TORTUGUERO (Costarica)
Storia
di un viaggio fluviale lungo 220 chilometri
febbraio 2003
di Enrica
PREMESSA
Ero
già stata al Tortuguero otto anni fa , vi ero arrivata, come tutti i normali
turisti, da sud , cioè da Moin di Limon, con una gita organizzata di poco più
di trentasei ore: parti-vai-arrivi-guardi e ritorni ( allora costo: 210 dollari
a persona) .
Il
posto mi aveva affascinato, ma le condizioni di visita erano state
allucinanti ( turisti = mandria ). Nel programmare questo ritorno in
Costarica ho ritenuto di non poter non portare
i compagni di viaggio al Tortuguero, ma volevo evitare quell’itinerario e
quelle condizioni per me assurde.
E’
pressocchè impossibile organizzarsi da soli visto che i trasporti fluviali non
sono pubblici e trovare dei passaggi a prezzi accessibili richiede molto tempo
a disposizione rischiando di stare fermi anche più giorni. Ho pertanto
navigato a lungo in internet fino a trovare l’Associazione ASOMEP che mi ha
consentito di fare un percorso alternativo, interessantissimo e soprattutto
fuori dalle rotte turistiche. Non è stata certo la strada più rapida per
arrivare al Tortuguero, ma, come leggerete,
l’avventura è stato il viaggio stesso.
Aggiungo
infine il costo sostenuto: 5 notti d’ albergo+ 4 colazioni+3 pranzi+ 3cene+
trasporti+ guida 317 dollari a testa ( prezzo che per la zona, assai cara, è
anche contenuto )
Il
bus è affollato, conquistiamo a malapena un posto a sedere. Si parte ,
accanto a me, in piedi, una giovanissima mamma Tica con un pargolo di 7/8 mesi in
braccio, le faccio cenno di passarlo a me e questo sarà il mio passatempo per
tutto il viaggio. Due ore in tutto, l’aria è fresca anche perché il bus
imbocca subito la strada delle montagne.
La
giornata è fantastica, con il cielo limpidissimo e l’aria tersa, i colori
sono al massimo del loro contrasto .
Attraversiamo
il Parco Baurillo Carillo , il bimbo dorme beato, cullato dalle buche che
cerco il più possibile di ammortizzargli,
sicuramente è già più abituato di me alle strade costaricensi.
Il
lato destro del bus, dove sono seduta, guarda a monte, dall’altro lato si
aprono ampi panorami sulla Meseta Central. Dal mio lato si vede una
vegetazione rigogliosissima: enormi “orecchie di elefante” , interi
costoni di felci fittissime, e poi “l’ombrello dei poveri” a foglie così
grandi che potrebbero usarsi anche da
ombrelloni da spiaggia, il tutto alternato a ripide e vivaci cascatelle che,
vista la vegetazione accanto, danno idea di essere di ben maggiore portata
nella stagione delle piogge.
L’aria
“condizionata “ è assicurata dai finestrini aperti ed il viaggio in bus
si dimostra uno dei più piacevoli.
Scendiamo
dalle montagne e cominciamo ad incontrare piccoli centri agricoli, mandrie e
coltivazioni, piccole case e gente al lavoro. Tutto è molto ridente.
Arriviamo
a Puerto Viejo de Sarapiquì e troviamo un pueblo vivace e ben più grande di
quel che ci aspettavamo. Un’occhiata in giro e troviamo subito un taxi per
il nostro albergo, che scopriamo a malincuore trovarsi distante 4 chilometri
dal paese.
Siamo
all’Hotel ARA AMBIGUA ( che è il nome di uno dei pappagalli più belli )
e’ un ottimo lodge con parco tutto fiorito, ottime stanze, piscina,
sentieri, laghetti ed animali selvatici in libertà, ma non è esattamente
quello che ci piace, avremmo preferito arrangiarci in un posticino più
semplice, ma che ci permettesse di andare a curiosare per
il pueblo . Tanto sarà solo una notte . Comunque
l’aver soggiornato tra famigliole
di scimmie e tucani non ci consola certo del fatto di essere
costretti a cenare per forza in hotel e di passare la serata a giocare a
carte.
Giardino dell’hotel Ara Ambigua di Puerto Viejo de Sarapiquì
Durante
la cena ci raggiunge Berny , la nostra guida per il Tortuguero, è un ragazzo
giovanissimo e dimostra anche meno dei suo vent’anni, studia biologia e
partecipa a diversi progetti di eco-turismo ; sua madre Flora è la
responsabile dell’associazione di microimprenditori ASOMEP. Come mio solito
gli faccio mille domande, mi interessa l’argomento dell’eco-turismo e
della sensibilizzazione dei microimprenditori verso un turismo
“responsabile”. L’appuntamento è per l’indomani mattina alle 8 , dopo
colazione, per l’imbarco sulla lancia.
Un
temporale notturno ci rende i colori del mattino ancora più brillanti, ancora
un taxi e raggiungiamo il porticciolo sul Rio Sarapiquì. Li ci aspetta una
piccola lancia (di nome FURIA), tutta per noi, il viaggio durerà cinque ore (
compresa la sosta per il pranzo).
Porto fluviale a Puerto Viejo de Sarapiquì
L’aria
è fresca e decidiamo di non aprire il telone di protezione per il sole, per
ora, in realtà non lo faremo nemmeno dopo perché la lancia viaggia veloce e
il sole caldo è piacevole, ma la sera ci ritroveremo un po’ scottaticci…
Il
Sarapiquì è molto largo e ben navigabile. In partenza , invece di puntare in
direzione della corrente, andiamo dall’altra parte, non senza mie perplessità,
in realtà ci stanno portando ad osservare un po’ di fauna locale…. Ed
allora ecco il bradipo mamma con il suo piccolo ben stretto….ed ecco uno,
due, tre coccodrilli , immobili a prendere il sole , Berny inizia le sue
lezioni e ci spiega le differenze con i caimani che vedremo al Tortuguero. E
poi uccelli acquatici di ogni tipo. Poi la lancia fa inversione ed inizia la
nostra lunga discesa lungo i fiumi fino al Caribe, saranno in tutto 140
chilometri di navigazione.
A
tratti la corsa della lancia rallenta
improvvisamente, per vedere meglio un’iguana o per evitare un tronco
galleggiante o ancora per affrontare una larga curva del rio. I panorami si
alternano, ora coltivazioni di banane, ora mandrie al pascolo, ora case di
pescatori, ora foresta.
Ed
ecco maestoso ci appare il Rio San Juan, imponente,
la mente va immediatamente al suo passato di importante via fluviale
tra l’Atlantico ed il Pacifico, quante navi spagnole lo avranno percorso !
Un
piccolo casotto sull’ultima sponda del Sarapiquì, sventolando la bandiera
Tica, ci segnala la frontiera, accostiamo e, senza scendere dalla lancia,
informiamo del nostro passaggio e lasciamo momentaneamente il Costarica
entrando nelle acque Nicaraguensi. Li, sulla sponda del San Juan,
ci attende un altro casotto, stavolta la bandiera che sventola è la
cara bandiera nica bianco-azzurra, per un momento ci risentiamo a casa, tanto
è vivo il piacevole ricordo delle due settimane trascorse in questa bella
terra. Si scende ….la radio sta suonando sintonizzata sulla nostra stazione
preferita, “novanta
e ocho punto siete: radio Romantica ....la tua radio
“
Ci
prende subito nostalgia , e ci assoggettiamo serenamente alle lentissime
pratiche di frontiera….oramai siamo abituati….mentre il suo collega
riempie scartoffie a più non posso ( ci farà contemporaneamente le carte di
entrata e di uscita ).un militare frontaliero in tuta mimetica flemmaticamente
prende una canna e comincia a pescare . Per fortuna davanti al capanno c’è
in grande albero e l’ombra è piacevole perché nel frattempo la temperatura
si è alzata di molto.
Frontiera
fluviale Nicaragua Costarica ( l’albero è nica la casa di fronte tica
)
Ripartiamo
e navighiamo a velocità lungo le acque nicaraguensi, parliamo con Berny della
storica disputa della territorialità delle acque del san Juan: il fiume segna
il confine, la sponda nord è Nica , quella sud è Tica, ma l’acqua da
sempre , per motivi storico-politici, è tutta Nica, cosa che ovviamente ai
Ticos non va ancora giù..
Il
coccodrillo che salutiamo steso al sole sulla sponda nord è pertanto di
nazionalità nicaraguense ( anche lui sarà un patito di radio romantica ? ).
Il
fiume è talmente largo che non occorre rallentare incontrando le altre
imbarcazioni, sembra una autostrada a sei corsie, commentiamo che almeno sulle
vie acquatiche non ci sono buche e tantomeno i dannati topes !!!
E’
breve il tratto di San Juan che abbiamo da percorrere, o forse lo abbiamo
percorso alla massima velocità, certo che in un baleno ci ritroviamo alla
confluenza con il Rio Colorado che rappresenta uno dei rami del delta del san
Juan e che è invece interamente Tico ed allora di nuovo , senza scendere
dalla lancia, mostriamo i nostri passaporti all’ennesimo casottino fluviale
e rientriamo in Costarica.
Fa
caldo, il sole picchia, ma la velocità della lancia che scivola lungo il rio
ci mantiene piacevolmente freschi. A tratti il rio si restringe per poi
riallargarsi in ampie anse, ci fermiamo, è ora di pranzo ( invero sono solo
le 11,30, ma i Ticos mangiano quando gli pare ) .
Siamo
in un semplice ma pulito capanno sul fiume, solo tre tavoli su una grande
piattaforma a palafitta, tetto e pareti di legno e canne , fa caldo. Berny ci
spiega che si tratta di una delle microimprese associate all’ASOMEP che
opera nell’allevamento di gamberi di fiume….ovviamente il menù prevede
gamberi. Graditissima la cerveza ben fria arriva per prima, ma ci vorrà una
lunga attesa per assaggiare gli agognati gamberoni. Giochiamo con le bimbe che
gradiscono molto gli ultimi due giocattolini della enorme scorta portataci
lungo il viaggio. Poi finalmente, rispettando i tempi caraibici, arriva la
“comida “. Belli, rossi,
grandi, carnosi, tre gamberoni a testa sono ben sufficienti, visto che
sembrano aragostine, Ci deliziamo: evviva i microimprenditori !!
Ovviamente
i gamberi sono accompagnati da riso, fagioli, platanitos, cavolo, pomodori,
tutto come solito copione.
Soddisfatti
non vediamo l’ora di riprendere la navigazione soprattutto per prendere un
po’ di fresco . Il nostro barcaiolo , all’arrivo, aveva provvidenzialmente
tolto dal sole i cuscini plastificati dei sedili ora li risistema in modo da
non ustionarci le terga.
Si riparte, il rio si divide in più punti, inizia un dedalo di canali, ora più larghi, ora più stretti, nessuna casa, nessun riferimento, solo la lunga esperienza del nostro barcaiolo permette di non sbagliare strada. Ogni tanto con sicurezza vira ed imbocca un nuovo canale.
I canali dal Tortuguero visti dal Cerro di Caño Palma
Così
non ci rendiamo conto del momento in cui dal rio Colorado entriamo nel rio
Tortuguero, ma ad un certo punto imbocchiamo un meraviglioso viale di kenzie:
a destra e sinistra sontuose piante verdissime fanno ala al nostro passaggio,
inchinandosi fin dentro l’acqua nella quale si riflettono. La lancia va
ancora veloce e siamo entusiasmati dalla bellezza del “viale”. Sollecito i
miei compagni di viaggio a voltarsi anche indietro dove
lo spettacolo è ancora più bello: le kenzie fanno ala rispecchiandosi
nel canale ed al centro spicca la scia bianca della lancia. Fermiamo sulle
nostre pellicole l’incanto e l’armonia di questa immagine. Ma siamo
arrivati ! In lontananza appaiono piccole case sul fiume, ecco
una larga curva ed eccoci al pueblo del Tortuguero.
Canale
del Tortuguero: viale di kenzie
Il
nostro alloggio alla casa Marbella dispone di darsena privata
: è una piccola costruzione in muratura nuovissima con quattro
lindissime stanze, dotate addirittura di acqua calda, comodino ed abatjour che
si accende si spegne al solo
tocco della mano : che lusso ! Adiacente alle camere invece una costruzione più
fatiscente è l’abitazione dei proprietari.
Una
piccolissima porzione di jungla, appena addomesticata, fa da giardino e divide
le stanze da una piccola terrazza di legno, sul canale, al cui fianco è
“parcheggiata” l’utilitaria di famiglia (una barchetta a motore), sulla
terrazza un tavolo tondo con
quattro sedie sulle quali passeremo molte ore piacevolissime a fissare la
lenta corrente del rio cullare via giacinti d’acqua ( nonché a divorare
eccezionali colazioni a base di frutta, pan tostato, gallo pinto, pancackes e
cafè nero).
La terrazza sul canale di Casa
Marbella B&B
I proprietari appaiono subito come la famiglia felice. Lui alto bello ed anglosassone in realtà è canadese , ormai tico da dieci anni, lei più minuta, ma sempre di pelle chiara è costaricense, completano la famiglia una bimbetta vivacissima di tre anni circa ed un pupotto biondo che ancora non cammina. Vivono così, 4 sole camere di B&B , una barca a motore con cui portano gli ospiti in giro per i canali, una nassa sotto la terrazza sul canale che garantisce in modo costante pasti a base di gamberoni di fiume.
La famiglia di Daryl proprietario della Casa Marbella B&B
Posiamo
i bagagli e poi di corsa a far onore alle onde del
Caribe.
Basta
uscire sulla via principale ( = viottolo sterrato) ed attraversare un prato
spoglio che si è subito sulla spiaggia.
Invero la striscia di terra tra canale e mare è molto stretta e nel nostro
punto lo è ancora di più ….un balzo e siamo già in acqua.
Berny
ci informa che anche qui c’è rischio di correnti pericolose e quindi non è
il caso di avventurarsi a largo, alla mia domanda specifica se ci siano squali
invece non risponde, ridacchia e non risponde……sollecito tutti a non
andare a largo, ma il mare è mosso e non invita più di tanto.
Siamo
sulla costa atlantica e pertanto il sole non ci offre i bei tramonti a mare
come sul pacifico, tramonterà invece dietro i grandi alberi della jungla tra
un coro di uccelli e tra minacciose grida delle scimmie urlatrici , non senza
aver riempito di riflessi dorati il canale del Tortuguero.
Una
corsa veloce a visitare il pueblo prima dell’imbrunire ci delude molto,
avevo letto di un posto animato e vivace, invece poche capanne malmesse, tutto
chiuso
( scopriamo che in realtà siamo in bassa stagione per il Tortuguero, la
località è invece gettonatissima da turisti, studiosi e studenti in luglio
ed agosto quando le tartarughe arrivano a migliaia per deporre le uova ). A
stento un piccolo supermercato vende bibite fresche ed un solo negozio di
souvenir ha prezzi per americani. Delusione anche perché abbiamo volutamente
scelto di fermarci nel paesino per tre notti pensando a sfrenati ritmi
caraibici ed invece ci chiediamo preoccupati “ come passeremo le serate ? !
Berny
ci viene a prendere per la cena intorno alle 18,30 ( il panico su come
occupare il resto della serata si fa ancora più grande) andiamo a cena sulla
“piazza” (che non ha nulla di una “piazza” se non che è uno sterrato
di forma quadrangolare) li c’è Miss Miriam simpaticissima donna di colore
con il suo sederone vistoso e molta allegria, ci fa mangiare benissimo, io,
stanca di pesce, opto per un pollo alla caribeña, specialità della casa,
cucinato con latte di cocco: è favoloso, morbido cremoso, la sua salsa è
nettare per accompagnare il solito riso bianco di contorno…..così dopo più
di venti giorni di viaggio finisco per la prima volta tutto il mio riso !!
Miriam chiude alle 20 !! gentilmente ci ospita fino alle 20,30 !!!! E poi ??
Vagabondiamo per il pueblo buio curiosando negli spiragli di luce delle case,
non vediamo dove mettiamo i piedi , io ho le scarpe chiuse, ma Claudia ha i
sandali, cerco di non allarmarla, ma sono timorosa per lei, d’altronde la
jungla è jungla !
Nel
buio inseguiamo l’eco di una musica vivace e capitiamo nell’unica
discoteca, si fa per dire. In realtà è capannone che ha avuto passati
migliori, un po’ spoglio, il palco è utilizzato….. per stendere un bucato
di chissacchì, è buio, con
pochi avventori –solo uomini- al bancone del bar, beviamo qualcosa poi
preferiamo rientrare in albergo e passare la serata giocando a Macchiavelli.
La
notte il temporale tropicale di rito scarica
secchiate d’acqua , al mattino sveglia prima dell’alba , un solo caffè e
via si sale in barca.
La
barca è senza motore, veniamo forniti di pagaie, io mi defilo dal pagaiare
ritenendomi incaricata del servizio fotografico, si va pianissimo e
silenziosamente, la corrente è quasi assente . Berny sa che poco più a nord
c’è la tana di una nutria, l’andiamo a cercare, si fa vedere per un
attimo poi si nasconde, ma facendo silenzio Berny ci fa sentire il rumore dei
suoi piccoli che rosicchiano…. gamberi, poi avvistiamo un uccello acquatico,
elegante nel portamento , grigio azzurro, con lunghe gambe e lungo becco , poi
Berny ci indica un airone con le ali aperte, al primo sole, per asciugarsi
dell’acquata della notte, è un grosso uccello e se ne sta immobile.
Procediamo sempre in silenzio ed ecco
una famiglia di scimmie ragno che vola da una albero all’altro. Ci
inoltriamo poi in canali molto più stretti, dobbiamo abbassare la testa per
passare sotto la vegetazione, non si parla, si pagaia lentissimamente fino ad
un cenno della nostra guida, poi tutti fermi scrutiamo il posto che ci sta
indicando. Un caimano, ancora scimmie, stavolta le urlatrici, e poi ancora le
scimmie faccia bianca che ci deliziano con uno show di attraversamento del rio
saltando, una alla volta, sulle nostre teste.
Ancora
ci infiliamo nel fitto della foresta e Berny si entusiasma al massimo: ha
visto qualcosa di eccezionale, ma
non riesce a farci capire cosa, si agita, si entusiasma, noi vediamo a stento
una grossa sagoma nera che si nasconde nella vegetazione. “Sono due -
sentenzia Berny- un maschio ed una femmina, vanno sempre in coppia, la femmina
è meno bella” . Berny è emozionantissimo e dichiara che questo è un
giorno assai fortunato : abbiamo avvistato un rarissimo esemplare di
non-so-che-cosa che poi ci
spiegherà essere un …….“tacchino selvatico” !!!!!!!!!
Al
ritorno mi offro volontaria e pagaio anch’io, è piacevole, l’acqua è
quasi ferma e la barca scivola dolcemente. Si ritorna al nostro B&B dove
ci aspetta una colazione con i fiocchi.
Nel
frattempo il nostro mini giardinetto tropicale è sconvolto da un evento
particolare che richiama un andirivieni di curiosi. Un formicaio di
cattivissime formiche ( e Claudia può confermare ….) sta migrando ed ha
scelto come tappa l’albero che troneggia nel mini giardinetto del B&B .
Una fila interminabile di formiche cariche di tutte le loro masserizie, larve
comprese, proveniente da chissà dove sta dirigendosi in un incavo del tronco,
in serata si sarà creata sul tronco una palla di formiche, una attaccata
sull’altra, grande - per farvi un’idea - come un cocomero grosso. Gli
abitanti del pueblo, tutti con una grande cultura di rispetto degli animali e
di curiosità sulle loro abitudini, sono venuti in processione con le torce ad
osservare il fenomeno, mentre noi ci davamo da fare di nascosto ad
“eliminare” le poche formiche che , deviando dalla rotta, girovagavano in
direzione delle nostre stanze…
L’indomani
la migrazione era terminata e le formiche se ne stavano li aggrappate, ma il
giorno successivo appena svegli ……non ce n’era più una : erano
ripartite tutte per una nuova meta ,……chissà se hanno pagato il conto del
B&B….?
Il
mini giardinetto ci offre anche altre curiosità: mentre eravamo in siesta
sulla terrazza sul canale ed il proprietario accudiva la sua barca, qualcuno
ci osservava con attenzione e da vicino: era un basilisco …verdissimo , mi
ha concesso il tempo di una foto da vicino e poi ha raggiunto la sua compagna
sull’albero , ed insieme brillanti nel loro verde intenso sono scomparsi tra
le foglie. Più tardi su un canale ne vedremo un altro correre “ in piedi
sull’acqua” come è la loro caratteristica.
La
vita al Tortuguero è lenta, scorre come la corrente del canale,
impercettibile, Claudia lamenta un po’ di noia “avremmo potuto fare
qualcos’altro” dice, io invece mi godo questo momento di relax,
d’altronde dopo tre settimane intense di organizzazione, conti e guida per
strade sterrate e piene di buche, questi tre giorni presi come “pacchetto
organizzato” mi stanno proprio rilassando al punto giusto.
Nel
pomeriggio del secondo giorno andiamo al piccolo centro visitatori
dell’isola ( lo chiamano museo ! ) dove vediamo un filmato sulle tartarughe,
con una registrazione pessima sia in video che in audio. La sera siamo a cena
all’Iguana Verde un hotel deserto ed ancora in costruzione, la proprietaria,
anche lei di colore, appare un po’ strana, tanto che non si fa vedere per
tutta la cena ed è Berny a servirci a tavola, stavolta pesce al cocco (
altrettanto buono) e per tomar una grande caraffa di succo di tamarindo.
La
terza giornata scorre altrettanto lenta, passeggiata in paese, poi alle 11
partiamo in barca per Caño Palma ci piazziamo in un delizioso lodge (
anch’esso in via di ultimazione) direttamente sul Caribe dove ci godiamo un
paio di ore di spiaggia e ci concediamo un bagno nella piccola ma pulitissima
piscina in attesa del nostro pranzo. Digestione sulle amache al fresco,
avvistamento di tre magnifici tucani visti sufficientemente da vicino per
godere di tutti i loro sgargianti colori. Poi si parte per la conquista del
Cerro, unica altura del Tortuguero, solo 119 metri ma ripidissimi.
Per
raggiungerlo percorriamo una stradina tra le casupole del paesino con i loro
giardinetti e orti ordinati, con qualche gallina vagabonda, poi si svolta
verso la parete del monte ( quasi verticale ) e si entra nella giungla: ombra
fitta saliamo una scala naturale fatta di radici e sassi, si sale aiutandosi
con le mani, taluni passaggi sono complessi…..Claudia è subito imbrattata
di terra e fango secondo il noto suo stile….io sono in pareo e scarpe da
ginnastica tra le risate di tutti, fa molto caldo , per fortuna sono solo 119
metri….. Ad un certo punto Berny, che pretendeva di precedermi, mi intima di
fermarmi e chiudere gli occhi, cosa difficile visto ancora il ripido
passaggio che avevo davanti, ma obbedisco e mi lascio trascinare per
mano fino al suo permesso di aprirli……uooooooo!!!! Che meraviglia. una
apertura come un balcone si affaccia dalla jungla fitta ….sui canali e sul
Caribe, nel giallo sole pomeridiano . L’incanto si interrompe tragicamente
per via che la nostra pelle sudata sta attirando frotte di famelici mosquitos….inizia
così una mattanza generale con sberle a tutto spiano: io a Claudia, Claudia a
Nello, Nello a Claudia , in un
attimo abbiamo le mani imbrattate di nostro sangue e di zanzaracce
spiaccicate. Claudia urla e si riempie di terribili bolloni ( le passeranno in
pochi minuti, ma la reazione iniziale è stata impressionante) ci copriamo con
tutto quello che abbiamo dietro, ma l’assalto non cessa fintanto che non ci
siamo asciugati tutto il sudore.
Berny
propone un altro sentiero, ancora in salita, per andare in cerca della rana
velenosissima ( quella rossa e nera con cui gli indios facevano le mortali
frecce avvelenate) a noi è bastato ed avanzato il safari con i mosquitos e ci
rifiutiamo di seguirlo. Lui va egualmente , ma ritorna poco dopo dicendo che
il terreno non è sufficientemente umido pertanto di rane nessuna traccia (
per fortuna nostra anche questa prova può ritenersi superata ! )
Scendiamo
: la discesa si presenta più difficile della salita ( per me è invece il
contrario e saltello canticchiando) . Berny lungo la via ci fa lezioni di
botanica e ci mostra la palma che cammina : una strana palma che non arriva al
suolo con il tronco centrale ma con tanti rami obliqui che utilizza per
spostarsi nel caso che qualche altra pianta crescendo le tolga la luce.
Interessante . Nello raccoglie
dei semi bellissimi di un albero di “ococe” ( i semi finiranno
incollati artisticamente sul suo già fantastico diario) . Torniamo a
valle e ci dirigiamo ( due passi) al pueblo San Francisco per aspettare la
barca che ci riporti al Tortuguero, inganniamo il tempo bevendo jugo
de pipa ( succo di
cocco ) ma io ovviamente preferisco assaggiare la piña loca (con rum). Aspettiamo ed aspettiamo il barcarolo che
non si vede.
Il
sole comincia a calare , la nostra guida si da un gran da fare con il
cellulare per riuscire a contattare qualcuno che gli dia notizia del
barcaiolo, ma per lungo tempo nulla. Il posto è ameno e il sole sta
tramontando. Finalmente la barca arriva, è già l’imbrunire, segnaliamo con
la torcia la nostra posizione. Si sale a bordo e si parte ed è già buio.
Sarà questo uno dei momenti più suggestivi del tour , percorriamo
infatti il tratto del canale del Tortuguero che ospita, destra e sinistra,
i lodge di lusso.
Le
loro luci tremule ed il loro ambiente a noi inaccessibile ( si parla di circa
160 dollari al giorno ) ci
rendono spontaneo ricordare Venezia, con gli hotel di lusso che si specchiano
nelle acque del Canal Grande, e noi, egualmente, a guardare trasognati da una
povera barchina di pescatori.
Poi
arriviamo al pueblo e, illuminate, si notano meglio che di giorno le casine
distribuite lungo la sponda, sono ancora tutti in attività, barchine che
vanno su e giù completando le loro ultime attività della giornata.
Arriviamo
al nostro B$B che è già tardissimo per la cena: sono ben le 19 e per
colpa nostra stasera miss Miriam andrà
a dormire tardissimo ( alle 21 !!! )
Ma
la povera miss Miriam non sa cosa altro le deve capitare stasera…. Già
perché, dopo aver provato il pollo alla caribeña di due sere prima, io
decido di pretendere che di contorno a quel pollo stasera mi metta spaghetti-
conditi con solo mantequilla -….. con accurata spiegazione dei nostri tempi di cottura, per
loro assurdi….Dopo l’ordinazione così precisa miss Miriam si avvia in
cucina ridendo a più non posso con tutti i suoi dentoni bianchissimi ,
divertita come non mai.( Per inciso gli spaghetti andavano benissimo ed il
sughino del pollo ci stava a meraviglia : così
la jungla ci ha dato anche questo miracolo……. brava miss Miriam
chissà se è ancora li che ride
sulla nostra lezione sugli “spaghetti al dente”!!.)
L’indomani
siamo pronti per proseguire il viaggio verso sud, una lancia un po’ più
grande di quella dell’andata con a bordo altri passeggeri, siamo tutti
diretti a Moin di Limon, che rappresenta l’estremo sud dei canali costieri.
Ci
toccano ancora 80 chilometri. La lancia è coperta e viaggia molto veloce : fa
quasi freddo. Io conquisto un angolino al sole. Si percorre tutto il canale
del Tortuguero Una sosta per rinfrescarci in una isolata casa sul canale mi
permette, mentre gli altri viaggiatori fanno la fila per l’unico bagno, di
vedere un piccolo bradipo accoccolato su un albero, a poco più di due metri
sopra la mia testa, dorme –tanto per cambiare- e quello che appare è solo
una palla di pelo. Oramai il canale, dopo quattro giorni, non ci meraviglia più
, siamo abituati alla sua fauna acquatica, ai suoi riflessi, alle sue anse.
Colpiscono però le aperture sul caribe, giacchè la lancia è costretta a
rallentare ed a cercare il miglior passaggio, visto che in quelle zone il
canale tende ad insabbiarsi. E’ allora possibile vedere meglio il gran
numero di uccelli acquatici che preferiscono, per il pranzo della giornata,
pesce di mare. In un precedente viaggio la guida di allora mi aveva spiegato
che laddove il canale ha delle aperture sull’oceano oltre al problema
dell’insabbiamento, c’è anche una buona probabilità di presenza di
squali che vengono a cercare cibo verso il canale.
Si
arriva a Moin un po’ stanchi , anche perchè la barca affollata ci ha
impedito di “stravaccarci” come avremmo voluto. Si torna alla vita
normale....sembra impossibile rivedere delle automobili, sembra di aver
sognato ed invece abbiamo solo sperimentato uno dei tanti altri modi possibili
di vivere.
Termina così il nostro lungo viaggio fluviale, non abbiamo molto tempo per meditare sull’esperienza appena conclusa perchè la nostra avventura non è finita; abbiamo infatti in programma di completare la discesa di tutta la costa caraibica del Costarica: siamo partiti dal confine con il Nicaragua ed in serata saremo già a pochi chilometri da Panama.........
Enrica enrica236@hotmail.com