Due
occhi azzurri per un futuro
Diario di viaggio 2008
di Erik Viani
Questo
viaggio nasce da una serie di eventi, anche dolorosi, che mi ha portato a
ritornare in luoghi già visitati facendomi considerare la vita in una
prospettiva più intensa.
Non
scorderò mai i colori delle tre bandiere perché sono stati i comuni
denominatori delle miei emozioni : rosso ; verde ; giallo ; azzurro ; bianco ;
nero.
Ogni
tonalità rispecchia l’anima della natura e personifica la natura dell’uomo.
Una
storia di tante amicizie che ci lega l’un l’altro dove ogni dubbio viene
dissipato da reciproci aiuti.
Una
storia che ha un sapore di speranza, con tinte tristi e sofferenti ma capace di
reagire in ogni situazione.
Una
storia di ognuno di noi dove c’è la crescita della Terra intera.
Lungo
il mio viaggio immagino di avere accanto due amici , Ndjlonga ed Eloise , che
realmente conobbi in precedenti esperienze africane.
Attraverso
i loro occhi rivedo i duemila chilometri percorsi dal nord del lago Vittoria in
Uganda, toccando il parco nazionale Lake Mburo , l’isola Itambira nel lago
Bunjonyi , le verdi colline e la savana rwandese,
ridiscendendo attraverso gli altipiani in Burundi dai 2.200 metri di quota per
raggiungere i 770 metri delle sabbiose spiagge del lago Tanganyika .
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Ritorno
dopo pochi mesi in Rwanda e rivedo quella chiesa a Njamata scenario di atroci e
cruenti massacri nel maggio di quattordici anni fa.
Un
ragazzo ci accoglie e ci guida verso un tenebroso passato che non ha risparmiato
neppure i suoi famigliari seppelliti negli ossari sottostante la chiesa.
E’
una domenica mattina e Ndjlonga ed Eloise partecipano alla celebrazione della
messa in memoria di queste vittime . Intorno all’altare scorgo visi funesti,
costernati di amare vicissitudini e con un cuore pieno, riempito da una
profonda, cupa e dolorosa mestizia.
Quel
ragazzo, il cui nome non ricordo parla con voce fioca e mi guarda con occhi
pieni di lacrime quasi volesse domandarmi il motivo di quei tristi momenti di
follia .
Ripassiamo
dopo pochi giorni a Njamata e rivedo in lontananza la sua figura che,
omnipresente , dall’entrata di quella chiesa, ci riconosce e ci saluta.
Un
ponte immaginario mi lega a lui , al suo passato ed al suo Paese.
Sono
seduto in una panca , vicino a me Ndjlonga,
Eloise e gli amici che mi hanno accompagnato dall’Italia, alle nostre
spalle la chiesa che sorgerà in memoria di Elisa, una cara amica,
scomparsa pochi giorni prima della nostra partenza in Rwanda ad aprile.
Partecipiamo
alla messa in suo ricordo celebrata da padre Onesphore un amico rwandese
conosciuto nel precedente viaggio.
Intorno
a noi vi è un clima rispettoso e la gente dignitosamente ci accoglie con canti
e danze tribali.
Gli
anziani del villaggio, con passo tremolante ed accompagnati da un lungo bastone
che segna la loro età, esprimono nel dialetto locale la loro gratitudine per
poter finalmente entrare in un luogo di culto senza più dover percorrere lunghi
tragitti a piedi scalzi.
Faccio
colazione nella missione di padre Onesphore ed Elisa mi sorride dall’alto, mi
osserva con i suoi occhi azzurri circondata da sguardi africani.
Nei
giorni precedenti visitiamo il parco nazionale Lake Mburo con passeggiate lungo
i saliscendi delle sue colline; effettuiamo safari notturni incontrando lungo la
strada solitari bufali e “sculettanti” ippopotami ; organizziamo escursioni
in canoa attraverso il lago costeggiando la lussureggiante vegetazione ricca di
nidi di uccelli tessitori e popolata da aquile urlatrici dalla testa bianca.
Ndjlonga
ci guida attraverso il sud dell’Uganda visitando lungo la strada variopinti
mercati di frutta ed ortaggi, accompagnandoci nel piccolo villaggio di pastori e
contadini sull’isola Itambira nel lago Bunyonyi.
Riusciamo
a disputare anche una piccola partita con amici conosciuti nel villaggio.
Il
tempo che ci segue in questi giorni si alterna con copiosi piovaschi e splendidi
giochi di luce rilessi dai raggi di sole sulla superficie del lago.
Il
tramonto dall’alto della collina è fantastico e mi lascia una sensazione di
quiete e tranquillità e,
contemporaneamente, mi faccio
trasportare dai suoni della natura che mi circonda.
Eloise
mi racconta la storia del suo passato lasciandomi basito di fronte ai soprusi
subiti dal suo popolo dalla nostra “civilizzazione” e dalle continue lotte
tribali.
Entriamo
in Rwanda la mattina presto ed avverto una gioia dentro di me quasi come se
tornassi a casa.
E’
proprio vero che la distanza e la poca conoscenza di un luogo ed un popolo non
fa altro che aumentare la lontananza, preferendo l’ignoranza e la paura di
entrare in contatto diretto con le diversità.
In
Rwanda pensavo di avere più difficoltà di interazioni con le tribù locali ed
ancora più sentite ed avverse erano le sensazioni per il Burundi; ora grazie
anche a persone come Ndjlonga, Eloise eccetera eccetera mi sembra quasi di
vivere in una seconda casa.
Ripercorriamo
le ricche e fertili vallate Rwandesi dove domina il verde smeraldo delle piantagioni di tè affiancato da un
rosso porpora dei sinuosi sentieri di terra battuta.
Raggiungiamo
all’ora di pranzo Ruhuha, dove ci aspetta Onesphore in missione.
Ruhuha
è un piccolo villaggio a circa un ora e mezza dalla capitale Kigali, situato a
pochi chilometri dal confine con il Burundi.
La
gente nel vederci arrivare riempie la strada creando innanzi a noi una barriera
insormontabile; tanti sorrisi ci circondano e ci accompagnano sino all’entrata
in missione.
Rivedo
la mia camera, il prato, la chiesa dove nel frattempo celebrano messa. Entriamo
in punta di piedi ma non passiamo inosservati , appena ci vedono arrivare ci
chiamano verso l’altare e ci invitano a parlare. Salutiamo la folla
incuriosita che ci dà il benvenuto.
Ndjlonga
ed Eloise mi accompagnano lungo la grande piazza polverosa sino al locale
mercato gremito di ogni sorte di gente : odori,
colori e sapori che rilasciano molteplici sensazioni.
Eloise
frequenta la scuola elementare, calza un paio di sandali in gomma gialla che
ormai hanno assunto il colore della terra e spesso si reca al vicino lago
Cyohoha per fare il bagno con le amiche.
Mi
accorgo che, con il trascorrere dei giorni, la terra africana mi sembra meno
polverosa e più morbida del solito. Riconosco lungo la strada:
le buche, le pozzanghere e le case nuove in mattoni che la costeggiano.
L’indomani,
dopo l’arrivo presso la missione di Ruhuha, sotto un cielo plumbeo ed un vento
che annuncia un forte temporale, ci rechiamo a visitare il vicino dispensario
dove lasciamo beni e medicinali di primo soccorso.
Lungo
il corridoio si intravedono pazienti di ogni età e provenienza in attesa di un
piccolo consulto ; visitiamo inoltre alcuni reparti dove giovani mamme hanno
appena dato alla luce nuove creature sapendo già che l’indomani saranno
nuovamente nei campi di lavoro per coltivare la terra.
All’improvviso
un forte temporale ci prende alla sprovvista ed allora facciamo subito ritorno a
casa per caricare velocemente il nostro mezzo di materiale per la scuola , sede
della nostra prossima visita.
Al
nostro arrivo, nonostante la scuola sia chiusa per ferie, tutti gli scolari ,
sapendo della nostra visita, ci accolgono festanti con canti e saluti.
Con
ordine ed educazione assoluta, gli studenti si dispongono in più file per cui ,
con l’aiuto dei loro maestri, consegniamo loro penne, matite e materiale
vario.
Onesphore
ci guida lungo il complesso e ci mostra la vicina stalla con le vacche per il
latte fresco della mattina, le future aule ancora in costruzione, la cucina ed
il locale dei professori. Si tratta di un’ampia zona la cui diocesi, da lui
coordinata ,ha acquistato il terreno e tutte le strutture del nuovo insediamento
scolastico.
Onesphore
è un uomo poco più che trentenne, laureato in filosofia presso l’università
di Yaoundè in Cameroun , con un grande cuore africano , altrettanta forza
d’animo, spinto da una passione
ed una abnegazione nell’ aiutare la propria gente. E’ una persona dotata di
un forte carisma ed un grande acume politico, dove spesso e volentieri tiene a
consulto persone non solo di religione cattolica. Con lui ho instaurato una
profonda amicizia in virtù del fatto che,nonostante la sua posizione di rango,
mantiene una grande semplicità ed una apertura mentale sempre positiva.
Discutiamo
insieme agli amici italiani ed hai genitori di Elisa di “piccoli “ ma
concreti progetti tra cui la realizzazione della chiesa St.Elise a Kamabuye ,
l’acquisto e la costruzione di tetti in lamiera per il nuovo complesso
abitativo vicino a Ruhuha, il completamento di alcune aule scolastiche, la
collaborazione al vicino orfanotrofio di Nyamata ed in ultimo ma non meno
importante, l’acquisto di una vacca da latte, sempre per la medesima scuola.
Ndjloga
ed Eloise sono molto contenti nel vedere questi positivi cambiamenti del loro
Paese. Sperano entrambi che , una volta terminata la scuola , riescano ad
inserirsi nel mondo del lavoro apportando a loro volta nuove risorse e speranze
per un futuro sereno.
Per
festeggiare la nostra visita Onesphore ci porta in un delizioso ristorante
locale per una grande abbuffata di pesce accompagnata da birra a volontà.
E’
giunta l’ora di lasciare la missione e recarci in Burundi, ed Onesphore,
sapendo del nostro pernottamento a kigozi, si offre di accompagnarci sino a
destinazione.
La
strada principale che da Kigali, via Nyamata, porta al confine con il Burundi è
tutta asfaltata e di facile percorribilità .
Raggiungiamo
il confine di stato sulla tarda mattinata poi, eseguite le solite macchinose
procedure burocratiche, entriamo in Burundi.
La
tribù che popola questa zona appartiene ad
un’altra etnia e vive ancora in
rudimentali capanne di fango con
tetti fatti di foglie intrecciate di banana. Non sono abituati a vedere
incuriositi visi pallidi “invadere” i loro spazi ne tanto meno abbigliati
all’occidentale.
Hanno
parvenze timorose e nascondono paure ancestrali ; cerchiamo con un sorriso di
rompere il ghiaccio e veniamo subito ricambiati. I bambini sono i primi a
venirci incontro.
La
strada che dal confine ci porta a Kigozi è ancora in fase di ultimazione
e ci costringe in ripetuti slalom in piste sterrate. Il paesaggio circostante,
essendo nel periodo delle piccole piogge, è ricco e rigoglioso di vegetazione;
si intravedono a macchie di leopardo piccole piantagioni di caffè , banane,
manioca, pomodori e, liberi in mezzo ai campi,
pascolano capre e beccano
alcune galline.
Onesphore
mi dice che questa gente è molto povera e vivono alla giornata . Una volta al
mese, dalla sua vicina diocesi, si reca a fargli visita per celebrare messa.
Raggiungiamo
la casa di accoglienza a Kigozi nel primo pomeriggio e ci concediamo un po’ di
sano e meritato relax lungo le sponde meridionali del lago Cyohoha.
La
struttura che ci ospita è veramente spartana ed al limite della praticabilità,
ma stupisce il fatto che vengono a
pernottare anche rappresentanti diplomatici francesi e politici della capitale.
Probabilmente viene vista come luogo sicuro, tranquillo e lontano da occhi
indiscreti.
Ndjolonga
ed Eloise subito prendono confidenza con i locali ed insieme si recano al vicino
pozzo per riempire alcune taniche di acqua potabile per poi caricarle sulle
biciclette.
Alcuni
bambini mettono in pratica la loro bravura con lavori di manovalanza costruendo
modelli di auto e minibus con legno di banano.
La
serata si conclude con un breve giro in canoa prima del tramonto e con una
partita a carte collettiva per poi sciogliere le righe.
Riprendiamo
all’alba il cammino entrando sempre più all’interno del Burundi ed
incontrando sali e scendi con splendidi panorami e ripetuti villaggi assiepati
lungo la strada.
Sarebbe
bello percorrere queste colline con una bicicletta per gustare maggiormente la
natura circostante. Ndjlonga già percorre a piedi ed in bici diversi chilometri
al giorno solo per raccogliere l’acqua oppure per raggiungere il mercato dove
barattare i prodotti della propria terra.
Questo
mezzo è molto importante per i locali in quanto il governo stesso, così come
in Rwanda, con micro finanziamenti, ne agevola l’ acquisto per creare nuovi
posti di lavoro come trasporto di beni e persone.
Onesphore
ci abbandona lungo la strada e ci indica la direzione di marcia; senza di lui
ogni posto di blocco può essere pretesto per qualsiasi tipo di richiesta, ogni
sguardo mi sembra più distante.
Niente
paura, a Mabaye ci aspetta Ciriaco, un burundese laureatosi presso l’università
de l’Aquila in agronomia e rientrato in patria alcuni anni fa’ per cercare
di creare una sua attività.
Passiamo
Ngozi dove cambiamo alcuni dollari per far rifornimento ed iniziamo l’ascesa a
Kayanza lungo una strada asfaltata ma ricca di sorprese come :
smottamenti dove diamo un piccolo contributo all’omino che la
ripulisce, gregge di capre, pioggia, così tanta da riempire il vicino bacino
idrico artificiale che soddisfa la capitale e locali che, ad ogni villaggio
raggiunto, ci circondano
incuriositi.
Tocchiamo
i 2000 mt di quota attraversando anche il parco nazionale de la Kibira, una
ricca foresta di aghifoglie popolata da numerose specie di uccelli ma ahimè di
mammiferi neanche l’ombra. Ciriaco dice che tutti gli animali, durante la
guerra civile, sono stati mangiati oppure sono scappati nel confinante Rwanda.
Per ripopolare queste zone, la sensibilità deve aumentare, ma soprattutto
questo sistema di indigenza, austerità e disagio devono lentamente scomparire.
Ho idea che il percorso sarà molto lungo.
Sino
a pochi mesi fa’ queste foreste erano il palcoscenico di guerriglia tra i
militari dell’esercito ufficiale ed avamposti di ribelli antigovernativi. Ora
che è stato siglato l’accordo di pace la situazione è sotto controllo e non
vi sono problemi di alcun genere.
La
temperatura è gradevole e con questa strada tortuosa si ha l’impressione
d’essere allo Stelvio. Ogni tanto ci si ferma per un pipì – stop e poi
nuovamente in pista.
Raggiungiamo
Mabayi e per trovar Ciriaco, nessun problema, è l’unico burundese a
parlare italiano in paese.
Subito
ci accompagna nel locale Istituto di suore Benedettine dove siamo ospitati per
la notte.
Conosciamo
Agrippina, Shantal ed anche don Leopoldo, parroco della diocesi il quale durante
la guerra civile, per salvare alcuni bambini, perse un braccio per lo scoppio di una granata. Si fece
curare in Italia, a Bologna, e venne anche a Brescia ed in Valtellina.
Eloise
e Ndjlonga subito familiarizzano con i loro coetanei e corrono scalzi lungo le
pareti ripide del bosco sopra la nostra casa di accoglienza.
Nonostante
il fango e le foglie bagnate riescono a stare in piedi senza cadere.
Sembrano dei saltimbanco dalla bravura.
Dal
bosco si riesce a scorgere una miniera a cielo aperto dove, suggerisce Ciriaco,
sembrerebbe che gli americani hanno trovato l’oro.
Non
lo vedo tanto entusiasta della notizia, probabilmente vede in questa situazione
solo un movimento di speculazione ed arricchimento straniero a discapito della
sua gente e disciplinato da regole politiche corrotte e senza distinzione di
colpi.
Un
effetto dumping, una forma di concorrenza sleale come nel caso del cotone
prodotto nella provincia di Cibitoke.
Passando
lungo i sessanta chilometri di strada che da Cibitoke porta alla capitale
Bujumbura, alcuni anni fa’, vi era un florido mercato che, proprio in questo
periodo, impiegava la maggior parte della popolazione residente nella raccolta
del cotone e nel carico delle balle su vecchie camionette di ogni formato e
dimensione, dopodichè il raccolto veniva depositato in magazzini di
conservazione e sottoposto ad un essiccamento naturale.
La
fluttuazione del prezzo internazionale del cotone, in particolare la caduta
tendenziale degli ultimi anni è dovuta all'assenza di politiche di gestione
della domanda e dell'offerta, causata dal peso di colossi quali la Cina e gli
USA. Tutto questo ha peggiorato sensibilmente la situazione economica dei molti
paesi e comunità agricole legate alla coltivazione del cotone.
Così
i piccoli opifici in Burundi erano costretti a vendere il prodotto ad un prezzo
più basso sul mercato estero rispetto al prezzo di vendita su quello nazionale;
dove però il mercato interno era quasi assente e le regole dettavano una
vendita all’estero sottocosto a prezzi assurdi.
Come
se tutto questo già non bastasse, negli ultimi anni la coltivazione del cotone
è stata fortemente interessata dall'ingegneria genetica: il cotone OGM è stato
commercializzato per la prima volta negli USA nel 1996, ed oggi è ampiamente
diffuso in tutto il mondo.
In
india, terzo produttore mondiale di cotone, la coltivazione OGM ha avuto un
incremento pari al 326% in soli tre anni.
Ciriaco
conosce bene l’economia del suo Paese e la
grave piaga di sperequazione per la mancanza
di un equo criterio distributivo della propria ricchezza.
Con l’aiuto di
Fides, una signora burundese che vive da anni in Valtellina e con il supporto
della associazione internazionale di volontariato onlus italo - burundese
“Dukorere Hamwe – Lavoriamo Insieme”, stanno cercando,
con micro finanziamenti, di alimentare l’economia locale acquistando
macchinari e formando personale specializzato nel settore tessile, agronomo ed
industriale.
La loro ambizione
inoltre sarebbe quella di costruire un agriturismo,una struttura di accoglienza
turistica con produzione e vendita di prodotti locali.
Mbayi nel corso degli
ultimi anni ha subito parecchi cambiamenti; nel governo precedente vi era una
forma di caccia alle streghe per tutti i missionari e religiosi stranieri che
operavano in Burundi. La stessa missione comboniana di Mabayi era stata svuotata
di tutti i volontari religiosi e laici stranieri per pericolo di uccisioni.
Oggi la situazione è
stata normalizzata e molti volontari si affacciano nuovamente in questa
meravigliosa realtà. E’ un bene per il Paese perché contribuisce al suo
sviluppo ed alla sua ricchezza.
Dormiamo in una bella
struttura che mi ricorda uno chalet di montagna delle mie parti e mangiamo ad
una tavola imbandita di ogni bene.
L’accoglienza di
questa gente è degna di un sultano e la cortesia alla base di tutto.
Mi auspico solo che i
loro occhi non vedano un fatuo futuro con una illusione effimera di grandi
miglioramenti ma, a piccoli passi alla volta, contribuiscano a delle conquiste
positive in grado di non crollare al primo e flebile soffio di vento. Conquiste
in grado di supportare un ciclone di situazioni sfavorevoli ,combattendo con la
forza dell’intelligenza e determinazione i soprusi che ad ogni colpo di spada
provoca vittime innocenti.
Questa notte, dopo il
forte temporale, dormo bello rannicchiato con coperte di lana e doppie lenzuola.
Ripartiamo
l’indomani verso la capitale scendendo dalle montagne nella vallata che ci
divide dalla Repubblica Democratica del Congo. Passiamo Cibitoke costeggiando il
fiume Rusizi che marca il confine congolese attraverso numerose piantagioni di
riso, cotone e canna da zucchero.
Lungo la strada si
incontrano numerosi ciclisti che trasportano quotidianamente taniche di liquore
di banana da vendere nel mercato di Bujumbura.
Questo liquore è
ricavato da una qualità di banana verde dalla quale producono anche il matoke ,
una polenta di banane bollite con fagioli. Il liquore è prodotto senza alcol e
la sua gradazione aumenta con la fermentazione del mosto di banane all’interno
dei contenitori. E’ la loro bevanda di largo consumo in quanto costa poco,
allevia il peso della fame e lascia quel senso di stordimento a cavallo tra
l’inebriato e l’esaltato.
Dalle montagne
percorrono più di cento chilometri al giorno con biciclette caricate all’
inverosimile e con un caldo umido soffocante per pochi spiccioli.
Questa strada, dove
ora ci sono donne che raccolgono ai suo bordi il riso e bambini che giocano tra
loro, negli scorsi mesi, era teatro
di scorribande e di rappresaglie tra ribelli antigovernativi del “National
Liberation Forces (NLF”)
e militari in divisa. Nascosti lungo la rada vegetazione che porta in Congo vi
sono ancora piccoli accampamenti e nuclei rivoltosi monitorati quotidianamente
da organi ufficiali delle Nazioni Unite con quartiere generale vicino
all’aeroporto della capitale e da posti di blocco militari situati lungo la
strada principale.
A Bujumbura vige il
coprifuoco dopo le 17:30 ; tutti coloro che non risiedono nella capitale possono
entrare solo entro questo orario. E’ una forma di controllo voluto dal
governo, una panacea a protezione delle ambasciate, consolati stranieri e zone
di rilevanza particolare in città . Oggi non vi è più questo allarme ma
questa regola rimane ancora in vigore.
Il 17 aprile 2008 il
“National Liberation Forces” ha bombardato la capitale. L’armata
governativa ha respinto i ribelli provocando diverse migliaia di vittime.
In agosto 2008 il
presidente Nkurunziza, sotto la vigile intermediazione di Charles Nqakula,
ministro delle difesa e sicurezza sudafricano, ha incontrato il leader del NLF
Agathon Rwasa.
In due settimane
hanno stabilito una commissione di vigilanza per la risoluzione di qualsiasi
disputa per la definizione del trattato di pace.
Raggiungiamo
Bujumbura verso mezzodì e la temperatura sale a più di trenta gradi.
E’ un clima
leggermente umido ma gradevole, ancor più sulle colline dove siamo alloggiati.
Tempo di rifocillarci
con piatti di pesce o di carne
cucinati per noi in stile greco dai proprietari dell’albergo e subito verso il
lago Tanganyika.
E’ situato ad
un’altitudine media di 780 mt e si estende per circa 670 km con profondità
media di 570 mt e massima di 1470 mt.
E’ il secondo in
ordine di estensione, il più profondo dell’Africa e si è formato lungo la
frattura della crosta tettonica della “East African Rift Valley”.
La zona nord del lago
è stata bonificata e con i suo 25 gradi di temperatura dell’acqua è
balneabile. Lungo le sue sponde vivono più di dieci milioni di persone sparse
tra RDC, Burundi, Tanzania e Zambia.
Finalmente un bel
bagno in compagnia di Djlonga, Luise ed una miriade di gente incuriosita ed un
po’ di relax sulla sabbia fine lungo le sue sponde.
Al ritorno verso
l’albergo passiamo vicino alla fabbrica dell’ “Amstel biere du Burundi”
il cui prodotto viene venduto in tutto il Burundi ed anche contrabbandato in
Rwanda.
Facciamo spesa in un
negozietto locale per acquistare tè, biscotti, pane e frutta fresca e ci
riversiamo nella caotica città africana.
Bujumbura ha subito
negli ultimi dieci anni un notevole incremento demografico passando dai 400.000
abitanti del ’97 a quasi un milione nel ’07 includendo le slums ed i
sobborghi.
Il centro è
arricchito da un mix di palazzi in stile coloniale, da moschee, chiese e dal
trafficato mercato principale.
Dal suo porto partono
ogni giorno navi cariche di
prodotti commerciali quali : cotone, caffè, tè e legname verso gli stati
limitrofi e vi sono collegamenti di ferry con Kigoma in Tanzania. L ’aeroporto
collega inoltre la capitale con molte destinazioni africane ed europee.
Decidiamo di
trascorrere la prima serata nella capitale nel nostro alberghetto all’aperto e
mangiare una pizza d’asporto. Purtroppo mi ci sono voluti due giorni per
digerirla, ma la serata è stata comunque splendida.
Mattinata dedicata
alla visita al parco nazionale Rusizi.
Questo parco di
recente istituzione è situato a pochi chilometri da Bujumbura e confina con la Repubblica Democratica del Congo.
Il fiume Rusizi, che
da’ il norme a questo parco, si può dire che fa’ da corridoio di
collegamento tra il Lago Kivu a nord ed il lago Tanganyika a sud nel quale
defluisce .
Questa zona è ricca
di ippopotami, coccodrilli, antilopi ed uccelli acquatici di diverse specie.
Purtroppo, come in
molte altre aree naturali burundesi, la guerra ha decimato anche alcune
popolazioni di mammiferi endemici quali : elefanti, leoni , leopardi,
rinoceronti bianchi, ecc.
Percorriamo un breve
tratto di strada con il nostro mezzo costeggiando le rive del fiume
all’interno del parco sino ad uno spiazzo nel quale, in lontananza si
osservano diversi ippopotami, un coccodrillo, sopra il quale con un’infingarda
indifferenza si posa un airone bianco. La nostra guida ci suggerisce di non
avvicinaci troppo alla riva in quanto dalla torbida acqua potrebbe spuntare
all’improvviso qualsiasi animale.
Si riesce a scorgere
anche il delta del fiume che si riversa nelle acque del lago Tanganyika.
La corrente spinge
verso il lago tronchi, e ci riferiscono che nel ’94 , durante il conflitto
razziale, si trovavano anche cadaveri provenienti dal Rwanda trascinati a più
di cento chilometri dal luogo di origine.
Guardo in viso gli
altri amici e rimango basito di fronte a questa affermazione.
Ritorniamo alla
spiaggia in tempo per l’ultimo bagno di sole e ne approfitto per disputare una
partitella di pallone con Djlonga ed amici locali conosciuti al lago.
Nel pomeriggio
scendiamo verso sud costeggiando il lago per alcuni chilometri.
Ad un certo punto ci
soffermiamo un istante in un luogo ricco di particolare significato per chi ama
le esplorazioni e le avventure.
25 novembre 1871 ;
Livingstone e Stanley durante il loro lungo viaggio alla scoperta della famosa
sorgente del Nilo, lasciano incisa nel ventre di un monolite i propri nomi e la
data del loro passaggio.
Apro una piccola
parentesi per citare alcuni passi che questi grandi esploratori hanno tracciato
nella storia di questo variegato continente nero :
“………Nell'ultima
delle sue spedizioni (1866-73), Livingstone sperò di trovare la sorgente del
Nilo Bianco nonostante l'affermazione di Speke di averla già trovata.
Anche la spedizione
effettuata nel 1862-65 da Samuel e Florence Baker, con la scoperta del lago
Alberto e delle Cascate di Murchison, aveva ampliato il campo delle conoscenze
europee sulle sorgenti del Nilo; ciò nonostante si sperava che Livingstone potesse chiarire ogni
ulteriore dubbio.
Quando
per cinque anni non si ebbero più sue notizie, fu inviata da Londra una
spedizione alla sua ricerca, ed anche il giornale Herald di New York ne organizzò
una, guidata dal giornalista Henry Morton Stanley.……Fu
proprio Stanley che il 10 novembre del 1871 ritrovò Livingstone ammalato, a
Ujiji sul lago Tanganika.
Si trattò di un
incontro molto commovente e che rimase impresso nella storia delle esplorazioni
come una delle sue pagine più note.
Mentre Stanley
rientrava in Inghilterra con la notizia, Livingstone, recuperata parzialmente la
salute, si metteva in viaggio verso sud per esplorare il bacino del fiume
Lualaba………il primo
maggio 1873, i suoi servitori Susi e Chuma lo trovarono inginocchiato sulla sua
branda, in una località sulla riva meridionale del Lago Bangweulu, dove si era
recato per una ulteriore indagine sulle sorgenti del Nilo, era freddo e rigido
già da molte ore.
Tra
le sue carte si trovò un documento amaro e drammatico: l'annunzio della
scoperta delle sorgenti del Nilo cui mancava solo l'indicazione della latitudine
e della longitudine………Egli avrebbe voluto che gli fosse concesso ancora un
anno di vita, uno solo, per poter rimediare a tutto ciò che non era riuscito a
fare nei 58 anni della sua esistenza.”
Livingstone
e Stanley erano i primi europei che entravano in Burundi, a parte l'effimera
apparizione di Richard Francis Burton e John Hanning Speke nel 1858 che
osservarono il paese solo dal lago senza scendere a riva. L'incontro con dei
"bianchi" destò meraviglia ed ebbe una notevole risonanza locale, in
loro onore la popolazione dedicò questo monumento.
Mi
sento in parte coinvolto in queste esplorazioni anche se da spettatore.
La
passione , lo spirito d’abnegazione e la mia perseveranza mi legano in parte a
questi grandi viaggiatori. Pur consapevole che nella mia epoca cambiano le
comparse, gli scenari ed i
traguardi, le sensazioni, le emozioni e le scoperte non finiranno mai perché
nascono da dentro, dal profondo dell’intimo.
Rientriamo
in città dopo aver assaporato per un istante quel momento di 137 anni fa’ ed
immaginato la realtà della situazione dell’epoca. Con rimpianto ripercorro la
strada osservando attentamente i cambiamenti che la civiltà ha portato. Un
regresso dove , in parte, la natura ci chiede ancora dazio.
Chissà
cosa pensano Djolonga ed Eloise all’idea di questi repentini cambiamenti; da
qualche parte le conseguenze saranno più marcate ma non per forza di cose
solamente negative ed irrimediabili. Sta a noi correggere gli errori passati e
ridare ai nostri figli quello che i nostri occhi continuano a vedere e rischiamo
di perdere.
Oltre
il lago, attraverso le nere nuvole che dopo una tempesta iniziano a diradarsi,
un raggio di sole illumina la catena montagnosa congolese e forma uno spettacolo
paesaggistico di luce e colori.
Capita
spesso e volentieri di essere in viaggio da ore, giorni, le lancette
dell’orologio continuano imperterrite a girare ma quasi non le sento, tanta è
la voglia di scoprire cosa c’è aldilà di quel raggio di sole, oltre quelle
montagne………
La
sensazione, inoltre, che si ha nel girovagare in luoghi senza incontrare alcun
viso pallido , dove vi è ancora una genuina diffidenza nel vederti
“diverso” ma tangibile, è particolare , a volte imbarazzante perché non si
ha l’esatto ruolo nella parte : preda o predatore?
Mi
sento toccare da mani incuriosite perché mai hanno incontrato una pelle così
chiara.
Mi
limito ad esprimere la mia spontaneità, a dare sempre una stretta di mano, a
non lesinare mai un semplice sorriso ed una pacca sulla spalla.
Queste
piccole cose rendono grandi i valori di una amicizia. Come quella con Onesphore,
Ciriaco, Agrippina e tutte quelle persone incontrate lungo la strada; quella
strada che mi ha condotto ancora una volta nel cuore dell’Africa alla quale ,
per una vera amicizia, darei il mio cuore.
Senza
dimenticare gli altri amici “ muzungo “
: Luisa, Nino, Carmen, Cristina, Morena, Luca e Katia che si sono
sobbarcati quasi duemila chilometri tra acqua, fango, caldo in situazioni di
estrema indigenza e difficoltà ma con uno spirito sempre positivo e prodigo di
aiuti.
L’ultima
sera a Bujumbura la passiamo sotto un cielo stellato con una luna nel pieno del
suo splendore e con Ciriaco particolarmente preso nel trovarci una decorosa
sistemazione a Ngozi per la notte seguente.
Lasciamo
Ciriaco la mattinata successiva e riprendiamo il percorso a ritroso verso il
Rwanda. Lungo la strada , diversi ciclisti, di ritorno dal mercato di Bujumbura,
si fanno trainare da una camionetta per evitare la fatica della salita.
Incontriamo numerose persone che animano le piccole arterie di collegamento tra
la capitale ed i principali centri abitati : bellissime donne vestite con sari
coloratissimi, contadini di rientro dai campi di lavoro e bambini sorridenti che
giocano a rincorrersi.
Nella
parte montagnosa l’escursione termica tra la notte e la mattina crea una fitta
nebbia che si dirada con il trascorrere dei minuti. Dall’apice la nebbia copre
come una coperta vellutata le colline sottostanti, sembra le protegga dalla
notte buia e tempestosa per poi levarsi con le prime luci dell’alba.
Raggiungiamo
Ngozi nel pomeriggio e, dopo aver trovato la nostra sistemazione presso la casa
per gli ospiti del vescovato, ci concediamo un giro in taxi su due ruote per le
vie del paese con la gente meravigliata che ci segue sorridente.
Ci
aspettano gli ultimi 120 km prima di raggiungere il confine rwandese ed è il
tratto più selvaggio, imprevedibile e ricco di sorprese.
Dove
prima c’era Onesphore che ci accompagnava nell’andata, ora dobbiamo
affidarci al nostro intuito e spirito d’avventura. Un ultimo sentiero in
sterrato ripercorso a memoria e con l’ausilio di una cartina geografica in
mezzo al niente, un vuoto ancestrale dove la popolazione vive ancora in
rudimentali capanne di fango e coltiva i campi con obsoleti strumenti di lavoro.
Finalmente
alla 10 in punto raggiungiamo il posto di confine ed in quello rwandese
ritroviamo Onesphore che ci attendeva per accompagnarci a Kigali.
La
capitale del Rwanda conta quasi 700 mila abitanti la cui popolazione è
costituita per il 60% da minorenni ed a 14 anni si è già grandi.
Una
delle più grosse piaghe di questa città è costituita dal numero considerevole
di “maibobo” . I bambini di strada orfani, randagi e senza fissa dimora che
nel migliore dei casi vendono scarpe o buste di plastica ai bordi della strada
altrimenti si danno alla micro criminalità. I più sofferenti sono quelli imprigionati nei
cachot, le carceri disseminate in tutto il paese e che attendono il giudizio per
i crimini commessi nel genocidio nero. Il regime tutsi che venne dopo il massacro imprigionò
oltre 150mila persone; non poche di loro sono bambini, che usciranno dalle loro
luride celle solo quando saranno grandi, se non vecchi. Tra questi “maibobo”
tanti sono i figli degli stupri della estate del '94; sono nati l'anno dopo,
sono sopravvissuti e stanno crescendo insieme ai più grandi.
I
nuovi ricchi, ovvero chi commercia all'ingrosso e ha i depositi in Uganda, o
tutta la classe politica, se ne stanno nelle ville di periferia lontani dal caos
cittadino. Ma sta sorgendo anche una classe media: piccoli commercianti che
sfruttano il ritorno alla normalità instaurata dall'arrivo al potere degli ex
guerriglieri tutsi.
Da
pochi anni sono riaperte anche le scuole dove la lingua ufficiale insegnata non
è più il francese dell’ex regime coloniale franco- belga , ma l'inglese
introdotto dai vincitori tutsi partiti dall'Uganda oltre al Kinyarwanda, un
dialetto Bantu, mentre il Kiswahili
(Swahili) viene usato principalmente nei rapporti commerciali.
Con
Onesphore, dietro un piccolo compenso di 10 dollari circa, siamo ospiti presso
la casa di accoglienza dell’arcidiocesi di Kigali nella cui mensa vengono a
pranzare gente di ogni razza e portafoglio.
Oggi
è l’ultimo giorno in Rwanda e ci concediamo un piccolo giro per la città in
attesa dell’alba successiva che ci porterà nuovamente in Uganda dopo un breve
volo con Rwandair.
Risalutiamo
Onesphore e, questa volta, è un arrivederci al prossimo anno dove va il mio
augurio di buon auspicio per la realizzazione delle opere e dei progetti a cui
tanto fa’ affidamento.
La
sua indiscutibile sensibilità è un comune denominatore che infonde forza e
coraggio alla comunità locali nel conseguire piccoli e grandi traguardi.
Rientriamo
in Italia non prima si aver ascoltato i consigli di una cara amica la quale mi
disse : “Vai dove ti porta il cuore”…………..non mi sono più fermato!
“Non
smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi
potrebbe innamorarsi del tuo sorriso”Gabriel Garcia Marquez
Al
mio ritorno mi sono soffermato sopra
ad una lista utilizzata dalle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita
nei paesi membri. Incuriosito ho voluto vedere in quale graduatoria si trovano
le tre nazioni visitate in questo viaggio e non mi ha stupito il risultano.
Spero solo che un
domani il divario tra questi ed altri Paesi venga ad assottigliarsi sempre più
e questo anche grazie al nostro aiuto.
2007/2008 Human Development Report HDI rankings
High Human Development
1. Iceland
2. Norway
3. Australia
4. Canada
5. Ireland
6. Sweden
7. Switzerland
8. Japan
9. Netherlands
10. France
11. Finland
12. United States
20. Italy
22. Germany
154. Uganda
161. Rwanda
167. Burundi
177.
Sierra Leone
Ogni anno dal 1990 lo
Human Development Report ha pubblicato l’Indice di Sviluppo Umano (in inglese:
HDI - Human Development Index), indicatore di sviluppo macroeconomico, che
integra le valutazioni effettuate sulla base del P.I.L. (Prodotto Interno
Lordo), indicatore tradizionale di crescita economica, per trovare una
definizione più completa di benessere.
L ‘HDI fornisce
un ampio prisma attraverso il quale osservare il progresso umano ed il
rapporto complesso fra reddito e benessere.
La scala dell'indice
è in millesimi decrescente da 1 a 0 e si suddivide in nazioni ad alto sviluppo
umano (indice compreso tra 1 e 0,800), nazioni a medio sviluppo (indice compreso
tra 0,799 e 0,500), nazioni a basso sviluppo (indice compreso tra 0,499 e 0).
L’ HDI per il
Burundi è 0,413, che le conferisce la posizione n. 167 in un ranking di 177
paesi analizzati; l’HDI per il
Rwanda 0,452 e per l’Uganda è 0,505.
Per
la costruzione di tale indice sono stati fissati dei valori minimi e massimi
relativamente a ciascuno dei tre indicatori:
* speranza di vita alla nascita: 25 anni e 85 anni;
* alfabetizzazione adulta: 0% e 100%;
* pil reale pro capite ($PPA): 100 $PPA e 40.000 $PPA.
http://hdr.undp.org/en/statistics/
RINGRAZIAMENTI
Innanzitutto
un grazie di cuore a :
-Luisa,
Morena, Luca, Nino, Katia, Carmen e Cristina per la compagnia, l’allegria e le
lezioni di Pilates ;
- tutte quelle
persone che si adoperano anima e corpo seguendo un proprio ideale di aiuto e
soccorso oltrepassando confini e barriere socio – culturali dove la nota
dominante è il “dare” non il “ricevere”………perché
per ricevere c’è sempre tempo. Bastano solo gli sguardi grati e felici di chi
ti incontra;
-Onesphore e
tutto il suo staff nella missione di Ruhuha in Rwanda;
-Agrippina,
Fides, Ciriaco, Leopoldo e tutto lo staff nella missione di Mabayi in Burundi;
-i popoli:
ugandese, rwandese e
burundese dove si sono dimostrati più che cordiali e disponibili ad ogni
altitudine e latitudine;
-al gruppo di
”viaggiatori liberi” ed a tutti quelli che hanno contribuito per le offerte
per le missioni;
-ad Elisa, una
persona speciale a cui dono i miei occhi per osservare tutto ciò che è
impensabile, le miei orecchie per ascoltare ogni minimo fruscio, il mio naso per
fiutare qualsiasi profumo inimmaginabile ed il mio cuore che batterà
instancabilmente con te.
Questo viaggio
ed i prossimi, saranno sempre e per sempre insieme al tuo grande spirito ed alla
tua immensa voglia di scoprire;
-alla mia cara
Michela alla quale rivolgo il mio pensiero.
Erik
:
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