Rio Caura, marzo 2004

Quinto mese in Venezuela

di Stefano e Donatella

 

 

 

Dopo aver festeggiato il Carnevale a El Callao (paese di tradizione mineraria, a circa cinque ore di autobus da Ciudad Bolìvar), decidiamo di spingerci nella zona centro meridionale della regione Guayanesa. Il viaggio, che durerà cinque giorni, ancora una volta inizia da Ciudad Bolivar, e ha come meta la risalita del Rio Caura, affluente di destra del Rio Orinoco e che, con i suoi 720 km, e´ il terzo fiume del Venezuela. Il giorno 5 di marzo alle 4 del mattino partiamo in macchina da Ciudad Bolivar in direzione ovest. Dopo circa 4 ore di viaggio, lasciamo la strada asfaltata e ci immettiamo su una sterrata che percorriamo, dopo un cambio di veicoli, a bordo di un fuoristrada, in circa 40 minuti. Alle 10 del mattino, dopo una abbondante colazione all´accampamento base di Trincheras, iniziamo la risalita del rio Caura. Navighiamo per circa sette ore, a bordo di una curiara (la tipica canoa indigena, ricavata da un tronco unico e che può superare i 10 metri di lunghezza) spinta da un motore di 40 cavalli. In questo periodo il fiume raggiunge quasi il suo minimo di profondità, scendendo di 4/5 metri rispetto al momento di piena. Ciò rende il paesaggio più vario, con le rocce nere che emergono sulla superficie dell`acqua e che però rendono la navigazione più lenta e complicata. Dopo 120 km di rapide, comunità indigene e tanta foresta, arriviamo in un posto incredibile, chiamato El Playon. Oltre questo punto la canoa non può avanzare, le rapide aumentano, e questo comunque è il nostro punto di arrivo. 

 

El Playon

 

L`accampamento nel quale ci sistemeremo sorge al limite di una bellissima spiaggia di sabbia bianca che, dalla riva del fiume, si sviluppa in profondità per circa 200 passi. Tutto intorno la fitta e bellissima foresta che si inerpica su scoscese colline alte non più di 100 metri. L`accampamento, gestito dagli indigeni Yekuana, è costituito da nove grandi churuatas (capanne) di forma circolare, con una base di circa 15 passi di diametro, e uno sviluppo conico della copertura, che raggiunge un`altezza tra gli 8 e i 9 metri. Le capanne sono costruite secondo tradizione, con pali di legno e fogliame per il tetto. Tutta la struttura è assicurata con legature di fibre estratte dalla foresta, e senza l`uso di un solo chiodo. Non c´é acqua corrente, ma ci sono i bagni, con grandi bidoni di acqua a disposizione. Per lavarsi si va al fiume, che in questa zona é sicuro, non ci sono serpenti e nemmeno caimani, anche se in queste acque sguazzano parenti delle pirañas, dalla dentatura poco simpatica. Il posto è veramente bello e tranquillo, sistemiamo le amache e cominciamo a guardarci intorno. Sulla destra, poco fuori dalla nostra capanna, è sistemata una statua di legno: è il così chiamato mono pensador (scimmia che pensa), una figura antropomorfa che, con la testa fra le mani, dalla spiaggia guarda verso il fiume. Tutto intorno pezzi di tronco sui quali ci si può sedere e condividere la bellezza e la tranquillità del posto. Il sentiero, che dalla spiaggia si inoltra verso la foresta, è freneticamente trafficato da un gruppo di indigeni. 

Si tratta dei Sanema, una sub-tribù Yanomami che, nonostante la bassa statura, tra i 140 e i 150 cm, sembrano dotati di grande forza, visto che trasportano sulle spalle carichi di 40/50 kg, camminando nella foresta per oltre tre ore prima di arrivare a una comunità situata più in alto. Il buio arriva rapido a queste latitudini, ma l`accampamento ha un suo gruppo elettrogeno, che viene tenuto acceso fino alle dieci della notte. Una delle capanne è adibita a cucina, anche se, in realtà, le uniche strutture in dotazione sono il grande tavolo e le panche su cui sedersi. Tutto il resto, pentolame, fornello, bombola del gas, e naturalmente i viveri necessari, hanno viaggiato con noi sulla grande canoa. Come sempre, dopo una lunga giornata, e complice la straordinaria bellezza del posto, anche una semplice cena a base di riso e pollo diventa sublime. Nonostante la fame, rinunciamo al raddoppio del piatto perchè, al nostro stesso tavolo, ma un pò defilati, si è seduto un gruppo di indigeni Sanema, tra i quali solo uno parla castellano. La comunicazione con Raphael, indigeno Sanema, è simpatica, ha la battuta pronta e tutti gli altri pendono dalle sue labbra, ma, soprattutto, ci accorgiamo che pendono dalle nostre forchette. Capiamo che hanno fame, e così, messa sul tavolo una pentola con ciò che rimane di riso e pollo, gli uomini si spartiscono il cibo, riservando qualche cucchiaiata anche a un bambino, mentre le donne, più distaccate e in seconda fila, non mangiano. La luna piena, un bel silenzio naturale e la comodissima amaca ci fanno passare rapidamente nel mondo dei sogni e dei sonni. L`alba è preceduta da una certa agitazione che proviene dalla foresta e i versi più strani dei più strani uccelli si concentrano nella nostra capanna. L`aria è fresca e umida, la luce di prima mattina è quella dei forti contrasti e l`evaporazione dell`acqua forma sulla superficie del fiume una neblina che dá al paesaggio un aspetto primordiale. Dopo un`abbondante colazione partiamo per una camminata di tre ore nella selva per raggiungere il Salto Para. Con noi ci sono Anne e Richard, una coppia anglo-francese, e Marco, la guida venezuelana. Il percorso inizia con una ripidissima ascesa di circa 200 metri e che ci porta a una settantina di metri sul livello del fiume. A parte qualche breve tratto, tutto il pecorso si snoda, al riparo del fortissimo sole, tra la fitta foresta, dove il verde intenso è intercalato dal giallo dei bellissimi fiori dell`araguaney, l`albero nazionale, o dal rosso dei fiori della cayena india.

 

 

Scuola Elementare della Comunità Indigena “La Poncha”

 

L`enorme varietà della flora è, per gli indgeni, una fonte sicura per l`approvigionamento di sostanze utili per la cura o il sollievo psico-fisico, ma anche per la raccolta di materiali usati per la costruzione delle churuatas e per la lavorazione di prodotti artigianali. E così passiamo dalla cana da india, diuretico e anti fatica, alle piante afrodisiache, dalla palma real, le cui foglie si usano per la copertura delle capanne, al coco de mono, il cui frutto è mangiato dalle scimmie (mono) e la cui dura scorza è usata dalle donne indigene per depilarsi. Procediamo tra l`incessante verso delle chicharras (cicale), i grandi nidi di termiti, i coloratissimi tucani dal becco spropositato, i bellissimi guacamayo, grandi pappagali dal piumaggio rosso, giallo e azzurro, il picchio carpintero e le aquile pescatrici. Questo è tutto ciò che vediamo per aria, lungo il sentiero invece è difficile non notare la solitaria hormiga venticuatro, una formica nera più lunga di un centimetro, il cui morso, come dice la parola, lascia strascichi per circa 24 ore. Altre formiche, più sociali e più piccole, sono le bachaco culòn. Anche in questo caso il nome indica qualcosa: gli indigeni sanema catturano queste formiche e ne spremono la parte posteriore, per estrarre un liquido piccante, che usano per condire i cibi. Vediamo tane di armadillo e impronte di tigre (giaguaro), animale notturno difficilissimo da incontrare. Siamo più fortunati con le tarantole: individuata una tana scavata nel terreno, la guida prova a stuzzicare l`ospite con un sottile ramo introdotto per pochi centimetri nella tana. Dopo un pò di titubanza la tarantola si espone e esce in difesa del proprio territorio. Fa realmente impressione: il corpo è grande quanto una mano, il tronco e l`addome sono massicci e ricoperti, come le zampe, di una folta peluria di colore marrone scuro. Infastidita dalla nostra presenza, la tarantola reagisce, assumendo la tipica posizione di attacco, con le zampe anteriori portate verso l`alto. Ci allontaniamo con tranquillità e la tarantola riconquista la sua posizione, rifugiandosi nella tana. Il cammino riprende, e ogni tanto, lungo il sentiero, incontriamo piccoli gruppi di indigeni Sanema con i loro pesanti carichi sulle spalle. Ogni volta che questo succede, ci spostiamo di lato e, per una forma di rispetto, lasciamo loro il passo. Come già detto, non parlano castellano, per cui, a ogni nostro saluto, rispondono al massimo con un "ah ah" o "uhm uhm". Poco prima di mezzogiorno arriviamo nelle vicinanze di un piccolo villaggio che raggruppa le etnie Pemon, Yekuana, Sanema. 

 

Sanema sul Rio Caura

Sembra che non gradiscano molto l`intrusione degli stranieri, per cui non entriamo e ci limitiamo a fare qualche fotografia da lontano. Dopo pochi minuti e qualche centinaio di metri arriviamo al Salto Para. Lo spettacolo che si gode dal mirador (belvedere) è bellissimo. Una serie di cascate disposte a ferro di cavallo che, alimentate dall`Alto Caura, precipitano per una cinquantina di metri. In questo periodo di secca si contano otto cascate, l`una separata dall`altra da imponenti rocce nere o strisce di verdissima vegetazione. Durante la stagione delle piogge, invece, l`apporto d`acqua è tale che queste otto cascate diventano una cosa sola. Poco più a monte del salto, sulla sinistra, c`è un piccolo insediamento indigeno costituito da tre o quattro capanne, sulle rocce circostanti i resti di una grande canoa, forse travolta dalle acque. Più a valle, subito dopo il salto, si apre una grande laguna che più tardi raggiungiamo attraverso una ripidissima discesa. Anche qui lo spettacolo è stupendo. Sulla riva destra una grande spiaggia di sabbia bianca e finissima, chiusa verso il suo limite interno da una scoscesa collina, ricoperta dalla tipica vegetazione tropicale. Di fronte, sulla riva opposta, la visione, questa volta dal basso, delle cascate del Salto Para. Nel mezzo le acque della laguna, che in questo punto hanno già perso l`impeto e la forza della caduta e sono tranquille e invitanti per un salutare bagno. Le acque del Rio Caura, come quelle di altri fiumi venezuelani, sono negre, anche se non tanto quanto quelle, ad esempio, del Rio Negro in Brasile. Questa particolare colorazione scura è il risultato di complesse reazioni chimiche che connotano le acque con una forte percentuale di acido tannico. Ci godiamo lo spettacolo per circa un`ora, dopo di che riprendiamo la via del rientro, ancora tra la selva e ancora tra pappagalli e tucani. In poco meno di tre ore siamo di nuovo al nostro accampamento di El Playon, forse ancora più bello alla luce del tardo pomeriggio. Dopo una camminata di sei ore e una giornata trascorsa tra la bellezza selvaggia di questo posto, anche una birra fresca, comprata nel piccolo spaccio del villaggio, diventa speciale. Il sole tramonta rapido, riorganizziamo i nostri zaini e ci prepariamo per la cena, con il miraggio dell`amaca nella capanna affianco. Alle dieci della notte si spengono le luci e noi in pochi minuti crolliamo in un profondo sonno. Domani mattina ci dovremo alzare presto, per ridiscendere in canoa il Rio Caura, e iniziare così il nostro rientro.

 

Al prossimo racconto.

Hasta luego.

 

Stefano e Donatella   trullalli@yahoo.it  

 

 

 

 

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