V
I A G G I A N D O..……c o m u n q u e (2)
INTRODUZIONE
“Viaggiando…….comunque
(2)” ripercuote altre tappe della mia vita.
La
prima parte andava dal giugno ’71 al giugno ’72, queste altre pagine vanno
dal luglio ’72 al dicembre ’75.
Altre
storie…..ma sempre di viaggi.
Altre
avventure……ma sempre in ascesa verso il risveglio di quella luce che ci vive
dentro.
Già
dalle prime pagine entra nella scena della mia vita l’immagine meravigliosa
della mia Pina. Una presenza essenziale, illuminante e rasserenante.
La
timida condivisione iniziale è andata amplificandosi e amalgamandosi negli
anni.
Insieme
siamo cresciuti ed insieme stiamo ancora camminando.
Stavolta
non mi sono valso dell’aiuto di nessuno per quanto riguarda la correzione. Ho
preferito fare tutto da me, consapevole che gli errori di sintassi e le
ripetizioni , a volte ossessive, sarebbero state tante.
Questo
lungo viaggio ancora continua. Il Pianeta Terra non mi ha ancora stancato. Sento
il bisogno di assaporarLo nella Sua interezza, così come è, ma soprattutto
sento l’obbligo di proteggerL0 nella Sua Purezza.
………………..parlo
di avventure intorno al mondo, di infinite corse lungo le strade del mondo e di
prodigiosi amori che, partendo dalle piccole cose che mi vivono accanto, si sono
riversati sull’intera comunità umana.
Buona
lettura…………….e buon viaggio.
L’opuscolo
riprende da dove si è interrotto il precedente.
Grazie
nuccio
guarnera
27 maggio 2008
VIAGGIANDO……………COMUNQUE (2)
Rientro in paese ai primi di luglio
e ritrovo la stessa situazione di prima. L’insormontabile ostacolo dal
quale ero fuggito qualche settimana prima, non si era per niente rimpicciolito.
Rimaneva ad attendermi in un angolo della mia mente per essere sempre pronto ad
esplodere appena avrei rimesso piede in paese.
In
effetti, la mente stessa, quella mente che mi aveva regalato qualche altro
giorno di proroga, convincendomi ad andare a Mosca, lo riproponeva al mio cospetto con tutta la serietà della
situazione.
Era
il momento di decidere cosa fare…………………e non potevo assolutamente
esimermi o decidere da solo……………………….. insieme!!!!!!!!!
Insieme
dovevamo affrontare la realtà del momento ed insieme, con grande maturità,
decidere cosa fare del nostro futuro. Eravamo molto immaturi ed entrambi, credo, non eravamo convinti e felici di
scegliere se portare sino in fondo la gravidanza……………..però!!!
PERO’!!!!!!!!!!!!!!!!!
Un
però enorme………………...grande quanto il mondo intero.
………………..rischiavamo
di stravolgere la bella vita che vivevamo
ognuno nella propria realtà abbandonando i naturali sogni giovanili e
cominciare a mettere i piedi per terra, per capire che non saremmo
stati più da soli, che le
decisioni da prendere da quel momento in poi le avremmo dovuto prendere in
due…………………e non era facile.
Allora
sconoscevo le stupende opportunità che
la vita in coppia dona a coloro
che, in armonia e spinti dall’amore, decidono di vivere insieme….anche se,
nel nostro caso, la scelta è stata forzata.
Un
PERO’ pieno di responsabilità……………un “però” condizionato
dall’ambiente……. pesante………che non lasciava spazio…………..un
“però” che ci imponeva a non scuotere le regole sociali…………….per
accettarle in sommesso silenzio.
Un
PERO’ che alla fine……………..ci fece scegliere di camminare insieme sulla stessa strada.
……………………e
meno male!
E’
stata la scelta più giusta e più bella della mia vita.
Allora
ero veramente impaurito.
Il
futuro per entrambi non sembrava molto roseo. Io non lavoravo e non sapevo fare
nulla………….riuscivo solamente a viaggiare. Lei andava ancora a scuola e
l’unica cosa che sapeva fare era…………….sognare. Con tutto ciò
decidemmo di camminare insieme per affrontare l’ardua impresa della vita di
coppia.
I
nostri incontri allora, anche se la situazione incalzava, non avvenivano con
frequenza, e non potevamo affrontare l’argomento con serenità. Sapevamo di
fare questo passo insieme, ma non sapevamo come farlo…………..e quando
farlo.
Lei
in quel periodo era alle prese con gli esami di Stato. Non riusciva a
concentrarsi sullo studio e rischiava veramente di non superarli.
La
tensione era insostenibile e bisognava decidere
presto………………………….
Cosa
fare?!
Il
solito dilemma di chi deve affrontare qualcosa di importante non avendo niente
di consistente tra le mani.
Chi
eravamo noi per avere la certezza di non sbagliare?
Quali
sicurezze materiali e quale forza interiore possedevamo allora per poter
decidere in serenità quale fosse la strada più giusta e più felice da
percorrere?!
Scegliere
per noi era veramente un problema. Un grande dilemma.
Io
vagabondo………………..…Lei sognatrice.
L’unica
cosa certa, che ci legava, credo, era l’Amore.
Io
mi sentivo attratto verso di Lei………………ed ero pazzo.
Incoscientemente,
ricordo, ero felice perché pensavo che finalmente l’avrei potuta avere sempre
accanto.
La
svolta arrivò quando si presentarono Orazio e Maria invitandoci a partire con loro su un furgone 238 della Fiat,
in giro per l’Europa.
Il
viaggio, ancora una volta, mi aiutò nel trovare la soluzione
migliore al problema.
Ne
parlai con Pina e decidemmo di fare il grande passo appena Lei avrebbe finito
con gli esami.
La
“fuitina” in un paese piccolo come il nostro, per giunta in Sicilia, è
servita da sempre a risolvere questioni spinose mettendo tutti di fronte al
fatto compiuto.
L’occasione
era veramente da non perdere, difatti cogliemmo l’attimo senza pensarci due
volte. Questa nuova grande avventura, che avrebbe cambiato la mia
vita…………….oggi posso affermare con assoluta certezza in
meglio……………..
iniziava
sotto l’auspicio meraviglioso dell’arrivo di una creatura che sarebbe stata
tutta nostra.
Bisognava
andare via………………subito…………………..
Gli
ultimi esami li sostenne il 21 di luglio e noi, quella stessa notte, partimmo insieme per vivere la
PIU’ GRANDE AVVENTURA DELLA NOSTRA VITA.
Racimolai
qualche soldo, preparai il solito amato zaino e lo portai da Orazio per
caricarlo sul furgone.
Cosa
stavo per fare!!!!!!!!!!!!!
Potevo
benissimo partire da solo, abbandonare l’impresa ed andare
via………………….lontano. Un simile pensiero non mi
balenò mai per la mente. Ero troppo innamorato di quella ragazzina che in
futuro si dimostrò una ragazza forte, capace e amante dei viaggi più di me.
Possedeva tutto ciò che desideravo trovare nella donna della mia
vita………………e non mi sbagliai.
Ci
eravamo cercati, abbiamo camminato accanto a lungo e finalmente le nostre strade
stavano per incrociarsi per diventare UNO realizzando insieme
IL NOSTRO FUTURO.
Un
presente che è frutto inconsapevole di scelte attuate in un passato remoto. Il
legame indissolubile che esiste tra passato-presente-futuro non è una semplice
dissertazione filosofica. Ogni cosa
è così perché noi l’abbiamo voluta così. Come progettiamo un viaggio tanto
tempo prima e poi miracolosamente si realizza, così dovremmo credere nella
possibilità reale di progettarci la nostra vita futura.
Qualunque
cosa, dal male alla gioia, dalla
tristezza al sorriso, deve essere vissuta con la consapevolezza che
noi, in prima persona, abbiamo collaborato affinché si verificasse tutto
così come è.
Quel
giorno, io e Lei, dovevamo per forza scegliere di vivere insieme…… perché,
insieme, per anni, per secoli forse, abbiamo seminato semi nello stesso campo.
Questi
semi quel 3 giugno del ’72 si sono fusi in un abbraccio vitale divenendo UNO,
creando i presupposti per costringerci a prendere la “giusta” decisione…..difatti il 21 luglio dello stesso
anno prendemmo l’affascinante decisone
di andare a vivere insieme.
Fu
proprio così.
Lei,
quella sera, lasciò la Sua casa per venire a vivere con me.
A
vivere con me!!!!!!!!!!!!!!!!!
Chi
ero io………………….in quel periodo!!!!!!!!!!!!!!!?
Vacillavo.
Dalla
mia parte avevo solamente la mia fortuna.
Forse
era quella “immaginetta” che
portavo sempre con me a portarmi fortuna, o forse erano tutte le preghiere che
mia mamma rivolgeva a Santa Lucia Mangano per illuminare la mia strada……….
In
effetti fui io ad andare a vivere con Lei. La Sua precoce maturità mi prese per
mano e mi aprì la mente, dandomi quella
sicurezza che mai avevo avuto. Grazie a questa Sua forza, dall’aspetto ancora
infantile repressa in un corpicino meraviglioso, esplose in me un desiderio di
stringerLa al petto per ritornarLe quella sicurezza che Lei stessa mi infondeva
continuamente.
In
tante occasioni trasmettiamo Amore, Pace, Armonia, e in tante occasioni sentiamo
su di noi sensazioni di Pace, d’Amore e di Armonia. E’ il nostro stesso
“dare con serenità” che ci ritorna indietro, influenzando la nostra vita
nel senso che noi stessi gli abbiamo dato.
Siamo
noi a crearci determinati ostacoli perché noi stessi li abbiamo immaginati e
vissuti in momenti passati…….siamo noi ad aprire all’Amore la nostra vita,
perché siamo stati noi che abbiamo seminato in passato “Amore”.
Questo
ritorno “condizionato” dal nostro “dare”…………”o pensare”, è
il segreto per vivere una vita serena e felice.
Erano
le 10 di sera quando Lei uscì da casa per “fuggire” con me. Aveva una
piccola borsa e portava con sé la speranza in un futuro………….grandioso.
In
effetti questo futuro “grandioso” da subito lo abbiamo intessuto momento
dopo momento e vissuto insieme sin dal primo giorno. Abbiamo realizzato tutti i
nostri sogni, uno dopo l’altro, perché abbiamo dato la possibilità reale al
nostro futuro di manifestarsi in armonia con ciò che al momento avevamo.
Un
futuro felice, in continuo movimento, nella certezza che dopo un passo ne veniva
un altro, propedeutico al precedente.
In
pochissimi secondi le nostre vite divennero UNO e non ci preoccupavamo affatto
di come avremmo affrontato la vita
futura.
Ero
già pronto con una macchina ad aspettarLa dietro la chiesa di S. Antonio. Nino ci
accompagnò in un hotel di S. Giovanni La Punta dove trascorremmo la nostra
prima notte. Dopo tanti anni di incontri fugaci, rubati al tempo, in strade
secondarie o dietro le colonne di S. Nicola, quella notte finalmente potevo
tenerla tra le braccia senza la paura di essere visti da qualcuno.
Eravamo
soli, liberi e intimoriti.
Quella
notte non era adatta per fare progetti.
Quella
era la nostra notte……………….dovevamo viverla con passione cercando di
vivere solamente la gioia del momento presente.
Il
ricordo di quella notte ancora oggi mi sfugge.
Pur
avendo fatto l’amore con molta passione, non è stata una notte da non
dimenticare. La paura del futuro, le lacrime di Pina, gli sguardi insicuri che
si interrogavano senza sapersi dare una risposta…………..e poi il giorno
dopo…..e gli altri giorni……con un figlio in cammino……………..
Il
giorno dopo venne Nino per accompagnarci all’Alhoa di Acireale. Avevamo
appuntamento con gli altri per partire insieme sul mitico furgone che Orazio
usava per lavorare. Loro già da due anni vivevano insieme, avevano
un figlio, e quindi, dalla loro esperienza prendemmo molto insegnamento.
Anche
loro appartenevano alla schiera dei “fuggitivi”.
L’ora
dell’appuntamento intanto era trascorsa da un po’ di tempo e i compagni di
viaggio non davano alcun segno di vita. Ormai il dado era stato tratto, quindi
potevamo benissimo ritornare in paese e mettere di fronte al fatto compiuto i
nostri genitori, ma noi volevamo dare alla “fuitina” un aspetto avventuroso.
Volevamo sin dall’inizio imprimere alla nostra vita in comune l’essenza del
viaggiare, del partire ad ogni costo senza preoccuparci degli eventuali
ostacoli. Non volevamo essere i semplici innamorati di paese che fuggono per
qualche giorno da una zia e poi rientrano nel silenzio scontato della società.
Volevamo scuotere l’immaginazione e la curiosità dei benpensanti e dei
conservatori, quindi per noi era molto importante che l’avventura non finisse
miseramente e, soprattutto, in pochi giorni.
Improvvisamente
vedemmo scendere da un’auto
Orazio il quale, ci informava che, proprio all’uscita di Catania, ad Ognina,
il furgone si era guastato. Bisognava aspettare qualche ora perché lo si stava
riparando.
L’attesa
si protrasse a lungo scoraggiandoci…………e noi non potevamo e non volevamo
più tornare indietro. In paese si era sparsa la voce delle nostra “fuga” e
quindi dovevamo per forza non concludere
in modo così repentino e normale la nostra l’avventura.
Il
paese spesse volte costringe chi vuole camminare per conto proprio
a non scegliere, nel senso che impone le sue regole, lascia che si
consolidano nel tempo e poi, sarà la paura e l’insicurezza che ne deriva, a
conferirle una forma di potere assoluto sotto il quale l’intera comunità deve
sottomettersi. La Sua forza conservatrice con autorità ne determina lo
sviluppo e la libertà di tutti i suoi componenti.
Difficilmente
il paese, del sud specialmente, accetta chi
osteggia singolarmente atteggiamenti che cercano di sovvertire l’ordine
costituito.
Il
gruppo di “potenti” che gestiva e gestisce ancora oggi il potere nel nostro
paese, i presidenti dei vari circoli culturali e professionisti, le varie sedi
rionali con i loro presidenti, la
potente commissione centrale dei festeggiamenti di S. Anastasia, le sedi
parrocchiali con le loro varie bizzoche di turno, i preti assoggettati al potere
costituito ed essi stessi espressione di potere, le varie segreterie dei partiti
di governo, in quegli anni controllavano chiunque tentava di andare oltre certi
determinati canoni.
Per
costoro il “diverso” doveva essere richiamato al rispetto di certe regole
civili, e lo facevano usando tutti i mezzi. Su di me agivano usando l’arma
della mia famiglia. Pressavano su mio padre affinché mi costringesse a vivere
in un certo modo. Conoscevano le sue debolezze ed erano a conoscenza del
cieco e supino rispetto che Lui aveva per le regole della società. Per
Lui vigeva la supremazia
dell’occhio sociale, e ad esso tutti dovevamo ossequio, specialmente i suoi
figli.
Erano
dei vili, repressi dal tipo di vita che conducevano e non permettevano a nessuno
di……….andare avanti da solo.
Li
chiamavo in quegli anni “i morti viventi”.
Li
avversai moltissimo assieme a tanti altri compagni che volevano uscire fuori
da
quell’infamia paesana che opprimeva la nostra libera espressione.
Vecchi
ricordi di lotte fatte davanti al locale “carnevalesco” organizzato dal CUP
(circolo universitario professionisti) il quale pretendeva una certa etichetta
da borghese per poter accedere in sala a danzare.
Erano
tempi veramente duri per i “diversi”. Grazie a quelle lotte e grazie anche a
qualche ostinato conservatore, amante delle “decenti apparenze”, al quale
non ho mai ceduto niente del mio modo di essere, oggi posso camminare a testa
alta forte di una dignità mai barattata. Il suo infame conformismo e il suo
gretto conservatorismo mi hanno abituato alla lotta e nel contempo a soffrire
nel buio della mia stanza. Quella falsa saggezza, espressione di una società in
decadenza, non è mai riuscita ad elevarsi a simbolo da emulare nella mia
mente……………e ne sono orgoglioso.
Il
furgone arrivò di pomeriggio in
buone condizioni e, senza perdere altro tempo, ci mettemmo subito in cammino.
Ero
felicissimo.
Un’altra
avventura stava per iniziare, stavolta però con accanto la donna della mia
vita. Mi trovavo nuovamente sulla strada………………..e stavo correndo
felice verso il mio futuro.
Conoscere
il mondo tastandolo direttamente, passo dopo passo, è una grande fortuna. Avere
la forza e la volontà di non fermarsi di fronte a niente pur di andare avanti
verso la conoscenza di sé stessi usando come veicolo la passione che si ha per il
viaggiare liberi lungo le strade del il mondo, è una grande combinazione.
Trovarsi poi accanto alla persona che si vuol bene, con la quale si decide
insieme di condividere la vita, che approva assolutamente questa scelta, è
come………………essere baciati da Dio e dalla fortuna.
Non ricordo di aver portato con me l’immaginetta presa in India, però
mi ricordo di aver avuto accanto la
mia fortuna.
E’
la compagna ideale in simili avventure. Io l’ho sempre sentita vicino ed Essa mi
ha sempre ripagato aprendomi tutte
le strade. Le ho sorriso in ogni situazione. Non l’ho mai ostacolata quando
decideva di farsi sentire, e non l’ho mai richiamata
quando non prendeva alcuna decisione. Ho sempre lasciato liberi gli
eventi di manifestarsi attorno alla mia vita accettandoli per come si
presentavano.
La
Fortuna appartiene a chi si considera fortunato.
Basta
un semplice atteggiamento mentale positivo, per legarla indissolubilmente a
noi……………………….perchè Essa è già in noi.
E’
il nostro “considerarci sfortunati” a tenerla lontana.
In
quel viaggio non mancarono mai i sorrisi, la gioia e la speranza in una nuova
vita piena di cose belle.
Passammo
le Calabrie e la Campania a setaccio, paese dopo paese, per vendere statuette
della Madonna delle Lacrime di Siracusa incastonate in una piccola grotta in
pietra lavica. Il furgone era strapieno di queste grotte, ve ne erano centinaia,
perciò la prima settimana è stato un vero problema trovarci un angolo in cui
dormire in serena intimità. Per me è stata una grande sofferenza in quei
giorni non poter fare l’amore liberamente con Pina.
Dalla
loro vendita dipendeva il nostro viaggio e…………………….ne vendemmo
veramente tante.
La
gente ha sempre avuto un implicito desiderio di stringere qualcosa di solido tra
le mani, da toccare, al quale relegare poteri straordinari e miracolosi che
servissero ad esaudire gran parte dei propri sogni.
Mi
ricordo che nel salernitano le Madonnine andarono a ruba. Dai miracoli che
promettevamo si otteneva, per noi, un
ottimo ritorno in denaro, quindi la
certezza di svolgere l’ambizioso viaggio che avevamo deciso di fare, aumentava di giorno in giorno.
Da
un altoparlante, messo ad alto volume, la voce di Orazio attirava attorno al
furgone molta gente………………e poi
avevamo anche la voce suadente di Filippo, detto “banna”, registrata su una
cassetta la quale decantava le lodi della madonnina……………..
……………….”Le mani
incantate delle bambine dell’orfanotrofio dell’Etna hanno costruito con le
pietre nere dell’ultima lava queste grotte dove hanno posto la statuetta
miracolosa della Madonna di Siracusa…. compratele……..!!!!”………..le
potete mettere sul comodino, in cucina, sulla televisione,
sull’armadio…………..il miracolo è assicurato!!!!!!”.
In
questo modo, pervasi da una grande gioia e rassicurati da un ritorno economico,
attraversammo tutta l’Italia, passando per la costiera Amalfitana, Posillipo,
Pompei………… per arrivare a Milano dove depositammo in un garage le ultime
Madonnine rimaste.
Pina
era favolosa e lentamente emergeva la Sua passione per i viaggi.
Insieme
in futuro avremmo attraversato in lungo e in largo il mondo intero, quindi,
questo primo viaggio, doveva servire come trampolino di lancio per le future
avventure. In effetti fu molto
pesante, svolto con pochi soldi e in situazioni molto precarie.
Per
andare a Parigi passammo da Lyone, e tenendo alto il volume dell’altoparlante
esterno irradiavamo musica rock in ogni angolo di strada.
Quelle
strade le sentivo amiche. Le avevo percorse qualche anno prima da solo per
andare a vivere un mese a Parigi, e poi con Pino in autostop, nel ’70, reduci
da un lungo viaggio in Europa.
Mi
sentivo a casa.
Parigi
ci accolse in una magnificenza di colori, di musica e di razze.
Il
furgone ci permetteva di arrivare fino in centro senza trovare alcun ostacolo.
Era
diventato la nostra casa. Lo spazio ristretto di prima, quando ancora avevamo le
grotte di pietra lavica, si era allargato talmente da farci trascorrere lunghe
ore in dolce intimità. Pina era felice, sorrideva e si meravigliava di fronte
alle grandi opere parigine. Dai musei del Louvre a Montmatre, dall’Arc du
triomph a Notre Dame, da Pigalle alla Tour Eiffel…………..Parigi era così
piccola per noi che non riusciva a contenere la nostra gioia.
Il
futuro lo stavamo vivendo nel momento presente e nessun ostacolo ci sembrava
insormontabile.
Con
il furgone ogni sera cambiavamo luogo dove dormire. Non avevamo limiti e
potevamo benissimo fermarci per la notte in qualunque posto.
Parlavamo
di politica, della rivoluzione mancata, dei figli dei fiori che stavano
invadendo il mondo con quel classico: “FACCIAMO L’AMORE, NON FACCIAMO LA
GUERRA”……………parlavamo anche del nostro paese, di come organizzarci
dentro il partito per ribaltare l’attuale realtà.
Pina
era molto affascinata dai musei, dell’arte in genere, a differenza di me che
amo semplicemente viaggiare senza interessarmi di nulla che non
sia………………
……………la
strada, il camminare in libertà per sentire dentro di me la sensazione del
movimento e dell’andare via……lontano…….
Guardavamo
i tanti visi della gente di colore diverso l’una dall’altra, a volte stavamo
lunghe ore seduti sulle banchine della Senna ad osservare il fiume scivolare
verso il mare………a Montmatre passavamo giorni interi ad ammirare
l’estemporaneità di qualche pittore che in pochi minuti ritraeva i visi della
gente………..dalla scalinata del Sacro Cuore contemplavamo i tetti di
Parigi…………
Mi
spinsi verso rue Turbigò per incontrare Turi e gli altri amici, Massimo e
Orlando. Si erano sposati e delle belle notti di qualche anno prima, trascorse
nelle discoteche di Montparnasse, rimaneva
solo il profumo diluito con il ricordo di qualche
ragazza algerina.
Con
Pina stavamo vivendo un’esperienza molto bella. Erano bei momenti per sognare
un mondo migliore e un futuro pieno di viaggi.
Ci
tenevamo per mano, ci stringevamo e facevamo l’amore…..………..…
Il
furgone era un campo di battaglia…………Orazio e Maria sistemati di dietro
e noi davanti, separati da un
leggero muro di compensato.
Con
il nostro movimento davamo un senso alla staticità del furgone.
Eravamo
sempre in cammino…….in movimento……….GRANDI MOMENTI.
Da
Parigi ci spostammo a Norimberga
attraversando mezza Europa.
Mentre
il furgone correva verso la meta, la gioia sprigionata dai nostri cuori
avvolgeva l’ambiente circostante. L’alto volume della musica, la nostra
felicità, i nostri sorrisi, gli abbracci e i lunghi discorsi politici
riempivano di vibrazioni positive il mondo intero…………….era un grande
momento.
Ancora
non pensavamo al futuro………e forse era meglio.
Norimberga
in quei pochi mesi di lontananza la trovai completamente cambiata. L’attività
politica di prima, l’armonia folkloristica attorno ad una bottiglia di birra e
quell’ambiente profondamente paesano, erano scomparsi. Mancavano in tanti e
soprattutto vi era molta freddezza. Solamente Antonietta ci accolse con gioia ed
abbracciò Pina che finalmente poteva conoscere.
Gli
altri………….dove erano!!! Dov’era Argiolas, Giuseppe, Morittu……dove
erano tutti quei sardi con i quali trascorrevo lunghe notti a discutere sulla
vita, di politica…….dove erano quei fiumi di birra che trascinavano con sé
tante menti tristi verso una liberazione virtuale!!!!!!!!!!
In
pochi mesi quel mondo era………………divenuto un altro.
L’azione
irrefrenabile del fluire continuo di tutte le cose aveva toccato anche quella
realtà che sembrava ben
consolidata. Pur essendo sostenuta dalla sofferenza, ravvivata dall’odio verso
il padrone tedesco e animata dal desiderio di poter tornare un giorno a casa
pieni di soldi……………..con tutto ciò anche essa è stata colpita
dall’onda del cambiamento. Forse è stata la delusione del mancato sorpasso
alle elezioni politiche, o forse qualche altra cosa……chi può dirlo!!!!!!!!!
Entrai
al bar di Platen strasse convinto di trovare una calorosa accoglienza, invece
notai tanto silenzio, principalmente da parte di quei pochi rimasti.
La
sera dopo si organizzò un’incontro con gli ultimi compagni per permettermi di salutarli, di poterli abbracciare
e di presentargli la mia Pina. E’ stato un semplice incontro formale senza
niente di eccezionale. Mancava Giuseppe, l’unico compagno con il quale
mantenevo rapporti oltre la politica. Anche Lui era un sognatore, diverso da me,
però sperava in un mondo migliore e in un suo prossimo rientro a casa per
ritrovare la Sua vecchia mamma.
Ci
fermammo solo pochi giorni e poi, ripassando per la solita Monaco, iniziammo a
correre lungo la via del ritorno. Lentamente, lasciando ovunque segni di gioia e
d’Amore, cantando a squarciagola la nostra libertà……….. Passammo per
Strasburgo, poi per l’Austria, dalla Svizzera per ritornare a Milano a
riprendere le poche grotte di pietra lavica depositate in un garage presso un
parente di Maria.
Mi
incontrai con mio fratello Franco che in quel periodo stava prestando il
servizio militare nell’arma dei bersaglieri………….i soliti
abbracci……e via…..
…………….via.
Era trascorso un mese e l’ora del
rientro inesorabilmente cadenzava i suoi passi.
Era
trascorso un mese e le acque mosse di prima non si erano ancora calmate. Adesso
era il momento di affrontare il paese con tutte le sue “sottovoci” sature di
pettegolezzi che distruggevano chiunque senza alcun ritegno.
Il
paese mormorava lievi sussulti
quando doveva criticare. Nessuno
sfuggiva al suo vigile occhio. Anche noi passammo sotto quelle forche…….e
chi lo sa quanto parlare su di noi, sulla povera Pina che era capitata male, con
un comunista che non aveva rispetto per le regole e per la
chiesa…………………..
In
paese le voci correvano molto veloci e si insinuavano in ogni angolo. La sua
prepotente forza consisteva proprio in questo condizionante chiacchiericcio dal
quale nessuno poteva esimersi.
Il
nostro rientro quindi non passò in silenzio.
Scendemmo
dal furgone proprio di fronte casa mia.
L’avventura
vissuta per le strade d’Europa, si trasferiva in una piccola casa in un
paesino siciliano.
Era
il momento di fare i conti con la realtà.
Avremmo
saputo affrontarla con dignità, cercando di non scendere a compromessi pur di
ottenere quello che desideravamo………………………..o no???
In
silenzio, ci siamo guardati negli occhi e inconsciamente abbiamo deciso di
mantenerci sempre liberi come lo siamo stati fino a quel momento.
E’
facile scivolare quando ci si trova
in condizioni aleatorie di disagio e di bisogno. La dignità, purtroppo, diventa
un elemento secondario e facilmente viene non considerata. L’esigenza primaria
diventa il lavoro, la casa, la televisione e un bel matrimonio per sancire
ufficialmente e religiosamente l’avvenuta unione.
Cose
che entrambi volevamo che non accadessero.
La casa dove vivevano i miei genitori ci accolse apportando lievi
stravolgimenti. Mia mamma era felice perché pensava che finalmente avrei
trovato un po’ di serenità, mio padre riacquistava credibilità per
l’occhio sociale perché poteva dimostrare apertamente che suo figlio, in
questo caso, si era dimostrato di essere un vero
uomo. Mio fratello Maurizio accettò l’evento come un nuovo giocattolo con il
quale giocare, l’altro mio
fratello stava prestando il sevizio militare, quindi la situazione non lo
riguardava, e mia nonna, buona come era, abbracciò Pina e divennero da subito
buone amiche.
La
stanzetta dove preparammo il letto matrimoniale era molto piccola. A stento
riuscivamo ad entrarvi e a ritagliarci un po’ di intimità. La situazione era
molto precaria e bisognava trovare presto una soluzione.
L’instabilità
oggettiva determinava problemi profondi
ed esistenziali. La soluzione non era a portata di mano. Dovevano passare ancora
alcuni mesi prima di andare a vivere in una casa in affitto da soli.
L’imbarazzo
di Pina era molto evidente, non riusciva ad essere sé stessa. Anche io cercavo
di scuotermi dall’apatia nella quale ero caduto, ma la mancanza di denaro, il
peso delle reali responsabilità arrivate tutte in una volta, mi costringevano
in un angolo a non reagire. La politica attiva lentamente
si stava allontanando dalle mie aspirazioni prioritarie. Leggevo
pochissimo e speravo in un aiuto esterno, difatti qualcuno mi aiutò cercandomi
un lavoro in un rifornimento di benzina sulla Catania Siracusa.
Partivo
da Misterbianco ogni mattina alle sei con il proprietario e ritornavo la sera
molto tardi, tutto per una misera somma. Era il mio primo lavoro da sposato ed
ero pressato dalla responsabilità di mantenere una famiglia. Gli obiettivi di
qualche mese fa che mi spingevano a lavorare per un semplice gioco o per una
falsa esigenza, tipica tra quegli intellettuali che vogliono sentire su di loro
l’ebbrezza dell’emarginazione sociale e proletaria, stavolta erano cambiati.
Dovevo tenere conto della mia famiglia. Non ero più solo.
Un
periodo da dimenticare.
La
tristezza di Pina.
La
sua timidezza la costringeva in disparte dalle decisione da prendere. Il
dipendere economicamente dai miei genitori per qualunque
cosa………………..per andare al cinema, per uscire con gli
amici……….comprare il corredino per il bambino…………………..e non
poter decidere cosa mangiare, quando mangiare…………….era un vero dramma.
La
nuova situazione ancora non entrava nella mia mente………………..del resto
oggi, dopo tantissimi anni, posso affermare con assoluta certezza che
quell’infantile posizione mentale e comportamentale di
allora, forse per paura o per mancanza di crescita, che non mi faceva entrare nell’idea di essere un padre con
una famiglia sulle spalle, ancora dentro di me non si è “responsabilizzata”
del tutto………………….continuo a sentirmi libero, padre di due figli
che camminano in questo mondo da soli, a volte sostenuti dalla mia presenza, e
soprattutto innamorato di mia moglie, con la quale mi considero, veramente, un
eterno fidanzato.
La
mia famiglia!!!!!!!!!!!!La mia nuova famiglia.
Adesso
era Pina la mia famiglia.
Nostro
figlio sarebbe arrivato tra qualche mese ed avrebbe senz’altro apportato al
nostro nucleo una ventata di novità. Non pensavo ai problemi futuri, alle
difficoltà oggettive determinate dalla precarietà della nostra situazione. Ero
già sin d’allora ottimista e ogni momento per me era sempre il momento buono per pensare ad una nuova avventura
per le strade del mondo.
Già
sin dai primi giorni, durante le notti insonni in quell’infima stanza da
letto, parlavamo di futuri viaggi, di luoghi fantastici da visitare per vivere
con gioia anche in situazioni estreme. Riempivo la testa di Pina parlandoLe
continuamente dei miei viaggi in autostop lungo le strade d’Europa.
Stavamo
intere notti a sognare.
Il
nostro presente in quel periodo non ci permetteva di andare lontano con la
fantasia, eppure, mi ricordo, di non avermi fatto prendere dalla sindrome della
sconfitta o dell’indifferenza. Non potevamo viaggiare, però gli impegni nel
sociale non mancavano. Avevo ripreso ad impegnarmi nel partito svolgendo attività
politica a tempo pieno.
Mimì
era il nostro leader. Grazie a Lui tanti di noi conobbero il giusto modo di fare
politica che era quello di radicarci nella realtà in cui vivevamo e di
conseguenza progettare azioni politiche. La paura di qualche anno prima, determinata da mio padre e da
mio nonno Nino, che mi trattenevano lontano dalla sezione del partito, aveva
preso le ali. Adesso partecipavo alle riunioni, potevo assistere in prima fila
ai comizi e parlare a voce alta gridando i miei ideali.
Il
lavoro di benzinaio, intanto, andava avanti con un certo fastidio. Non vedevo
l’ora di ritornare a casa e di stare accanto a Pina. La Sua vicinanza mi
tranquillizzava e mi proiettava in un futuro sereno e pieno di avventurosi
viaggi. In effetti sin dai primi anni abbiamo iniziato a girovagare per il mondo
sfidando enormi difficoltà
economiche e contrasti familiari che non ci sono mai mancati.
La
Sua pancia intanto, con il
trascorrere dei mesi, aumentava e
si avvicinava il tempo di prendere delle decisioni importanti. Dovevamo
regolarizzare la nostra unione davanti a Dio, così dicono i benpensanti, e nei
confronti della società. Due passi che già sin d’allora non volevamo affatto
fare perché non credevamo a queste false regole impregnate di bigottismo e di
ipocrisia volute da una società
che contestavamo già da diversi anni…………………………….eppure
era un passo che dovevamo fare…………..e l’abbiamo
fatto…………..con tristezza,
sicuramente, però convinti di farlo.
Eravamo
troppo piccoli per scontrarci con simili regole radicate nelle menti, nel sangue
e nella cultura del popolo siciliano. Potevamo benissimo sfidarle, forse avremmo
vinto…………….ma a quale prezzo.
Chi
eravamo noi per andare contro tutte quelle prescrizioni consolidate negli anni?
Perché dovevamo creare altra sofferenza ai nostri genitori che sono cresciuti
nel timore e nel rispetto di queste regole?
In
quel momento siamo stati veramente maturi.
Non
ci siamo fatti condizionare da quell’infantilismo politico ed ideologico che
ci spingeva verso una intransigenza ottusa, che avrebbe creato lancinanti
divisioni in seno alle nostre famiglie.
Lunghe
ore a discutere con Pina su quale sarebbe stata la migliore decisione da
prendere………………..alla fine abbiamo deciso di celebrare un matrimonio
ufficiale condito di tutti i crismi sociali voluti dalla società di
allora………………..e abbiamo fatto bene.
L’armonia
è stata completa.
I
preparativi si sono svolti con grande passione, gli inviti sono stati decisi in
completa sintonia…………le bomboniere, la scelta del colore del vestito da
sposa……..hanno deciso un giallo paglierino con un cappello alla contadina
tutto rigorosamente fatto dalla mamma di Pina……………..il mio
vestito………..l’unica trasgressione da parte mia è stata non mettere la
cravatta e non portare la fede, scelta presa in sintonia con Pina sin dal primo
momento……….la scelta del locale……….abbiamo preferito fare il
ricevimento al locale la “Tarantola”, accanto la
piazza, per risparmiare e, in parte perché i nostri genitori volevano
punirci per quello che avevamo fatto, “fuggitivi”……………un
complessino musicale di matrice paesana, la scelta della
chiesa……………..quella di S. Antonio era in costruzione quindi il rito si
è celebrato in un garage proprio dietro la chiesa……………….i
testimoni……………..o quante cose……….il fotografo, il film per
ricordare………………..il viaggio di nozze non l’abbiamo fatto. Non era
nei piani e non pretendevamo di pesare così tanto su i nostri genitori.
In
serbo però avevamo la conquista del mondo.
Trovammo
una casetta dove vivere da soli proprio accanto a quella dei miei familiari. Era
piccolissima, a più piani, senza doccia, senza bidè………difatti ne usavamo
uno di plastica, le scale erano molto ripide e il cambiamento di stagione veniva
vissuto in modo molto violento dato che l’inverno era estremamente freddo e
l’estate paurosamente torrida. Era un “pipitone” di casa senza nessuna
copertura da tutti i quattro lati.
La
vivemmo per quasi cinque anni nella più tetra oscurità. Pochissime persone, mi
ricordo, vi entrarono. Era piccolissima e invivibile…………………….eppure!!!!!
Nel silenzio cupo delle sue mura, funestata da un vento prepotente, dove
l’acqua vi entrava senza ritegno appena un piccolo acquazzone cadeva dal
cielo, dove l’odore rancido di muffa impregnava le sue
mura……………………..in tutto questo guazzabuglio di ostacoli che
rendevano l’armonia della vita molto aleatoria, l’Amore tra me e Pina
emergeva sopra ogni cosa.
La
scelta dei mobili avvenne in modo freddo senza alcuna partecipazione da parte
nostra perché allora non sentivamo l’esigenza di avere una bella casa.
L’importante avere un letto, un armadio, qualche sedia, un tavolo e qualche
mobile dove mettere i libri che già sin da allora avevo iniziato a comprare con
ingordigia.
Il
libro è stato, e fortunatamente lo è ancora oggi, il mio più grande Maestro.
Non
si è mai limitato al semplice insegnamento culturale. E’ andato sempre oltre
la Sua verità ufficiale. Mi ha mostrato la verità implicita che nella Sua vera
essenza conteneva. Mi si è presentato sempre al momento opportuno. Mai è stato
precoce o ritardatario nella conoscenza che voleva donarmi. Se qualche volta è
arrivato prima del tempo previsto, trovandomi ancora culturalmente e
psichicamente impreparato per viverlo nella Sua giusta verità, mi si è reso
talmente impenetrabile e difficile persino nella lettura, da costringermi
gentilmente a depositarlo in un angolo della mia libreria.
Nei
momenti di confusione o di palese esaurimento è stato sempre pronto nel
presentarsi in una giusta lettura per
schiarirmi le ombre dalla mente. Anche nella mia ricerca spirituale la Sua
presenza è stata sempre puntuale e illuminante……………….mi ricordo
quando nel ’74 vidi per la prima volta il viso beato di Paramahansa Yogananda
emergere su tutti gli altri, proprio dietro il vetro di una libreria in via
Umberto a Catania: “Autobiografia di uno Yogi”, l’affascinante epopea di
una vita miracolosa alla ricerca dell’Assoluto, accompagnata da misteriosi
Sadhu e da prodigiosi maestri illuminati………………….lo comprai subito
e in breve tempo lo lessi….lo rilessi tante volte……..lo rileggo ancora
oggi e non smetto mai di sentirmi tra le mani qualcosa di miracoloso che ha
cambiato la mia vita e quella di milioni di altre
vite……………………………………………………..
Tanti
altri sono stati i libri che hanno determinato in me un cambiamento
……………………..ricordo l’immagine di Sai Baba quando per la prima
volta mi si presentò, sempre da dietro il vetro di una libreria, e come
sconvolse tutta la mia vita……………..un’altra storia.
Dobbiamo
ringraziare profondamente quelle grandi personalità che nei secoli ci hanno
lasciato insegnamenti sublimi, spianandoci la strada verso la liberazione.
Grazie
alle loro opere divine, in tanti abbiamo sorvolato, e andato oltre con la mente,
vette incantevoli deliziando della loro presenza i nostri cuori.
Intanto,
mentre la pancia di Pina aumentava di volume e nella Sua serenità cercava di
pensare al corredo di nostro figlio, io abbandonavo il lavoro di benzinaio,
perché economicamente mi sentivo sfruttato, ed iniziavo a lavorare in una
fabbrichetta di scarpe situata a Catania nella zona San Cristoforo. Un altro di
quei lavori retribuiti pochissimo dove lo sfruttamento era prassi consolidata
e dove l’avvelenamento, dovuto
alla combinazione delle vernici che servivano a colorare le tomaie delle scarpe,
consumava in breve tempo i polmoni degli operai. Vi rimasi solo qualche mese e, prima di lasciare il lavoro, gli creai un casino favoloso
interessando il sindacato sull’inumana situazione che si viveva in questa
fabbrica.
Perché,
mi chiedevo, sulla pelle degli uomini ci permettiamo di tutto?
Ero
giovane, pieno di buoni propositi con poca malizia addosso. Sapevo di dover
scendere a compromessi se volevo trovare un lavoro decente, ne ero consapevole.
Non riuscivo a capire però questa stupida ingiustizia, senza logica, perché si
accaniva sempre verso il più debole, il bisognoso. Il fermento interiore che mi
creavano queste tristi realtà mi
spingeva verso una coatta rassegnazione.
Ero
cosciente dei limiti oggettivi con i quali dovevo confrontarmi ogni giorno,
consapevole che la vita difficilmente sorride a chi rimane nell’incapacità di
reagire. Questa società è talmente furba da imporre schemi di sviluppo settari
e violenti da farli accettare persino alla povera gente convincendoli che simili
momenti sono espressioni di alta democrazia.
L’interesse
collettivo, dicono loro, deve emergere sull’interesse del
singolo………….però, stranamente, è sempre la povera gente, chi non
riesce ad esprimere le proprie esigenze, a sottomettersi a questo
“democratico” principio. Gli altri, i potenti, il politico, sono sempre
oltre questi concetti.
La
collettività sono loro. Il popolo sono IO, dicono. Quindi prima noi e
poi………..gli altri.
I
rapporti di lavoro che riuscii ad avere in quel periodo sono stati molto
aleatori e deprimenti. Avevo bisogno di libertà, di autonomia, principalmente
sul lavoro. Ne parlavo spesso con Pina e, senza saperlo, quei discorsi stavano
spianando una gloriosa strada per il mio futuro. Sognavo un lavoro autonomo,
libero dai legami sociali ed etici, fantasioso, dove potermi esprimere senza
alcun limite. Con Pina ne parlavamo continuamente……..possibile, pensavamo,
che lavorare oggi vuol dire scendere a compromessi??!! Ci ostinavamo a
considerarci liberi e tali volevamo rimanere.
Aspiravo
con tutto me stesso a qualcosa di simile, però non avevo ancora le idee chiare
su cosa fare. L’unica cosa che riuscivo a svolgere con Amore, passione e
determinazione era IL VIAGGIARE.
Non
riuscivo a pensare ad altro……….libertà, lavoro, viaggi.
Mentre
ne parlavo con Pina, inesorabilmente il mese di febbraio stava per arrivare.
Nostro figlio già scalpitava per venire fuori e noi………a sognare lunghi
viaggi in qualunque parte del mondo.
Quell’anno
mi ricordo un freddo molto intenso. L’umidità congenita della nostra casa in
combutta con il freddo e con l’acqua che scendeva dal cielo, permetteva la
formazione di uno strato di vapore acqueo e l’aria che si respirava dentro
casa era così pungente e tagliente che l’unica salvezza era quella di uscire
fuori.
L’unica
stufa elettrica ce la contendevamo da sotto il tavolo, nella speranza di
percepire un po’ di calore.
Come
sempre la mia fortuna mi stava aspettando dietro l’angolo per esplodermi
intorno appena le condizioni fossero state mature.
Verso
il mese di dicembre del ’72 ebbi l’occasione di assistere, presso la facoltà
di Agraria, al procedimento di una stampa in bianco nero eseguita tramite un
Dust.
Fu
l’evento che cambiò la mia vita mettendomi nelle condizioni reali di rendermi
autonomo economicamente e nello stesso tempo di liberarmi dalle grinfie
oppressive di un
datore di lavoro.
Possedevo
una Halina con la quale mi dilettavo a fare foto. Ero un semplice dilettante
della fotografia e non mi rendevo conto di avere tra le mani il mio futuro. La
passione per le foto era un semplice modo per sfuggire alla noia proposta dalla
realtà.
Già
da qualche anno avevo preso l’abitudine di fotografare qualunque cosa, quindi
ero già, in un certo qual modo, un esperto. La stampa era l’evento che più
mi appassionava. Contemplavo le foto, i loro colori e con molta attenzione le
inserivo in albumetti di plastica
per mostrarle agli amici. Ero molto soddisfatto del risultato e mi proponevo di
farne sempre di più in diverse occasioni.
Dal
momento che ebbi l’opportunità e la fortuna di assistere in diretta alla
stampa delle mie foto, la gioia è stata tanta da farmi comprare un piccolo Dust
60 con il quale iniziai a stampare da me tutte le foto che in quel periodo
facevo in giro per il paese.
Spesi
quei pochi soldi che avevo messo da parte per comprare l’ingranditore e
l’occorrente per poter stampare.
Mi
ricordo di aver consumato pacchi interi di carta fotografica, di sviluppo e di
fissaggio. L’importante per me allora era vivere intensamente quel momento e
gioire della felicità che mi donava.
1
9 7 3
Il nuovo anno iniziava, per noi, con un fragore immenso.
Ormai
erano trascorsi diversi mesi dall’ultimo viaggio, e al momento non ero in
condizioni tali da decidere la prossima data. Ero sposato e dovevo programmare
il futuro tenendo conto anche delle esigenze di mia moglie e in futuro anche di
quelle di mio figlio. Fortunatamente sin dal primo giorno anche Lei si è
dimostrata una grande amante dei viaggi liberi, e preferiva girare per il mondo
senza alcuna struttura pianificatrice.
Viaggiare
liberi, senza orpelli “catalogati” che snaturano l’attraente avventura tra
i popoli che abitano la terra, è senz’altro il modo più interessante per
conoscere il mondo. Soli e a contatto diretto con l’ambiente e la gente del
luogo, senza alcun filtro dal quale passare prima di assaporare il paese con il
quale al momento si è in contatto. E’ un’esperienza indimenticabile.
Soli
con le proprie paure, le proprie fobie, con le insicurezze che derivano dal
rapporto con il nuovo, è un grande momento di crescita da non trascurare.
Siamo
andati avanti in tutti questi anni con questa convinzione ben salda nella mente
e nello spirito. Sicuramente i rischi sono maggiori, le spese forse aumentano,
le fregature diventano più frequenti……………….però si è liberi.
Liberi da orari, di muoversi quando e come si desidera, di fermarsi più a lungo
in un luogo dove i rapporti con i popoli locali sono più diretti e più
sinceri.
E’
un’altra cosa viaggiare da soli e in libertà. Gli unici limiti, al massimo
possono derivare, ed è giusto che sia così, dal tipo di vita che ci siamo
scelti e dalle virtuali scale di valori che ci siamo confezionati.
Il
fragore del nuovo anno era dettato dal grembo di Pina che stava per esplodere.
Antonio tra poco doveva venire al mondo. Già era irruente ancor prima di
nascere, difatti questa sua impetuosità lo costrinse ad uscire fuori con 20
giorni in anticipo dalla data considerata. Nacque molto piccolo ed
ancora………………………….inesperiente.
La
Sua permanenza nel grembo della mamma, al sicuro, al buio, al caldo, immerso nel
liquido amniotico, alimentato in modo sano e continuo, coccolato da tutti, con
il corredino già pronto, con una casetta, con i nonni che non vedevano l’ora
di stringerlo………………….e con un padre vagabondo, anarco-comunista,
senza lavoro, ad un certo punto……..divenne insostenibile.
Doveva
per forza venire fuori.
La
mattina del 9 febbraio Antonio vide la luce.
Il
momento era arrivato improvvisamente la sera prima con dei lievi dolori
avvertiti da Pina. Non avendo la macchina, chiamai mio padre per farci da
autista. Una scelta sbagliata perché non era abituato a guidare al buio e
quella sera, mi ricordo, tanta era la tensione, si fermò diverse volte ad
orinare.
Pina
venne prelevata da un’infermiere e scomparve dietro una grande porta
dell’ospedale “Bambino” di Catania .
Un’intera
notte senza avere notizie.
Il
silenzio che si innalzò attorno alla sorte di Pina fu assoluto. Nessuno ci
diceva qualcosa. Qualche infermiere ogni tanto usciva avvertendoci che ancora
Antonio non era nato.
Un
mondo strano quello nostro. Si lascia una donna sola, inesperta e ancora
ragazzina, ad affrontare l’evento più importante della sua vita senza la vicinanza
di una persona cara.
La
prima sofferenza.
L’altra
arriva durante il parto mentre la creatura cerca di venire al mondo.
A
parte il triste trauma che coglie il bambino appena nasce, circondato da un
ambiente freddo e asettico, vi è l’incontenibile dolore della mamma che in
quel momento la coglie impreparata e per giunta sola.
Un
vero dramma.
In
mattinata, dopo una notte insonne, uscendo dall’ospedale per andare al bar fui
attratto dalle luci del cinema “Esperia” che proprio a quell’ora stava
aprendo al pubblico. Ricordando i vecchi tempi quando da ragazzo,
anziché andare a scuola preferivo rifugiarmi al cinema, senza riflettere
entrai in sala e, tra il sonno e il desiderio di stare un po’ da solo,
trascorsi qualche ora davanti allo schermo. Un modo come un altro per tirarmi
fuori dalla “normalità sociale” la quale presupponeva un genitore
preoccupato per la moglie e speranzoso per il sesso del nascituro.
Nemmeno
in quella esaltante situazione riuscii ad essere normale.
In
effetti era contro me stesso che lottavo.
Sin
dal primo momento, pur di mantenere l’identità “di rivoluzionario e di
contestatario” nella quale mi ero inserito e dove gli altri, con i loro
giudizi, mi tenevano rilegato, ho sempre cercato di dimostrarmi freddo e
distaccato di fronte a simili eventi.
Ero
veramente impacciato.
Un’idea
così nuova, sicuramente rivoluzionaria per antonomasia, quella di crescere
un proprio figlio, non l’avevo mai contemplata.
Un
figlio!!!!!!!!!!!....mi chiedevo con meraviglia. Per chi! Per farne cosa!
Ero
io il padre, certamente, ma chi doveva crescerlo, chi doveva impartirgli la
giusta educazione!!!!! Non mi sentivo pronto. L’unica cosa che
desideravo trasmettere a mio figlio era l’Amore per i viaggi e per la
libertà………………………..ma queste cose non si trasmettono. Chiunque
le possiede. Si risvegliano da sole appena le condizioni sono mature.
A
casa nostra le condizioni, per fortuna, non sono mai mancate.
Il
desiderio di viaggiare nel mondo per viverlo direttamente, a contatto stretto
con la gente che lo popola e con la natura che lo colora,
sono state da sempre esigenze prioritarie nella nostra famiglia.
Appena
misi piede nel vano della scala per salire al secondo piano dove
Pina stava per diventare madre, la voce di mia mamma dall’alto mi gridò……….è
maschio……..è maschio……ma dove sei stato……….!
La
sofferenza Le si leggeva negli occhi e dal volto Le traspariva una pesante
stanchezza. Era distrutta, sciupata
e piangeva a dirotto. Non riusciva a dimenticare il dolore fisico e psichico
vissuto durante il parto e non voleva vedere ancora il bambino.
Non
sapevo come comportarmi. Cosa fare. Giravo attorno a me stesso senza alcun
pensiero definito. Il fluttuare della mente mi rendeva tutto così confuso. Le
decisioni da prendere lasciavo che arrivassero da sole.
Pina
in quel momento non era mia. Apparteneva a sua mamma……….a mia mamma, che
Le stavano addosso per esaudire ogni suo desiderio. Tentavo di abbracciarLa per
darLe un poco della mia serenità………………ma Lei era in dormiveglia,
farfugliava parole di sofferenza, si lamentava e inveiva verso i
medici…….assassini!!! Proprio così. Era stata molto maltrattata e l’unica
sua reazione era quella di offenderli.
Ero
felice!!!!!!!!!!!! Credo di si.
La
tipica felicità di un ragazzo che
ancora non si rende consapevole della nuova realtà. Ancora non mi rendevo conto
di cosa era avvenuto. Navigavo tra il vacuo e il razionale, tra i sogni di
ragazzo e le responsabilità di padre.
Non
so sugli altri quanto determinante
possa essere l’arrivo di un figlio. Su di me l’arrivo di Antonio non
sconvolse assolutamente nulla. Rimasi, e lo sono ancora oggi, innamorato dei
miei sogni. La Sua presenza, da subito, divenne un elemento naturale da inserire
nella normalità della nostra vita.
Negli
anni a venire lo lasciavamo spesso, e per lunghi periodi, da mia suocera per
continuare le nostre avventure.
In
periodi diversi, per diversi anni, lo portammo con noi in giro per il
mondo………………e fu veramente meraviglioso.
L’insegnamento
che da il contatto diretto con la strada è quanto di più formativo possa
esservi per un ragazzo.
Con
noi a soffrire giorni interi sui bus guatemaltechi o su i taxi brouss del Malì,
o sdraiato al sole nelle spiaggia incantata di Unawatuna nello Sri Lanka. Un
vero addestramento alla vita, fatto di sofferenze e di gioie allo stesso
momento, di forti tensioni dovute alla precarietà dello spostamento, di poco
sonno in letti sudici e di pacifiche dormite cullate dal rumore delle onde, di
rischi reali di malattie, di colpi di sole o di freddo intenso capace di
provocare congelamenti.
Quel
giorno segnava un grande cambiamento nella mia vita. Con Pina lo vivemmo alla
grande, nella consapevolezza che da quel momento in poi accanto a quel camminare
spensierato di prima vi sarebbe stata anche la figura di Antonio.
L’arrivo
di Antonio a casa coincideva con l’entrata del carnevale. In quegli anni
ancora veniva vissuto in una baldoria di
gioia collettiva. L’intero paese trascorreva 15 giorni posseduto da questo
clima festoso e da profondi risvolti sensuali. Musica e sesso. Un binomio molto
di moda in quel periodo.
Chi
ancora non aveva la ragazza, la spregiudicatezza della piazza avrebbe
senz’altro donato la possibilità reale e risvegliato un coraggio interiore
talmente disinvolto da poterla avere o almeno da poter toccare a piene mani
svariate forme di seni e di sederi.
Era
il carnevale. Un momento di liberazione spontanea da tutti i tabù che imponeva
quella nostra società così bigotta.
I
locali da ballo solo da qualche anno erano diventati di dominio popolare,
quindi, dopo aver lacerato le nostre risorse fisiche nella fantasmagoria della
piazza, si andava al locale per continuare l’orgia del divertimento.
Non
si prevedeva alcun momento di riposo. Solo poche ore distesi sul letto e poi
via……………un’altra notte di baldoria.
Mi
ricordo che quell’anno, pur avendo tutti gli amici ancora non sposati, non
riuscii a divertirmi con la spensieratezza degli altri anni.
Avevo
attraversato il Rubicone. Non avevo più niente da conquistare e nessun corpo da
toccare. Adesso avevo la mia Pina sempre con me. Non dovevo più cercarLa dietro
le maschere per immaginarmi un contatto con Lei. Improvvisamente era diventato
tutto così semplice, poterLa stringere durante un ballo senza sentire addosso
la paura di scontrarmi con i suoi genitori che mi guardavano con occhi
truci………………..era veramente un sogno!!
La
ripresa di Pina avveniva molto celermente. Lei non era il tipo da abbandonarsi
sul letto ad aspettare le coccole.
La
Sua dinamicità, per chi la conosce, è proverbiale.
Da
subito si mise a lavorare, acquistò le forze e con molta serenità iniziò ad
allattare Antonio. Sembrava tutto così semplice e normale. A differenza delle
tante voci che definivano il matrimonio come la tomba dell’Amore, per noi,
questo eventuale rischio non si è mai presentato.
Tra
le forti litigate che non sono mancate mai, tra le spaventose crisi economiche
lunghe e debilitanti, tra i sogni comuni da realizzare,
tra le impennate frequenti di un Amore appassionante e tra i continui
viaggi avventurosi in giro per il mondo, non siamo mai scivolati nella monotonia
tipica degli sposati, semmai abbiamo avuto problemi seri per il troppo movimento
che ha caratterizzato la nostra vita.
Poche
sere uscimmo con gli amici per festeggiare il carnevale…………ma sentivo
che non era più come prima. Mentre la piazza vibrava sotto l’incalzante ritmo
della musica e le coppie si
stringevano furtivamente cercando un contatto desiderato e i gruppi in maschera
sfilavano per le vie del paese riempiendolo di gioia e di colore,
io….noi…..eravamo assenti. Lontani, già alle prese con i prossimi impegni
con la vita.
Sentivo
Pina distante. La sofferenza del parto ancora non l’aveva del tutto
dimenticata e poi correva col cuore verso nostro figlio rimasto a casa con i
nonni. Le stringevo la mano immaginandomi di essere ancora fidanzati……ma i
pensieri volavano lontano.
Stavamo
cambiando. L’aria stessa stava profumandosi di nuovi valori.
Sentivo
quella tipica brezza rinfrescante che emana il cambiamento. Stavamo transitando
lentamente, insieme, verso un altro corpo, un'altra coscienza. Non era un mondo
nuovo, la tipica realtà sottomessa agli obblighi familiari e sociali, quello
che stava per arrivare. Era il risveglio della coscienza che mi trascinava con
delicatezza nel mondo dello Spirito.
Era
il momento di lasciare andare…………………….di lasciarmi andare al
silenzio che proviene dal mio intimo. Di ascoltare i sommessi consigli della
coscienza che, sottovoce, per non stravolgere la certezza del conosciuto, mi
sussurrava
all’orecchio……………………..Fermati!.........Ascolta!...............e
cammina………un passo dietro l’altro.
Adesso
sei Tu a camminare………..rimanendo fermo.
Gira
su Te stesso. Rimani immobile……..e osserva il mondo mentre
gira…………….L’eterno “motore immobile” aristotelico. Era la mia
coscienza che si stava risvegliando…………..e camminava.
Quello
è stato l’ultimo anno che siamo andati in giro per locali durante il
carnevale. In futuro altre volte ci siamo sentiti attratti dalla musica, ma non
ci siamo più divertiti con la stessa intensità di quegli anni.
Adesso
era il momento di lavorare.
Guadagnare
del denaro era l’esigenza primaria, e non potevo più giocare.
In
quel periodo mio padre, tramite i suoi agganci politici, stava per inserirmi in
un ufficio regionale. Qualcuno, purtroppo, dall’altra parte politica, con
molta malignità, riuscì a non farmi assumere perché pretendevano che
rinunciassi ufficialmente ai miei ideali politici. Non rinnegai mai me stesso.
Con orgoglio e con una passione rinnovata, continuai le mie lotte tenendo alta
la bandiera della libertà.
Abbandonai
il partito in futuro, nel ’77, dopo l’infausta scelta del compromesso
storico.
Intanto
l’amore e la curiosità per la fotografia stavano prendendo lentamente sempre
più spazio nella mia vita. Quel carnevale, mi ricordo, feci qualche foto tra
amici ottenendo un ottimo consenso. Non ricavavo alcuna somma, anzi vi rimettevo
del denaro…….però ero felice. Felice!!! Inconsciamente era come se in
quell’azione presagissi il mio futuro, e, senza rendermene conto, stavo
lavorando alacremente per esso.
In
paese ero molto conosciuto.
La
mia vita già sin da allora era pubblica e, grazie all’impegno politico e
sociale, con grande facilità riuscii a farmi accettare anche come fotografo.
Bisognava
avere una macchina migliore, un flash e una relativa spinta economica per
iniziare l’avventura. Ne discussi con Tino e insieme decidemmo di comprare un
proiettore per stampare da noi almeno le foto
in bianco e nero.
Decisi
di non regalarne più, anzi decisi di chiedere in cambio una piccola somma per
coprirne le spese. Comprammo un proiettore per stampare e approntammo una camera
oscura all’ultimo piano della casa in cui vivevo. L’unico inconveniente
consisteva nel dover attraversare, anche di notte, la stanza da letto dove
dormivano Pina e Antonio.
Il
miracolo in questo caso si era davvero manifestato. Da niente e per pura
curiosità in quell’infima e fredda stanzetta stava nascendo il mio futuro. In
seguito avrei avuto un mio studio fotografico iniziando l’unica attività
della mia vita: Il fotografo.
Fotografo
di cerimonie, di ricorrenze, di inaugurazioni varie, di feste di ogni tipo. Ero
un fotografo giovane, innovativo, quindi con molta naturalezza e soprattutto con
grande onestà oscurai la figura dell’altro fotografo richiamando su di me
l’attenzione di tutti i mottesi.
Non
è stato un inizio difficile.
Quel
semplice gioco dal quale ero partito, con il quale trascorrevo diverse ore in
camera buia a sognare davanti l’apparire “miracoloso” di scene paesane su
un foglio di carta, si stava
trasformando in un lavoro duraturo, remunerativo e soprattutto LIBERO.
L’unica
cosa che desideravo in quel periodo era non perdere la libertà. La bandiera dei
miei ideali non volevo affatto disperderla nel vento dei compromessi. In quegli
anni i miei primi veri maestri furono i grandi Anarchici dell’800 e del 900.
L’ideale dell’Uomo libero, che cammina a viso scoperto, senza scendere a
compromessi, insegnatomi dalla gloriosa figura
di un Errico Malatesta o di un Bakunin in perenne lotta contro il potere
assoluto che regnava a quei tempi, mi hanno fatto sognare. Non potevo ignorare i
miei anni di contestazione vissuti con Gramsci o Lenin sotto
braccio………………….le sofferenze degli emigrati con i loro sogni
repressi, la loro emarginazione……………….le mie strade del mondo, i
miei sotto-ponti romani.
E
tutti quei piccoli grandi Maestri che mi hanno dato tanto, che hanno sagomato il
mio corpo e risvegliato la mia coscienza……come non posso ricordare il mio
Franco Canfailla il quale mi parlò per primo dell’ideale comunista
mentre studiavamo (’67, ’68) nel collegio di S. Agata di Militello………………e
ancora prima il mio Dylan con le sue armonie contestatarie, e il mio Kerouac con
la sua “strada”.
Erano
i miei miti ed io mi sentivo un loro erede. Dovevo portare alta la bandiera
della libertà e continuare
con orgoglio ad espandere nel mondo i loro insegnamenti.
In
futuro, man mano che le condizioni cambiavano e le mie richieste interiori
divenivano sempre più esigenti e profonde, si presentarono tanti altri Maestri.
Entravano in silenzio, mi lasciavano qualcosa dentro, e sempre in silenzio
lasciavano spazio ad altri Maestri.
La
cosa strana per me è stata avvertire la loro presenza in assoluta simultaneità,
come se fossero Uno. In effetti la Verità ha molteplici aspetti e cammina per
diverse vie, ma alla fine ci si rende conto che è UNA PER TUTTI. Ogni rapporto
contiene in sé un insegnamento, ed ogni Maestro è considerato tale da chi al
momento si trova nelle condizione interiore mature per accettarLo.
Era
questo il mondo dal quale provenivo, e non potevo ignorarlo.
Aprii
un piccolo studio proprio qualche
settimana dopo l’arrivo di Antonio. Con Tino continuammo ancora qualche mese
insieme e poi Lui decise, preso da un altro lavoro, di abbandonare l’impresa
lasciandomi da solo in questa avventura.
I
primi lavoretti che feci mi permisero di comprarmi le macchine
per lavorare. Ero orgoglioso di me stesso.
Mentre
Pina si dedicava con Amore alla crescita di Antonio, io riprendevo lentamente a
sognare. Compravo libri di politica e di Buddismo.
Dai
libri di Tucci, scoperti nella biblioteca comunale di Motta, scoprivo il Tibet
misterioso e l’incantevole città di Lhasa. Il palazzo del Potala, sede
spirituale e governativa del Dalai Lama. Già sin da quegli anni era un mio mito
e una tappa della mia vita………………..la raggiunsi nel dicembre del 2003
insieme a Pina, a Turi e ad Antonella non prima di aver assistito ad una
iniziazione diretta del Dalai Lama a Gangtok, in Sikkim.
Adesso
avevo uno studio di fotografo tutto mio.
Bisognava
dargli un aspetto decente per renderlo accogliente e lanciarlo in un futuro
glorioso.
Fu
veramente una gloria. Una vera apoteosi di successo e di soldi.
Da
subito cominciai a lavorare coprendo interamente l’intero paese e allargandomi
addirittura in altri comuni, grazie anche alle tante amicizie che avevo.
Il
primo lavoro importante che feci fu
il matrimonio di Giovanna Limoli. Ebbi un ottimo risultato, ma lo consegnai
solamente 25 anni dopo………..e non
agli sposi, loro nel frattempo si erano lasciati, ma a suo fratello.
Sembra
strano, ma anche quando fuggimmo da casa l’inizio dell’avventura fu segnata
da un guasto al furgone……………….eppure tutto è andato bene.
E’
sempre andata bene la mia vita. Non posso lamentarmi. Dal presente al futuro
senza alcun ostacolo. Dal presente al passato senza alcuna forma di nostalgia.
Un camminare graduale, in ascesa continua, sempre verso la luce con accanto la
meravigliosa presenza del mio Maestro.
Non
posso trascurarLO.
La
Sua immanente presenza ha
contrassegnato la mia vita con il Suo messaggio: “Dio è Amore…………l’Uomo è Dio……….Tutto è
uno”.
Il trascorrere dei mesi permetteva
alle mia capacità di esprimersi con più compiutezza nell’estrinsecare più
professionalità nell’arte fotografica. Sconoscevo
completamente l’arte della stampa in bianco e nero, eppure spinto dal bisogno
divenni un vero conoscitore dei segreti della camera buia. Le pareti dello
studio li riempii di immagini tipiche locali con scene paesane prettamente in
bianco nero. Appesi al muro primi piani di personaggi tipici del paese e con
timidezza iniziai ad esporre qualche piccola foto dei miei viaggi. Gli davo
lentamente un anima ed aprivo inconsciamente un dialogo con la gente, difatti in
tanti mi chiedevano informazioni sulle immagini esposte.
In
futuro divenne una vera galleria “geografica”, dove esponevo le bellezze del
mondo, in particolare quelle dell’ultimo viaggio.
Entrare
nel mio studio era come partire per una lunga avventura.
Negli
anni a venire, mentre il tempo inesorabilmente segnava
sui nostri visi e sul nostro corpo il peso del suo trascorrere, le
immagini del mondo che venivano esposte nello studio ne riproducevano il lento
divenire.
Da
ragazzo con la barba lunga e nera, a persona matura, più ingrassato, con i
primi capelli bianchi, le prime rughe…….leggere…….poi più marcate,
capelli più corti, grigi, con molte chiazze bianche…………..anche Pina
osservandosi in quelle foto poteva decifrare,
a volte con nostalgia, il procedere incessante
del Suo aspetto.
Cambiavamo
fisicamente………..un anno dopo l’altro, un viaggio dopo l’altro, però
la passione, l’Amore, la consapevolezza di camminare in un mondo stupendo,
preordinato per essere conosciuto, vissuto e sofferto, non
sono mai tramontati.
Passavo
lunghe ore a contemplare quelle immagini.
Cercavo
di immedesimarmi nell’attimo in cui avevo ripreso quella
scena…………………….e non smettevo mai di sognare………..andavo
oltre quella scena, transitavo naturalmente verso altre visioni………….e mi
sentivo in perenne Viaggio.
Con
molta riluttanza, in quel periodo, dovetti prendere la patente di guida. Non era
nei miei desideri possedere un auto per spostarmi. Conoscevo benissimo il valore
educativo che aveva una buona camminata a piedi. Mi spostavo ancora in autostop
e poi vi erano gli autobus.
L’importante
era non sentirsi perseguitati e spinti dal tempo. Tempo che negli anni a venire
divenne tiranno per i tanti impegni di lavoro che prendevo. Fortunatamente non
durò molto.
In
quei mesi, apparentemente vuoti, cresceva il Nuccio di oggi.
Riempivo
il tempo conoscendo l’interno delle case dei miei paesani.
Tra
un compleanno e un battesimo, tra
un matrimonio e una semplice ricorrenza avevo la possibilità di accedere nelle
case della gente di Motta e lentamente andavo confermando le mie idee che
le case della gente considerata semplice e di basso ceto sociale erano le più
sincere e le più calde, mentre le altre, quelle della gente con la puzza sotto
il naso, quelle delle elite piccolo borghesi erano fredde, sistemate bene ma
prive di quel decoro interiore che permette all’ospite di sentirsi comodamente
a casa propria.
Case
allegre, spontanee, piene di gioia e di dignità contrastavano con quelle case
tristi, piene di false apparenze e
prive di dignità.
Con
me entrava sempre la gioia.
Sorridete,
dicevo a voce alta……….occhi aperti e spontaneità.
Non
guardate l’obbiettivo e il risultato sarà ottimo.
Stavo
iniziando in quel periodo a personalizzare le mie foto creandomi un mio proprio
stile, e questo mi rendeva popolare ed unico. Il mio spazio di azione si allargò
moltissimo, addirittura mi chiamavano da diversi paesi della provincia e da
Catania stessa. Era una pacchia.
In
quegli anni le riprese fotografiche si mantenevano sul “serio” e su delle
pose statiche e schematiche. La mia intraprendenza scosse quel mondo di scene
consolidate e artefatte.
Non
è stato difficile farmi accettare così come ero.
Barba
lunghissima, capelli lunghi, jeans scoloriti, ciabatte anche nei matrimoni e
comunista anarchico in tutte le situazione. Ero il terrore dei bambini. I loro
pianti avvertivano i passanti della mia presenza, tanto erano forti i loro
strilli. Dovevo nascondermi dietro qualcuno prima di scattare la foto, a volte
dovevo fingermi pagliaccio, diventare bambino anche io per convincerli di
rimanere per un attimo fermi………a ridere, a giocare.
Così,
mentre trascorrevano i mesi, Antonio cresceva in bellezza e la nostra sicurezza
economica piano piano andava stabilizzandosi.
Arrivò
intanto il momento del nostro primo viaggio da sposati.
L’ottobre
del 1973 partimmo per 20 giorni insieme, da soli, con pochissimi soldi, da
Palermo a Tunisi in aereo e poi in treno effettuando diversi spostamenti anche
in autostop, alla volta dell’Africa.
Un
sogno maturato e costruito lira dopo lira già dal mese di giugno.
Appena
ravvisai la possibilità reale di rimettermi a viaggiare lungo le strade del
mondo, non persi tempo in sogni e, insieme a Pina, iniziammo a mettere da parte
qualche soldo, creando da subito le giuste condizioni per riprendere lo zaino,
il sacco a pelo e……………….andare via.
Il
viaggio l’ho da sempre iniziato a vivere già
molto tempo prima della data fissata per la partenza. E’ come la
creazione di un miracolo sul quale si lavora in piena coscienza, anche nei
piccoli dettagli, affinché esso si realizzi. In questo modo puntualmente, tutti
gli anni, siamo riusciti a far vivere il MIRACOLO.
Lo
scegliamo tra i tanti itinerari desiderati e poi………….inizio ad
immaginarlo vedendomi già inserito nei luoghi che voglio
conoscere………….compro le carte geografiche…………..vado in libreria
per trovare le guide……….le leggo………..e da subito mi do un giorno e
un’ora di riferimento in cui partire. Prenoto in agenzia il volo
e……………….si inizia a viaggiare.
Ciò
avviene in genere molti mesi prima. In questo modo spalanco le porte alla mia
fortuna dandole tutto il tempo che vuole per agire e, al
miracolo, gli creo le giuste
condizioni, oggettive ed energetiche, per avverarsi…………….proprio in
quella data che con tanta gioia e discernimento abbiamo insieme scelto.
I
miei pensieri, il mio corpo, i miei discorsi, i miei sogni, il mio agire stesso
e la mia immaginazione, che non smette mai di riempire il sogno, sono tutti
protesi verso la realizzazione del viaggio che poi alla fine, MIRACOLOSAMENTE,
si concretizza nel modo migliore.
Avevo
appena fatto il primo servizio matrimoniale “serio” della mia vita, mi
ricordo era il 10 ottobre, che già il giorno dopo, in mattinata, ci trovavamo
su un aereo diretto verso Palermo e da lì, su un piccolissimo volo della Tunis
air, saremmo partiti per Tunisi.
Il
mio solito zaino con l’immancabile sacco a pelo, acquistato per poche lire ad
Istanbul nel ’69 mentre attraversavo parte dell’Europa in autostop insieme a
Pino, stava per riprendere a correre lungo le strade del mondo.
Non
era una novità per “Lui”. Erano nati per questo e per questo volevano
continuare ad esistere. Erano sempre pronti. Disponibili. L’uno era di colore
avana chiaro ed era impermeabile, l’altro era verde da un lato e azzurro molto
chiaro dall’altro. Conteneva piume di oca molto leggere e teneva molto caldo.
Si apriva completamente divenendo
una larga coperta da poter usare comodamente in due. Lo zaino
lo usai per pochi anni perché il suo continuo sali e scendi da autobus
sgangherati o da camion impolverati, e sopratutto per i continui strappi dovuti
all’uso continuato in condizioni estreme, lo ridussero in brandelli. Il sacco
a pelo invece, sino a qualche anno addietro, era ancora in funzione. Lo usammo
per 25 anni, anche se ogni tanto lo rimpinzavamo di piume nuove. Occupava poco
spazio e pesava pochissimo. La sua presenza mi riportava, del resto anche Pina e
poi nostra figlia Alice ne fece largo uso, con la mente e con il cuore alle
grandi avventure vissute negli anni passati.
Gloriosi
momenti e appassionanti intrecci amorosi Lo hanno reso vivo.
In
meno di due ore eravamo già sul suolo africano.
L’aeroporto
a quei tempi non era molto grande. Gli zaini li prendemmo noi stessi
dall’aereo, pressati in un contenitore di rete che stava proprio in cabina
accanto a noi. Le guardie di frontiera si limitarono a controllare i passaporti
e con molto distacco ci indicarono la via per uscire. Poche macchine, grande
caldo, e molta confusione, nessuno riusciva a darci le giuste informazioni. Fu
un impresa arrivare in città. Non era servito da mezzi di trasporto quindi
cercammo un passaggio per arrivare a Tunisi.
Avevamo
scelto la Tunisia perché Pina da anni intrecciava una corrispondenza con un
tunisino di Sfax. Bisognava andare al sud e non era molto facile in quegli anni,
specialmente in quel mese di ottobre che si stava celebrando il Ramadan.
Trovammo
un passaggio sino in città pagando qualche dinaro. Le strade erano deserte e
non si trovava niente da mangiare pur
essendo turisti.
Il
Ramadan svuotava completamente le
città dando la possibilità ai fedeli musulmani di rimanere nelle moschee o in
silenzio nelle proprie case per pregare il grande Allah.
Era
tutto chiuso e tutto era fermo. Noi, con i nostri zaini, in quella città enorme
riuscimmo a trovare un hotel proprio accanto la Medina. Non pagammo molto, i
prezzi si mantenevano bassi perché ancora il turismo di massa non era arrivato.
La
grande Medina era un immenso bazar dai suk traboccanti e frenetici. Le sue vie
si perdevano in un intreccio di vicoli stretti e movimentati. Era veramente la
tipica città araba pullulante di vita, di colori, di mercanti esperti nel
vendere qualunque merce e a prezzi fluttuanti che levitavano di volta in volta,
a seconda del tipo di turisti che al momento stava per acquistare. Suk
profumatissimi pieni di spezie orientali e di oli ed essenze profumate.
L’arabo è un esperto mercante. E’ molto furbo e sa come trattare il
cliente.
Allora
Tunisi era visitata da pochi turisti. Quindi i rapporti con la gente erano
genuini e molto semplici.
Con
Pina ricordo di aver trascorso un giorno intero girando a zonzo, senza alcuna
meta. Non avevamo nessuna guida della
città. Avevamo solo una cartina stradale della Tunisia che ci permetteva di
conoscere l’ubicazione delle città principali.
Allora
si che eravamo grandi viaggiatori. Ci interessava solo conoscere le varie strade
da percorrere per spostarci verso la prossima meta.
Hammamet
era un semplice e piccolo villaggio di pescatori con un mare stupendo e con una
stupenda popolazione berbera disposta al sorriso e al contatto umano. In treno
ci spostammo verso Sfax, nel sud della Tunisia, per andare a conoscere Mohamed
Abdeledi, il corrispondente di Pina.
Arrivammo
la sera sul tardi. Con noi vi era un austriaco dall’aspetto un po’ strano.
Aveva un pesante cappotto e si spostava con sulle spalle una grande valigia
tenuta legata da uno spago. Insieme, dopo aver valutato la possibilità di
dormire fuori, abbiamo trovato un piccolo hotel proprio fuori la Medina
dove trascorrere in
sicurezza la prima notte.
Il
corrispondente di Pina l’avremmo cercato il giorno dopo nella speranza di
trovare il luogo dove abitasse.
Eravamo
da pochi giorni in Africa e con la mente spaziavamo lungo gli aridi deserti
attraversate da carovane di cammelli che trasportavano il sale da un luogo
all’altro, sognavo le intricate foreste dove vivevano gli animali dei miei
sogni e dove tribù feroci bollivano nelle loro pentole gli incauti
avventurieri.
La
mattina dopo con in mano un paio di lettere e qualche foto di Mohamed,
attraversammo la Medina per andare alla ricerca della via, o meglio della
zona, dove viveva la famiglia Abdeledi. A via di informazioni rintracciammo la
casa in cui viveva, entrammo suscitando grande curiosità e sopratutto grande
ammirazione.
Pina
da subito entrò nelle loro grazie. Tutta la casa si muoveva intorno a Lei. La
vestivano da berbera, la truccavano, la imboccavano e le donne la trascinavano
con molta grazia nel loro mondo inoltrandola nelle loro stanze, svelandole il
loro viso e confidandole i loro sogni repressi.
Vivono
completamente al buio.
In
20 giorni di permanenza non sono mai riuscito a vederne qualcuna in viso. Con
Pina mangiavano in disparte e quando uscivano la portavano in visita ai loro parenti come se fosse un animale da
esibire. Io rimanevo da solo o con Mohamed a discutere sulla situazione politica
del momento. Il padre aveva un piccolo Suk alla medina dove tesseva e vendeva
tappeti. Era anziano e logorato dal peso degli anni.
Mohamed
dall’aspetto sembrava un occidentale del nord. Biondo, magro, di carnagione
chiara, parlava benissimo il francese e studiava dagli zii a Tunisi. Era molto
timido e in parte innamorato di Pina e dei suoi begli occhi.
Tutti
si innamoravano di Pina in quegli anni.
La
Sua bellezza orientale, i suoi occhi scuri e brillanti e il suo meravigliarsi di
fronte a qualunque cosa, attiravano gli sguardi e i sentimenti di chiunque. Uno
zio di Mohamed non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, Le ha offerto tanti
cammelli pur di trattenerla con se.
E’
un modo come un altro per dimostrare affetto ed amicizia.
In
questi casi non bisogna dare molto spazio ai pretendenti. Si rischia
l’incomprensione e le conseguenze potrebbero essere fastidiose.
I
giorni trascorrevano con estrema normalità. Il Ramadan imponeva delle regole
ferree da rispettare. Principalmente non si poteva mangiare durante il giorno,
non si poteva fumare e in tanti decidevano anche di non lavorare. Il rispetto
alle leggi coraniche in questi luoghi è molto sentito.
Per
gli ospiti occidentale la deferenza a queste tradizioni non era obbligata, potevamo mangiare o fare
qualunque altra cosa. Le donne di casa potevano servirci qualunque cibo se lo
desideravamo.
Preferimmo
rispettare le regole del Ramadan pur di non forzare nessuna di quelle sane
abitudini.
Aspettavamo
la sera per mangiare tutti insieme e festeggiare l’inizio di una notte di
musica e di baldorie. All’imbrunire le strade si riempivano di colori fastosi
e di musiche religiose che inneggiavano le opere del profeta Maometto.
Noi
ci sentivamo felici di trovarci in questo mondo e di sentirci perfettamente a
casa.
Cercavamo
di non sconvolgere nulla dell’esistente, anzi ci sentivamo trascinati da quel
mondo così magico, come quando la mattina venivamo coccolati dall’armoniosa
voce del Muezzin.
La
nostra cultura è bene che ogni tanto si ridimensioni e la smetta di
considerarsi superiore o dominante. Qualunque popolo ha il diritto di vivere
liberamente nel rispetto delle proprie tradizioni culturali, sociali e
religiose.
Gli
ospiti, in quel caso, eravamo noi e toccava a noi accettare quel mondo “così
come era”, senza togliervi o aggiungervi nulla.
Dopo
qualche giorno ci organizzammo per andare via da Sfax e vagabondare per l
Tunisia del sud.
La
grande moschea di Kairouan e la sua
fitta medina dalle viuzze molto strette, che traboccavano di mercanzie e di
ragazzini a caccia di turisti, ancora mantenevano quel tipico mistero orientale
dagli odori forti e speziati.
Il
turista era un ingenuo pollo da spennare, e lo sapevano pelare alla grande. Noi,
inesperti e ragazzi ancora non smaliziati, eravamo facili prede. Prendemmo poche
fregature, anche perché non avevamo soldi da spendere e poi eravamo più presi
dall’idea del viaggio che dal comprare merce esotica. La sola sensazione di
trovarci in quel luogo, terra affascinante ed immensa, tutta da scoprire, ci
riempiva completamente.
Ragazzi
pieni dei nostri sogni, aperti a qualsiasi piccola avventura.
Kairouan
ci intrigava moltissimo. Attorno alla grande Moschea girava l’economia della
città. I suk contenevano l’essenza del mondo arabo. I profumi inebrianti
attiravano il turista e ammaliavano le poche donne che vi erano in giro. Con il
viso coperto da un fazzoletto riuscivano a trattare con destrezza su qualunque
merce. Forse era l’anonimato a farle essere così brave nel contrattare il
prezzo da pagare, fatto sta che riuscivano sempre ad ottenere la merce al prezzo
che imponevano loro.
Le
gioiellerie scintillavano di oggetti in oro.
Passavamo
ore intere a girovagare. A volte ci perdevamo senza rendercene conto, però
eravamo felici ugualmente. La folla ci trascinava con sé e le grida, confuse
con gli odori intensi, ci proiettavano in un mondo da favola.
Era
bello perdersi. Non sapere dove ci trovavamo, entrare ed uscire dai piccoli
suk spinti semplicemente dalla curiosità e dal desiderio di vedere e toccare
quante più cose possibili.
Vi
erano tappeti coloratissimi, vasi in
ottone cesellati, monili in argento, e tanti piccoli bugigattoli pieni di
cianfrusaglie varie, piccoli salvadanai, fischietti in terracotta, cuscini in
pelle, bastoni scolpiti…….vi erano pire di bottigliette in vetro che
contenevano essenze di profumi inebrianti.
Profumi
esilaranti e fetori nauseabondi si confondevano perfettamente creando odori
indefinibili.
Era
tutto così complesso, inscindibile, inidentificabile, che le diversità si
confondevano l’uno nell’altro perdendo la loro identità.
Ci
fermammo qualche giorno e poi partimmo alla volta del deserto, verso l’oasi di
Touzer passando per Gafsa. Il grande palmizio di datteri con le sue fresche
sorgenti creava un oasi di rilassatezza. Il turista si spostava su cammelli
affascinato dalla presenza di qualche villaggio berbero che con difficoltà
cercava di preservare le ultime tradizioni. Tra pochissimi anni l’invasione
del turista globalizzato ne avrebbe decretato la fine. Vi erano pochissimi hotel
e le strade ancora non erano asfaltate. I mercanti ci chiamavano offrendoci il
the e, insieme, ci gustavamo la gioia di stare vicini scambiandoci emozioni e
sorrisi.
Vi
ritornai nell’80 in jeep assieme a Pina, a Nino ed a Vera diretti in Algeria
alla volta di Tamanrasset, il regno dei Tuareg, i famosi uomini blu. Il piccolo
paradiso che abbiamo lasciato solo pochi anni fa, non esisteva più. Le strade
erano asfaltate e numerosi gruppi di turisti scemavano con tracotanza inquinando
la genuinità di quel luogo.
Il
sogno era finito, erano arrivati gli “assimilatori” che volevano tutto
disposto, anche se artificialmente, a proprio uso e consumo.
Un
vero dramma.
Attraversammo
il deserto di sale,lo Chott Cherid, sino a Matmata, Medenine, al confine libico, Gabes e poi in
una lunga corsa, in autostop, su di una macchina guidata da francesi alla volta
di Sfax.
In
quegli anni in Africa era molto facile spostarci chiedendo passaggi.
La
paura l’ho percepita e vissuta direttamente qualche anno addietro quando,
durante l’estate del 1970, mentre mi spostavo in autostop da un punto
all’altro del vecchio continente. In quegli anni purtroppo l’Europa stava
rigurgitando il peggio di sé. Una ventata di nazionalismo stava appestando le
bellezze esistenti, e per le persone libere, senza frontiere e senza bandiera, i
pericoli erano veramente rilevanti. Ad Amsterdam addirittura molti di noi
vagabondi furono bruciati dentro i loro sacchi a pelo mentre dormivano. La
polizia con il suo silenzio sosteneva simili azioni e noi fummo costretti a
rifugiarci dentro gli ostelli per non cadere tra le maglie malefiche di questa
forma di pazzia.
I
tunisini erano molto curiosi. Volevano parlare e chiedevano continuamente
notizie sul mondo occidentale. Comunicavamo in francese cercando di esaudire le
loro richieste. A volte non era facile, però bastava raccontare qualunque cosa
per meravigliarli e farli sorridere.
Per
noi l’importante era camminare, percorrere quanta più strada possibile anche
se non visitavamo nulla. L’idea del turista che accumula visioni e immagini
fotografiche non ci apparteneva.
La
strada ci riempiva ed era il nostro regno.
Camminandovi
su e osservandola da dietro i finestrini di una macchina si assiste ad uno
scenario in continuo movimento e in perenne cambiamento. Era
piena di cammelli che si scontravano l’un l’altro, vi erano un’infinità
di ragazzini che correvano dietro le macchine, i bordi delle strade traboccavano
di venditori delle mitiche “rose
del deserto”, ogni tanto qualche turista accostava la macchina e si fermava a
comprare qualche merce tradizionale.
Non
si smetteva mai di contrattare. Anche se i prezzi erano molto convenienti, per
un viaggiatore è un obbligo mercanteggiare. La sensazione di risparmiare
qualcosa fa vivere meglio il viaggio.
Il
turista è una fonte di guadagno da non farsi scappare, pensano.
Vi
è poi la strada che con le sue variopinte visioni rende sempre nuova la
passione del viaggiare.
Ristorantini
ambulanti e mercanzie traboccanti si mescolavano con improvvisati
riparatori
di gomme che a causa delle pessimi condizioni delle strade guadagnavano da
vivere. Venditori di acqua e procacciatori di camere da letto si intrecciavano
confusamente come se al caos gli si volesse dare un ordine.
La
strada teneva in sè tutte queste
realtà. Un rapporto diretto, vivo, fraterno, pieno di pacche sulle spalle e di
sorrisi accattivanti. Solidarizzavamo con chiunque, consapevoli che la nostra
vita dipendeva dalla bravura dell’autista e che la nostra serenità era legata
agli umori della gente. Il contatto con la realtà era talmente ravvicinato che
non potevamo permetterci alcuna
svista.
Rientrammo
a Sfax al buio.
Per
rintracciare i nostri amici perdemmo qualche ora, ma poi alla fine tutto si
concluse nel modo migliore. Portammo qualche regalino ai bambini e raccontammo
le avventure che ci erano capitate in quei giorni.
Il
rientro in Sicilia era ormai vicino.
Eravamo
convinti che questa breve esperienza tunisina avrebbe segnato l’inizio di
infinite avventure per le strade del mondo. Effettivamente quello è stato
solamente un fugace esordio…..tante altre visioni affascinanti avrebbero
riempito i nostri cuori e mai, posso confermarlo, ci saremmo stancati
nell’assorbire tutta quella conoscenza che la strada ci avrebbe regalato passo
dopo passo.
Durante
il ritorno ci siamo fermati a Scusse per ammirare le Sue enormi mura di cinta.
Vi era la solita frenesia della gente e la stupenda Medina che stavolta stranamente
sembrava pulita. Il mare ne mitigava l’aria rinfrescando quell’arsura che di
solito imbottiglia tutte le altre città tunisine. Brillava per la Sua nitidezza
e per quei Suoi bar che attiravano tanti di quei nuovi ragazzi che si stavano
affacciando al mito occidentale il quale, da li a poco, li avrebbe assimilati
scalando la genuinità delle loro menti.
Era
già iniziato il dramma del declino!!!.
Mi
ricordo che dormimmo in un hotel proprio in riva al mare, e proprio in una di
queste mattine, all’alba, ci sdraiammo sulla spiaggia abbandonandoci l’uno
dentro l’altro in un amplesso dolcissimo.
I raggi del sole, in silenzio e in solitudine, ci accarezzavano la
pelle………ed eravamo veramente felici. La gioia di trovarci lì, in quel
luogo, soli, ragazzi sognatori, pieni di infinite bellezze, ci faceva amare
ancora di più il mondo.
Un
dolce ricordo di quel momento lo conservo nel cuore e lo rivivo continuamente
ammirando la mia Pina in una grande foto appesa al muro mentre scruta il
risveglio del sole.
E’
stato molto bello. Ancora oggi penso
a quei momenti e, ricollegandomi ad essi con la mente, non posso fare altro che
ringraziare la vita per come mi ha sorriso in tutti questi anni.
In
altre parti del mondo, distesi su spiagge bianche o infilati dentro i nostri
caldi sacco a pelo, abbiamo vissuto il rito dell’Amore…….e ci siamo
sentiti liberi, felici e innamorati.
Ritorniamo
a Tunisi e proseguiamo alla volta di Cartagine per ammirare gli ultimi resti di
una civiltà ormai scomparsa. Vi erano solo ruderi inconcludenti di colonne,
qualche residuo di sculture cartaginese e molta possibilità di far lavorare la
fantasia per ricreare i fasti di una civiltà che era riuscita a far tremare
l’immenso potere romano.
Era
tutto un campo di pietre caoticamente ammassato.
I
ragazzini saltavano dal ritaglio di colonna sul pezzo di una gamba marmorea
giocando a nascondiglio o disturbando gli incauti turisti. Noi siamo
stati presi a sassate e ci è toccato correre di gran lena per non essere
colpiti.
Rientrammo
in Sicilia con il solito piccolo aereo nel bel mezzo di uno sciopero che ci
bloccò a Palermo e poi, dopo diverse ore, decidere di affittare un’auto per
rientrare a Catania.
Il
piccolo Antonio lo ritrovammo leggermente cresciuto e molto sereno.
Evidentemente i genitori di Pina, forse più di noi, lo hanno accudito
amorevolmente.
In
genere non penso ai miei figli durante il viaggio, so che sono in buone mani e
so che pensarli potrebbe intristire la bellezza del momento.
L’idea
di rientrare a casa e trovare un figlio, ancora non mi si era radicata dentro.
Non sentivo il peso delle responsabilità….e non li sento nemmeno
adesso……ero ancora un ragazzo che amava i suoi sogni e che per essi avrebbe
fatto qualunque pazzia.
Guardavo
sempre oltre. Non avvertivo il peso della realtà, mi sentivo svuotato da
impegni sociali e cercavo sempre di sorvolare sui problemi trasformandoli in
facili soluzioni. Forse ero un egoista, preso dalle mie idee e dai miei viaggi,
ma ho sentito sempre l’alito della Vita corrermi davanti…..forse è stato
per questo che non mi sono mai sentito una persona “matura”.
Lasciavo
scivolare le cose e trasformavo gli ostacoli o gli impedimenti in occasioni di
crescita vivendo qualunque momento come una nuova esperienza sentendomi
eternamente “sulla strada”.
Al
momento decisivo la risoluzione si è sempre presentata naturalmente togliendomi
come per miracolo dai guai.
E’
il sorriso che ritorna. E’
l’Amore che diventa un boomerang e ritorna inesorabilmente nello stesso luogo
dal quale è partito.
Piccoli
passi, ma grandi conquiste. Impercettibili a volte, ma incisivamente
strutturali.
La
nostra vita in quegli anni si svolgeva in modo molto semplice, avevamo poche
esigenze però le cose che ci arrivavano erano veramente importanti.
Il
lavoro per Pina si presentò qualche anno dopo improvvisamente, in un momento in
cui cominciavamo a sentirne l’esigenza. Costruimmo la casa senza alcun problema. Crescemmo il figlio
in salute e in modo naturale.
Grandi
viaggi, grandi avventure, esperienze profonde e in continua ascesa. Comprammo la
prima macchina dopo qualche anno e presi la patente con semplicità senza averla
mai desiderata…………………….
Quell’anno
se ne andò via nel modo migliore.
Grazie.
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La
nostra piccola casetta si era presentata al nuovo anno infreddolita, piena di
umidità e sommersa dall’acqua che quell’anno, ricordo, non diede alcuna
tregua. Lo studio di fotografo lentamente stava acquistando clienti e la sua
fama aveva già oltrepassato i confini paesani. Un mio grande amico, maestro di
politica, compagno di partito e di prodigiose lotte politiche durante l’anno
scolastico (69-70) trascorso a S. Agata di Militello, venne a sapere del mio
nuovo lavoro e con molta sollecitudine mi rintracciò invitandomi a fargli
qualche servizio fotografico. Era di Ramacca, Ciccio Canfailla, quindi dovetti
provvedere subito a comprare la macchina e a prendere la patente. Non potevo
assolutamente vivere da recluso in un paese che si stava dimostrando molto
stretto per il mio lavoro.
Intanto
Antonio stava per compiere il suo primo anno di vita ed era usanza riunire la
famiglia, il padrino, Pino Pesce, e qualche amico. Si svolse tutto nella massima
ristrettezza. Lo spazio era ridotto e di soldi non ne avevamo tanti. Un momento
per incontrarci, sorridere, guardarci e immaginarci un futuro migliore.
Ero
il primo tra tutti gli amici ad aver fatto il grande passo.
Chissà
se per qualcuno sono servito da esempio da emulare?!
Gli
altri, negli anni a venire, si sono sposati tutti. Hanno avuto dei figli e
quell’amicizia, spensierata e libera da obbiettivi da raggiungere, con
qualcuno rimase, con altri, negli anni, andò diluendosi per i soliti motivi
dovuti al tempo e alla diversità di strade da seguire.
La
mia nuova situazione naturalmente tendeva a selezionare gli amici. Ognuno,
rispettivamente, sceglieva percorsi diversi in sintoni con le realtà e con le
esigenze che momento dopo momento maturavano
attorno a noi. Mi allontanai sia dalla politica attiva sia dal frequentare il
partito. I nuovi impegni da sposato, con una famiglia sulle spalle,
in quel periodo stavano cambiando il mio modo di vivere. Ero ormai una
persona seria!!! matura, con le scontate responsabilità!!! tipiche in chi si
adegua tacitamente senza tentare alcun accenno di ribellione.
Con
Pina spesse volte abbiamo cercato di assumere questo ruolo, ma puntualmente
tutte le volte, a prevalere, era la nostra diversità……….il nostro
anticonformismo. Insistevamo nel voler rimanere ragazzi a tutti i costi, anche
se era molto difficile. Questo nostro comportamento ci costringeva a scontrarci
con l’etica sociale che in quegli anni costringeva inesorabilmente il
“diverso” ad omologarsi rimanendo in silenzio.
Era
il bisogno incalzante di lavoro e le tante esigenze materiali ad imporre con
autorità il rispetto alle regole. Difficilmente si rimane puliti e liberi
quando ad imporre il cambiamento non è il naturale procedere della vita, ma
bensì la persistente necessità di un lavoro che serve per mantenere la
famiglia.
Non
fu facile in quegli anni camminare a testa alta.
Uscivamo
tutte le sere lasciando Antonio dai miei suoceri. Si girava per cinema
o per i tanti centri politico-culturali che andavano sorgendo in ogni angolo
della città. Continuavo a sostenere quella mia sana abitudine di comprare
libri, che sceglievo usando quel tipico discernimento di chi sta vivendo momenti
indescrivibili di fermento interiore e si abbandona a qualsiasi tipo di lettura
purchè ne raffiguri e ne interpreti l’ansia del momento. Frequentavo con
assiduità le biblioteche dell’Università Centrale e del Magistero di Catania
per ampliare la mia conoscenza in un ambiente dove si respirava cultura e libertà.
Un
libro dopo l’altro, prima di politica, di viaggi, di avventure per il mondo,
per finire alla fine, e rimanervi orgogliosamente sino ad oggi, ai libri di
Spiritualità. La ricerca di Dio, di me stesso, dell’oriente, dei misteri
della psiche, Jung, Maslow……Fromm. I
primi libri di Buddhismo li lessi nella biblioteca universitaria di Catania. Ore
luminose ed intense li trascorsi
inchinato su volumi che parlavano di oriente, di India e di prodigiosi mistici
che ammaliavano le menti occidentali.
La
piccola immaginetta del mio Maestro ancora si ostinava a non distinguersi tra i
tanti Maestri che andavo conoscendo……dovevano trascorrere ancora altri 14
anni prima che mi si rivelasse nella Sua grandiosità.
Quell’anno,
mi ricordo, fu l’anno della fulminazione.
In
una libreria di via Umberto a Catania, vidi l’immagine di Paramahansa
Yogananda raffigurata su uno dei libri più belli e affascinanti che abbia letto
in vita mia: “Autobiografia di uno yogi”.
L’avventura
di un ragazzo che lascia tutto perché innamorato di Dio e non desidera altro
che trovarLO. Un mondo incantevole, pieno di storie meravigliose dove
l’immanente presenza di Dio è così seducente, ed accessibile nello stesso
tempo, che da quel momento in poi ne rimasi sedotto per sempre.
Lo
comprai senza guardare il prezzo. Lo portai orgoglioso a casa e mi misi da
subito a leggerlo.
Le
Sue avventure tra mistici e Sadhu colpirono profondamente la mia mente. La mia
immaginazione prese a volare condizionata dalle letture fantastiche che andavo
facendo in quel periodo. Luoghi santi e fiumi sacri, dove la ricerca del Divino
esaltava la figura di quei personaggi misteriosi
di cui parlava Yogananda, percorrevano le anse della mia mente riempiendomi di
energia positiva e indirizzandomi alla visione di un Divino che, da quel momento
in poi, ha smesso di vivere fuori dal mio corpo e lontano dai miei pensieri. Un
Divino che smise di impaurirmi, che mi richiamava per le inconsapevoli azioni
“da peccatore”, divenne un entità che mi entrava dentro, che viveva già
dall’eternità dentro di me, che non era più uno straniero potente e
giudicatore………………ero me stesso che, dietro quella lettura
incantevole, lentamente, acquistavo coraggio, consapevolezza e conoscenza.
Grazie
a quel personaggio, che per diversi anni lo portai nel cuore, sentendoLo come il
mio Maestro, quella paura congenita di un aldilà ignoto, tetro, la sentivo
sparire mentre transitava nella luce della liberazione.
Trascorsi
anni pervaso da questo nuovo bagliore e da questo Maestro di vita. Comprai altri
Suoi libri e, mentre leggevo i Suoi
Discorsi, spesse volte mi sentii rapito dalla descrizione che dava della figura
di Dio.
I
libri di politica andavano sparendo gradatamente mentre venivano sostituiti da
altri libri che rispecchiavano questa nuova
riscoperta di un Divino che, nel
silenzio del Suo messaggio, ci vive dentro e ci si incarna assolutamente con la
nostra Essenza.
Il
carnevale di quell’anno fu il primo di tanti altri in cui lavorai moltissimo.
Erano gli anni delle maschere di Zorro, di Sandokan, dei puffi, delle
principessine e dei pierrot. Lo studio si riempiva già dal primo pomeriggio
fino a notte fonda. Mamme che portavano i propri figli e gruppi in maschera
che cercavano un ricordo facendosi fotografare nelle pose più curiose.
Conoscevo benissimo il gioco delle luci e sapevo come stimolare il cliente a
fare più foto. La novità, a parte la mia bravura, veniva dalle ultime novità
in campo fotografico, e cioè che finalmente le immagini a colore entravano
correntemente nel nostro mondo e si potevano stampare in un formato più grande
del normale.
Quell’anno
dovetti prendere la patente per forza di cose. Non riuscivo più a muovermi
liberamente, aumentavano gli impegni e possedere una macchina diventava sempre
più indispensabile.
Comprammo
una R5 di colore bianco e subito iniziammo a progettare favolosi viaggi in giro
per il mondo. In poco tempo consumammo migliaia di chilometri, specialmente da
quando decidemmo di iniziare a viaggiare per il mondo spostandoci, non più in
autostop, ma su quattro ruote. Negli anni futuri andammo in Iran in macchina e
poi in Portogallo passando per la Spagna e poi ancora percorrendo parte
dell’Europa…..un nuovo modo di viaggiare che ci diede infinite soddisfazioni
mettendoci a contatto diretto con un mondo che vive ai bordi della Strada.
La
nostra casetta non permetteva alcun incontro con gli amici. Era troppo angusta e
piccola, quindi stavamo quasi sempre da soli e quasi ogni sera, appena chiudevo
lo studio, andavamo in giro per la città vivendo felicemente la nostra
avventura. Accumulavo libri in librerie inesistenti. Li tenevo per terra o sopra
le sedie….l’importante averli sempre a portata di occhi in modo da
consultarli continuamente. In quel periodo iniziai a mantenere una specie di
diario dove annotavo sensazioni ed emozioni quotidiane che mi coinvolgevano.
Iniziavo
nel frattempo a guadagnare qualche soldo.
Pur
vivendo in una situazione molto precaria, mi ricordo, avevo un salvadanaio dove
avevo scritto “Africa”, nel quale, ogni sera, una piccola parte del ricavo
giornaliero lo buttavo dentro sperando di ripartire molto presto in giro per il
mondo.
Il
prossimo viaggio, difatti, nel mese di novembre di quell’anno, lo facemmo
proprio in Africa ritornando in Tunisia, attraversando in autostop e in autobus
l’Algeria per entrare in Marocco dalla parte sud.
Il
solito piccolo aereo da Catania per Palermo e poi Tunisi. La solita visita ai
nostri amici a Sfax per correre subito verso Tozeur, Nefta per entrare in
Algeria sotto un caldo asfissiante alla volta di El Oued, la città dalle mille
cupole.
Alla
dogana algerina ancora non era richiesto alcun visto, quindi attraversammo il
confine con molta facilità. L’autobus che ci condusse al paese era
sgangherato e, dai finestrini, regolarmente senza vetri, entrava la sabbia del
deserto accompagnata da un afa bruciante.
Mi ricordo le bruciature di un francese che viaggiava con il braccio appoggiato
al finestrino senza pensare alle conseguenze che ciò avrebbe comportato.
La
città sembrava vuota e fuori dal tempo. Era tanto il caldo e il vento che ci
veniva addosso da crearci l’illusione di trovarci in un mondo irreale. Le
strade erano deserte, la sabbia creava uno strato di nebbia impenetrabile,
l’ululare del vento svuotava la nostra mente di quel poco di coraggio rimasto
e la poca gente che si vedeva si spostava camminando all’indietro per non
essere colpita agli occhi dalla sabbia che a quella velocità poteva veramente
creare gravi fastidi.
Ci
fermammo un solo giorno.
Un
hotel fatiscente, con poche stanze, non entusiasmava assolutamente l’incauto
turista che vi capitava, anche se gli unici avventori quel giorno sembravamo
essere proprio noi due. Ci sdraiammo sul letto bagnati da un sudore che ci
congelava addosso sotto il vertiginoso girare delle pale di un grande
ventilatore. Eravamo molto debilitati dal sonno e dal caldo, quindi accettammo
con grande felicità quello spiraglio di comodità e di frescura che ci donava
l’hotel.
Un
the alla menta ci dissetò e subito passammo alla ricerca di un mezzo che ci
portasse il giorno dopo, in mattinata, alla prossima meta: Tougghurt, Ouargla e
poi verso la mitica Ghardaia.
Dopo
aver provato l’autostop per andare alla volta di Ghardaia, ci convincemmo che
sarebbe stato meglio cercare un autobus se volevamo continuare il viaggio.
L’autobus
ci lasciò proprio nella piazza principale. Trovammo un hotel economico e subito
fuori a godere la bellezza del mercato sotto un sole cocente. In un angolo della
piazza vi era un terrazzo adibito alla preghiera dove ad ore prestabilite
diversi fedeli si inchinavano rivolti verso la Mecca.
La
vita si svolgeva regolarmente. Mercato, sole, bambini e preghiere. Non è come
da noi in occidente dove la fede viene recitata solo in luoghi chiusi e
silenziosi. Nei paesi musulmani tutto si svolge in piena armonia, all’aria
aperta, l’uno accanto all’altro, anche se spesse volte, apparentemente, le
azioni del momento sembrano contraddirsi.
Pina
aveva un foulard nero legato in testa per coprirsi dalla sabbia che in quel
momento veniva spazzata via dal vento, portava un paio di zoccoli con le zeppe
alte e un paio di jeans arrotolati sino al ginocchio. Ad ogni fontana ci
bagnavamo la testa e i piedi per sopportare meglio il grande caldo. Eravamo già
nel grande deserto sahariano e l’afa bruciava impietosamente. Prima di uscire
allo scoperto bisognava coprirsi ben bene per non farsi colpire direttamente dai
raggi del sole.
Ghardaia,
dalle sue case bianche, disposte su
un terreno collinoso, adatte per sopportare il caldo del deserto e attraversata
da viuzze strettissime, cercava di mostrarsi fresca all’incauto
viandante che si trovava in giro per le sue strade. Donava l’illusione di
essere lambiti da una leggera brezza, bastava insinuarsi tra le strette viuzze,
comunicanti tra di loro, per godere di un arietta rigenerante. Eravamo gli unici
occidentali a curiosare tra quelle mura…..i bambini rimanevano impietriti al
nostro passaggio, fuggivano ma volevano tastarci, sapere cosa portavamo dentro i
nostri zaini….cercavano qualunque cosa avesse l’aspetto di nuovo, volevano
penne e bon bon.
Un
bel mondo, ancora genuino e libero da sofferenze indotte.
Anni
dopo, era il 1980, mentre andavano con la jeep verso Tamanrasset, tra i Tuareg,
vi ripassammo….ma era già tutta un’altra cosa. Stava iniziando a correre
verso i falsi miti proposti da un occidente già, esso stesso, in decadenza.
Col
tempo tutto cambia.
Come
ci poniamo noi di fronte a questo cambiamento!?
Cambiamo
anche noi o assistiamo immoti, senza lasciarci avvolgere da questo continuo
divenire, al fluire perenne della vita?
Non
ci vuole forse qualcosa di “stabile” per definire un cambiamento?
Chi
rimane “fermo”, mentre tutto “cambia”?
Nessuno
cambia…………………..mentre, solo apparentemente, tutto è in movimento.
Quale
sensazione è più rilevante……………il divenire?.......o l’inalterato?
Non
saprei rispondere. A volte mi sento avvolto da questo eterno fluire percependo
persino la gioia…………che vorrei bloccare…………come qualcosa di
sfuggevole, che mi lambisce appena e subito va via………..che non mi
appartiene.
Altre
volte mi sento “immoto”, distaccato, un testimone che osserva semplicemente
e che non viene toccato da nulla. Mi sento come un “punto d’incontro” che,
dall’alto della Sua Assolutezza, smista e separa le infinite realtà che
interagiscono in questo mondo.
Da
Ghardaia ci spostammo al confine sud con il Marocco mettendoci all’uscita
della città a chiedere un passaggio. Un grosso camion ci caricò su, passando
per Aflou, Ain Sefra sino a Beni Ounif (440 km). Camminava molto lentamente
quindi arrivammo alla frontiera al buio, e a quell’ora il confine era chiuso.
Bisognava attendere la luce del giorno se volevamo attraversarlo. Soli, al buio
e in compagnia di grossi scorpioni che uscivano da sotto le pietre. I doganieri
si erano rinserrati dentro la piccola caserma e noi non sapevamo proprio come
difenderci dal buio, dal freddo e dal forte vento che a quell’ora si alzava
avvolgendo il deserto con i suoi ululati paurosi.
In
altre situazioni ho vissuto simili esperienze, ed ogni volta, puntualmente, come
se qualcuno mi proteggesse, dopo momenti di panico, le difficoltà si sono
sciolte come neve al sole. Stavolta però con me vi era Pina e non potevo
mostrare alcuna indecisione. Dovevo infonderLe coraggio, suscitarLe la
sensazione che da lì a poco tutto si sarebbe risolto in meglio.
Non
sapendo al momento come fare, automaticamente, senza riflettervi su, spinti da
un istinto pressante
ci avviammo verso la caserma sicuri
che ci avrebbero fatti entrare.
Fu
proprio così.
Ci
invitarono a dormire in un angolo del cortile.
Mancava
fortunatamente il vento, ma il freddo e il rischio degli scorpioni rimaneva. Per
noi fu una grande fortuna poterci rintanare in quel luogo. Avevano i mitici sacchi
a pelo ed in parte il freddo veniva attutito, e poi bastò
stringerci, guardarci negli occhi, ringraziarci……guardare la luminosa
stella del sud, la croix du sud, e improvvisamente tutta l’ansia e la paura di
pochi minuti prima sparirono.
Mi
rimane nelle orecchie l’ululato del vento e sulle ossa l’ingrato freddo….e
poi vi erano tutte quelle stelle che riempivano di sè quel vuoto così scuro
che era l’infinito. Solo il sorgere del sole ci portò un po’ di tranquillità.
Eravamo ancora dei bambini, eppure quell’avventura, per noi estrema, iniziava
a segnare nel nostro futuro solchi profondi cambiandoci nello spirito e
stravolgendo la nostra vita.
La
frontiera aprì in mattinata. Noi eravamo già svegli e pronti a mostrare i
passaporti appena ce li avrebbero richiesti.
Per
me era il secondo passaporto che possedevo, il primo me lo aveva sequestrato la
questura perché non contemplava il mio nuovo stato sociale. Negli anni
successivi ne chiesi la restituzione diverse volte ma non sono mai riuscito ad
averlo. Conteneva timbri e visti di un Europa che avevo attraversato in lungo e
in largo spostandomi esclusivamente in autostop.
Ancora
oggi mi incupisco nel pensare come si può cercare di legittimare la differenza
tra uno Stato all’altro ponendo un semplice timbro sul passaporto. Segnare i
confini e dividere popoli ed etnie solo perché vivono stanziati in luoghi
distanti tra di loro di pochi chilometri…..è una pura follia.
In
quegli anni un timbro sul passaporto rappresentava la vittoria sull’inattività
della vita. Possederne uno e riempirlo di impronte colorate quali i visti di
frontiera, era un atto eroico da non dormirci su…..difatti li osservavo
continuamente e ne ero fortemente orgoglioso. Negli anni futuri giocavo con Pina
a ripercorrere nella mente il momento in cui avevamo preso quel timbro cercando
di riviverne anche le sensazioni provate allora.
Li
controllarono in fretta e subito attraversammo il confine.
Per
arrivare al posto di blocco marocchino dovevamo percorrere a piedi
sette chilometri di terra di nessuno. La strada era ben tracciata e si
snodava sotto enormi figure di palme da dattero. Ogni tanto la pista che
dovevamo seguire si confondeva con altre piste, ma alla fine riuscivamo sempre a
incanalarci su quella giusta.
Da
soli, sostenuti dal desiderio di conoscere questa altra parte del mondo, sotto i
raggi di quel sole cocente, felici fino ad arrivare alle stelle, ci incamminammo
lungo quel sentiero alla scoperta di questa terra meravigliosa. Una jeep piena
di militari ci bloccò qualche chilometro dopo, ci perquisì e ci indicò la
strada da seguire.
E’
sempre il desiderio di conoscere che in queste situazioni ci spinge ad andare
avanti. Allora, se non ci fosse stato quell’anelito interiore che ci ordinava
a spingerci oltre, ad affrontare qualunque rischio pur di raggiungere la meta,
in tante situazioni non ci saremmo nemmeno trovati.
L’aldilà
del conosciuto è la prerogativa del viaggiatore, che poi diventa conosciuto e
che dopo poco tempo desidera nuovamente di ri-andare oltre…….compone
l’essenza del vagabondo.
Confrontarci
continuamente con ambienti nuovi, ostili e pieni di insidie……….E’ IL
VIAGGIO STESSO. La parvenza di sicurezza che ci avvolge nel nostro mondo è
quanto mai castrante e difficilmente ci sprona a vivere avventure oltre il “già
consolidato”.
Perché
farlo, ci chiediamo! Perché interrompere questa nostra quotidianità fatta di
cose belle e sicure?
E’
proprio così che pensiamo, e non ci rendiamo conto che questo modo di pensare
è il grande nemico che vive dentro di noi. Le migliori occasioni per un uomo
sono quelle che si prendono al volo, quelle che ci fanno travalicare la realtà
perbenista e limitante dentro la quale sciacquiamo. E’ l’attimo…………è
il momento presente che contiene in sé passato-presente-futuro a darci la forza
e il coraggio di andare avanti.
Trascurare
questa Unità è come perdersi nel mezzo di tante cose belle e continuare a
cercare quel Paradiso che, grazie alla nostra insensibilità, non intravediamo.
Dalla
frontiera percorremmo qualche altro chilometro a piedi per arrivare a Figuig da
dove, con un autobus scassato, proseguimmo per Bou Arfa.
Un
villaggio sovrastato da un’assolata montagna di basalto dalla quale, ai suoi
piedi, partivano due strade: Una diretta al nord, verso il Mediterraneo,
asfaltata che conduceva a Ouida, l’altra verso l’interno del Marocco, che
entrava nel deserto, attraversava l’alto Atlante per finire direttamente
sull’oceano Atlantico passando per Marrakesh.
I
primi 300 km di quest’ultima non erano asfaltati, quindi decidere di spostarsi
su di essa implicava una scelta difficile e avventurosa. Decidemmo, ovviamente,
per la peggiore.
Bou
Arfa non offriva assolutamente nulla al turista. Vi era molto caldo, tanta
polvere e diversi asini. Uno di questi, dopo averlo ammirato nelle sue acrobazie
su un costone della montagna, esposto per l’intera giornata al sole, verso l’imbrunire lo
vedemmo stramazzare a terra colpito da un colpo di sole. I ragazzini lo
circondarono incuriositi assistendo alla sua lenta morte.
Vi
era un autobus ogni quattro giorni, quindi
ci toccò rimanere in questo villaggio nella speranza di trovare una
locanda in cui mangiare e dormire. Per tre mattine consecutive andammo, insieme
ad una coppia di francesi, che nel frattempo si era unita a noi, fuori dal
villaggio disponendoci ai bordi della strada per fare l’autostop.
Impegnavamo
così le prime ore del mattino, dato che nessun mezzo dopo una certa ora, appena
il sole avrebbe arroventato l’aria circostante, si sarebbe rischiato ad
attraversare quella parte del deserto.
Assieme
agli zaini colorati e distesi sui
sacchi a pelo trascorrevamo diverse
ora ad immaginare l’arrivo di qualche camion che miracolosamente ci avrebbe
presi su facendoci uscire da quella
situazione che diventava sempre più insostenibile.
Nessuno
si fermava……….perchè in effetti da quel luogo non transitava nessuno.
Ritornavamo
alla locanda esausti e amareggiati e ci preparavamo a trascorrere un altro
giorno all’insegna della disperazione e della noia.
In
uno di questi giorni, insieme ai francesi, disperati anche loro, scalammo la
grande montagna per avere una visione complessiva del luogo in cui ci eravamo
impantanati. Muniti di tanta acqua, per non fare la fine del povero asinello,
salimmo su e la visione che ci apparve dalla cima fu veramente stupenda:
l’Infinito. Sotto di noi, arroventato dal forte calore solare, vi
era il villaggio composto di qualche casa dalle mura impastate di
fango e paglia e proprio ai margini vi erano diverse tende berbere dal tipico
colore marrone a strisce bianche…………………….oltre vi era il nulla.
Il
deserto appariva nascosto da un manto di nebbia dovuta all’arsura che si
condensava fino ad un certa ora. Eravamo circondati da un mare infinito di
sabbia e, mentre seguivamo con gli occhi la striscia di asfalto che si spingeva all’infinito, segnando
vistosamente la linearità della strada verso Ouida, quando spostavamo lo
sguardo dalla parte opposta per sondare la consistenza
dell’altra strada, quella che dovevamo percorrere noi, venivamo colti
da un attimo di panico. L’altra strada era inesistente. Era una striscia
gialla, confusa col deserto, senza alcun segnale, piena di buche e soprattutto
sommersa dalla sabbia……tanta sabbia. Si perdeva tra le dune e per certi
tratti si confondeva con i solchi di tante altre piste lasciate dai camion che,
per non insabbiarsi in quelle profonde fenditure,
di volta in volta ne segnavano una nuova.
Un
tuffo al cuore.
Un’altra
mattina, spinti dalla curiosità e dalla noia, visitammo senza alcun invito, con
il tipico comportamento occidentale da “spaccone”, l’interno di un
recinto, alto un metro e composto da semplice argilla, dove vi erano sistemate
diverse tende berbere. Fummo accolti con grande rispetto e con molta meraviglia,
specialmente dai bambini. Cercavano di toccarci e di mettersi accanto a noi.
In
quegli anni sicuramente i viaggiatori che transitavano da quei luoghi erano
veramente qualcosa di raro.
Le
mamme, dal viso tatuato con i tipici segni berberi, senza mai alzare gli occhi, indossavano
lunghe vesti e, con molta dignità, cercavano di rendersi misteriose dietro quei
visi scuri e bruciati dal sole.
Ogni
ora scoprivamo qualcosa di interessante.
Il
the alla menta ci teneva in fibrillazione continua. I pasti non erano sontuosi,
però non mancava mai il riso con il suo bel pezzo di carne di montone.
Rimanemmo a Bou Arfa tre giorni e, a parte il gran caldo, quella permanenza
forzata non fu per niente noiosa.
Il
primo impatto con il Marocco ci diede un piccolo anticipo di cosa avremmo
trovato in futuro.
L’autobus
finalmente arrivò da Ouida la sera e il giorno dopo, qualche ora prima che
spuntasse il sole, avrebbe imboccato la pista che conduceva a Thinerir.
Il
solito autobus con i finestrini rotti, strapieno di gente e di mercanzie, dal
colore indefinito, con le ruote lisce e piene di toppe, alle prime luci
dell’alba, traballando e rumoreggiando, si preparava per partire verso
un’altra delle sue avventure sperando di raggiungere la meta.
In
Salah!!!!
Vi
era molto freddo, quindi ci siamo infilati dentro i sacchi a pelo. Il
viaggio durò un intero giorno. Lentamente, con lo spuntare del sole arrivò il
caldo, ci liberammo di qualche indumento e ci lasciammo affascinare dalla
visione di quelle montagne gialle prive di qualsiasi forma di vegetazione. I
villaggi che attraversavamo erano molto poveri e sembravano disabitati. Era
tanto il silenzio dovuto al caldo e alla miseria che, quei pochi abitanti
rimasti, stavano rintanati nelle loro case osservando quel silenzio opprimente
nella speranza che arrivasse la soluzione tanto desiderata.
Forse
nemmeno loro sapevano cosa stavano aspettando, però nell’aria stessa
aleggiava qualcosa di triste, di dimenticato, che da un momento all’altro
sarebbe esploso.
Visioni
di bambini che tenevano legati alle spalle altri bambini di poco più piccoli di
loro, scalzi, sporchi e spenti, punteggiarono con la loro presenza quel
lungo viaggio. Le poche case, dai muri scrostati, bucherellati e consumati dal
tempo, si confondevano spesse volte con il colore della sabbia. Mancavano i pali
della luce, ancora la televisione non era arrivata, solo qualche bicicletta
sgangherata, dalle ruote inesistenti timidamente tentava di riportarci
all’occidente.
Il
resto era tutto un altro mondo. Fermo. Mi sembrava pesante anche l’aria che
respiravamo, tanta era la miseria confusa con il forte caldo.
Di
tanto in tanto qualche cupola di moschea, sovrastata dal solito alto
minareto, con evidente disarmonia si imponeva, sulla miseria circostante, per
rammentare alla gente che il potere religioso, anche lì, era presente.
A
Thinerir si concentrano diverse meraviglie naturali degne di essere visitate.
Il
deserto finiva ed iniziava una tortuosa strada asfaltata che saliva sull’Alto
Atlante per scendere poi, dopo centinaia di chilometri, a Marrakesh.
Era
una vera oasi di pace e di bellezze naturali. I dintorni erano rinfrescati da
limpidi torrenti dove le lavandaie lavavano i pochi indumenti sbattendoli e
strattonandoli con i piedi. Donne berbere dal viso olivastro, qualcuna di
carnagione nera e vestita di nero, spezzava la scena emergendo per il suo
intenso colore e per la sua bellezza prorompente. Pina intanto era scesa in
mezzo al ruscello e, con i piedi immersi nell’acqua, le ammirava affascinata.
Io, mi ricordo, ero coperto da un lungo caffettano bianco per proteggermi dal
caldo, ma principalmente speravo di vivere l’illusione di appartenere a quel
mondo. Mi sono sempre sentito completamente rilassato in mezzo a questa gente.
Non ho mai provato paura e mai mi sono sentito a disagio. il loro habitat è
sempre stato il mio.
Le
case molto alte, di colore giallo ocra, a più piani, sostenute da travi che sgranocchiate
dalle termiti e logorate dal tempo, davano un senso di instabilità perenne.
Erano i luoghi delle mille e una notte, molto simili alle case
“grattacielo” di Shibam nello Yemen orientale.
Castelli
enormi, composti di argilla e paglia, svettavano in cielo prodigiosamente.
Entravamo nei cortili di queste case fortezza non considerando la riservatezza e
la sacralità di quel luogo. Era come deflorare la dignità di una persona,
difatti, con la tipica sfacciataggine dell’occidentale colonialista, vi
curiosavamo sin dentro le mura sperando di scoprire qualcosa di esotico. Vi era
solo miseria supportata da una grande dignità. Pochi suppellettili, qualche
tappeto che serviva come luogo per dormire e qualche brocca di acqua. Niente
fili elettrici, niente rubinetti, niente fornelli da dove miracolosamente esce
il gas. In un angolo vi era ammonticchiata della legna per accendere il braciere
in argilla incassato nel pavimento e le pareti
della stanza erano coperte da strati di fuliggine.
Pochi
elementi……….ma essenziali.
In
futuro questo nostro comportamento così indecente lo abbiamo riveduto
completamente.
Rispettare
la gente del luogo è divenuta la prerogativa dei nostri viaggi. Considerarci
semplici ospiti che in punta di piedi cercano di comprendere gli usi e i costumi
della gente locale, senza pensare e nemmeno tentare di cambiare lo stato delle
cose.
La
conoscenza deve avvenire in modo naturale, attraverso il cuore, rimanendo
semplici spettatori che si affascinano di fronte a qualunque visione,
emozionandosi nel riconoscere negli Altri sé stessi mentre si trovano alle
prese con situazioni simili a quelle che abbiamo, in altri periodi, vissute
anche noi. Non vi è niente da apprendere…………e niente da dare.
Vi
è solamente da osservare, ascoltare e………………stare in silenzio.
A
14 km dalla città vi erano le Gole di Thodra, una meta da raggiungere a dorso
di asini attraversando le lussureggianti oasi straripanti di colori e di acqua.
Ne affittammo due con relativa guida.
L’impresa
sin dai primi passi si dimostrò molto avvincente, ma molto, molto pericolosa.
Il rischio di cadere era davvero rilevante, e l’attenzione che dovevamo
prestare alle delizie del paesaggio veniva in gran parte rivolta
all’instabilità del nostro corpo sul dorso dell’asino. Troppo rischioso.
Decidemmo di abbandonarli appena un chilometro dopo e di continuare a piedi. La
solidità delle nostre gambe ci ridiede la giusta visione del luogo.
Era
una meravigliosa oasi con tanto verde, tanta acqua, palme, uccelli coloratissimi
tra i quali emergeva l’armonia dei mitici Ibis bianchi……………..vi
erano, nascosti tra le palme, villaggi stupendi dalle mura gialle
dove vivevano in un silenzio rasserenante migliaia di gente.
L’armonia
della natura cadenzava il trascorrere del tempo.
Pochi
bambini, molti contadini chinati sulla terra a coltivare ortaggi o verdure che
poi vendevano nei mercati.
La
pista che seguivamo si snodava proprio in mezzo a tutto questo paradiso. Non
eravamo stanchi, affatto, anzi, a volte spingevamo la guida ad uscire fuori dal
tracciato per visitare i villaggi che si intravedevano in lontananza.
La
visione delle gole, che sovrastavano questo mondo di pace, si impose con
armoniosa irruenza ai nostri occhi. L’ immensa altezza dei due blocchi di
montagne di granito che comprimevano la piccola valle ci ha scaraventati nella
nostra piccolezza riducendoci a semplici piccoli esseri quali siamo dinnanzi a
simili visioni…..e poi vi era il solito fiumiciattolo che scorreva in fondo
alla valle ammantato da un grande silenzio che rendeva il luogo misterioso ed
attraente.
Entrammo
nella gola camminando scalzi con i piedi immersi nella fredda
acqua.
Da
noi in Sicilia, per chi le conosce, vi sono le gole dell’Alcantara, ebbene le
“Gorge du Thodra” erano per
venti volte più alte.
Gridammo
a squarciagola per sentire il rimbombo dell’eco. Meraviglioso!!
Con
Pina ci stringemmo molto forte. Volevamo suggellare
quel momento. Ci guardammo negli occhi, emozionati per la bella avventura che
stavamo vivendo. La palla di cristallo erano le nostre pupille dove già si
intravedevano gli immensi scenari della nostra vita futura attorno al mondo,
fatta di spostamenti precari, all’insegna del rispetto della natura,
caratterizzata dal desiderio e dalla passione di andare sempre avanti e aldilà
dal conosciuto.
Qualche
giorno dopo partimmo per la mitica ed affascinante Marrakesh.
Attraversammo l’Alto Atlante su di un autobus che correva all’impazzata.
L’autista sicuramente era un incosciente. Non riusciva a mantenere la guida
sul lato destro, difatti anche nelle curve si collocava sul lato sinistro,
e a velocità impressionante, senza pensare minimamente alle tante vite umane
che dipendevano da Lui, schiacciava l’acceleratore come fosse stato un
ossesso. L’adrenalina ci sgorgava a flutti da tutti i pori del nostro corpo.
In
altre parti del mondo ci siamo trovati a penare su vecchi autobus per
l’incoscienza dei guidatori, e tutte le volte ci siamo rivolti al nostro Dio
affidandoci a Lui affinché ci preservasse da una fine terribile.
Fa
sempre comodo avere fede in qualcuno durante questi momenti. Almeno non ci
sentiamo soli ed in balia delle manie di un pazzo.
Quella
volta siamo stati veramente fortunati, a differenza dei tanti
viaggiatori che erano stati scaraventati, assieme ai loro autobus, nei
profondi burroni che costellavano quella strada.
Infine
la meta arrivò. Era la prima vera città marocchina che incontravamo. Tutto
sembrava muoversi ed esistere per affascinare il turista.
La
grande piazza conteneva buona parte delle stranezze magrebine. Incantatori di
serpenti, giocolieri, truffatori, estrattori di denti,
mangiatori di fuoco, ladri, venditori di acqua, cantanti e ballerini,
venditori di oggetti in rame e di cianfrusaglie vari, approfittatori,
mendicanti…………..tutto era concentrato in quella piazza. I ristoranti che
vi si affacciavano erano pieni di turisti e le loro terrazze servivano al
turista stesso come punto di osservazione per ammirare e fotografare le scene
sottostanti senza pagare alcun dhiram.
La
droga a quei tempi richiamava i soliti fricchettoni da tutta l’Europa. Non
costava nulla e poteva trovarsi con grande facilità. Era un mondo da sballo.
Il
Marocco distava solamente una spanna di mare dal mondo occidentale, eppure
conteneva in sé tanto fascino. In tanti vi si fermavano per lunghi periodi. Si
poteva avere così il tempo di
conoscere la città, di sentire i suoi odori e di gustare le sue delizie
culinarie.
L’ospitalità
era esemplare. Ancora il turista non rappresentava l’unica fonte di economia,
veniva considerato e rispettato per quello che era. Non ho mai sentito parlare
di rapine o di altri pericoli, a differenza di oggi che tutto è così
instabile.
Rimanemmo
qualche giorno tra l’incanto dei vecchi suk e le meraviglie della piazza.
Portammo un bel ricordo con noi, ed ancora oggi, dopo tanti anni, quel sogno è
rimasto tale perché volutamente abbiamo deciso di non ritornarvi più.
A
Casablanca ci fermammo solo una notte, il suo grande caos pieno di rumori e di
pericoli ci costrinse a partire subito.
Partimmo
per Rabat, la capitale amministrativa, poi per Meknes ed infine, dopo svariati
giorni trascorsi a girovagare da una città all’altra salendo e scendendo da
vecchi autobus, decidemmo di riprendere a fare l’autostop per andare nella
mitica Fes.
Una
città antichissima, con una medina intricatissima, molto buia, con
sottopassaggi grondanti di acqua e
dai suk ancora identici alla struttura originale che risaliva a centinaia di
anni addietro.
L’autostop
in Marocco per noi è stato molto facile. Bastava essere
in compagnia di una donna per ottenere passaggi lunghi e a qualunque ora.
A
parte la solita piccola disavventura con un conducente di una BMW nuova di zecca
che tentava di fare delle avance a Pina fissandola negli occhi o giocando con
l’alza cristallo elettrico mentre Lei vi appoggiava il braccio, non successe
niente di strano. Solo gente allegra, timida e dignitosa.
A
Fes trovammo un piccolo hotel proprio nel centro storico, e da lì assistevamo
ai vari spettacoli approntati per il turista.
Due
giovanissimi pugili si picchiavano a sangue nella pubblica piazza pur
di racimolare qualche soldo. Una esibizione triste e crudele, condita
appositamente per l’incauto turista. Forse a qualcuno queste scene stimolano
interesse e divertimento, ma per noi erano molto tristi.
Pur
di stupire o di attirare l’attenzione, l’Uomo è disposto ad inscenare la
propria morte. La disperazione Lo costringe ad interpretare ruoli
autodistruttivi, nella speranza di suscitare pietà così da poter raggranellare
qualche soldo…….e il turista rimane impietrito lì, a guardare simili scene.
Quanti
di questi tristi spettacoli abbiamo
visto con Pina nelle varie zone del mondo! In nessuno, purtroppo, veniva
considerato il rispetto per la dignità umana. Assistere ad una scena così cruda, pietosa,
in cui per guadagnare qualche soldo si decade così in basso infierendo sul
proprio corpo e ferendolo anche
nello spirito, fa provare un’amarezza profonda. Il
degrado mentale di quel turista che pur di “vedere quante più stranezze
possibili” durante i suoi viaggi, per poi raccontarle ai suoi amici, amplifica
l’ego. Siamo noi, con il nostro spasmodico interesse, a stimolare e sostenere
l’esistenza di simili spettacoli. Il vuoto che abbiamo dentro cerchiamo di
riempirlo con scene raccapriccianti, cerchiamo stimoli estremi, fantasiose
avventure pur di meravigliare chi ci ascolta.
A
volte è la religione estremizzata ad incitare simili esibizioni, ma il più
delle volte è il bisogno di denaro a costringere l’Uomo a trasformare il
proprio corpo in un veicolo per produrre denaro. In India, in diverse
situazioni, specialmente nelle adiacenze dei luoghi sacri, abbiamo assistito a
scene allucinanti.
A
Benares vi sono variegate figure di devoti, tra i quali emerge per spettacolarità,
il falso devoto…….ebbene, costui, pur di dare spettacolo, con molta facilità,
qualcuno trascende in forme di trance estatiche e flagellare pubblicamente a
sangue il proprio corpo. Carne maciullata che cammina, seguita da una musica
assordante mentre forti fendenti di pugnali ne torturano il corpo…..e le
mogli, e i figli in corteo stanno lì a glorificarne le doti…..queste,
purtroppo, sono una delle tante scene che predilige qualche turista. Scene prive
di spiritualità senza alcun aggancio con la storia millenaria di un India
mistica, che ha insegnato l’arte dell’Amore a centinaia di generazioni.
I
cunicoli bui e untuosi della vecchia medina pullulavano di gente. Si spostavano
tutti senza un senso apparente. Noi guardavamo meravigliati questo mondo così
diverso e lontano da quello nostro…………………eppure!! ci sentivamo a
casa.
Non
ho mai provato la sensazione di essere un intruso, anzi……….cercavo di
vibrare in armonia con tutto quel frenetico andirivieni di vite umane. Pina,
come sempre, sembrava esservi nata e cresciuta in questo mondo. Era incantata,
stregata da tutto quel movimento di vite umane che per sopravvivere affrontava
pericoli e umiliazioni enormi.
Non
vi era niente di definito, nessun punto di riferimento al quale appigliarsi.
Solo vite umane, la maggior parte sporche, sofferenti, misere……..solo
speranze, non in un mondo migliore……sarebbe già tanto………ma in un
pezzo di pane per continuare a svegliarsi l’indomani e poi ancora, e sempre
così, in eterno……………sino alla fine.
Fes
rientrava in questo concetto di mondo.
Partimmo
qualche giorno dopo incalzati dal tempo che ci spingeva a rientrare a Tunisi per
riprendere l’aereo. Dovevamo ancora attraversare parte del Marocco, l’intera
Algeria e parte della Tunisia.
Partimmo
in autostop sino al confine algerino. Attraversammo Oujda per arrivare a Tlemcem
dove prendemmo un treno che ci condusse via Orano, ad Algeri.
Un
solo giorno per visitare la città e sbrigare qualche formalità alla Tunis air
e poi via, sempre in treno, Costantine e Tunisi.
A
parte la solita disavventura notturna sul treno dove qualche povero sprovveduto
si beccò calci furenti da Pina mentre cercava di tastarLe il sedere, tutto filò
liscio. L’aereo fu puntuale e, stavolta, potremmo atterrare all’aeroporto di
Catania senza alcun problema.
Antonio
mi è sembrato più cresciuto.
Effetto
della lunga lontananza, però, subito dopo qualche giorno tutto ritorna normale,
nella gradualità delle cose.
Si
ripresentano i soliti problemi irrisolti. Ritorno ad aprire lo studio sperando
sempre in qualche lavoro e a malincuore riprendo a mettermi in camera oscura per
stampare qualche tessera e qualche foto in bianco e nero.
In
effetti non sono mai stato innamorato del lavoro in camera oscura. Preferivo
leggere anziché mettermi al buio.
L’inverno,
mi ricordo, quell’anno fu molto freddo e inzuppato di forti scrosci di acqua.
Stava per arrivare il Natale e le case si animavamo di luci colorate e di felici
propositi per l’anno nuovo.
Con
Pino intanto in quell’ultimo mese dell’anno avevamo ripreso l’abitudine di frequentare la casa di un
anziano signore dal quale, speravamo, con il suo aiuto e con i suoi consigli, di
avvicinarci alla conoscenza del mondo del paranormale.
“
U zu Luciano” era un vecchio compagno di partito, contadino, di tempra molto
forte, con una personalità notoriamente attraente, dal fare tipico del
siciliano di poche parole e dalle idee molto chiare. Viveva la propria vita nel
silenzio dei suoi misteriosi poteri. Lo conosceva Pino perché era un suo vicino
di casa, quindi non ci è stato difficile entrare tra le sue grazie.
Con
un certo timore, durante quelle sere fredde, in un certo senso impauriti
dall’oscuro personaggio che in
paese manteneva attorno a sé un alone di mistero, ci recavamo a casa sua
convinti di sondare l’aldilà sostenuti dal nostro fare da intellettuali
capaci di spiegarsi qualunque manifestazione. Fiduciosi nella nostra razionalità
e certi che nulla avrebbe scosso la nostra fiducia in un mondo fatto di sola
materia e di lotta politica, mentre Lui chiudeva gli occhi e sembrava
trasferirsi in un’altra dimensione, Gli ponevamo delle domande sperando di
ottenere risposte palesemente criticabili……………..ma non fu così.
In
quelle sere lentamente emergeva la nostra paura e si palesava da parte mia una
grande adesione psichica ed interiore per tutto ciò che riguardava l’altra
dimensione.
1
9 7 5
Le
uniche azioni diverse dalla normalità, a parte il lavoro che andava a gonfie
vele e i progetti per un nuovo viaggio da effettuare nel prossimo mese di
novembre, furono le infinite sedute spiritiche che riempirono buona parte delle
nottate di quell’anno. L’interesse per il paranormale mi prendeva
completamente e tutte le cose che mi capitavano, mi ero convinto, avevano
qualcosa da fare con lo spiritismo.
Improvvisamente
scoprii a Motta un grosso numero di persone che si interessavano di queste cose
e che avevano contatti diretti con medium quindi con sedute spiritiche, o
conoscevano personaggi che venivano posseduti (o che si incarnavano in……..)
da entità particolari.
Un
intero paese quindi, per quello che mi capitava sapere, nel silenzio della notte
si trasformava, abbandonando la luce del giorno, in provetti medium capaci di
far saltare tavoli per aria o trasformarsi in medium dai poteri misteriosi.
U
zu’ Luciano era “il punto di riferimento”. Tutti i gruppi di aspiranti
spiritisti paesani avevano trascorso qualche periodo attorno a Lui. Lo
osservavano in silenzio e con un certo rispetto, e Lui, mentre da una trance
“attenta” passava a giaculare incomprensibili preghiere che oggi definirei
“mantra”, passava a scrutarli con quei
suoi occhi a fessura incutendo una certa paura.
Nel
frattempo le mie conoscenze aumentavano. Personaggi locali dai poteri strani e
paranormali andavano affacciandosi al mio mondo. Non passava giorno senza sapere
di qualcuno che stupefaceva con i suoi poteri.
Ci
tengo a dire che Motta in quel periodo pullulava di personaggi che operavano in
questo campo, mantenendo attorno a loro un certo mistero per dare la giusta
dignità al ruolo che detenevano.
Oggi,
2007, per quello che sento dire, quei mitici personaggi sono del tutto scomparsi
per lasciare spazio ai nuovi “guaritori” che con semplici corsi a pagamento
si convincono di possedere poteri pranoterapeutici che gli derivano da energie
divine captate attorno a noi. In paese esistono diversi gruppi
di “carismatici” che, dopo aver praticato in seno alla chiesa, ingenuamente
e pericolosamente, tentano la strada privata convinti che basta una semplice
invocazione allo Spirito Santo per costringerLo a manifestarsi.
Molta
ingenuità ed impreparazione gira intorno a queste pratiche. I rischi verso i
quali si va incontro sono enormi e possono intaccare perennemente la psiche di
chi vi si abbandona senza la dovuta conoscenza. In tanti in questi ultimi anni
sono ricorsi alle cure di neurologi e psicanalisti.
L’era
della new age.
Le
menti e i sogni di molta gente si stanno riempiendo di false illusioni. Basta
frequentare un semplice corso, si pensa, per sensibilizzare dei centri nervosi a
livello sottile, chakra, per divenire dei
silenziosi “tramiti” che captano dall’etere correnti od energie per poi
trasferirle su persone che hanno bisogno di cure. Un discorso molto
semplicistico che sta coinvolgendo un infinità di persone, col rischio di
attirare su di se mali fisici e angosce psichiche distruttive.
Assieme
a Pino entrammo in questo mondo misterioso sponsorizzati indirettamente dalla
frequenza costante che avevamo con il capo dei capi. Diverse volte al giorno
venivano a prelevarlo persone non di Motta per risolvere casi misteriosi. Non
abbiamo mai saputo cosa andasse a fare, però dalla Sua spossatezza fisica era
naturale dedurre il grande stress a cui si era sottoposto. Scompariva a volte per giorni e al Suo ritorno
riprendeva come prima a ricevere persone, curando qualcuno con
l’imposizione delle mani e donando qualche preghiera da recitare nei momenti
di pericolo.
Oggi
definirei queste invocazioni MANTRA, brevi frasi dove vengono evocate delle
Divinità, nella speranza di sintonizzarsi alle loro vibrazioni che riempiono
d’Amore e di positività l’intero cosmo.
Le
nostre visite divennero sempre più frequenti.
L’ammirazione
per la Sua persona frenava la mia voglia di curiosità. Ero preso da questo
anziano personaggio, che, pur lavorando in campagna, senza la minima cultura,
riusciva ad affascinare così tanta gente.
Qualche
volta mi informavo sul mio futuro. Specialmente chiedevo notizie sui miei viaggi
e se, eventualmente, in futuro avrei realizzato quell’altro mio sogno che era
quello di scrivere e scrivere tanto. Mi rispose sempre con ferma schiettezza che
entrambi le cose, viaggiare e scrivere, avrebbero caratterizzato tutta la mia
vita. In effetti oggi, a parte l’Amore che sento per Pina, sono le due uniche
vere passioni che mi rendono vivo e felice.
In
quel periodo, spinto dalla curiosità e dal desiderio di conoscere, mi avvicinai
con grande interesse ad un gruppo di persone che praticavano sedute spiritiche.
La
presenza di un bravo Maestro di seduta e di un Medium, apparentemente esperto,
sollecitarono la mia brama di sapere spingendomi a partecipare a tutti gli
incontri che il gruppo proponeva. Eravamo tutti ragazzi con poca esperienza, però
vi era la figura del Maestro che colmava questa inefficienza. Era Lui a porre le
domande al Medium, era Lui a mandarLo in trance e a decidere quando e dove
riunirci per sfruttare nel giusto modo le energie al momento presenti.
La
mia presenza nel gruppo inizialmente è stata molto silenziosa e in parte
impaurita.
In
punta di piedi ascoltavo e tentavo di capire quali energie misteriose si
scatenano in simili situazioni e
quanta verità vi fosse durante le manifestazioni insolite che immancabilmente e
continuamente andavano presentandosi.
Non
volevo essere molto risolutivo giudicando a priori senza conoscere. Potevano
benissimo essere manifestazioni naturali indotte da paure psichiche
o dovute veramente a presenze di entità oltre il conosciuto…….però,
ero lì, e cercavo di sapere.
Attorno
al solito tavolo a tre piedi, sul quale tutti mettevamo le mani, si concentrava
la nostra attenzione riempiendo la stanza di una tensione assordante. La voce
autoritaria del Maestro, non dopo averci tranquillizzati, cercava di imprimere
ordini e visioni al medium il quale, con molta apparente disinvoltura,
chiacchierava con i vari Spiriti, o entità, che, secondo Lui, in quel momento
popolavano la stanza.
Questo
mondo affascinante, nuovo e stimolante,
mi costringeva a stare ore ed ore, a volte tralasciando il lavoro, lontano dalla
mia Pina. In quegli anni Lei ancora non lavorava, quindi dedicava tutto il suo
tempo alle crescita di Antonio e alla lettura dei vari libri che componevano la
nostra libreria.
Lentamente,
giorno dopo giorno, il mondo dello spiritismo coinvolse anche Lei. Non potevo
nasconderLe questo mio nuovo interesse. Da solo non sarei andato da nessun
parte, figuriamoci in questo campo così misterioso, addentrarmi da
solo……senza di Lei. Sarebbe stato impossibile.
Dopo
qualche mese Le parlai delle sedute convincendoLa a partecipare, anche solo per
semplice curiosità.
Passando
i mesi, le esperienze aumentavano e assumevano aspetti per certi versi molto
travolgenti. Il piccolo gruppo si era ingrandito e qualche volta espatriava dal
suo piccolo ambito per andare a confrontarci con altri gruppi. Andavamo anche
fuori a fare sedute spiritiche, e nel tempo si aggregavano elementi sempre nuovi
e quasi tutti coinvolti, anche indirettamente, in esperimenti con tavoli che si
spostavano da soli.
Il
Maestro continuamente ci proponeva nuove esperienze in luoghi nuovi,
frequentati, per come Lui sapeva, da anime erranti che avevano bisogno di
comunicare qualcosa.
Una
notte l’intero gruppo, con l’aggiunta di un oscuro Maestro misterbianchese,
si spostò sull’Etna, a gironzolare in un bosco di querce sopra Milo. Costui
sapeva di un luogo dove si era consumato un omicidio, quindi si presupponeva che
vi fosse ancora l’anima o lo spirito rimasti lì ad errare freneticamente
cercando un po’ di pace.
Eravamo
in tanti. Vi era anche Pina che rimase in macchina con altri ad attendere.
Arrivati
sul luogo, non dopo aver percorso diverse centinaia di metri, il Maestro ci
consigliò di non perdere il contatto con il suo corpo fisico perché era
l’unico schermo di protezione sicura in simili situazioni. L’alta voce del
Maestro iniziò ad evocare lo spirito chiamandolo per nome e ordinandogli di
farsi sentire.
Paura
enorme. Tensione. Impossibile rimanere distaccati da ciò che stava avvenendo.
Presi
la macchina fotografica, accesi il flash e mi tenni pronto a fare degli scatti
appena il Maestro me lo avrebbe detto.
Fatti
sentire. Siamo qui per aiutarti………..gridava.
Improvvisamente
dei “presunti” passi calpestarono delle foglie e si avvicinarono
paurosamente a noi. Mentre il Maestro cercava di trattenerci rincuorandoci, e
mentre il calpestio dei passi si avvicinava sempre di più, io presi ad
illuminare con colpi di flash il luogo dal quale provenivano i rumori.
Fermati!!
Gridò il Maestro a voce alta. Fermati!!
Il
panico ci avvolse, e tutti, in una fuga disordinata, ritornammo in macchina. Le
donne erano impaurite perché in simultanea alle nostre voci vedevano i lampi
esplosi dal mio flash. Non riuscivano a stare calme.
Una
notte da brivido. Indimenticabile.
Solo
oggi, fermandomi un momento a pensare a
quel periodo, capisco i rischi che abbiamo corso e con quanta superficialità ci
siamo incanalati in una strada che veramente ci avrebbe spinti in un baratro. Le
energie che si sprigionano durante le sedute spiritiche contengono in sé le
nostre credenze e le nostre paure. Una mente suggestionabile, come eravamo noi
in quegli anni, se non è sostenuta dalla giusta conoscenza e da una fede forte
nel Divino, può essere facilmente presa da forme pensiero negative che la
possono far scivolare in forme depressive
o di allucinazioni paurose. Si rischia di venire posseduti dai mostri generati
dalle nostre stesse paure con conseguenze terribili.
Ringrazio
la mia fortuna e il Dio che vive in me per avermi protetto da quelle energie.
Qualcosa
è rimasto.
L’esperienza
ci segnò tutti. Da quella notte in poi le sedute presero un’altra via.
Le
foto scattate furono analizzate da persone esperte i quali, secondo loro, si
intravedevano delle ombre bianche. Nessuno seppe spiegarne cosa significassero.
Nel
frattempo si avvicinava il momento del prossimo viaggio.
Avevamo
comprato una R5 e la volevamo portare in Iran attraverso la Grecia e la Turchia.
Un’impresa da veri pionieri, difatti tutti ci consideravano pazzi ed
incoscienti, però ormai quel viaggio ci era entrato dentro e dovevamo solamente
risparmiare qualche soldo, comprare qualche ruota di scorta, capire un po’ di
motore………………..e via.
La
frenesia si era impossessati di noi.
Quel
viaggio doveva essere la nostra
rinascita.
La
vita che conducevamo a quei tempi non era rigenerante. La casa opprimente, il
lavoro ormai decollato e ripetitivo, i pochi contatti con il partito e
l’oscuro periodo dello spiritismo, ci stava facendo scivolare nella
depressione.
L’occasione
era da non perdere.
Il
viaggio stesso, così avventuroso, era da non rinviare. Si doveva fare subito,
quello stesso anno, e l’unico periodo libero che avevo era novembre.
Il
nostro novembre.
Per
25 anni novembre è stato per noi il mese della libertà. Il mese in cui
prendevamo gli zaini e scorazzavamo per il mondo. Il mese dei morti, per noi è
stato consacrato alla vita. Ogni anno, puntualmente, il miracolo si avverava, ed
ogni volta, rubando qualche giorno di ferie, il mese di novembre transitava nel
dicembre successivo fino ad occuparne una buona metà.
Insieme,
Lei prendendo tutte le ferie (dal ’77 in poi Pina inizia a lavorare) ed io
chiudendo lo studio, ci immergevamo nelle delizie di un mondo meraviglioso.
Nessun ostacolo si mise mai di fronte per sbarrarci la strada, anche se in
futuro con l’arrivo di Alice, le cose sembrarono complicarsi, non rinunciammo
mai al viaggio. Ancora oggi, 2008, questa fortuna non ci ha mai abbandonati.
Il
desiderio sfrenato per il viaggiare liberi e l’Amore che vi riversiamo su,
servono, ancora oggi, a spianarci la strada.
Tutti
gli anni, questo miracolo, non ha mancato mai di stupirci.
Pochi
giorni prima di partire, improvvisamente, scompaiono tutti gli impedimenti
oggettivi e psichici e grazie alla nostra determinazione nel non voler
rinunciare alla gioia del viaggiare, quell’Assoluto, al quale tutti dedichiamo
dolci ed infiniti pensieri, ci è
sempre venuto incontro. Il nostro Grande Maestro che ci è stato, e lo è
tutt’oggi, sempre vicino, intervenendo in silenzio, ha fatto in modo che
questo prodigio avvenisse puntualmente tutti gli anni. Quell’immaginetta presa
in India in quel bugigattolo di Bombay non si è mai allontanata dalla nostra
vita. Ci è stata sempre vicina, consigliandoci in silenzio quale fosse la
strada più giusta da imboccare.
Nel
1983 a Singapore, mentre rientravamo in Italia da un lungo viaggio in sud est
asiatico, nel quartiere indiano, ci trovammo proprio il 23 novembre a
festeggiare il Suo compleanno senza apparentemente saperne nulla. Solo nel 1988
ebbi la fortuna di realizzare, dietro coincidenze e sincronicità misteriose,
quanto importante per noi è stato quell’incontro.
Un’altra
storia da raccontare.
Nel
frattempo, mentre continuavano le sedute spiritiche, e gli incontri con i
componenti del gruppo assumevano aspetti sempre più coinvolgenti, aumentava la
nostra dipendenza mentale nei confronti del Maestro e delle ipotetiche entità
che presenziavano le sedute spiritiche.
Allora
ero talmente condizionato da non riuscire a prendere nessuna iniziativa
autonomamente. Chiedevo per ogni cosa consigli agli spiriti guida e, per farlo,
dovevo interpellare il Maestro il quale, tramite il medium, li contattavamo e
potevo esporgli i miei problemi.
Una
vita non tanto bella.
La
mia libertà lentamente stava
decadendo in una subordinazione assoluta.
Dovevo
intervenire.
L’occasione,
come sempre, scaturì appena i presunti “spiriti” cercarono di impedirmi di
affrontare il viaggio in Iran perché, secondo loro, per noi sarebbe stato molto
rischioso. Il medium insisteva nel trasmettere questo messaggio ricevuto dal mio
spirito guida.
“Bisogna
rimandare il viaggio, partire a novembre sarebbe stato molto pericoloso”.
Questo
messaggio, per noi catastrofico, mi spinse con fermezza alla ribellione.
Andai
subito in libreria alla ricerca di libri che riguardavano i fenomeni
paranormali. Ne trovai diversi, specialmente conobbi Allan Kardec il quale, da
grande esperto spiritista, con i suoi libri, mi aiutò moltissimo.
La
Conoscenza iniziò a fluirmi dentro permeandomi corpo e mente.
Il
Suo potere rigenera. Apre la mente e scioglie i grumi di sangue che la
ottundono.
Conoscenza
è coscienza.
La
differenza è solo nella nostra mente, ma realmente entrambi sono i veicoli che
conducono all’Assoluto.
Il
risveglio della Coscienza avviene appena la Conoscenza inizia a fluire in noi.
Così
avvenne allora dentro di me.
Quei
libri benedetti furono la mia salvezza.
Un
grande coraggio interiore mi spinse a ribellarmi alle mie stesse paure. La paura
del paranormale, dello spirito guida che mi avrebbe punito, paura del Maestro e
del Medium che con i loro poteri avrebbero influito sulla normalità della mia
vita. Questo non potevo sopportarlo. Mi sarei sottomesso a qualsiasi rinuncia,
ma rinunciare al viaggio solo perché qualche entità virtuale mi preconizzava
pericoli disastrosi, qualora fossi partito…….questo era troppo.
Da
quel momento in poi le sedute spiritiche smisero di svolgersi in un clima di
tensione e di paura.
Entrò
la conoscenza.
Entrarono
i libri con tutta la loro carica rivoluzionaria.
Io
e Pino prendemmo coraggio. Gli altri ci seguivano con sgomento. Erano curiosi di
conoscere gli eventi, dato che da quel momento in poi ci permettemmo di
criticare i messaggi del medium.
Contestavo
qualunque messaggio. Chiedevo spiegazioni del perché il mio spirito guida sta
tentando di vietarmi quel viaggio, quando Lui sa che per me e Pina è più
importante di qualunque cosa. Mi sono sentito tradito da quell’entità che ci
consigliava “perentoriamente” di non partire perché saremmo incappati in
qualche pericolo devastante.
La
paura a volte produce del bene perché fa tintinnare le antenne, ma quando,
tramite essa, si tenta di cambiare la storia, o il carattere personale
dell’individuo, allora bisogna ribellarsi.
Mi
ponevo domande di ogni tipo, la più ricorrente
consisteva nel chiedermi come mai, Lui sa quali sono le mie passioni e
che pur di difenderle rinuncerei a qualsiasi cosa, e continua a ribadirmi di
rinunciarvi?
Il
futuro, per me che non ho mai creduto al destino, è qualcosa che ci costruiamo
momento dopo momento, ma soprattutto, ai nostri livelli, specialmente quello
umano, dove tutto non è ancora stabilito e tutto è in fase di elaborazione,
agire sul futuro e condizionarlo in funzione alla gioia e all’Amore che ogni
singolo individuo emana, diventa molto facile. Quel futuro
prevedibile scaturisce di volta in volta dalle possibilità reali che
abbiamo di scegliere liberamente ciò che è più giusto fare. L’accadere di
certe cose a discapito di altre dipende da noi, dall’intensità
e dalla passione con la quale stabiliamo e creiamo il nostro futuro.
La
contestazione ormai occupava gran parte del tempo.
Stranamente
in quel periodo la situazione stava entrando in una fase del tutto nuova. Tutti
sembravamo essere posseduti da piccole entità che si divertivano a giocare con
noi. Diverse volte mi sentii travolto da un movimento interiore ed automatico,
molto lento, che mi costringeva a mimare atteggiamenti senza nessuna logica.
Forse ero io stesso a spingermi, compiaciuto, a mimare quelle movenze in modo
così lento . Non posso confermarlo con sicurezza. L’unica cosa che mi ricordo
era l’intensità con la quale, proprio in quel periodo, improvvisamente,
succedevano quelle strane manifestazioni.
La
paura era scomparsa anche quando uno di noi, Ciccio, sembrava essere posseduto
da un’entità che lo rendeva violento e stranamente diverso dalla persona
tranquilla che era. Cambiava persino il tono della voce, sembrava allungarsi e
per il pauroso rantolare sembrava che stesse scoppiando. Gonfiava e ansimava.
Niente di definito, però si percepiva nell’aria qualcosa di misterioso e di
tetro. Stranamente non avvertivamo alcuna paura, a differenza di qualche settimana prima che sentivamo il
bisogno di stringerci attorno al Maestro per trattenere il terrore.
Ero
uscito dal tunnel. Volevo solamente conoscere la Verità. Più di una volta
bloccai il tavolo a tre piedi mentre si muoveva reclamando la Verità. Erano
spiriti burloni o eravamo noi, istintivamente, con un riflesso condizionato
forse, a far muovere quel tavolo?
Mentre
mi addentravo nella lettura dei libri, andavo assumendo sempre più coraggio.
Aumentava la fiducia in me stesso. Mi sentivo forte e rinato. Libero. Tanto
forte da scuotere l’esistenza del gruppo, difatti con l’aumentare delle
contestazioni, diminuiva l’influenza che queste entità avevano assunto su di
noi.
Coraggio.
Liberazione. Felicità.
Intanto
stava per arrivare novembre e il viaggio incriminato era ormai prossimo. Il
golfo Persico ci stava aspettando, e con un po’ di fortuna saremmo entrati
proprio in Irak.
Verso
la fine di ottobre con Pina, accompagnato da Carmelo e Barbara, in macchina
andammo a Roma per prendere il visto. Un’altra pazza mini avventura vissuta in
due giorni sulle strade dell’Italia del sud tra rischi e inni alla libertà.
Il visto non ci venne concesso, però ci consigliarono di provare al confine tra
Iran ed Irak, ad Awhos, possibilmente lo avremmo ottenuto.
Il
momento della partenza arrivò.
In
macchina, a differenza di quel lontano ’69 quando con Pino la percorremmo in
autostop, attraversammo le Calabrie alla volta di Brindisi dove la sera dopo ci
imbarcammo sulla nave per Patrasso.
Un
bel viaggio, sereno e pieno di ricordi. La stessa nave l’avevo presa tanti
anni addietro……………era il 1969, mentre infuriava la contestazione
globale.
Era
stracolma di tanti giovani con il sacco a pelo che partivano a piedi in giro per
il mondo.
Ci
sdraiammo al sole, sul ponte, cercando di immaginarci le meravigliose avventure
che tra qualche ora avrebbero occupato la nostra mente.
Di
corsa, appena sbarcati, verso Atene con la nostra mitica R5
dove viviamo qualche giorno da turisti appresso alle schiere di
visitatori che scarpinavano verso l’Acropoli…………Salonicco e poi Kabala,
e poi verso il confine.
Il
confine greco-turco lo attraversiamo di giorno, a differenza di qualche anno
addietro quando vi siamo arrivati al buio, in autostop e stremati, e siamo stati
costretti a dormire per terra, proprio alla dogana, sommersi da nugoli di
insetti.
Viaggiare
in questi luoghi, specialmente in macchina, non è solo una semplice passeggiata
tranquilla e rilassante. Vi sono, oltre questa pace, immensi pericoli,
soprattutto su queste strade percorse da lunghissimi camion che trasportano
merce dall’occidente verso l’Iran.
Entriamo
in Turchia e ne percorriamo in un saliscendi continuo le sue
strade sino ad arrivare a Tekirdag…………..ed infine ad Istanbul.
Costantinopoli,
la porta d’oriente.
Era
affascinante. Un po’ rimessa a nuovo, ma sempre piena di esotismo e di profumi
intensi. Le varie moschee, Topkapi e il grande bazar, rimanevamo mete
indiscusse.
Quell’odore
di oriente ancora, a malapena, perdurava nell’aria.
Purtroppo
un certo tipo di cambiamento La stava trascinando tra i suoi vortici. La vecchia
città di una volta stava transitando dalla distruzione per incuria, ad una
rinascita a vita nuova per placare le richieste del turista occidentale.
Si
stava vestendo di occidente, di apparenze e di nuove aspettative.
Ne
appurammo la triste transizione tanti anni dopo, nel marzo del 2003, quando Vi
ritornammo per una settimana. Era tutta un’altra Istanbul. Non sembrava più
la mia Istanbul. Si era vestita di nuovo, di colori innaturali e di luci
artificiali. Peccato.
Partimmo
dopo pochi giorni, in parte delusi, imboccando la strada verso oriente. Era
meglio andare via, subito, per non farmi prendere dalla nostalgia.
Meglio
mettersi in macchina…………………e andare via.
Quando
la nostalgia sta per arrivare bisogna subito cambiare aria.
Aria
nuova, e non c’è di meglio che sedersi in macchina e spostarsi………anche
di poco.
Improvvisamente
tutto cambia. Cambiamo di umore anche noi e la
gioia riprende a fluirci dentro in modo naturale.
Uscire
da Istanbul non è stato tanto facile.
Le
macchine erano già tante e le segnalazioni stradali erano inesistenti.
Bisognava darsi all’intuito ed avere una buona dose di fortuna. Questi due
ingredienti, in questo viaggio, li abbiamo quasi sempre avuti accanto. Se non
fosse stato per l’impianto di riscaldamento che senza alcun motivo, già sin
da Brindisi, si inceppò, tutto sarebbe andato liscio sino alla fine.
Era
già buio da un bel po’ quando arrivammo ad Ankara. Preferimmo non entrare in
città e rimanere a dormire in macchina così all’alba saremmo partiti alla
volta della Cappadocia attraversando l’Anatolia
centrale per visitare la meravigliosa valle di Goreme con le sue sorprendenti
chiese rupestri piene di affreschi dell’XI e XII secolo ricavate nel tufo
vulcanico.
Era
una notte molto fredda e, in macchina, il freddo, pur essendo imbacuccati con
tutto ciò che avevamo, coperte e sacco a pelo sulle gambe, sciarpe al collo,
berretto in testa e guanti di lana alle mani, era molto intenso. Ci stringemmo
il più possibile per riscaldarci e via……..cercando di chiudere gli occhi.
Una
notte di inferno.
Il
gelo aveva avviluppato l’intera macchina. Dormire con quella temperatura
bassissima era da pazzi, si decise quindi, dopo qualche ora, di ripartire.
Assurdo!!
Un
lieve strato di ghiaccio, dovuto al nostro respirare, si era condensato sul
vetro. Sembravamo dentro un iglò. I tergicristalli erano bloccati dal ghiaccio, gli sportelli non si aprivano e
i finestrini erano bloccati dal forte freddo che condensava la minima forma di
acqua. Fortunatamente la macchina si mise in moto, ma guidare in quelle
condizioni era impossibile.
Buio
completo. Bisognava scrostare il ghiaccio dal vetro. Come fare!!!
Mancava
una fonte di calore per scioglierlo, dato che la stufa era fuori uso. Pensammo
di bruciare un po’ di carta sperando che con il calore si aprisse uno
spiraglio per poter riuscire almeno a vedere qualcosa.
L’impresa
riuscì a malapena.
Poggiai
gli occhi sul vetro e lentamente mi spostai.
La
salvezza arrivò dopo qualche ora con l’arrivo della luce e con l’avvento di
un Sole rigenerante. Assieme al ghiaccio si sciolse anche quel gelo di paura che
ci era calato addosso. Eravamo salvi grazie al calore di un Sole che non ci
aveva dimenticati.
Lo
ringraziammo profondamente……e via.
Musica,
allegria e fiducia.
Ancora
oggi, quando ricordo quei momenti,
mi viene il brivido.
Eravamo
inesperti e presi dalla voglia di andare avanti. Non contemplavamo assolutamente
la possibilità di fermarci un po’ per fare il punto della situazione,
volevamo solamente andare avanti….avanti, correre sulla Strada perché il
desiderio di scoprire cosa vi fosse aldilà era incontenibile.
La
valle del Goreme era un miracolo Divino in cui si sublimavano insieme la
bellezza della natura e la prodigiosità dell’Uomo. Si integravano
perfettamente. Colline svuotate e bucherellate
per ricavare rifugi e luoghi di preghiera. Tutto un sistema di cunicoli
comunicanti dove vi si raccoglievano gli uomini di allora per proteggersi da
altri uomini e dal clima.
Il
freddo della notte precedente lo avevamo dimenticato, tanta era l’ammirazione
con la quale ci guardavamo intorno.
Mentre
ci stupivamo, spostandoci con la macchina da una collina all’altra per
ammirare queste guglie naturali, improvvisamente ci insabbiamo.
Smettiamo di sognare con prepotenza e subito rientriamo nella realtà.
Cerchiamo
di spingere la macchina, ma nulla fare. Pina, allarmata, si allontana di corsa
per raggiungere la strada principale cercando di chiamare qualcuno. Passa del
tempo e poi arriva con i rinforzi su di una moto. Ci mettiamo a spingere con
grande lena e poi……………si riparte.
Si
prosegue verso Kaisery, Sivas, Erzincan alla
volta di Erzurum, verso il confine iraniano.
La
Turchia ci rimane alle spalle con tutte le sue meraviglie e i suoi infiniti
pericoli. La Strada era il vero pericolo. Su di essa si spostava qualunque mezzo
di locomozione, a partire dai carri trainati dagli asini ai bimbi che
scorazzavano su quella scia di asfalto spingendo con i piedi i loro piccoli
carrettini. Biciclette e moto sgangherate, autobus fatiscenti e greggi di pecore
vi camminavano su facendo aumentare i pericoli. Poi vi erano questi famosi TIR,
lunghissimi e snodabili, che riempivano entrambi le corsie, lasciando dietro di
sè scie di polvere altissime perché gran parte di quelle strade non erano
asfaltate.
Ingaggiavano
tra di loro furenti corse e spesse volte lasciavano per strada qualche corpo
umano sfracellato. Carcasse maciullate di capre e di mucche erano sparpagliate
lungo tutta la strada assieme ai tanti scheletri arrugginiti di camion
precipitati lungo le scarpate. L’unica
salvezza era fermarsi, lasciarli andare avanti per evitare la polvere e poi
ripartire.
Vi
era tanto freddo, anche di giorno, quindi ci fermavamo continuamente per
riscaldarci con un the in una delle tante spelonche che si trovavano ai bordi
della strada. In mezzo la stanza vi era sempre una stufa a legna mantenuta
accesa con pezzi di copertoni di
ruote. Il calore era soffocante, figuriamoci la puzza e il fumo nero che
uscivano all’esterno dalla ridotta canna fumaria a quali livelli di
inquinamento erano.
Mangiammo
molto riso, tanto the, e grosse caciotte di formaggio di capra accompagnate da
piccole focacce con cipolle, tanto rassomiglianti al ciapati indiano.
Arrivammo
al confine all’imbrunire.
La
frontiera si contraddistingueva da un vecchio portone in legno che veniva chiuso
appena si faceva buio lasciando dall’altra parte, nel nulla, lo sfortunato
viaggiatore. Era lo stesso che attraversai qualche anno prima mentre ero diretto
in India.
Le
formalità doganali furono semplici e subito ci spostammo al vicino villaggio di
Maku per cercare da dormire.
Le
zone di frontiera sono sempre stati posti infelici. Assieme alla droga e al
contrabbando circolano avventurieri, tagliaborse, ladruncoli da quattro soldi e
tanti cambia valuta. Bisogna stare molto attenti perché ogni volta si prende
una fregatura sempre diversa, quindi le possibilità di proteggersi dipendono
esclusivamente dal tuo intuito e dal non dare fiducia a nessuno.
Suscitare
pietà è il metodo più usato da chi vuol vendere qualcosa.
La
polizia ci consigliò di andare a dormire in una casa di un loro conoscente. Non
l’avessimo mai fatto. Stette tutta la notte con il viso spiaccicato sul vetro
opaco della porta a guardare Pina. Era molto curioso. Per loro, la donna
occidentale suscita un interesse
morboso dovuto al modo di vestire diverso dalle loro donne. Addirittura sulla
guida si leggeva di stare attenti ai maschi iraniani perché cercavano di
tastare il di dietro delle donne.
Di
quella notte mi rimane impresso nella mente un rumore assordante di acqua che
precipitava da un alta montagna. L’abitazione era sistemata ai bordi di un
precipizio dove in basso scorreva
impetuosamente un fiume.
Partimmo
di buon mattino alla volta di Tabriz e subito le prime tende kurde ci apparirono
in un incanto sconvolgente. Entrammo in tante di queste tende per ammirare
l’arte del tappeto persiano costruito a mano e ci siamo sopratutto
meravigliati per come da simili tuguri, sporchi e fumosi, potessero nascere
opere di così alta raffinatezza.
La
strada per Teheran era affascinante per la sua desolazione. Mi ricordo di
aver visto pochi alberi, nessuna vegetazione e pochissimi villaggi lungo i 1200
km che ci separavano dal confine.
La
piccola R5 procedeva con determinazione senza mai accennare ad un guasto. Era
ancora in ottime condizioni e l’unica cosa che dovevamo fare era cambiare
l’olio e controllare il livello dell’acqua, per il resto tutto andava da se.
Questa
stessa strada l’avevo percorsa nel ’71, quindi era come se fossi di casa.
Niente mi creava fastidio. Accettavo qualunque cosa con serenità. La fatica, il
sonno ed il freddo facevano parte del viaggio.
Bisognava
accettare tutto e condividere con gioia l’immensità di quella natura. Nei
millenni queste stesse strade sono state percorse da orde di guerrieri, da
mercanti e da avventurieri, ed ognuno ha lasciato qualcosa di sé.
Mentre
la macchina scivolava silenziosa verso la meta, ai bordi della strada apparivano
e scomparivano visioni da sogno. Fiumi gelati, montagne di rocce consumate dalle
forze della natura, gallerie scavate nella viva pietra
trasudanti di acqua e al buio, ponti in legno logoro sostenuti da cavi di
acciaio, miseri villaggi di creta protetti da orde di cani famelici, nuvole di
polvere e TIR internazionali, lunghi, coloratissimi e rumorosissimi, gruppi di
avvoltoi che scarnivano i resti di animali maciullati dai camion.
Era
normalissimo assistere a queste scene.
Teheran
arrivò dopo qualche giorno.
Una
città enorme, non molto interessante. Tra pochi anni sarebbero arrivati gli
Ayatollah e molte cose sarebbero cambiate. Il regime dello scià aveva scelto la
via occidentale e, allora, mi ricordo, erano pochi i richiami alla grande
religione islamica. Vi erano molti occidentali, soprattutto americani, che
studiavano nelle sue università. Si stava tentando di agganciare quel mondo,
ancora molto legato alle sue tradizioni culturali e religiose, al nostro mondo.
Fu
un grande errore.
La
civiltà di altri popoli non si può esportare dall’oggi al domani senza
passare prima per un lungo processo di crescita e di cambiamento.
Da
questa forzatura sono nati molti dei movimenti integralisti che negli anni a
venire hanno riempito di sé e di stragi la storia contemporanea.
Partimmo
qualche giorno dopo per Isfahan, la perla della Persia, passando da Qom, la città
sacra.
Dall’alba
al tramonto abbiamo percorso i 500 km che ci separavano dalla città. Le strade
da quelle parti erano in ottime condizioni, quindi spingemmo un po’
sull’acceleratore per arrivare prima che facesse buio.
Non
ricordo dove abbiamo dormito ad Isfahan, però la bellezza orientale
da mille e una notte delle sue moschee mi è rimasta impressa nella
mente. Il nuovo bazar stava proprio sotto gli androni di una di queste moschee
dalle cupole intarsiate. I minuscoli suk che popolavano il bazar esponevano le
proprie mercanzie disposte in un ordine insolito in questi luoghi. Nessuno mai,
mi ricordo, ci chiamò per convincerci a comprare qualcosa. Vi era molta
alterigia e superbia, dovuta forse alla grande storia che avevano dietro le
spalle. Accanto vi era la
scuola teologica immersa in un vero paradiso, lontana dal caos. Si studiava la
lingua sacra araba e si interpretava il Corano.
Un
luogo fuori dal tempo.
Pina
era affascinata. Ci sentivamo grandi per l’impresa che stavamo vivendo, ma
nello stesso tempo risaltava la nostra piccolezza di fronte a simili meraviglie.
Sarebbe stupendo vivere in simbiosi con gli splendori della natura. Sentirsi
ogni tanto non parte della natura, ma natura stessa. Vivere senza aspettarsi
nulla, senza pensare ad un mondo migliore dove vivere perché quello in cui ci
troviamo è già perfetto così come è.
Partiamo
per Shiraz in mattinata.
Ci
separavano altri 500 km e non volevamo perdere la visione della meravigliosa
Persepolis che stava proprio vicino Shiraz.
Durante
la strada ci siamo fermati diverse volte ad ammirare colorati mercati in cui si vendevano animali. Si scambiavano
soprattutto pecore, capre ed asini, gli unici animali che si incontravano da
queste parti.
Nei
nostri viaggi il mercato locale è stato sempre un luogo in cui incontrare
popoli e tradizioni molto colorati. Spesse volte abbiamo deciso gli itinerari
dei viaggi tenendo conto di questi mercati. Negli anni, aumentando le richieste
del turista, da semplici scambi paesani in cui ci si incontrava per trattare
acquisti di animali o barattare qualche merce inutile con sementi particolari,
sono diventati grandi ricorrenze settimanali, addirittura da inserire nelle
guide turistiche come il mercato indigeno di Sasquisili in Ecuador il giovedì,
o quello di Tarabuco in Bolivia la domenica, o a kasghar sulla via della seta in
Cina la domenica, o a Antananarive quello di Zoma in Madagascar, nello Yemen
dove tutti paesi sono piccoli mercati pieni di folklore e di colori, il mercato
galleggiante di Bankog o quello di Chichicastenango in Guatemala…..o in
Birmania sul lago Inle.
Persepolis
era distesa in una valle circondata da alte montagne di roccia dove vi erano
scavate le tombe dei famosi Ciro, Serse e Ataserse.
Entriamo
trionfalmente con la nostra renault 5 percorrendo la striscia di asfalto che
attraversava gli ultimi ruderi dell’impero persiano. Rimanevano solo poche
colonne in piedi perché, a parte l’uomo che nei millenni l’ha depredata,
era stata distrutta da forti scosse telluriche.
Un
archeologo restauratore pisano, che lavorava sul luogo, ci istruì sulla storia
e ci mostrò in lontananza le varie tombe dei grandi eroi. Una meravigliosa
opera umana in perfetta armonia con la natura circostante. Bisognava in parte
arrampicarsi sulla montagna per poter accedere alle tombe.
Dall’alto
Persepolis si dispiegava nella sua grandiosità. Era circondata dal deserto e da
enormi statue che la proteggevano.
Gironzolammo
estasiati tra quelle rovine millenarie che avevano segnato in parte anche lo
sviluppo della nostra storia.
A
quel tempo, era il 1975, la città era calpestata da pecore e da asini in
competizione con enormi lucertole che scorazzavano liberamente facendoci
sobbalzare dalla paura.
Da
poche ore era ritornato il caldo. Ci trovavamo nel sud verso il deserto del
Belucistan e nei pressi del Golfo Persico. Già i fumi inquinanti dei pozzi
petroliferi infettavano l’aria di un odore di guerra. Erano gli ultimi anni di
pace, perché da li a qualche anno il terrore occidentale per appropriarsi delle
risorse energetiche avrebbe creato le condizioni oggettive per scatenare una
delle guerre più sanguinose della storia.
Negli
anni futuri siamo stati tanto capaci da creare fondamentalismi e terrorismi vari
per poi poterli condannare ed ergerci a salvatori che portano la civiltà e la
libertà. I paladini di questa grande impresa sterminatrice sono i vari governi
americani che negli anni si sono succeduti.
Sangue
in cambio di petrolio. Questo è stato l’emblema che ha caratterizzato il
nostro amato mondo occidentale………………
La
stupenda Shiraz stava proprio li, a proteggere questo mondo apparentemente
tranquillo. Le sue fantastiche moschee dalle cupole blu ricolmavano l’aria
circostante. Anche noi ci siamo sentiti presi, ammaliati da queste grandi opere
dove la pace e la ricerca per la verità sono stati nei secoli gli unici
obbiettivi da perseguire.
Solo
qualche giorno e poi via, altre mete da raggiungere e da incamerare. Si
sarebbero confuse con tutte le altre mete raggiunte negli anni passati creando
concentrati di “meraviglie” dentro di noi.
Riempiendoci
di belle immagini si può dare un senso alla propria vita. Esplode proprio dalle
cose che inseriamo dentro di noi l’anelito verso la luce. Bisogna creargli le
condizioni interiori per esplodere.
Assimilare
Amore per proiettare Amore.
Non
per forza debbono essere azioni positive, possono benissimo essere una serie di
visioni “meravigliose” a suscitare e a risvegliare in noi il desiderio della
conoscenza e l’aspirazione verso Dio.
Costeggiamo
il Golfo Persico sino ad Awoz, la mitica Susa, cerchiamo di procedere verso
Abadan, in Irak, ma la strada ci viene proibita perché non eravamo in possesso
del visto di ingresso, consentito solo a chi andava per lavoro.
Niente
da fare. Il vagabondo non è accettato da queste parti.
Sfuggita
quest’occasione in futuro non mi è stato più possibile avvicinarmi in questi
luoghi. Solamente tanti anni dopo, mentre viaggiavo da Damasco ad Amman si è
ripresentata l’occasione, ma, anche quest’altra volta, per i motivi che
tutti conosciamo, non è stato possibile entrare in Irak.
Dovevamo
attraversare il Kurdistan iraniano, una zona disabitata, con pochissime strade asfaltate, con il continuo
pericolo di essere sommersi da qualche frana
dovuta allo sfaldamento delle montagne circostanti.
Dezful,
Khorramabad, Hamadan e via sino a Tabriz e poi in Turchia cercando di spostarci
fino al confine Armeno per vedere il biblico monte Ararat.
Diverse
volte siamo stati costretti a fermarci per riparare le gomme e in diverse
occasioni siamo rimasti fermi per ore ad ammirare la transumanza delle carovane
Kurde mentre scendevano dalle montagne innevate alla ricerca di pascoli verdi in
pianura.
Pina
era ipnotizzata da questo spettacolo così diverso, così inusuale, specialmente
per noi occidentali che di queste scene ne avevamo solo il sentore tramandatoci da
qualche libro di avventure fine 900.
Le
interminabili carovane erano sempre delle apparizioni. Scendevano dai monti,
impolverati e infreddoliti, trasportando con sé tutti i loro averi. Bambini
avvolti in indumenti di lana coloratissimi, mercanzie varie che traboccavano
dalle gerle disposte ai fianchi degli asini, infinite mandrie di capre, di
pecore e di montoni guardati a vista da grossi cani e da pastori kurdi.
Le
montagne kurde contrassegnavano un mondo a parte. Già i mitici nomi delle varie
regioni che attraversavamo esaltavano la nostra fantasia………bakhtaran,
Kurdistan, Zanian, Lorestan e poi, dopo aver attraversato Tabriz…..Nagorno
Karabak, Azerbaijan, Armenia e poi ancora, dopo Erzurum……….monte Ararat,
lago Van e via di corsa, nuovamente ad Ankara dove stavolta ci fermiamo qualche
giorno per visitarla.
La
strada del ritorno era coperta
di neve.
In
poche settimane era sceso il grande freddo. Le mandrie si spostavano
continuamente alla ricerca di cibo e i mandriani, scalzi e infreddoliti, con
lunghi bastoni tra le mani, cercavano di raggruppare tutti gli armenti in modo
che il loro stesso calore potesse proteggerli dalla morsa del freddo. Le strade
erano piene di neve sciolta che, mischiandosi con la terra, creava una poltiglia
di fango dove slittare era molto facile.
Dovevamo
prestare tanta attenzione.
Tra
i grossi camion che arrancavano a
fatica in quelle ripide strade di montagna, emettendo fumi puzzolenti, cercava
di farsi spazio la nostra piccola macchina nella speranza di effettuare il
fatidico sorpasso liberatorio ………………ma era impossibile e decisamente
pericoloso. I camionisti dal finestrino ci indicavano il momento giusto per
sorpassare, ma, veramente, non mi fidavo molto.
Forse
quello era il momento di abbandonarsi ai loro segnali, di avere fiducia, ma non
riuscivo ad averne…..erano stati tanti gli incidenti mortali che avevamo visto
lungo quelle strade. Quelle poche volte che mi sono fidato, buttandomi a
capofitto in un sorpasso al buio, ne sono uscito con il cuore in gola e con una
scarica di adrenalina altissima.
Guidare
in questi luoghi è come camminare su un filo di lama. La minima disattenzione
comporta una sicura morte. Anche se si preme sul clacson
con ostinazione o si lampeggia con prepotenza, il rischio di finire in un
burrone rimane molto alto. Il sorpasso per loro è un gioco, si inseriscono
all’impazzata nei più piccoli spazi tra un camion e l’altro tenendosi
sempre pronti, col piede sull’acceleratore, a buttarsi in un nuovo sorpasso.
Tutto il giorno così. Massima attenzione e assoluta decisione nel superare il
mezzo che al momento rallenta
l’avanzata verso casa.
La
vita, vista dalla loro parte, non sembra essere molto importante.
Il
gioco della vittoria è molto stimolante, fa diventare eroi anche gli
incoscienti………..anche un autista di un camion o di un autobus può vivere
momenti di gloria. Piccoli personaggi che nel loro piccolo mondo diventano
grandi miti da rispettare e, quanto prima, da emulare.
Un
eroe dopo l’altro, una vittoria, una piccola conquista vissuta in prima
persona sulla strada. In questo modo la stessa vita si compiace e crea le
condizioni per uscire da quella scoraggiante solitudine dovuta al grande
silenzio che ci vive intorno.
Ripassiamo
il confine con la Turchia e ci dirigiamo verso l’Armenia per cercare di
intravedere il mitico monte Ararat. La strada ci viene vietata perché rientra
in quelle tristi zone militari invalicabili.
Ad
Ankara passammo qualche ora da incubo.
Dopo
aver lasciato Pina in un hotel ed io da solo parto alla ricerca di un
parcheggio, che trovo solo dopo diverse centinaia di metri, al ritorno non
riesco più ad orientarmi. Giro per ore a piedi disperato, alla fine prendo un
taxi e lo costringo a girare l’intera città alla ricerca dell’hotel
perduto. Solo dopo tante ore riesco a trovarlo, nel mentre Pina si era consumata
dal pianto e dalla disperazione.
Ripassiamo
da Istanbul fermandoci qualche altro giorno e poi, attraverso la Bulgaria
innevata partiamo alla volta di Dubrovinic.
Al
confine tra la Turchia e la Bulgaria caricammo sulla macchina un austriaco mezzo
assiderato. Sperava di trovare un po’ di tepore, invece trova una macchina
congelata simile ad un freezer ambulante.
Era
con un paio di sandali senza calze, con pochi indumenti pesanti, quindi lo
coprimmo dandogli una coperta. Spinto dal grande freddo comprò
un barattolo di miele trangugiandolo a grandi sorsate. Gli si infiammò
la gola e lo costrinse a rimanere con la bocca spalancata per un giorno intero.
La
solita polizia bulgara ci bloccò tre volte per la strada e ogni volta ci
ritirava i passaporti adducendo motivi inesistenti, quali alta velocità, guida
a fari spenti e sorpasso in curva, per multarci. La rabbia era alle stelle.
Nessuno si poteva permettere di rubarci in questo modo i soldi. Era talmente
indecente il comportamento di questi poliziotti che alla fine aspettammo il buio
per avviarci verso la frontiera Jugoslava.
Un'altra
volta, era novembre del 1987, in Gambia, quella striscia di terra che si insinua
dentro la terra senegalese, avevamo preso in affitto una renault 12, ebbene,
anche allora, la polizia per ben due volte, senza alcun motivo, ci ritirò il
passaporto perché, secondo loro, avevamo commesso delle infrazioni stradali e
minacciati di essere tradotti in un processo istantaneo se
non avessimo pagato subito una certa somma di denaro.
Succede
sempre così in questi paesi. I rapporti con polizia sono sempre segnati dalla
corruzione, dalle minacce e dalla paura. Ne potrei raccontare a decine.
L’unico modo è pagare se si vuole continuare il viaggio.
Vorrei
sapere se anche i potenti o i vari partecipanti a gite organizzate di lusso
vivono questi problemi……….per non parlare poi dei controlli continui e
umilianti subiti in ogni dove dalle forze dell’ordine che cercano droghe
varie.
A
volte ci chiediamo perplessi…….ma perché viaggiamo?
Quante
volte ci siamo sentiti sfiduciati, e quante volte abbiamo tagliato dalle nostre
mete diversi paesi……..e quante volte, puntualmente vi siamo ritornati per
rivivere la gioia delle emozioni stupende che abbiamo avuto con la gente del
luogo?
In
Jugoslavia attraversammo parte della Serbia, del Kossovo, del Montenegro e della
Croazia. Allora ancora questi paesi erano uniti, nessuno, a quel tempo, poteva
prevedere le tragedie e i genocidi che negli anni novanta vi si sarebbero
perpetrati. La fine della dignità umana.
Con
l’austriaco abbiamo avuto problemi alla frontiera perché non possedeva
nemmeno un soldo e non volevano farlo passare. Ci facemmo carico noi fino a
Dubrovinic, poi si sarebbe dileguato in quel meraviglioso paese.
Piovve
tutto il tempo, vi era freddo e ghiaccio quindi camminare di notte su quella
montagne era veramente pericoloso. Fortunatamente ci accodammo ad un pulmino di
locali e assieme a loro affrontammo la grande traversata.
A
Dubrovinic splendeva il sole, ed in lontananza si sentiva già il fischiare
della nave che stava per partire. In fretta acquistammo il biglietto e subito
dentro……
Eravamo
molto stanchi, avevamo dormito pochissimo ed eravamo sfiniti dal sonno. Salimmo
sul ponte a cercare una poltrona. Erano tutte vuote perché la nave trasportava
pochi passeggeri. Vi erano dei cacciatori italiani che ritornavano con pulmini
congelatori pieni di selvaggina. Gli sterminatori del XX secolo. Dopo aver
distrutto la fauna in Italia, si apprestavano a distruggerla anche negli altri
paesi.
Li
guardammo con tristezza, pensando alla loro malvagità e alla sofferenza che
generavano in questa nostro Pianeta.
Il
viaggio era finito. Bisognava rientrare subito a casa perché avevo preso degli
impegni di lavoro ancora prima di partire. Non potevo esimermi da simili
obblighi, il nostro futuro, almeno in quel periodo, dipendeva dal mio lavoro.
Avevamo percorso quasi 11.000 km in condizioni stradali pessime e grazie alla
macchina e alla nostra passione per il viaggio non successe nulla di grave.
Il
futuro per noi riservava tante altre avventure per le strade del mondo, e
dovevamo prepararci, dovevamo desiderare con presenza mentale le cose che
amavamo fare, pensare sempre al prossimo viaggio in modo da creare la realtà
ancor prima che arrivasse il momento della partenza, alimentandola con forme di
pensiero pertinenti.
Da
Bari ci fermammo un giorno nei pressi di Alberobello, le grotte di Castellana e
Fasano. Il solito giro classico per turisti ordinari. L’unica cosa che ci
distingueva era la mia barba, l’aspetto trasandato e l’indecifrabile colore
della macchina che da bianca era divenuta grigio fango.
Motta
stava per prepararsi alle feste natalizie.
Le
strade erano colorate e le luci stavano per risvegliare dal buio la piccola
comunità. Le bische clandestine erano già in movimento ed in tante case ci si
riuniva per giocare a carte e nel frattempo si poteva pettegolare in libertà.
Io
avevo ripreso con le sedute spiritiche, seppure con una visione diversa e con un
grande coraggio ritrovato. Spesse volte le sedute le abbiamo fatte dentro casa
nostra sfidando le ire e le paure di Pina.
Sconoscevo
i pericoli che si incontrano seguendo questa strada, principalmente le energie
che si scatenano e le forme di possessione che vengono facilitate dalla nostra
paura.
Fortunatamente
allora ero già nel cuore del mio Maestro che a mia insaputa, ne sono sicuro, mi
stava indirizzando verso la giusta strada.
Non
potevo sbagliare.
Anche
se nel mio conscio mi muovevo
nell’inconsapevolezza più evidente, l’inconscio ne era già a conoscenza.
Preavvertiva l’avvento di una grande luce che in futuro avrebbe ravvivato la
mia vita, e lentamente mi stava preparando a questo meraviglioso momento.
Possedevo
già la piccola immagine presa in India nel ’71, quindi qualcosa di reale a
cui agganciarsi la tenevo nel mio cuore.
L’inconscio
contiene il passato, il presente e il futuro. Compone questi tre contenitori
mischiandoli, elaborandoli e ne immagina i futuri risvolti empirici che
coinvolgeranno colui che li contiene.
Non
è un destino prestabilito a priori da forze superiori che non permette vie di
scampo, ma è un destino che cammina, è qualcosa che si costruisce sulle tante
possibilità che abbiamo di scegliere o di rifiutare. Quindi anche se
nell’inconscio risiede la conoscenza di ogni cosa, perché ogni cosa esiste già
sin dall’eternità, rimane sempre quel senso di libertà che è la
caratteristica essenziale dell’Uomo.
Nuccio Guarnera
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