Panamà
Diario di viaggio 04 – 23 Agosto 2007
L’inizio di questo viaggio a Panama risale al 2003, in Costa Rica; precisamente nel Parco Manuel Antonio. Pioveva. Io e due miei amici, completamente fradici, eravamo riusciti a trovare per caso alloggio per la notte in una casa ai margini del parco, a pochi metri dalle scimmie urlatrici che ruggivano impietose sotto gli scrosci di pioggia. Conosciamo subito il nostro vicino di casa che era uscito a vedere chi fossero questi tre disperati sbucati dall’oscurità. Lui era un diplomatico panamense in vacanza: al nostro entusiasmo per il Costa Rica aveva risposto decantando le lodi della sua terra che prometteva essere senza rivali in quanto ad animali selvaggi e spiagge fantastiche, soprattutto in un arcipelago di cui non riuscivo a ricordarmi il nome…
Da quel momento mi è rimasta la curiosità per questa destinazione amena, fino al momento di organizzare il viaggio estivo del 2007, momento in cui si decide di intraprendere per la prima volta un viaggio insieme alla mia dolce metà. Sono contento di intraprendere questo viaggio con lei. Viaggiare è in assoluto la cosa che mi entusiasma di più e voglio che lei mi vede così, fuori dai soliti problemi e fatiche della vita lavorativa, almeno per un po’. E soprattutto voglio presentarle quelli che considero un po’ come dei vecchi amici, di quelli che anche se non si vedono per anni si considerano importanti: I Caraibi. Che magnifiche sensazioni mi hanno donato, vorrei che anche lei possa vederli, conoscerli e spero amarli come li amo io.
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04 – 05 Agosto : Panama City
Il primo giorno di visita alla città conta già due “must” imperdibili: il Casco Vejo, una sorta di Havana diroccata in procinto di una rinascita spero sfavillante e Miraflowers Locks, le chiuse del canale di Panama verso l’Oceano Pacifico.
Il Casco Vejo ha perso fortunatamente gran parte della pericolosità e della cattiva reputazione di un tempo anche grazie alla presenza della polizia in bicicletta che ti accompagna in giro come una guida turistica: il personale dell’ufficio del turismo e superdisponibile e i militari sono gentili e sorridenti. In verità dovrà passare ancora qualche anno perché ritorni allo splendore di un tempo, infatti molte case hanno solo più le pareti esterne e la vegetazione invade i ruderi abbandonati. L’atmosfera decadente è comunque affascinante, soprattutto alla sera dove si può mangiare a lume di candela in ristorantini con dehors sulle piazze illuminate. Per Manolo Caracol, al periodo il più in voga, assolutamente d’obbligo la prenotazione.
Per il pranzo invece scegliamo invece di infilarci subito nell’atmosfera vibrante della capitale centroamericana e ordinare il pesce più fresco della città direttamente al Mercado de Marisco: il ristorante è situato al secondo piano dell’edificio del mercato del pesce e vi si affaccia direttamente. Le voci dei pescatori sono la divertente colonna sonora del pranzo. Consigliatissimo!
Le chiuse di Miraflowers sono facilmente raggiungibili con i bus locali. Obbligatorio vederle, impressionante immaginare lo sforzo progettuale e realizzativo, il museo molto moderno ed interattivo accoglie i visitatori prima del passaggio delle navi. Un inciso lo meritano sicuramente tutti i bus pubblici in città, vecchi scuola bus americani anni ’50 fantasticamente personalizzati. Sono coloratissimi, fanno a gara per attirare l’attenzione con accessori e dipinti i più sorprendenti. Gli accessori vanno da un impianto stereo di tutto rispetto alle pinne di squalo sul tetto passando per clacson tritonali, boa di struzzo, bandiere e tutto quello che si può immaginare come gadget. Costano solo 25 cent e trasportano solo gente locali. Noi non incontriamo mai altri turisti, diventano subito il nostro mezzo di trasporto preferito sdegnando i taxi, pur economicissimi, che ci suonano continuamente per la strada, accattivandoci le simpatie dei locali.
Il giorno seguente, dopo una colazione abbondante nel giardino coloratissimo di Casa de Carme, piccolo ostello in una zona centrale di Panama City, siamo pronti per il Parco Naturale Soberania, affidandoci ai consueti bus super caratteristici. La guida Lonely Planet non è affatto precisa sul parco, è chiaro che l’autore non c’è mai stato. Alla stazione dei bus della cooperativa Seca un guidatore del bus diretto verso Paraiso sembra cambiare idea e ci dice che ci porterà all’entrata del parco invece di aspettare due ore il bus diretto a Gamboa. Ci fidiamo e saliamo. Seguendo le vaghe indicazioni di un ragazzo ci buttiamo fuori dal bus in un punto in mezzo alla foresta dove parte un sentiero segnalato. È molto corto ma è già avventuroso per noi. Uscendo dal sentiero speriamo che passi un bus che ci porti diretti al Sendero del Oleoducto a Gamboa, uno dei paradisi di Panama per birdwatchers. Eccolo subito, colpo di fortuna !
Per qualche km quindi seguiamo agevolmente il Sendero nella fitta foresta e veniamo ripagati dalla vista di tre tapiri, parecchie scimmie curiose e da innumerevoli e coloratissime farfalle, compresa la “farfalla dagli occhi” che avevamo visto esposta al museo di Miraflowers Locks. L’errore è stato quello di non portarsi niente da mangiare e da bere, come due sprovveduti, confidando in un chiosco inesistente all’entrata del sentiero… Il turismo è ancora agli albori! A Gamboa, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, viviamo però una bella esperienza, di quelle che puoi vivere solamente vagando un po’ a caso, ovviamente senza affidarsi a pacchetti tutto compreso, cioè da vero “backpacker”: nel piccolo paesino sul lago una marea di gente chiassosa invade un centro sportivo dotato di piscina. È la festa paesana dei Bomberos, i vigili del fuoco locali, a cui partecipano proprio tutti. Ci uniamo alla festa, mangiamo squisite hojaldres preparate sul momento in una cucina improvvisata. Meno male perché di negozi o bar nemmeno l’ombra…
Non so spiegare come e perché ma quando sono in viaggio sento che una buona stella mi protegge e che posso osare e affrontare situazioni con un pizzico di incoscienza e di leggerezza. Questo per me è viaggiare, fidandomi principalmente dell’istinto ed immergendomi il più possibile nel paese che visito.
Riusciamo quindi a salire al volo sul bus che ci riporterà alla Ciudad. L’indomani partiremo presto, all’alba, con un piccolo biplano Aeroperlas, prenotato via internet. Destinazione Yandup, Komarca de Kuna Yala, Arcipelago sulle coste atlantiche chiamato San Blas, Caraibi.
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06 – 08 Agosto : Yandup, Komarca de Kuna Yala
Sono le otto di sera, abbiamo già mangiato ed è buio pesto nell’isola minuscola senza elettricità corrente di Yandup. Siamo sdraiati sulle amache fuori dalla cabana di legno e tetto di foglie di palma, cullati dal rumore delle onde che si infrangono a pochi metri da noi. Un cielo incredibilmente stellato è orlato dalle altissime palme che ricoprono l’isola. È proprio quello che desideravamo da molti mesi, da quando l’idea delle vacanze a Panama si era concretizzata: l’essere letteralmente “fuori dal mondo”.
L’isola è disabitata, come la maggior parte delle isole che formano l’arcipelago gestito dagli Indio Kuna in modo autonomo dal governo panamense centrale, non ammettendo alcuna ingerenza esterna. I Kuna sono una popolazione molto fiera, povera ma fondamentalmente allegra. È una comunità matriarcale che vive di pesca, caccia, vendita di cocco e di turismo. Le donne sono vestite in abiti colorati tradizionali e cuciono molas, gli uomini vestono all’occidentale ed alcuni di loro, quelli che parlano un po’ di spagnolo, sono delle guide come il nostro amico Leo che ci scorrazza su e giù per l’arcipelago con una lancia di legno in mezzo alle mangrovie in cerca dei migliori spot di snorkeling e delle spiagge più “caraibiche”.
Solo le foto possono pallidamente rappresentare quanto l’arcipelago, il mare caraibico e la nostra isoletta siano splendide, a parole è veramente difficile.
Visitiamo anche la caratteristica comunità di Playon Chico, o di Ugupusani in lingua indigena, ed il loro cimitero, in cui Leo ci spiega usanze e tradizioni funerarie. Spero vivamente che gli Indios kuna mantengano viva la loro fiera indipendenza indigena, allontanando la speculazione edilizia e gli investitori stranieri da questo angolo di paradiso.
Mangiamo sempre quello che offre il pescato del giorno cucinato dalle donne kuna che lavorano sull’isoletta di Yandup, il filetto di barracuda appena fritto e marinato nel limone è da ricordare. Per una notte siamo gli unici turisti dell’isola, che comunque conta cinque cabanas in totale. Ci godiamo l’assoluta solitudine. Una luce penzolante rischiara la notte permettendoci di leggere o di scrivere il diario. Non ci sono neanche insetti e mi sembra incredibile. L’atmosfera è quali irreale, il tempo sembra immobile, magie dei caraibi.
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09 – 12 Agosto : El Valle e Santa Catalina
Il mattino salutiamo il Caribe con una pioggia torrenziale (2500 mm di pioggia annui non sono uno scherzo), salutiamo con emozione Leo farneticando di una prossima visita alla sua “finca” e siamo sul piccolo biplano che ci riporterà alla Ciudad de Panamà, da dove prenderemo subito un minibus con aria condizionata al massimo e musica panamense sparata in direzione El Valle. El Valle è una piccola cittadina costruita nel cratere di un vulcano inattivo di 5 km di diametro, a circa 1000 metri di altezza. All’Hotel Don Pepe, dove possiamo fare anche il bucato, non c’è nessun altro, neanche il senor che ci dovrebbe fare la registrazione. Vaghiamo un po’ nel paese che non offre granché, anche il famoso mercato dell’artigianato è in realtà poca cosa durante la settimana, meglio venire qui nel week end ci dicono,. Affittiamo allora una bici e saliamo verso il Chorro El Macho, una cascata a cui piedi la guida decanta un magnifico bagno nella piscina naturale. Il fatto è che anche la stagione non sembra essere quella giusta, El Macho in realtà è un po’ fiacco. Torniamo indietro e tranquilli ci godiamo il passaggio dell’unica via del paese. La gente si muove in bici, decine di cani scorrazzano per la strada. La situazione potrebbe ricordare il Perù con l’aria fresca serale, le alte montagne intorno, le strade poco trafficate e le rocciose facce tipiche da indios.
La panetteria Dulceria è uno dei pochi locale che offre servizio internet, viene ad accenderlo un bambino che non avrà più di 10 anni, l’unico della famiglia che sembra capire come funzioni quello strano attrezzo che hanno deciso di comprare. Da qui partiamo per Santa Catalina, il migliore accesso per Isla Coiba, parco naturale dalle incredibili meraviglie. Il viaggio consiste in minibus fino all’incrocio dell’interamericana a Las Uvas, bus per Santiago preso al volo, minibus fino a Sonà da dove l’ultimo minibus, sempre più mal ridotto, ci porta fino al fondo della strada. Dopo 7 ore e mezza ci ritroviamo all’unico incrocio di Santa Catalina sotto una pioggia battente. Le indicazioni non sono precise ma riusciamo ad arrivare alla destinazione che avevamo scelto tra le poche presentate dalla guida LP. L’hotel Punta Brava risulta caro per quello che offre, cioè una stanza squallida in un edificio un po’ cadente. Il posto sembra abbandonato dopo l’esplosione di una bomba nucleare., solo la vista è magnifica. A cena in un ristorante vicino gestito da due surfisti argentini abbiamo una bella sorpresa, oltre alla cena in sé: sono disposti ad affittarci una delle loro due cabanas per pochi dollari. Sicuro che la prendiamo, è spartana ma di gran gusto, allegra e colorata con annessa cucina, patio coperto e doccia calda. Per la prima notte dobbiamo stare per forza al Punta Brava, dove non si accende neanche la luce e ci arrangiamo con la torcia, ma l’idea della casa di Diego ci entusiasma comunque . Sono le difficoltà che un viaggio organizzato non prevede di certo, ma preferiamo la soddisfazione di vivere le situazioni e l’emozione di una piacevole scoperta.
Il giorno dopo è all’insegna del relax, passeggiamo per Santa Catalina e verso la spiaggia nera, adottiamo un piccolo cane che chiamiamo il Flacho, il magro. Leggiamo, ascoltiamo musica alla Choza dei due argentini, Portished, Massive Attack e Bob Marley. Leggo sulla guida che la pizzeria Jammin gestita da italiani surfisti è il posto più frequentato, quindi non manchiamo per la sera. Incontriamo infatti tutti quelli che avevamo notato in giro. Al ritorno anche al ristorante El Pibe c’è gente, ne approfittiamo per un paio di cuba libre in compagnia. Wow, facciamo serata ci ritiriamo ben alle 22, record della vacanza. Che inguaribili viveur…
Ecco finalmente il giorno in cui abbiamo appuntamento allo scuba dive per il tour all’Isla Coiba. Ci uniamo ad una coppia di mezza età simpaticissimi e un marsigliese che lavora nel centroamerica, noi siamo gli unici che non faremo immersioni, ci basta lo snorkeling. E che snorkeling, la vista sottomarina è mozzafiato anche se la visibilità non è ottima, incontriamo anche una murena, un lungo serpente di mare, un piccolo squalo ed una stupenda tartaruga. Se già il panorama dalla barca ci aveva indotto a pensare di essere in un luogo incontaminato, l’attracco alla spiaggia dell’isola ci lascia a bocca aperta. La spiaggia bianca baciata dal sole risplende di una bellezza primitiva, pochi metri dietro la spiaggia oltre le cabine dei ranger del parco vivono iguane, varani, una grande varietà di uccelli e di scimmie. Entusiasti del posto rimaniamo quasi seccati di dover tornare, sarebbe magnifico passare un paio di giorni sull’isola ma la guida non spiegava alcuna opportunità ma comunque sembra che sia fuori portata dal nostro budget, un vero peccato. Al ritorno l’atmosfera dai Los Pipes è sempre accogliente e passiamo la serata tra quelli che dopo pochissimi giorni possiamo già considerate degli amici. So che alla fine del viaggio uno dei ricordi più vividi sarà quell’unica strada di Santa Catalina popolata da cani e galline, dove una piccola comunità di surfisti si è mescolata ai pescatori e ai contadini del luogo e conduce una vita semplice ed in armonia, a cui sento che non manca proprio niente.
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13 – 16 Agosto : Boquete
Lasciando le chiavi sul bancone del ristorante vuoto partiamo di nuovo sul minibus che ci porterà di nuovo a Sonà, poi Santiago e diretti e veloci sull’interamericana , la lunga strada che collega il Canada fino alla Terra del Fuoco in Argentina, interrotta solamente nel Darien, la selvaggia regione di Panama verso la Colombia. L’abitato di Boquete si sviluppa praticamente sull’unico tratto di strada principale ed intorno ad una piazza quadrata dove le attività turistiche ben si confondono con quelle tipiche panamensi.
Il posto è meta di pensionati americani che si ritirano a Panama per godersi il meritato riposo: Boquete ha infatti un clima ideale sempre fresco, la pioggia rinfrescante del tardo pomeriggio permette di coltivare caffè, frutta e numerosi ortaggi sulle pendici altrimenti boscate dei dolci versanti. inoltre il territorio circostante è l’ideale per un po’ di buon trekking montano.
Affittiamo una stanza da una signora gentile e sorridente e cominciamo la visita di Boquete partendo da Mi Jardin es Tu Jardin, che consiste in un giardino privato immenso aperto ai visitatori gratuitamente. Lì vicino al caffè Ruiz ci gustiamo un ottimo espresso e ci iscriviamo alla visita per il giorno dopo alle piantagioni di caffè. È una buona scelta, la visita si rivelerà molto interessante, tra le piantagioni, il centro di lavorazione e la degustazione. Incontriamo anche il proprietario, il vecchio Senor Plinio Ruiz, fondatore della società orami ottantenne con ancora una grande passione.
Da segnalare per delle ottime e abbondanti colazioni è il Puerto de Encontro, cafè affacciato su un bel giardino in cui cinguettano numerosi uccelli tra cui i colibrì.
A Boquete le possibilità di fare trekking o escursioni anche più tranquille non mancano, ci si può affidare alle compagnie che offrono i servizi turistici. Il tourist information propone il trekking del Sendero de Los Quetzales a 40 $ cadauno, ma è possibile anche arrangiarsi da soli con un po’ di spirito di iniziativa. Così infatti facciamo. Il sendero dovrebbe essere il più bel percorso del centroamerica per bird-watcher, ottima occasione per ammirare l’uccello simbolo del Gautemala, da dove è ormai scomparso e protagonista di vari miti e leggende. Abbandoniamo invece l’idea di scalare i 3400 mt data la durata del trekking (min 6 ore) e per la scarsa possibilità di ammirare la vista dei due oceani dalla sommità vista la presenza quasi costante delle nubi.
Il bus locale arriva a circa 3 km di strada asfaltata, dalle pendenze importanti, dall’ingresso del Parco Naturale Volcan Barù. La strada dall’ingresso, si fa subito sterrata, fino a diventare uno stretto e scivoloso, data la stagione delle piogge, sentiero in mezzo alla foresta. In mezzo alla vegetazione così fitta non riusciremmo a scorgere neanche un fagiano, figuriamoci il leggendario e timido Resplendent Quetzal, ma la camminata è comunque piacevole e le sponde di alcuni rii sono dei posti incantevoli per un pic nic.
Un altro trekking proposto è la gita alle Hot springs a Caldera, stesso prezzo porposto dall’agenzia, stesso metodo scelto da noi, ovviamente con i bus locali, in cui siamo sempre gli unici turisti. Dopo circa 2,5 km di strada sterrata quasi pianeggiante in mezzo ai pascoli si arriva alla Finca proprietaria dei pozzi termali, ma non c’è organizzazione e non riescono a darci il resto (2$ il prezzo, 20$ la nostra banconota). Diamo un’occhiata comunque senza immergersi (temperature proibitive!) e torniamo indietro dopo il consueto spuntino in riva al rio Caldera. Prima che si rimetta a piovere torniamo in paese e scopriamo che mancano ancora due ore al passaggio del prossimo bus per Boquete: le passiamo in compagnia di un’anziana e meravigliosa coppia in un bar dai prezzi ridicoli. In tutta Panamà se si vuole fare estrema attenzione al portafoglio si riesce a mangiare tranquillamente la comida corriente per 2-3 dollari a pasto e delle volte si vivono belle esperienze in mezzo alla povera gente locale che supera subito la sopresa iniziale di vedere dei turisti. Con qualche dollaro in più e senza pretese di lusso a Boquete si mangia ottimamente da Lourdes, sul terrazzo affacciato sulla strada principale.
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17 – 19 Agosto : Isla Cristobal, Arcipelago di Bocas del Toro
Due settimane di vacanza, è uno dei momenti che solitamente preferisco, quando non si ha più l’ansia esagerata iniziale né ancora la tristezza dell’imminente fine vacanza, quando si è totalmente immersi nel posto che si sta visitando, quando si infilano di nuovo gli zaini in spalla e le Birkenstock ai piedi per partire verso la prossima destinazione. Calcoliamo che potremmo arrivare a Bocas nel primo pomeriggio: bus da Boquete a David, minibus e taxi per Changuinola e water taxi lungo il canale una volta utilizzato dalla compagnia della frutta per il trasporto delle banane verso il mare aperto. A Changuinola incontriamo gruppetti di turisti tutti provenienti dal Costa Rica che aspettano sul pontile. Il pontile è un piccolo vecchio imbarco commerciale letteralmente in mezzo alle piantagioni della Ciquita, lungo le baracche allineate telefono da una cabina pubblica mezza distrutta on i fili che pendono fino a terra. Riesco ad avvertire del nostro imminente arrivo Erika di Dolphin Bay Hideway, minuscolo B&B scoperto sull’isola Cristobal, dove la LP indica mancanza di “accomodation”…
Il viaggio lungo il canale coperto da giacinti d’acqua, se si è fortunati e non in gruppi numerosi si parte subito, parte nel paradiso naturale di Sad Sak Pond e vale ampiamente il costo del biglietto e la fatica di arrivarci.
Josè di Dolphin Bay ci viene a prendere in lancia scoperta e per nostra fortuna si mette a piovere, l’ultimo tratto non è per niente piacevole, il vento e la pioggia ci sferzano il viso, ma l’arrivo ci ripaga ampiamente: il B%B è ina posizione incantevole, dal pontile davanti si possono ammirare i delfini che nuotano nella baia omonima, la struttura è stupenda con una terrazza tutta per noi, la stanza è incantevole, il giardino pieno di fori tropicali, l’acqua è bollente! Passiamo tre giorni fantastici, rilassandoci a Dolphin Bay in compagnia della loquace Erika, siamo anche gli unici clienti, e degli animali della casa che consistono in 8 galline, un rottweiller femmina dolcissima e un incrocio vaimaraner molto giocoso, un pappagallo intraprendente, un tucano e Kinka, una strepitosa kinkajou che assomiglia ad un lemure. Impossibile annoiarsi la sera dopo cena. La mancanza della spiaggia non è un peso, infatti abbiamo a disposizione le tipiche imbarcazioni di legno degli indios, i kayuco, per girovagare nella baia e la possibilità di fare alcuni tour, noi scegliamo uno snorkeling magnifico di mezza giornata, la gita a Cayo Zapatillo, una delle più belle isolette dell’arcipelago, veramente da sogno, la bellezza dell’isola e del mare è oltre le nostre aspettative e la visita ad una azienda famigliare di cacao biologico, in cui gli stravaganti proprietari americani ci accompagnano per una passeggiata istruttiva nella piccola piantagione.
Prima di farci accompagnare all’Isla Bastimentos, sempre nell’arcipelago, saldiamo il conto, che è salato per le nostre tasche da budget travellers, ma è niente per l’atmosfera unica degli ultimi tre giorni che abbiamo vissuto immersi in un fantastico sogno.
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20 – 22 Agosto : Isla Bastimentos, Arcipelago di Bocas del Toro
L’Isla Bastimentos è una piccola isola nel parco naturale omonimo, casa di alcune specie endemiche di rane, tra cui la famosa red frog che avremo modo di vedere giusto fuori della nostra capanna di legno costruita su palafitte a circa e metri di altezza dal suolo su una piccola collina che guarda la baia. Povere costruzioni baraccate lungo l’unico passaggio lastricato, ovviamente pedonale, sono la dimora della poca gente locale. Le case più belle sono di proprietà di coloro che hanno investito nelle attività turistiche, anche se qui ci arrivano ancora pochi turisti, attirati maggiormente dalla festosa atmosfera di Bocas del Toro, sull’isla Colon. Noi abbiamo preferito di nuovo un’esperienza più naturale ed autentica, economica e con una spiaggia stupenda raggiungibile a piedi con un sentiero di 1,2 km a scavalcare la collina. Lungo il sentiero che si snoda tra banani e alti alberi si ha anche la possibilità di avvistare dei bradipi, uno degli animali certamente più strani che abbia visto.
La sera si trascorre in uno dei due ristoranti su palafitte della baia, con prezzi economici e qualità simili, unici ritrovi “turistici” di Bastimentos., oltre ad un paio di piccoli residence ecocompatibili dall’altro lato della baia.
L’ultimo giorno a Bastimentos scorre per forza tranquillo, immerso nei pensieri. L’indomani saremo a Bocas, cominciando un lento ma inesorabile ritorno alla civiltà: Bocas, Panama City, Torino via Newark.
Dalla giungla primaria alle piazze di porfido, dai giardini lussureggianti alle scale condominiali, dalle lance e dai kayuco alle automobili. A Bocas ci sorprenderà già camminare su una strada vera, sono sei giorni che non ne vediamo una! Nel mentre ci sorprendiamo a immaginare un’attività nel Caribe, un altro mondo. A pensare se sarebbe bello scomparire, dimenticare e ricominciare?
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23 Agosto : Isla Colon, Arcipelago di Bocas del Toro
Bocas è un ottimo posto per ripartire il giorno dopo per Almirante e per goderci di nuovo un po’ di civiltà più abituale. L’aspetto del paese costruito principalmente lungo il “waterfront” è gradevole in stile appunto “bocadoreno”, vari water taxi partono per tutte le destinazioni dell’arcipelago, tra cui anche la nostra spiaggia a Bastimentos. Noi ne prendiamo uno diretto a Changuinola accordandoci che ci lasci sulla spiaggia di Bocas del Drago. Tra lo stupore degli altri turisti siamo gli unici a scendere sulla stretta striscia di sabbia, per noi è perfetto.
Sorpresa tra le sorprese a pochi metri dalla riva ci sono decine di stelle marine, passiamo ore ad osservarle e a giocare con i pesciolini che vengono a riva ad “assaggiarci” i piedi. A qualche centinaio di metri sorge il pueblo di Bocas del Drago con bar/ristorante direttamente sulla sabbia e bus che ci riporterà indietro per una strada sconnessa in mezzo ai pascoli ed alle consuete piantagioni di banane.
D’obbligo la sera cenare a base di pesce in uno dei ristoranti affacciati sulla baia e poi passare un po’ di tempo al Barco Hundido, locale costruito intorno ad un relitto affondato.
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24-25 Agosto : Viaggio di ritorno
Due giorni completi di viaggio per tornare a casa, via Almirante diretti a Panama City con bus di primera classe. A Panama torniamo a cenare per l’ultima sera al Trepiche locale raggiungibile a piedi dalla Casa de Carmen, con cucina e atmosfera tradizionale per evitare il distacco il più possibile, con davanti la cartina di Panamà in cui ci diciamo non sarebbe male tornarci tra dieci anni, visitare i posti dove non siamo stati e tornare a vedere come sono cambiati i luoghi visitati, oggi ancora agli albori del turismo. Prima e dopo il viaggio mi sono sentito più volte chiedere con tono sorpreso ed a volte ironico “A Panama? E cosa andate a fare?”. A visitare un territorio ancora selvaggio ed un mare incredibilmente naturale, tra gente semplice e non corrotta dalle invasioni turistiche. A godermi l’autentico, sonnolente e meraviglioso Caribe. Cerca di non cambiare troppo, noi cercheremo di fare del nostro meglio. Aspettaci, torneremo.
Stefano
Le foto http://www.flickr.com/photos/30631305@N05/sets/72157607787777091/