Viva el Perù Glorioso
Diario di viaggio 2004
Preparativi:
Da dove cominciare?
E’ al ritorno dal viaggio in Madagascar che ho cominciato a lavorare ai fianchi di Annalisa … sapete per lei un viaggio deve comunque prevedere anche un soggiorno al mare, visto che il Perù non è famoso per le sue spiagge tropicali ho dovuto iniziare l’opera di convincimento proprio con un anno di anticipo.
Più o meno a luglio sono arrivato allo scopo prefissato, l’ho convinta, andiamo in Perù!!!
Uno dei sogni che avevo fin da quando ero bambino…vedere il mitico Machu Picchu dalla Porta del Sole (Intipunku) all’alba.
Iniziamo la solita opera di ricerca di informazioni e qui coloro che più mi sono stati di aiuto sono stati Marcaval (anche lo scorso anno, doppio ringraziamento), Matteo della Piccola Locanda a Cuzco e naturalmente l’immancabile Lonely Planet.
Data di partenza prefissata il 28/10/04.
Circa un mese prima della partenza acquistiamo i biglietti aerei , tra le varie compagnie optiamo per Alitalia: i biglietti costano meno e la partenza sarà da Falconara.
E’ proprio in quei giorni che la vicenda della nostra compagnia di bandiera si aggrava tenendoci non poco con il fiato sospeso, ma fortunatamente tutto si risolve senza stravolgimenti di programma.
Questo anno gli zaini non prevedono anche il solito costumino e telo mare, piuttosto pile, maglie e scarpe da trekking… riusciamo, anzi Annalisa riesce, ha lei il compito e il merito della preparazione degli zaini, a mantenerli leggermente meno pesanti rispetto gli ultimi viaggi!!!.
Ci siamo è la mattina del 28/10/04. Si parte.
Lima e Arequipa
Arriviamo all’aeroporto di Lima in perfetto orario, cioè alle 19,40 locali, fuori ci dovrebbe essere ad aspettarci qualcuno dell’Hostal el Patio.
Espletate velocemente le solite formalità doganali, ci dirigiamo verso la sala arrivi dove tra i tanti c’è un cartello con su scritti i nostri nomi, ad agitarlo è un tassista mandato dall’Hostal, come avevamo richiesto, il suo nome è Ronald e lavora come tassista ufficiale dell’aeroporto e spesso, viene contattato dall’Hostal El Patio per i suoi clienti.
E’ già buio profondo, Ronald ci dice che per arrivare alla zona Miraflores, dove è situato l’Hostal, ci vorrà circa ½ ora e dovremo attraversare praticamente tutta la città.
Gli faccio qualche domanda sulla sicurezza della capitale e mi dice che a parte le zone più turistiche e ricche della città soprattutto di notte è molto, molto pericolosa.
Sapete io e le capitali del centro sud america non abbiamo un ottimo rapporto dopo quello che ci è accaduto a Guatemala City, per cui durante il viaggio, almeno fin quando non siamo sulla litoranea mi guardo sempre in giro con sospetto, scrutando ad ogni incrocio le persone che sono nei paraggi.
Bene, dopo 1/2 siamo in zona Miraflores, qui è tutto diverso, c’è molta gente in giro, il parco centrale Parco Kennedy è pieno, ci sono grattaceli, ogni sorta di negozi, le strade sono improvvisamente pulite, sembra proprio la zona centrale di una città occidentale e ciò mi tranquillizza.
L’Hostal si trova proprio a due passi dal centro ma le 18 ore di volo si fanno sentire e l’unica cosa di cui abbiamo voglia è fare una ritemprante dormita.
La mattina seguente abbiamo prenotato un giro turistico della città, non abbiamo molto tempo quindi ci è sembrata la soluzione migliore per farsi una piccola idea di Lima, ma prima di partire cerco di dare un’occhiata all’hostal.
E’ una struttura abbastanza piccola, le stanze sono gradevoli, pulite e spaziose, al centro delle ali dove sono le camere c’è un bel patio colorato da molte specie di piante e c’e una voliera con dentro degli uccelli tropicali.
Prima di partire cambiamo i dollari in Sol la moneta locale, 1$= 3.3 Sol,
Il giro, che si chiama Lima Vision, prevede la visita ad un sito archeologico, un giro per la zona coloniale di Lima, infine la visita delle spiagge nei pressi di Miraflores.
Lima ci accoglie col suo classico clima di mezza primavera, il sole praticamente invisibile coperto da una fitta foschia composta da smog e nubi, la garua.
Subito ci portano al sito archeologico di Huaca Pucllana, che ancora adesso è opera di scavi, si trova in centro e si tratta di una piramide fatta di mattoni costruiti con il fango, risalenti alla civiltà di Lima del 400 d.c..
Sinceramente il sito non mi entusiasma proprio, nulla a che vedere con i siti Maya che abbiamo visto in Messico e Guatemala, forse, la valorizzazione del sito non è ottimale.
Dopo questa breve e deludente visita iniziamo il giro della Lima coloniale e qui invece la cosa si fa molto più interessante.
Intanto scopro che nel centro di Lima ci sono un’infinità di palazzi, chiese e strutture risalenti all’epoca dell’invasione spagnola, ma soprattutto il centro della città è inaspettatamente accogliente e pulito.
Attraversiamo alcune delle vie centrali più importanti tra cui Paseo de la Repubblica dove tra le altre cose c’è lo stadio National, e mi ritornano in mente le immagini del mondiale ’82 con il pareggio 1-1 tra Italia e Perù, dove c’è il palazzo, appunto del Paseo della Repubblica, il Parque Italiano e il Parque de la Cultura, superiamo Piazza S. Martin, fino ad arrivare alla vera chicca di Lima cioè Plaza de Armas, o Plaza Mayor.
La piazza è circondata dal palazzo del Gobierno e dalla Cattedrale, al centro della stessa si alza la maestosa fontana costruita nel 1650.
La cattedrale è stata costruita la prima volta nel 1555, ma solo dopo pochi anni è stata ritenuta troppo piccola quindi è stato dato il via alla costruzione di una più grande conclusasi nel 1625,questa volta a causa di un violento terremoto è stata danneggiata prima nel 1687 e poi distrutta nel 1746, per essere poi definitivamente riedificata gli anni successivi.
E’ sabato mattina e la piazza è stracolma di gente,
venditori ambulanti, lustrascarpe, coppiette sedute sulle panchine che la
circondano, immancabili turisti e molti bambini presumibilmente in gita
scolastica.
Vorrei trascorre più tempo in questa zona ma i tour
organizzati hanno degli orari da rispettare ed è per questo che non mi
piacciono, quando siamo richiamati per partire diretti al museo National.
All’interno del palazzo coloniale che ospita il museo, ci sono dei bellissimi reperti delle civiltà Incaiche e pre Incaiche ed è qui che iniziamo a conoscere qualcosa dell’immenso patrimonio storico culturale del Perù.
L’ultima tappa del giro prevede di percorrere la litoranea per osservare le spiagge di Lima che di bello non hanno veramente niente, anzi sono alquanto squallide, se non si escludono le onde dell’Oceano famose tra tutti i surfisti del mondo.
E’ ora di pranzo e siamo finalmente soli al Parque Kennedy
di Miraflores, decidiamo di andare in Pizza Street dove potremo scegliere dove
mangiare tra le varie pizzerie e ristoranti che danno appunto il nome a questa
strada.
Un po’ casualmente un po’ spinti da un butta dentro,
ogni locale ne ha almeno uno…che palle tutti che ti dicono che il loro locale
è il migliore, scegliamo Las Pizza.
Qui come benvenuto ci offrono il favoloso Pisco Sur, un
aperitivo a base di Pisco (un vino prodotto a Pisco per l’appunto) con
l’aggiunta di zucchero liquido, lime, chiara d’uovo battuta e una spruzzata
di una polverina rossa che ancor oggi non so cosa sia.
Sorpresa: è eccezionalmente buono!!!
Il resto del pomeriggio lo passiamo a Miraflores a zonzo tra
i negozi e più tardi per farci un’idea sui prodotti dell’artigianato
peruviano andiamo al mercato de los Indios, praticamente un quartiere grande
come il centro di Ancona dove si vendono le stupende manifatture dell’artesania
locale.
Sinceramente prima di arrivare pensavo che la città non
fosse meritevole di una visita, invece mi devo ricredere, nulla di eccezionale
ma un paio di giorni per girarla si possono dedicare.
E’ già tramontato il sole e ci facciamo portare da Ronald
al Terminal bus per prendere il pullman che in una notte ci porterà ad Arequipa.
Abbiamo scelto la compagnia Cruz del Sur.
Abbiamo i biglietti di un autobus di categoria intermedia,
Imperial, ci guardiamo in giro e siamo gli unici stranieri tra i passeggeri, già
perché la gente del posto lo usa moltissimo per questo tipo di spostamenti,
infatti è abbastanza economico e quasi tutti si portano dietro delle valigie
immense.
Dovremo stare 15 ore sul bus, all’inizio trascorrono
abbastanza velocemente, ci passano la cena, pollo e riso, la hostess organizza
un Bingo con un viaggio di ritorno offerto al vincitore, ma poi più passano le
ore più il tragitto diventa pesante, i sedili sì sono comodi ma pur sempre
sedili di un bus.
E’ mattina, le 7,00 circa, quando ci servono la colazione,
penso tra me e me ad una brioche dolce con
un po’ di caffè …ma sorpresa la brioche c’è ed è dolce ma al suo
interno c’è un’oliva nera di dimensioni abnormi (sembra una melanzana) ed
è salatissima!!!
Ci guardiamo, scoppiamo a ridere… è veramente
immangiabile.!!!!
Una precisazione, il nostro viaggio prevede 15 giorni in Perù,
per forza di cose dal giro che ci eravamo prefissati dovevamo tagliare qualcosa,
a malincuore abbiamo deciso di non visitare Paracas e le linee di Nazca.
Ora, col senno di poi, avendo visto il Colca Canyon
probabilmente avremmo fatta un’altra scelta!
Ma torniamo al viaggio, arriviamo ad Arequipa alle 11,00 e
ad attenderci c’è un ragazzo che ci porta alla Casa del Tintin, l’Hostal al
quale in precedenza avevamo prenotato le camere.
Il tempo di depositare i bagagli farci preparare un succo di
frutta e siamo già per le vie della “città bianca”, il nome deriva dalla
roccia vulcanica, particolarmente chiara chiamata sillar che luccica alla luce
del sole, con la quale è stata costruita gran parte della città coloniale.
Arequipa si trova in una vallata dalla quale si possono
vedere, da ogni zona della città i tre gruppi di vulcani che la circondano che
sono il Misti (5822mt), il Chachani ( 6075 mt), il Piche Pichu ( 5571).
E’ estremamente piacevole e rilassante girare per la città,
anche se è mezzogiorno e il sole è a picco e durante il tragitto dalla Casa
del Tintin per il centro sbagliamo strada più volte, ma proprio questo ci
permette anche di vedere vicoli che altrimenti non avremmo visto.
Arriviamo comunque in centro e come tutte le città del
centro sud America centro vuol dire piazza, anche in questo caso Plaza de Armas.
Diamo un’occhiata in giro, ci risalta subito all’occhio
il colore chiaro dei palazzi e della cattedrale che circondano i
quattro lati della piazza, le splendide balconate sono sorrette da
colonne che formano centinaia di archi in un inconfondibile stile coloniale, la
solita e immancabile fontana al centro della piazza con intorno i relativi
giardini, germiti di gente che rendono così viva la piazza, il vero e proprio
“zocalo” della città..
Decidiamo di andare a visitare il monastero di Santa
Catalina.
Si tratta di un monastero (convento) in
stile coloniale, fondato nel 1580, restaurato in maniera perfetta nel
1970, le mura sono state ridipinte con colori accesi che vanno dal rosso
mattone, al giallo ocra, all’azzurro, è composto da viottoli acciottolati
dove si aprono le abitazioni delle monache, alcune costituite da
stanze piccole ed anguste, altre arredate con mobili d’epoca , forno a
legna e piccoli pati privati, dipendeva dal grado di nobiltà e ricchezza delle
monache. Bello girare tra i vari cortili adesso adornati da rigogliose piante,
insomma è bello e affascinante girare e perdersi in questo labirinto colorato
di vie.
Sono le 3 del pomeriggio e ci rendiamo conto che è dalla
brioche all’oliva che non mangiamo, quindi proprio fuori dal monastero ci
fermiamo in un bar, Zig Zag, per prendere qualcosa.
Si tratta di una creperìe che propone, appunto, crèpes
dolci e salate, optiamo per prendere qualcosa di stravagante, ci ispira una crèpes
al pollo e curry, non è sicuramente un piatto tipicamente peruviano ma la
scelta si rivela ottima.
Passiamo il resto della giornata in giro per il centro della
città bianca senza una meta precisa vogliamo solo girare liberamente e scoprire
anche qualche angolo della città meno battuto turisticamente.
Per cena ci hanno consigliato, visto che vogliamo mangiar
carne, di andare al Gaucho ma è domenica ed è chiuso quindi per via San
Francesco, cerchiamo un ristorante che ci ispiri ed entriamo da El Turko: un
ristorante che offre specialità peruviane tra cui il cuy e l’alpaca oltre a
delle specialità turche come il kebab.
La cena a base di alpaca e kebab si rivelerà ottima!
Colca Canyon
Siamo al giorno della partenza per l’escursione al Colca
Canyon, il secondo al mondo per profondità e famoso per il volo dei condor che
si dovrebbero osservare dalla sommità della montagna.
Staremo via due giorni e una notte che trascorreremo a
Chivay.
Siamo in nove: noi, una portoghese, due ragazze scozzesi,
due ragazzi brasiliani, una coppia di tedeschi, l’autista e la guida.
Quasi tutti parlano almeno tre lingue solo noi a stento
parliamo un po’ di inglese e riusciamo a capire un pochino di spagnolo. Che
vergogna!!!!
Usciti dal centro di Arequipa facciamo subito la prima
tappa, ci fermiamo in un negozio per comperare caramelle con miele e foglie di
coca e le foglie stesse, la guida, una ragazza di una ventina di anni, ci dice
che le foglie hanno una funzione benefica per il mal di montagna, visto che
dovremo superare un passo a 5000 mt queste ci faranno molto, molto comodo.
Ci spiega anche come assumerle ci dice di piegarle su se
stesse, introdurne in bocca una decina e masticarle dolcemente per circa 15
minuti. Sono amarissime!!!!!
Saliamo rapidamente in quota percorrendo un’ottima strada
asfaltata, entriamo in una zona pianeggiante e brulla
a 4000- 4200 mt da qui
la vista è magnifica si possono vedere i vulcani che circondano Arequipa
e sullo sfondo le vette Andine.
Queste zone ora sono diventate riserve protette e si
incontrano per strada animali come la Vigogna, il Lama, e l’Alpaca.
Ci fermiamo in una specie di area di servizio dove c’e un
ristorante e fuori sul piazzale le immancabili donne vestite con abiti
tradizionali che vendono i loro prodotti artigianali.
La caratteristica di questo posto è che il costone della
montagna di fronte presenta dei pinnacoli bianchissimi, dovuti all’erosione
degli agenti atmosferici, che tanto somigliano a quelli visti diversi anni fa in
Cappadocia.
Ripartiamo poco dopo e raggiungiamo in breve tempo quello
che sarà il punto più alto del nostro giro in Perù, siamo a 5000 mt circa.
A segnalare il punto, lungo la strada c’è un piazzale
dove alcune donne vestite con abiti locali vendono i loro prodotti artigianali,
scendiamo dal pulmino qui c’è un vento fortissimo e si è fatto anche
abbastanza freddo, per fortuna siamo sul tropico del capricorno…
Il panorama che ci circonda è mozzafiato si vedono quasi
tutte le vette Andine della e zona e ancora in lontananza si vedono i tre
vulcani che circondano Arequipa, però, anche se avevo letto ed ero informato,
quello che più mi stupisce è la difficoltà per respirare: si è sempre
in affanno, si ha l’impressione, anzi è la realtà, che sì respiri a fondo
ma ai polmoni arriva poco o nulla, per non parlare della difficoltà nel
camminare, fare quattro passi equivale a una corsa di 100 Mt.
Inoltre la pressione ti comprime la testa e lo stomaco si
rivolta su se stesso come se dovesse riassestarsi.
Nel giro di pochi minuti sono di nuovo sul pulmino con un
mal di testa allucinante!!!
Iniziamo la discesa che ci porta verso Chivay e come se
qualcuno ci avesse dato un sonnifero tutti e sette ci addormentiamo
improvvisamente.
La nostra guida ci sveglia quando siamo a Chivay davanti ad
un ristorante che ha già il tavolo apparecchiato per noi.
Dopo un pranzo leggero a base di zuppa e carne con riso
ognuno di noi viene portato al rispettivo hostal per un piccolo riposino, con la
promessa che ci saremmo rivisti per andare alle acque termali per poter fare un
ritemprante bagno sulle calde acque sulfuree della sorgente.
Siamo tutti presenti e passiamo dalla piscina coperta ad una
scoperta, l’acqua delle piscine è calda, circa 38 °C ed emana un forte
odore, o forse meglio dire puzzo di zolfo.
Trascorriamo qui in relax circa un’ora ma il mio mal di
testa, nonostante abbia preso l’ennesimo mate di coca, proprio non mi vuole
lasciare anzi è anche aumentato.
Decido di uscire insieme ad Annalisa mentre gli altri
rimangono ancora per almeno un’altra ½ mezz’ora, quando siamo di nuovo
tutti insieme è già ora di cena.
Sarà colpa del mal di testa e della spossatezza che sento,
ma il posto in cui andiamo proprio non mi piace, è un ristorante turistico dove
non si mangia gran che bene e dove hanno allestito uno spettacolo di canti e
danze appositamente per turisti: è veramente uno spettacolo triste!
Quello che in genere cerco di evitare …
Ceno velocemente e prima che gli altri finiscano torno
all’hostal dove cerco di addormentarmi, invano.
Trascorro tutta la notte praticamente sveglio con la testa
che sembra scoppiarmi.
Fortunatamente la mattina seguente mi sento molto meglio,
anche se sono stanchissimo, il mal di testa ha smesso di tormentarmi.
Dopo un’ottima colazione e l’immancabile mate siamo già,
con gli altri ragazzi , sul pulmino diretti al Canyon.
La strada che percorriamo è in condizioni pessime, un
terremoto di alcuni anni fa ha aggravato lo stato della strada che adesso è
praticamente una pista di breccia ed attraversiamo una galleria che sembra
essere stata scavata a mano.
Il paesaggio che ci circonda invece è bellissimo, ci sembra
di tornare indietro di un anno, in Madagascar, attraversiamo infatti una valle
con dei villaggi dove il tempo sembra essersi fermato, tutto intorno
un’infinità di terrazzamenti utilizzati dai campesinos per le loro
coltivazioni, siamo a 3800 mt su livello del mare e in mezzo alla vallata il Rio
Majes che scorre impetuoso.
Man mano che saliamo verso il punto più alto del canyon il
paesaggio cambia e progressivamente si fa più brullo e prende le sembianze di
alta montagna, le vette che formano il canyon
sicuramente sono sopra i 5000 mt.
Arriviamo al punto più alto, chiamato Cruz del Condor, da
dove dovremo vedere il volo di questi uccelli… tutto lascia presagire che ne
vedremo parecchi infatti appena scesi dal pulmino ne avvistiamo uno in
lontananza.
Purtroppo sarà il primo e l’ultimo, infatti
trascorriamo circa tre ore in questo magnifico posto, dove stando seduti
a guardare lo spettacolo della natura e ad ascoltare i suoni che la stessa
produce si perde la cognizione spazio temporale, i colori del cielo e delle
vette che formano il canyon sono intensissimi, raramente ne ho visti di così
nitidi, in fondo alla vallata profonda 3100 mt scorre il Rio Majes, tutto è
bellissimo, ma il condor non pasa!!!
Pensare che nel racconto di Marco dice di averne visti 13:
che sfiga!!!
Alle 11 quando eravamo praticamente gli ultimi rimasti
rinunciamo e riprendiamo la strada che ci riporta ad Arequipa, dove, dopo una
sosta per il pranzo di nuovo a Chivay, arriviamo
intorno alle 17.
Arriviamo all’hostal e qui abbiamo una sorpresa: Anita ci
dice che domani e dopodomani ci sarà il paro (sciopero) dei trasporti.
Ci spiega che ad Arequipa il paro è molto sentito,
partecipano tutti e gli autobus, anche quelli turistici, molto difficilmente
lasceranno la città.
..azz ma noi dobbiamo andare a Puno sul lago Titicaca e due
giorni di blocco veramente ci sconvolgono i piani per cui decidiamo di
contattare Lan Peru’ per un volo interno e vedere di raggiungere Juliaca che
sta a 50 km da Puno.
In agenzia ci dicono che Lan vola e che c’è posto per il
volo che cerchiamo, chiaramente la spesa non è per nulla paragonabile al bus,
inoltre anche a Juliaca
probabilmente ci sarà il paro quindi avremo comunque da lì il problema di
raggiungere Puno.
Siamo assaliti dai dubbi, partire comunque o rinunciare…
speriamo che la notte ci porti consiglio, nel frattempo andiamo a cena al Gaucho
un ristorante che ci ha consigliato Anita.
Il ristorante è di lusso ed è frequentato da peruviani
facoltosi, per 10 $ a testa mangiamo un taglio di carne di bue (chorizo
come si scrive non lo ricordo) tra le più buone che abbia mai
mangiato… Italia compresa.
Da Arequipa verso il
Lago Titicaca.
La mattina seguente c’è una svolta: all’hostal arrivano
dei turisti dall’ aeroporto accompagnati da un taxi.
Ci fermiamo a parlare con il tassista per accordarci sul
trasferimento per l’aeroporto quando quasi per scherzo gli chiediamo se ci
accompagna a Puno e quanto ci costerebbe.
E’ disponibile, dice di conoscere strade sicure per uscire
da Arequipa, che si può partire alle 14 e la tariffa è 350 soles… 100$ circa
80 $ in meno rispetto al volo con l’aggiunta che almeno vedremo il paesaggio.
Accettiamo subito.
Come d’accordo alle 14 il tassista si presenta all’hostal
per partire, con lui c’è un suo amico, è in divisa, ci dice che lavora alla
sicurezza dell’aeroporto e che con lui siamo anche più protetti, infatti
durante il paro alla periferia della città le macchine vengono fermate e
le strade bloccate…
i peruviani non scherzano su queste cose.
Saliamo in auto e partiamo incrociando le dita. Subito
chiediamo ai due il perché del paro, ci dicono che è contro il governo da loro
definito un branco di ladrones… ma allora tutto mondo è paese, perché il
costo della benzina e insopportabilmente alto ed è passato da un soles a tre
nel giro di 5 mesi.
Ci spiegano che per accordi commerciali sono costretti ad
esportare il petrolio agli USA ai quali costa meno rispetto al Venezuela e loro
sono costretti a ricomprarlo ad un prezzo maggiore dal Venezuela stesso!!!
Ora è chiaro tutti partecipano ed hanno ragione, come dar
torto a questa gente?
Subito fuori dal centro iniziamo a trovare i primi posti di
blocco, ci sono molti ragazzi che sbarrano la strada con dei sassi o copertoni
bruciati, ai bordi della strada
tutti gli autobus, pulmini e macchine varie sono state fermate e bloccate!!!
Penso tra me cosa succederà? Potrebbero assalirci e
portarci via gli zaini e i soldi, Jorge l’autista dice di non preoccuparsi che tutto andrà bene, sinceramente
ho un po’di fifa.
Ci vengono incontro
due ragazzi, il tassista parlotta con loro poi tira fuori 1 $ e questi ci
lasciano passare tranquillamente. Pericolo scampato!
Percorriamo mezzo KM e un nuovo posto di blocco, sembra più
grande del primo con molte più auto e bus fermi, anche qui ci viene incontro un
ragazzo, Jorge paga il solito pizzo: 1$ ma stavolta non basta, ci dicono che
possiamo continuare ma non per la strada principale, altri manifestanti
potrebbero arrabbiarsi, quindi ci indicano una strada secondaria
come via di uscita e l’autista la prende.
Viste le condizioni della strada temo un tranello, ma
fortunatamente non è così e, seppur in maniera difficoltosa, siamo costretti a
scendere e scaricare tutti i bagagli per permettere all’auto di superare i
binari della ferrovia grazie a delle passerelle in legno improvvisate
in modo tale che la macchina non rimanga incastrata tra le rotaie,
riusciamo ad arrivare alla strada principale molto più avanti del posto di
blocco. Jorge dice che era l’ultimo e che ora è tutto tranquillo. Tiriamo un
gran sospiro di sollievo!
Durante la prima parte del viaggio percorriamo di nuovo la
strada che ci ha portato al Colca Canyon, poi al bivio dove ci eravamo fermati
due giorni prima prendiamo per Puno.
Siamo di nuovo ad alta quota e il mal di testa si fa sentire
di nuovo, fortunatamente in forma molto più leggera rispetto a Chivay,
attraversiamo un altopiano che da 4000 ci porta fino a 4500 mt con delle distese
interminabili di terra gialla dovuta all’erba ormai secca, in contrasto con
l’azzurro inteso del cielo, superiamo una zona dove c’è un gruppo di rocce
corrose dal tempo che prendono le forme di camini, Jorge ci dice che si tratta
di una “foresta rocciosa”, poi a 4500mt superiamo un villaggio, dove ci
fermiamo per una sosta. È composto
da poche case, si chiama Imata.
Qui la vita è veramente dura infatti gli abitanti possono
vivere solo di coltivazione di patate e pastorizia e la città più vicina è
lontana alcune centinaia di KM.
Vedo il compagno di Jorge, non ricordo il suo nome, guardare
in giro e scrutare l’orizzonte, ci dice che lui è la prima volta che percorre
questa strada, che esce da Arequipa, penso così di aver regalato una gita a
questa persona.!!!
Dopo tre ore di tragitto
si sta facendo buio e il tempo è improvvisamente peggiorato e i colori intensi
di prima vengono sostituiti dal colore grigio scuro dei vari temporali che ci
circondano.
Arriviamo all’Hotel Toyorani di Puno che sono le 20, così salutiamo i nostri compagni di
viaggio che decidono di fermarsi per la notte e andiamo a piedi in centro, dopo
sei ore di macchina una passeggiata non può che sgranchirci.
In questi giorni a Puno
c’è una festa, festa di Puno in onore delle nascita del primo Inca: Manco
Capac.
In giro per le vie e le piazze della città c’è
moltissima gente, ci sono dei carri allegorici con sopra gente vestita con abiti
tradizionali, nella piazza principale c’è la banda della città che suona e
tutto è all’insegna del divertimento.
Per raggiungere un ristorante ci mescoliamo tra la folla e
restiamo piacevolmente colpiti dal fatto di essere “comparse” in uno
spettacolo vero, non il solito teatrino per turisti.
Per rientrare in albergo incrociamo un gruppo di ragazzi che
ha bevuto un po’ troppo … a fine serata ce ne saranno parecchi che
smaltiranno la loro sbornia su qualche panchina … d’altronde è la loro
festa
La mattina seguente abbiamo organizzato un’escursione sul
lago che ci porterà a visitare le isole galleggianti Uros e l’isola di
Taquile.
Partiamo con un pulmino turistico diretti al porto dove ci
imbarchiamo su una barca verso la prima tappa: le isole Uros.
La giornata fortunatamente è bellissima, l’aria è
rarefatta e il cielo azzurro limpidissimo contrasta con il colore della terra
brulla che circonda il lago e con il colore dell’acqua del lago, marrone, che
è ancora limacciosa perché siamo
praticamente in un golfo.
Dopo circa un’ora di navigazione sbarchiamo su una delle
25 isole galleggianti che compongono il territorio degli Uros, che ormai però
sono praticamente scomparsi a causa dei matrimoni misti con altre etnie del
posto soprattutto Aymara.
Uno di loro ci spiega un po’ come si svolge la loro vita,
dice che questa è strettamente legata alle canne galleggianti, Tortora, che
costituiscono la struttura portante delle isole, che vengono utilizzate per la
costruzione delle capanne che poggiano su delle assi di legno, che vengono
utilizzate come alimento e ce le fanno assaggiare, vengono anche utilizzate per
la costruzione delle loro barche a forma di canoa con le quali vanno a pesca, le
più grandi a prua hanno delle raffigurazioni di facce di animali tipo quelle
vichinghe.
Ci dice inoltre che le canne marciscono progressivamente a
contatto con l’acqua e che occorre integrarle continuamente con canne nuove in
modo da lasciare un terreno sempre soffice ed asciutto.
Adesso gran parte del loro sostentamento è dato anche dai
prodotti che vendono ai turisti, la qualità della vita è migliorata, però se
fino ad inizio secolo l’età media di un abitante era intorno ai 100 anni
adesso si è abbassata a 80 circa, a causa delle malattie che i turisti possono
aver portato.
Dopo aver raggiunto la capitale a bordo di un’imbarcazione
tipica, risaliamo sul barcone diretti all’isola di Taquile.
Progressivamente l’acqua del lago diventa sempre più
azzurra e trasparente in prossimità della costa si può distinguere
tranquillamente il fondo del lago. Si tratta di un’isola abitata da 2000
persone circa, parlano il quechua.
È un’etnia molto chiusa, infatti raramente avvengono dei
matrimoni con persone provenienti al di fuori dell’isola, inoltre solo da
pochi anni stanno iniziando a
vedere di buon occhio i turisti che giornalmente affollano la stessa. Da qualche
anno è possibile trascorrere la notte nell’isola, non è che ci sia un hostal,
si può essere ospitati in una casa per qualche dollaro, le sistemazioni sono
molto spartane: non c’e il bagno in camera né la luce né l’acqua corrente,
ma la sensazione di poter toccare il cielo con un dito penso si possa avere in
pochi altri posti al mondo.
Certo il turismo aiuta un po’ questa gente ma il loro
principale sostentamento viene dall’isola stessa con la pesca, la pastorizia e
la coltivazione dei soliti prodotti della terra che si possono coltivare su
delle spettacolari terrazze presenti in tutta l’isola.
Sembra veramente fare un passo indietro nel tempo, si ha
l’impressione di stare sospesi nel tempo, girando per l’isola si vedono
quasi tutti gli abitanti vestiti nei loro abiti tradizionali con gli uomini che
indossano dei cappelli di lana lunghi e coloratissimi tessuti a mano da loro
stessi, tutte le attività si svolgono sempre con una calma e una tranquillità
che per i nostri ritmi è ormai sconosciuta.
Nella piazza principale c’è una cooperativa che vende
prodotti artigianali, i proventi vanno a tutta la comunità.
Le stradine composte da terra e pietrisco di tanto in tanto
sono abbellite da archi di roccia con un crocefisso posto sulla sommità.
L’isola inoltre offre degli scorci con paesaggi
bellissimi, il colore rosso della terra che contrasta con il blu intenso del
lago e sullo sfondo si possono ammirare le vette innevate della cordigliera real
Boliviana, uno spettacolo.
Come avrete capito, girare alcune ore attraverso Taquile è
veramente un’esperienza emozionante e varrebbe la pena trascorrere più tempo
in questo posto incantato.
Purtroppo e già pomeriggio inoltrato e visto che ci
attendono altre tre ore di barca dobbiamo tornare verso Puno per arrivare prima
che si faccia buio.
E cosi sarà, siamo a Puno alle 18 con il sole già
all’orizzonte, quindi il giro a Sullistani per osservare i tramonto è
saltato.
Stasera in giro per le vie di Puno c’è meno gente, la
festa di Puno proseguirà infatti l’indomani mattina al campo sportivo con una
sfilata di carri allegorici e di costumi.
Visto che non è proprio caldo scegliamo uno tra i molti
ristoranti che ci sono sulla piazza e ordiniamo qualcosa di alternativo, PIZZA:
non ha assolutamente nulla a che vedere con la nostra ma è mangiabile.
Verso Cuzco
Abbiamo deciso di prendere un autobus turistico per il
trasferimento da Puno a Cuzco, uno di quelli che durante il tragitto farà varie
soste nei punti di maggior interesse. La compagnia che scegliamo si chiama First
Class, il biglietto compreso il pranzo ci costa 20$. Ci passano a prendere alle
8 al Totorani e in poco tempo attraversiamo quella che a detta di tutti è una
delle città più brutte del Perù: Juliaca.
Effettivamente non c’è nulla, solo strade non asfaltate
percorse da migliaia di persone probabilmente in cerca di qualche attività da
svolgere per guadagnare qualche soles. Città tristissima che superiamo in
pochissimo tempo.
Iniziamo di nuovo a risalire per gli altopiani Andini, il
paesaggio che incontriamo è ancora fatto da montagne coperte di terra brulla
color giallo, colore dato da un’erba secca che cresce a queste altitudini,
Icos, credo che si chiami così, che è utilizzata dai campesinos sia come
combustibile che come materiale per costruire i tetti delle case, la zona è
particolarmente povera le uniche forme di sostentamento per gli abitanti sono le
coltivazioni di patate e mais sviluppate su
terrazzamenti e l’allevamento di bestiame.
La prossima tappa è Pukara, si tratta di un sito
archeologico nei pressi dell’omonima città risalente al 4000 a.c.. Si tratta
Della cultura dalla quale si è poi evoluta quella
Tiahuanaco prima e quella incarica dopo, si può osservare un tempio a forma di
piramide che ora è in restauro e un museo
collegato al sito. Ci sono molti reperti risalenti all’epoca pre-incaica,
quelli che più mi hanno colpito
raffigurano guerrieri rappresentati
nell’atto di cannibalismo verso bambini di tribù a loro
ostili, in questo modo, con le sculture poste all’ingresso della città,
intendevano mettere in guardia le popolazioni
descrivendo un gesto di estrema violenza.
Da notare che già nel 4000 a.c. queste civiltà conoscevano
il sistema di terrazzamento per le coltivazioni e relativo sistema di
irrigazione.
Nel primo pomeriggio la seconda tappa la facciamo al tempio
Viracocha presso le rovine di Raqchi.
Abbiamo qui il primo contatto diretto con la civiltà Inca e
con le prime nozioni su questa misteriosa cultura.
Si tratta di un tempio fatto in onore del dio Viracocha che
aveva il più grande tetto della civiltà inca, questo era sorretto da 22
colonne circolari costruite con blocchi di pietra, che sono state distrutte
dagli spagnoli, ma di cui ancora sono visibili le basi.
Tutto intorno si sviluppava la cittadella costruita da rocce
e terra rossa di cui si può ancor oggi osservare qualche bel pezzo di muro, in
parte originale e in parte restaurato.
Ci avviciniamo ancora a Cuzco, il tempo peggiora
sensibilmente e quando ci fermiamo a visitare la chiesa di Andahuaylillas piove
a dirotto.
Si tratta di una bellissima chiesa gesuita, al suo interno
si possono osservare molte influenze arabe, il tetto e le pareti sono
completamente dipinte, non c’è cm quadrato rimasto libero. Le grandissime
decorazioni dietro l’altare sono tutte in foglia d’oro in stile barocco, uno
spettacolo che purtroppo non è né adeguatamente conservato né adeguatamente
valorizzato, come gran parte delle rovine di queste zone, un esempio, fuori
piove a dirotto, alcune gocce scendono anche dal tetto, la chiesa è aperta e
all’interno c’è un’umidità impressionante ma non c’è nulla che possa
mantenere l’aria asciutta, credo che se non verranno presi seri provvedimenti
in pochi decenni gran parte di questi patrimoni andranno persi!
Quando arriviamo al terminal dell’autobus di Cuzco è già
buio e fuori ancora piove a dirotto, fortuna che Camilo della Piccola Locanda è
venuto a prenderci con il suo fuoristrada.
Dopo aver appoggiato gli zaini alla Piccola Locanda, visto
che Matteo non c’è, scendiamo la ripida scalinata e siamo già per il centro
di Cuzco alla ricerca di un ristorante… però sempre a pensà da magnà!!!
Io non so bene che cosa un turista possa diffondere
nell’aria ogni volta che raggiunge una nuova città, ma sta di fatto che anche
stavolta, seppur è 10 giorni che siamo in giro per il Perù, appena mettiamo
piede nella piazza centrale siamo
praticamente assediati da gente, soprattutto bambini, che ci vuole vendere
qualcosa: chi statuette, chi cartoline, chi un tour per i giorni a venire, chi
ci indica il suo ristorante… ma perché? Sempre e solo il primo giorno !? non
ho un cartello in faccia con scritto appena arrivato !? E i giorni successivi
cosa è cambiato? cosa fanno un censimento?! Mah … così è e credo così sarà
anche nei viaggi futuri, per ogni nuova città che si visita, almeno nei paesi
non occidentali.
La Piccola Locanda:
Dimenticavo la Piccola Locanda è l’hostal che abbiamo
scelto per pernottare a Cuzco, è gestito da Matteo un ragazzo italiano
originario di Saronno che vive ormai da alcuni anni a Cuzco, è sposato con
Camila originaria di Cuzco ed hanno una bambina di nome Lunita e Camilo è il
fratello di Camila.
La Piccola Locanda è sede ufficiale a Cuzco di Magia delle
Ande, un’organizzazione fondata da Gabriele Poli che a Cuzco e dintorni porta
avanti diversi progetti umanitari di cui parlerò più avanti.
La Piccola è situata a due passi dal centro, sotto la
chiesa di San Cristobal in Calle Resbalosa, una ripida scalinata, buon
allenamento per il Camino Inca, la collega in due minuti a Plaza de Armes, il
centro vitale di Cuzco.
La struttura è una chicca, tutte le camere sono curate in
ogni piccolo particolare, ognuna è dipinta di colore diverso e ogni camera ha
il nome di uno della famiglia, noi eravamo nella camera di nome Camila. L’Hostal
ha la tipica struttura delle case coloniali, le stanze sono distribuite su tre
ali che racchiudono un bel patio con un giardino,
c’è una zona comune a tutti gli ospiti dove normalmente si fa
colazione , una bellissima zona soggiorno, anche questa comune, con un camino e
appesi al muro dei bei pezzi di artigianato, ma soprattutto c’è la
disponibilità di Matteo e di Camila che sono sempre pronti a dare un aiuto se
c’è bisogno e a fornire le migliori indicazioni e, con la loro semplice
genuinità, a farti veramente sentire come a casa. Un grazie di cuore ad
entrambi anche per i vari progetti umanitari che state portando avanti. Bravi
ragazzi!
Cuzco
Leggendo la guida , LP, si capisce subito che Cuzco è il
vero centro di interesse del Perù, per cui non sapendo da dove iniziare la
visita della ex capitale della civiltà Inca cominciamo da Plaza de Armas, la
piazza principale.
Come per Arequipa e Lima anche questa piazza è del periodo
coloniale, al tempo della civiltà Inca qui ce n’era una molto più grande di
quella attuale.
In uno dei lati della piazza sorge la cattedrale, composta
dalle due chiese El Triunfo e Jesus Maria, ad un lato adiacente si erge la
chiesa la Compania, e gli altri due lati sono strutturati con dei palazzi che si
alzano sopra dei porticati in stile coloniale.
Come per le altre due piazze già viste anche questa al
centro ha una fontana con intorno belle panchine sempre affollate a qualsiasi
ora del giorno.
Ci dirigiamo verso la chiesa di Santo Domingo situata a poca
distanza dalla piazza centrale e si affaccia sulla via centrale di Cuzco: Aveneu
Sol.
La chiesa sorge dove al tempo Inca era eretto il tempio
Coricancha che era certamente il tempio più importante e ricco dell’impero
inca.
Del vecchio tempio Inca rimangono ora solo le fondamenta il
resto è stato completamente distrutto dai conquistadores, adesso sì c’è la
bella chiesa coloniale, strutturata con all’interno un bel chiostro coloniale
e arredata da molti quadri famosi, ma lo sfarzo e la bellezza del tempio che era
il fulcro della civiltà Inca ed era ricoperto d’oro con circa 700 lamine
dal peso di 2 Kg l’una, lo possiamo solo immaginare e questo fa una
certa rabbia.
Quello che l’uomo durante la sua storia ha costruito e
distrutto in tempi relativamente brevi è allucinante.
Pensare che gli Inca avevano delle conoscenze approfondite
dei sistemi antisismici, infatti mentre la chiesa durante i secoli è più volte
stata distrutta da terremoti, le rovine Incaiche non hanno subito alcun tipo di
danno, ma questo è solo una delle grandi capacità edili che hanno
caratterizzato la pur breve civiltà Inca.
Trascorriamo qui gran parte della mattinata poi ci dirigiamo
verso il mercato dell’artesania locale, sono passati 10 giorni e non abbiamo
ancora comprato praticamente nulla dell’infinità di prodotti artigianali che
si trovano in Perù, dobbiamo far compere.
Il pomeriggio ci dirigiamo in un’altra zona del centro di
Cuzco, una zona su una collina a pochi passi da Plaza de Armas: San Blas, che
prende il nome dall’ennesima e omonima chiesa coloniale, la cui caratteristica
è quella di avere all’interno un grande pulpito intagliato su un unico pezzo
di legno, dove sono scolpite più di 70 figure religiose.
Una leggenda dice che questo è stato costruito da un indio
che ha passato la vita a fabbricarlo, dopo essere miracolosamente guarito da una
malattia mortale.
Si dice, anche se non è certo, che il teschio che si vede
nella sommità del pulpito sia proprio dell’autore di questo capolavoro.
Giriamo senza meta tra le viuzze di San Blas alla scoperta
di negozietti e locali caratteristici, rapiti dall’aria vagamente hippy e
rilassata che si respira tra queste vie acciottolate dell’epoca inca con i
palazzi costruiti sopra le vecchie mura, quando casualmente capitiamo davanti ad
un’insegna che ci indica una casa museo.
Qui vive Antonio Olavez Palomino, un famoso artista del Perù
conosciuto a livello internazionale per i suoi lavori in ceramica. Proprio lui,
un signore modestissimo sui 70 anni ci accoglie nel suo cortile, ci fa visitare
il museo e tra i vari aneddoti che ci racconta ce n’è uno di cui è
particolarmente orgoglioso e riguarda il Papa: ci dice che quando Giovanni Paolo
II fine anni ’90 è stato a Cuzco al tempio ( fortezza) di Sacsayhuaman
ha benedetto una sua opera, ce la fa vedere e ci dice che non la
venderebbe neanche per tutto l’oro del mondo.
A memoria di questo piacevole incontro acquistiamo un
piattino da lui decorato per 15 $.
Mi ha colpito molto questo signore, dagli attestati che ho
potuto vedere appesi nel suo museo è veramente famoso, ma ha mostrato non la
solita aria snob che circonda molti artisti di quel calibro, bensì un carattere
genuino semplice e gentile.
Siamo di nuovo fuori e inizia come d’abitudine, in questa
stagione a queste latitudini, un acquazzone pomeridiano fortissimo per cui
prendiamo la palla al balzo e decidiamo di visitare la cattedrale, almeno siamo
al coperto.
Come ho già detto la cattedrale è situata in uno dei
quattro lati di Plaza de Armes ed è composta da un unico complesso strutturato
in due chiese differenti, sulla destra la chiesa El Triunfo e sulla sinistra la
chiesa Jesus Maria, la costruzione è stata iniziata nel 1559 e ultimata dopo
quasi 100 anni.
E’ stata edificata dove anticamente si ergeva il tempio di
Viracocha e fu costruita utilizzando le pietre sottratte dal tempio di
Sacsayhuaman.
La cattedrale è immensa e la cosa che più mi colpisce è
il coro, è di legno ed è grandissimo, come tutta la chiesa del resto, è stato
completamente intagliato a mano: una vera opera d’arte. Inoltre la struttura
comprende anche molte cappelle laterali, la sacrestia, un bellissimo altare e
una notevole raccolta di dipinti risalenti all’epoca coloniale della scuola di
Cuzco tra cui un dipinto di Marcos Zapata, questo dipinto è famoso per
l’originale raffigurazione dell’ultima cena di Cristo dove il cibo del
banchetto è composto da molte specialità andine tra cui il cuy, porcellino
d’india.
Usciamo dalla cattedrale e ci accorgiamo che si è fatto
veramente freddo per cui decidiamo di rinchiuderci in un bar a bere qualcosa di
caldo, capitiamo al bar Varayoc dove a fare intrattenimento c’è un campesinos
vestito con abiti caratteristici che suona l’arpa.
Prendiamo del mate di coca e una cioccolata calda e un pezzo
di deliziosa torta alle mele, a proposito i dolci peruviani sono veramente
squisiti.
Per cena andiamo in un ristorante in Plaza de Armas dove
ordiniaMo, oltre ad un buon e costoso vino
rosso peruviano, una parillada per due, composta da vari tipi di carne e degli
spiedini con interiora di animali non ben riconoscibili, ma tutto è veramente
ottimo.
Pisac
E’ domenica, giorno di mercato nei vari centri della valle
sacra, decidiamo quindi di fare un giro in uno dei più importanti: Pisac.
Abbiamo scelto questa cittadina perché oltre ad ospitare
uno dei mercati più grandi e
caratteristici, è famosa per la cittadella incaica che si trova sulla sommità
del villaggio.
Partiamo di buonora da un terminal di Cuzco, saliamo su un
autobus fatiscente, con i sedili ricoperti in qualche modo da plastica
trasparente e il viaggio, che durerà circa due ore, ci costa un dollaro.
Al terminal l’autobus non è pienissimo poi, man mano che
attraversiamo Cuzco, si affolla all’inverosimile e, come in altri viaggi ci è
già capitato, siamo gli unici occidentali tra i passeggeri. Dopo ½ di viaggio
l’autobus è talmente pieno che si fa fatica anche solo ad alzare un braccio
ed una bambina non avendo spazio disponibile non trova di meglio che
addormentarsi sopra le gambe di Anna. Tra i vari passeggeri quello più strano
che fa il nostro tragitto è una capra che
per le due ore di viaggio rimane stancamente in braccio ad un bambino
accompagnato dalla madre.
Arriviamo a Pisac che il mercato è nel pieno della sua
laboriosità, tra le bancarelle ci sono già molti turisti, forse troppi, questi
mercati così caratteristici ne attirano molti, saremmo dovuti arrivare prima…
ma ormai ci siamo e decidiamo di fare ora un giro veloce, per poi tornare nel
pomeriggio sperando di girare con più tranquillità.
Cerchiamo un taxi che ci possa portare alle rovine, con
dieci soles ne prendiamo uno e ci facciamo portare all’ingresso del sito.
Gli accessi possibili sono due, uno più in basso dove si
fermano quasi tutti i tour organizzati che prevede un giro di un’ora circa e
uno più in alto dove solitamente entra meno gente e il giro dura circa un paio
di ore, scegliamo di entrare dall’alto.
La vista che si apre davanti ai nostri occhi è favolosa,
siamo in una montagna dalla quale si può ammirare una splendida vista della
valle sacra con le sue gole verdissime, una dove scorre il Rio Katamayo e
l’altra dove scorre il Rio Chongo che
poi si uniranno al rio Urubamba che attraversa la Valle Sacra.
Subito sotto la sommità c’è il primo gruppo di rovine
abbastanza piccole e non in ottime condizioni ma scendendo con lo sguardo si può
vedere la parte più importante della cittadella inca con le rovine in perfetto
stato di conservazione, il tutto circondato da splendidi terrazzamenti, adesso
non piu’ coltivati perché in restauro.
Peccato per i colori, la giornata purtroppo è molto
nuvolosa, con un bel sole in cielo lo spettacolo sarebbe stato ancor più
incantevole!
Siamo a circa 3500 mt sul livello del mare, problemi per
l’altitudine non ne accusiamo, ma ci rendiamo subito conto che percorre i
sentieri inca a queste altezze è dura, si ha sempre la sensazione della
mancanza di ossigeno e penso a quanto potrà essere dura i prossimi giorni
durante il Camino Inca nel quale saremo anche ad altitudini maggiori.
Il viaggio immaginario che si fa percorrendo questi sentieri
così misteriosi e sognandoli nel loro antico splendore è comunque molto
emozionante e piacevole, nonostante un po’ di fiatone.
Arriviamo all’uscita del sito dopo due ore di girovagare
proprio mentre sta iniziando a piovere ma il piacere di bere un buon jugo di
naranja non ce lo toglie nessuno!
Ad aspettarci c’è Cesar il tassista che ci ha portato fin
qui e che ci riporterà al mercato.
E’ primo pomeriggio ed il mercato, un po’ per la
pioggia, un po’ perché i turisti dei tour organizzati hanno terminato il
tempo a loro disposizione, come speravamo, è più vivibile, così riusciamo a
farci un tranquillo giro tra le bancarelle e visto che i commercianti hanno già
fatto i loro incassi sembrano più disponibili a trattare i prezzi.
Ci sono bancarelle di ogni tipo, da quelle che vendono le
classiche e coloratissime stoffe andine a quelle che vendono maglioni, ponchi e
giubbotti di lana alpaca, banchetti che vendono frutta tropicale, ortaggi e
verdure varie, banchetti solo esclusivamente per patate, mai viste tante qualità
di questo tubero, tutte con caratteristiche organolettiche differenti e di
differenti colori, altri che vendono solo mais e anche per questo cereale vale
lo stesso discorso della patata, ce ne sono di diversi colori dal giallo
classico al granata, alcuni tipi con chicchi piccoli e altri con chicchi
giganteschi, bancarelle che vendono tappeti, altre che vendono ceramiche,
insomma c’è veramente da impazzire, il tutto esposto attraverso le vie del
villaggio e sulla piazza principale, dove su un lato si alza la chiesa che ha
come caratteristica quella di avere le pareti interne affrescate con tinte
pastello, rosa, celeste e più che una chiesa sembra di essere all’interno di
un asilo.
Poco prima del tramonto riprendiamo l’autobus che ci porta
di nuovo a Cuzco, questa volta ci sono anche molti turisti,
l’autista nel tragitto ascolta le partite di calcio del campionato
peruviano, chiedo ad un ragazzo che mi sta vicino quante squadre giocano la loro
serie “A” conto i collegamenti con i vari radiocronisti nei diversi stadi e
arrivo ad una soluzione quasi assurda: tutte giocano allo stesso orario: le 15
della domenica pomeriggio… altro che Pay per View!
Arriviamo a Cuzco che è già sera ci prepariamo per uscire
a cena poi subito a letto perché domani sarà il grande giorno: la partenza per
il Camino inca.
Camino Inca e Machu
Picchu
Ci siamo, questa secondo me è la parte più bella del
viaggio, insieme a Cuzco e al Lago Titicaca.
E’ sicuramente la parte del viaggio che più mi ha colpito
per diversi motivi, perché è un’immersione totale in una civiltà
affascinante e misteriosa come quella Inca, perché il Camino Inca si svolge
tutto in altura: dai 2800 mt della partenza per salire a 4200 e ridiscendere a
2400 di Machu Picchu, perché visiteremo una delle cittadelle più famose al
mondo in assoluto, perché si camminerà attraverso sentieri sulle Ande con
scorci panoramici mozzafiato, perché, comunque per quanto questo trail non
viene presentato come uno dei più duri, fisicamente parlando, per noi, complice
la pioggia è stato duro e abbiamo dovuto superare dei momenti di notevole
sforzo, vi assicuro che camminare a 4000 mt con uno zaino in spalla di 7-8 Kg di
peso è DURA.!
Ogni volta che vedevo i portatori, con molto più peso del
mio, ma molto di più, anche 5 volte tanto, con scarpe, beh chiamarle scarpe è
un po’ troppo, il più delle volte sandali o scarpe da tennis ridotte a
brandelli e li vedevo sbuffare comunque superarmi quasi di corsa pensavo che
tipo di merd….a fossi!.
Andiamo per ordine partiamo da Cuzco con un pulmino dove
oltre a noi c’erano gli altri 3 componenti del nostro gruppo , ragazzi di
altri gruppi e un buon numero di portatori.
Prima di arrivare alla partenza vera e propria del Camino
Inca facciamo due brevi soste
ristoratrici, una a Urubamba e una ad Ollantaytambo ma ci fermiamo talmente poco
tempo che riesco solo a ricordare che in piazza principale c’era un raduno di
motociclette.
Arriviamo in un piazzale nei pressi del Km 82 della ferrovia
che collega Cuzco con Aquas Calientes, qui viene allestito un campo, pranziamo e
siamo pronti per partire.
La nostra guida si chiama Gonzalo,
ci spiega un po’ sommariamente quello che saranno i prossimi tre giorni
e ci dice che oggi pomeriggio dovremo fare 8-9 Km in salita leggera e che saremo
al campo per il tramonto.
Le sue parole ci tranquillizzano per la giornata, ma i
prossimi 2 giorni cioè quando saliremo fino a 4200 mt e poi scenderemo fino a
2800 ci preoccupano non poco visto che ci hanno caricato gli zaini anche con i
sacchi a pelo e i materassini, ma intanto si parte.
La giornata per il momento si presenta limpidissima con
colori intensi e le vette delle Ande circondate da nuvole bianche e dense.
Siamo allegri e tranquilli e superiamo di slancio il ponte
tibetano che dà il via al camino Inca e iniziamo il cammino attraverso una
valle formata dal rio Urubamba, camminiamo in questo dolce sentiero in leggera
salita per un paio di ore, ci lasciamo alle spalle un arcobaleno che circonda
tutta la valle, si perché nel frattempo il cielo si è scurito e alle nostre
spalle ha iniziato a piovere, fin quando non arriviamo, dopo aver superato uno
strappo in salita ripidissimo, su un punto panoramico da cui possiamo vedere in
basso il primo sito archeologico di Llactapata, uno spettacolo incantevole.
Adesso si sta facendo freddo e il cielo è sempre più
grigio, tanto che quando ci rimettiamo in cammino inizia a piovere, e il
sentiero man mano che si va avanti inizia a farsi sempre più duro… camminiamo
praticamente per altre tre ore sotto una pioggia battente senza neanche la
possibilità di goderci i paesaggi che questa valle ci offre.
E’ quasi notte, vediamo
a malapena il sentiero con una piccola torcia ma anche se siamo l’ultimo
gruppo ad arrivare possiamo festeggiare la nostra prima meta.
Siamo completamente zuppi, dalla testa fino ai polpacci
perché le scarpe da trekking hanno fatto il loro dovere, perfino le mutande
sono fradice, ci infiliamo nella tenda che ci spetta, infatti i portatori hanno
già montato tutto il campo, Annalisa mi guarda con aria truce e mi dice “
Guarda Diego che non dobbiamo scontare nessun reato, un altro viaggio come
questo e ti mollo all’istante!!!!” beh OK ha ragione quindi non le rispondo
nemmeno, faccio passare un po’ di tempo sperando che l’incazzatura
sbollisca, poi troverò il modo di farmi perdonare!
Dopo aver fatto salti mortali per indossare degli abiti
asciutti usciamo dalla tenda, siamo in tre gruppi, circa 20 persone raccolte
sotto una capanna di paglia senza pareti, pronti per la cena, nel frattempo il
cielo è diventato limpido e illuminato da una quantità incredibile di stelle.
Per prima cosa ci offrono un mate caldo di coca poi avanti
con la cena, nel frattempo Anna si è un po’ tranquillizzata e ha iniziato a
vedere anche il lato positivo, siamo in un posto bellissimo in mezzo alle Ande,
nei pressi di una casa abitata da contadini dove scorazzano all’aperto
pulcini, vacche, galline, maiali e soprattutto siamo tutti nelle stesse
condizioni.
Il suo morale migliora notevolmente quando Gonzalo, la
guida, dice che per il giorno successivo, visto che il percorso sarà molto,
molto duro c’è la possibilità di ingaggiare dei portatori. Lei… anzi noi,
non ci pensiamo 2 volte e decidiamo di ingaggiarne uno e di affidargli uno
zaino.
Alle 21 siamo già in tenda che dormiamo come sassi.
La sveglia è alle 5.30 per far colazione alle 6 e partire
intorno alle 6.30. Veniamo svegliati da alcuni portatori che ci offrono del mate
di coca, serve per alleviare il male d’altura, mi affaccio dalla tenda e
scopro che la giornata almeno per il momento è bella, per fortuna.
Come da programma alle 6,30 siamo già in cammino sul
sentiero, oggi percorreremo 14 km con un dislivello di 1200 mt in salita, da
2800 a 4200 e di 400 mt in discesa fino a 3800 dove ci sarà il nuovo campo.
Alle 7,30 siamo al primo ceck-point dove ci controllano
passaporti e biglietti.
La giornata almeno per ora è bella il cielo è terso e
possiamo vedere le vette andine innevate, dinanzi ai nostri occhi si erge il
monte Veronica alto 5800mt circa.
Dapprima la salita è abbastanza dolce e superiamo
agevolmente la prima parte del sentiero che è arido privo di vegetazione, ma già
dopo un’ora di cammino la strada si fa molto, molto più ripida e la fatica,
complice l’altitudine inizia a farsi sentire.
Siamo intorno a quota 3500 e superimo una bella zona di
foresta umida, ci sono molti alberi per la maggior parte ricoperti di muschi e
licheni di color verde e arancione, quando, verso le 11 della mattina ci
troviamo in un grande spiazzo, dove volendo si potrebbe comprare acqua potabile
ad un prezzo folle e dove facciamo una pausa ristoratrice.
Ci mettiamo di nuovo in cammino sul sentiero, ora
ripidissimo che costeggia un ruscello, purtroppo il tempo è cambiato le nubi ci
hanno circondato e in poco tempo inizia una pioggerellina che man mano diventa
un vero e proprio temporale.
Arriviamo al passo, Warmiwanusca a 4200 mt di quota, che
abbiamo di nuovo indossato i Poncho, siamo fradici d’acqua, stanchissimi per
la salita, ed ora come se non bastasse la pioggia si è tramutata in grandine,
la temperatura si è abbassata notevolmente, noi che eravamo in maniche di
camicia quasi geliamo e la macchina fotografica non ne ha voluto sapere di far
delle foto.
Dimenticavo il frastuono dei tuoni a questa quota è
incredibilmente forte.
Non abbiamo né il tempo né la voglia di fermarci al passo,
tanto la natura ci ha privato dello spettacolo che ci sarebbe stato in
condizioni climatiche migliori, iniziamo la discesa per arrivare al campo il
prima possibile.
Nel primo pomeriggio siamo in tenda ci asciughiamo e andiamo
a mangiare qualcosa, non è che ci sia molto da fare, ma almeno ora ha smesso di
piovere e trascorriamo il pomeriggio in tenda a trascrivere appunti e leggere
qualcosa.
Di nuovo cena molto presto e in tenda per dormire alle 21,
stanotte visto la quota farà anche discretamente freddo, nulla se paragonato
alle temperature della zona nel loro periodo invernale, luglio e agosto, ma
almeno in quei mesi non piove mai!
Dormiamo profondamente fino alle 5 del mattino nonostante il
freddo quando, come al solito, ci svegliano i portatori offrendoci mate de coca.
La mattina di nuovo il cielo è limpidissimo e sgombro di
nubi, lo spettacolo che abbiamo all’alba è favoloso , una vallata verdissima
sotto di noi e le vette innevate del Monte Veronica davanti ai nostri occhi.
Anche oggi partenza in perfetto orario ore 6.30, dimenticavo
l’organizzazione del Camino inca è impeccabile, partiamo dal campo che le
tende sono ancora montate, arriviamo al successivo e troviamo di nuovo le tende
installate e il pranzo o la colazione pronta, d'altronde i portatori ci superano
lungo i sentieri.
Nelle prime ore della mattinata percorreremo di nuovo il
sentiero in salita, fino a raggiungere un passo a 4000 mt, subito dopo un breve
tratto incontriamo le prime rovine inca della giornata, Runturacay, una
struttura a forma semicircolare da dove, vista la posizione, si possono
osservare tutti i passi montuosi della vallata compreso quello dove ieri abbiamo
preso la grandinata: Warmiwanusca o
passo della donna morta, per la forma della roccia che sovrasta il passo. Ci
vuole veramente molta fantasia per vedere una donna morta in quella roccia,
probabilmente il quantitativo di foglie di coca che masticano i locali aiuta
molto!!.
Saliamo ancora fino a raggiungere il passo a 4000mt e solo
per pochi istanti non riusciamo a vedere dinnanzi a noi le vette innevate della
Cordigliera Vilcabamba, si è alzata una fittissima nebbia.
In compenso, dalle precedenti rovine stiamo camminando sul
vero e ancora intatto sentiero inca, un insieme di gradoni costruiti con rocce
disposte ad incastro, pensare che il sentiero percorso fino ad ora necessita di
lavoro di manutenzione ogni 4-5 anni e che questo è ancora stabile e integro,
fa capire ancora una volta quanto architettonicamente gli inca fossero
evoluti… e comunque il solo pensiero di camminare su un sentiero di 500 anni
fa circa rende il tutto ancor più affascinante.
Da ora in poi per noi sarà quasi e solo esclusivamente
discesa, in poche ora faremo 1000mt di dislivello.
Dapprima raggiungiamo la città di Sayacmarca dove Gonzalo
si dilunga nella spiegazione della “città dominante” passando poi a
descrivere miti e leggende incaiche raccontato tutto con estrema enfasi, penso o
è un grande attore oppure è veramente affascinato da questa civiltà.
Dopo un’ora circa, di nuovo di discesa per raggiungere
Phuyupatamarca o città sopra le nuvole. Prima di arrivare qui siamo immersi
nella valle che porta a Machu
Picchu, si può ammirare anche il Rio Urubamba e tutte le varie montagne che
compongono la vallata ma non c’è punto alcuno da dove si può ammirare la
cittadella più famosa.
Dopo la città sopra le nuvole costruita nel mezzo della
valle sacra e resa famosa soprattutto per le vasche cerimoniali dove ancora
scorre l’acqua a caduta una
sull’altra, ci troviamo nella foresta nebbiosa e umida e con una discesa
vertiginosa raggiungiamo l’ultimo campo situato presso le rovine del sito
Winay Wayna.
Il tempo di sistemarci in tenda di fare un giro nei pressi
dell’ostello dove stasera mangeremo al coperto, seduti, e al caldo, andiamo a
vedere le rovine, insieme ad Antonio e Nadine.
Secondo me questo per ora è il sito più bello che abbiamo
visitato, il suo grado di conservazione è ottimale e le parti in restauro sono
solo il 40% del complesso.
Si trova sulla sommità di una montagna e sulle sue pendici
si sviluppano le ormai famose terrazze coltivate a coca e iuta, già coca, qui
siamo praticamente agli inizi della foresta amazzonica e le piante di coca
possono essere coltivate.
Il nome del sito
può avere due origini uno è: per sempre giovane, l’altro trae origine dal
nome quechua di un’orchidea che fiorisce tutto l’anno in questa zona.
Riusciamo effettivamente a vedere l’orchidea fiorita anche sulle mura incaiche.
Possiamo apprezzare la precisione degli incastri delle
pietre, l’inclinazione verso l’interno delle mura, la forma trapezoidale
delle finestre, come ho già detto costruivano in questo modo per motivi
antisismici, e vediamo anche la struttura delle doppie porte, anche queste a
forma trapezoidale, che separavano alcune delle costruzioni più importanti,
solitamente posti di importanza religiosa o case di persone di ceto sociale
elevato.
Rimaniamo fino al tramonto quando il sito viene chiuso ai
visitatori.
Stasera ci sarà una specie di festa di chiusura, i
portatori ci omaggiano con una cena particolare, squisita, di
almeno 10 portate poi a fine cena, dopo aver dato loro la mancia tutti
sul piazzale dove, al ritmo di musica andina e commerciale, con cerveza
Cuzquegna che scorre a fiumi, si balla fino a mezzanotte circa.
Purtroppo intorno a mezzanotte inizia a piovere
violentemente e la mattina alle quattro, quando ci svegliano, vediamo che la
tenda si è imbarcata sotto il peso dell’acqua, non sono di buon umore, ho il
terrore che la pioggia mi rovini la giornata che da tanto tempo aspettavo.
Facciamo colazione e siamo sul sentiero che ci porta alla
Porta del Sole “Intipunku” alle 5,30.
Il mio umore peggiora sensibilmente, il tempo a sì smesso
di piovere ma c’è una nebbia talmente fitta che a malapena si riesce a vedere
a 10 mt di distanza, comunque percorriamo velocemente il sentiero che attraversa
la foresta nebbiosa, ho capito perché si chiama così e alle 6,30 siamo alla
Porta del Sole per vedere Machu Picchu all’alba illuminato dai primi raggi
solari.
Lo spettacolo è terrificante, come in una giornata
autunnale e nebbiosa in pianura padana, non vedo nulla… sono assolutamente
intrattabile e irascibile… vedo sfumare così uno dei sogni che ho fin da
bambino!!!! M….da
Ma ormai ci sono, mi rassegno, cerco di risollevarmi un
pochino il morale e continuiamo verso l’ingresso delle rovine dove arriviamo
verso le 7,30 circa.
Nel frattempo la situazione climatica è leggermente
migliorata ed è uscito un leggero
sole e si riesce a vedere qualcosa, la prima vista delle rovine mi fa passare
del tutto l’umore nero che avevo poco prima.
Ora la più famosa cittadella Inca ci si apre davanti in
tutto il suo splendore, è posizionata sulla sommità di un monte ai cui piedi
scorre impetuoso il rio Urubabmba, la vallata è verdissima e circondata da
altre montagne che sembrano disegnate a cono rovesciato, su una di queste, la più
alta, si erge un altro piccolo gruppo di rovine Huayna Picchu da dove si può
godere di un’altrettanto splendido panorama, a rendere tutto più affascinante
e intrigante ci sono anche le nuvole ora più basse rispetto Macchu Picchu,
rimango incantato alcuni minuti come un ebete ad osservare lo spettacolo!.
Ancora è molto presto e in giro per le rovine c’è poca
gente, quasi solo ed esclusivamente i partecipanti al Camino Inca così in
compagnia di Gonzalo iniziamo la scoperta della cittadella.
Ponzalo, con la sua ormai proverbiale passione coinvolgente,
in ogni punto di interesse ci fornisce delle spiegazioni, attraversiamo in
successione dapprima un albero con dei fiori, ci dice, altamente allucinogeni,
usati dagli sciamani nei riti, tipo il peyote messicano, poi delle vasche
cerimoniali, il tempio del sole, la finestra dei serpenti, la Tomba Reale, la
zona cantiere da dove venivano prese le pietre per la costruzione dei palazzi,
la piazza del Tempio delle tre Finestre, il Tempio principale e l’Intihuatana,
famoso sasso scolpito dove i sacerdoti potevano prevedere i solstizi, per finire
il giro presso una pietra scolpita raffigurante la testa del condor che insieme
al puma e al serpente sono gli animali sacri della civiltà Inca. Il condor
raffigura la vita spirituale e qui è scolpito su una pietra, il puma
rappresenta la vita terrena ed è raffigurato grazie a giochi di ombre e luci al
tramonto, il serpente identifica la vita dell’aldilà ed è presente grazie al
Rio Urubamba che scorre a zig zag sotto la città, sulla valle,
prendendo le sembianze del rettile.
In questa zona Gonzalo prima di lasciarci dà il meglio di sé
e inscena un piccolo rito propiziatorio di buona fortuna a nostro favore.
Rimaniamo soli e trascorriamo almeno altre due ore in giro
alla scoperta di posti oppure solo seduti ad ammirare tutto quello che ci
circonda., vorrei anche salire a Huayna Picchu visto che ora la giornata è
bella e si potrebbe godere di un bellissimo panorama di Machu Picchu dall’alto
ma dovremo salire per un’altra ora e Annalisa non se la sente proprio.
Usciamo dal sito per l’ora di pranzo, ci dirigiamo ad
Aquas Calientes, un piccolo villaggio alle pendici di Machu Picchu, dove nei
pressi di un ristorante dobbiamo ritirare i biglietti del treno per il ritorno a
Cuzco.
Aquas Calientes è un villaggio nato solo ed esclusivamente
grazie a Machu Picchu, tutta la vita si svolge intorno alla ferrovia che divide
in due il villaggio, non c’è gran che da fare se non una sosta alle acque
termali, ma visto che alcuni locali me le hanno sconsigliate perché troppo
frequentate, trascorriamo il tempo che ci divide dalla partenza del treno a
mangiare panini e bere della cerveza Cuzquegna, quando alle 17 ci imbarchiamo
sul treno diretti ad Ollantaytambo, già perché l’agenzia non ha trovato i
biglietti per Cuzco, poi da lì in qualche modo ci dovremo arrangiare.
Il trenino delle Ande, utilizzato esclusivamente dai
turisti, è in ottimo stato, è composto da un solo vagone che fa anche da
motrice, ha il tetto vetrato in modo da poter godere del panorama circostante,
durante il viaggio vengono offerte bevande e venduti souvenir.
Passiamo di nuovo attraverso la vallata che solo tre giorni
prima abbiamo lasciato per addentrarci tra le montagne, mi scorrono davanti agli
occhi le immagini più belle, ma anche quelle più faticose di questi ultimi
giorni, poi proprio al tramonto attraversiamo una vallata dove alla nostra
sinistra si innalza il Monte Veronica, il tramonto è spettacoloso il cielo è
limpidissimo e sgombro di nuvole, le vette innevate passano da essere di un
bianco accecante ad un caldissimo color arancio mentre tutto intorno cala la
sera.
Arriviamo ad Ollantaytambo che è già buio, prendiamo il
primo autobus diretto a Cuzco dove arriviamo dopo circa due ore, alle 20,00circa
Il tempo di darci una ripulita, uscire per mangiare
qualcosa, tornare alla piccola locanda e svenire in un sonno profondissimo fino
alla mattina seguente.
Chincero Moray Maras
Urubamba
Oggi insieme a Camilo e un’altra coppia di anziani
italiani faremo un giro per altri luoghi delle valle Sacra, visiteremo
Chinchero, Maras, Moray e a pranzo saremo a Urubamba presso una casa famiglia
per bambini che hanno subito maltrattamenti di vario genere, progetto al quale
contribuisce la Piccola Locanda.
Partiamo per il giro insieme a Frizzi e Valeria … sul
Pick-up di Camilo che ci farà da
guida, diretti a Chinchero dove visitiamo le rovine, ma dopo aver visto Machu
Picchu non è che ci fanno una gran impressione se non per il fatto che i sassi
che le costituiscono sono di color rosa e per alcune interessanti spiegazioni di
Camilo sulle teorie di costruzione dei muri inca e sulla civiltà inca, sembra
molto, molto istruito in materia, ci dirà poi che queste informazioni le ha
avute dalla madre che è una ricercatrice e studiosa dei testi scritti sulla
civiltà inca.
Interessante è anche la chiesa edificata dai conquistadores
spagnoli sopra il vecchio e da loro demolito tempio inca: come quella
precedentemente visitata prima di arrivare a Cuzco è in stile coloniale e
completamente decorata stavolta con delle immagini floreali.
Tornando al Pick-up attraversiamo il villaggio con
l’immancabile piazza dove i campesinos allestiscono il solito e immancabile
mercatino artigianale, siamo agli ultimi giorni e ne ho visti ormai troppi…
passo quasi senza guardare.
Ci dirigiamo ora verso Salinas dove in mezzo ad una vallata
con la terra di color rosso bruciato spicca lungo il costone della montagna una
zona bianchissima, sono delle saline e anche queste risalgono all’epoca
incaica.
Ci sono un’infinità di vasche disposte su diversi livelli
di quota, queste vengono riempite con l’acqua
calda di una sorgente che si trova sulla sommità del monte, che è carica di
sali grazie alla conformazione del terreno, poi le vasche vengono chiuse, in
alcuni giorni l’acqua evapora e si può così estrarre il sale che dopo esser
stato raffinato può essere utilizzato per scopi alimentari.
Quello che più è affascinante di tutto questo sistema è
il riempimento della vasche, avviene in maniera del tutto automatizzata… si!
un uomo servendosi di stracci
attraversa tutte le vasche, aprendole e chiudendole in base a delle regole che
si tramandano da secoli.
Io e Anna ci facciamo un giro per le vasche mentre i nostri
due compagni sono rimasti sopra la collina ad ammirare il paesaggio e Valeria fa
anche uno schizzo del posto con degli acquerelli su un diario di viaggio.
La prossima visita è all’anfiteatro di Moray
Si tratta di un posto strano e misterioso, sempre di origine
inca, in una vallata ci sono tre cavità a forma circolare, sembra assodato che
non sono naturali ma sono state scavate manualmente,
su ognuna di queste sono stati costruiti diversi livelli di terrazze
concentriche, da più piccole a più grandi partendo dal basso verso l’alto,
sembra che ogni terrazze abbia un proprio microclima con
temperature diversa una dall’altra a seconda della profondità e ogni
terrazza praticamente raffigura una certa altitudine rispetto il livello del
mare, si pensa quindi che gli inca usassero questi crateri come un laboratorio
agricolo dove poter sperimentare che prodotti coltivare a quali altitudini e in
quale periodo dell’anno!!!
STRABILIANTE.
Adesso ci sono anche altre spiegazioni molto più fantasiose
come quelle in base alle quali si pensa che questi crateri siano piste di
atterraggio per navette extraterrestri, oppure quella che dice che questo sia un
punto dove la terra sprigiona una particolare forza infatti molti sciamani qui
fanno i propri riti… comunque
quella che più mi colpisce e mi sembra reale
è proprio la prima.
E’ ormai tarda mattinata e ci dirigiamo come stabilito a
Urubamba e precisamente a Mosoqruna dove visiteremo e mangeremo in questa casa
famiglia .
Si tratta di un progetto sponsorizzato anche dalla Piccola
Locanda, è una casa famiglia dove vengono ospitati dai dieci ai quindici
bambini che hanno subito maltrattamenti o con famiglie talmente povere da non
poter provvedere al loro sostentamento.
Il progetto è stato ideato da una signora italiana di nome
Ada e si avvale della collaborazione di volontari
e volontarie del posto e non, in questo periodo c’è
un ragazzo italiano di 20 anni che è lì da tre mesi e ci rimarrà per
altri tre. Adesso la casa gestisce 9 bambini ma presto ne arriveranno altri 5
infatti il progetto si sta allargando così come la casa dove risiedono.
Il progetto praticamente prevede la gestione dei bambini a
tempo pieno, la mattina questi vanno
a scuola e rientrano per pranzo, mangiano tutti insieme poi il pomeriggio, oltre
all’esecuzione dei compiti scolastici hanno molti altri modi di trascorrere il
tempo in aree specifiche della casa tenute per lo svago: musica, ginnastica,
disegno, piccoli lavori di artigianato.
Mangiamo a pranzo tutti insieme in una lunga tavolata, si
respira aria tranquilla e familiare, la signora che sostituisce Ada è la figura
forte della comunità, un punto di riferimento per i ragazzini che la rispettano
e la ascoltano come se fosse la loro vera mamma.
Tra tutti i bambini uno è più intraprendente e spigliato
rispetto agli altri, si chiama Edgard ed ha 8 anni, subito dopo pranzo ci fa da
guida e ci porta a visitare tutti i locali, poi nella sala della ginnastica ci
fa sedere su delle panche e si esibisce in un balletto che ha imparato i giorni
scorsi.
Rimaniamo veramente troppo poco tempo in questa casa ma ci
colpisce tutto: dall’organizzazione della comunità alla umanità e pazienza
dei volontari, ci fa piacere vedere i bambini in questo contesto, sono
tranquilli e felici e con prospettive diverse rispetto a tanti altri che vivono
per strada. Forse sono proprio queste le attività da sostenere, non ci sono
sprechi in pubblicità, non c’è una grossa rete di persone che ci gira
intorno pertanto anche un piccolo contributo arriva sicuramente a destino senza
perdersi nei meandri della burocrazia e i risultati sono tangibili, “grazie
Matteo che ci hai aperto gli occhi anche su questa piccola realtà che ti sta
tanto a cuore!”
Siamo di nuovo in viaggio diretti a Cuzco per vedere il
tempio di Sacsayhuaman.
E’ già tardo pomeriggio e per esperienza come al solito
si scatena un fortissimo acquazzone, dopo aver aspettato invano in auto per
mezz’ora circa, decidiamo comunque di fare un velocissimo giro tra le rovine.
Le rovine sono sopra una delle varie colline che sovrastano
Cuzco e oggi quello che resta è solo il venti per cento di quello che era in
origine.
Non è chiaro se sia una fortezza o un tempio oppure
entrambe le cose ma quello che lo rende affascinante sono le pietre che
lo costituiscono, sono immense e perfettamente incastonate una sull’altra, la
più grande di queste pesa addirittura più di
300 tonnellate.
Rimane ancora oggi il mistero di come gli Inca abbiano
potuto portare le pietre fin lì, infatti non sono caratteristiche della zona di
Cuzco e di come le abbiano potute lavorare,
per poterle incastrare in maniera così precisa e perfetta.
Quello che è certo è che gli Inca hanno voluto costruire
Cuzco a forma di puma, uno dei tre simboli religiosi della loro civiltà,
Sacsayhuaman raffigura la testa e i ventidue muri
zigzaganti rappresentano i
denti del puma.
Dimenticavo la zona di Sacsayhuaman il 24 giugno ospita il
famosissimo e pittoresco spettacolo dell’Inti Raymi la festa più famosa di
tutto il Perù, penso proprio che sia eccezionalmente affascinante svolta in un
luogo così misteriosamente magico.
Ce ne andiamo abbastanza di fretta con l’intento di
tornare l’indomani mattina per scattare alcune foto sperando in una luce
migliore.
Così sarà la mattina seguente c’è una bellissima e
limpida giornata di sole ne approfittiamo per scattare qualche foto alle rovine
e per fare le ultime compere prima di salutare Matteo e Camila e prendere il
volo Lan Peru’.
L’ultima immagine che ricordo di questa splendida città
è la scritta, eseguita rasando l’erba su una delle montagne che la sovrastano, che riporta “ VIVA EL PERU’ GLORIOSO” che in maniera
semplice ma forte fa capire l’orgoglio di questo popolo per la propria terra!
All’aeroporto ritroviamo Ronald che ci accompagna
all’Hostal El Patio.
E’ tardo pomeriggio e trascorriamo le nostre ultime ore da
viaggiatori in Perù tra le vie di Miraflores e una cena a base di pesce alla
plancia al ristorante la Glorietta presso Pizza’s Street.
Si chiude così questo nostro ultimo viaggio, cominciato per
inseguire un sogno: Machu Picchu ma che ci ha fatto scoprire posti altrettanto
belli che da soli varrebbero un viaggio, su tutti Cuzco e il Lago Titicaca, in
più ci rimarrà per sempre la gentilezza e ospitalità del popolo peruviano, i
mille colori delle loro stoffe, i molteplici odori della cucina peruviana, gli
sguardi a volte tristi ma profondi dei bambini e la loro voglia sempre e
comunque di divertirsi e imparare.
Annalisa e Diego dieanna@tiscali.it