IL NOSTRO VIAGGIO IN TANZANIA
Racconto di viaggio 8/9 settembre 2006
Arusha
Finalmente
per me e per Giorgio è arrivato il gran giorno, dopo tutto il tempo che abbiamo
passato a preparare e soprattutto a sognare questa agognata Tanzania quasi quasi
non ci sembra vero.
Il nostro viaggio “in coppia” durerà circa 23 giorni.
Con l’Ethiopian Airlines decolliamo da Fiumicino alle 00.30 e dopo un piccolo scalo ad Adis Abeba arriviamo ad Arusha verso l’ora di pranzo.
Ci
sistemiamo al Jacaranda; Viene a farci visita Lazarus, il proprietario
dell’agenzia Harteebest di Arusha (http://www.hartebeestsafaris.com/index.html)
con il quale da casa abbiamo costruito e concordato il nostro safari di 9 giorni
“su misura e senza altri partecipanti”. E’ una persona molto piacevole e
soprattutto affidabile, ci parla del safari e rilegge insieme a noi il contratto
che già da tempo avevamo ricevuto via e-mail,
sul quale è dettagliatamente descritto tutto il nostro safari.
Dopo
la visita di Lazarus andiamo subito a farci un giro per Arusha per
la nostra prima passeggiata “africana”!
Arusha
è una cittadina molto viva, c’è
tanta gente per strada; ricordo in
particolar modo 2 matrimoni festeggiati per strada a suon di tamburi e trombe: vediamo vari pick-up ed auto
tutte in fila con i clacson che strombazzano. Sul retro del primo pick-up
aperto c’è il fotografo in ginocchio che
riprende tutta “la carovana”, poi
c’è l’auto degli sposi e dei
parenti, a seguire il pick-up dei “suonatori” con tanto di trombe e
tamburi e poi tutti gli amici che
ballano scatenati sul retro dei pick-up. Su uno dei 2 matrimoni ci sono le
damigelle vestite tutte allo stesso modo, con la stessa acconciatura ad
“ananas” ed in mano un fiore che assomiglia alla nostra calla. Peccato non
aver portato la fotocamera: c’è un’atmosfera di pura allegria. Il bello è
che hanno continuato a fare il giro della città
per molte volte: ogni tanto ritornavano e non potevi far altro che fermarti a
battergli le mani e salutarli.
Andiamo
a cena all’Ethiopian Restaurant quando
ne usciamo è buio pesto, per
fortuna che il Jacaranda è vicino.
***
Hotel
Jacaranda $ 45: carinissimo e
pulito, si sta proprio bene. Va prenotato con anticipo perché molto
frequentato. (http://www.chez.com/jacaranda/)
Cena
Ethiopian restaurant: Abbiamo mangiato molto bene per circa 15 € in 2.
Il
bief te lo portano servito sopra una crepe gigante che ricopre un piatto intero.
Va rigorosamente mangiato con le mani anche perché la forchetta e il coltello
non viene portato.
Per
le telefonate in Italia
conviene comprarsi in Tanzania una scheda della Celtel da inserire nel cellulare
(anche Dualband) che costa 2.000 Th (poco più che 1 €) e poi una ricarica, io
usavo quella da 10.000 Th. Ovviamente me la sono fatta fare da un commesso
all'interno di un negozio convenzionato Celtel, ci vogliono 5 minuti. E’ molto
più conveniente e pratico rispetto alle altre alternative.
***
10 settembre
2006
Si parte per il safari…. Tarangire
Alle
8.30 arrivano le nostre guide: Fulgence cuoco (20 anni) e William la nostra
guida (42 anni). A posteriori non posso che parlarne bene: se il safari è
riuscito alla grande è soprattutto merito loro.
Prima
di partire ci accompagnano in un maxi supermercato per comprare le bevande.
Il
Tarangire nonostante non sia paesaggisticamente bello come lo Ngorongoro
e non abbia i leoni ed il fascino del Serengeti, ci ha lasciato comunque un gran
bel ricordo.
Aspetto
da non trascurare affatto è che in quanto ad abbondanza di animali settembre è
la stagione del Tarangire, infatti durante la stagione secca il fiume, che da il
nome al parco, rimane l’unico serbatoio permanente d’acqua e per tale motivo
diventa il fulcro della vita di una fauna estremamente varia: elefanti, giraffe,
bufali, zebre, antilopi, struzzi, etc
etc…
Qui
abbiamo incontrato una gran quantità di elefanti, molti di più rispetto agli
altri 2 parchi. Oltretutto è stato anche il primo parco in assoluto che abbiamo
visitato in vita nostra quindi come potremmo dimenticarci o avere un brutto
ricordo del parco in cui abbiamo incontrato la prima zebrina? Se poi ci aggiungi
pure che durante la consumazione del nostro pacchetto per il pranzo, mentre una
scimmia dalle palle blu (velvet monkey) mi distraeva e mi invitava a scattargli
una foto, l’altra me lo rubava a 10 cm dalle mani di un Giorgio impotente….
***
Pernottamento
a Mto Wa Mbu al Fig Resort in
una camera essenziale ma pulita. Qui
hai la possibilità di stare a
stretto contatto con la gente del luogo. Le zanzariere hanno qualche buco,
ci mettiamo sopra la nostra e ci spruzziamo un po’ di Autan. Siamo
nella stagione secca e di zanzare ne abbiamo viste pochissime.
Mto
Wa Mbu
è un villaggio molto povero e nella stagione delle piogge è
pieno di zanzare non per altro letteralmente significa
“fiume di zanzare”. Fulgence
è nativo di Mto Wa Mbu e ci racconta che qui la malaria è una grossa piaga:
molti si ammalano e muoiono, non
hanno medicine per curarsi.
***
11 settembre
2006
Sveglia
alle 7, per arrivare al lago Eyasi
servono circa 4 h. La pista è tutt’altro che comoda ma il paesaggio ti fa
dimenticare ogni cosa: abbiamo percorso un tratto di pista
fatta di terra rossa talmente fina da sembrare sabbia, uno spettacolo, impossibile non scendere per fare delle foto.
Il
Lago Eyasi è quasi secco ma a noi non interessa, non siamo qui per visitare il
lago ma per le Tribù dei Datoga e per gli Hadzabe che vivono in queste zone.
Ci
accampiamo al Bush camp dove ci
accorgiamo di essere gli unici ospiti.
Mentre pranziamo con Fulgence, William va a cercarci una guida locale per visitare i Datoga nel primo pomeriggio e i Bushmen per l’indomani.
La
nostra guida arriva alle 14 si
chiama Gabriel, vive in un villaggio non molto lontano dal campeggio ed è un
nostro coetaneo. Non ci porterà a visitare una grande tribù di Datoga ma una
grande famiglia di Datoga, ci dice che ce ne sono molte in quella zona e lui per
quello che può (visto che non ci sono folle di turisti), fa in modo di distribuire equamente le “visite”.
Entriamo
in una specie di recinto naturale, un uomo vestito con un drappo verde ci viene
incontro con dei bimbi che ci tendono la mano uno ad uno. Nel giro di pochi
secondi si raduna tutta la famiglia, ci sono 2 ragazze altissime molto giovani
ma già mamme: hanno i capelli rasati,
sono vestite con un drappo di tessuto legato intorno al corpo,
sono adornate con pochi monili di ottone, ma non ne hanno alcun bisogno,
sono proprio belle; da ogni loro movimento traspare una eleganza che è
innata. Ci mostrano degli aspetti della loro vita quotidiana: dal come accendono
il fuoco, alla forgia del metallo; le
ragazze mi portano a visitare la casa e provano a farmi macinare un po’ di
grano con un grosso sasso… non credo di aver fatto una gran figura visto le
loro risate.
La
loro abitazione è costruita con rami intrecciati fra di loro e ricoperti di
fango e sterco.
Tale
visita oltre che importante e istruttiva è stata anche molto divertente ed ho
la presunzione di pensare che tale divertimento sia stato reciproco: c’è
stata una interazione fra noi e loro, fatta di gesta, di sguardi e di tanti
sorrisi e risate che in qualche modo ci hanno fatto sentire vicini; tale
sensazione di condivisione nel corso delle successive visite ad altre tribù non
l’ho più avvertita. Non che le altre visite siano state meno
importanti, interessanti o altro, anzi, tutti gli incontri fatti in
questo viaggio, brutti o belli che siano stati hanno lasciato in qualche modo un
segno, un ricordo profondo….però quando mi trovo a ripensare ai Datoga…. li
ricordo “anche” con un affetto particolare.
***
Pernottamento: Campeggio Bush camp.
***
12 settembre
2006
Tribù Hadzabe e poi verso lo Ngorongoro
Alle
6.30 con Gabriel e William andiamo a cercare gli Hadzabe.
Gli Hadzabe sono l’unica popolazione di ceppo boscimane che vive nell’Africa dell’Est, vivono in piccoli gruppi, spostandosi continuamente alla ricerca dei frutti della terra e della selvaggina che cacciano con arco e frecce; non conoscono nè la metallurgia, né l’agricoltura, né l’allevamento del bestiame.
Gabriel
ci racconta che il Governo ha cercato di aiutarli fornendogli una scuola ed
assistenza sanitaria ma dopo poco tali servizi sono stati sospesi in quanto
nessuno si è mai presentato a scuola né tanto meno dal medico.
Le
donne e ì bambini li troviamo
raccolti a cerchio intorno al fuoco, mentre di uomini inizialmente ce ne sono
pochi, poi piano piano
arrivano anche loro. Ci stringono la mano.
Rimaniamo
seduti un po’ con loro e con Gabriel che ci racconta qualcosa sulla loro vita:
non parlano il Swahili ma una lingua tutta loro i cui suoni sono un continuo
“click”, gli uomini sono ricoperti di graffi a causa della caccia che li
porta a correre nella boscaglia.
Fisicamente
sono più bassi dei Masai e dei Datoga e anche i tratti somatici del viso sono
diversi.
Vediamo
gli uomini (o meglio i ragazzi) che si preparano per la caccia sistemando le
punte e gli archi, uno in particolare “rotola” la parte bassa delle frecce
in una specie di composto nero: Gabriel ci spiega che è un veleno ricavato da
una pianta grassa che lì è molto comune, in tal modo l’animale una volta
colpito non farà molta strada.
Quando
da casa stavo preparando con Giorgio il nostro itinerario, l’idea di
partecipare come spettatrice ad una battuta di caccia con gli Hadzabe mi piaceva
molto ma sinceramente non credevo fosse una caccia così autentica o meglio non
osavo sperare in tanto: nel senso che mettendomi nei loro panni mi sembrava
difficile che si portassero dietro il peso di “due turisti” nella caccia
“vera” che loro fanno quotidianamente per sopravvivere.
Pensavo che probabilmente sarebbe stata più una caccia ad uso
“didattico” del tipo vi facciamo vedere come si fa più o meno… Anche
perché in alcuni diari che lessi prima di partire a volte si tornava al
campeggio per colazione.
Gabriel
prima di avviarci per la “caccia” ci da delle indicazioni basilari (anche
troppo):
1)
se vi stancate non c’è problema si torna subito indietro (..)
2)
stategli dietro e non davanti quando tirano le frecce (!?!?)
3)
ditemelo voi quando volete tornare al campeggio….
E
fu così che tornammo per il pranzo!!
Mamma
mia che pedalata, per fortuna che a casa si pratica un po’ di corsa…. Devo
dire che anche quando rimanevano un po’ indietro c’era sempre uno
di loro che ci aspettava e faceva si che non perdessimo gli altri:
correvano come i lepri e soprattutto lo facevano sia in sentieri liberi sia in
quelli pieni di rovi e spine, naturalmente a braccia e gambe scoperte, non a
caso sono pieni di segni e graffi. Gabriel chiudeva la fila dietro.
Inizialmente
è stata tanta corsa e tanti lanci ma un pessimo bottino poi con l’aiuto
fondamentale di 2 cani di piccola taglia i risultati sono arrivati: 5 mangustine,
2 uccelli ed 1 mangustone. I cani fiutavano le prede nascoste tra il “bush”
di grosse piante e avvertivano
abbaiando, loro circondavano tali
piante e iniziavano a falciare e a farsi strada finché l’animale spaventato
non scappava e loro di corsa dietro facevano schioccare le frecce. Tale rito
ripetuto per molte volte alla fine ha dato i suoi frutti.
La
cosa un po’ “impressionante” è che una volta che la freccia colpisce la
preda, chi ha scoccato tale freccia
afferra il povero animale e gli da il colpo di grazia con un morso in testa….
Finita
la caccia prima di tornare al villaggio ci rilassiamo un po’ seduti lungo il
letto asciutto del fiume mentre loro accendono il fuoco e mettono a cuocere
sopra gli animali (pelo compreso). Alcuni di loro si dissetano da una
pozzanghera del terreno: è sconcertante vederli bere quell’acqua marrone. Uno
si spalma sul corpo il sangue del mangustone…
Quando
il cibo è cotto ha inizio il banchetto e ce ne offrono un pezzo,
io gentilmente declino, Giorgio un pezzettino favorisce ma non lo vedo
troppo convinto… se non altro non potevamo dire che non fosse carne fresca!
Come
esperienza di vita è stata sicuramente forte ed in certi momenti anche
inquietante.
Sicuramente
ho incontrato persone molto povere perché materialmente vivono di niente ma pur
passando poche ore insieme a loro non mi hanno dato affatto l’idea di persone
infelici o di persone fisicamente al limite. Esperienza che rifarei
senz’altro.
Torniamo
al Bush Camp, il tempo di pranzare con Fulgence e William all’ombra di un
grosso albero e poi di corsa verso lo Ngorongoro.
Arriviamo
al Sopa Lodge verso le 16.30. Ci fermiamo sulla cima del cratere per goderci un
po’ il panorama: che spettacolo! Mi sembra impossibile che là sotto ci
possano essere tutti quegli animali raccontati dalle persone che mi hanno
preceduto. William mi prende in giro: “Vedrai vedrai… “
***
Pernottamento:
Sopa Lodge è ultralusso e con un ottima posizione sul bordo del cratere. Mi
perdo il tramonto: ci sono dei grossi elefanti in giardino, uno è
proprio sotto il nostro balconcino: mi verrebbe da tirargli
l’orecchio…
***
13 settembre
2006
Ngorongoro e poi verso Serengeti
Alle 6 siamo già pronti per partire con il pacchetto per la colazione, fa freddo, iniziamo a scendere nel cratere che ancora è scuro, ci sono dei bufali lungo la strada, il paesaggio cambia rapidamente man mano che si scende: da fitta foresta il terreno si fa arido finché si arriva nel fondo del cratere occupato dalla savana.
Nonostante
il cratere non sia sterminato come il Serengeti, ospita un’incredibile
concentrazione di animali: qui ci sono proprio tutti e soprattutto quanti se ne
sono…..gnu, zebre, giraffe, elefanti, iene, struzzi, babbuini, gazzelle,
bufali, le pozze con gli ippopotami etc.
etc. che spettacolo! Incontriamo una grande famiglia di leoni formata da un
leone adulto, almeno 6 femmine e nascosti tra l’erba alta vediamo
spuntare la testa di qualche cucciolino, purtroppo non sono così vicini alla
pista da poterli ammirare in primo piano. Qui mentre consumiamo la nostra
colazione assistiamo alla prima scena di caccia da parte di un giovane leone
dalla criniera non ancora folta: la vittima prescelta è un facocero che si
salva con un veloce slalom….
Grande
assente: il rinoceronte, o meglio lui c’era siamo noi non l’abbiamo
incontrato. Sarà per la prossima!
Pranziamo
all’interno della jeep perché nel piazzale adibito per il ristoro girano
sopra le nostre teste un paio di aquilotti e William ci dice che essere
“saccheggiati” da una scimmia è un conto, le aquile potrebbero non essere
così delicate…
Lasciamo
il cratere nel primo pomeriggio e ci avviamo verso il Serengeti, lungo il
tragitto incontriamo vari villaggi Masai finchè dopo qualche ora spuntano i
primi kropies.
I
spostamenti sono sempre stati abbastanza lunghi eppure è difficile annoiarsi
con tutto lo spettacolo che si vede passare dal finestrino.
Ci
accamperemo nell’Ikoma Camp ma prima, ci facciamo un bel giro; il primo
incontro importante è con un leopardo ben appollaiato sopra un kropie, non è
vicino, riesco a vederlo bene solo con il binocolo: ci guarda dall’alto ma non
si sposta. Mentre andiamo al campeggio lungo la strada ci imbattiamo in 2
leonesse placidamente sdraiate: sono ad un passo dalla jeep. Che meraviglia
vedersele così vicine: gli possiamo contare i baffi! Andiamo al campeggio
stracarichi delle emozioni vissute durante il giorno e come se non fosse stato
abbastanza assistiamo ad un tramonto di fuoco, il più bello dell’intera
vacanza debitamente documentato. Qui ci fermeremo per 2 notti.
Nel
piccolo campeggio ci sono diversi gruppi: francesi (onnipresenti), inglesi e
anche italiani; la cena è piena di atmosfera: tutti sotto lo stesso piccolo
tendone illuminato con delle lampade e intorno il buio più totale della savana.
Il
campeggio non ha recinzioni, ci
chiediamo chissà quanti milioni di occhi ci staranno osservando mentre ceniamo.
Domandiamo a William per quale motivo un leone non dovrebbe avvicinarsi al
tendone e mangiare noi (già comprensivi di ugali e brodetto…) piuttosto che
sfiancarsi dietro gli slalom dei facoceri o rischiare l’incornata di un
bufalo: sembra…(?).. che non sia mai successo: gli animali non si
avvicineranno alla luce del tendone durante la cena e di notte nonostante le
possibili scorribande tra le tende se restiamo chiusi dentro nessuno ci
attaccherà. Lungi da noi l’idea di uscire! Giorgio e Fulgence fanno
congetture sul come fare pipì senza mettere piede fuori dalla tenda… William
consiglia ad entrambi di tenere “tutto” dentro la tenda!!
Il
campeggio è molto semplice, in pratica è fatto di niente:
si pianta la tenda nella savana (senza recinzioni), come bagni ci sono
delle “cabine tendate” (come quelle che si usano nei seggi elettorali per
votare..) con un buco nel terreno e
2 piccoli tendoni : 1 è il posto in cui i cuochi preparano i nostri pasti (ogni
agenzia ha il suo spazio e il suo materiale) e l’altro è per la consumazione
dei pasti. L’atmosfera ovviamente è totalmente diversa rispetto al campeggio
del lago Eyasi.
E’
la nostra prima notte nella savana, ricordando le esperienze raccontante sul web
dalle persone che mi hanno preceduta, ero pronta anch’io ad ascoltare per
buona parte della notte i rumori e i richiami della savana… mi sono sempre
chiesta come mi sarei sentita nel caso in cui un leone si fosse avvicinato e
avesse ruggito nei pressi della mia tenda: grande emozione o infarto
fulminante?? …. Forse a tale domanda potrò rispondere nel mio prossimo
viaggio in Africa visto che in questo, la maggior parte delle volte non facevo
in tempo ad appoggiare la testa sul cuscino che già dormivo.
Giorgio
che da questo punto di vista è più resistente di me, dice che durante la notte
non abbiamo avute visite “importanti” intorno alla nostra tenda anche se per
il resto era impossibile (!?) non avvertire la presenza o i richiami di tutta
quella vita intorno a noi… Un
po’ mi dispiace, mi sento di aver perso qualcosa.
***
Pernottamento:
Ikoma Camp
***
14 e 15 settembre
2006
Serengeti zona Grumeti, Seronera e Lobo
Sveglia
naturale alle 6: ho visto un’alba meravigliosa.
La mattina facciamo colazione insieme agli altri ospiti e ovviamente l’argomento del giorno è la notte appena trascorsa: tutti sembrano aver sentito qualcosa, chi gli elefanti barrire, chi i leoni ruggire (?)… un francese che tra l’altro è anche il nostro vicino di tenda mi chiede (dando per scontato che io abbia sentito) che razza di animale sarà stato mai a camminare vicino alle nostre tende verso le 2?? Io senza indugio rispondo “Le iene…!” . La mia ipotesi raccoglie molti consensi… Giorgio mi guarda sbalordito.
Visitiamo
uno “stagno” con tanti ippopotami e coccodrilli immobili e poi ci dirigiamo
verso la zona del Grumeti, in un paio di momenti abbiamo dovuto abbassare il
tettino della jeep visto che un folto gruppetto di Tse Tse è entrato
all’interno della jeep: per quanto tenti di ammazzarle o farle uscire,
qualcuna ti pizzica nonostante i vestiti. Sono più grosse rispetto alle nostre
mosche ed hanno un colorito giallo-marrone con una specie di pungiglione
davanti. Altro luogo in cui le rincontreremo di nuovo sarà nella zona del Lobo:
qui la guida della Lonely Planet sarà sfruttata al massimo!!
Ci
sono tante giraffe, zebre ed elefanti… e
come dimenticare i bufali che quando ti notano smettono qualsiasi attività e ti
fissano intensamente, qualcuno talmente tanto da sembrare ipnotizzato.
William mi prendeva in giro dicendomi che avevo fatto innamorare i
bufali, la teoria di Giorgio invece era molto meno romantica: i bufali erano
impazziti! (cafone!)
Ci
fermiamo insieme ad altre jeep ad osservare una leonessa che riposa,
improvvisamente si alza ed inizia a camminare con la testa a pelo
d’erba poi con un balzo davvero agile atterra su una povera gazzella nascosta
tra la vegetazione che nessuno di noi aveva notato e che niente a potuto contro
la furia e la potenza della leonessa. Dopo averla azzannata alla gola se la
trascina via tra la vegetazione.
Di
leoni nel Serengeti ne abbiamo visti in quantità, devo dire molte più leonesse
che leoni: quelli incontrati sonnecchiavano e si tenevano sempre un pochino più
distanti dalle piste, invece le leonesse te le trovavi anche intorno alla jeep.
Altri
avvistamenti “più difficili”: 1 ghepardo all’ombra di un’acacia e un
leopardo che si è mostrato per pochi secondi
per poi sparire subito tra l’erba alta.
Qui
incontriamo una lunga
“carovana” di zebre e gnu che si spingono ancora più a nord è
impressionante poterli osservare in occasione di questi spostamenti. William ci
dice che questo non è niente a confronto di febbraio: chissà che spettacolo!
Nella
zona del Lobo ci fermiamo in un punto dove si abbeverano centinaia e centinaia
di zebre.
***
Pernottamento:
14/09 - Campeggio Ikoma Camp
15/09 - Lobo Lodge costruito intorno ad un Kropies con una gran bella vista dalle camere sulla savana. Ci piace e soprattutto è comodo ma l’atmosfera che si crea e le sensazioni vissute sono molte più fiacche rispetto all’esperienza del campeggio. Il lodge ci da la possibilità di “ripulirci” e di ricaricare tutte le batterie ormai completamente andate prima di proseguire per le ultime 2 notti nel campeggio del Natron.
***
16 settembre
2006
Ultimo game drive nel Lobo e trasferimento al Natron
Alle
6 partiamo per l’ultimo game drive… le ultime 3 ore nel Serengeti:
intensissimi sono stati gli ultimi 2 incontri.
Un
ghepardo con 2 cuccioli meravigliosi che si riposavano sotto un albero ma vicini
alla pista…. E poi una leonessa che dopo aver ucciso uno piccolo gnu e
essersene cibato non voleva che gli avvoltoi si avvicinassero: si allontanava
dallo gnu e si avvicinava a noi, come gli avvoltoi accerchiavano lo gnu lui
tornava indietro e li faceva volare via… la scena è andata avanti per una
mezz’ora abbondante!!! Si è
fatta pure un bel giretto intorno alla nostra jeep dando una sbirciatina prima a
noi e poi al tettino aperto che Giorgio automaticamente ha chiuso tra le risate
di William… nonostante fossimo al sicuro dentro la jeep, è incredibile
l’intensità e la forza che ci ha trasmesso lo sguardo della leonessa.
Torniamo
nel nostro lodge verso le 9.30 per fare colazione e per caricare i bagagli: si
parte per il Natron ci vogliono circa 4 ore… la pista è lunga e sconnessa ma
come sempre è uno spettacolo.
Prima
di arrivare al Natron ci siamo fermati a visitare un villaggio Masai, la nostra
guida ha pagato circa 20 $ al capovillaggio.
C’è voluto un po’ di tempo prima di entrare visto che nessuno degli
abitanti del villaggio parlava Swahili e neppure William riusciva a comunicare
quindi alla fine abbiamo tutti fatto un po’ a gesti… Entriamo nel recinto
del villaggio e troviamo una trentina di Masai, il villaggio è piccino, ci
guardano tutti e ci troviamo in qualche modo circondati e fissati, mi sento un
po’ a disagio.
Le
mosche sono ovunque ed ogni componente del villaggio se ne porta addosso un
numero importante: dagli arti al viso e in particolare gli occhi sembrano fare
da casa alle mosche… I bimbi mi fanno veramente tanta pena: da quante mosche
hanno sulla cavità degli occhi non riescono neppure a tenerli ben aperti. Mi
verrebbe naturale scacciargliele. Non avevo mai visto dal vivo una cosa del
genere e ne rimango colpita. William ci dice che a causa di ciò molti giovani
Masai nella crescita hanno serissimi problemi alla vista. Sembra che i Masai per
“tradizione” non amino affatto lavarsi e ciò a prescindere dal fatto che
l’acqua sia vicina o lontana dal villaggio, e le mosche naturalmente sono
molto attirate dalla sporcizia.
Mi
invitano ad entrare all’interno delle loro case fatte di sterco e fango:
l’interno è completamente buio, ho difficoltà a muovermi, la padrona di casa
gentilmente mi prende per il braccio e mi guida, l’unica cosa che riesco a
vedere sono dei carboni accesi, dentro c’è un caldo soffocante ho difficoltà
a respirare, non resisto e sono costretta dopo pochi minuti ad uscire: non so
come facciano a viverci…..essendo nei pressi del Natron la temperatura è già
elevata ma dentro saremo stati abbondantemente sopra i 40°.
Mi
piacciono le donne Masai: hanno dei bei lineamenti fini, trovo molte somiglianze
con le Datoga.
I
lobi delle loro orecchie sono adornati pesantemente, tanto che a volte la parte
superiore dell’orecchio cede verso il basso. Alcuni portano come orecchini dei
tappi di sughero tipo quelli che noi usiamo per lo spumante;
qualche uomo ha la parte bassa dell’orecchio ridotto ad un filo che poi
viene incastrato con la parte sopra…. Avrei passato ore a guardare le loro
orecchie: che spettacolo!
Peccato
che a differenza delle altre tribù visitate alcuni non mi hanno permesso di
fotografarli e stranamente nessuno in questo villaggio ha cercato di venderci
qualcosa: né lance né monili.
Gli
uomini ci mostrano la danza tipica
Masai con dei salti davvero alti.
Li
salutiamo e ce ne andiamo un pochino inquieti dall’immagine di quei bimbi.
Ripartiamo
per il Natron fermandoci pochi momenti in un grande villaggio Sonjo: un bambino
lungo la strada ha improvvisato una danza scatenata, sarebbe stato impossibile
non fermarci. Gli do delle matite e dopo 3 secondi mi ritrovo circondata da
molti bambini, si avvicinano anche degli adulti che non hanno uno sguardo troppo
amichevole infatti William riparte poco dopo, spiegandoci che i Sonjo a volte
possono essere un po’ aggressivi. Sembra che i Masai e i Sonjo non siano
affatto in buoni rapporti: i Sonjo pur essendo numericamente inferiori sono più
pericolosi in quanto sono degli ottimi tiratori con l’arco mentre i Masai con
le lance non vanno molto lontano.
Il
paesaggio sta diventando lunare e desertico: capiamo di essere vicini al Natron.
Da
lontano possiamo ammirare il cono
perfetto dell’Oldonjo Lengai: è la montagna sacra ai Masai, un vulcano ancora
attivo. William ci dice che in passato i Masai in periodi di carestie vi si
recavano in processione per rendere omaggio a Lengai la divinità che vi
abitava.
Al
campeggio c’è abbastanza gente: i soliti francesi, inglesi e questa volta
anche i spagnoli.
Mentre
Fulgence ci prepara la cena, noi ci sgranchiamo un po’ le gambe lungo la
strada: incontriamo molti Masai che
ci avvicinano per chiacchierare o per venderci qualcosa.
***
Pernottamento:
Campeggio River Campsite
***
17 settembre
2006
Lago Natron
Partiamo
alle 8 del mattino con Peter la nostra guida locale, per una lunga camminata al
lago Natron e si torna alle 13 sotto un sole cocente alla temperatura di 42°…
Il
lago è di origine alcalina ed è situato nella rift valley ma l’altitudine
non mitiga affatto la temperatura che a volte è da collasso.
Nonostante la temperatura che al ritorno si è fatta sentire, devo dire che siamo stati proprio bene: è un gran bel posto che merita senz’altro una visita. Lungo il percorso abbiamo incontrato un piccolo mercatino di Masai: erano seduti per terra con tutta la mercanzia in evidenza e sullo sfondo la meraviglia di questo territorio così impervio e desertico. Non resistiamo: qui acquistiamo i nostri ricordini per amici e famiglia, gli acquisti più economici dell’intero viaggio.
Per
arrivare alla riva del lago ci impieghiamo circa 1.5 h. Lungo il tragitto
vediamo carcasse di animali morti in particolare mucche: la vita nel periodo di
siccità dovrebbe essere davvero dura. Ci sono tante impronte di animali:
gazzelle, babbuini, giraffe.
Arriviamo
al lago parzialmente asciutto a
causa della stagione secca ma i fenicotteri ce ne sono in quantità industriali,
peccato che non possiamo avvicinarci più di tanto, sono timidissimi e
oltretutto si sprofonda nel fango.…Un ragazzo Masai si aggiunge autonomamente
alla nostra passeggiata per poi chiedere alla fine una mancia per la compagnia!
Finita la nostra esplorazione del lago torniamo indietro per una strada diversa
da quella usata per l’andata, lungo il percorso attraverseremo ulteriori
villaggi Masai (William non sbaglia un colpo, ci accontenta in tutto!). Unico
grande neo è la temperatura che se all’andata era più che sopportabile
al ritorno è stata abbastanza pesante.
Dopo
essere tornati al campo ed esserci rifocillati con un piatto tipico “chagga”
(tribù del nord) cucinato da Fulgence ripartiamo per un’altra mega
passeggiata di 2,5 ore alla volta delle cascate… potevamo farne un pezzetto
con la jeep ma abbiamo preferito camminare piuttosto che affondare nelle acque
delle cascate vista la quantità di cibo ingerito: questo è stato l’unico
svantaggio dall’avere un ottimo cuoco che ci ha straviziato!!!
L’ultimo
tratto che porta alle cascate è davvero divertente: si guada varie volte il
fiumiciattolo che arriva alle ginocchia ed in una delle quali ho fatto un gran
bel volo, caso ha voluto che
proprio in quel momento la mia dolcissima metà avesse la telecamera puntata su
di me…. Pure documentabile e ricattabile!!! La corrente in alcuni punti è
abbastanza forte.
La
cascata è bella e naturalmente l’acqua è gelata, Peter ci fa passare sotto
la prima cascata e ci fa proseguire internamente dove ne troviamo una seconda,
che spettacolo! Passiamo dei bei momenti a sguazzare con Peter.
Torniamo al campo con l’imbrunire. Pessima nottata non solo per noi ma per tutti gli ospiti del campeggio, la causa: un gruppo cospicuo di ANM di una quindicina di persone che non si è certo distinto per l’educazione ….In genere nei campeggi dei parchi difficilmente si fanno le ore piccole: si cena, si rimane un po’ a chiacchierare e poi si va a nanna. Verso le 23 litigavano animatamente (a ragione) con il capogruppo (difficile non sentirli) dopodiché hanno deciso di andare in discoteca(?) e c’è stato un appello a voce con tanto di ripetizione strillata affinché nessuno all’interno del campeggio non potesse dire di non essere stato coinvolto in tale iniziativa; poi è iniziata la ricerca delle persone: “dov’è X, Y, Z… ” e in questa ricerca una delicata ragazza ha inciampato in un picchetto della nostra tenda e ha inveito contro quegli “ST….” che piantano i picchetti in mezzo al passo (in genere se ci sta una tenda….ci sono pure i picchetti!). Inutile l’appello di qualche partecipante educato che faceva notare di non essere i soli ospiti del campeggio e quindi di moderare il baccano! Appello inascoltato. I preparativi per la “discoteca” sono andati avanti per parecchio… alla fine loro sono riusciti a partire e noi siamo riusciti a chiudere occhio ma per qualche ora perché poi sono tornati (ennesimo casino) hanno caricato le jeep e grazie a Dio se ne sono andati definitivamente. Vi lascio immaginare la mattina al momento della colazione quali sono stati i commenti di tutti verso “’STI ITALIANI”…. E che cavolo se non avevano ragione!!
***
Pernottamento:
Campeggio River Campsite
***
18 settembre
2006
Ultimo giorno di safari e Trasferimento a Moshi
Oggi
è il nostro ultimo giorno: si torna ad Arusha passando per Eugaruka famosa per
le rovine e per i sistemi di irrigazione. Non posso dire che è stata una brutta
visita ma niente di eccezionale.
Arrivati
ad Arusha passiamo da Lazarus, il proprietario dell’agenzia vuole sapere
com’è andata… dopodiché William e Fulgence ci accompagnano alla stazione
degli autobus “imbucandoci” materialmente dentro un autobus che ci porterà
a Moshi dopo poco più di un’ora. Li salutiamo con l’intenzione di
risentirci e ci scambiamo gli indirizzi.
Arrivati
a Moshi abbiamo subito l’occasione di ammirare la vetta del
Kilimanjaro, il tempo di posare i bagagli e usciamo subito; velocemente
faccio un paio di foto al Kilimanjaro dalla terrazza dell’hotel, ma tanto mi
dico le rifarò con più calma nei giorni seguenti…. Naturalmente quella sarà
l’unica volta in cui non sarà coperto da nuvole: la cima non la rivedremo più!!
Moshi
non è molto bella ma è comunque piacevole passeggiarci e soprattutto è
un’ottima base per visitare il Kilimanjaro; impossibile non notare
l’influenza indiana nelle costruzioni; una parte importante della popolazione
e indiana.
L’idea
di arrivare in vetta ci aveva sfiorato più volte da casa, ma poi per paura di
non avere un adeguato allenamento e soprattutto per non avere alcun tipo di
preparazione in tale attività abbiamo desistito per poi pentirci sul posto
quando raggiungendo il primo rifugio e parlando con gente che lo aveva appena
fatto, ci siamo resi conto che avremmo potuto farlo anche noi. Comunque ormai
era tardi per pensarci e anche se con rammarico abbiamo rimandato ad un altro
viaggio.
Abbiamo
organizzato l’escursione al Mandara Hat (primo rifugio) per mezzo del
personale del Kindoroko Hotel che ci ha indirizzato da un amico. Comunque ho
potuto appurare che se si ha intenzione di arrivare solo al primo rifugio si può
prendere una guida direttamente all’entrata del parco del Kilimanjaro,
evitando le agenzie intermediarie e risparmiando qualcosa. Naturalmente in tal
caso ci si deve arrangiare per arrivare a Marangu (circa un’ora d’auto da
Moshi) con i mezzi propri.
***
Pernottamento:
Kindoroko Hotel, 30 $ a notte, camere
minuscole ma pulite, il personale
è simpatico e disponibile.
Cena
al Salzburg: economico ma niente di che, ho ordinato dell’ugali con la carne
ma non era paragonabile con quello cucinato da Fulgence nel safari.
19 settembre
2006
Kilimanjaro
Alle
9 del mattino ci passa a prendere il taxi che ci porterà all’entrata del
parco dove la nostra guida Ashton ci aspetta; paghiamo 60 $ a testa come tassa
d’ingresso al parco e gli impiegati provvedono alla nostra registrazione.
Impieghiamo
3 ore per arrivare al Mandara Hat ed 1 ora per arrivare al cratere Rim, ce la
prendiamo con calma.
Il tratto che mi è piaciuto di più è proprio l’ultimo: quando dal rifugio prendiamo il sentiero per il cratere la vegetazione cambia, ci sono moltissimi alberi che sembrano ricoperti da una spessa ragnatela verde. Ashton ci mostra anche il fiore simbolo del Kilimanjaro: la protea.
Ashton è un botanico ed è
un piacere starlo ad ascoltare, si percepisce benissimo che ama il suo lavoro.
Da lì si ha una gran bella vista panoramica anche sul versante Keniota, peccato
le nuvole nascondano la cima del Kili. Anche le scimmie “sembrano” essere
cambiate con l’altitudine: prima sopra le nostre teste passavano “le solite
scimmie” (non le “ladre” palle-blu del Tarangire) poi ne abbiamo viste
alcune molto più sceniche, le Guereza, sono le scimmie Juventine (...B?..) di
Giorgio, sono bianche e nere, hanno
il pelo lungo e il musino bianco.
Decisamente le più belle mai incontrate. Peccato
che a causa della distanza non riesca a fotografarle.
Ci fermiamo per mangiare il nostro pacchetto-pranzo e qui incontriamo 2
italiani facenti parte del gruppo ANM incontrati al Natron,
il resto del gruppo ha preferito visitare le piantagioni di banane;
riparliamo della famosa notte bianca… loro sono simpatici e cordiali.
Al
ritorno da Marangu verso Moshi chiediamo al tassista di portarci alla stazione
per prenotare il bus per Lushoto: è il caos! Non riusciamo a capire quale sia
la biglietteria ufficiale: il tassista ci indica una scrivania ma lì ce ne sono
tante e lui non è il solo a vendere biglietti per Lushoto…. Il prezzo sembra
più o meno lo stesso e l’autobus (mi sembra Fahasal) è lo stesso!!! Ci
litigano….. Alla fine concludiamo con Arrow l’impiegato consigliatoci dal
tassista, contando sul fatto che fino a quel momento si è dimostrato una brava
persona…. Acquistiamo il biglietto con bus che parte alle 8.30.
***
Pernottamento:
Kindoroko Hotel.
Cena: Deli Chez (di fianco al Coffe Shop indicato nella Lonely) è un ristorante indiano ma cucina un po’ di tutto. Ci siamo fatti consigliare dal personale e siamo stati proprio bene. Il posto è carino si può cenare anche in terrazza, il personale è gentile. Prezzo 10 $ in due.
***
20 e 21 settembre
2006
Visto
che siamo largamente in anticipo arriviamo alla stazione a piedi con gli zaini e
con gli archi acquistati dai Bushmen portati a tracolla: ci guardano e ci
sorridono …. Giorgio propone di montare una freccia!
Alle
8 troviamo Arrow alla scrivania, ci saluta e ci accompagna al nostro bus, dove
all’interno un altro soggetto che ha la lista dei passeggeri cancella i nostri
nomi, dopodiché ci salutano e scendono entrambi. Stranamente l’autobus parte
subito…. ci viene tanto da ridere: pensiamo di essere fra i pochi eletti che
vanno in Africa ed invece di aspettare per ore i ritardi degli autobus riescono
a partire in anticipo. Mai previsione fu più sbagliata e il ridere ci passerà
ben presto….
Dopo
una mezz’oretta il controllore (diverso da quello iniziale) passa a
controllare i biglietti, noi gli mostriamo i nostri e lui candidamente ci fa
capire che quel biglietto è per un altro autobus e forse dovrà farci ripagare
un secondo biglietto!!! Dopo varie trattative con l’autista e con il
controllore e con 40 paia di occhi che seguono attentamente la scena alla fine
acconsentono a non farci pagare il secondo biglietto ma la cosa è stata
abbastanza lunga.
A
parte questo mi è piaciuto molto l’esperienza fatta all’interno di questo
bus ultrascassato, sia per i nostri compagni di viaggio sia per la realtà
esterna che ho potuto osservare dal finestrino: dai villaggi e dalla gente che
camminava lungo la strada, alle stazioni di servizio così povere ma piene di
vita che tanto ci hanno colpito. I venditori ci bussano dai finestrini
offrendoci di tutto dagli anacardi (di cui ho fatto importanti scorte) ad un
vasto assortimento di chincaglieria.
Arriviamo
a Lushoto dopo 3 ore e mezzo, l’ultimo tratto si sale sui monti: le strade
sono strette e senza protezioni laterali, dalle curve a gomito si può godere di
un panorama da brivido sulle valli sottostanti considerando anche che il nostro
bus è colmo di gente e sembra essere tenuto insieme con il filo di ferro….
Non vedo l’ora di scendere!
Alloggiamo
al Montessori Centre (un ostello gestito da suore). Posiamo le valigie e ci
avviamo verso il centro di Lushoto che da lì dista 3 km iniziando a farli a
piedi, sicuri che prima o poi un dalla-dalla ci darà uno strappo: naturalmente
non è passato!
Vediamo
un’Africa ancora diversa da quelle incontrate fino adesso: un’Africa fatta
di terra rosso cupo, di casette costruite con mattoncini rossi, di tanto verde e
terre coltivate.
Ci
sono molte fattorie che producono tra le altre cose anche pane, yogurt e
soprattutto i formaggi come il quack, un formaggio morbido e speziato. Sul posto
sono presenti delle ONG.
Per
le escursioni a Lushoto ci facciamo indirizzare verso la sede del Centro per il
Turismo Culturale (http://infojep.com/culturaltours)
evitando le guide non autorizzate visto che SOLO in tal modo i proventi delle
escursioni andranno a beneficio della comunità....Tali centri sono presenti in
varie zone della Tanzania: Moshi, Pangani, Arusha etc…. Al centro ci sono dei
ragazzi che ci illustrano le varie possibilità di escursione, ci mettiamo
d’accordo con un ragazzo Bacardi per una passeggiata all’Irente View Point,
un punto panoramico che si raggiunge camminando lungo dei bei sentieri tra una
folta vegetazione, con gente che ti saluta e tanti bimbi che sbucano ovunque.
Lushoto ci da un senso di serenità e di pace.
Bacardi
ci dice che nella zona ci sono delle ottime scuole e centri di accoglienza che
sono rarissimi in Tanzania; in particolare quello per i bimbi ciechi e per gli
albini che non essendo accettati dalle famiglie di origine vengono abbandonati
per strada.
Bacardi
non è né fidanzato né sposato, la motivazione ci dice sta nel fatto che per
sposarsi dovrebbe dare una “dote” ai genitori della futura moglie
quantificabile in 40 mucche (mi sembra tanto!) e lui non aveva né i soldi per
comprarle né la voglia di risparmiare mucche per sposarsi.
E’
molto simpatico peccato che quando gli paghiamo l’escursione (comprensiva di
mancia meritata) e gli chiediamo una ricevuta del Centro, lui con una semplice
scusa rimanda al giorno successivo visto che ci accompagnerà pure a Mombo
(circa un’ora da Lushoto) per prendere il Bus della Scandinavian, un bus più
confortevole e veloce per raggiungere Dar Es Salaam e poi Zanzibar.
***
Autobus
Moshi-Lushoto 12.500
Scelllini a testa.
Escursione
all’Irente View Point:
26.000 Scellini in 2.
Pernottamento:
Montessori Centre, Saint Eugene Hotel gestito dalle suore, a 3 km dal centro di
Lushoto, non è a buon mercato, camera doppia con colazione 36 $ + cena 10 $ a
testa al giorno. E’ un po’ più caro rispetto agli altri perché il ricavato
va a finanziare le varie missioni. Le camere e il bagno (pulitissimi) sono
veramente grandi, sembrano dei miniappartamenti, abbiamo un bel balcone con una
gran vista panoramica. Struttura silenziosissima.
***
22
settembre 2006
La giornata nera: Lushoto - Zanzibar
Il
giorno successivo alle 9 del mattino siamo a Mombo, Bacardi è stato puntuale ma
stranamente ha dimenticato la ricevuta….credo che molti contributi destinati
alla comunità di Lushoto si perdano nelle tasche delle guide!!! Da notare che
sia la Lonely Planet che il centro per il turismo tanzano consigliano
apertamente di utilizzare solo le guide di tale centro proprio per il fine in
cui vengono investiti i proventi.
Qua
ha inizio la giornata più pesante: allo sportello ci confermano che il bus
arriverà a momenti, non siamo i soli ad aspettarlo.
Sono le 10 e il bus non si vede; alle
11 non si sa se arriverà, ci
dicono che forse si è rotto per strada quindi o ripieghiamo subito su un altro
bus o rischiamo di perdere l’ultimo traghetto per Zanzibar e in tal caso
dovremmo rimanere una notte a Dar Es Salaam. Saliamo sul primo bus disponibile,
prezzo 20 $ a testa… il viaggio dura quasi 5 ore in un bus “degli orrori”
dove qualche ospite ha pensato bene di farci dei “bisogni consistenti”, dove
ho rischiato di soccombere per tutto il tempo fra il mio Giorgio (che è
tutt’altro che un Pigmeo) e una signora che sembrava essere stata partorita più
che da un paese del Terzo Mondo da un Mc Donald degli USA:
avrà pesato più o meno 150 kg ed ha pensato bene
nell’attesa che il bus ripartisse (circa le 11) di aggiungere un
sostanzioso contributo calorico: si è sbranata in poco tempo un pollo arrosto
con tanto di patate….
Ad ogni curva si rischia di sprofondare fra i due!
L’unico
momento “simpatico” è stato quando dopo una buca presa a velocità
sostenuta altri 3 ospiti sono stati catapultati a gambe all’aria a causa del
cedimento della base del sedile provocando le risate collettive dell’intero
bus, protagonisti illesi compresi.
Arriviamo
a Dar Es Salaam giusto in tempo per prendere l’ultimo traghetto e giusto in
tempo per appurare che è tutto pieno fino al giorno successivo…. Ci
propongono di prendere un volo: 60 $ a testa e parte alle 17, il volo dura 20
minuti, non ci pensiamo 2 volte (il traghetto costa 35 $ a testa e impiega 1 ora
e 1/2 ). Arrivati all’aeroporto che dista pochi minuti d’auto dal porto,
mentre paghiamo il ticket ci lasciamo convincere dallo stesso personale della
Coastal Travel ad acquistare al prezzo di 40 a testa $ (dopo contrattazione)
anche il volo di ritorno. Il ticket per il ritorno ce lo stampano mentre per il
volo di andata visto che è immediato ci rilasciano una ricevuta semplice.
Ovviamente che cosa poteva succedere? Dopo aver passato i vari controlli nel
momento in cui chiamano il nostro volo e ci presentiamo al banco, ci dicono che
la nostra ricevuta non è per la Coastal Travel ma per un’altra compagnia….
Quale? Non si sa! Torniamo indietro di corsa e ci dirigiamo verso l’ufficio
dove abbiamo pagato i ticket … “Ci avranno fregato?” Niente di tutto
questo, una semplice dimenticanza dell’impiegato, si mette a ridere e si scusa
vedendoci arrabbiati: se utilizziamo una compagnia per il ritorno chi l’ha
detto che l’andata debba essere la stessa? AKUNA MATATA ci dice…Rifacciamo i
controlli e finalmente si parte senza più intoppi in un mini aereo con 4
francesi.
Dall’aeroporto
a Stone Town City ci sono 10 km,
prendiamo un taxi: il tassista dai tratti arabi, lungo il percorso ci fa leggere
un articolo col decalogo delle regole da rispettare a Zanzibar: vestirsi
adeguatamente, rispettare i musulmani, chiedere sempre prima di fotografare etc..
Ci
facciamo una passeggiata a Kenyatta Road e poi ceniamo ai giardini Foradhani
dove la sera si raduna molta gente sia turisti che locali. Ci sono tante
bancarelle con una gran quantità di cibo esposto, puoi trovare di tutto: dalla
carne al pesce, pane, patate, zuppe, gelato, thè speziato… non manca niente.
Indichi quello che vuoi, te lo preparano o te lo scaldano direttamente dopodiché
ti accomodi in una panchina e te lo gusti osservando tutta quel clima festoso
che ti circonda.
Ci
sono molte ragazze locali anche non accompagnate da uomini, sono rigorosamente
coperte di nero ma alcune hanno “il vestito”decorato con brillantini e
perline; il viso rimane scoperto (non i capelli)
molte sono truccate ed hanno le mani dipinte con l’henne. Ci sono belle
ragazze dai profondi occhi scuri e dalla forma allungata, sono diverse da quelle
incontrate nel continente, in effetti il tassista stesso ci spiegava che gli
zanzibarini sono un mix fra l’africano puro del continente e l’arabo
dell’Oman.
***
Auto
Lushoto-Mombo (1 ora) 25.000 Th
Bus
Mombo-Dar Es Salaam: 20.000 Th a testa.
Volo
Dar
Es Salaam - Stone Town: 60 $ a testa
Pernottamento
a Stone Town: Mauwani Inn 40 $ la
doppia: camere abbastanza spaziose, pulite, letto stile zanzibarino, personale
gentile, peccato la colazione risicata. Ottima posizione in Kenyatta Road ( http://www.mauwaniinn.com/mauwaniinn.html
).
Bello il vicino Baghani House anche se un po’ più caro 65 $.
Cene:
sempre Foradhani Garden, la sera che abbiamo speso di più è stata 30 $ in 2
per 2 piattoni di pesce compresa l’aragosta (circa 10 $)…
ma se lasci stare l’aragosta mangi bene con 5 $. I locali spendono di
meno, vige il sistema dei doppi prezzi.
***
23 e 24
settembre 2006
Stone Town
Ci
divertiamo a perderci fra le viuzze piene di fascino e di storia di Stone Town,
ci sono dei bellissimi portoni: ci dicono che la casa venga costruita intorno al
portone è che sia la prima cosa ad essere fissata, sembra una leggenda! In una
di queste viuzze entro in un negozio “per donne” e mi faccio dipingere sulla
mano un tatuaggio con l’hennè (5.000 Th),
ci sono 3 donne non coperte dal velo e non sono disturbate dalla presenza
di Giorgio al quale viene anche permesso di riprenderle mentre lavorano. Hanno
le braccia e le gambe (almeno dal ginocchio in giù) coperte da tatuaggi.
Per
quanto riguarda le escursioni ne abbiamo fatte 2: lo Spice Tour, dove ti
mostrano tutte le varie spezie e piante prodotte a Zanzibar con tanto di
degustazione finale. La seconda escursione è stata la visita a Prison Island:
un isola privata dove vengono allevate molte tartarughe, alcune enormi e
centenarie importate dalle Seychelles. Siamo stati accompagnati da Eddy uno
zanzibarino consigliatomi da un ragazzo italiano che gentilmente mi ha lasciato
il numero di cellulare. Eddy è un ragazzo di 28 anni che si offre come guida,
parla molto bene l’italiano e posso confermare che oltre ad essere
molto simpatico è molto bravo nel suo lavoro.
Dopo
Prison Island siamo andati a fare un bel giro sulla città questa volta
“guidato” nel senso che Eddy ci ha accompagnato nelle parti più
interessanti di Stone Town accontentandomi anche nella ricerca dei portoni più
belli che sono risultati essere quelli arabi. Nonostante avessimo già visitato
Stone Town da soli, ci siamo resi conto che le spiegazioni di Eddy sono state
fondamentali per capirla e per conoscerla veramente.
***
Pranzi:
Moonson Restaurant 12.000 Th a testa, bell’ambiente ma niente di eccezionale
il cibo.
Mercury’s un pochino più caro, cibo senza infamia e senza lode.
Escursioni:
Spice Tours 35.000 Th in 2 prenotato tramite albergo, abbiamo appurato che i prezzi che sono uguali
Prison Island: Barca 30 $ in 2 – ingresso isola 2 $ a testa
Eddy il numero di cellulare: 0777438043
***
25/26/27
settembre 2006
Nungwi
Nungwi
è a nord di Zanzibar ed è una delle poche spiagge che risente poco del
fenomeno delle maree, quindi in pratica il bagno lo si può fare sempre, non che
nelle altre spiagge non si può, è solo che in certi momenti della giornata si
deve camminare un po’.
Il
mare a Nungwi è bello, peccato che la spiaggia non sia molto grande: nel
pomeriggio pur non essendoci così
tanta gente ti ritrovi tutti sullo stesso pezzettino di spiaggia.
Ho
trovato molto bello il tratto di spiaggia che da Nungwi porta a Kendwa, belle
spiagge e un’acqua cristallina: Kendwa mi è piaciuta molto più di Nungwi.
Indimenticabili
sono state le immersioni fatte con il Diving interno al Ras Nungwi Hotel. Il
Diving come mi era già stato detto è ottimo; le immersioni all’atollo di
Mnemba, raggiunto dopo 1h 30 di barca sono state meravigliose, una più bella
dell’altra, altro che nuotare in mezzo ad un acquario….
***
Taxi
Stone Town – Nungwi: 25.000 Th
Pernottamento:
Amaan Bungalows: 40 $ la doppia in giardino (90 $ vista mare – 70 $ in
giardino con aria condizionata – 40 $ in giardino con ventilatore). Camere
belle e linde.
Cena:
Fat Fish davanti ad Amaan con 15.000 Th mangi bene e in abbondanza, idem nel
ristorante di fianco. Es. piatto unico a base di polipo o pollo 6.000 Th.
Immersioni
a Mnemba: 230 $ - 4 immersioni meravigliose (comprensive di: 30 $ a
testa come tassa per immergersi a Mnemba che è un’isola privata, pranzo,
attrezzatura completa e barca, ci vuole 1h e 30 per raggiungere il punto di
immersione).
***
28/29/30
settembre 2006
Paje: il Paradiso
Ci
spostiamo verso la nostra ultima tappa a sud di Zanzibar: Paje, la più bella.
Il
nostro bungalow è proprio di fronte ad un mare pieno di sfumature azzurre, in
un bellissimo tratto di spiaggia molto ampio, la sabbia è bianchissima.
Paje
è un luogo dove s’incontrano pochi turisti e molta gente locale.
Una
mattina siamo andati a vedere i
delfini a Kizimbazi è stato bello perché ovviamente vedere un bel branco di
delfini in libertà non è cosa di tutti i giorni ma non ripeterei
l’esperienza molto invasiva.
Siamo
stati un’ora abbondante a scorazzare in barca per fargli la posta insieme ad
altre barche. Quando i delfini sono passati tutte le barche compresa la nostra
gli sono corse dietro, una volta raggiunti ci si tuffa di corsa con boccaglio e
maschera con la speranza che ti passino vicino o che non se ne siano già andati
dopodichè si risale velocemente in
barca per corrergli dietro di nuovo e ricominciare l’iter...
Da
Paje abbiamo fatto delle belle passeggiate: verso Bwejuu, gran bella spiaggia
ornata di palme e Jambiani che nonostante le belle recensioni a me non è
piaciuta per niente.
Paje
risente molto del fenomeno delle maree: la mattina l’acqua si ritira e le
donne approfittano per raccogliere le alghe, puoi camminare un centinaio di
metri prima di trovare l’acqua alta, è bello vedere tutta la vita che rimane
sul fondo e aspetta di essere ricoperta di nuovo nel primo pomeriggio.
A
Paje abbiamo trovato un paradiso.
***
Taxi
Nungwi-Paje circa 2 h 30 – 50.000 Th da dividere in 4.
Pernottamento:
Kinazi Upepo 45 $ in 2 bungalow di fronte al mare, bello, pulito e spazioso.
Ristorante:
Kinazi Upepo, è ottimo sia
il cibo che l’ambiente: ha una bella vista sul mare. Con 5 o 6 $ a testa
prendi un piatto unico.
Escursione
delfini Kizimbazi 35 $ a testa
Taxi
Paje–Aeroporto di Stone Town: 40.000 da dividere in 4. Attenzione ai traghetti
sono spesso pieni: le 2 persone che hanno condiviso il taxi con noi li abbiamo
salutati al porto e ce li siamo ritrovati poco dopo all’aeroporto a causa dei
traghetti pieni per tutto il giorno…
***
CONCLUSIONE
Questo
è stato il nostro viaggio in Tanzania, dire che sia stato meraviglioso sembra
scontato dopo tutte le volte che l’ho ripetuto nel diario.
L’unica cosa che mi sento di dire con assoluta certezza sulla Tanzania
e sull’Africa in generale è che dopo averla vista e respirata una volta non
si può non tornare.
Enrica Galmacci