“In
viaggio con Mohammed”
Diario di viaggio 2008
di Mirka
Per
raccontare questo viaggio devo partire da otto mesi prima.
Tutto
è nato leggendo su una rivista un reportage dedicato all’isola di Socotra che
politicamente appartiene allo stato dello Yemen.
Lo
Yemen era da molto tempo nel cassetto dei nostri possibili viaggi, Socotra è
raggiungibile solo dallo stato yemenita, abbiamo pertanto deciso, io e Marco, di
abbinare le due mete.
La
“reputazione” dello Yemen è nota un po’ a tutti, la Farnesina, inoltre,
ne scoraggia le visite, ma,
nonostante tutto, non ci siamo lasciati intimorire. Ho, quindi, iniziato
la ricerca d’informazioni con Internet e per mezzo di
vari forum che, come sempre, si rivelano gli strumenti migliori per
reperire testimonianze, consigli e impressioni direttamente da altri viaggiatori
che hanno già visitato il Paese.
Durante
le ricerche ritrovo Daniela che nel 2005 è stata sia nello Yemen che a Socotra.
In passato avevo già scambiato con lei qualche messaggio per chiedere
informazioni su una diversa destinazione senza
però approfondire la conoscenza, in questa
occasione la cosa invece ha avuto uno sviluppo piacevole ed inaspettato: mail
dopo mail ci siamo reciprocamente raccontate varie esperienze di viaggio
ed è nata un’amicizia virtuale.
Durante
la costruzione dell’itinerario tra Yemen e Socotra (della durata di un mese),
Daniela mi ha molto parlato del villaggio di Shahara, all’epoca non
accessibile ai turisti per motivi di sicurezza come pure la zona di Mareb, mi ha
descritto il remoto villaggio di montagna con l’antico ponte di pietra come un
luogo pieno di fascino augurandomi che, al momento della nostra partenza, fosse
nuovamente visitabile.
Nel
frattempo, sempre cercando informazioni, faccio la conoscenza di Pinuccio e
Doni, anch’essi esperti viaggiatori nonché creatori di un personale sito di
viaggi costruito molto bene.
Pinuccio
e Doni che hanno già visitato lo Yemen nel 2005
ma non l’isola di Socotra, mi dicono che il prossimo Gennaio (2008) ci
torneranno per colmare la “lacuna”, si prospetta così la possibilità di
incontrarci proprio laggiù.
Con
il passare del tempo scopro che Pinuccio, Doni, Sandro e Daniela sono buoni
amici.
I
preparativi per il nostro viaggio proseguono, l’agenzia locale cui abbiamo
affidato l’organizzazione è molto disponibile, modifica e modella
l’itinerario tenendo sempre conto delle mie richieste e risponde puntualmente
ed esaurientemente ad ogni mia domanda.
Non
ci spaventa il sentirci dire da amici e parenti la classica frase retorica
“siete matti, lo Yemen? E’ un paese pericoloso!”. La mia opinione è che,
guardando come ruota oggi il mondo, nessun Paese è poi così sicuro.
Al
momento di prenotare i voli, Yemenia Airways mi comunica che non ha offerte per
Gennaio, cerco, quindi, alternative più economiche trovando una buona tariffa
con la compagnia aerea Turkish Airlines.
A
completamento di tutto, dall’agenzia yemenita, ricevo la notizia che Shahara e
la zona di Mareb sono di nuovo raggiungibili dai turisti.
Sono
molto felice e Daniela è la prima persona con cui condivido
la buona notizia.
Di lì
a pochi giorni, nuovo colpo di scena, Daniela mi scrive più o meno così:
“sono al settimo cielo! Approfittando dell’ottima tariffa area da te
trovata, Sandro ed io abbiamo deciso che, insieme a Pinuccio e Doni, torneremo
nello Yemen ed a Socotra”.
Marco
ed io rivoluzioniamo il nostro giro, anticipando l’escursione a Shahara
abbiamo l’opportunità di passare i primi giorni di vacanza insieme agli amici
“milanesi”.
Daniela
e Sandro partiranno il giorno 7 Gennaio con noi, mentre Doni e Pinuccio,
vincolati alle date per esigenze di lavoro, ci raggiungeranno a Sana’a il
giorno seguente con il volo Yemenia.
L’adrenalina
e la voglia di conoscerci è per tutti e sei molto forte, sapere che andrò a
Shahara con Daniela, che in tanti
mesi mi ha augurato che la riaprissero
ai turisti, per me ha un valore ancora maggiore.
Finalmente
giunge il fatidico giorno: l’appuntamento con Daniela e Sandro è
all’aeroporto Malpensa di Milano. E’
un grande piacere incontrarsi di persona, l’impressione che proviamo è quella
di conoscerci già da molto tempo.
La
voglia di iniziare l’avventura è molta.
07/01/2008
Milano-Istanbul
Alle
11 l’aereo decolla e quella sensazione particolare che si avverte nel momento
in cui si stacca da terra mi procura una
grande gioia dentro e mi rende consapevole che esattamente da ora ha inizio il
viaggio tanto desiderato. Atterriamo a Istanbul alle 14,45 ora locale, dopo aver
riflettuto su cosa fare, decidiamo di prendere un taxi e di farci portare nella
zona centrale di Sultanahmet, il tempo a nostra disposizione si riduce a
pochissime ore, il tassista sostiene che per il troppo traffico dovremo fare una
corsa veloce, il timore di perdere
il volo successivo ci fa essere molto prudenti.
Istanbul
anche sotto un cielo grigio si
presenta molto bella, la sensazione è quella di trovarsi in una città che per
metà è occidentale e per l’altra metà è araba in un mix di culture e
religioni. Costeggiamo il mare di Marmara arrivando proprio davanti alla Moschea
Blu e alla ex Cattedrale di Santa Sofia, sono di uno splendore unico, purtroppo
non riusciamo a visitarle all’interno: Santa Sofia è già chiusa mentre per
la Moschea Blu è il momento della preghiera, ci accontentiamo di osservare gli
edifici dall’esterno poi decidiamo di rientrare all’aeroporto Ataturk
restando a raccontarci delle nostre vite seduti
ai tavolini di un Caffè.
Alle
20 lasciamo Istanbul, la stanchezza
prevale su tutti noi.
Atterriamo
nello Yemen in piena notte, ad attenderci all’aeroporto internazionale di
Sana’a ci sono Mohammed e Abdull i nostri driver, entrambi parlano
discretamente l’italiano. Rimaniamo colpiti dagli occhi azzurri di Mohammed,
sentendo pronunciare il suo nome la mente mi riporta a un mese prima della
partenza quando lessi il libro “In viaggio con Mohammed”: trovo questa
coincidenza molto simpatica!
Data
l’ora tarda ci accompagnano velocemente al funduq Arabia Felix che si trova
nel cuore della old Sana’a, strada facendo ammiriamo l’architettura
meravigliosa delle case di questa città unica al mondo rimandando a
domani la gioia di scoprirla e gustarla con la luce e il sole.
08/01/2008
Sana’a
La
nostra prima giornata nello Yemen inizia intorno alle 5,
a svegliarci è la voce del muezzin che,
attraverso i megafoni dei minareti, richiama i fedeli alla preghiera,
provo una sensazione particolare nel sentirne la cantilena,
mi alzo, mi affaccio alla finestra e ammiro la città che lentamente si
sta svegliando. Osservo il panorama estasiata e sono felice di trovarmi immersa
nella magia di questo Paese arabo.
Ci
trasferiamo poi nel piccolo giardino dell’hotel per la colazione a base di
pregiato miele yemenita, chai, yogurt, marmellata, formaggio e pane buonissimo.
Ci
diverte la conoscenza di un simpatico cameriere
che si lancia in scherzi ed a pronunciare alcune parole in italiano, noi
contraccambiamo – aiutati dal manuale di conversazione - con brevi frasi in
arabo.
L’Arabia
Felix è un delizioso funduq, familiare e ospitale, ricavato in una tipica casa
a torre, ha un grazioso giardino interno, finestre
in alabastro ed altre con vetri colorati.
Nell’euforia
generale riusciamo a sorridere anche per lo sforzo immane compiuto poco fa per
salire gli alti gradini delle scale interne.
Mentre
siamo ancora seduti a tavola arriva Mohammed, indossa la futa (tipica
“gonna” degli uomini yemeniti) e la jambiya (pugnale con la punta ricurva).
In
sua compagnia abbiamo il piacere di fare la nostra prima uscita a Sana’a.
Ci
incamminiamo percorrendo uno dei ponti che scavalcano lo
wadi: solco/canale, ora in
secca, che attraversa la città ed è utilizzato quale strada mentre durante la
stagione delle piogge si trasforma in un fiume.
L’ospitalità
della popolazione è fin da subito evidente ai nostri occhi, tutti ci salutano
augurandoci “Welcome to Yemen”.
Arrivati
negli uffici della Universal, dopo mesi di ininterrotta comunicazione, Haitham,
il referente con cui ho sempre comunicato, è davanti a me. E’ stata talmente
fitta la nostra corrispondenza che, divertito, mi mostra tutte le
mail scambiate che ha stampato e impilato
in una cartella, alta almeno una spanna, che porta il mio nome.
Saldiamo
ognuno il proprio corrispettivo, poi Haitham
ci invita a chiamarlo, in caso di necessità, al suo numero di cellulare,
ci informa anche che periodicamente sarà lui stesso a mettersi in contatto con
noi per sapere se va tutto bene.
Condivideremo
con Daniela, Sandro, Pinuccio e Doni i prossimi due giorni in escursione a
Shahara, rientrati a Sana’a le nostre strade si divideranno: loro 4
trascorreranno una settimana di vacanza a Socotra dopo di che rientreranno in
Italia, Marco ed io gireremo prima tutto lo Yemen poi anche noi finalmente
voleremo a Socotra.
Mohammed
si trattiene negli uffici della Universal, ci salutiamo dopo aver preso accordi
per la partenza di domani mattina.
Questa
sera arriveranno Pinuccio e Doni con il volo
Yemenia, finalmente li conosceremo, il gruppo sarà al completo ed
emotivamente carico per l’escursione a Shahara.
Con
Sandro e Daniela ci addentriamo nei vicoli della old Sana’a camminando per la
maggior parte del tempo con il naso all’insù,
nonostante per loro sia la seconda volta nello Yemen hanno il nostro
stesso entusiasmo nell’ammirare tanta bellezza architettonica.
E’
come trovarsi all’interno di una fiaba, le case sembrano fatte di biscotto e
guarnite con la glassa, hanno finestre con lastre di alabastro o vetri di vari
colori con motivi geometrici, sono vere opere d’arte, ma la bellezza non è
tutta qui perché a fare da cornice all’architettura c’è un popolo
sorridente, gioviale e molto ospitale, con gli abiti tradizionali e la famosa
jambiya portata con vero orgoglio senza mai dare la sensazione di arma da
difesa, anzi tutt’altro, il
pugnale viene utilizzato come appoggia braccia o come appendino per il Qat o per
altre mercanzie, è l’equivalente di un ornamento quale la cravatta per noi
occidentali.
E’
sorprendente la cordialità e la voglia di comunicare degli yemeniti nonostante
la difficoltà della lingua.
La
maggior parte della gente conosce solo l’arabo, al massimo poche parole in
inglese, io penso che, a volte, aprendo il cuore si possano superare molte
barriere, trovo che gli occhi siano
il mezzo più speciale per comunicare con il cuore.
Sono
attratta dai tanti negozietti che vendono i tradizionali abiti neri indossati
dalle donne, con l’aiuto di Daniela ne scelgo uno con bei ricami sulle maniche
e sul davanti, acquisto anche il velo e insieme decidiamo in che modo utilizzare
il mio nuovo look per uno scherzetto ai danni di Pinuccio.
Arriviamo
a Bab al Yemen, antica porta di
accesso alla città di Sana’a, la piazza antistante è gremita di gente: c’è
chi vende mercanzie di ogni genere, chi pranza, chi beve il chai, chi è intento
alla trattativa per l’acquisto del Qat e chi ha già iniziato il rito della
masticazione.
Pranziamo
appena fuori la porta, in un piccolo ristorantino affollato di soli uomini.
Mangiamo
il pane che viene servito ancora caldo su fogli di carta di giornale, pollo,
riso speziato con cardamomo, curry, chiodi di garofano e cannella e uno stufato
di verdure, tutto buono, per finire ci gustiamo uno squisito frullato di frutta
fresca.
Ci
fermiamo a Bab al Yemen ad osservare il passaggio di tanta gente in movimento ed
ogni persona mi incuriosisce soprattutto per il tradizionale abbigliamento.
Mi
avvicino ad un gruppo di venditori di Qat che passano agli acquirenti piccoli
mazzetti verdi perché ne valutino
freschezza e qualità, subito mi chiedono di essere fotografati
orgogliosi di esibire ognuno il proprio mazzetto verde.
La
generosità degli yemeniti è commovente, mi
offrono un rametto per provare la specialità della loro terra, mastico alcune
foglie senza sentire un gusto eccessivamente amaro come
immaginavo.
Lungo
la via principale del suq che porta a Bab al Yemen, c’è un antico Samshara
(caravanserraglio) entriamo e, anche se ora ci sono negozietti di argento e
antichità, si percepisce ancora ciò che l’edificio era in un passato molto
lontano.
I
caravanserragli ospitavano i mercanti ed i loro animali, hanno un cortile
interno a forma di ferro di cavallo, ai
piani superiori ci sono le camere che accoglievano i mercanti mentre al pian
terreno venivano ricoverati gli
animali e le merci.
Attraverso
una ripida scalinata raggiungiamo l’ampia terrazza riuscendo a scattare belle
foto all’insieme dei palazzi che caratterizzano la città vecchia.
Nel
tardo pomeriggio visitiamo l’Old Sana’a Palace,
antico funduq che all’ultimo piano ospita una stupenda terrazza da dove
si gode di una delle più belle panoramiche sull’intera città.
Dopo
la faticosa salita di un numero imprecisato di altissimi gradini, ci rilassiamo
nella mazar (attico) gustando un buon chai speziato con cannella e cardamomo,
una vera delizia per il palato.
Attendiamo
l’ora del tramonto parlando, con Daniela e Sandro, di viaggi e di tante altre
belle cose.
Ad
un certo punto, rientrati nella realtà, ci rendiamo conto che è buio,
facciamo mente locale che intorno alle 19,30 arriveranno Doni e Pinuccio,
dobbiamo abbandonare il “salotto”, il tè,
le chiacchiere e tornare al più presto in hotel.
Rientrati,
io e Marco siamo in camera ignari dell’arrivo di Pinuccio e Doni, poi
scendendo le scale scopro che sono già arrivati, per non farmi vedere corro in
cucina, ho con me l’abito nero ed anche il velo, chiedo all’ amico
cameriere di aiutarmi a portare a compimento lo scherzo architettato.
Indosso
la tunica nera sopra i miei abiti, mi faccio aggiustare il velo ed ecco che in
meno di un minuto mi sono trasformata in una perfetta donna araba.
Tenendoci
per mano come due innamorati
raggiungiamo il cortiletto dove si trovano Marco, Sandro, Daniela, Doni e lui,
Pinuccio, la “vittima” designata del nostro scherzo.
Con
disinvoltura ci avviciniamo a Pinuccio e con la dolcezza di una donna araba gli
dico “Welcome to Yemen”, il suo viso è tutto un programma, è imbarazzato,
guardando il nostro amico cameriere risponde quasi timidamente “Thank
You!” a quel punto mi tolgo il velo e vedendo la sua espressione spaesata
scoppiamo tutti a ridere. Lui, Pinuccio, che per tanti mesi ha scherzato con me
e Daniela vantandosi delle tante donne
(ventenni!) che non resistono al suo fascino ed io che lo canzonavo sostenendo
che, una volta arrivati nello Yemen, avrebbe dovuto nascondere le sue
irresistibili doti sotto abito e velo neri per impedire gli assalti in massa di
dozzine di bellissime (e giovanissime!) donne arabe, ora è qui davanti a noi
con l’aria smarrita e di chi ammette di aver abboccato al perfetto e ben
riuscito scherzo.
E’
stato veramente divertente farlo
rimanere a bocca aperta.
Ora
siamo al completo, carichi come molle usciamo, siamo estasiati dalla bellezza di
Sana’a in notturna, è una magia continua, le luci dei lampioni irradiano un
caldo colore arancio, lo spettacolo delle finestre illuminate, dei vetri
colorati e delle sottili lamelle di
alabastro regalano alla città un’atmosfera veramente fatata.
Raggiunto
un ristorante vicino alla piazza Midan at-Tahrir, ceniamo gustando dell’ottimo
pesce al forno, verdure, salse varie, patate fritte e l’immancabile pane
appena sfornato che viene cotto su piastre di metallo o nei forni di argilla, è
una sfoglia circolare con bolle croccanti e bruciacchiate, simile alla pizza
bianca, viene spezzato con le mani e mangiato caldo perché una volta
raffreddato diventa gommoso. Si trovano anche altri tipi di pane, ma questo
dalla forma circolare è il più buono in assoluto.
Dopo
cena girovaghiamo per le vie di Sana’a come se fossimo sei vecchi amici che si
sono ritrovati dopo tanto tempo, rientriamo all’Arabia Felix e, prima di darci
la buonanotte, ci sediamo nel piccolo giardino dell’ingresso ricordando la
casualità con cui ci siamo conosciuti.
09/01/2008
Sana’a-Shahara
Mi
sono svegliata con la gioia nell’avere la certezza che proprio oggi andremo a
Shahara.
Scendiamo
a fare colazione e ci sono già Mohammed e Abdull, ci spiegano che oggi, secondo
il calendario islamico è il primo giorno dell’anno, ci fa piacere essere qui
in questa data particolare.
Partiamo
con due jeep Toyota Land Cruiser, noi con Mohammed ed il resto della
“truppa” con Abdull.
Pinuccio
e Doni, essendo ottimi pasticceri, hanno avuto il buon pensiero di portare
dall’Italia un panettone artigianale da mangiare insieme questa stasera a
Shahara.
Appena
usciti dalla città ci fermiamo al posto di blocco dove ci attende la scorta che
ci accompagnerà per i prossimi due giorni. Sono sette uomini con un pick-up ed
un mitragliatore nel cassone.
Lasciamo
Sana’a e poco fuori ci fermiamo per ammirare il vicino villaggio di Benin
Maimun costruito in pietra lavica.
Arrivati
al villaggio di Amran facciamo una sosta per visitarlo. Ci addentriamo nei
vicoli, le case sono costruite in adobe cioè con mattoni di fango e paglia, si
respira un’aria antica e la gioiosità dei bambini è un aspetto che mi
colpisce sempre ed in ogni luogo del mondo da noi visitato.
Lasciato
il bel villaggio di Amran, lungo la strada ci fermiamo in un piccolo ristorante,
pranziamo all’aperto; assaggio la salta, un tipico stufato yemenita a base di
frattaglie di carne, verdure e fieno greco che dona alla pietanza un aroma
particolare. E’ cotto in un tegame di pietra, quando viene servito è rovente,
ma non l’ho trovato gustoso al mio palato.
Finito
di pranzare chiedo ai poliziotti se è possibile scattare una foto in loro
compagnia, accettano entusiasti e mi fanno salire sul cassone del pick-up, mi
adornano mettendomi intorno al collo i nastri dei proiettili e dopo avermi messo
in mano anche il mitragliatore sono pronta per le fotografie: un ricordo da
portare a mio padre anche se mi
chiedo cosa potrà pensare quando vedrà queste foto.
Questo
è lo Yemen, con jambiye, kalashnikov, pistole e quant’altro ma tutto portato
solo come simbolo e non con l’intento di ferire o sparare.
In
tutto lo Yemen è possibile acquistare armi molto antiche, soprattutto nel nord
del paese la maggioranza degli uomini è armata di kalashnikov.
Riprendiamo
la marcia, i poliziotti hanno già con sé il Qat e iniziano il rito della
masticazione.
Poco
dopo, Mohammed – che, invece, è sprovvisto, si ferma al mercato del Qat di un
piccolo villaggio e, dopo attenta selezione,
lo acquista. Ripartiamo.
Arrivati quasi a Huth lasciamo la strada asfaltata seguendo una pista che ci
condurrà fino al punto di partenza della salita per Shahara, piccolo villaggio
che si trova a quasi 3000 mt di altitudine.
Mohammed
lava il Qat con una bottiglia d’acqua, inizia, quindi, a masticare offrendolo
anche a noi, accettiamo con curiosità per capire quali siano gli effetti di
questo arbusto miracoloso. Ci spiega che vanno masticate solo le foglie più
tenere e i germogli, poi ci guarda e dice “Marco, Mirka da questo momento noi
tre siamo buoni amici”.
Gli
yemeniti apprezzano molto se si partecipa al rito della masticazione.
Questo
arbusto (catha edulis) dal sapore leggermente amarognolo è per la quasi totalità
degli yemeniti un elemento fondamentale nella
vita quotidiana, molti dedicano
interi pomeriggi alla masticazione
delle sue tenere foglie, a volte il
“rito” si protrae anche fino a tarda notte.
I
suoi effetti non sono percepibili a livello di stordimento della mente, non
provoca uno sballo come altre droghe, si
ha semplicemente la sensazione di stare bene, di essere di buon umore e non si
sentono né la fatica nè la fame, io non lo definirei neppure droga, anche se
perseverare nel consumo potrebbe creare dipendenza psicologica, come la
sigaretta.
Proseguiamo
lungo la pista, in lontananza, sulla cresta degli alti monti,
si scorgono le casette del villaggio di Shahara.
Arriviamo
fino ad un punto dove ci sono uomini con vecchissimi pick-up Toyota cassonati,
saranno
loro a condurci in cima e fino al villaggio.
Salutiamo
Mohammed e Abdull che si fermano nel vicino villaggio e torneranno domani a
riprenderci.
Saliamo,
io e Marco, su un pick-up, Daniela,
Sandro, Pinuccio e Doni su un
altro, inizia l’arrampicata sulle alte montagne, la stretta mulattiera è
piena di buche e grandi sassi, il percorso è impegnativo, bisogna tenersi ben
saldi per rimanere in equilibrio sul cassone e attutire meglio i colpi.
Il
panorama intorno a noi è stupendo, le montagne terrazzate sono interamente
coltivate a Qat, man mano che si sale, la visuale sugli strapiombi è molto
suggestiva. Dopo circa due ore arriviamo al villaggio di Shahara, i primi ad
accoglierci sono bambini che subito si offrono per accompagnarci l’indomani al
ponte.
Posiamo
i pochi bagagli che ci siamo portati e giriamo per le viuzze del villaggio
accompagnati dai molti bambini.
Il
cambiamento di altitudine e la stanchezza si fanno sentire, ma non ci
impediscono di godere dello spettacolo di un tramonto
dai quasi 3000 m di altitudine di questi imponenti monti.
Ceniamo
al funduq poi saliamo sulla terrazza e dopo poco, quando gli occhi si sono
abituati al buio, lo spettacolo che si presenta a noi è magnifico, il cielo è
illuminato da una infinità di stelle, le vedo talmente vicine che ho la
sensazione che allungando una mano potrei anche toccarle.
Abbassando
lo sguardo vedo solo le piccole luci delle casette che
forano il buio della notte come in un presepe. Rientrati a causa del
vento freddino che si è alzato, ci raduniamo in una saletta a parlare mangiando
il panettone portato fin quassù da Doni e Pinuccio.
10/01/2008
Shahara-Sana’a
Ci
svegliamo di buon’ora e dopo aver fatto colazione lasciamo il funduq. L’aria
della mattina a questa quota è pungente.
Accompagnati
dai bambini attraversiamo il villaggio e arriviamo ad una cisterna dove le donne
riempiono secchi filtrando
l’acqua con una tela di cotone.
Lasciamo
il villaggio seguiti da due ragazzini, dopo circa un quarto d’ora di
camminata, con il sole che inizia a
scaldarci, arriviamo al tanto
desiderato ponte di pietra, rallento il passo e sgrano gli occhi estasiata dalla
sua bellezza.
Lo
contemplo in ogni suo blocco di pietra color nocciola dall’aspetto lucido.
Il
ponte fu costruito nel XVII secolo d.C. per unire due villaggi separati da una
profonda gola. L’adrenalina per questo momento tanto atteso è per tutti
palpabile, io e Daniela, in particolare, ci guardiamo e con orgoglio
reciproco diciamo “obiettivo raggiunto! Eccoci sul magico ponte di Shahara”.
La
simpatia dei nostri due giovani accompagnatori ci rende ancora più felici, una
volta attraversato il ponte ci salutano continuando a chiamarci, udiamo a lungo
l’eco delle loro voci.
Proseguiamo
il trekking accompagnati da un altro ragazzo che ci guiderà lungo tutto il
percorso e fino al villaggio sottostante.
Il
sole è splendente, il caldo si fa sentire, il trekking è abbastanza
impegnativo, scendiamo lungo uno stretto sentiero pietroso, a tratti ci sono
pareti di sola roccia e bisogna prestare particolare attenzione per non
scivolare. Vediamo alcune aquile librarsi nel cielo, osservandole penso che
potrei aprire le braccia e volare insieme a loro.
Dopo
circa tre ore di trekking arriviamo sfiniti e sudati ad un minuscolo villaggio,
qui troviamo i pick-up che ci
riportano al punto di partenza dove Mohammed e Abdull ci stanno aspettando.
Stanchi,
ma appagati dalla stupenda avventura ci rinfreschiamo all’ombra di un’acacia
mangiando una fetta anguria.
Riprendiamo
la pista per rientrare a Sana’a masticando Qat con Mohammed.
Al
nostro arrivo, l’ospitalità dei ragazzi dell’Arabia Felix è sorprendente.
Dopo
una meritata doccia usciamo e la magia di Sana’a è nuovamente una sorpresa
per noi.
Felici,
ma nello stesso tempo tristi al pensiero che da domani ci si divide, andiamo a
cena in un piccolissimo e stretto localino dove servono panini con kebab o con
uova e pomodoro e gustosi frullati
di frutta fresca.
Domattina
gli amici milanesi partiranno molto presto per Socotra, ci salutiamo con il nodo
in gola, ci rattrista doverli lasciare, ma ci promettiamo reciprocamente di
rivederci presto in Italia.
11/01/2008
Sana’a-Mareb (dighe e templi
Sabei)
Sono
circa le 7,30, stiamo facendo
colazione, arriva Mohammed, si
siede con noi e si serve il chai, quando ad un tratto sentiamo giungere delle
voci conosciute, solleviamo lo sguardo e scorgiamo Pinuccio e Doni che, con aria
arrabbiata e addolorata, ci mettono al corrente della brutta situazione nella
quale si sono venuti a trovare.
All’aeroporto
di Sana’a, la compagnia aerea Yemenia non ha potuto imbarcarli sul volo per
Socotra perché l’agenzia viaggi italiana utilizzata per l’acquisto dei
biglietti non ha riservato i posti come invece avrebbe dovuto fare, l’aereo
era pieno e Yemenia non ha potuto rimediare alla grave mancanza in alcun modo
lasciandoli, di conseguenza, a terra.
Daniela
e Sandro, che per l’acquisto dei biglietti hanno utilizzato una diversa
agenzia, sono invece partiti regolarmente senza sapere cosa ne sarebbe stato
degli amici. Tra l’altro, a Socotra non c’è linea per i cellulari al dì
fuori di quella nazionale.
A
distanza di pochi minuti, al telefono dell’Arabia Felix, ci chiamano Daniela e
Yayha (loro guida a Socotra),
parlano al telefono con Pinuccio suggerendogli di tentare di prendere il volo
del lunedì successivo in partenza da Aden.
Mohammed
propone loro di recarsi anche presso gli uffici di Universal per le prenotazioni
e per rimediare in qualche modo, propone anche di aggregarsi a noi
e di partire verso il deserto per prendere poi
il volo per Socotra il venerdì successivo, ma non potendo ritardare di
una settimana il rientro in Italia per impegni di lavoro, Doni e Pinuccio sono
costretti a rinunciare a quest’ultima proposta.
Li
accompagniamo davanti agli uffici dell’agenzia ad attendere che arrivi un
referente, ma oggi è venerdì, l’equivalente della nostra domenica, ed è
tutto più rallentato.
Ci
salutiamo davanti al cancello in modo frettoloso perché entro le ore 9 noi
dobbiamo essere al posto di blocco dove ci attende la scorta che ci seguirà
fino a Mareb.
Ci
accordiamo per tenerci in contatto ed aggiornarci su eventuali sviluppi tramite
SMS.
Poco
prima delle 9 arriviamo al posto di blocco fuori Sana’a e dopo poco partiamo.
Nonostante
la scorta, che ci segue con un pick-up, all’incirca ogni
30 km c’è un posto di blocco dove Mohammed ha l’obbligo di
consegnare un foglio di permesso per confermare l’avvenuto passaggio di due
turisti.
Il
paesaggio è arido e sassoso, man mano che proseguiamo lungo la dritta strada
passiamo attraverso tratti di distese di sabbia desertica.
Mohammed
ci dice sorridendo che questa zona è, per noi,
come una prigione perché
essendo il deserto terra di nessuno siamo costretti a muoverci esclusivamente
con la scorta; alcuni episodi di sequestro ed un attentato non hanno certo
migliorato la situazione, ora lo Stato ha ristretto la libertà di circolazione
ed, inoltre, la sera, a Mareb, si è costretti
a rimanere chiusi in hotel.
Arriviamo
nella citta di Mareb, alle porte del deserto di sabbia, anche qui quasi tutti
gli uomini portano il kalashnikov in spalla.
Arrivati
all’Hotel Bilquis Mareb fa molto caldo, ci rilassiamo per
un po’ di tempo in
piscina, poi pranziamo e ci sdraiamo all’ombra di un albero a masticare Qat
con Mohammed e altri driver.
Intorno
alle 15 lasciamo l’hotel scortati e andiamo a visitare l’antica diga: Great
Mareb Dam, costruita presumibilmente nel VΙΙΙ secolo
a.C.
All’epoca
dei Sabei la diga era un’importante opera d’ingegneria idraulica,
irrigava un’area di 70 kmq di deserto ed era una fonte d’acqua per
gli antichi popoli.
Di
questa struttura ora rimane ben poco e, purtroppo, non si percepisce affatto la
grandiosità che ebbe in passato.
Lasciata
l’antica diga, poco distante, troviamo la bella New Dam, nuova diga, costruita
nel 1986. Solo guardando quest’ultima ci si può rendere conto di ciò che
poteva essere stata in passato la Great Mareb Dam, dato che la nuova è tre
volte più piccola.
Ci
spostiamo ancora e arriviamo al Mahram Bilquis, Tempio del Sole, dove
nell’antichità veniva venerato il Dio Sole, il tempio pare che risalga almeno
all’VIII secolo a.C. ed è il più grande di tutti i templi Sabei. Anche qui
non restano altro che poche rovine. Osservando le otto colonne alte 9 m penso a
come poteva essere, il tempio, in passato e nel pieno del suo splendore.
Spostandoci
ancora di poco arriviamo all’Arsh Bilquis, chiamato anche Tempio della Luna o
Palazzo di Bilquis, qui emergono dalla sabbia più reperti archeologici, saliamo
sui dodici gradini che portano al tempio delle cinque colonne e mezzo molto ben
conservato, gli archeologi
ritengono che sia stato costruito
nel II millennio a.C. prima dell’epoca Sabea.
Lasciato
il sito, andiamo a visitare la vecchia città di Mareb fondata prima del I
millennio a.C., anche qui si respira un’aria d’antichità, quello che rimane
è poco anche a causa dei danni provocati dai bombardamenti durante la guerra
civile del 1962.
Ammiriamo
il tramonto da questo luogo carico di mistero.
Rientrati
in hotel scatta per noi turisti il coprifuoco, dopo cena ci accomodiamo nella
hall dell’hotel a giocare a scala quaranta con Mohammed.
12/01/2008
Desert
Ramlat as Sab’atayn
Svegliarsi
con la consapevolezza che oggi ci addentreremo nel deserto è una bella
emozione!
Lasciamo
l’hotel intorno alle 8, con noi c’è anche Ali, la scorta beduina, che a
bordo di un pick-up ci guiderà nell’attraversata del deserto di sabbia.
Facciamo
una breve sosta nella piccola e polverosa città di Mareb per acquistare i
viveri e il Qat necessari per la nostra avventura nel deserto.
Poco
fuori Mareb iniziano le dune di sabbia, arrivati a Safir lasciamo la strada
asfaltata, il paesaggio desertico è interrotto solo da alcuni pozzi di
petrolio.
Sgonfiamo
le gomme della jeep e del pick-up di Ali per avere più aderenza sulla sabbia,
si parte per questa fantastica avventura.
Il
deserto Ramlat as Sab’atayn non ha dune molto alte, ma ugualmente è
emozionante.
Ali
ci precede facendo da apripista, ogni tanto scendiamo con le jeep dalle creste
delle dune più alte. Anche se si tratta di un deserto prevalentemente piatto
l’emozione e la sensazione d’infinito che regala è unica.
Intorno
alle 12 lasciamo le dune e proseguiamo ai margini del deserto fino ad arrivare
alla città fantasma di Shabwa situata nel wadi Arma.
Si
pensa sia stata fondata intorno al 1200/1500 a.C., fu un importante punto di
sosta per le carovane di cammelli che attraversavano il deserto, i carovanieri
– al loro passaggio - erano obbligati a pagare un dazio.
Parte
di questa città fantasma è ancora sepolta sotto la sabbia e l’aria che vi si
respira è carica di mistero. Esploriamo ciò che ne rimane, mentre Mohammed e
Ali preparano il pranzo.
Ali
passa il kalashnikov a Marco (un AK-47), ci divertiamo come bambini scattandoci
foto e simulando azioni di guerriglia, ma con la consapevolezza di avere tra le
mani un’arma pesante e pericolosa.
Pranziamo
all’ombra di un muro dell’antica città, con pane, tonno, pomodoro e
cipolla, poi avvolti in quest’atmosfera misteriosa mastichiamo Qat. Ali parla
solo arabo, Mohammed traduce per noi, e racconta che un solo beduino nel deserto
vale più di cento soldati.
Alle
16 lasciamo Shabwa. Guardandomi indietro un’ultima volta, stampo nella mia
mente l’immagine di questo luogo dal fascino particolare.
Seguiamo
la pista fino ad imboccare un tratto di strada asfaltata per poi rientrare nel
deserto sabbioso. Alla mia destra, in lontananza, vedo le pareti rocciose di un
canyon, mentre tutto attorno solo dune di sabbia. Ci addentriamo ancora e poco
prima del tramonto ci accampiamo per la notte in un avvallamento tra le dune.
Rimaniamo
soli, io e Marco, sulla cresta di una duna, seguiamo il calare del sole
ammirando le tonalità di rosa che assume tutto ciò che ci circonda.
Ali
nel frattempo ha acceso il fuoco con la legna portata da Mareb.
Trascorriamo
la notte seduti intorno al fuoco, mangiando e bevendo chai. Mentre Ali mastica
Qat a lungo e lentamente, lo osservo ed il profilo del suo viso mi diverte: è
deformato dalla grossa palla di Qat masticato
ed il suo sguardo esprime beatitudine.
Ci
infiliamo nei sacchi a pelo ammirando incantati il mare di stelle che, per
questa notte, sarà il nostro tetto, nel silenzio assoluto ringrazio Allah per
questa giornata.
13/01/2008
Desert
Ramlat as Sab’atayn-Wadi Hadramawt
Siamo
talmente immersi nella magia del deserto che ci svegliamo quando il sole ha già
regalato i colori dell’alba.
Ali
è rimasto sveglio tutta la notte con al fianco il suo fedele kalashnikov.
Prepara
il chai facendo bollire l’acqua in un barattolo di latta, facciamo colazione e
dopo aver passeggiato tra le dune riprendiamo il cammino fino a lasciare il
deserto ed entrare nell’Hadramawt.
Percorriamo
una dritta strada asfaltata arrivando ad un bivio che a destra conduce ad
Al-Mukalla mentre, proseguendo dritto verso est, entra nel wadi Hadramawt.
Salutiamo
Ali dopo la sosta in un chiassoso ristorante, lo ringraziamo per averci fatto
vivere questa bella avventura.
Avanziamo
all’interno del canyon ammirando le grandi e belle pareti di roccia che lo
fiancheggiano, sul fondo dello wadi ci sono palme da dattero e campi coltivati a
frutta, cereali e tabacco.
Vediamo
le prime tipiche donne dell’Hadramawt con i vestiti neri ed il caratteristico
cappello di paglia conico (il madhalla): sembrano le streghe di alcune fiabe.
Il
wadi Hadramawt è lungo oltre 165 km, la sua larghezza va da 700 mt a un massimo
di 12 km.
Proseguendo
lungo la strada per altri 40 km arriviamo a Shibam, definita la Manhattan del
deserto, è situata all’interno del wadi come tutti i villaggi dell’Hadramawt,
fu costruita nel IV secolo a.C. ed è patrimonio mondiale dell’Unesco.
Varcate
le mura che racchiudono la città, un agglomerato di palazzi di 7/8 piani
costruiti in mattoni di fango e paglia rivestiti esternamente con il gesso, c’è
una piccola piazzetta dove vediamo uomini che giocano a domino e bevono chai. Ci
addentriamo a piedi nelle viuzze ammirando l’architettura delle
caratteristiche case a torre.
E’
una meraviglia lasciarsi trasportare dall’allegra compagnia dei tanti bambini
e dalle caprette che girottolano o rimangono coricate all’ombra dei palazzi.
Lasciata
Shibam, dopo pochi chilometri, giungiamo al Al-Hawta Palace Hotel, un
incantevole hotel costruito interamente in fango e argilla, circondato da un bel
giardino con palme da dattero che ospita una piscina dove la sera grossi
pipistrelli volano a pelo d’acqua.
Dopo
una meritata doccia usciamo a pranzare con Mohammed, passiamo da un divertente
mercato del Qat, facciamo scorta e rientriamo in hotel ritirandoci nella nostra
camera a masticare fino a poco prima del tramonto.
Masticare
Qat oramai è diventato anche per noi un rito quotidiano (quasi!) che
condividiamo con Mohammed entrando in perfetta e completa armonia.
Mohammed
ci racconta della sua splendida famiglia, ha moglie e tre figli, ci promette che
al rientro a Sana’a ci porterà a casa sua per farceli conoscere e per passare
un po’ di tempo con loro.
La
simpatia reciproca che nutriamo sta sfociando in una amicizia, siamo felici di
questo.
Arriviamo
a Seyun prima del tramonto, il muezzin sta richiamando i fedeli alla preghiera
ed è divertente vedere come i negozianti si affrettino a concludere o a
rimandare un affare per correre alla moschea a pregare.
Ci
fermiamo tutti e tre a Seyun, curiosando nel suq. Entriamo in un botteghino dove
assaggiamo il buonissimo miele dell’Hadramawt che ha una consistenza solida,
simile al caramello, ed è considerato il migliore al mondo.
Ceniamo
e rientriamo al Al-Hawta Palace Hotel dove ci attardiamo a giocare a scala
quaranta come tre grandi giocatori.
14/01/2008
Tarim-Seyun-Shibam(Wadi
Hardamawt)
Dopo
l’ottima colazione fatta nella nostra dimora regale andiamo verso est.
Superata Seyun, arriviamo a Tarim che nell’antichità fu capitale dell’Hadramawt
e anche un importante centro di teologia islamica.
Visitiamo
Al-Kaf Palace, antico palazzo di uno sceicco che
presenta un miscuglio di stili, al suo interno si possono ammirare bellissime
finestre dai vetri colorati, un vero splendore!.
Giriamo
per la città, anche qui, come negli altri villaggi dell’Hadramawt, i palazzi
sono di fango, facciamo una fugace visita alla libreria, arriviamo alla grande
Al-Muhdar Mosque il cui colore bianco ci abbaglia. Il minareto è alto quasi 40
mt ed è il più alto dello Yemen.
Tornati
a Seyun, visitiamo il Sultan’s Palace, bello, bianco, imponente e con
l’aspetto di una torta nuziale, all’interno c’è un ricco museo che
custodisce collezioni e reperti molto antichi.
Girando
per il suq ammiriamo anche le tombe
di Al-Habshi e la Al-Haddad Mosque.
All’interno
di un negozio che espone i tradizionali abiti neri c’è una giovane donna, mi
avvicino e chiedo se mi aiuta a
sceglierne uno per me, lei mostra disagio e, compresone il motivo, chiedo a
Marco di lasciarci sole. Mi squadra, sceglie tra i tanti abiti e me ne porge uno
con bei ricami, sorrido e lo indosso sopra i miei vestiti, lei mi osserva e mi
fa capire che è perfetto, le stringo la mano e la ringrazio molto per avermi
aiutato.
Da
questo momento l’abito nero costituirà il mio abbigliamento per tutto il
viaggio.
Pranziamo
vicino al palazzo del sultano, alcune donne si avvicinano incuriosite dal mio
abito nero, la cosa le diverte e io ne approfitto per chiedere loro se posso
scattare una foto, alcune rifiutano, ma due di esse, guardandosi intorno con
aria furtiva, sollevano il velo offrendo i loro meravigliosi volti al mio
obiettivo.
Torniamo
a Shibam per visitare una tipica casa a torre. Giriamo senza meta per le
polverose e animate vie, ci lanciamo anche nella contrattazione di qualche pezzo
di antichità, il tempo scorre talmente veloce che facciamo tardi per andare a
vedere il tramonto da fuori le mura. Sappiamo di aver perso una bella visione ma
siamo ripagati dalla cordialità ricevuta dalla gente.
Ceniamo
in hotel, decidendo poi tutti e tre di andare a dormire subito dopo in modo da
poter partire presto domani mattina per avere più tempo da dedicare alla visita
del wadi Do’an.
Stasera
abbiamo ricevuto un sms da Pinuccio e Doni, non sono riusciti ad andare a
Socotra, anche il volo da Aden era pieno, rimarranno ancora qualche giorno nello
Yemen poi rientreranno in Italia. Siamo molto dispiaciuti nel ricevere la
notizia e immaginiamo che per Daniela e Sandro sia anche peggio.
15/01/2008
Wadi Do’an-Al-Mukalla
Alle
7 siamo in piedi, il sole è offuscato dalle nuvole, lasciamo il wadi Hadramawt
ed entriamo in una diramazione chiamata wadi Do’an, in breve tempo schiarisce,
le poche nuvole rimaste formano striature molto belle e il blu intenso del cielo
fa da contorno alla meraviglia di questo luogo con stupendi canyon.
Il
wadi Do’an è considerato la diramazione più bella del wadi Hadramawt e
subito comprendiamo il motivo per cui si rimane a bocca aperta incantati dal
paesaggio: i piccoli e ordinati villaggi, costituiti da casette dipinte a colori
pastello, sono costruiti all’interno del wadi o aggrappati alle pareti del
canyon, sono così perfetti da sembrare dipinti.
Facciamo
sosta ad Al-Hajarayn, salendo lungo le strette vie sterrate, io e Marco
raggiungiamo il centro del villaggio.
Camminando
ci ritroviamo davanti ad una scuola dove è in corso una lezione, mi aggrappo
alla finestra, come mi vedono tutti i bimbi mi salutano in modo festoso, il
maestro ci invita ad entrare.
Siamo
l’attrazione principale, il maestro ci spiega che questa è la scuola per i
maschi, più avanti c’è quella per le bambine.
Lasciamo
le penne che abbiamo con noi, il maestro ci ringrazia per aver accettato
l’invito ad entrare in aula e per aver raccomandato a tutti che studiare è
una cosa importante per il loro futuro.
Lasciata
la scuola ed il villaggio ci fermiamo da un giovane venditore per acquistare il
prelibato miele ed una scatola di latta con all’interno il favo delle api
pieno di miele.
Il
simpatico uomo ci intrattiene mostrandoci la sua pistola automatica ed
esprimendo con le poche parole d’inglese che conosce la sua simpatia per noi
italiani.
Proseguiamo
lungo il wadi Do’an facendo sosta al villaggio di Budhah con le sue bellissime
porte antiche intarsiate, qui provo per la prima volta a salire sulla groppa di
un asinello.
Vediamo
anche alcune belle pastorelle con il cappello da strega che riesco a fotografare
nonostante la loro contrarietà.
Guardiamo
l’orologio, sono già le 14 passate, a fatica troviamo un ristorantino per
sfamarci, mentre pranziamo ci tengono compagnia alcuni uomini che raccomandano a
Mohammed un venditore di Qat del vicino mercato.
Riprendiamo
la marcia a ritroso facendo sosta in un villaggio dove un ricco sceicco ha
costruito una strada, la scuola e sta terminando un ospedale, ammiriamo da fuori
il suo palazzo dipinto con vari colori pastello.
Dal
villaggio percorriamo una ripida salita fino a raggiungere la sommità delle
pareti del canyon.
Il
panorama dall’alto è molto bello. Dopo l’ennesima sosta panoramica
imbocchiamo una strada che corre tra brulle montagne di color rosso e ocra.
Arriviamo
ad Al-Mukalla che è già buio, ci fermiamo a mangiare degli ottimi gamberi
cotti al forno, facciamo un giro e andiamo all’Hotel Al-Amoudi dove
pernottiamo.
16/01/2008
Al-Mukalla-Bir Ali
Alle
8 lasciamo l’hotel, facciamo una breve visita al mercato del pesce dove sono
esposti tonni pinna gialla, visitiamo anche l’adiacente mercato della frutta
facendone provvista.
Passiamo
dal distretto di Polizia a prendere la scorta che viaggerà con noi fino a Bir
Ali.
Girando
per le vie di Al-Mukalla, notiamo la grande e continua espansione della città
sul mare Arabico e, confrontandola con tutto ciò che abbiamo visto fino ad ora,
non proviamo particolari emozioni.
Il
tratto di costa fino ad arrivare a Bir Ali è molto bello, il mare ha un intenso
color turchese con montagne di pietra lavica e pareti ricoperte da dune di
sabbia bianca portata dal vento, il viaggio è un susseguirsi di colori.
Arriviamo
al piccolo villaggio di Bir Ali, costruito in pietra, lasciato il poliziotto,
andiamo alla spiaggia dove ad aspettarci ci sono Sharif, nota guida nonché
amico di Mohammed e la sua compagna.
La
spiaggia è molto bella con sabbia bianchissima, non c’è vegetazione attorno,
a destra della spiaggia una montagna di scura roccia lavica si innalza dal mare.
Dormiamo
all’interno di piccole capanne di paglia e fango, aperte sul davanti, dotate
di materassini di spugna. Per pranzare raggiungiamo la piccola casetta di pietra
che ospita lcune stanze spartane per dormire e dove alcuni ragazzi servono i
pasti.
Dopo
pranzo si alza un forte vento, restiamo rintanati nella capanna di Sharif a
masticare Qat, a parlare di religioni, di guerre, della diversità fra le nostre
culture, Sharif ci racconta, inoltre, dell’incontro con Patrizio Roversi (il
turista per caso!) e di quando lo accompagnò nel suo viaggio attraverso lo
Yemen.
Il
tramonto regala bei colori ma il vento non ci abbandona.
Calata
la notte, il generatore illumina le nostre capanne, facciamo una doccia,
mangiamo e rimaniamo io, Marco e Mohammed nella nostra capanna a giocare a scala
quaranta che oramai è diventato il nostro passatempo serale preferito.
17/01/2008
Bir
Ali-vulcano Bir Ali
Alle
7 siamo svegli, il vento è calato, facciamo colazione e, con Mohammed, andiamo
al villaggio di Bir Ali, facciamo benzina per la modica cifra di 26 centesimi di
euro al litro: una miseria rispetto ai costi proibitivi del carburante in
Italia!
Proseguiamo
per pochi chilometri fino ad arrivare ai piedi del vulcano Bir Ali.
Mohammed
si ferma giù mentre noi iniziamo la ripida scalata fino ad arrivare sulla
cresta.
Quassù
tira un forte vento, la visuale che si presenta ai nostri occhi è stupenda,
all’interno del cratere c’è l’acqua, oltre il cratere si vede il mare e
tutto intorno il suolo, costellato di rocce vulcaniche, sembra un paesaggio
lunare.
Ad
un tratto vediamo salire un vecchio pick-up, man mano che si avvicina guardiamo
nell’abitacolo, c’è solo un uomo alla guida, continuiamo a osservarlo
incuriositi, arrivato in cima, scende dal pick-up, ha un kalashnikov in spalla,
una lunga barba e il turbante bianco: sembra la perfetta copia di Bin Laden!
L’uomo
si avvicina a Marco, parla solo arabo, non capiamo nulla, ma gli porge il
kalashnikov e – a gesti - gli fa intendere che vuole che spari. Prende una
vecchia lattina arrugginita, la posiziona e lo incita a sparare. Il colpo non va
a segno.
Saliamo
sul suo pick-up e ritorniamo ai piedi del vulcano dove abbiamo lasciato Mohammed,
chiediamo se dobbiamo pagargli il colpo sparato, Mohammed traduce che il vecchio
non vuole nulla ed è felice così.
Rientriamo
alla spiaggia di Bir Ali, rimaniamo soli a camminare e a fare bagni.
Purtroppo
anche oggi si alza il vento, pranziamo e trascorriamo il pomeriggio in compagnia
di Mohammed, Sharif, la sua compagna e altre guide radunati in una capanna al
riparo dal vento e dalla sabbia.
Dopo
aver ammirato il tramonto, trascorriamo il resto della serata in compagnia
dell’ormai inseparabile Mohammed
giocando a scala quaranta.
18/01/2008
Bir Ali-Aden
Oggi
ci attende una tappa di 400 km per arrivare ad Aden.
Salutiamo
Sharif, la sua compagna e i ragazzi che lavorano in questa piccola e spartana
struttura, ci sorprende la cordialità riservataci dal proprietario che – a
ricordo del nostro soggiorno - ci regala una grande conchiglia. Lasciamo il
luogo e la compagnia con un nodo in gola. Facciamo una breve sosta al villaggio
per prelevare un poliziotto che ci farà da scorta.
A
noi si è unita un’altra jeep, insieme percorreremo il tratto di strada fino
ad Aden.
Mohammed
è concentrato nella guida, la musica araba ci accompagna in sottofondo, dal
sedile posteriore osservo il panorama che alterna dune di sabbia ad arbusti e
acacie. All’improvviso due caprette ci tagliano la strada, non abbiamo
alternative, se sterziamo verso l’esterno della carreggiata ci ribalteremo
sicuramente… inevitabilmente investiamo una delle due caprette,
contemporaneamente incrociamo un pick-up che, avendo assistito alla scena, ci fa
cenno di fermarci. Scendiamo dall’auto e in breve si forma un capannello di
uomini, inizia un’animata discussione tra il proprietario della capretta,
Mohammed, il poliziotto e Ali la guida dell’altra jeep che viaggia insieme a
noi.
Vediamo
circolare alcune banconote, comprendiamo così che deve essere pagato il danno,
contribuiamo anche noi con una quota, quindi ripartiamo. Dal vetro posteriore
della nostra Land Cruiser vedo che gli uomini afferrano la capretta per le zampe
e, dopo averla trascinata sul ciglio della strada, la lasciano in pasto ai
falchi: non essendo stata uccisa con il taglio della gola la religione islamica
vieta di mangiarla.
Arrivati
al posto di blocco di Shuqra salutiamo il giovane poliziotto che ci accompagna,
entriamo nel villaggio e pranziamo in un animato ristorante pieno di uomini.
Sono attratta dai tanti falchi che sorvolano il villaggio e mi diverto a
scattare foto con il teleobiettivo.
Mangiamo
molto bene chiudendo il pasto con un dolce fatto con banane schiacciate in un
mortaio, miele, latte condensato e chissà cos’altro.
Facciamo
la classica sosta al mercato del Qat, mentre Mohammed e Marco sono impegnati
nella scelta io mi aggiro tra i banchetti dei venditori che mi chiamano per
farsi fotografare, in cambio di qualche scatto mi regalano alcuni rametti di Qat.
Verso
le 16,30 arriviamo nella grande città di Aden, ex colonia britannica e antica
capitale del sud.
La
città si sviluppa intorno alle pendici di un vulcano spento e la zona di Crater
si trova all’interno del cratere, riconoscere ad occhio nudo la precisa
conformazione del vulcano non è facile.
Sin
dall’antichità Aden ha favorito gli scambi marittimi fra Oriente e Occidente
ma, ora, la modernità ha il sopravvento ed è evidente, qui si vedono le uniche
donne senza velo.
Raggiungiamo
l’hotel Aden Gulf situato nella parte della città chiamata Crater, posati gli
zaini nella camera che ci è stata assegnata, ci raduniamo subito dopo nella
stanza che Mohammed condivide con Ali e un altro driver. Stiamo chiacchierando,
quando al telegiornale dell’emittente Al-Jazeera diffondono una notizia,
vediamo i nostri amici cambiare espressione, con aria che esprime preoccupazione
ci informano su quanto è appena stato comunicato: quattro ore fa c’è stato
un attentato nel villaggio di Al-Hajarayn, nel wadi Do’an, nel corso del quale
sono state uccise due turiste belghe e due guide yemenite.
Mohammed
ci ricorda che il fattaccio è avvenuto nel villaggio dove noi solo tre giorni
fa abbiamo comperato il miele.
Siamo
esterrefatti, non crediamo che l’attentato sia opera della gente del luogo,
Mohammed ci spiega che quasi certamente gli autori sono membri appartenenti ad
Al-Qaeda, lo scopo di tale atto criminoso è quello di colpire il popolo, i
turisti e destabilizzare l’economia del Paese.
Il
pensiero di tutti vola alle
rispettive famiglie: loro telefonano subito a casa per tranquillizzare i
famigliari, mentre noi decidiamo di aspettare perché non vogliamo creare
allarme nel caso la notizia non fosse ancora stata diffusa in Italia.
Dopo
aver fatto una doccia usciamo con Mohammed, nel suq acquisto il pregiato incenso
di Aden, entriamo poi in uno dei tanti botteghini che vendono gioielli in oro.
Acquistare oro è una delle attività preferite dalle donne yemenite, l’oro è
a 21 o 24 carati, i monili sono molto appariscenti e lavorati, scelgo un piccolo
anello da portare a casa per
ricordo.
Per
il dopo cena, Mohammed propone una serata in discoteca dato che Aden è
l’unica città di tutto lo Yemen ad ospitarne, accettiamo incuriositi.
Ci
fermiamo da un venditore ambulante, Mohammed acquista una collana di fiori di
gelsomino, me la mette al collo, ha un profumo inebriante: ci racconta che
quando viene regalata ad una sposa è da considerare un dono molto apprezzato
perché emana un buonissimo profumo per tutto il giorno.
Faccio
una breve telefonata a casa, capisco che la notizia del recente attentato non è
ancora di dominio pubblico.
Alle
23 usciamo, con noi ci sono anche Ali, un altro driver e due turiste.
Attraversiamo parte della città, arriviamo quindi all’hotel Intercontinental,
un tre stelle con annessa discoteca.
Paghiamo
1.000 riyal a testa ed entriamo, c’è una grande sala con luci soffuse, seduti
ai tavolini si vedono solo uomini arabi, sul palco, di fronte a noi, un gruppo
suona dal vivo musica araba, completano la scena diverse giovani ballerine
irachene che indossano abiti all’occidentale molto succinti, mentre ai margini
del palco ci sono alcune ragazze yemenite velate.
Mohammed
mi spiega che le donne che vedo sono prostitute e che locali come questo vengono
frequentati da facoltosi uomini arabi.
Essendo
la città di Aden affacciata su un grande porto commerciale è molto frequentata
da uomini d’affari, le discoteche rappresentano, per alcuni di essi, luoghi di
perdizione.
Osserviamo
le movenze sensuali delle ballerine che danzano sulla pedana posta di fronte a
noi o che girano tra i tavoli occupati, perlopiù, da uomini forniti di
voluminose mazzette di banconote di piccolo taglio, banconote che vengono
lanciate addosso alle danzatrici e subito recuperate da un addetto che, veloce,
le infila in un sacco.
Durante
la serata ci sono momenti in cui i presenti possono ballare, anche noi ci
lasciamo trasportare dalla musica e catturare dall’ambiente che, paragonato ai
nostri locali, è molto simile ad un night. A notte inoltrata si conclude questa
esperienza particolare e, lasciato il locale, andiamo a dormire.
19/01/2008
Aden-Taiz
Andiamo
a visitare le antiche cisterne della città che pare risalgano al I secolo d.C.,
l’insieme è considerato una grande opera di ingegneria idraulica in quanto,
grazie ad un sistema di gradini e condotti, l’acqua confluiva in 53 cisterne.
Quello
che si può ammirare ora si riduce ad una decina di cisterne, se ne intuiscono,
comunque, l’imponenza e l’importanza avute nel passato.
Visitiamo
l’Aden Museum che custodisce bei reperti, andiamo poi a dare un’occhiata
alla parte antica del porto.
Lasciamo
la moderna città di Aden scortati da un’auto, durante il tragitto ci fermiamo
a pranzare, proseguiamo poi il viaggio verso Taiz senza scorta. Lungo la strada
acquistiamo il Qat, ci addentriamo, infine, tra i monti arrivando a Taiz posta a
1400mt di altitudine.
E’
una bella città, caotica, la terza più grande dello Yemen. Arrivati
all’hotel Yemen Tourism, Mohammed va a riposare, mentre noi, nonostante la
stanchezza cumulata durante la notte precedente, usciamo per visitare il vicino
suq, entriamo dalla porta di Bab Al-Musa e usciamo da Bab Al-Kabir. Questo suq
è molto bello, ci lasciamo affascinare dalle tante mercanzie e dai profumi
delle spezie.
Rientrati
in hotel crolliamo dalla stanchezza.
20/01/2008
Taiz-Jibla-Ibb
Oggi
visiteremo i villaggi di Jibla e Ibb, situati a circa 74 km da Taizz.
Dopo
colazione usciamo e andiamo a visitare la Al-Ashrafiya Mosque che fu costruita
nel 628 d.C.
Al
momento la moschea è chiusa ai fedeli per lavori di ristrutturazione,
riusciamo, per questo motivo, guidati da un addetto, a visitarne l’interno che
presenta un bellissimo soffitto decorato ed una serie di antiche porte con
preziosi motivi intarsiati.
Lasciata
la caotica Taiz, percorriamo una bella strada panoramica attraverso monti verdi,
questa zona è rinomata per essere la più lussureggiante dello Yemen.
Ammiriamo
da lontano la bellezza di Jibla, siamo a circa 2200mt di altitudine, man mano
che ci avviciniamo mettiamo a fuoco i suoi minareti dai bellissimi intarsi
colorati.
Dal
XI al XII secolo d.C. Jibla fu capitale della dinastia dei Sulayhiditi e prosperò
sotto il regno della regina Arwa che fece costruire numerose moschee, scuole e
ponti, fu anche un importante centro di teologia islamica.
Lasciamo
la jeep ai piedi del villaggio, Mohammed parla con un ragazzo che dice di essere
il fratello di Rima: la ragazza molto conosciuta sui forum di viaggi per essere
una brava guida.
Rima
appartiene a una famiglia progressista che le consente di non indossare il velo
e di lavorare con i turisti, grazie a ciò oggi sa parlare, ma non scrivere,
cinque lingue.
Ali,
il fratello, ci spiega che Rima lavora come insegnante nella scuola di Jibla e
se vorremo conoscerla lo potremo fare dopo le ore 13 al termine delle lezioni.
Si
propone quale guida per mostrarci le meraviglie del suo villaggio.
Accettiamo
e ci incamminiamo, dopo poco Ali si ferma davanti ad una piccola casa bianca, è
la loro abitazione, ci invita ad entrare. Ci accoglie una bella donna a viso
scoperto con in braccio un bambino, ci dice di essere uno dei dodici fratelli di
Rima. Entriamo e saliamo nella mazar, ci offrono il chai, Ali parla abbastanza
bene l’italiano, ci chiedono di noi e restano sorpresi nel sapere che non
abbiamo figli, loro a confronto hanno famiglie parecchio numerose.
Ci
raccontano che un’altra loro sorella, prima di Rima, faceva da guida ai
turisti, ma che una volta sposata non ha potuto continuare. Concordiamo di
tornare nel pomeriggio per conoscere Rima e per passare un po’ di tempo in sua
compagnia.
Ci
incamminiamo incantati dalla bellezza di questo villaggio costruito interamente
in pietra, arrivati alla Queen Arwa Mosque ammiriamo da vicino la raffinatezza
degli intarsi e dei decori in calce dei suoi due minareti: uno è interamente
bianco, l’altro ha colorazioni rossastre, sono autentici capolavori!
All’interno
della moschea c’è un bellissimo cortile con un porticato ad archi che corre
tutto intorno, ci sono, inoltre, piccole fontanelle per le abluzioni. Mi
emoziono nel vedere due uomini che stanno pregando. Dentro la sala della
preghiera c’è la tomba della Regina Arwa, a noi non è consentito entrare ma
Ali può farlo e ci offre la
possibilità di vederla chiedendomi la macchina fotografica. Possiamo così
ammirare la meravigliosa tomba ed anche la sala adornata di tappeti con un uomo
che legge da un grande libro del Corano.
Percorriamo
il porticato lungo tutto il suo perimetro, facendo il giro completo ci troviamo
davanti alla madrasa (la scuola Coranica), vediamo l’hammam, infine lasciamo
questa meraviglia.
Saliamo
lungo le ripide stradine fino ad arrivare al mercato del Qat per poi
ridiscendere e raggiungere la bella As-Sunna Mosque che sembra fatta di glassa,
il suo minareto, come gli altri presenti qui, è decorato con una colorazione
rossastra.
Vediamo
anche il Dar as-Sultana Palace, al momento è in fase di ristrutturazione dato
che è molto in decadenza, nell’era della Regina Arwa il palazzo aveva più di
trecento stanze e si narra che la sovrana dormisse in una stanza diversa ogni
notte.
Raggiunta
la jeep, Mohammed prende accordi
con Ali per tornare nel pomeriggio ad incontrare Rima.
Percorriamo
i pochi chilometri che ci separano da Ibb, posta a circa 2000mt di altitudine,
questa città risale agli albori dell’epoca islamica, si trova su un’alta
collina ed è capoluogo della regione.
Raggiunta
la parte antica ci addentriamo a piedi nelle stradine acciottolate, acquistiamo
da un venditore di strada dei dolcetti di pastella fritti e passati nel miele,
una delizia per il palato, un po’ meno per i denti!
Un
ragazzino ci guida per le vie mostrandoci le antiche case di pietra, le finestre
con disegni geometrici e belle porte intarsiate. Arriviamo alla Al-Jalaliya
Mosque, il suo minareto bianco e decorato di rosso svetta nel cuore di Ibb.
Si
è fatto tardi, sono quasi le 14, andiamo a pranzare nella parte più nuova
della città.
Consumiamo
un buon pasto a base di pollo, capra, riso, stufato di verdure e brodo di capra
che viene preparato in piccoli contenitori d’alluminio con poca acqua, un
pezzo di carne e le spezie: è molto concentrato e saporito.
Lasciamo
Ibb e torniamo a Jibla dove troviamo Ali nello stesso punto di stamani, ci dice
che Rima è impegnata con alcuni turisti ma che a breve sarà da noi.
Dopo
poco arriva, abbiamo il piacere di conoscere questa bella ragazza di soli 19
anni che – oltre a diverse altre lingue - parla molto bene l’italiano, ci
invita a fare un giro per il villaggio, visitiamo il piccolo museo, ci racconta
di sé, della sua volontà di frequentare l’Università e chissà?... di poter
visitare, in futuro, anche l’Europa. E’ un piacere ascoltarla mentre ci
racconta la storia del suo villaggio e della sua Regina.
Sono
incantata dalla sua dolcezza, dalla sua tanta voglia di emergere e, una volta
laureata, dalla sua volontà di essere d’aiuto al suo villaggio nonostante
alcune difficoltà incontrate proprio perché non indossa il velo.
Le
auguriamo che possa realizzare tutti i suoi desideri, la nuova Regina di Arwa (è
così che immaginiamo Rima) imbarazzata ci sorride dicendo: Inshallah! Se Dio
vorrà!.
Rientrando
a Taiz ripenso a Rima e sono felice di questo piacevole incontro.
Ceniamo
con Mohammed in un ristorante poi camminiamo lungo le vie disposte intorno al
suq, udiamo della musica e, svoltato un angolo, ci ritroviamo nel bel mezzo di
un gruppo di soli uomini impegnati a festeggiare un matrimonio, evento che,
nello Yemen, separa i due sessi: le donne, infatti, festeggiano da una parte,
gli uomini festeggiano altrove. E’ un piacere vedere come e quanto questi
uomini si divertono ballando, giocando e
spruzzandosi con la schiuma da barba.
Rientriamo
in hotel e andiamo a nanna.
21/01/2008
Taiz- Zabid
(Tihama)-Al-Hudayda
Alle
8 lasciamo l’hotel, si sale sul monte Jabal Saber che si trova alle spalle di
Taiz ed è alto 3070mt. Arrivati ad un punto panoramico godiamo della
spettacolare vista sulla città e sui monti che la circondano.
Sulla
via del ritorno ci fermiamo a visitare il castello di Al-Qahera, risalente
all’impero Ottomano e recentemente ristrutturato, passeggiamo lungo i percorsi
pedonali ammirando la sua bellezza e godendoci il panorama in compagnia di un
gruppo di ragazzini.
Ci
lasciamo alle spalle Taiz percorrendo un tratto di strada montuosa fiancheggiata
da palme da dattero, scendiamo poi verso la costa del Mar Rosso entrando,
infine, nella Tihama.
La
zona è desertica e piatta, la vegetazione è costituita da acacie e arbusti,
con abitazioni a capanna più simili a quelle della vicina Africa. La Tihama è
considerata la zona più calda dello Yemen e, secondo noi, non riserva
particolari bellezze.
Arriviamo
a Zabid, patrimonio mondiale dell’Unesco, questa città è considerata uno dei
luoghi più caldi al mondo.
Fu
fondata nel 819 d.C e sin dall’antichità fu una città importante per gli
studi islamici e scientifici, si narra che l’algebra sia stata inventata qui.
La
città è circondata da mura parzialmente conservate che racchiudono case
intonacate di bianco.
Un
uomo ci guida mentre Mohammed si ferma a riposare presso il ristorante dove
pranzeremo.
Visitiamo
il Nasr Palace che non presenta nulla di particolare, vediamo poi la
vicina Al-Iskandar Mosque.
Mentre
ci addentriamo nei vicoli polverosi di questa cittadina, si alza il vento e il
cielo assume un colore grigiastro mescolandosi con il colore della terra.
Un’anziana
signora mi invita ad entrare, sola, nella sua abitazione facendomela poi
visitare.
Passiamo
attraverso il suq e arriviamo alla casa di Pier Paolo Pasolini. Al suo interno
due ragazzi ci offrono il chai e ci deliziano con profumi e incensi.
Tornando
al ristorante il vento è ancora più forte e tutto intorno a noi è ancora più
grigio.
Penso
alle tante meraviglie viste fino ad
ora durante il nostro viaggio e mi domando perché Pier Paolo Pasolini abbia
scelto questo villaggio disperso nel nulla, dal clima torrido, con vento e
polvere che la fanno da padroni, quale luogo per abitarci, non riesco a darmi
una spiegazione.
Prima
di arrivare al ristorante l’uomo afferma che, oltre al prezzo pattuito in
precedenza per farci da guida, gli dobbiamo pagare anche l’entrata al Nasr
Palace e la visita alla casa di Pier Paolo Pasolini, insistendo nel pretendere i
soldi prima di arrivare al ristorante da Mohammed.
Siamo
titubanti perché fino ad ora dove c’erano ingressi da pagare li abbiamo
sempre pagati all’entrata. Prendo dallo zaino la guida EDT e leggo che
all’interno del Nasr Palace c’è un museo che non abbiamo visitato.
E’
evidente che vuole approfittare di noi, arrivati da Mohammed spieghiamo
l’accaduto, Mohammed si rivolge all’uomo con un tono alterato, discutono in
arabo, dopo l’animata disputa
lasciamo – senza pagare nulla - l’unico yemenita disonesto incontrato
durante il nostro viaggio.
Mohammed
ci riporta al Nasr Palace, pagato l’ingresso, visitiamo il museo, subito dopo
lasciamo Zabid.
Facciamo
una veloce sosta in un mercato del Qat, decidiamo poi di proseguire fino ad
Al-Hudayda senza fermarci al mare
dato che vento e polvere impediscono qualsiasi attività.
Ci
dedichiamo alla masticazione del Qat per superare la rabbia causata
dall’individuo disonesto incontrato a Zabid.
Arriviamo
ad Al-Hudayda prima del tramonto, siamo piuttosto delusi da questo tratto di
costa, il mare è mosso, la sabbia è scura e sembra tutto tranne che il tanto
apprezzato Mar Rosso dell’Egitto.
Andiamo
all’hotel Taj Awsan, facciamo una doccia, in seguito usciamo con Mohammed.
Dopo
un giro per il suq andiamo sul lungomare dove per 1000 riyal acquistiamo 1 kg di
gamberi, raggiunto un vicino ristorante ce li facciamo cucinare e ci gustiamo
l’ottima cenetta.
Tornati
in hotel, dopo la consueta partita a scala quaranta, andiamo a nanna.
Domattina
visiteremo il mercato del pesce, poi finalmente si parte per i monti Haraz.
22/01/2008
Al-Hudayda-
(Monti Haraz) Al-Hajjarh – Manakhah
Lasciamo
presto l’hotel e andiamo a visitare il famoso mercato del pesce di Al-Hudayda.
Oggi
il mare è meno mosso, ma ugualmente non regala bei colori.
Resto
sbalordita dalla quantità di pesci che vedo, ci sono grossi squali grigi,
squali martello, squali chitarra, tonni, cernie, barracuda e molti altri tipi di
pesci.
Un
allegro pescatore ci guida per il mercato, spiegandoci in un inglese
approssimativo, che ora, essendo inverno, la quantità di squali e altri pesci
pescati è molto inferiore rispetto all’estate.
Ci
aggiriamo fra i tanti squali morti, notando che prima di ogni altra parte si
asportano le pinne che sono destinate all’esportazione in Cina dove vengono
consumate perché considerate afrodisiache.
Mi
colpisce una scena: un pescatore sventra la pancia di un grosso squalo e ne
estrae sette cuccioli.
Non
sono particolarmente entusiasta di questo mercato proprio perché ci si rende
conto della carneficina quotidiana che viene eseguita in questo tratto di mare.
Lasciamo
Al-Hudayda e, passata la piana della Tihama, ci addentriamo tra i monti
costeggiando il wadi Sara, con le sue molte piantagioni di banane e manghi.
I
monti che ci circondano sono stupendi, più ci avviciniamo più la loro bellezza
è imponente.
Superata
Manakhah, proseguiamo per alcuni chilometri fino a raggiungere il villaggio di
Al-Hajjarh risalente al XI secolo d.C.
Siamo
a 2400mt. di altitudine, il villaggio, composto da belle casette costruite in
pietra, si trova in una posizione spettacolare in cima ad una montagna e gode di
panorami mozzafiato sui monti Haraz.
Ci
sorprende sentire che, qui, in molti parlano diverse lingue e per la prima volta
siamo infastiditi dalla troppa insistenza dei venditori e dei bambini che si
offrono quali guide.
Al-Hajjarh
e Thula sono gli unici villaggi di tutto lo Yemen dove usano questa tecnica
davvero snervante per noi turisti.
Torniamo
a Manakhah a 2200mt, arrivati al funduq Al-Aqel, pranziamo poi
sistemiamo gli zaini in una piccola stanza a tre letti con bellissimi
vetri colorati, mi affaccio alla finestra ed ammiro incantata il panorama, da
qui si domina il villaggio contornato da spettacolari montagne.
Mohammed
si ferma al funduq a masticare Qat, mentre io e Marco usciamo, in questo luogo
le persone sono molto ospitali e cordiali, non sono assillanti ed insistenti
come nel vicino villaggio di Al-Hajjarh.
Girovagando
tra i vicoli dissestati passiamo davanti ad un’abitazione dove ci sono
numerosi bambini che ci fermano per farsi fotografare, ci spiegano che
all’interno della casa stanno facendo le prove per una festa matrimoniale, mi
affaccio incuriosita e intravedo donne e bambine con abiti coloratissimi pieni
di lustrini, con braccia e mani dipinte con henne, mi guardano curiose e allo
stesso tempo intimorite dalla macchina fotografica che porto al collo, mi fanno
subito cenno di non voler essere fotografate, non insisto, capisco la situazione
e lascio le donne alle loro prove.
Rientriati
al funduq, Mohammed ci anticipa la sorpresa della serata: un gruppo danzerà e
canterà per noi turisti.
All’ora
del tramonto salgo sulla terrazza dove mi fermo ad osservare il calare del sole,
il momento è carico di magia, in breve tempo il sole sparisce dietro i monti
Haraz creando giochi di luce dai colori rosa mescolati al giallo: un vero
incanto!
Dopo
la doccia ci accomodiamo nella mazar, ci sediamo a terra sopra comodi
materassini con rigidi cuscini che fungono da braccioli.
Ci
servono una buona cenetta, poi, suonando
musica di questa zona, danno inizio alle danze ballando la tipica danza della
jambiya e coinvolgendo anche noi turisti
nei ritmi arabo-yemeniti.
Andiamo
a letto felici di aver trascorso questa particolare serata danzante in loro
compagnia.
23/01/2008
Trekking Monti
Haraz- rientro a Sana’a
Alle
8 lasciamo il funduk, sulla nostra Land Cruiser sale un ragazzo che ci guiderà
durante il trekking sui monti Haraz.
Procedendo
in salita, dopo pochi chilometri arriviamo a Al-Khutayb, centro di
pellegrinaggio arroccato su un cocuzzolo che ospita un santuario ismailita.
Saliamo
a fatica fino in cima dove siamo ripagati più che dal santuario dal magnifico
panorama sulle alte vette dei monti Haraz.
Dopo
aver visitato il santuario, salutiamo Mohammed che rientra a Manakhah,
mentre noi in compagnia della guida Adija iniziamo il trekking.
Partendo
da Al-Khutayb saliamo lungo una mulattiera per poi addentrarci lungo le pendici
dei monti seguendo sentieri non ben definiti, siamo catturati dal meraviglioso
panorama che ci circonda, qui la vetta più alta è il Jabal Shibam con i suoi
2960mt .
Attraversiamo
i piccoli villaggi di Lakamat Al-Qadi e Khail.
Il
panorama ci regala emozioni indimenticabili, dopo circa 3 ore di trekking
rientriamo al villaggio di Manakhah assieme ad un pastore e tutto il suo gregge.
Salutiamo
e ringraziamo Adija per averci guidato
durante il trekking sui fantastici monti Haraz.
Lasciata
Manakhah, la nostra meta di oggi è il rientro nella magica Sana’a.
Lungo
la strada ammiriamo in lontananza il monte più alto della penisola arabica: il
Jabal-An-Nabi-Shu’ayb (3660mt).
Dobbiamo
ancora pranzare e, considerata l’ora tarda, Mohammed propone di proseguire
fino a Sana’a e di passare da casa sua perché ci terrebbe molto ad ospitarci
ed a farci conoscere la moglie ed i loro figli.
Accettiamo
con immenso piacere, dopo di che Mohammed avverte telefonicamente la sua signora
del nostro arrivo.
Arriviati
a Sana’a la sua atmosfera ci fa sentire come a casa.
Attraversiamo
parte della città per poi spingerci in periferia fino ad una zona dove ci sono
molte case in costruzione. Fatta una breve sosta per acquistare qualche
leccornia per i bambini raggiungiamo la casa di Mohammed che in parte è ancora
da terminare, al nostro arrivo suoniamo il clacson, tra le tende che decorano le
finestre sbucano due bellissimi bambini: eccoli, sono loro! Escono rapidi
lanciandosi fra le braccia del loro papà.
Sono
molto emozionata e a stento trattengo le lacrime nel vedere i due bimbi che,
dopo tanti giorni di assenza, sbaciucchiano il papà.
Ci
togliamo le scarpe ed entriamo in casa, ad accoglierci c’è la moglie Lattifa,
ci abbracciamo e con lo sguardo ci trasmettiamo la gioia reciproca di
conoscerci.
Purtroppo
la difficoltà della lingua araba ci impedisce di parlare come vorremmo, ma
Mohammed è per noi un ottimo interprete.
La
casa è essenziale, modesta, l’accoglienza riservataci è talmente calorosa da
togliere ogni tipo di imbarazzo.
Ho
dei regali per i bambini, Abdull, il maschio, ha sei anni, Bilquis, la femmina,
ha tre anni ed ha gli stessi occhi azzurri del padre.
Sono
molto entusiasti di quanto ricevuto in dono, si divertono ad ispezionare i
giochi ed a provare scarpe e vestiti.
Ci
sediamo su un tappeto, Lattifa serve
il pranzo in stile arabo mettendo a terra una stuoia e piatti colmi di pasta con
il tonno, patate fritte, salta, pollo fritto e il pane cotto da lei.
Siamo
estremamente felici di essere qui e
di vedere ricongiunta questa
meravigliosa famiglia.
Dopo
aver pranzato ci spostiamo in un’altra stanza, anche in questa ci sono solo
tappeti e i classici “divanetti” yemeniti, molto comodi.
Noi
adulti ci sediamo e iniziamo a masticare Qat, dopo poco ci raggiunge anche un
cugino di Mohammed.
E’
piacevole conversare con Lattifa con l’aiuto delle traduzioni di Mohammed, è
compiaciuta nel vedere che indosso il loro abito nero e nel sapere che per tutto
il tempo trascorso fino ad ora l’ho sempre portato.
Mi
racconta della loro vita, dicendomi che oltre Abdull e Bilquis hanno un altro
figlio di ventuno anni che studia all’Università e dei tanti sacrifici che
fanno per loro.
Si
stupisce nell’apprendere che noi non abbiamo figli, mentre io non nascondo la
mia sorpresa nel sapere che lei ha avuto il primo figlio all’età di
quattordici anni.
Parliamo
delle diversità che ci sono tra la nostra cultura e la loro:
per noi è difficile capire certi loro stili di vita ma allo stesso tempo
anche per loro è difficile capire il nostro mondo basato molto
sull’apparenza.
Lattifa
accende per noi l’incenso, ci serve una buonissima bevanda preparata con
ginger fresco e mi delizia profumandomi con un’essenza dolce che usano le
donne yemenite.
Vorrebbero
ospitarci anche per la notte, ma, avendo già prenotato l’hotel, rimandiamo
questa opportunità ad un prossimo viaggio.
Decidono
di accompagnarci tutti fino all’hotel Arabia Felix, i bambini si preparano,
Lattifa indossa il velo e andiamo.
Durante
il tragitto programmiamo cosa fare domani, ci invitano nuovamente a pranzo a
casa loro, accettiamo con immensa gioia ma è difficile nascondere l’imbarazzo
per tanta ospitalità.
Rientrati
all’Arabia Felix i ragazzi ci accolgono come fossimo vecchi amici, facciamo la
doccia e usciamo per calarci nuovamente nella magica atmosfera di Sana’a.
Dopo
aver ricevuto un sms da parte dei miei famigliari, allarmati per aver saputo
dell’attentato, telefono per tranquillizzarli pur sapendo che per loro che non
vedono la realtà del paese, la bontà e l’ospitalità delle persone è
difficile stare tranquilli.
Ceniamo,
poi giriamo fino a tarda ora per le vie di Sana’a.
24/01/2008
Sana’a-
(Wadi Dhahr) Dar al-Hajar
Domani
mattina alle 5 abbiamo il volo per Socotra, trascorreremo una settimana su
questa incantevole isola, poi rientreremo a Sana’a per qualche giorno e il
nostro viaggio terminerà con il rientro in Italia.
Alle
9 passa Mohammed a prenderci, visitiamo il Museo Nazionale, definito il più
grande della Penisola Arabica con reperti archeologici molto belli che
ricostruiscono la storia dello Yemen e della Penisola Arabica. Ammiriamo armi
molto antiche di pregevole bellezza.
Lasciata
la città, dopo 14 km raggiungiamo Wadi Dhahr, ci fermiamo sulla cresta di un
canyon di fronte ad una bellissima panoramica sul Dar ar-Hajar, il famoso
“palazzo sulla roccia”.
Questo
palazzo a cinque piani fu realizzato da un Imam nel 1786 ed adibito a residenza
estiva.
Arrivati
ai suoi piedi possiamo ammirarlo in tutto il suo splendore, è situato in
posizione spettacolare in cima ad una guglia rocciosa.
Lo
visitiamo internamente ammirando le numerose bellissime vetrate colorate
istoriate a doppia lastra, dalle scale si possono osservare i pozzi scavati
nella roccia che raggiungono i 275 mt di profondità.
Alcune
stanze sono ancora arredate e si può ben capire la ricchezza del passato.
Lasciamo
questo affascinante luogo e, rientrati a Sana’a, facciamo qualche acquisto
compreso un regalo per Lattifa.
Pranziamo
nuovamente con la deliziosa
famigliola di Mohammed, ci tratteniamo qualche ora in loro compagnia a parlare
ed anche a giocare con Abdull e Bilquis.
Salutiamo
Lattifa con la promessa di ritrovarci dopo la settimana trascorsa a Socotra.
Ci
facciamo lasciare a Bab al Yemen, porta di accesso al suq, per fare qualche
acquisto e conoscenza con le tante persone che ci chiamano.
Andiamo
a dormire presto, domani inizieremo una nuova esperienza in un paradiso
terrestre di nome “Socotra”.
(Ora
proseguo il mio racconto dello Yemen dal rientro dopo la settimana trascorsa
sull’isola di Socotra).
01/02/2008
rientro a Sana’a
Atteriamo
all’aeroporto di Sana’a alle
11,30 ad attenderci c’è un corrispondente dell’agenzia locale, ci
accompagna all’hotel Arabia Felix e ci informa che domani mattina passerà a
prenderci Abdull (l’autista di Daniela e company) per andare a visitare Thula,
Hababah, Kawkaban e Shibam.
Con
Mohammed ci siamo sentiti al cellulare, è fuori con altri turisti, rientra
domani e appena libero verrà da noi.
Tornare
all’Arabia Felix dopo la settimana trascorsa a Socotra è come tornare a casa.
Lasciamo
quasi subito l’albergo, andiamo a pranzare a Bab al Yemen, acquistiamo il Qat,
iniziamo a masticare camminando per le vie della città senza una meta precisa
presi dalla curiosità di scoprire una nuova via e ammirando lo splendore delle
case e delle botteghe più particolari.
Nel
tardo pomeriggio abbiamo appuntamento con Pierre e Laurence, coppia di francesi
con cui abbiamo condiviso piacevolmente qualche giorno a Socotra, decidiamo poi
di passare la serata insieme.
Ceniamo
presso il ristorante dell’hotel dove alloggiano
e stiamo in loro compagnia fino a tardi.
02/02/2008
Thula-Hababah-Kawkaban-Shibam- Sana’a
Alle
8 passa Abdull a prelevarci, lasciamo la città e dopo circa 70 km siamo a Thula
a 2700mt di altitudine. In passato fu un importante centro teologico. E’
contornata da imponenti mura e le alte case di pietra si armonizzano
perfettamente con le montagne.
Varcata
la porta d’ingresso al villaggio veniamo assaliti da due venditori un po’
troppo appiccicosi, Thula è famosa oltre che per la sua bellezza anche per
l’insistenza di guide e venditori.
Parlano
perfettamente l’italiano, cerco di far capire
loro che la tecnica di assalire i turisti è
utilizzata solo qui ed a Al-Hajjarh e che insistendo sbagliano perché, così
facendo, ottengono l’esatto contrario di quello che vorrebbero.
Visitiamo
il villaggio e le sue due cisterne, saliamo quindi in cima a Husn Thula, un
antico forte, per ammirare il panorama.
Lasciamo
Thula, dopo pochi chilometri arriviamo al villaggio di Hababah (2500mt) con la
sua meravigliosa cisterna d’acqua color verde smeraldo dove la gente attinge
ancora l’acqua.
Le
case a torre si specchiano nell’acqua, la scena è molto suggestiva e perfetta
per scattare qualche bella foto.
Salutiamo
anche Hababah e saliamo sulla cima del Jebel Kawkaban fino al villaggio di
Kawkaban (2800mt) l’aria qui è un po’ pungente.
Attraversiamo
il piccolo villaggio fino ad arrivare alla cisterna, da quassù si gode di un
panorama mozzafiato e poco importa se lo strapiombo scende vertiginosamente
davanti a noi tanto da aver quasi paura nello sporgersi troppo.
Scendiamo
il Jebel Kawkaban ai cui piedi sorge Shibam (2300mt) conosciuta anche come
“l’altra Shibam”.
Facciamo
un giro per il suq, pranziamo con Abdull e riprendiamo la marcia per rientrare a
Sana’a.
Arrivati
in hotel salutiamo Abdull, telefoniamo a Mohammed, ci dice di trovarsi poco
fuori Sana’a e che a breve sarà da noi.
Siamo
in camera, suona il telefono dell’hotel, Marco risponde, è lui, il nostro
caro amico Mohammed, lo invita a salire, subito dopo – dalle scale - sentiamo
gridare i nostri nomi, come ci vediamo ci abbracciamo strillando dalla gioia per
esserci ritrovati, dice che gli siamo mancati e che siamo dei cari amici per
lui. Entrato nella nostra camera è molto sorpreso nel vedere un bel mazzo di
Qat posato sopra il letto, ci guarda compiaciuto e dice: “ma allora voi siete
yemeniti come noi!” e così ci ritroviamo seduti sul letto a masticare e a
raccontargli della magnifica settimana trascorsa sull’isola di Socotra che
definiamo “Il paradiso di Allah”.
Ci
invita a trascorrere l’ultima serata del nostro viaggio a casa sua, noi
proponiamo, in alternativa, di cenare presso un ristorante estendendo l’invito
a Lattifa ed ai bambini perché vorremmo contraccambiare l’ospitalità
riservataci fino ad ora.
Mohammed
ci riflette un attimo, sembra dubbioso, realizziamo così che per una donna
yemenita è difficile andare in un ristorante frequentato esclusivamente da
uomini.
Poi
Mohammed sorride, dicendo che potremmo cenare, lontani da occhi indiscreti,
presso il ristorante dell’Arabia Felix.
Siamo
felici che abbia accettato l’invito, ci salutiamo lasciandolo libero di
tornare a casa dalla moglie e dai bambini che non vede da cinque giorni. Ci
diamo appuntamento per le ore 20 in hotel.
Mohammed
arriva, è solo, dice che Lattifa è in macchina e che i bambini sono rimasti a
casa con alcuni parenti.
Parla
con il nostro amico cameriere, poi si rivolge a noi dicendo che preferisce
aspettare un attimo perché c’è troppa gente nel ristorante.
Nel
frattempo ci fanno accomodare in una sala adiacente il ristorante, Mohammed
continua ad aggirarsi nervosamente e a parlare con il cameriere, ci sentiamo in
imbarazzo per la difficile situazione che involontariamente abbiamo creato.
Mohammed sparisce un attimo, poco dopo lo vediamo tornare con Lattifa, è
velata, ci abbracciamo e i suoi occhi profondi mi trasmettono la sua gioia e
all’istante si spezza quel filo di tensione che si era creato.
Ci
sediamo e come per incanto si materializza un ragazzo, ha con se l’Ud, tipico
strumento a corde simile a una chitarra, si siede, inizia, quindi, a suonare e
cantare melodiche canzoni d’amore yemenite.
Osservo
la scena con un certo imbarazzo, nello stesso tempo sono felice di condividere
questo momento con Mohammed e Lattifa.
Sappiamo
di essere degli amici speciali per loro e ci riteniamo privilegiati nel
trascorrere insieme questa serata non comune alle loro tradizioni.
Il
cameriere ci comunica che al ristorante c’è ancora
un ultimo tavolo occupato da
quattro turisti, Mohammed si accerta che la situazione sia di suo gradimento.
Ci
congediamo dal menestrello yemenita e ci accomodiamo al ristorante, il cameriere
serve la cena e pur con difficoltà cerchiamo di restare indifferenti nel vedere
Lattifa portarsi il cibo alla bocca sollevando ogni volta il velo.
A
fine cena regalo a Lattifa un paio di orecchini d’argento a ricordo della
nostra amicizia, lei contraccambia regalandomi profumi yemeniti come quelli che
mi ha fatto provare a casa sua e che tanto mi erano piaciuti.
Come
tutte le cose belle questa serata ed il nostro bellissimo viaggio sono giunti al
termine, questa notte alle 2,35 ci aspetta il volo per l’Italia.
Salutiamo
Lattifa promettendo di tornare.
Mohammed
l’accompagna a casa, più tardi tornerà a prenderci per poi accompagnarci in
aeroporto.
Trascorriamo
gli ultimi momenti nella magica Sana’a, è tardi, la città è deserta,
ammiriamo per l’ultima volta la sua meravigliosa architettura cercando di
immagazzinare quante più immagini che andranno ad imprimersi indelebilmente
nella nostra memoria.
Verso
mezzanotte lasciamo la città, sento lo stomaco comprimersi dal dispiacere di
dover lasciare questo meraviglioso Paese che mi ha sbalordito per il grande
senso di ospitalità e per la simpatia che contraddistinguono il suo popolo
oltre, naturalmente, alla sua bellezza paesaggistica.
Eccoci
all’aeroporto, davanti al check-in salutiamo Mohammed, abbiamo tutti un groppo
in gola, ci stringiamo in un unico abbraccio guardandoci negli occhi,
ringraziamo il caro amico promettendo che torneremo, lui ricambia l’abbraccio
e non dice altro che: INSHALLAH! (Se Dio vorrà!).
Mirka