TUNISIA
In moto nel deserto
Racconto di viaggio 2001
di Pino
Città
di Castello, risveglio con una splendida giornata; gli ultimi preparativi.
Raduno per i saluti e la foto di rito con familiari e amici. Partenza per Genova,
viaggio di rodaggio e di allenamento. Tutto ok, arrivo in buon anticipo per
l’imbarco sulla motonave Carthage
che ci porterà in un giorno a Tunisi.
Un giorno in più per aumentare l’attesa. Molto relax e prima confidenza con
la cucina.
Sbarco
in terra d’Africa e, divincolatici dal traffico caotico della capitale, in
direzione sud, attraversando una campagna, intatta, umile e schiva come la sua
gente, raggiungiamo la prima tappa del viaggio, Kairouan, una delle quattro capitali dell’islamismo. La Città
Santa ci accoglie di sera, con le sue 135 moschee ed un caratteristico
sottofondo musicale, per le vie e le piazze, una «musichetta» che ci
accompagnerà in tutti i villaggi e città visitate. Trascorriamo la notte in
uno «spartano» alberghetto indicatoci da una delle tante «guide volontarie»
incontrate nella città.
Partenza
di buon ora, risulterà la prima e l’unica veramente di buon ora. Abbandonate
le strade più trafficate ci dirigiamo verso ovest, al confine con l’Algeria,
nelle splendide oasi di montagna. Mentre attraversiamo i vari villaggi destiamo
curiosità, i bambini ci corrono incontro per vedere le moto e ci invitano ad
effettuare acrobatiche impennate. Il paesaggio cambia rapidamente, iniziano a
comparire le prime montagne, anche la strada si movimenta, alternando tratti di
asfalto a terra e sabbia. Un errore nell’interpretazione del GPS, in realtà
non vediamo l’ora di provare la mitica sabbia, ci porta a seguire una pista in
cui ci cimentiamo con i primi insabbiamenti ed ad aprire il gas per«ondeggiarci
sopra». La pista, purtroppo, è sbagliata e veniamo fermati ad un posto di
polizia alla frontiera con l’Algeria. Veloce ritorno indietro e, ritrovata la
pista, giungiamo verso sera a Tamerza,
immersa in una rigogliosa oasi circondata da montagne rosse e canyon. Per
pareggiare il conto con la sera precedente, alloggiamo in uno splendido albergo,
situato a mò di terrazza sopra la vecchia oasi, divenuta un centro di grande
interesse archeologico. Ci meritiamo un tonificante bagno e poi, di corsa, a
gustare una ricca cena con «couscous
royal». Dopo cena il solito breafing per impostare la giornata successiva.
Risveglio
nell’immobile e silenziosa oasi e, dopo aver consumato una sostanziosa e ricca
colazione (non mangeremo che a sera), continuiamo a salire per raggiungere Mides,
un piccolo villaggio costruito su un’oasi a strapiombo su un canyon. Un
gioiello di architettura, un ventaglio di colori.
Lasciata l’oasi di Mides inizia la discesa per una pista che attraversa canyon e pinnacoli rossi (ma non siamo in Arizona).
D’improvviso
un balcone naturale da cui appare, all’orizzonte, la distesa bianca del Chott
El Jerid, il lago salato che preannuncia il Sahara. Velocemente raggiungiamo
la pianura, il paesaggio è cambiato repentinamente, ed anche il caldo comincia
a farsi sentire. Iniziamo a costeggiare la distesa di sale e alla prima
occasione ci tuffiamo in una pista per attraversarla. Una pista bianca,
brillante, compatta, con grandi «cretti» dalle parti. All’orizzonte solo il
bianco, l’azzurro ed il calore che «allunga» la sagoma del compagno davanti.
Grande silenzio, anche le moto sembrano meno tonanti del solito. Dopo una
quarantina di km. la pista, improvvisamente, scompare, continuiamo e ci troviamo
in mezzo come ad una immensa «pista da pattinaggio», abbiamo raggiunto la zona
centrale del lago salato! Qualche sgommata, una diffusa emozione, un comune
sentimento di orgoglio e poi, sicuramente, ognuno a parlare con se stesso.
Grandi spazi ed il vuoto ci circondano, il sole è lì sopra di noi, implacabile
a oltre 40 gradi, unico vero «Signore» a cui dover rendere conto.
L’immancabile
foto di gruppo ci distoglie da quelsochè
di intimo ed immenso. E’ tardi, dobbiamo ripartire; riprendiamo la pista
salata che «mangiamo» a oltre 100 all’ora. Continua il momento magico!
Trascorriamo
la sera a Douz, alle porte del sahara.
Una «visita» alle dune, qualche «derapata», ma la testa è ancora là,
all’immensa «pista da pattinaggio»!
Completiamo
la splendida giornata con una gustosa cenetta all’aperto da Ali
Baba, dove ritestiamo, di nuovo positivamente, la grillada.
Dopo cena riusciamo a trovare un benzinaio che ci consente di effettuare un
abbondante lavaggio alle moto, completamente coperte di sale e sabbia. Un po’
a malincuore assistiamo alla cancellazione di quel «fango» che abbiamo sognato
per mesi!
La
strada che imbocchiamo per raggiungere Matmata taglia il deserto; è di asfalto
che in verità «sentiamo» solamente ogni tanto, in quanto costanti folate di
sabbia portate dal vento la ricoprono e l’attraversano smuovendola. Mucchietti
di sabbia che «buchiamo», lasciando dietro le gomme un’indimenticabile soffio
del nostro passaggio. Lungo la via qualche «fuoripista», veloce, intenso a
volte «smanioso». Una sosta in un tipico cafè, il Cafètouareg.
Il posto ci resterà impresso per l’ospitalità ricevuta, davvero amichevole,
e per «aver rinunciato» all’invito
di restare a pranzo per gustare una tipica minestra a base di legumi.
Ripartiamo,
la pista comincia a salire, ci allontaniamo dal deserto. Matmata, ormai invasa da turisti e botteghe di souvenir, ci svela le
sue caratteristiche «abitazioni a pozzo».
Una breve visita e incalzati dal
caldo,
veramente torrido, prendiamo a sud-est una pista che ci condurrà in un
villaggio berbero di montagna. La strada continua a salire; dopo un iniziale
tratto sterrato il percorso diventa veramente duro, una mulattiera con canaloni
e pietre; le moto, forse un po’ troppo cariche non consentono distrazioni,
notevole l’impegno per «tenerle». Il paesaggio che attraversiamo ci ripaga
dello sforzo; la pista è attaccata per lunghi tratti alla montagna da un
infinito «muro a secco», quasi la muraglia cinese. Arriviamo al valico, una
sosta per farci accarezzare dal vento e per godere della vista che si perde in
uno sterminato altopiano. Anche il sole, inseparabile e silenzioso compagno di
viaggio, si ferma con noi; l’acqua
è finita ed è forse la prima volta che «soffriamo la sete». Riprendiamo la
pista e, dopo pochi minuti, un umile ristoro prima del villaggio ci accoglie
sotto la sua semplice e fresca tenda. Ci «rinfreschiamo» con l’immancabile
thè caldo e godiamo dall’alto della spettacolare vista
del villaggio, immobile presepe incorniciato in un’arida mesa.
Il vento ci porta le voci degli abitanti. Siamo abbondantemente ripagati dello
sforzo fatto. La pista, ora di asfalto, scende ripidamente, in pochi minuti
siamo di nuovo in pianura, imbocchiamo la strada principale che conduce a
Medenine. Prima di arrivare «assaliamo» un bar, acqua ed un succulento panino.
Forse, oltre la sete avevamo anche fame! Medenine
ci accoglie sul far sera, cittadina dinamica, con un caratteristico mercato. La
serata è dedicata a pianificare, ahimè, il ritorno a nord, siamo a circa 600
chilometri da Tunisi.
Il
giorno è dedicato interamente a coprire il ritorno verso nord, attraversando
sterminati uliveti che costeggiano il mare e caotiche città che vi si
affacciano. Quando è sera decidiamo di sostare a El
Jem, sede anche di una copia integrale del nostro Colosseo.
E’ venerdi e come consuetudine nei paesi islamici la città si anima, «rigorosamente»
di soli uomini! Ultima notte in Tunisia.
Poco
più di 100 chilometri ci separano da Tunisi,
alle 12.00 di domani è previsto l’imbarco per Genova. La motonave Carthage
è lì che ci aspetta. Le operazioni di imbarco, ultimi frettolosi acquisti di
souvenir e poi il grande sportello della nave ci inghiotte insieme alle moto. Un
giorno di navigazione passato in gran parte a letto, per riposare, per
ricordare, per sognare il prossimo deserto.
Ore
11.00 ultimo pranzo in nave, già s’intravedono le coste liguri bagnate dal
mare, più blu del solito. E’ ad attenderci Genova,
che dall’acqua si arrampica con mille case in collina. Percorriamo
speditamente i 350 chilometri che ci separano da Città
di Castello, un goccio per festeggiare e poi ognuno di corsa dai «suoi».
Una certa tristezza vedere le sette moto, che per sette giorni hanno anche «dormito
insieme», ora separarsi ed andare ognuna in direzione diversa. Ma nello stesso
tempo anche la certezza che si ritroveranno per altre avventure.