Turchia
"Fra oriente e occidente"
Alcuni anni fa ho
fatto un viaggio in Turchia in macchina, fino alla città di Malatya, nelle zone
orientali del paese, passando per Ankara e poi indietro, attraverso la
Cappadocia e risalendo la costa egea fino a Istanbul, cercando il più possibile
il contatto con la gente locale. Quello che segue è non è un diario di
viaggio, ma solo un breve resoconto
attraverso cui ricordo questo bellissimo viaggio.
Turchia,
a metà fra Europa ed Asia, fra occidente e oriente. Turchia, a metà fra il
caldo mare egeo, dove ancora giacciono i miti della storia e della leggenda e i
rilievi anatolici orientali, dove sembra di udire i canti che i pastori erranti
intonano alla luna.
Non
basterebbe un libro, a descriverla, troppe civiltà da capire, troppa storia da
narrare, troppa natura magnanima o crudele. Posso solo ricordare pochi
particolari del mio viaggio che l’ha attraversata, cercando di capirla,
cercando di parlare con la sua gente, con le sue genti.
Iniziamo
da lontano, dalle antiche civiltà con cui è iniziata la storia, dagli Ittiti.
Ittiti, così lontani nel tempo eppure così vivi ancora oggi, nel museo
nazionale di Ankara, ma soprattutto nelle città sotterranee di Derinkuyu,
organizzate in modo quasi perfetto a cinquanta metri sottoterra, che si possono
immaginare brulicanti di vita, fra i mille corridori e le stanze usate come
abitazioni, come magazzini e come officine.
Il
nostro viaggio ci porta verso oriente, facendoci strada attraverso la guida
aggressiva dei camion fra le strade polverose, attraversando di sera per
centinaia di chilometri l’altopiano anatolico, una distesa di monti e colline
a perdersi a vista d’occhio, illuminate dalla luce debole del tramonto e
guardate dall’alto da una luna luminosissima. Come non ricordare i pastori
anatolici che ispirarono Leopardi, soliti ad intonare canti alla luna, in questo
paesaggio che già da solo è poesia?
Proseguiamo
ancora, per arrivare sulla vetta di Nemrut Dagi, attraverso la valle
dell’Eufrate in secca, passando per piccoli villaggi sulle aride montagne, con
le scure tende dei nomadi e i bambini che si avvicinano fra paura e curiosità.
In cima, la tomba di Antioco I, sovrano persiano che volle essere sepolto
proprio qui, a metà fra i fasti di Roma e i profumi d’oriente. Rimangono le
teste di dimensioni enormi delle statue degli dei del suo Olimpo personale
costruito per rimanere immortale, che per secoli hanno abitato qui, nella quiete
di questo altopiano spazzato dal vento.
Proprio
qui sopra, in questo angolo di terra solitario, un gruppo di curdi ci accoglie
festoso, chiedendoci che cosa è quell’arnese strano che abbiamo in mano e noi
per fare capire che è una telecamera diciamo “TV”. È così che inizia una
danza al ritmo di un inno indipendentista curdo davanti a quello che credono un
pubblico televisivo europeo. La loro simpatia è contagiante, tanto che alla
fine ci ritroviamo a ballare con loro e a mangiare insieme la loro anguria.
Turchi
e curdi sono divisi da un odio profondo e induritosi nel tempo, ma entrambi sono
accumunati da un senso dell’ospitalità veramente esemplare. Come mai potrò
dimenticare il turco Venin, che ci ha ospitato nella sua casa, povera ma
pulitissima e interamente coperta da tappeti, in occasione della cerimonia di
circoncisione per il suo bellissimo bambino? Una festa che a noi può sembrare
forse un po’ crudele, ma che rappresenta un evento per questo paesino sperduto
fra i monti, con gli uomini che suonano musica con stranissimi strumenti,
sparando in aria con fucili e bevendo raki, bevanda molto alcolica al gusto
d’anice.
Ma dobbiamo proseguire e dire addio a Venin e al suo paesino festoso. Verso la Cappadocia, con il suo paesaggio unico al mondo, creato dalla lava vulcanica e modellato dalle piogge e dai venti nel corso dei millenni, da sembrare oggi un paesaggio lunare, dalle molteplici sfumature, con i cosidetti “camini delle fate”, quasi a ribadire la magia di questo paesaggio. Il disco luminoso della luna ci ha seguito fin qua. La luna sopra di noi e sotto di noi, scavate nella roccia, le chiese paleocristiane di Goreme, splendidamente affrescate, dove i primi cristiani si ritiravano a pregare per sfuggire dalle persecuzioni.
Proseguiamo
verso Pamukkale, dove le rocce bianche pietrificate formano una collina che
sembra un miraggio, imprevisto nella
sua bianchezza, nella bellezza delle sue pozze piene di acqua calda, come tanti
balconi di un palazzo orientale protesi a guardare il mondo.
Ma
tornando nuovamente alla storia, ecco tutta la costa egea, con le sue colonie
fondate dai greci. Ecco Efeso, incredibile per quanto si sia conservata intatta:
una lunga strada circondata dai templi, dalle abitazioni, dai bagni pubblici,
dalle fontane, per arrivare infine al teatro e alla splendida biblioteca.
Per
poi visitare la leggenda, la storia. Troia. Dopo che il sogno di Schliemann si
è realizzato, gli archeologi sono ancora qui a scavare alla ricerca di nuove
informazioni sulle nostre radici. Per quanto il cavallo di Troia sia riuscito ad
entrare nelle città e Troia sia stata incendiata, l’anima di Enea sarebbe
contenta di vedere oggi che la sua città è ancora viva dopo cinquemila anni.
Teatri, porte, mura, templi, sono ancora lì, a testimonianza di un passato
grandioso.
Dopo
la polverosa Troia, per rilassare il corpo e la mente, ci aspetta un Hamam, un
bagno turco. Non solo una sauna, ma un posto per massaggi e per la cura del
corpo, dove una gentile donna turca (per le donne, ovviamente l’Hamam è
rigorosamente diviso in due, maschi e femmine) ti lava delicatamente e ti
massaggia con un tocco da professionista sui gradini di marmo dell’Hamam.
Alla fine, la grande
città, unica grande città dai molteplici passati. Istanbul, Bisanzio,
Constantinopoli. Un piede in Europa e uno in Asia. Vista al tramonto dal
traghetto che attraversa il Mar di Marmara e scesa per sempre nel cuore, con i
minareti scuri delle moschee contro il cielo infuocato, e poi scoperta a poco a
poco, con le sue mura piene di storia, di imperi succedutesi nei secoli, con le
sue chiese e le sue moschee. Il mio cuore si perde in Santa Sofia, piena di luce
che sembra generarsi dall’interno, con la cupola quasi sospesa nell’aria,
grandissima e leggerissima, da chiedersi come avessero fatto gli architetti del
tempo. Prima cristiana, poi musulmana, ora semplicemente museo e monumento della
storia, con la sua areosità, eleganza e armonia, il suo oro bizantino che
amplifica la sensazione di stupore e magia.
Ci
accoglie poi il Topkapi, palazzo del sultano e simbolo del potere ottomano,
testimonianza di vita di secoli, fra le stanze del potere politico, degli
intrighi di palazzo, dei libri e della sapienza, delle donne e dell’harem.
Ci
tuffiamo infine nelle vie piene di gente e qui scopriamo la Turchia di oggi,
piena di giovani che affollano le strade e
che vogliono parlare della loro cultura, della loro religione, di quello che
sono e di come vivono questi momenti così particolari per loro, a metà fra
tradizione e futuro.
Ancora
una volta, “a metà”. Turchia è un po’ tutto questo, è sempre essere un
po’ “a metà”. In questo è la sua bellezza, il suo valore. È come essere
su un lungo ponte che separa due sponde, due mondi e due culture. Se ad un
tratto ci si sente insicuri e non si sa più da che parte andare, forse è
proprio questo lo scopo del viaggio.