Perù
Diario di viaggio agosto 1997
29 Luglio - Partenza da ROMA
30 Luglio - Lima
31 Luglio - Lima
1 Agosto – Partenza per Pisco e Parco naturale di Paracas
2 Agosto - Pisco, Islas Ballestas e partenza per Nasca
3 Agosto - Nasca, Cementerio, Linee e partenza per Arequipa
4 Agosto - Arequipa
5 Agosto - Arequipa
6 Agosto - Arequipa
7 Agosto - Arequipa, Colca Canyon
8
Agosto - Colca Canyon
9 Agosto – Puno
10 Agosto – Puno e dintorni
11 Agosto – Lago titicaca: isole Uros e Amantanì
12 Agosto - Ritorno a Puno
13 Agosto - Viaggio Puno-Cuzco
14 Agosto – Cuzco
15 Agosto - Ollantaytambo e Aguas calientes
16 Agosto - Machu Pichu e l’orrendo ritorno
17 Agosto - Il mercato di Pisac e le rovine – Hoy al horno
18 Agosto - Cuzco: visita della città
19 Agosto - Viaggio per Lima
20 Agosto - Viaggio per Santo Domingo
29 Luglio - Partenza
Roma
-Madrid 7,30 p.m.--10,00 p.m.
Madrid
- Santo Domingo 3,00 a.m.-- 6,20
a.m.
Santo Domingo - Lima 7 a.m. 10,30 a.m.
30
Luglio - Lima
Il
viaggio con l’Iberia è stato tranquillo (ma lungo): neanche un piccolo
ritardo, il personale gentile ed i pasti buoni; soprattutto abbiamo apprezzato
molto il salmone che ci hanno servito dopo lo scalo di Santo Domingo.
All’arrivo
eravamo comunque piuttosto stanchi e il duro impatto col Perù si è fatto
subito sentire. Già l’aeroporto internazionale di Lima ha un aspetto
arrangiato e raffazzonato, oltre al fatto di essere piccolo: per esempio c’è
un solo rullo per i bagagli per tutti i voli in arrivo. Inoltre, passata la
dogana e consegnata la carta turistica, prelevati i bagagli regolarmente giunti
a destinazione, non c’è che un piccolo cambio con un unico sportello, dove
abbiamo cambiato 350$ contro 750 sol, dunque a 2,5 ed 1sol=720£, e null’altro.
Zaini
in spalla ci lanciamo verso l’uscita, nella mischia, dove in tanti, parlando
italiano, ci offrono il trasporto per Lima Centro a 15 dollari.
Forti
delle informazioni contenute nella guida LP abbiamo schivato tutti, cercando di
raggiungere un certo angolino dove, dice la LP, i taxi costano un po’ meno; ma
non riusciamo a seminare una ragazza che ci tampina, alla quale infine decidiamo
di offrire quanto la LP ci consiglia: 10 soles totali.
Incredibilmente
accetta. C’è una bella differenza tra 15$ (quasi 30 mila lire) e 10 soles
(7.200 lire)! Bene, dunque decidiamo di seguirla e ci porta da un tassista al
quale la ragazza ‘gira’ la nostra offerta, ma quello rifiuta. Non c’è
nessuno che accetta di prenderci per quel prezzo, dunque la ragazza ci cede ad
un suo concorrente che ci seguiva già da tempo. Il concorrente, Martinez, trova
subito un taxi disposto a prenderci per quella cifra e montiamo in macchina.
Il
tragitto fino in città dura circa quaranta minuti, si svolge in un traffico
infernale e caotico, poiché tutti fanno un gran baccano suonando i clacson,
oltretutto in una gara di originalità dei suoni che sembrano quelli dei
videogiochi. L’aria è calda e piena di smog e Martinez ci spiega che questa
alta temperatura di 30 gradi è del tutto insolita e causata dal fenomeno del niňo;
in realtà ora sulla costa è inverno e dovrebbero esserci 15/20 gradi C.
Sulla
LP individuiamo anche qualche albergo economico al centro di Lima, ma Martinez
cerca di dissuaderci ed insiste per portarci nel moderno quartiere di Miraflores.
Col cellulare telefona all’albergo al quale noi vorremmo andare e ci riferisce
che è pieno; noi insistiamo però nel voler andare a Lima centro e lui ci porta
ad uno che conosce lui, che però è parecchio trasandato e sporco. Cediamo
allora per farci portare a Miraflores, come voleva lui, essendoci resi conto che
Lima centro non è particolarmente attraente; non abbiamo poi avuto modo di
cambiare opinione.
Per
andare a Miraflores percorriamo la lunghissima e trafficatissima Avenida
Arequipa finché giungiamo al ’Nuovo Hotel Eiffel’, tanto nuovo che ancora
non è terminato, ce lo stanno praticamente costruendo sotto i piedi. Credo che
siamo i primi clienti. Costa 35$ la tripla con bagno, mentre quell’altro al
centro costava 25$, ma la differenza tra i due è abissale.
E’
l’una; lasciamo gli zaini in camera e subito siamo operativi. Su indicazioni
dell’albergatore raggiungiamo, dietro l’isolato, l’Avenida Arequipa, da
dove partono i taxi collettivi che caricano passeggeri a non finire e che vanno
verso il centro.
Oltre
all’autista sul taxi collettivo c’è anche il bigliettaio che apre e chiude
continuamente lo sportellone laterale del bus e grida ‘Arequipa, Arequipa!’
per indicare il tragitto percorso e carica tutti, ma proprio tutti, come se non
esistesse problema di spazio e posti a sedere. Questi pulmini infatti hanno più
file di sedili del dovuto (un ‘dovuto’ tutto italiano) e lo spazio tra una
fila e l’altra è pochissimo, Stefano ci entra a malapena.
Dunque
ripercorriamo nuovamente la strada fino in centro per circa 20 minuti (1 sol a
testa) per andare a visitare la Plaza de Armas. I pulmini strombazzano nel caos
più totale e si rincorrono tra di loro, si sorpassano e si tagliano la strada,
per poter arrivare prima degli altri alla fermata e non perdere i potenziali
passeggeri.
Nella
Plaza de Armas di Lima non ci sono le bancarelle con gli zupponi di mais, i
tacos e le tortillas come sullo Zocalo di Citta del Messico; non c’è alcuna
atmosfera caratteristica; a Mexico DF invece la messicanità la si respira
subito, è immediata ed esaltante.
La
via principale del centro di Lima, Jiron de la Union, che collega la Plaza de
Armas – la visita alla Cattedrale costa (4 sol)- a Plaza San Martin è un
pullulare di negozi di magliette di cotone e jeans a poco prezzo e di venditori
ambulanti di guanti di plastica da cucina, porta abiti, accendini, mutande, ecc,
tutto in vendita a 3, 5, 10, 50 soles. I peruviani sono scatenati negli
acquisti.
Per
pranzare ci piacerebbe un posticino caratteristico, ma non troviamo che pizza a
taglio, hamburger e gelati; tutti posti in stile McDonald. Per non cedere alla
globalizzazione abbiamo infine optato per un postaccio dove abbiamo pranzato con
uno sbobbone che era praticamente un frullato di gallina lessa, brodo e uova,
accompagnato con riso lesso ed il tutto annaffiato (incomprensione con la
cameriera) da Inka-Cola, una bibita verde al sapore di big-buble che fa
veramente schifo.
Cerchiamo
di uscire dal marasma e troviamo un po’ di pace alle spalle della piazza,
all’Iglesia di San Francisco, che visitiamo (5 sol) con un tour guidato da una
ragazzina che ci recita a memoria la lezione mentre attraversiamo le sale del
monastero, il chiostro, l’antica biblioteca e le catacombe che contengono
mucchi di teschi ossa umane. Poi ci rilassiamo sugli scalini della chiesa, ma il
cielo subito si ingrigisce e viene giù un’acquazzone.
Quando
smette la pioggia ci rimettiamo in marcia e raggiungiamo Plaza San Martin dove
ci sono diverse agenzie di viaggio nelle quali è possibile acquistare i voli
aerei nazionali a prezzi che non abbiamo poi più trovato (66$), ma noi non
l'abbiamo preso perché pensavamo di rivolgerci a Martinez, che invece non siamo
più riusciti ad incontrare. Alle sette eravamo in albergo e già dormivamo.
31 Luglio - Lima
Ci
siamo svegliati presto: alle cinque. Ne approfittiamo per visitare subito la
città, ma sarà una giornata all’insegna del caos dei bus incomprensibili nei
loro tragitti, delle informazioni contrastanti dei passanti, nel tentativo di
visitare i musei enormemente distanti tra loro e sconosciuti ai più, nel caldo
e nello smog, faticosamente cercando di contrastare un forte mal di testa.
Il
primo museo che visitiamo è il museo F. Herrera (15 soles) che raggiungiamo
appunto col collettivo, prima lungo l’Avenida Arequipa, poi cambiando
all’incrocio con la Avenida 9 de Diciembre; segue infine un lungo tratto a
piedi tra le macchine puzzolenti e per giunta insolenti coi pedoni, impazienti e
nervose.
Il
museo F. Herrera contiene una collezione privata di ceramiche e di tessuti di
culture pre-incaiche, soprattutto quelle famose di Nazca e Paracas, è
conosciuto soprattutto per una sala contenete ceramiche erotiche, ci sono anche
un paio di mummie. E’ un’oasi di pace, siamo quasi i soli visitatori.
Successivamente
raggiungiamo faticosamente il non vicinissimo museo di Archeologia e
Antropologia (5 soles) carino e piccolino.
Dunque
ci ritroviamo nuovamente nel traffico caotico e raggiungiamo, in tutt’altra
direzione, il museo De La Nacion dov’è esposta la meravigliosa tomba del
Signore di Sipan, un ritrovamento di pochi anni fa. E’ ottima l’esposizione
della mostra, sono ottime le ricostruzioni ed è anche ottima la visita guidata
in spagnolo (o in inglese). Poi, nello stesso edificio che è una brutta e
grossa costruzione in cemento, ai piani superiori, c’è un altro museo
archeologico che ripercorre tutte le culture pre-incaiche: mummie, ceramiche e
tessuti, fino alla ricostruzione dei siti più famosi e dunque di Machu Pichu.
Il tutto un po’ trascurato.
Alla
stazione della Ormeno, la più grossa compagnia di pullman del Sud America, che
sta in un luogo buio e malfamato dietro al palazzo di giustizia, abbiamo
acquistato i biglietti per la partenza di domani, destinazione Pisco. Non è
possibile prenotare le tratte successive.
Frattanto,
e sono le sei del pomeriggio, si fa sera, e nel caos, traffico, schifo, sporco
riprendiamo il bus per tornare a Miraflores e cercare Martinez al quale avevamo
promesso di acquistare il biglietto aereo Cusco-Lima; ma il suo ufficio, una
porticina in un grosso edificio, è chiuso.
Per
la serata decidiamo di andare al quartiere di Barranco, descritto nella LP come
il quartiere degli artisti, dei localetti notturni e delle coppiette che si
danno appuntamento al Ponte dei Sospiri.
Ma
non troviamo assolutamente nulla di particolarmente attraente, ne’ tantomeno
locali per mangiare qualcosa di appetitoso; sotto il Ponte dei Sospiri non
scorre acqua ma piuttosto alcuni rifiuti seppure ci sono effettivamente giovani
coppie peruviane che si baciano.
Proseguiamo
fino al mirador che si affaccia sull’oceano, bello, e torniamo nuovamente a
Miraflores, in albergo.
1 Agosto – partenza per Pisco e Parco naturale di Paracas
Ci
siamo svegliati presto anche oggi, alle cinque e mezza.
Zaini
in spalla andiamo sull’Av.Arequipa e fermiamo un taxi che per 7 soles ci porta
tutti e tre, in 20 minuti circa, alla Ormeňo.
Un
veloce caffe’ ed alle sette siamo in viaggio, per circa quattr’ore.
Finalmente
usciti dal traffico della città non c’è che una interminabile baraccopoli
nel deserto, dall’una e dall’altra parte della strada. E’ così per
chilometri e chilometri, baracche in una terra desolata, baracche in un deserto
fatto di terra. Ma come diavolo campano? Il Perù ha circa 23 milioni di
abitanti, di cui ben 7 vivono nella capitale!
Poi
la Carrettera Panamericana raggiunge l’oceano e vi si accosta: lunghissime
desolate spiagge di terra in un cielo grigio di foschia, tipica dell’inverno
sulla costa. Il panorama non cambia per ben quattr’ore finché, in un
susseguirsi di deserto e baracche, giungiamo a Pisco.
Ahime’,
il panorama ancora non cambia affatto: baracche, mattoni, polvere e sporcizia;
esistono fortunatamente due piazze decenti, perlomeno un po’ ripulite, coi
giardinetti e le panchine e nient’altro, Pisco è tutta qua. Non siamo ancora
scesi dal pullman che ci sommergono di bigliettini degli hotel e ci offrono le
gite alla penisola di Paracas e alle Islas Ballestas (tra cui Martinez, un
altro), ma questa volta non vogliamo farci incastrare da nessuno.
Ci
dirigiamo decisi verso la piazza principale e visitiamo alcuni hotel, finché
scegliamo, in un equilibrato rapporto qualità prezzo, il Belen (45 soles la
tripla senza bagno). Lasciamo gli zaini nella camera che è ormai quasi ora di
pranzo; non facciamo in tempo a mettere piede fuori dall’albergo che troviamo
inaspettatamente Martinez con un pulmino che ci attende per la gita al parco
naturale di Paracas (10 soles + 3 soles d’entrata al parco a testa). In
effetti non avevamo programmi per il pomeriggio e decidiamo di unirci alla
spedizione, seppure un po’ di nullafacenza non ci sarebbe affatto dispiaciuta.
Siamo
circa otto persone tra tedeschi, peruviani e italiani (solo noi tre); Martinez
non viene, ma in compenso ci lascia ad un’altra guida che è una specie di
indiano (ha l’aria di essere un indiano d’America, coi capelli lunghi ed una
fascia rossa in testa) che presto scopriamo che non tace mai. Continua a
raccontare senza sosta una serie di aneddoti convinto che il suo modo di parlare
spagnolo, per la lentezza con cui parla e la gestualità accentuata, sia
comprensibilissimo a tutti i presenti.
Si
interrompe facendoci indovinelli e domande, ma noi imbarazzati non osiamo dirgli
che pur essendo italiani - e dunque dovremmo teoricamente comprenderlo più
degli altri stranieri- non capiamo invece neanche una parola di quel che dice o
perlomeno non se ne afferra il senso. In particolare ha una predilezione per gli
argomenti che riguardano l’acqua.
Percorriamo
dunque la strada sterrata che costeggia il mare: spiagge deserte, barche di
pescatori, cumuli neri di reti da pesca, odore acre della fabbrica del pesce, ed
entriamo nella riserva di Paracas.
Il
panorama è una landa desertica sulla quale la vista si perde lontano; la terra,
più è vicina alla costa e più è rossa; scende sulla spiaggia oceanica con un
forte dislivello di circa 50 metri. La vista si perde in ogni direzione: sul
mare, sulla spiaggia, sul cielo e sulla distesa desertica alle nostre spalle.
Discendiamo
in fila indiana verso la spiaggia e
raggiungiamo la roccia scavata dal mare: la ‘Cattedral’, disturbando il
lavoro paziente e silenzioso dei pescatori che spicciano le reti. L’indiano
continua a parlare incessantemente, ci rivolgiamo sguardi perplessi; poi scava
con la mano nella sabbia e ne trae entusiasta una grande quantità di animaletti
saltellanti. Il posto è molto bello, ma nessuno ha il costume da bagno.
Risaliamo sul pulmino che ci attende in cima alla salita e, accaldati e sudati,
ripercorriamo una parte della strada per andare a vedere la roccia dall’alto.
Dunque
proseguiamo verso una piccola baia con un porticciolo di pescatori ed alcuni
ristorantini sul mare, dove abbiamo pranzato benissimo mangiando ottimo pesce
fritto e alla plancia e cheviche di polpo.
Anche
la visita ad un piccolo museo (1,5 sol) nella riserva di Paracas, che contiene
alcune ceramiche, tessuti, mummie crani allungati, crani bucati e cartine
geografiche con ricostruzioni delle zone abitate dalle varie culture
pre-incaiche, si trasforma in un tormentone di spiegazioni interminabili ma
soprattutto incomprensibili, dell’indiano.
Usciamo
dal museo quando comincia a scendere il crepuscolo; risaliamo tutti sul pulmino
e prendiamo la strada del ritorno. Sulla spiaggia, lontani lontani, l’indiano
avvista i flamencos; fermiamo il
pulmino e pian piano ci avviciniamo, per vederli da vicino. Quando siamo sulla
riva dell’oceano rompiamo il silenzio con un battito di mani ed i flamencos
s’alzano in volo, spiegando le ali bianche spezzate da una striscia rossa.
Ci
siamo poi accordati per la gita di domani alle Islas Ballestas, partenza ore
sette.
A
cena siamo andati al ristorante consigliato dalla guida LP ‘Don Manuel’ che
ci ha pienamente soddisfatto; la cena è stata base di pesce, filetto
all’aglio (15 soles circa).
2 Agosto - Pisco, Islas Ballestas e partenza per Nasca
Io
e Renata già dormivamo quando ieri sera una ragazza ci è venuta ad avvisare
che la gita è stata anticipata alle sei, adducendo motivazioni relative al
tempo e a disposizioni di sicurezza della capitaneria di porto. Probabilmente
avevano semplicemente bisogno della barca il più presto possibile per poi fare
un altro carico di turisti in mattinata. La spiegazione che ci da’ Stefano,
che è l’unico che ha parlato con questa ragazza, non è chiara e siamo
perplesse e soprattutto stupite che lui da solo sia riuscito a comunicare con un
essere umano di lingua straniera.
Il
pulmino di Martinez è venuto a prelevarci all’albergo alle sei, ed alle sette
eravamo al porticciolo turistico dove ci fanno attendere qualche minuto prima di
imbarcarci.
I
tucani sono appollaiati sull’oceano piatto delle prime ore della mattina;
altri tucani si agitano attorno alle barche dei pescatori che sciolgono le reti
sperando di buscare qualche scarto di pesce. Gli uccelli predatori si tuffano in
velocità, a picco nell’acqua, per catturare le loro prede.
Saliamo
tutti, una quindicina di persone circa, sul barcone e prendiamo il largo.
Da
lontano, sulla costa vediamo la prima delle linee di Nasca, il candelabro,
l’unica visibile dal mare perché disegnata sulla fiancata della duna rossa
che scende fin sulla spiaggia.
La
guida ci spiega il sistema di correnti e turbini di vento generate dal calore
delle rocce che fanno sì che i solchi rimangono sempre naturalmente puliti.
Quindi
proseguiamo verso il largo finché non avvistiamo le isole del guano che
costeggeremo. Decine e decine di leoni marini sono stancamente afflosciati sulle
rocce e incuriositi ma anche
annoiati dalla nostra presenza, reagiscono con grandi sbadigli o ruggiti oppure
si gettano in acqua e vengono a nuotare intorno alla nostra barca. Su ogni
roccia c’è una famiglia di leoni marini.
Fortunatamente
siamo i soli turisti presenti a quest’ora e ci godiamo un‘atmosfera
intatta. Per mezz’ora giriamo intorno alle rocce e ci passiamo sotto,
con delle manovre abilissime del timoniere, per non lasciarsi trasportare dalle
onde contro le rocce.
Ci
sono migliaia di uccelli ed anche un pinguino (!); poi con grande sorpresa,
girando una roccia, s’è aperta alla nostra vista una grande spiaggia nera,
nera di leoni marini che ruggiscono e lottano e si lanciano in acqua e nuotano
intorno alla nostra barca, uno spettacolo!!
Verso
le otto eravamo nuovamente al bar dell’imbarcadero dove abbiamo consumato una
copiosa colazione con uova e caffè; poi ci hanno riportato a Pisco
dov’eravamo già alle nove di mattina; siamo già stanchi e la giornata è
appena cominciata; a Pisco non c’è proprio nulla da fare e non ci rimane che
attendere fino a mezzogiorno la partenza del bus per Ica, che ha fatto poi anche
mezz’ora di ritardo.
Alle
due siamo arrivati ad Ica dove abbiamo atteso nella stazione dei pullman la
coincidenza per Nazca, un’ora dopo. Io e Renata siamo rimaste a controllare
gli zaini mentre Stefano si è allontanato in cerca di un po’ di cibo per
tutti.
Alle
tre siamo partiti per Nazca, nel caldo e nel caos di gente che voleva salire e
non aveva il posto. Siamo arrivati alle cinque e mezza, mentre faceva buio.
A
Nasca il bus si ferma sulla via principale, prima di arrivare in paese e davvero
non si ha l’impressione di essere arrivati da qualche parte. Ho chiesto
casualmente dov’eravamo e ‘Nasca!’ mi ha risposto l’autista.
Dunque
ci siamo avventurati, perplessi, come anche gli altri turisti, che pure hanno
strabuzzato gli occhi al sentire che eravamo proprio a Nasca.
In
tanti ci vengono incontro e ci vogliono portare all’albergo, ci vogliono
vendere il biglietto per l’aereo che sorvola le linee e la gita al cementerio.
Ci
accosta in particolare Luis, che parla italiano; davvero non ha alcuna
intenzione di lasciarci andare e ci segue passo passo, cercando di fare un po’
di conversazione per rompere il ghiaccio. Noi non gli diamo corda.
Poi
gli chiedo che ci fanno tutte quelle persone raccolte vicino a quel cancello,
sulla strada...... “No, niente, è cascato un pullman ieri sulla strada
Nasca-Cusco e sono morte una trentina di persone, anche qualche turista, ....non
è nulla!”.
Oltretutto
la città ha subìto un terremoto un anno fa ed ancora non hanno ricostruito
niente, dunque non si vedono che macerie, case distrutte e strade dissestate.
Ci
siamo diretti al miglior hotel di
Nazca, almeno secondo la LP: l’Hostal International; ma le stanze sono brutte
e impolverate; la reception ha un dito di polvere sulla scrivania, ed anche per
terra e sulle poltrone. Non ci sembra che ci sia molta altra scelta, e rimaniamo
lì.
Luis
ci convince ad acquistare il suo pacchetto che include il sorvolo delle linee,
la visita al cementerio, ai cercatori
d’oro ed ai copisti di ceramiche
il tutto per 62$ a testa, che paghiamo per la gran parte in TC ed il resto in
soles.
Per
prima cosa, ci dice, andremo sull’aereo, a meno che il tempo non sia coperto,
dunque ci consiglia di non fare colazione!
A
cena, dietro consiglio di Luis stesso, abbiamo cenato all’Encantada dove
abbiamo mangiato un ottimo ‘Piatto Especial’ a base di filetto di pesce e
frutti di mare, seppure il nostro tavolo è stato messo in una sala adiacente il
ristorante che ancora non hanno terminato di costruire ed è polverosa e piena
di calce e mattoni e due tazze del cesso. Ci consola solo il fatto che non siamo
soli poiché ci sono altri tre turisti israeliani ed una famigliola peruviana
con bimbi.
Non
so bene perché ma sono fortemente angosciata dal pensiero di dover prendere
l’aereo domani, con quel pazzo! In questo posto assurdo che casca a pezzi!
Alle
nove siamo crollati di sonno.
3 Agosto - Nasca, Cementerio, Linee e partenza per Arequipa
Nonostante
la sveglia fosse prevista alle otto, alle sei eravamo già svegli, per via della
luce e del rumore, una costante finora.
Il
tempo sembra bello dunque si vola! Non faremo colazione.
Alle
otto e mezza ci vengono a prendere e ci portano all’hotel di Luis, davanti
alla fermata del bus, poi pero’ ci dicono che siamo diretti al
cementerio con tutto un gruppo di turisti.
Chiedo
spiegazioni a Luis che mi sfreccia davanti e mi indica il cielo “Vedi, c’è
foschia, non si può volare ora!”. Alzo gli occhi al cielo. A me sembra
limpido. Ci compriamo un succo d’arancia e dei crakers e, dopo mezzora che
siamo ancora fermi sul pulmino davanti all’hotel e che chiamano e richiamano i
nomi di tutti, scoprono infine che siamo troppi e serve un’altra macchina,
aspettiamo l’altra macchina, e alla fine dopo un’ora finalmente partiamo per
le tombe di Chauchilla.
Passiamo
davanti all’aeroporto lungo la strada asfaltata e proseguiamo fino ad un bivio
imboccando invece una strada sterrata che diventa una pista nel deserto. Fa
davvero molto caldo e la strada è polverosa. Dopo quaranta minuti arriviamo
alle tombe.
Non
c’è alcuna struttura; c’è solo un omino che prende i soldi per seguire il
percorso segnalato con delle pietre sul terreno, dal quale non ci si può
allontanare.
Le
tombe sono scavate nel terreno e dentro ci sono le mummie, sedute in posizione
fetale, vestite di tessuti ed ancora con i capelli. Intorno alle tombe, nel
deserto, fuori dal recinto di pietre, si trovano sparse ossa e teschi. Ci
saranno più o meno una decina di tombe, molto belle, impressionanti.
Poi
abbiamo ripreso il pulmino, di nuovo la lunga strada nel deserto e siamo tornati
a Nasca, fermandoci in una baracca-casa dove una famiglia, padre madre, una
bambina, cercano l’oro con una ciotolina nella pozza d’acqua portata da non
so dove; quindi ci hanno portato in una casa dove lavorano la ceramica come ai
tempi di Nasca, stessi materiali e stessi procedimenti, copiando gli stessi
disegni e le forme delle ceramiche vere. Le vendono però a prezzi troppo alti,
non meno di 10 soles per una ceramica piccola piccola, fino a 50 soles se non di
più. Queste due visite ce le potevamo proprio risparmiare. Avremmo dovuto
prendere un taxi per conto nostro!!
Rientrati
tutti nuovamente nel caldo e affollato pulmino, ci hanno portati all’aeroporto
e lì ci hanno abbandonato, tutti in fila al baracchino fuori del cancello a
lasciare i nostri nomi, liste interminabili, nomi scritti mille volte.
Abbiamo
aspettato parecchio sotto il sole ed è ormai ora di pranzo e siamo praticamente
a stomaco vuoto, come in effetti dovevamo essere, ma cominciano a mancarmi le
forze. Prima ci fanno attendere il nostro turno sotto il sole cocente, poi
finalmente ci fanno entrare nella saletta d’attesa che è un pochino più
fresca e lì ci abbandonano per un altro po’.
Ogni
tanto arriva la hostess e chiama a gruppi di quattro o cinque persone. Noi
abbiamo docilmente atteso che ci passassero tutti avanti, non avevamo alcuna
voglia di discutere con nessuno, ne’ tanto meno avevamo fretta. Nel frattempo
l’omino ci ha consegnato i nostri attestati di volo.
Ormai
siamo rimasti solo noi tre; torna nuovamente la hostess e quando ci vede lì,
sdraiati sulle panche, rimane perplessa “Ma voi dovete ancora volare?” - “
Si,....” -“Allora seguitemi”. Sembra di stare dal dottore (sono nervosa?).
Ci
porta dal capitano che stava praticamente ‘chiudendo’ l’aereo,
probabilmente per andarsene a casa a pranzare, ma la signorina gli spiega che
ancora non ha finito di lavorare, poiché ci siamo ancora noi che dobbiamo
volare!
Il
capitano gentilmente ci fa salire sul suo trabiccolo, io e Renata nei sedili di
dietro, lui e Stefano davanti. “Tu sarai il mio secondo” gli dice.
Ci
riassume il programma di volo (tutto ciò continua a non piacermi),
ovvero il sorvolo di tutte le linee: la scimmia, il colibrì, l’omino e le
forme geometriche. Le vedremo tutte sorvolandole sua da destra sia da sinistra,
per non tralasciarne neanche un pezzetto.
“Bene!”.
Mi faccio coraggio, non sento nausea.
Accende
il motore e paaaartiamoooooo!!!!!!!
Il
decollo va bene, ma, quando ci troviamo poi lassù e tutta la terra mi gira
intorno mi sento confusa e cominciano a tremarmi le gambe.
Ora
non è più la terra che gira, ma la mia testa.
Cerco
un punto fisso e mi guardo i piedi.
Il
capitano ci indica la prima figura e vira verso destra per poterla inquadrare
meglio dallo schermo del finestrino.
Ho
il cuore in gola e sudo freddo, ma non dico una parola.
Imbocco
un travel gum e mastico mastico mastico freneticamente.
Guardo
fuori, il suolo, ma non vedo niente, possibile?
Il
capitano ci annuncia che ora vedremo la stessa figura dalla sinistra.
Oddio.
Ho
resistito così per ben quaranta minuti riuscendo in qualche modo anche a vedere
le figure, ma tra una virata e l’altra guardavo solo i miei piedi con un nodo
in gola.
“Come
va?”, ci chiedono da davanti.
Ma
non ho neanche la forza di rispondere.
Stefano
si gira e mi guarda e capisce che non sono affatto felice della situazione, ma
tace anche lui.
Poi
finalmente intuisco che siamo sulla via del ritorno, però ancora non posso
lasciarmi andare, non vorrei che il capitano si accorgesse del mio stato.
Resisto
ancora.
Atterriamo
e parcheggiamo l’aereo.
A
quel punto finalmente rimettiamo i piedi a terra e facciamo un paio di
fotografie, salutiamo e ce ne andiamo, non c’è ormai più nessuno.
Il
resto del gruppo aspettava solo noi sul pulmino, allora saliamo e torniamo in
paese.
Quando
finalmente scendiamo dal pulmino davanti all’hotel di Luis e siamo noi tre
soli, Renata e Stefano si scambiano qualche battuta e cercano di coinvolgermi,
ma non riesco a proferire parola.
Si
rendono conto infine del mio prolungato silenzio.
A
quel punto tacciono anche loro e mi guardano.
Oddio,
mi viene solo da piangere, non mi guardate così, siete spietati, volete che vi
scoppi a piangere in faccia?
E’
meglio che me ne vada; vado in bagno.
Sono
tutti molto apprensivi con me e preoccupati per il mio stato ma si vede che mi
conoscono bene perché mi portano
subito a mangiare, finalmente, che è in effetti
l’unica cosa che mi può far risalire il morale.
E’
stata un’esperienza straziante. Loro invece sono tutti contenti.
Torniamo
al ristorante di ieri sera e pranziamo cominciando dal caffè, cioè recuperando
la colazione, e terminando col caffè, nella saletta carina, non quella con le
tazze del cesso (caffè, due piatti di carne e riso e nuovamente, caffè, acqua:
35 soles).
Sono
ormai le due passate, uscendo dal ristorante fa caldo e siamo belli rimpinzati.
Non abbiamo assolutamente fretta, anzi dobbiamo tirare fino alle dieci di sera
per prendere il pullman. Dove andare?
Cerchiamo
una panchina libera in piazza ma niente, sono tutte piene.
Passiamo
in albergo sperando che la cafeteria sia aperta, ma niente.
Siamo
stanchi, vorremmo solo sederci o meglio ancora sdraiarci un pochino, ma non c’è
modo.
Chiediamo
allora in albergo se ci prestano una stanza per un’oretta, ma ci chiedono il
prezzo pieno come per una notte. Contrattiamo finché ci offrono una stanza al
piano terra, ancora non rifatta, per 10 soles e a patto che ce ne andiamo per le
sei.
Accettiamo
perché siamo davvero stravolti e ci sdraiamo un pochino e poi ci rinfreschiamo
con una veloce doccia (nel bagno non pulito) anche se siamo costretti a
rimetterci gli stessi vestiti perché gli zaini sono già fatti.
Quando
ci rimettiamo in cammino non solo è già quasi buio, ma è dalle quattro del
pomeriggio che è saltata la luce elettrica. Prima che cali proprio l’oscurità
ci conviene raggiungere l’alberghetto di Luis che è davanti alla fermata del
pullman e che ci ha promesso di ospitarci. Affrettiamo il passo perché il clima
per strada non è dei più sereni ed è buio quando ci accomodiamo sulle panche
da Luis, dove già ci sono altri turisti. Il nostro pullman è alle dieci; ce ne
sarebbe uno anche prima, alle otto, ma era già tutto prenotato. E così
rimaniamo al buio seduti per diverse ore.
Quando
sono circa le otto mandiamo Stefano in cerca di un po’ di cibo, ma gli
intimiamo di essere di ritorno entro venti minuti dopodiché lanceremo un
allarme. Torna per tempo con qualche panino e banane. La luce non è ancora
tornata.
Alle
dieci, quando arriva il pullman delle otto, c’è un caos tremendo perché i
passeggeri delle dieci credono che sia il loro, e invece no. Il pullman è
pienissimo ed i turisti che salgono rimangono in piedi sul corridoio, passeranno
la notte così! Corre voce che il pullman delle dieci sia migliore. Speriamo.
Alle
undici torna la luce finalmente e alle undici e mezza arriva il pullman delle
dieci e mezza, che è in effetti più bello soprattutto perché ha i posti
prenotati e tutti abbiamo una poltrona confortevole. La salita dei passeggeri è
piuttosto laboriosa perché controllano attentamente tutti i biglietti ed il
carico dei bagagli. Benissimo.
Poi
quando infine siamo saliti tutti, c’è ancora qualcuno senza biglietto rimasto
a terra, ma non li faranno salire nonostante le preghiere. Infine partiamo,
spengono le luci e tutti ci addormentiamo.
4 Agosto - Arequipa
Quando
ho aperto gli occhi stavamo abbandonando il deserto arrampicandoci lungo una
dorsale ripida. Dal finestrino vedevo da un lato le montagne rosse di terra ed a
valle un lago bianco di nuvole che erano sotto di noi. Alle sette
circa siamo arrivati alla
grande stazione dei pullman di Arequipa; fa freddo, d’altronde siamo a 2.300
metri, e mi copro con la giacca a vento. La città di Arequipa è poco lontana
dalla stazione è dà tutt’altra impressione rispetto alle località
precedenti. E’ una cittadina di 720 mila abitanti ed è sicuramente una
cittadina abbastanza ricca, che tra l’altro è sede di una importante
università. Quando usciamo dalla stazione non c’è nessuno che ci assale; ci
sono i tassisti che attendono quieti nelle loro auto che qualcuno gli chieda un
passaggio.
L’arrivo
è dunque molto sereno e con calma ci facciamo portare in città e ci lasciamo
consigliare qualche hotel economico. Il tassista è stato molto gentile e ce ne
ha fatti vedere diversi, finché ci siamo decisi per il Garden (55 soles la
tripla con bagno) che si trova in centro nella zona del mercato.
La
città si sta pian piano risvegliando; con calma ci sistemiamo nelle nostre
stanze e poi usciamo per fare
colazione, siamo affamati. Scegliamo un bar di buon livello, vicino alla Plaza
de Armas, sulla calle Catalina, che costa un po’ di più ma è molto pulito e
rincuorante. Consumiamo i nostri caffè, frullati e omelette con prosciutto e
formaggio e poi ci rilassiamo un poco. Dopodiché la giornata è stata dedicata
alle questioni organizzative per il proseguo del viaggio.
Sulla
Plaza de Armas di Arequipa che è
molto bella, sotto i portici, ci sono diverse compagnie aeree, la Faucette, l’Aeroperu’
e l’Americana che offrono il volo per Lima a 79$, non di meno. Prenotiamo
infine, con qualche difficoltà, sulla Faucette, che ha sempre i terminali non
collegati, per il giorno 19 (il 20 abbiamo la partenza da Lima), ma ce lo
confermeranno solo due giorni più tardi.
Nel
frattempo eravamo in lista d’attesa su un altra compagnia per il giorno 20, ma
fortunatamente non ce l’hanno confermato, di certo avremmo perso la
connessione internazionale avendo previsto solo due ore di margine.
Abbiamo
fatto poi una passeggiata fino alla stazione per acquistare il biglietto per
Puno. Ci aspettavamo una stazione affollatissima e caotica, piena di ladri e
delinquenti, come è descritta nelle guide. Invece c’è soltanto
un’educatissima seppure lunga fila per fare i biglietti.
Acquistiamo dunque il biglietto per Puno, per venerdì 8, tra quattro
giorni. Il treno non parte tutti i giorni, ma il martedì, mercoledì, venerdì
e domenica alle nove di sera.
Non
ci sono state molte altre attività in questa giornata, abbiamo girovagato per
la città senza meta, abbiamo pranzato con pollo fritto e cenato con pollo
arrosto. Il nostro amico pollo. Io ho cenato nella camera d’albergo perché
non avevo proprio più forze e mi sono addormentata alle sei del pomeriggio, poi
verso le otto Stefano e Renata mi hanno portato il cartoccio di pollo e patate e
poi mi sono subito riaddormentata. Loro hanno poi tentato un’uscita serale e
verso le nove sono andati sulla Plaza de Armas, ma sono tornati subito perché
c’era un’atmosfera pericolosa.
5 Agosto - Arequipa
Arequipa
è luminosa; all’ombra fa freddo, ma i raggi del sole sono così forti che
quasi si materializzano.
Non
manca però il traffico, lo smog e l’inquinamento acustico dei clacson delle
auto. Sentiamo un po’ di difficoltà per respirare ma non riusciamo a capire
se è per via dello smog o dell’altitudine.
Il
tempo è bello, dopo aver fatto colazione in un bar di certo non all’altezza
di quello di ieri; decidiamo dunque di fare una passeggiata fino al mirador e
visitiamo la chiesa sulla piazzetta, poi riscendiamo passando per la Recoleta,
un monastero francescano molto rilassante dove trascorriamo un po’ di tempo
prendendo un po’ di sole nei chiostri, leggendo e visitando le diverse sale
che espongono alcune piccole collezioni di ceramiche e tessuti di Nasca e di
Paracas, animali dell’Amazzonia imbalsamati, oggetti e vesti delle popolazioni
amazzoniche raggiunte dai francescani, e la biblioteca ricca di grandi volumi
antichissimi.
Poi
torniamo passeggiando sulla Plaza de Armas e pranziamo frugalmente nel bar della
colazione di ieri (è tutta un’altra cosa). Lì pianifichiamo gli spostamenti
e ci rendiamo conto che non abbiamo poi tantissimi giorni per tutte le cose che
vorremmo fare. E’ necessario operare dei tagli.
Ci
facciamo due conti e decidiamo che è il caso di prenotare anche il treno
Puno-Cusco per mercoledì 13 che parte alle 7,25 di mattina; dunque torniamo
fino alla stazione, rifacciamo la lunga fila e compriamo i biglietti senza
difficoltà (ci chiedono però di mostrargli gli altri, quelli Arequipa-Puno,
altrimenti non te li fanno). Infine torniamo nuovamente in centro e visitiamo la
chiesa della Municipalidad.
Abbiamo
cenato sulle terrazze della Plaza de Armas coi piatti tipici: l’ocopa arequipeňa
e rocoto relleno, ovvero peperone ripieno e patata lessa ricoperta di una salsa
verde. Il ristorante però non è dei migliori e Stefano durante la notte avrà
una fastidiosa reazione al peperone.
6 Agosto - Arequipa
La
prossima gita prevista è quella al Canyon del Colca e decidiamo di farla giovedì
7 e venerdì 8, per poi partire direttamente, lo stesso giorno, per Puno. Io
preferivo anticiparla ai giorni 6 e 7 ma mi sono rimessa democraticamente al
risultato della votazione del gruppo (io ero a favore della mia mozione, Stefano
e Renata contro).
Ci
sono diverse agenzie che organizzano questa a gita a prezzi che variano dai 25
ai 28 dollari a testa; il programma è sostanzialmente lo stesso e la differenza
di prezzo è giustificata dalla qualità dei mezzi di trasporto e degli alberghi
‘convenzionati’.
E’
quindi conveniente informarsi degli alberghi dove si dorme e del numero di
persone previste nel gruppo e così via. Noi abbiamo scelto la ‘Colonial
Tours’ che ha un prezzo abbastanza economico e sembra essere affidabile.
Una
volta prenotato il tour per domani e dopodomani decidiamo di fare oggi una delle
gite nei dintorni di Arequipa consigliate dalla LP ed in particolare quella al
mulino; andiamo dunque a prendere il bus, che troveremo con qualche difficoltà
e che impiegherà circa trenta caldi e trafficati minuti per arrivarvi.
L’entrata al mulino costa 3 soles a persona.
Il
mulino è molto più turistico del previsto, circondato da un fresco prato verde
percorso da un torrentello dove pascolano tre llamas. Non è una di quelle gite
che rimangono nel cuore, ma è sicuramente piacevole avendo del tempo a
disposizione. Tra l’altro sul prato è vietato mangiare e noi che avevamo
pane, prosciutto e formaggio per la colazione acquistati gioiosamente al mercato
ci siamo dovuti appartare in un angolino per mangiare i nostri panini di
nascosto.
Tornati
ad Arequipa siamo andati a visitare il Convento di Santa Catalina che invece
merita molto; si può visitare con una guida, anche in italiano, ma credo sia più
piacevole lasciarsi trasportare per le vie di questa piccola città nella città
fermandosi a leggere nel chiostro o nelle piazzette e curiosando per le antiche
celle delle monache di clausura e nelle cucine. C’è anche una caffeteria
molto carina dove si possono consumare dolci, sandwich e caffè.
Usciti
dal convento siamo andati a sederci sulla Plaza de Armas, sugli scalini della
cattedrale, aspettando che aprisse (alle 17,00); lì abbiamo fatto amicizia con
dei giovani studenti universitari di Arequipa. Infine abbiamo visitato la chiesa
di San Francesco ed il mercatino li’ intorno. Stefano non si sente molto bene,
ma quando scopre che la sua macchina fotografica è stata riparata,
incredibilmente gli viene di nuovo appetito.
Al
mercato abbiamo nuovamente comprato pane, prosciutto e formaggio per domani
mentre invece abbiamo cenato alla catena Pio Pio che abbiamo poi solitamente
frequentato poiché, tolto lo zuppone di cortesia che viene comunque offerto e
che abbiamo imparato ormai a non mangiare più dati i fortissimi sospetti di
riciclone vecchio di settimane, ha degli ottimi pollastri arrosto. Di nuovo il
nostro amico pollo. Discutiamo circa la possibilità di aprire una catena di
PioPio a Roma.
7 Agosto - Arequipa, Colca Canyon
Non
ricordo a che ora avevamo l’appuntamento, forse alle otto. Con Renata abbiamo
consumato un caffè nescafè al mercato (1 sol), che è l’unico posto dove si
può trovare qualcosa da mangiare a quest’ora presto. Ci siamo fatte largo in
mezzo alla folla animata ed abbiamo sorseggiato il caffè nel reparto delle
corone di fiori.
Puntualissimo
è venuto a prenderci Alfredino, il nostro autista; siamo fortunatamente i primi
a salire sul piccolo bus e questo vuol dire che finalmente ci potremo scegliere
i posti migliori che com’è d’uso conserveremo fino alla fine del tour;
Renata va davanti mentre io e Stefano ci accomodiamo sulla prima fila di sedili,
dietro all’autista.
Pare
che saremo tutti italiani ed io mi immagino un simpatico gruppo ‘giovane’.
Invece ci fermiamo davanti ad un albergo e ci vengono incontro otto italiani,
due maschi e tutte donne, età media 45 anni, un gruppo di AnM. Neanche un bel
ragazzetto. Peccato.
Poi
torniamo all’agenzia, su via di Santa Catalina, e vorrebbero far salire altre
tre persone, una turista peruviana con la madre e la figlia, ma siamo un po’
troppi effettivamente e la capogruppo di AnM protesta con l’agenzia
prendendosela un po’ maleducatamente anche con la signora peruviana che
poverina non ha alcuna colpa.
Infine
rimaniamo noi undici, più Alfredino e Graziela, la nostra giovane guida, una
simpatica studentessa universitaria di Arequipa e partiamo, fermandoci solo un
momento a rifornirci d’acqua e di vivande: salsiccette, pane e biscotti.
La
strada da percorrere è molto lunga, asfaltata solo per i primi 25 km, e segue
in parte la linea ferroviaria, poi si inoltra nelle piatte e sterminate riserve
di alpacas, llamas, vigogne. Siamo tutti eccitati quando incontriamo branchi di
questi animali e ci fermiamo per scattare fotografie. Le vigogne sono le più
rare, le più pregiate, le più paurose ed inavvicinabili.
Poi
la strada comincia la salita ed a mezzogiorno arriviamo ad un rifugio a circa
4.000 metri, dove sostiamo. Purtroppo io e Renata per questa gita abbiamo scelto
un abbigliamento non del tutto consono, ovvero calzoni corti, ma in realtà
comincia a fare un certo freddo.
Ci
sono molti altri turisti, tutti in gita organizzata coi pulmini come noi, ma
anche in torpedoni addirittura!! Nel rifugio sorbiamo un mate di coca che ci aiuterà ad affrontare l’altitudine. In
effetti ho già un gran mal di testa e tachicardia. Acquistiamo allora anche una
bustina di foglie di coca da masticare, che fanno subito tornare il battito del
mio cuore a livelli normali. Stefano e Renata stanno, invece, benissimo. Fa
freddo e siamo coperti con le giacche a vento.
Si
riparte e si continua a salire fino al passo di 5.000 metri. Ci fermiamo in un
punto in cui si vedono in lontananza vette di 6.000 metri. Poi ancora procediamo
per circa un paio d’ore in pianura e poi scendiamo in una piccola valle dove
si trova un piccolo paese dove ci fermeremo per la notte.
Ci
sistemiamo in albergo, piuttosto spartano, coi letti a castello, ma carino e
pulito e col bagno in camera. Fa freddo ed indossiamo immediatamente i calzoni
lunghi; addirittura Renata taglia le maniche lunghe di una maglietta per
utilizzarle come ‘sotto pantaloni’ per coprire le cosce, reggendole con dei
lacci legati alle mutande.
Quindi
usciamo e percorriamo la strada principale del paese fino in piazza. E’ qui
che finalmente troviamo proprio quegli uomini e quelle donne peruviani che sono
nel nostro immaginario, con gli abiti tradizionali e le donne, in particolare,
coi cappelli neri a bombetta. Pranziamo, seppure sia ormai pomeriggio, ad un
ristorantino molto carino sulla piazza ordinando una chuleta di alpaca.
Per
il tardo pomeriggio è prevista una piccola gita alle piscine d’acqua
sulfurea: ci sono due piscine, una per i turisti ed una per il resto del mondo.
Il mio mal di testa è ormai alle stelle e rinuncio al bagno, ho paura di
collassare. Stefano e Renata invece non si lasciano impressionare dalla gelida
temperatura esterna e subito vanno ad indossare il loro costume da bagno.
Per
cena è previsto il menù fisso dell’albergo, incluso nel prezzo: la solita
brodaglia ed una chuleta con riso
bianco. C’è anche uno spettacolo folcloristico di un gruppo di musicisti,
tipo Inti- Illimani, che suona, balla e canta. Carino.
Infine
siamo andati a letto; domani ci aspetta una giornata faticosa al Canyon del
Colca ad avvistare i condor che all’alba, coi primi raggi del sole, escono dai
loro nidi nel fondo del Canyon per venire a scaldarsi in cima, al sole, dove ci
troveremo noi ad attenderli e voleranno sopra le nostre teste…….
Intanto
piove.
8
Agosto - Colca Canyon
Sorpresa!!
Ha nevicato tutta la notte! Fatto incredibile! Erano anni ed anni che ciò non
si verificava in questa stagione! Nel ballatoio dell’albergo c’è una grande
finestra e siamo tutti lì coi musi appiccicati al vetro.
Subito
dopo colazione andiamo a fare acquisti al mercatino: guanti, sciarpe e cappelli
peruviani di lana di alpaca. E poi via, tutti sul pulmino. Prima andiamo a
visitare dei piccolissimi paesini nei dintorni. Ci sono solo pochi omini in giro
ai quali domando se a loro parere troveremo i condor in cima al canyon,
nonostante non ci sia il sole! Se lo chiedono anche loro, non lo sanno.
Dunque
proseguiamo per la nostra strada per ancora un’ora circa; ci sono tanti altri
pulmini ed anche dei grossi pullman che arrancano su per le salite. Lungo la
strada, scalzi, camminano i peruviani, uomini e donne, coi piedi nella neve e
come al solito carichi di sacchi. Quando arriviamo infine in cima al canyon il
cielo è ancora coperto; è tutto bianco, non c’è neanche un piccolo raggio
di sole. Delle ragazze con dei meravigliosi abiti colorati vendono cioccolate,
frutta e caramelle: ‘Compramè!’.
Nessuna
traccia del condor.
La
nostra giovane guida Graciela ci comunica che resteremo qui al freddo ed al gelo
per ben un’ora e mezzo ad attendere il condor. Ma fa troppo freddo e non ne
siamo affatto convinti, anche perché il cielo non accenna proprio ad aprirsi.
Infine rinunciamo unanimemente all’attesa del condor e ci rimettiamo tutti sul
pulmino anche perché la strada del ritorno sarà molto lunga
ed infatti arriveremo ad Arequipa nel pomeriggio verso le sei. Nel
frattempo, mentre noi andiamo via, al mirador giungono numerosi pullman e
pulmini turistici.
La
via del ritorno si fa subito impervia; sulla strada sono crollate alcune frane e
penso che sia un miracolo che nessuno abbia avuto qualche incidente. Ancora dopo
tante ore di viaggio incrociamo dei grossi pullman che arrancano sulle strade
innevate, senza catene, pericolosamente slittando sulla strada.
Nei
pressi del passo dei 5.000 metri, avvolti nella nebbia, un gruppo di
peruviani fa fermare il nostro bus; sono operai che lavorano per scavare
dei tunnel di scolo delle acque, immersi nella neve. Fermano il nostro pulmino
per spiegarci quel che stanno facendo: il capogruppo si presenta e ci da il
benvenuto a nome di tutto il comitato. Hanno trombe, tamburi e bandiere per
manifestare il loro entusiasmo per questa difficile e faticosa impresa che si
apprestano ad affrontare, il loro viso è pitturato di nero col carbone per
proteggere la pelle dal freddo. Ci salutano festosamente e ci chiedono un
contributo, qualcosa da mangiare per aiutarli a sopportare la fatica. Volentieri
gli cediamo le forme di formaggio e i salamini che avevamo comprato e
praticamente tutto quel che ci è rimasto da mangiare, nonché 10 soles. Ci
ringraziano con grandissimo entusiasmo, abbracciandoci e stringendoci le mani.
Il gruppo di AnM, mi dispiace dirlo, si è comportato veramente male, poiché
pur avendo anche loro formaggi, salami, forme di parmigiano (che si lamentavano
che non riuscivano a terminare e che sarebbe andato a male) hanno elargito
faticosamente solo una misera scatoletta di tonno, veramente vergognosi!
Poi
riprendiamo la nostra strada che sarà ancora molto lunga; riattraversiamo il
passo, il rifugio del mate di coca e tutta la vallata, le riserve degli llamas,
alpacas e vigogne per diverse ore. Ritroviamo i binari della ferrovia ed è un
primo segnale finalmente che siamo a buon punto. Ripercorreremo questi binari
anche questa notte, in senso inverso, per un tratto, per andare a Puno.
N
Siamo
stanchissimi quando veniamo finalmente ridepositati al nostro hotel. Credo che
siamo gli unici clienti ed il proprietario ci concede simpaticamente di
sdraiarci un poco sulle poltrone davanti alla televisione e di utilizzare la
toilette per darci una lavata rinfrescante prima di rimetterci in viaggio.
All’ora
prestabilita prendiamo un taxi per la stazione. E’ buio e ai binari può
entrare solo chi ha i biglietti del treno e tutto si svolge con ordine,
silenziosamente. Ogni passeggero ha la sua poltrona reclinabile, abbastanza
comoda, perlomeno nelle carrozze di prima classe e quando il treno parte pian
piano tutti si addormentano.
Il
treno procede faticosamente e lentissimamente. In Perù è il mezzo di trasporto
più lento che c’è; è proprio un’altra concezione. Rallenta, si ferma,
riparte, rallenta, si ferma, riparte…. La ferrovia attraversa alti valichi. Ci
addormentiamo anche noi nel buio dei vagoni ma, nel pieno della notte, come al
solito, io mi sento male. Pur essendo praticamente sdraiata mi gira la testa e
mi sento svenire. Sveglio Stefano ‘Mi sento male, sto per svenire’. Subito
mi tira su le gambe e mi mette in bocca una manciata di foglie di coca che
comincio a masticare, masticare, masticare, finché, pian piano, il malore se ne
va e mi riaddormento.
9 Agosto – Puno
La
mattina il treno si risveglia nel nulla. Terre sconfinate senza un albero, una
pianta. Solo arbusti, qualche capanna e maiali nel fango.
L’immagine
è quella di una terra dura, severa, ingenerosa e faticosa. Non hanno nulla. La
natura gli offre niente a questa gente.
Man
mano che ci avviciniamo a Puno diventano più frequenti le capanne ed i maiali
nel fango. Pochi incontri di donne, bambini.
Il
treno procede lentamente, rallenta, si ferma, riparte, rallenta, si ferma,
riparte….
Poi improvvisamente ci troviamo in mezzo al mercato, la ferrovia passa proprio nel centro del paese, e la gente si sposta per far passare il treno.
L’arrivo del treno: è arrivato il treno! Il treno porta i turisti, lavoro, denaro e chi scende dal treno viene assalito dall’offerta di sistemazione per la notte in hotel e per l’organizzazione delle gite.
Ormai sappiamo cosa è indispensabile avere in ‘albergo’: l’acqua calda. E’ quel che chiedono tutti i turisti: acqua calda per farsi una doccia. Chiaramente ci rispondono che c’è e scegliamo un simpatico, piccolo alberghetto a gestione familiare. Tre letti, un bagno e acqua calda, non ci serve altro. Sistemiamo i nostri bagagli e ci facciamo tutti una bella doccia: fredda. Diciamo almeno tiepidina, ecco.
Poi ci aggreghiamo ad una gita a Sillustiani, con un altro ragazzo che ci ha tampinato appena scesi dal treno. Ci vengono a prendere in albergo con un bus. Come costi è praticamente equivalente scegliere un tour o organizzarsi da soli con un taxi, perlomeno se si è almeno in tre o quattro. Noi preferiamo dunque lasciarci portare, è più riposante e dopo la nottata in treno non vorremmo strapazzarci ancora.
Sillustani è a circa 20 minuti da Puno. La visita delle tombe reali è molto interessante, il posto è veramente spettacolare perché è situato in una baia sul lago ed il panorama è bellissimo. Il solo problema è il vento, un vento pungente. Piove anche e tutto il gruppo è congelato dal freddo.
I peruviani però sanno che i turisti hanno i giorni contati e non rimandano mai nessuna attività al giorno successivo perché per loro è solo lavoro perso; dunque anche se piove e quasi nevica fanno come se nulla fosse e si dilungano in interminabili spiegazioni al gruppo di turisti raggelati. Fortunatamente ho scelto infine di mettere nello zaino anche la vecchia giacca a vento, che è stata davvero utile.
Resta inteso che questo freddo è eccezionale; le guide consigliano qui, come anche consigliavano per il Colca Canyon, di portare crema solare ed occhiali da sole!
Non ricordo poi più dove mangiavamo e cosa, probabilmente qualche Pio Pio o simili. Quella sera però avevamo scelto un bel ristorantino per fare una bella rifocillata degna di noi ‘cavallettos’, ovvero io e Renata, come ci chiamava Stefano, perché siamo piuttosto voraci nel divorare le nostre comidas. Sfortunatamente, però abbiamo pensato di passare prima ad una agenzia per organizzare la gita di due giorni sulle isole del lago Titicaca. Nonostante il fatto che non avremmo mai e poi mai rinunciato a questa gita, abbiamo chiesto a Jules, il padrone dell’agenzia, se era il caso o meno di rinunciarvi per via del freddo e delle intemperie. Ma: ‘No!’ dice lui ‘E perché mai dovreste rinunciarvi? Certamente tornerà il sole!’.
Così, come al solito, ci lasciamo convincere; d'altronde i turisti sono tutti così: non puoi arrivare in capo al mondo e rinunciare all’obiettivo della meta! Visiteremo le isole sul lago Titicaca, con o senza neve, grandine, vento e freddo! Dunque fissiamo la gita per dopodomani, però con facoltà di recedere se il tempo dovesse essere brutto.
Poi però, continuando a chiaccherare, l’argomento cade sul cibo e sui programmi della nostra cena, ma lui ci risponde che a questa altitudine è consigliabile mangiare molto leggero per cena, altrimenti ci si potrebbe sentire male. E così ci rovina l’appetito.
Al ristorante abbiamo ordinato dei bei piatti di riso, carne e uova ma, perlomeno io e Renata, ci siamo andate piano, mentre invece Stefano non si è lasciato affatto impressionare.
10 Agosto – Puno e dintorni
Abbiamo un’altra giornata di relax a Puno, prima di inoltrarci sul lago Titicaca. Non ce l’abbiamo fatta ad includere anche la Bolivia nel nostro itinerario, sarebbe stato veramente troppo faticoso. D’altronde questa giornata trascorsa tra mercati e villaggetti vicini a Puno è stata molto piacevole.
Coi mezzi di trasporto locali, e già questo è uno spettacolo di per se’, abbiamo costeggiato il lago Titicaca, in direzione Bolivia, fermandoci in alcune piccole località meno frequentate. Siamo i soli turisti, infatti, eccetto tre francesi che fanno il nostro stesso giro, però in taxi.
E così abbiamo visitato il paesino di Chiquito, dove ci sono dei resti di un antico monumento alla fertilità, con dei simboli fallici. I bimbi ci vendono dei pupazzetti di stoffa. Poi passeggiamo nel paesino e, dietro alla chiesa, sul campo di basket di cemento, scopriamo che si sta festeggiando un matrimonio. Gli sposi sono proprio buffi e se ne stanno seduti sul muretto tutti seri seri, coi loro cappellini neri e gli abiti da cerimonia, con alcune banconote attaccate ai vestiti con degli spilli.
Sono i regali e le offerte degli invitati che sono invece in mezzo al campo di basket, suonano i violini e ballano. Le donne ballando fanno delle giravolte e le loro gonne si gonfiano creando dei cerchi colorati. Gli uomini invece sono tutti ubriachi e bevono birra e alcool. Ci offrono da bere e non possiamo rinunciare e Stefano viene coinvolto nelle danze. Sono veramente tutti fuori di testa.
Poi ci chiedono un’offerta per gli sposi e con uno spillo Stefano omaggia gli sposi di una banconota da 20 soles. Sono tutti entusiasti ed eccitati per questa lauta offerta ed il capo della comunità ci saluta ufficialmente e ci da il benvenuto. Poi le danze proseguono e tutti ci abbracciano, ma in particolare gli abbracci sono destinati a Stefano che è stato l’esecutore materiale della donazione. Una donnona lo travolge nelle danze ed eccolo lì che zompetta al ritmo coinvolgente della musica dei violini!
Purtroppo dobbiamo andar via e ci fanno grandi saluti, ci incamminiamo a piedi lungo la strada maestra, finché passa un bus che ci riporta a Puno.
Cerchiamo un posto dove pranzare (il meno peggio) e capitiamo in uno che ha il simbolo di AnM. Ci arrischiamo a mangiare certe polpette con tutta una salsa…
11 Agosto – Lago titicaca: isole Uros e Amantanì
Al
mattino, durante la colazione in albergo, nella sala accanto si svolge una
cerimonia religiosa cattolica, alla quale partecipa tutta la famigliola
dell’albergatore.
Ci
chiedono se vogliamo partecipare ma, ringraziando, decliniamo l’invito. Anche
gli altri ragazzi israeliani che sono nella sala con noi rifiutano gentilmente e
tutti continuiamo silenziosamente la nostra colazione, per non disturbare. Certo
son capitati proprio male con noi, romani per giunta, e quegli altri
israeliani!!
Jules
ci viene a prendere con un pulmino e ci porta al porto. Poi ci mettono tutti su
una vecchia barca di legno, coperta a prua e scoperta a poppa. Il tempo non è
dei migliori, ma non piove.
Siamo
un bel gruppo: c’è la famigliola olandese con ben quattro figli d’età dai
7 ai 16 anni che già avevamo incrociato a Nazca; ci sono i due ragazzi milanesi
ed i tre francesi che avremo poi il piacere di conoscere più a fondo, ed altre
persone che non ricordo. Jules non viene e ci lasciano nelle mani dei due
manovratori.
L’acqua
del lago e’ sporca e piena di schiuma, soprattutto finché siamo nella baia di
Puno.
La
gita prevede una tappa alle isole degli Uros, ovvero degli isolotti artificiali
costruite con delle canne. Lo strato in superficie viene periodicamente coperto
con uno nuovo mentre lo strato in acqua marcisce. Sull’isolotto vengono
inoltre costruite delle capanne di canne ed anche le loro barche sono fatte con
le canne.
Sono
pochi gli indigeni che ancora abitano su queste isole e soprattutto ci stanno
per sfruttare il turismo. Le donne stanno sempre sedute e vendono oggetti
d’artigianato o macinano il grano. L’umidità le uccide a cinquant’anni!
Gli uomini si dedicano all’attività della pesca, stanno più in movimento e
campano un po’ di più.
Queste
popolazioni si sono rifugiate sulle isole, in periodi pre-incaici per sfuggire
alla invasioni nemiche. Acquistiamo alcuni oggetti da queste donnine che non
conoscono lo spagnolo, solo il quecha, la lingua d’origine e saliamo sulla
torretta fatta di canne per ammirare l’isola dall’alto. In cima alla torre
c’è il capo dell’isola, un tipo robusto, giovane e sorridente, che ci
chiede se abbiamo un paio di scarpe da dargli. Io vorrei dargli quelle di
Stefano, che sono del suo numero, ma Stefano non vuole: e’ l’unico paio che
ha!
Ripartiamo
dall’isola e proseguiamo verso il largo. Il tempo comincia a guastarsi e prima
piove, poi grandina, infine nevica! Fa un freddo tremendo che i nostri
navigatori sopportano eroicamente alla guida della barca, a poppa, senza alcuna
protezione, manovrando il rumorosissimo motore. Noi invece ci siamo tutti
rifugiati a prua.
In
tutto la navigazione è di circa quattro ore ed arriviamo all’sola di Amantanì
verso le due del pomeriggio. Attracchiamo al porticciolo, dove c’è una
piccola folla ad attenderci: sono i capofamiglia dell’isola che ci ospiteranno
nelle loro case. A turno le famiglie dell’isola
ospitano i turisti, in modo che tutti possano trarre profitto dalla loro
presenza. Pian piano quindi veniamo smistati ed affidati a questi uomini. Noi
siamo stati messi in un unico gruppetto ‘italianos’ coi due milanesi. Fa
freddo, molto freddo ed avremmo bisogno semplicemente di un caldo riparo e di un
ristoro. Seguiamo l’omino su per un sentiero che passa in mezzo a campi,
ruderi e casupole.
Il
paesaggio è bellissimo e la vista sul lago con le montagne innevate
all’orizzonte addirittura spettacolare! La comunicazione con costui è minima;
giungiamo ad un gruppetto di case, ci fa entrare in una povera fredda stanza con
tre letti, un tavolo e due panche e se ne va.
I due milanesi vengono sistemati in un’altra stanza con un letto, e
basta. Dunque li ospitiamo da noi che perlomeno abbiamo un tavolo. Comincia a
nevicare.
Che
dobbiamo fare? Cosa siamo venuti a fare quaggiù al freddo ed al gelo? Dagli
zaini prendiamo tutto il cibo che possediamo: una forma di formaggio e due
scatolette di tonno. Mentre consumiamo questo cibo, nella stanza entra una
signora che ci porge dei piatti con una poco invitante minestra di riso
spappolato. Seguiamo questa operazione in silenzio, finché la signora, avendo
servito tutti, ci augura buon appetito e se ne va. Alziamo gli sguardi dal
piatto che è davanti a noi e ci scrutiamo negli occhi: chi avrà il coraggio di
mangiare questa sbobba, nonostante la fame? Nessuno. E dire che siamo tutti
delle ottime forchette, per giunta anche poco schizzinose!
Però
sembra brutto lasciarla nel piatto!! Ma non c’è alternativa. Dopo poco la
signora torna e ritira i piatti che nessuno ha toccato. Sguardi bassi. Poi la
signora torna con le uova e patate fritte. Non abbiamo il coraggio di mangiare
neanche quelle. La signora ritira anche quelle.
Dopo
pranzo (si fa per dire) abbiamo freddo. Stefano in particolare si sdraia sul
letto, tutto vestito, ed ha freddo, trema. Lo copriamo man mano con tutto quel
che abbiamo: coperte e sacchi a pelo; ed infine anche i teli ricamati acquistati
all’isola di Uros, ma continua a tremare, lamentarsi ed avere freddo.
Alle
quattro Renata ed i due milanesi raggiungono il gruppo al porto per andare a
fare una gita sulla collina, al tempio. Io rimango ad accudire Stefano. Intanto
continua a nevicare. Stefano dorme fortunatamente, ed io mi metto ai piedi del
letto a leggere, completamente vestita, anche con la giacca a vento ed i guanti.
Così trascorrerò le seguenti due ore, finché esce uno spicchio di sole ed il
cielo si schiarisce, allora esco a godermi lo spettacolo del tramonto, almeno
questo. Non c’è nessuno in giro, solo in una casupola la signora sciacqua i
piatti in una bacinella e tiene acceso un fuoco, per terra, in un’angolo della
stanza. Sul fuoco c’è il paiolo nero nero nero di cenere, dentro e fuori,
dove ha cucinato la nostra minestra.
Il
sole infine tramonta ed il cielo si fa tutto rosso ed il paesaggio trasmette un
senso di pace (La Canon si è ormai rotta definitivamente).
Stefano
dorme ancora, è ormai buio ed attendo il ritorno dei ragazzi. Come abbiamo
cenato non lo ricordo nemmeno.
Stefano
sta male, rantola nel letto sommerso dalle coperte e ci accusa tutti di averlo
avvelenato. Poi comincia ad essere
veramente disturbato di stomaco e non scenderò in particolari. Durante la notte
si alzerà a fatica almeno dieci volte ed ognuna è una tortura perché non ha
più le forze. Ogni volta si deve rimettere gli scarponi ed il kw, che nelle sue
condizioni è un’operazione faticosissima, alzarsi, uscire sotto la neve per
andare nei campi, infine tornare ricoperto di neve o grandine o pioggia, a
seconda delle condizioni climatiche esterne, togliersi gli scarponi ed il kw,
asciugarsi almeno la testa e rinfilarsi sotto le coperte. Ogni quaranta minuti
ricomincia tutto daccapo.
Purtroppo
nessuno può aiutarlo, innanzi tutto perché sono operazioni molto intime ma
soprattutto perché è troppo grosso e non siamo assolutamente in grado di
sorreggerlo. Insomma la notte sarà una tortura per lui ma anche per noi che
pure soffriamo il freddo; inoltre io sono molto preoccupata per lui che
nonostante le numerose pasticche di Imodium non sembra placare il suo tormento.
Come faremo domani?
12 Agosto - Ritorno a Puno
Al
risveglio il malato fortunatamente sembra che stia un po’ meglio, per quanto
non abbia più forze. Raccogliamo le nostre cose, ringraziamo dell’ospitalità,
e ci dirigiamo al porto dove di nuovo ci ricongiungiamo con tutto il gruppo. La
gita prevede di riprendere la barca per andare a visitare l’isola
di………… per poi rientrare a Puno nel tardo pomeriggio. Stefano dichiara
però che non può farcela.
Allora
affidiamo Renatina ai milanesi ed a tutto il gruppo ed io e Stefano prendiamo
invece una barca ‘di linea’, che in quattro ore ci riporerà dritti dritti a
Puno. Mi chiedo come potrà fare Stefano nel caso in cui gli venga il bisogno di
una toilette; ma lui dice che ce la farà, d’altronde l’unica alternativa è
restare qui, su quest’isola avvolta dalla neve e lontana dal mondo. Non esiste
neanche un dottore!
Sulla
barca ci sono altri uomini e donne coi bimbi avvolti nei teli colorati.
Fortunatamente ad un certo punto smette di piovere ed esce il sole. Gli uomini
giocano a carte e parlano ad alta voce e ridono, bevono l’acqua sporca del
lago raccogliendola con delle latte che fino a poco prima contenevano benzina.
E’ una traversata molto lunga ma piacevole. Verso mezzogiorno finalmente i
raggi di sole sono belli caldi e possiamo scoprirci un pochino e donare i nostri
visi al sole.
Quando
arriviamo a Puno, non so’ perché ma invece di prendere un normalissimo taxi
scegliamo di prendere un cyclò. Quel poveretto ha circa 150 Kg da trasportare
ed arranca con un fiatone preoccupante. Impietositi scendiamo e facciamo
l’ultimo pezzo a piedi, fino in albergo. Quando arriviamo Stefano crolla sul
letto e lì rimarrà fino a domattina.
Io,
dopo la solita doccia freddina, vado in paese a fare una passeggiata ed a
comprare limoni, crackers e carta igienica. Renata torna tardi nel pomeriggio
con i ragazzi, coi quali rimaniamo per andare a cena questa sera, lasciando
Stefano da solo.
13 Agosto - Viaggio Puno-Cuzco
Il
biglietto del treno l’avevamo già preso ad Arequipa. Il treno parte alle 7,25
e arriva alle 18. Teoricamente.
Dunque
questa mattina ci siamo svegliati alle 6,30 per giungere in tempo alla stazione.
Non c’è affatto quel clima caotico che descrivono le guide, anzi c’è fin
troppa tranquillità, oltre al fatto che la stragrande maggioranza dei
passeggeri sono turisti.
In
stazione ritroviamo i milanesi ed i francesi, ma siamo in posti diversi sul
treno. Noi siamo in seconda classe, non avendo trovato i biglietti di prima (la
prima classe è più pulita ed ha
le poltrone reclinabili); mentre nella terza classe ci sono i peruviani poveri .
Finalmente c’è il sole; il cielo è (quasi) del tutto azzurro.
I
sedili sono comodi; c’è un tavolino nel mezzo ed è come un salottino a
quattro posti. Io e Stefano abbiamo di fronte a noi una coppia di tedeschi sulla
sessantina, che fanno parte di un numeroso gruppo organizzato che riempie buona
parte del vagone. Sono abbastanza innocui. Renata è nel ‘salottino’
accanto, con una coppia di francesi.
C’è
anche un servizio ristorante: pollo, bistecca, omelette, riso, bevande. Le
hostess ed i camerieri passano ad ordinare il pranzo.
Il
treno parte con mezz’ora di ritardo e dopo quaranta minuti si ferma alla
stazione di Juliaca. Lì rimane fermo per più di due ore ‘per motivi di
sicurezza’.
A
mezzogiorno si riparte da Juliaca ed abbiamo fatto solo una cinquantina di
chilometri da stamattina alle 7,30.
Dopo
mezzora nuovamente il treno si ferma nella prateria. I turisti sono tutti
eccitati per la novità: il treno è circondato da donne che vendono cibarie non
molto commestibili e maglioni di lana di alpacas e llamas e c’è chi suona la
chitarra e fa un concertino. I turisti scattano fotografie.
Dopo
un’ora però già non ne possono più e l’eccitazione è del tutto svanita
ed anzi comincia a farsi sentire la stanchezza e la preoccupazione per il fatto
che è già pomeriggio e quasi non siamo ancora partiti, abbiamo fatto solo 70Km
su 470!
Il
problema, ci dicono, è la locomotiva, che non vuole più rimettersi in moto. I
macchinisti si collegano ai pali del telefono con rudimentali fili e strumenti e
comunicano con la stazione di Juliaca che manderà un’altra locomotiva a
spingerci (c’è un solo binario!). Il
treno riparte finalmente dopo ben tre ore e procede poi con una lentezza
esasperante.
Il
pranzo che ci viene servito nel pomeriggio è buono ma è piuttosto difficile
consumarlo, dato il sobbalzare del treno (chi ha preso la zuppa ha dei seri
problemi!).
Fortunatamente
abbiamo ancora parte della famosa forma di formaggio che è ora preziosissima
considerando che l’arrivo a Cuzco è previsto ormai per la mezzanotte.
Fortunatamente
inoltre siamo riusciti a non andare mai, durante l’intera giornata, nei bagni
del treno, che pare siano sporchissimi. Non ci avviciniamo nemmeno.
Arriveremo
infine all’una di notte, e la rabbia, oltre al ritardo in se’, è dovuta al
fatto che ci siamo persi il ‘meraviglioso’ paesaggio dei valichi di montagna
che il treno attraversa, ma ormai è buio.
In
compenso siamo goduti uno splendido cielo stellato. Per fortuna avevamo scelto
questa volta di prenotare una stanza in un albergo di categoria medio-alta (50$
la tripla) per poterci riposare veramente e darci una lavata a fondo con
l’acqua calda.
In
stazione con un taxi raggiungiamo l’albergo che è proprio accanto alle mura
incaiche in pieno centro, sulla piazza. Non ci rendiamo conto però, così al
buio, della bellezza di questa città e ce ne andiamo subito a dormire senza
neanche lavarci, siamo troppo stanchi.
14 Agosto – Cuzco
Al
risveglio vorremmo rinfrancarci con una bella doccia……fredda! Ma basta! Non
vale dunque la pena di restare in quest’albergo che è certamente più bello,
ma più caro, e non siamo disposti a spendere di più se non per l’acqua
calda. Ci troviamo allora un’altra sistemazione in un hotel più economico, ma
comunque carino, con un bel cortile per la colazione.
Con
i milanesi visitiamo Cuzco e l’antica Sacsawuman, con un tour organizzato, per
non affaticarci ulteriormente, ci lasciamo portare con un pullman in gruppo. Per
cena siamo andati al ristorante ‘El Nevado’ che ci hanno consigliato i
francesi. Pensavamo che i francesi avessero un palato più raffinato, ma
accogliamo comunque con gioia la zuppa di pomodoro e di asparagi della Knor, che
riconosciamo e che perlomeno sappiamo essere non del tutto insana.
15
Agosto - Ollantaytambo e Aguas calientes
La
mattina, belli riposati, andiamo a prendere il pullman per Ollantaytambo. Tutto
si svolge serenamente e tranquillamente. Fa caldo. Arriviamo al grazioso,
piccolo, paesino di Ollantaytambo, di dove, in fondo alla piazzetta, si parte
per la visita alle rovine. Ci arrampichiamo dunque fino in cima. Ci sono pochi
turisti.
Successivamente,sempre
con gran serenità d’animo, raggiungiamola stazione del treno che ci porterà
ad Aguas Calientes, base per la visita del Macchu Picchu, per chi non affronta
il trekking di 3 giorni. Non ce la siamo sentita, non siamo in ottima forma
fisica. Il treno è pieno di turisti. Si ferma nel bel mezzo del paese. Un
paesino assolutamente turistico, di appoggio, appunto, per la visita del Macchu
Picchu. Abbiamo un alberghetto già prenotato, senza infamia e senza lode. Bagno
nella pozza calda puzzolente. Cena in pizzeria . Acquisti di ‘gioielli’ .
16
Agosto - Machu Pichu e l’orrendo ritorno
La
mattina prendiamo il pulmino per le rovine di Macchu Picchu…….
Visitiamo
lungamente e largamente il sito, ci arrampichiamo per circa un’ora, in cima
alla vetta dalla quale si gode di un entusiasmante panorama…..Non ho scritto
molto di questi ultimi due giorni ma…. sono stati belli e comunque credo ci
siano sufficienti fonti di informazioni sul Macchu Picchu. Bellissimo.
Per
ritornare ad Aguas Calientes riprendiamo
il torpedone che ridiscende tutti i tornanti. Attendiamo l’arrivo del treno
mangiando un panino praticamente in mezzo ai binari, ad uno dei tanti baretti.
Il treno è poi affollatissimo, finalmente partiamo e faticosamente arriviamo
alla stazione di Ollantaytambo. Poi avrebbe dovuto proseguire per Cuzco.
Dalla
stazione di Ollantaytambo il treno, però, non è più ripartito: la locomotiva
si è rotta. Sono tutti lì che buttano acqua nella ciminiera e tentano di
riaccenderla, ma non c’è niente da fare. Tutti i passeggeri chiedono
informazioni ai poliziotti in stazione, ma questi non rispondono. Infine si
intuisce che resteremo qui fermi per circa un paio d’ore, in attesa di
un’altra locomotiva da Cuzco. Molti se ne vanno, stipati nei pochi taxi che
stanno sul piazzale della stazione. Noi decidiamo di aspettare, poiché tra
l’altro non abbiamo più soldi.
Verso
le sei si fa buio e siamo ancora fermi nella stazione ormai scura. Anche il
treno è senza luci. I poliziotti se ne vanno abbandonando i passeggeri del
treno al loro destino. Rimaniamo seduti ai nostri posti al buio. Corre voce di
stare attenti alle borse. Io e Renata ci addormentiamo abbracciate alle nostre,
svegliandoci e riaddormentandoci di continuo.
A
un dato punto Stefano ci sveglia di soprassalto; è mezzanotte ed ancora non
sembra che il treno voglia ripartire e neanche che qualcuno si stia comunque
preoccupando di farlo ripartire. Sono arrivati due taxi da Cuzco e c’è un
ragazzo che era con Stefano che li sta trattenendo per noi.
Corriamo
trafelate al piazzale e ci infiliamo nel taxi che nel frattempo ha occupato il
posto davanti con una coppia di francesi. Noi tre con le borse ci infiliamo
subito dietro (vuole 20 soles a testa, che pagheremo in dollari).
Gli
altri ragazzi salgono sull’altro taxi che ha l’autista che è morto di
sonno; ci precedono sulla strada e li vediamo sbandare continuamente con la
macchina. Il nostro autista sembra invece più sveglio sebbene anche lui abbia
un’aria piuttosto stanca. Ci attende un
tratto in salita con dei tornanti stretti e senza protezione per l’auto.
Speriamo bene! Comunque ad un dato punto crolliamo addormentati ed alle due
della notte veniamo depositati a
Cuzco, davanti al nostro hotel. Fortunatamente ci hanno tenuto la stanza, come
promesso, nonostante l’ora tarda.
17
Agosto - Il mercato di Pisac e le rovine – Hoy al horno
Con
tutta calma abbiamo fatto colazione in hotel, abbondando in limonate, visto che
io e Renata non stiamo tanto bene di stomaco; poi abbiamo consegnato i panni
sporchi alla lavanderia di fronte all’hotel (12 kg = 26 soles) ed infine ci
siamo diretti al bus per Pisac (2 soles, ¾ d’ora). E’ stato un viaggio
tranquillo nei pulmini di linea, con gente locale.
Il
mercato è molto turistico per la parte dell’artigianato, ma ci siamo
ugualmente lasciati trasportare dall’euforia degli acquisti ed abbiamo speso
un po’ di soldi.
Poi
siamo entrati nel cortile di una casa dove c’è un vecchio forno, indicato
anche sulla guida, dove cuociono il pane, e pare sia buonissimo!. Ci siamo
avvicinati con curiosità, sbirciando nelle teglie, tutti contenti e con
l’acquolina in bocca, ma…. Orrore! Che schifo! In una teglia c’è un
topaccio pronto per essere infornato, con tanto di patatine!!!! Ce ne andiamo
via disgustati! Si mangiano i topi!
Dopo
il mercato con un taxi siamo andati in cima alla montagna, alle rovine della
vecchia città e poi siamo ridiscesi fino in paese a piedi, seguendo il
sentiero. Il panorama è molto bello!
Per
pranzo siamo stati in un localetto per turisti molto fighetto.
Con
un taxi collettivo, in compagnia di due personaggi assurdi, siamo tornati a
Cuzco che era ormai ora di cena.
Sono
giorni che attendiamo la cena di questa sera al ristorante più bello della città,
con vista sulla piazza di Cuzco e che Stefano ha promesso di offrirci perché
non ne può più di mangiare mondezza! Ci facciamo belli, per quanto possibile,
e ci scegliamo un bel tavolino carino. Vogliamo proprio assaporare la specialità
del posto: ‘hoy al horno’ che da diversi giorni ci capita di leggere nei menù
dei ristoranti di Cuzco. E dunque ordiniamo: due ‘Hoy al horno’ ed una
grigliata mista. Siamo tutti contenti, finalmente si mangia come si deve e
nell’attesa ci serviamo bei piatti di antipasti. Il locale è frequentato sia
da turisti stranieri che da peruviani. Quando ci portano queste portate enormi
tutti gli occhi sono su di noi. Ma….orrore! Mi servono un piatto ovale con
dentro un topaccio!! Un topaccio come quello di stamattina, sezionato ma tutto
intero, con tanto di musetto, dentini e codino!!! Tutto ciò ci fa orrore ma non
vogliamo ammettere di aver sbagliato, ne’ a noi stessi, ne’ tra di noi,
ne’ tantomeno verso tutti gli altri clienti del ristorante - ed i camerieri- ,
che ci guardano con curiosità, schifo e ammirazione. Ma che cavolo è questo
hoy? Realizziamo a questo punto che non è il maialino che ci aspettavamo noi,
bensì un maialino d’india, ovvero proprio un topaccio! Non resta che
assaggiarlo.
18
Agosto - Cuzco: visita della città
Sveglia
libera e dolce colazione in albergo. Siamo sopravvissuti al topo. Visita serena
della città: il museo religioso, la pietra incaica coi 12 lati, San Blas,
mercatini dell’artigianato, pranzato bene con chuleta e papas, riposato,
mangiato dolci a merenda.
Poi
siamo ripassati alla Faucett per capire bene a che ora è il volo di domani per
Lima. Ci dicono però che ancora non lo sanno, perché questa mattina è stato
improvvisamente cancellato un volo, dunque chi non è partito stamattina
dovrebbe partire domattina e dunque tutto é slittato.
Cosa?
Noi abbiamo il volo internazionale per Roma e non possiamo assolutamente
cambiare il giorno della partenza!
Non
c’è niente che si possa fare, qui, adesso e non ci resta che andare domattina
prestissimo all’aeroporto, anche se il nostro volo è indicato come il secondo
della giornata, che dovrebbe partire in teoria alle 10,30 (ma da quel che si
capisce non sarà prima delle 12,30).In ogni caso sono parchi d’informazioni e
fanno finta che va tutto bene e dicono sempre di tornare più tardi.
Siamo
tornati a cena al fido Nevado, che mai ci tradisce con l’ottima crema di
pomodori della knor. Poi in piazza, al mercatino che si tiene di sera, ho
barattato la giacca a vento che ormai non mi serve più con una bella sacca
rossa e gialla. Renata invece ha reso felici i bimbi regalandogli tutte le sue
magliette e pantaloni.
19
Agosto - Viaggio per Lima
Ci
siamo svegliati all 5,30, per essere in aeroporto alle 6,15 (15 minuti, cinque
soles). Nonostante il fatto che noi
siamo prenotati sul secondo volo in partenza oggi, ci mettiamo subito in fila.
Ci sono solo quattro persone prima di noi.
Alle
sette apre il check-in del primo volo ed è un caos poiché tutti quelli che non
sono partiti ieri mattina vogliono prendere il volo di oggi che però è pieno
(ed è pieno anche il volo successivo!) e nessuno ha intenzione di rinunciare al
suo viaggio!
In
ogni caso non molliamo la postazione nonostante che non ci filano per niente e
presidiamo la fila fino alle nove, facendo presente, ogni tanto e ricordando che
noi abbiamo poi una coincidenza con un volo internazionale, dunque non possiamo
rinunciare al nostro viaggio.
Quando
finalmente apre il check-in del nostro volo ci fanno subito la carta d’imbarco
senza problemi (pagati 10 soles di carta d’imbarco) e quando arriviamo al gate
vediamo partire il primo volo per Lima. E’ lo stesso aereo che tornerà a
prenderci all’una, ed alle due finalmente atterreremo su Lima.
Per
un volo di un’ora siamo in circolazione da 7 ore e ci siamo già stancati,
oltretutto lo shock termico da Cuzco a Lima è stato molto elevato, fa di nuovo
un caldo soffocante e ci sentiamo un po’ raffreddati.
Con
un taxi collettivo (10 soles in tre) andiamo in città e ci facciamo portare
dall’autista in un posto carino ed economico che conosce lui. Ed in
particolare al San Isidro, dove spendiamo 6$ a testa (15 soles). E’ in realtà
un grande appartamento su due piani, tipo ostello della gioventù. Di sotto c’è
il salone con la televisione e la cucina; di sopra tre camere da letto coi letti
a castello ed un bagno. Le camere sono miste, nel senso che loro ti consegnano
un letto, ma non tutta la stanza. Fortunatamente siamo noi soli in tutto
l’hotel, dunque anche la presenza di un solo bagno non ci crea poi tanti p
roblemi. Si trova in una zona residenziale ed a pochi isolati di distanza si
trovano grandi hotel e ristoranti lussuosi.
Andiamo
alla ricerca di cibo ma non troviamo nulla di adatto alle nostre esigenze: o
troppo ricchi o troppo poveri, finché ecco il nostro salvatore: un PioPio più
moderno, tipo Mac Donald’s, dove possiamo gustare a soli 29 soles la
vantaggiosissima offerta di un pollo+¼, patate fritte in quantità ed Inka Cola
(imbevibile).
Poi
è scesa la sera ed alle sette siamo andati a dormire.
Questo
Perù ci MI ha messo piuttosto a dura prova: il freddo, i numerosi imprevisti
coi mezzi di trasporto…. Ma più che altro il destino ce l’aveva proprio con
me, lo so, perchè sono partita triste ed angosciata, per via casi familiari, e
non ero per nulla in forma. Ciò nonostante è stato un viaggio bellissimo che
ho dedicato, fin dal primo giorno, a Roberto, che è sempre stato vicino a me.
20
Agosto - Viaggio per Santo Domingo
Sveglia
alle 7,30; taxi per l’aeroporto. Volo per Santo Domingo alle 11,55.
Questa
volta è andata bene, liscia; si parte. Tassa d’uscita ben 25$.
Arriviamo
a Santo Domingo alle 17,30. Si pagano 10$ d’entrata.
All’uscita
dall’aeroporto troviamo con sorpresa ‘il Principe’ che ci è venuto
a salutare. Sta partendo per Roma e ci affida ad un suo fidatissimo amico:
Hector, che ha il compito di prendersi cura di noi. Quindi ci mettiamo per
l'appunto nelle sue mani e ci rilassiamo.
Troppo presto! Già nel taxi ci rendiamo conto che per noi era meglio restare soli: il taxi per la città costa 20$, noi lo sappiamo perché ci siamo informati! Lui fa tutta una scenata con l’autista, fingendo che costa 30$ e che solo per merito suo ne paghiamo solo 20. Poi ci vuole portare per forza all’hotel Commercial, facendoci pagare la tripla 575 pesos, sostenendo che è economicissimo. Poi invece scopriremo che ci sono altri posti migliori. Inoltre pretende di stare con noi tutta la settimana. Cerchiamo di fargli capire che da noi non trarrà neanche una lira (/pesos/dollari). Ma ci sbagliamo…..
Giovanna