancora un po’ badando a non irritarlo, lo osserviamo fino a
che, alzatosi, si incammina e si perde tra la vegetazione.
Da non credere, che fortuna
sfacciata, abbiamo visto 3 leopardi in poco più di un’ora senza aver percorso
grandi distanze ed è ancora più incredibile il “fiuto” della donna che ci
ha appena regalato quest’ultima emozionante visione, non ci spieghiamo come,
da lontano, sia riuscita ad individuarlo.
Il safari prosegue senza altri
grossi colpi di scena, possiamo concentrarci sulla bellezza del paesaggio,
godendo dei colori, dei suoni e degli odori della natura.
Prima di tornare verso il fiume per
riattraversarlo e raggiungere nuovamente il lodge ripassiamo nella zona dove si
sono visti i primi due leopardi, uno è ancora sull’albero più o meno nella
stessa posizione, il secondo è sceso a terra e si nasconde furtivo, è
evidentemente intento a cercare di soddisfare il bisogno di cibarsi, non ci
fermiamo che qualche secondo per non ostacolarlo in alcun modo. La natura è
stata generosa con noi, non possiamo che esserne riconoscenti e rispettarne i
ritmi.
Breve riflessione:
per la prima volta possiamo vantare
più avvistamenti di felini che di altre specie, ricorderemo questa zona del
Kafue N.P. come “il luogo dei leopardi”.
Il game drive termina un’ora dopo
il previsto per la rottura di un pezzo della jeep che la guida ed il suo
secondo, con molto ingegno e l’aiuto di robusti e flessibili rami, tentano più
volte di legare riuscendo ad avanzare – ad ogni nuovo tentativo – solo di
qualche metro, poi però ci si blocca del tutto sotto il sole che ormai è
implacabile.
Il prolungamento del safari non ci
disturba più di tanto, apprezziamo, inoltre, la laboriosità dei due ragazzi
che non si danno per vinti, tuttavia, dovendo proseguire il viaggio spostandoci
in un diverso Parco, proviamo sollievo al sopraggiungere di una seconda jeep,
chiamata via radio, che rapidamente ci carica a bordo e ci riporta verso il
lodge.
L’incantesimo è finito, ma qui
siamo riusciti a scaricare l’enorme tensione accumulata a seguito
dell’incidente e del rapporto non troppo idilliaco con Justin, che abbiamo
soprannominato “driver kamikaze”.
Pochi minuti dopo mezzogiorno,
saltando il pranzo, lasciamo definitivamente il lodge ed il Kafue N.P. per
spostarci nei pressi di Lower Zambezi N.P., tempo di trasferimento stimato dal
driver: 5 ore.
Rispetto agli accordi presi siamo
in ritardo di un’ora, ma c’è comunque tutto il tempo per raggiungere la
nuova destinazione entro l’ora del tramonto.
Purtroppo dopo quasi 5 ore di
viaggio siamo solo a Lusaka, Justin corre sempre troppo veloce, siamo
decisamente tesi, passiamo tutto il tempo aggrappati alle maniglie, ma finché
la strada è diritta ed asfaltata ci imponiamo di tenere a freno la nostra
preoccupazione.
Superata Lusaka si imbocca una
strada stretta e a curve che si inerpica su alte colline, a tratti la
carreggiata è oggetto di lavori d’asfaltatura, tuttavia l’autista non
accenna a diminuire l’andatura dovendo, tra l’altro, frenare spesso e in
modo brusco (e pericoloso!) quando termina l’asfalto; lo invitiamo una prima
volta a rallentare, ma Justin ignora la nostra richiesta adducendo quale
motivazione il ritardo con cui viaggiamo e la possibilità di perdere l’ultimo
traghetto (pontoon) delle ore 18 che ci consentirebbe di attraversare il fiume
Kafue e di proseguire il viaggio.
La novità del tempo limite per
l’attraversamento del fiume ci manda in bestia, secondo le stime di Justin in
5 ore saremmo dovuti arrivare a destinazione, invece ora si scopre che, dopo 6
ore, non solo siamo ancora lontani dalla nostra meta, ma rischiamo di stare
bloccati al di qua del fiume fino all’indomani.
In ogni caso riteniamo che correre
come pazzi su una strada stretta, a curve e con lunghi tratti non asfaltati non
risolva il problema, quindi - costretti ad alzare il tono di voce –
“spieghiamo” al “socio” che noi siamo in vacanza e che gradiremmo
arrivare a destinazione innanzitutto vivi, ma anche con tutte le ossa a posto.
Dopo la sfuriata finalmente il
driver rallenta, possiamo staccarci dalle maniglie e dare anche un’occhiata al
panorama che è davvero bello.
Ci troviamo in una zona di confine
con lo Zimbabwe, ad incrementare l’ansia da traghetto ci si mette pure una
lunghissima fila di camion, tra soste forzate e slalom tra i pesanti automezzi
incolonnati riusciamo, comunque, a raggiungere il fiume 7 minuti prima della
sospensione del servizio di trasbordo sull’altra sponda; una volta imbarcati
sulla chiatta tiriamo un grosso sospiro di sollievo, a questo punto restano da
percorrere poco più di 50 km.
Dopo il tramonto il buio
sopraggiunge molto rapidamente, la pista è sconnessa, con profondi solchi ed
alte gobbe, si viaggia sbagliando spesso strada, a ritmo di scossoni, ad una
velocità non superiore ai 20-25 km/ora per altre 2,30 ore.
Arriviamo al Kayila Safari lodge
alle 20,45, dopo la levataccia prima dell’alba, le 8,30 ore di viaggio e la
tensione cumulata siamo sfiniti, ma l’arrivo qui significa anche che d’ora
in poi – come prestabilito – il viaggio prosegue con altri mezzi, la
consapevolezza di esserci finalmente liberati dell’incubo Justin ci mette di
buon umore, non solo abbiamo raggiunto la nostra meta, ma anche una grande
serenità, non ci scomponiamo, quindi, più di tanto quando il disonesto chiede,
inventandosi costi aggiuntivi, altro denaro rispetto a quanto pattuito,
riteniamo che, per poche decine di euro, non valga la pena discutere, paghiamo
senza fiatare, penseremo poi una volta tornati a casa a fare un reclamo
ufficiale e a non “sponsorizzare” la sua agenzia.
Addio Justin!
Ceniamo in compagnia di tre
simpatiche donne spagnole (Marta, Olga e Margarita) che ci suggeriscono di non
perdere l’escursione di un giorno intero in canoa sul fiume Zambesi.
Siamo titubanti, ma il loro
entusiasmo è tale, sembra che tra le attività proposte sia la migliore, che ci
lasciamo convincere, prendiamo così accordi con Jairus (ottima guida del lodge)
per l’indomani.
Andiamo a dormire pensando alla
canoa che si rovescia in acqua, ai coccodrilli ed ippopotami che subito si
avventano su di noi… terribili visioni che fortunatamente durano poco perché
la stanchezza è tanta ed il sonno sopraggiunge pochi minuti dopo aver
appoggiato la testa sul cuscino.
LOWER
ZAMBEZI NATIONAL PARK:
“Il Lower Zambezi National Park
si trova lungo il corso del fiume Zambesi nello Zambia meridionale. E’ il
parco nazionale di più recente istituzione e crea con le confinanti Chiawa GMA
e Rufunsa GMA una vasta area naturale protetta. Sulla riva opposta del fiume
Zambesi, nel territorio dello Zimbabwe, si trova il Mana Pools National Park. La
presenza dei due parchi nazionali confinanti e posti, parzialmente, uno di
fronte all’altro pone sotto tutela ambientale un ampio tratto del corso dello
Zambesi e i territori adiacenti.”
24
e 25 settembre 07
Kayila Safari lodge è ubicato
nella Chiawa GMA ed è composto da pochi semplici, spaziosi chalet che si
affacciano sul fiume Zambesi; la zona comune, dove si consumano i pasti, è
allestita sotto un ampio padiglione collocato in una vasta radura dove crescono
maestosi baobab secolari e dove babbuini, antilopi ed elefanti vengono a cibarsi
e ad abbeverarsi.
Visto il luogo incantevole (si
possono osservare gli animali anche mentre si pranza o si è in pausa) e le
attività proposte, decidiamo – senza rimpianto – di tralasciare il vicino
Lower Zambezi N.P. per dedicarci quasi esclusivamente al fiume: l’immenso
Zambesi.
Trascorriamo la prima giornata in
canoa.
Prima di “imbarcarci” siamo
ancora piuttosto dubbiosi, per noi è la prima volta, Jairus da’ alcune brevi
e facili istruzioni dopo di che ci rassicura dicendo che il pericolo maggiore è
costituito dal sole (sono necessari cappello e crema protettiva) e che, per il
resto, non avremo alcun problema, comunque ci adotta e sale sulla nostra canoa.
Devo riconoscere che si tratta di
un’esperienza bellissima, si segue la corrente del fiume, ci si sposta con
facilità avvicinandosi ora alla riva popolata da numerosi elefanti ora
raggiungendo le diverse isole e i banchi di sabbia che stanno al centro per
osservare bufali, coccodrilli sonnecchianti e non e tanti, tantissimi uccelli,
il tutto in totale assenza di rumori, badando solo a tenersi alla larga dalle
famiglie di ippopotami.
Aggiungo, inoltre, che andare in
canoa non richiede nessuno spirito avventuroso o un coraggio particolare.
Come diceva Jairus il sole è il
pericolo maggiore, durante la navigazione non ci si rende conto del caldo e
della forza dei raggi solari, crema protettiva e cappello hanno fatto
egregiamente il loro dovere, ho bevuto litri di acqua, ma nonostante tutto la
sera non mi sento affatto bene, probabilmente si tratta di un collasso di
calore: una bustina di integratori di sali minerali, acqua, acqua, ancora acqua
ed una dormita mi rimettono però in forma.
Per la seconda giornata scegliamo
un game drive mattutino ed una escursione in barca pomeridiana.
Il safari ci regala paesaggi da
cartolina che alternano bush a savane giallo dorate, baobab maestosi, alberi
imponenti e magnifici scorci sul fiume. Pochi gli animali avvistati a causa del
vento, condizione questa che fa sì che restino nascosti, ci rendiamo però
conto che qui gli elefanti sono numerosi, non ne vediamo che un paio, ma a
giudicare dalla devastazione che lasciano dopo il loro passaggio possiamo
intuirne molti.
L’escursione in barca a motore
prevede l’uscita verso le 16 ed il rientro dopo il tramonto.
Lungo il fiume vediamo diverse
famiglie di elefanti, ci avviciniamo ai vari gruppi, in totale sicurezza, fino a
pochi metri di distanza e mentre il sole tramonta stiamo incantati ed in
assoluto silenzio ad ammirare le più belle scene mai viste sino ad ora che
hanno quali protagonisti questi possenti e stupendi animali, smettiamo anche di
fotografarli per assaporare e memorizzare i dettagli di un incredibile
documentario che difficilmente potremo rivedere e che mai dimenticheremo.
Come dicevo in premessa, l’Africa
non è mai ripetitiva nei suoi spettacoli naturali, non è mai neppure scontata,
è al contrario scoperta continua e fonte di sempre nuove e forti emozioni.
26
settembre 07
Questa mattina un elefante ha
deciso di far visita al lodge e, a quanto pare, l’ha trovato di suo
gradimento, lo seguiamo – stando attenti a mantenere una distanza di sicurezza
– mentre si sposta passando tra gli chalet senza alcuna fretta, è uno
spettacolo: si ciba a volontà semplicemente allungando la proboscide verso gli
alberi incurante di tutto e tutti.
Usciamo nuovamente in barca muniti
anche di canne da pesca, facciamo solo un paio di tentativi, poi stanchi di
“sfamare” i pesci con le esche senza che abbocchino preferiamo dedicarci al
paesaggio ed alla ricerca di animali.
Attraversato il fiume, che è largo
fino a 2 km, ci avviciniamo alle lagune dello Zimbabwe che ospitano moltissimi
uccelli, bufali, elefanti, coccodrilli e ippopotami, le immagini scorrono in
rapida successione, ogni sosta ci regala nuovi animali e scene differenti.
Presi da quanto stiamo vedendo
perdiamo la cognizione del tempo, le ore volano, inevitabilmente bisogna
rientrare.
Il vento che ora soffia a nostro
sfavore rende l’acqua scura ed increspata, spesso veniamo investiti da spruzzi
in un clima quasi irreale, tanto è grande ed agitato il fiume si ha
l’impressione di essere in mezzo al mare, oggi di certo nessuno uscirà in
canoa.
Nonostante siano passate 3 ore da
quando l’abbiamo lasciato, l’elefante “pascola” ancora attorno al lodge,
ora sta esattamente a due metri dal nostro alloggio.
Non potendoci avvicinare siamo
costretti a rimandare a più tardi la chiusura ed il recupero dei bagagli. Ci
sediamo, quindi, a tavola per il brunch, dopo di che, a campo finalmente sgombro
(l’elefante s’è spostato), possiamo accedere al nostro chalet ed in poco
tempo siamo pronti a partire.
Raggiunto il vicino Airstrip (pista
di terra), salutiamo con un velo di malinconia Jairus che ricorderemo con
affetto e nostalgia per le emozionanti esperienze condivise.
Il pilota con un piccolo aereo ci
sta aspettando per riportarci a Lusaka.
L’aereo è minuscolo, sembra l’aeroplanino
di una giostra, siamo raggianti per questa prima esperienza di volo privato che
ci permette di ammirare dall’alto lo spettacolo del fiume Zambesi con le tante
isole ed i chiari banchi sabbiosi che emergono.
In 20 minuti raggiungiamo Lusaka;
ripensando al lungo e angosciante trasferimento via terra fatto con Justin (il
driver kamikaze) mi rammarico di non aver scelto questo stesso mezzo anche per
il tragitto di andata è, comunque, un pensiero che scaccio presto, in fin dei
conti l’esperienza – anche se non può rientrare tra quelle più
entusiasmanti – è pur sempre un’avventura e, come tale, meritevole di
entrare a far parte del bagaglio dei ricordi.
Atterrati all’aeroporto
internazionale, il pilota ci saluta con un’energica stretta di mano e ci
affida ad un’assistente che ci prende in consegna e che, dopo aver
attraversato la pista, ci scorta all’interno dell’edificio aeroportuale.
Sarà che per noi è la prima
volta, sarà che forse siamo un po’ “rustici” (non conosciamo altro che le
ristrettezze dell’economy) sta di fatto che tutta la procedura di volo e di
accoglienza ci fa pensare ai personaggi di cui spesso si racconta nei libri e
nei film e che, entusiasti, godiamo del nostro momento di “celebrità”.
Con un secondo aereo da 18 posti
della Zambian Airways torniamo nei panni di comunissimi passeggeri e
raggiungiamo la cittadina di Mfuwe che si trova a circa 45 minuti di distanza
dal South Luangwa N.P.
A bordo di una jeep scoperta
percorriamo una strada che attraversa ordinati villaggi di capanne e casette di
fango con il tradizionale tetto di paglia, molte le persone che camminano lungo
i margini, donne che trasportano in perfetto equilibrio sul capo taniche
d’acqua e fascine di legna, bimbi in divisa che tornano dalla scuola.
Le piccole botteghe colorate hanno
curiose “insegne” dipinte direttamente sui muri: un casco asciugacapelli per
la parrucchiera, scarpe per il negozietto di calzature, abiti per quello
d’abbigliamento, animali vari per la bottega del macellaio, pani di burro e
bottiglie di latte per la latteria e così via in un susseguirsi di disegni
molto originali. Bellissimi, infine, i bassi edifici adibiti a scuola che recano
dipinti sulle pareti esterne mappe geografiche, animali, fiori, piante e lettere
dell’alfabeto.
Lasciata la strada principale si
imbocca una pista sterrata che, costeggiando piccole lagune dove dimorano
uccelli ed ippopotami ed un fitto boschetto di alberi ora spogli, conduce al
Wildlife camp.
Il campo è delizioso, sorge sulle
sponde del fiume Luangwa, è immerso nella vegetazione, è meta prediletta di
tanti animali, inoltre, scimmiette e scoiattoli sono ospiti fissi e si aggirano
ovunque.
Wildlife camp è composto da un
nucleo centrale, con zona bar/ristorante/reception ed alcuni chalets che si
affacciano sul fiume, e da un distaccamento, raggiungibile con un bel percorso
che costeggia la riva del fiume, dove sono collocati il campeggio, tende fisse,
un bar ed una piccola piscina.
Ci informano che possiamo spostarci
da una zona del campo all’altra a nostro piacimento, ma solo nelle ore diurne,
invitandoci, altresì, a prestare sempre molta attenzione agli elefanti.
Trascorriamo quel che resta della
giornata seduti in veranda ad osservare gli animali che scendono al fiume ad
abbeverarsi e contemplando l’ennesimo spettacolare tramonto africano.
SOUTH
LUANGWA NATIONAL PARK:
“Il South Luangwa N.P. si trova
nello Zambia orientale, nella Luangwa Valley. Ha un’estensione di 9500 kmq e
ospita un numero di specie animale molto elevata: circa 100 specie di mammiferi
e oltre 400 di uccelli. E’ considerato uno dei santuari naturalistici più
importanti di tutta l’Africa al pari di altri parchi nazionali come il Kruger
N.P. in Sudafrica, l’Etosha in Namibia, l’Okavango e il Chobe in Botswana,
il Serengeti e Ngorongoro in Tanzania.”
27,
28 e 29 settembre 07
Giornate intense dedicate
esclusivamente alla ricerca ed osservazione degli animali, attività che ci
impegna per oltre 9 ore al giorno con un game drive mattutino (dalle 6 alle
10,30/11) ed uno notturno (dalle 16 alle 20,30/21) all’interno del South
Luangwa N.P.
Nella parte centrale della
giornata, momento in cui la temperatura è molto elevata, dopo aver pranzato ci
si ripara all’ombra in totale inattività, non mancano però, anche durante le
pause oziose, grandi emozioni in quanto il fiume è, più volte al giorno,
attraversato da elefanti.
Non posso non raccontare un
episodio che ha quali protagoniste le giraffe: stiamo pranzando, una famiglia di
elefanti attira la nostra attenzione, ha appena attraversato il fiume
raggiungendo la riva a noi più vicina, seguiamo con lo sguardo l’intero
branco fino a che l’ultimo elefante sparisce tra la vegetazione, di lì a poco
arrivano ad abbeverarsi diverse giraffe, le vediamo sfilare di profilo, una dopo
l’altra, contandone 8: uno spettacolo che lascia senza parole!
Anche le scimmiette, che in questa
stagione hanno i cuccioli aggrappati alla pancia come ventose, contribuiscono
con le loro simpatiche ed incredibili evoluzioni a riempire le ore di inattività.
Basta, insomma, sedersi all’ombra o in veranda, di sicuro qualche cosa accade,
fosse anche solo l’allegro gioco di una coppia di scoiattoli che si rincorre
sul tronco di un albero.
La voglia di scoperta poi fa
compiere follie come quella di avventurarsi, sotto il sole cocente delle 13, in
una “passeggiata sauna inclusa” costeggiando il Luangwa e fino al campeggio
che ci ha letteralmente prosciugato, in compenso abbiamo visto un
bell’attraversamento di elefanti e scattato fotografie da un punto molto
panoramico.
Tutto quanto sopra e molto altro
nei momenti di pausa al campo, ma veniamo al Parco…
Il South Luangwa N.P. dista da
Wildlife camp solo pochi chilometri, per accedervi si attraversa un ponte,
superato l’ufficio dei guardiaparco e pagata la tassa di ingresso (25 USD al
giorno a persona) comincia ufficialmente la zona protetta e la “caccia” agli
animali, anche se non è raro trovarne ovunque nelle vicinanze.
Dopo soli 2 passaggi dalla
guardiola (in totale 4 volte al giorno per 3 giorni) Lazarus (addetto al
controllo dei permessi d’entrata) saluta già Sandro calorosamente e per nome
come fossero vecchi amici.
Il Parco è costituito da diversi
ambienti: fitto bush, estese piane secche che durante la stagione delle piogge
si trasformano in rigogliose praterie, zone sabbiose lungo il greto del fiume e
savane dorate. Sono, inoltre, presenti numerosi imponenti alberi delle salsicce
(Kigelia africana), mogani, manghi, acacie e molte altre maestose piante di cui
non conosciamo i nomi.
Le lagune e gli stagni sono
popolati da famiglie di ippopotami, coccodrilli e uccelli di tutte le
dimensioni.
Complessivamente abbiamo visto
moltissimi animali tra cui facoceri, puku, impala, waterbuk, bushbuk, kudu,
zebre, elefanti, giraffe di Thornicroft (specie endemica esistente solo in
questo Parco), ippopotami, coccodrilli, leoni, leopardi, bufali, iene, genette,
piccoli animali notturni e un’esagerazione di uccelli.
Il mezzo utilizzato, anche durante
il game drive notturno, è una jeep scoperta che consente un’ottima visibilità
ed una perfetta integrazione con l’ambiente; dopo il tramonto si viaggia con
l’ausilio di una potente torcia che la guida orienta nel buio totale alla
ricerca di coppie di puntini fosforescenti (gli occhi degli animali!).
Senza fare la cronaca di ogni game
drive minuto per minuto che risulterebbe lunga e forse anche noiosa, passo ora
al racconto “disordinato” degli avvistamenti più emozionanti fatti durante
le quasi 30 ore di safari.
Il primo pensiero, anche se non si
tratta della prima scena vista, lo dedico ad uno sfortunato puku.
La Kigelia africana (volgarmente
detta albero delle salsicce) è un albero bellissimo, i cui frutti sembrano
tanti enormi cotechini appesi ciascuno ad un filo, ha grossi fiori rossi che,
una volta sfioriti, cadono al suolo e costituiscono una prelibatezza per le
antilopi, più volte ne abbiamo viste alcune con un fiore al lato della bocca,
immagini deliziose che al solo ricordo mi fanno sorridere di tenerezza.
Tuttavia la natura può essere,
allo stesso tempo, crudele; una mattina, ai piedi di una kigelia, troviamo un
piccolo puku morto per aver ricevuto in testa il colpo di una “salsiccia”
(frutto legnoso e molto pesante) staccatasi dall’alto di un ramo.
Le antilopi, creaturine esili,
aggraziate e deliziose hanno, fin dalla nascita, vita dura, devono stare
continuamente in guardia, giorno e notte, dagli attacchi dei predatori,
evidentemente tale preoccupazione non basta, nel caso di questo povero piccolo
puku, ci si è messa anche la sfortuna: si è trovato nel posto “giusto” al
momento sbagliato!
Il corpo del puku è intatto,
probabilmente il fatto è successo da pochi minuti, attorno, seduti, alcuni
altri esemplari sembrano piangerne la morte, non emettono alcun suono, ma la
scena trasmette una tristezza lacerante, due lacrimoni mi rigano le guance al
pensiero che, solo poco fa, il puku faceva allegramente parte del gruppo.
Dopo diversi minuti di sgomento
lasciamo il corpo inerte al proprio destino.
Ripassando nel pomeriggio sul
“luogo del delitto” al puku mancano gli occhi e le interiora, la mattina
successiva del povero animale non c’è più traccia (neppure le ossa!).
Tremendo e meraviglioso allo stesso tempo se si pensa al circolo vitale ed a
quanti animali hanno potuto cibarsi e sopravvivere grazie ai resti della
sfortunata antilope.
Proseguo il racconto descrivendo
una sosta in attesa del tramonto: i colori di ogni cosa assumono calde tonalità,
ci troviamo sull’argine terroso, sotto di noi l’acqua del fiume scorre
lenta, si sente solo il verso degli ippopotami ed il “chiacchierio” di
centinaia di uccelletti rossi (Carmine Bee-Eater) che ricoprono totalmente i
brulli rami di un albero fino a farlo sembrare fiorito. La guida batte un piede
a terra e dall’argine, sotto di noi, centinaia e centinaia di quegli stessi
uccelli si alzano contemporaneamente in volo incolonnandosi in un lungo nastro
rosso che attraversa il cielo.
Che dire poi dei pappagallini dai
colori verde e arancio (Lilian’s lovebird) che, in fila come soldatini, stanno
appollaiati sul ramo di un cespuglio e che, a detta della guida, sono molto rari
da vedersi? Le parole davvero non bastano!
Il fiume Luangwa mi ricorda molte
scene straordinarie come, per esempio, quella con gli ippopotami che
all’imbrunire escono dall’acqua e si incamminano, con i piccoli al seguito,
alla ricerca di vegetazione per cibarsi, necessità che, soprattutto nella
stagione secca, li costringe a percorrere anche grandi distanze.
L’ippopotamo, per la pelle
delicata molto sensibile al calore del sole, passa la maggior parte del giorno
in acqua, ne esce soltanto dopo il tramonto, ma ci è capitato di incontrarne
uno in tarda mattinata, completamente esposto al sole, disteso in una conca
sabbiosa e di vederlo schizzar via di corsa al nostro passaggio.
In una laguna abbiamo visto una
scena molto curiosa: un bufalo girarsi sulla schiena e restare sospeso diverso
tempo a pancia e zampe all’aria.
Le rive sabbiose del fiume, di
lagune e stagni con i più grossi coccodrilli mai visti prima d’ora che
scivolano furtivamente e rapidamente in acqua senza fare alcun rumore.
Un leone adulto si abbevera a pochi
metri da noi al punto che riusciamo a sentire il rumore del risucchio, che
fotografia da rivista la sua immagine riflessa nell’acqua e che posa regale
quando, risalito l’argine, la sua sagoma si staglia contro il cielo infuocato
dai colori del tramonto.
Ricordo un altro leone che, nel
buio della notte, ingombra la pista e siede indifferente al fatto che noi
dovremmo passare, non si scompone neppure quando la guida lo illumina con un
fascio di luce, sembra pensare “qui comando io!” e si muove di scatto solo
per inseguire una iena e scacciarla senza tanti complimenti.
Bellissima la leonessa, per noi
invisibile da lontano, individuata dall’occhio esperto della guida, che
avvicinandoci ci regala, con i due cuccioli, una tenera immagine materna.
Sfacciati e per nulla preoccupati i
due leoni maschio e femmina che, al primo nostro passaggio, si fronteggiano per
gioco ed al secondo passaggio, all’approssimarsi del tramonto, stanno
beatamente addormentati sul ciglio della pista, situazione quest’ultima che ci
ha permesso di scattare bellissimi primi piani ad entrambi.
L’ennesimo leone che custodisce
gelosamente i resti del corpo di un kudu, sicuramente il bottino di una caccia
sanguinosa. Abbiamo trovato il felino semplicemente seguendo l’odore di
carogna putrefatta che aleggia nell’aria.
Contrariamente a quanto avviene in
altri Parchi, qui le zebre si muovono in piccoli gruppi, ma se ne incontrano di
frequente, tra le tante mi limito a ricordare una femmina con un vivace cucciolo
che alterna le poppate alla curiosità nei nostri confronti arrivando ad
avvicinarsi alla jeep come mai abbiamo visto fare, in precedenza, dagli
esemplari adulti.
Aggiungo ai ricordi anche la
bellissima immagine riflessa di una zebra solitaria intenta a bere.
La giraffa è l’animale che
preferisco, solo in questo Parco è possibile avvistare la specie di Thornicroft
che si differenzia dalle altre per una diversa colorazione del mantello a
macchie più scure.
Un primo incontro avviene con due
esemplari adulti e due piccoli, tenendo conto che il concetto di “piccolo”
riferito ad una giraffa è sempre molto relativo.
Durante un game drive notturno il
fascio di luce orientato dalla guida ha sottratto dalle tenebre, per qualche
secondo, una giraffa seduta a terra, scena rara da vedere in quanto, per la sua
elevata vulnerabilità, trascorre la maggior parte della giornata in piedi,
riposando, ma quasi sempre con collo e testa eretti, al massimo 2 o 3 ore.
Quella che mi appresto a descrivere
rientra sicuramente tra le più belle immagini di questo viaggio.
Da un boschetto ai margini della
pista spunta il lungo collo di una giraffa, ci fermiamo per osservarla e
scattare alcune fotografie. La guida ci fa notare il ventre molto ingrossato: è
gravida!
Mentre fantastico sulla nascita,
immaginando un giraffino arruffato e malfermo sulle zampe, compaiono altre
giraffe, ne contiamo 5, si spostano fino a radunarsi in gruppo compatto proprio
davanti alla jeep dimostrando di non essere per nulla disturbate dalla nostra
presenza. Occupano la pista bloccando il passaggio, stando ferme a lungo in un
unico groviglio indistinto di corpi dal quale spuntano i colli, la sosta
prolungata ci consente di fotografarle prima e poi di ammirarle estasiati mentre
cerchiamo, nella massa uniforme di corpi, di ridare ad ogni esemplare il proprio
profilo.
Prima d’ora, pur avendo visto
molte giraffe, non ci era mai capitato di poterle osservare così a lungo ed
allo scoperto in quanto tendono sempre ad allontanarsi ed a nascondersi tra la
vegetazione lasciando, molto spesso, intravedere solo il lunghissimo collo
oppure solo il grazioso muso che sembra spiare le mosse di chi le osserva.
Dopo un quarto d’ora o forse più,
l’intero gruppo, compresa la giraffa gravida, si allontana composto e senza
fretta regalandoci una “sfilata” tanto elegante da lasciarci a bocca aperta.
Memorizziamo ed archiviamo queste
straordinarie immagini in quell’angolino del cuore dove sono custoditi i
migliori ricordi di viaggio per attingervi nei momenti di nostalgia acuta.
In natura sopravvivono solo i più
forti! E’ ciò che pensiamo alla vista di un coccodrillino di circa due anni,
lungo non più di 50 cm che, lasciata una laguna ormai quasi asciutta e divenuta
pericolosa, affronta un lungo e faticoso viaggio via terra fino a raggiungere
– se ce la farà – acque più sicure.
Quando si vede un coccodrillo del
Nilo, temibile, possente, lungo diversi metri, inevitabilmente si pensa che non
abbia nemici e nulla da temere: vero per gli esemplari che hanno raggiunto il
pieno sviluppo! Considerando però che solo l’1% dei nuovi nati sopravvive,
che i piccoli coccodrilli crescono molto lentamente, che avendo un battito
cardiaco con pochissime pulsazioni si muovono a rilento, che, per il mutare
delle stagioni, sono costretti a lunghi trasferimenti esponendosi agli attacchi
di una moltitudine di animali o correndo il pericolo di finire schiacciati dagli
autoveicoli, si può meglio comprendere il concetto di “sopravvivenza” e
quanto sia meritato, per i pochi che lo raggiungono, lo status di “predatore
attivo e mortalmente pericoloso”.
Dopo aver letto sulla guida, alla
voce coccodrillo del Nilo, “questa è l’unica specie di predatore terrestre
che considera l’uomo come parte integrante della sua dieta e vi caccerà
attivamente se gli offrirete l’opportunità di farlo”, mai avrei pensato di
provare tenerezza e apprensione per questo animale, ma l’Africa, con tutte le
sue varianti, riesce a produrre “miracoli” ed ora, alla vista del piccolo
coccodrillo, sono a fare il tifo per la sua sopravvivenza.
Sempre in tema di sopravvivenza mi
soffermo su una riflessione fatta durante un game drive notturno.
La luna non è ancora sorta, la
notte africana è nera, inquietante, spenti i fari ed il motore della jeep non
si vede più nulla, le tenebre ci avvolgono, perdiamo, nel giro di pochi attimi,
qualsiasi riferimento, non siamo abituati al buio totale ed all’utilizzo dei
sensi, ci sentiamo al sicuro perché seduti su un robusto veicolo e con noi ci
sono due guide, basta riaccendere i fanali, riavviare il motore e lo smarrimento
finisce, ma se fossimo soli e appiedati?
La gazzella, nella notte nera,
avverte la presenza di un predatore, lo stesso vale per un felino a caccia di
selvaggina, la giraffa, se si sente immune da attacchi, si piega sulle lunghe
zampe per bere ad una pozza o siede a terra per dormire qualche minuto, dello
stesso istinto sono dotate tutte le creature che popolano il bush e la savana.
Squarciando il buio con la torcia e
mettendo in luce, via via, tutte le specie animali pare che per ciascuna di esse
non vi sia differenza tra notte e giorno, la vita continua indifferentemente ed
indipendentemente dalla luce e dalle tenebre, ma per noi come sarebbe?
Molto probabilmente l’
“animale” bianco, dotato della sola intelligenza e del solo sapere senza
strumento alcuno, non riuscirebbe a sopravvivere. Ancora una volta la natura
africana si manifesta in tutta la sua forza e grandezza e insegna.
Anche il South Luangwa, come il
Kafue, ci ha servito quale “piatto forte” un magnifico leopardo.
Mentre, come di consueto, ci
spostiamo all’interno del Parco alla ricerca di animali, notiamo una jeep
ferma in prossimità di una Kigelia africana. Generalmente una o più macchine
ferme indicano la presenza di un felino o l’avvistamento di una scena
particolare. Ci avviciniamo con cautela, aguzzando la vista ed ecco, lassù, tra
le “salsicce”, c’è un leopardo!
Spento il motore lo osserviamo
trattenendo il respiro, sta seduto a cavalcioni di un ramo con la lunga coda e
le zampe che penzolano nel vuoto, è stupendo.
Dopo qualche minuto il leopardo si
muove con circospezione, scende a terra spostandosi sui rami e sul tronco con
estrema agilità.
L’altra jeep, nel tentativo di
seguirlo, si sposta; noi – più lontani – restiamo immobili sempre a motore
spento, provo quasi disappunto per la scelta della guida, da questa distanza non
riusciamo più a distinguerlo.
Nel vedere che la jeep si allontana
definitivamente diamo ormai per perso il felino, ma…
il leopardo riappare e si sta
dirigendo verso di noi, cammina in uno spiazzo totalmente sgombro dalla
vegetazione, lo abbiamo di fronte, riusciamo a vedere distintamente ogni
particolare: il colore degli occhi, i lunghi baffi ed il magnifico mantello
maculato che sembra morbido al punto tale da far venire una irresistibile voglia
di accarezzarlo. L’animale continua ad avvicinarsi con passo felpato, sinuoso
e, diciamolo, felino, passa a fianco della jeep, a meno di tre metri di
distanza: che animale meraviglioso! Ci supera, siede al margine della pista, sta
immobile per qualche minuto poi ripassa ancora vicinissimo ed, infine, dopo
essersi diretto, senza fretta, verso un boschetto, scompare tra gli arbusti.
Grande, grandissima emozione,
impossibile tradurre in parole il nostro “tumulto” interiore. Enorme fortuna
per aver avuto l’opportunità di osservare a lungo e da molto vicino il più
elusivo, mimetico e bello dei felini.
Grande Andrew (la guida), per aver
saggiamente deciso di non avvicinarsi troppo al leopardo e per non averlo
seguito, in caso contrario avremmo perso una delle più belle scene di questo
memorabile viaggio.
Inevitabilmente quello che
ricorderemo come un sogno ad occhi aperti sta per concludersi, è il nostro
ultimo giorno presso Wildlife camp, siamo pronti per l’ultimo safari notturno.
Con noi ci sono Marta, Olga e
Margarita, le tre donne spagnole conosciute sembra ormai una vita fa tante sono
le cose vissute, ci siamo ritrovati qui salutandoci con lo stesso entusiasmo di
vecchi amici che si rivedono dopo una lunga pausa.
Andrew, come sempre nostra guida e
inseparabile compagno di avventure, propone di spingerci a Nord in una zona del
Parco più remota.
La serata si rivela speciale fin da
subito per l’ottima compagnia e per i tanti incontri: vediamo, in continua
successione, zebre, giraffe, antilopi e molti branchi di elefanti, ci sono
momenti in cui ne scorgiamo ovunque si giri lo sguardo.
Proseguendo rivediamo una coppia di
leoni già incontrata durante la mattinata e, sulla riva del fiume, ci fermiamo
ad ammirare tre splendide leonesse beatamente addormentate, una delle tre sta a
pancia all’aria quasi a voler ostentatamente dimostrare di non temere niente e
nessuno.
Davanti ad una scena così ci
smarriamo estasiati dimenticando l’appuntamento dell’aperitivo al tramonto.
Ringraziamo ed apprezziamo Andrew
per essersi sempre dimenticato dell’orologio e per aver preferito, al banale
“rito” dell’aperitivo o al rientro al campo ad ora prestabilita, indugiare
davanti agli animali o nella loro ricerca protraendo il safari oltre il
previsto.
E’ ormai buio, le tre leonesse
continuano a dormire, stiamo per lasciarle, Sandro però vede una macchia scura
in movimento, che si avvicina, Andrew riconosce un piccolo branco di bufali, due
di essi si staccano dal gruppo e sembra vogliano andare ad abbeverarsi proprio
poco distante dai leoni.
Il desiderio di assistere ad una
scena di caccia è sempre latente, non osiamo, tuttavia, sperare in tanta
fortuna, anche perché i bufali potrebbero cambiare direzione, le leonesse non
sembrano scomporsi, potrebbero aver già cacciato e non essere affamate,
inoltre, mentre noi siamo assolutamente immobili, a motore spento ed in totale
silenzio, da lontano sta sopraggiungendo una jeep il cui rumore potrebbe
costituire ulteriore elemento di disturbo.
I due bufali decidono di
avvicinarsi all’acqua, bevono, una leonessa si desta dal sonno e si apposta
alle loro spalle, seguiamo la scena con il fiato sospeso e al chiaro della
torcia utilizzando il fascio di luce rossa, più discreto rispetto a quello
classico abbagliante.
Passano pochi secondi e la scena
muta, anche le altre due leonesse ora circondano i bufali, l’adrenalina è a
mille, ci rendiamo conto che tra pochissimo succederà qualche cosa, abbiamo
occhi e sensi rivolti esclusivamente a ciò che ci sta davanti, passano alcuni
attimi in cui non cambia nulla e che sembrano eterni, la concentrazione è
totale, poi in un lampo la scena da statica si anima in modo turbolento: i
bufali avvertono il pericolo e scappano, le tre leonesse inseguendoli si
avventano più volte su uno dei due, noi seguiamo il tutto con il motore
ruggente al massimo della potenza, sollevando nuvole di polvere, mentre un
brivido ci percorre tutto il corpo, è difficile descrivere esattamente quel che
si prova, ma garantisco che si tratta di un’emozione fortissima e che le
immagini continuano a scorrere nella mente per giorni come quando si fissa una
luce intensa, si resta abbagliati e chiudendo gli occhi si rivede sempre la
stessa figura.
L’inseguimento continua e diverse
volte vediamo le leonesse lanciarsi sulla schiena del bufalo, poi nel folto del
bush non riusciamo più ad avanzare, perdiamo il contatto visivo, ma sentiamo i
rumori ed il verso del bufalo infuriato, lo diamo ormai per ferito e spacciato
quando da un cespuglio ricompaiono – nell’ordine – una leonessa ed il
bufalo, i ruoli sono totalmente invertiti, ora è quest’ultimo ad inseguire ed
a scacciare – senza tante cerimonie – il felino, la scenetta ci strappa un
inevitabile sorriso. Non è comunque finita, il gruppo di leoni si ricompatta e
tenta un nuovo attacco, continuiamo a seguire il tutto a fasi alterne per via
della vegetazione che spesso non ci permette di avanzare, ad un certo punto
sembra anche che abbiamo forato un pneumatico, ma dopo un rapido controllo tutto
si rivela a posto, l’inseguimento termina quando ci rendiamo conto che i
felini, ormai esausti, hanno rinunciato alla preda. Li vediamo sfilare
un’ultima volta in fila per uno e sedersi uno dopo l’altro in una bella
radura, su quest’ultima stupenda immagine si spegne il “riflettore”,
lasciando che i protagonisti dello straordinario documentario cui abbiamo appena
assistito, tornino, insieme alle altre creature, ad essere avvolti dal buio
della notte africana.
Alzando lo sguardo al cielo
attraversato dalla Via Lattea riconosciamo le costellazioni di Scorpione e
Sagittario, respiriamo a fondo e carichi di tante meravigliose emozioni ci
dirigiamo per l’ultima volta verso l’uscita del Parco.
30
settembre 07
Anche se il viaggio prosegue e ci
aspettano altri giorni di vacanza, lasciamo il South Luangwa con tanta
malinconia, le ultime immagini dell’Africa che più amiamo, quella degli
animali, scorrono già veloci attraverso il finestrino dell’aereo che in poche
ore ci trasporta a Livingstone, cittadina che vedremo solo di passaggio e di
sfuggita in quanto preferiamo sistemarci in un piccolo e tranquillo lodge
affacciato sul fiume Zambesi (Natural Mystic lodge).
La scelta si rivela ottima, gli
alloggi sono molto graziosi e confortevoli, hanno una piccola veranda vista
fiume, un bel parco tutto attorno ed una piscina che apprezzeremo molto per
ritemprarci dal caldo.
Decidiamo di prenotare
un’escursione in barca che durerà fin dopo il tramonto, partiamo alle 16,
siamo contenti perché scopriamo di essere i soli partecipanti, pregustiamo già
la quiete ed il senso di benessere che il fiume infonde, lo attraversiamo fino a
raggiungere l’altra sponda per osservare un bel branco di elefanti,
l’incantesimo però dura poco, alcuni minuti dopo siamo già di ritorno per
un’avaria al motore. Pazienza, ci riproveremo nei prossimi giorni.
VICTORIA
FALLS:
“Le Victoria Falls, dichiarate
‘World Heritage Site’ dall’UNESCO, si trovano lungo il corso del fiume
Zambesi, nella Southern Province.
Sono tra le cascate più
spettacolari del mondo con un salto di 122 m e un fronte di 1700 m, in parte nel
territorio dello Zambia (Mosi-oa-Tunya
N.P.) e in parte in quello dello Zimbabwe (Victoria Falls N.P.). Lo Zambesi,
quando è in piena, scarica nella gola, larga circa 100 m, un volume d’acqua
pari a 10.000 metri cubi al secondo e 400/1000 metri cubi al secondo durante la
stagione secca.
La gola, profonda e stretta,
permette di osservare dalla riva opposta a distanza ravvicinata, tutto il fronte
della cascata. Le piccole isole che emergono dal fiume in prossimità del salto
hanno diviso il flusso dell’acqua in alcune cateratte che, partendo dal
territorio dello Zambia, sono: Eastern Cataract, Armchair Falls, Rainbow Falls,
Horseshoe Falls e Devil’s Cataract.
Lo Zambesi, superate le cascate,
s’insinua in una serie di gole profonde e tortuose, larghe da 20 a 60 metri
con pareti di oltre 100 metri di altezza, una delle quali è attraversata da un
ponte arditissimo, su cui passa la linea ferroviaria. Il ponte lungo 250 metri
con un’altezza di 125 metri sul fiume sottostante, fu completato nell’aprile
1905 ed era parte del progetto, di Cecil Rhodes, che prevedeva la costruzione di
una linea ferroviaria in grado di collegare Citta del Capo al Cairo.
Alla fine della prima gola, il
fiume forma una laguna chiamata Boiling Pot (pentola bollente): la superficie è
calma nella parte bassa, ma nella parte dove è alta è segnata da enormi e
lenti vortici che creano un effetto visivo di acqua in ebollizione.
Il canale, superato il Boiling Pot,
gira verso ovest ed entra nella prima delle gole a zig-zag che si succedono per
circa 80 km e conducono il fiume fuori dall’altopiano basaltico.”
1
ottobre 07
Giornata interamente dedicata alla
visita delle Victoria Falls.
Lato
Zimbabwe:
abbiamo un solo permesso di entrata
in Zambia, prima di attraversare la frontiera è necessario procurarsi
l’esenzione del visto, rilasciata dall’ufficio immigrazione che si trova in
un bell’edificio coloniale del centro di Livingstone. Con l’esenzione di
evita di pagare, al rientro in Zambia, una seconda volta la tassa di ingresso.
Raggiunto il posto di confine e
sbrigate le formalità di uscita dallo Zambia e successivo ingresso in Zimbabwe,
un funzionario sorridente, in camicia bianca immacolata, il ritratto di Denzel
Washington, ci dà il benvenuto… oh my God, è bello quanto l’originale!
Entrati nel Victoria Falls N.P. si
segue un facile percorso che permette di vedere il fronte delle cascate da
diversi punti panoramici. Le prime cataratte sono spettacolari, il muro
d’acqua che precipita è impressionante, il rumore assordante, il vapore che
si solleva ci bagna completamente: considerato che il caldo è opprimente ogni
“doccia” è graditissima.
Spostandoci verso la parte
orientale delle cascate l’acqua in caduta diminuisce fino a sparire del tutto,
vediamo così, molto nettamente, la spaccatura costituita da una parete
verticale di basalto che precipita nello stretto e vertiginoso canyon
sottostante.
Straordinario il contesto, ma che
delusione nel trovare buona parte delle cascate secche.
Pur sapendo che questa, ottima per
i safari, non è invece stagione adatta per vedere le Victoria Falls al massimo
della portata era impensabile programmare un viaggio in Zambia escludendo le
cascate più famose del mondo, ci sarebbe rimasto il rimpianto d’aver perso
una importante tappa.
Possiamo solo immaginare il muro
d’acqua ed il relativo fragore, consolandoci del fatto che chi trova tanta
acqua non vede la spettacolare gola sottostante così come la vediamo noi.
La mia passione per i ponti ci
porta ad attraversare quello arditissimo in ferro che unisce Zambia e Zimbabwe,
raggiungo così uno dei principali obiettivi di questo viaggio.
Lato
Zambia:
“Il tratto
zambese delle cascate Vittoria viene spesso dimenticato, ma offre un'esperienza
completamente diversa rispetto alla sua più famosa controparte nello Zimbabwe.
Prima di tutto la vista è diversa: ci si può avvicinare all'acqua camminando
lungo un ripido sentiero fino ai piedi della cascata e seguendo stretti passaggi
che sfiorano l'abisso. Uno dei punti in
cui ci si avvicina di più alla cascata è il Knife Edge Point, che si raggiunge
attraversando una passerella che fa drizzare i capelli (ma sicura), passando
attraverso nuvole di spruzzi fino a un'isoletta appuntita in mezzo al fiume. Se
l'acqua è bassa e il vento favorevole, godrete di una magnifica vista delle
cascate e dell'enorme abisso sotto il ponte sullo Zambesi."
Si accede alle cascate attraverso
il Mosi-oa-Tunya NP., il percorso, su questo versante, è più breve, notevole
la location del ponte (secondo obiettivo del viaggio) però ora, con le cascate
asciutte, il passaggio è sicuramente meno turbolento.
In questo periodo, con il fiume
particolarmente secco, è possibile camminare sulle isole saltando da un masso
all’altro fino ad affacciarsi sul bordo del salto. Nelle pozze d’acqua
residua i locali fanno il bagno e sguazzano divertiti, cosa che faremmo
volentieri anche noi (se solo avessimo i costumi) in quanto il caldo è
insopportabile.
Terminata la visita alle Victoria
Falls ci auguriamo di avere l’opportunità di tornare a rivederle in una
stagione diversa.
Concludiamo la giornata con un
bagno in piscina, unico sollievo al caldo.
2
ottobre 07
Dopo aver visto le Victoria Falls
parzialmente secche e valutato che la visione dall’alto potrebbe non essere
entusiasmante decidiamo di rinunciare al sorvolo in elicottero già prenotato
per questa mattina.
Siamo, pertanto, “disoccupati”,
ma poco male… non ci disturba per nulla, considerato anche il gran caldo,
l’idea di passare le “ore buche” all’ombra degli alberi alternando il
totale ozio con piacevolissime sguazzate in piscina.
Nel pomeriggio, essendo la barca di
proprietà del lodge ancora in fase di riparazione, ci dirottano presso Zambesi
Waterfront lodge dove, tra le tante attività proposte, scegliamo di imbarcarci
per la crociera al tramonto comprensiva di cena.
La navigazione sul fiume Zambesi si
riconferma una bella esperienza sia dal punto di vista panoramico che per la
possibilità di avvistare ippopotami, elefanti, coccodrilli ed uccelli che anche
qui abbondano.
Purtroppo la compagnia di una
dozzina di americani vocianti (targati USA) interessati unicamente ad abbuffarsi
e a tracannare litri di birra ed ogni sorta di superalcolici (oltre al buffet
ricco anche il beveraggio è distribuito a volontà) ha guastato un po’ tutto:
un tramonto è magico se assaporato in silenzio, gli animali fuggono se
disturbati da schiamazzi.
Insomma, per parlar chiaro, ma tipi
così che ci vengono a fare in Africa? per ruttare come maiali (con tutto il
rispetto per i suini) e per non vedere oltre il bicchiere?
Mah… davvero non comprendo!
3
ottobre 07
Lasciamo Livingstone per far
ritorno a Lusaka (domani abbiamo il volo di rientro in Italia).
Per questo trasferimento, in
alternativa all’aereo o alla macchina, scegliamo il bus (CR Carrier).
Pur trattandosi della società di
trasporti più puntuale, affidabile e “lussuosa” siamo gli unici turisti, il
bus, che dovrebbe rispettare gli orari indicati in tabella, parte con 2 ore di
ritardo ed è ben lungi dall’essere confortevole (per i nostri canoni), ma
siamo contenti di poter viaggiare come e con i locali condividendo cibo e acqua,
acquistati durante le numerose soste, e tanti sorrisi.
Il viaggio dura tutta la giornata,
dal finestrino non vediamo altro che bush e piccoli villaggi di capanne.
Arriviamo a Lusaka con il buio, il traffico è impressionante, la stazione degli
autobus affollatissima, dopo tanti giorni di isolamento, di silenzi e di spazi
sconfinati, tra i palazzi, le macchine e la folla ci sentiamo soffocare.
L’Hotel
Lusaka, trasandato e sporco, non fa che aumentare il nostro smarrimento.
La stanza che ci è stata assegnata
è un forno, piccola, ci si muove a fatica, sarà davvero dura passarci la
notte, ma, per fortuna, la stanchezza ha il sopravvento e, nonostante il caldo
soffocante, riusciamo ad addormentarci.
4
ottobre 07
Lusaka è una città che non offre
attrazioni, giriamo a piedi per le vie principali senza alcuna soddisfazione,
non c’è neppure la possibilità di fare shopping e acquistare oggetti
d’artigianato locale, c’è solo un gran traffico, tanto smog e fa un caldo
esagerato.
Abbiamo il volo di ritorno nel
pomeriggio, strano, ma vero, siamo contenti di partire, di lasciare Lusaka, per
noi il viaggio “vero” (quello delle grandi emozioni) è terminato nel
momento in cui abbiamo lasciato il South Luangwa N.P.
5
ottobre 07
Dopo 24 ore tra soste in vari
aeroporti e voli effettivi, nel pomeriggio, varchiamo la soglia di casa e,
mentre il corpo riprende le attività di sempre, la testa è ancora in Africa
persa in uno straordinario Carosello di immagini e colori.
FINE
Daniela Bellan