(da
MEXICO DF – 2007)
http://fainotizia.radioradicale.it/user/fabrizio-lorusso
America Latina - Altri occhi e parole
SOLO QUALCHE MINUTO…
Ciao a tutti, viaggiatori e non. Sono il solito Fabrizio,
quello dei diari centro e
sudamericani, sempre in diretta dalla gran Città del Messico. Dato che
l’informazione in Italia non brilla per completezza e oggettività sul Messico
e sul conflitto di Oaxaca servono fonti più dirette per saperne di più. Vi chiedo solo qualche minuto di resistenza, non lo farei
se non fosse veramente importante.
IRREGOLARITA’ ELETTORALI E REPRESSIONE
L’annata 2006 in Messico si ricorderà per gli episodi
repressivi di Atenco (importantissimo: http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=5522
), Lazaro Cardenas, Oaxaca e per le denunce di frode nell’elezione
presidenziale del 2 luglio scorso, con il rifiuto categorico del candidato
dell’opposizione di sinistra, Andres
Manuel Lopez Obrador, a riconoscere il presunto vincitore, Felipe
Calderon. Questi, che ha appena assunto la presidenza in mezzo alle
polemiche lo scorso 1 dicembre, ha nominato come Ministro dell’Interno al noto
repressore e violatore dei diritti umani, Francisco
Rámirez Acuña ex-sindaco di Guadalajara e governatore dello stato
corrispondente (Jalisco).
(vedere: http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=6830
).
In definitiva, non e’ stata riconosciuta una frode
certificata e sicura (ma d’altro canto non si sono voluti contare i voti uno
per uno di nuovo come chiesto dall’opposizione che ha perso con poco più
dello 0.5% di scarto), anche se è stata ammessa dal Tribunale Elettorale
messicano la presenza di interventi illeciti dell’ex Presidente
Vicente Fox (dello stesso partito del vincitore Calderon), delle
associazioni industriali e di altri falsi
candidati (come il famoso Doctor Simi, multimilionario populista padrone di
farmacie in tutta l’America Latina) che hanno svolto una campagna irregolare
contro il candidato della sinistra. Anche costui ha i suoi scheletri
nell’armadio però è stato oggettivamente ostigato come ai vecchi tempi del
regime del PRI (Partido Revolucionario Institucional) che ha governato il paese
per 70 anni. Ma chi sanzionerà l’ex presidente e gli imprenditori in mala
fede che ormai hanno cambiato il risultato ??
OAXACA tra GAS LACRIMOGENI E POVERTA’
Bene, l’idea di questo articolo era quella di fornire
una breve cronologia degli eventi che stanno ancora scuotendo la bellissima e
(una volta) turistica città di Oaxaca, nel sud del Messico. (Interessante e
conciso anche:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=6612
)
ORIGINI DELLA CRISI
Il primo maggio i professori di Oaxaca consegnano un
documento con petizioni al governo locale. Alla fine di maggio del 2006 la Sezione
22 Oaxaca (con a capo Enrique Rueda
Pacheco) del potente sindacato nazionale dei docenti entra in sciopero, cosa
che si ripete quasi ogni anno, per delle migliorie salariali in uno Stato che è
il quarto a pari merito tra i più poveri del Messico dopo il Chiapas, Guerriero
e Veracruz.
Oaxaca
è una città turistica con un costo della vita
relativamente alto, l’infrastruttura scolastica è pessima e molte scuole sono
perse in mezzo alle montagne ed esigono un sacrificio ascetico ai maestri e agli
studenti. Il governo locale è in mano al PRI da 77 anni ! Ogni governatore
messicano, in un paese federalista, ha molti poteri. E li usa: da vari anni le
associazioni della società civile dello stato di Oaxaca sono osteggiate dagli
sbirri del governatore, Ulises Ruiz,
e si sono denunciate scomparse di attivisti e minacce.
Sciopero
di 72 ore dal 22 di maggio e poi indefinito. Nessuna risposta ufficiale. Marce pacifiche di insegnanti, aumento delle
richieste: bloccare una riforma dell’istruzione secondaria. Viene chiusa anche
una TV locale. Offerta del governatore, Ulises Ruiz: 60 milioni di pesos (circa
400mila euro) e l’uso della forza pubblica per sloggiare i manifestanti che
iniziavano ad installarsi nella piazza centrale, “il zocalo”, con un
accampamento.
GIUGNO
Di fronte alle minacce di violenza da parte del
governatore e alla scarsa entità della proposta economica, s’intensifica la protesta con alcuni blocchi di strade, uffici
pubblici e una marcia che riceve la partecipazione di ben 80mila persone e
associazioni politico-sociali di tutto lo Stato. Si chiede un chiarimento circa la morte di un dirigente,
Mises Cruz, assassinato a quanto pare da scagnozzi priisti (=del PRI) del
governatore. Aumentano le minacce del governo oaxaqueño e il 7 giugno c’e’
una marcia in risposta con oltre 120mila
partecipanti e l’occupazione momentanea del palazzo del parlamento locale.
14 GIUGNO: mentre
il leader sindacale Enrique Rueda sta negoziando nella capitale del paese, la
polizia statale di Oaxaca tenta lo sgombero violento della piazza centrale. Non
riuscito. Interviene il Ministero dell’Interno (in quel periodo e fino a pochi
giorni fa, diretto da Carlos Abascal,
Secretario de Gobernacion in spagnolo). Il governatore Ulises Ruiz offre un
contributo straordinario (da chiedere al governo centrale nel DF o Città del
Messico) in denaro e la liberazione di 10 insegnanti catturati il 14 giugno per
la tavola di negoziazione che si apre tra il Ministero, il Governo locale e i
docenti insorti (praticamente tutti quello dello Stato di Oaxaca). Non
si negozia la rinuncia del governatore Ulises Ruiz o il suo
“licenziamento”, richiesta che diventa invece fondamentale per i professori
a partire dalla violenza perpetrata e l’inettitudine del governante.
17 GIUGNO:
il movimento magistrale si unisce alle altre associazioni della società civile
che spaziano da organizzazioni indigene e contadine a partiti extraparlamentari,
con programmi riformisti e rivoluzionari, associazioni di diritti umani, piccoli
comuni e reti sindacali: si costituisce la APPO o Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca. (sito: http://www.asambleapopulardeoaxaca.com
). La APPO lotta esplicitamente per la riforma costituzionale nello Stato e
l’uscita di Ulises Ruiz come base per le negoziazioni successive. Il Ministero
ha ammesso che le rivendicazioni del movimento sono giuste anche se non ammette
la possiblità di mandare via per decreto Ulises Ruiz.
LUGLIO AGOSTO
Il 2 luglio si vota e dopo qualche giorno inizia a Città
del Messico la rivolta di Lopez Obrador (del PRD, Partido Revolucion
Democratica, più o meno di sinistra) per far ricontare i voti uno per uno e
dare certezza alle elezioni che Calderon (del PAN, Partido Accion National, di
destra) ha vinto con un margine di soli 240mila voti su 42 MILIONI e dopo una
campagna sporca dei mezzi di comunicazione (TV azteca e TeleVisa, scaricatevi su
e-mule o google video il documentario o estratti di Canal seis de julio:
“Teledictadura” oppure “Aventuras en Foxilandia”, per favore ! ).
A OAXACA, vengono occupate
alcune radio e TV dai professori che iniziano a discutere il ritorno a lezione
in attesa di qualche notizia dal governo centrale. Nel DF e in internet si
inizia a sentire Radio Planton con la diretta di tutti gli avvenimenti di Oaxaca.
IMPLICAZIONI NAZIONALI DEL CONFLITTO
1 – Il
PAN avrà bisogno del PRI per avere la maggioranza parlamentare che
appoggerà il futuro governo nazionale messicano dal 1 dicembre. Ulises Ruiz,
gobernador de Oaxaca è del PRI. Calderon, presidente spurio, come lo chiamano
qui, è del PAN. Viene logica un’alleanza per calmare il conflitto e non
destituire il governatore in cambio di posti di rilievo nel futuro governo e di
un appoggio politico reciproco.
2 – La destituzione del governatore di Oaxaca da parte
di un movimento popolare aprirebbe la strada a vie rivoluzionarie da parte del
candidato sconfitto della sinistra Lopez Obrador che potrebbe fare la stessa
cosa per ottenere lui la presidenza a livello nazionale. Era realmente
improbabile ma così dicevano quelli che
s’opponevano al movimento di Oaxaca quest’estate…
LA RICHIESTA DI “DESAPARICION
DE PODERES”
Allora, risulta che l’uscita del governatore, salvo sua
rinuncia, può essere decretata solo dal Senato dopo un’analisi della
situazione dello Stato e dopo che questa camera abbia deliberato che non ci sono
le condizioni di governabilità, insomma che è stato perso il controllo e che
quindi si fanno scomparire tutti i poteri del governatore. Questo
processo di analisi e decisione inizia in settembre, quasi al quarto mese di
occupazione delle piazze e vie del centro e dopo che la stampa e la TV hanno
aperto una campagna di terrore e intimidazione contro i manifestanti.
Il Senato dice che Oaxaca è governabile e non
destituisce il governatore. La realtà è diversa ma nessuno lo saprà. La TV
inizia a mostrare gli “atti violenti” che la APPO commette, le strade
sporche, le barricate e comincia la campagna per spingere mediaticamente il
governo centrale a una risoluzione con “mano firme” e invio della polizia federale preventiva (PFP)
contro i ribelli.
PARAMILITARI E REPRESSIONE
Mentre le negoziazioni proseguivano senza risultati
concreti, ecco che gruppi paramilitari, priisti, sbirri del governo e pistoleros
sono entrati nella dinamica del conflitto per generare pressioni, vittime nella
APPO (tra morti e desaparecidos), infiltrazioni nelle manifestazioni e scontri
armati. Questa ha iniziato a rinforzare barricate nella città e preparare
difese. Non dico che non ci siano attori violenti nella APPO o gruppi radicali.
Però sostengo anche che i 15 o 16 morti, i circa 140 incarcerati (presos politicos) e i 40
scomparsi che fino ad ora ha causato il conflitto sono tutti
inequivocabilmente di un bando solo: dei manifestanti. Punto e a capo.
OTTOBRE 2006
Quando la APPO si apprestava, dopo una grande
marcia-carovana di 500 km a piedi di militanti e simpatizzanti attraverso tutte
le regioni da Oaxaca alla capitale del Messico, a installarsi nel centro di Città
del Messico, vengono feriti alcuni suoi integranti da spari
provenienti dagli uffici del Ministero dell’Interno in pieno giorno.
Continuano spari e attentati notturni contro le barricate e gli accampamenti dei
manifestanti a Oaxaca.
29 OTTOBRE: INGRESSO DELLA POLIZIA FEDERALE PREVENIVA IN
CITTA’
In seguito alla uccisione di un maestro e di un
giornalista americano (Bradley Will) in una sparatoria tra membri del PRI e
della APPO, si crea la scusante per l’entrata della PFP, polizia mandata dal
DF e integrata anche da militari, per liberare l’accampamento nel zocalo di
Oaxaca con la violenza. Due morti negli scontri. La APPO ripiega nel campus
della Università Autonoma Benito Juarez. Altri scontri e “vittoria” (di
Pirro) della APPO presso l’università, zona in cui la polizia non riesce a
penetrare.
NOVEMBRE
Manifestazioni, conferenze e marce pacifiche sono state
organizzate nella città di Oaxaca ogni fine settimana tra provocazioni, gas
lacrimogeni e pietre gettate dai tetti delle case e dai poliziotti installati
permanentemente nel centro urbano.
La
APPO ha promosso un congresso costitutivo per proporre le riforme costituzionali nello Stato, la destituzione del
governatore Ruiz, l’uscita della PFP dalla città, la liberazione dei
prigionieri politici e la democratizzazione delle istituzioni. Il
PRD e Lopez Obrador hanno appoggiato timidamente il movimento solo in alcuni
momenti cogliendo l’opportunità quando gli faceva comodo. In caso di nuove
elezioni a Oaxaca, sarebbe il partito favorito per la vittoria.
Il
Subcomandante Marcos e l’EZLN,
insieme ad altre organizzazioni indipendenti, hanno promosso in Chiapas e altri
stati il blocco di strade e manifestazioni pacifiche in favore dle movimento di
Oaxaca e dell’uscita della polizia federale dalla regione.
Continuano a Oaxaca le manifestazioni di gruppi sociali vari, donne,
indigeni e associazioni. Le marce sono quasi sempre infestate da Gas
Lacrimogeni mischiati con pepe e peperoncino urticante.
25 NOVEMBRE:
l’ennesima manifestazione della APPO, che questa volta si proponeva di
accerchiare per 48 ore il zocalo di Oaxaca, viene dispersa violentemente dalla
polizia che riguadagna tutte le zone del centro al controllo statale e, ancora
oggi, le mantiene sotto controllo permanente. Scontri per più di 5 ore.
141 detenuti, tra donne, ragazzi e anziani. Si
denunciano abusi e torture sui detenuti. Per tenerli lontani dai familiari sono
stati traslatati in blocco a Nayarit nel nord del paese, dopo essere stati
giudicati altamente pericolosi. Attualmente
c’e’ un accampamento fuori dal carcere a Nayarit dove i familiari
cercano di assistere i loro cari.
Da questa data la polizia è autorizzata a portare
armi e fare rastrellamenti giornalieri.
Si violano case private e negozi per eseguire ordini di cattura fittizi contro
chiunque sia stato identificato come integrante della APPO o semplicemente
contro persone sospette o presunti attivisti. Tutti sono a rischio, compresi i
membri di associazioni di diritti umani che cercano a stento di comunicare i
familiari coi carcerati.
Dopo che Calderon
s’e’ installato alla Presidenza della Repubblica Messicana il 1
dicembre, alcuni leader della APPO (in particolare il
noto Flavio Sosa) sono venuti a negoziare con il nuovo governo nella
capitale ma sono stati arrestati e sono attualmente in prigione.
BREVI COMMENTI
So che forse la lotta di Oaxaca rappresenta un Messico
vecchio, da entrambi i lati della barricata. Un Messico lontano dagli Stati
Uniti e vicino al Guatemala. Un Messico autoritario e prepotente come il
governatore Ulises Ruiz ed anche corporativo e abituato a risolversela sempre
fuori dalle istituzioni che sono antiquate e non possono ascoltare nessuno.
Anche la APPO ed i sindacati non sono esenti da autoritarismi pratiche da
caudillos. Ciononostante, in questo dilemma di povertà ed esclusione, mancanza
di attenzione e interesse c’e’ sempre una parte che da decenni rimane al
margine e perde la partita. Una parte della APPO li può rappresentare e
proporre riforme condivise nello Stato per dare efficacia alle istituzioni,
integrarle coi sistemi di usi e costumi delle comunità locali, porre fine al
vecchio sistema politico locale e creare più distensione. CIAO E SCUSATE
L’INTRUSIONE…CONTINUA… (??)
Foto di David Jaramillo (un amigo de El Universal, México)
CRONOLOGIA IN SPAGNOLO DETTAGLIATA:
http://www.eluniversal.com.mx/notas/392072.html
Liberazione
di detenuti e ritiro parziale della polizia federale a Oaxaca, Messico
Dopo oltre un mese e mezzo di occupazione del centro
storico di Oaxaca, sabato 16 dicembre è avvenuto il ritiro parziale di circa la
metà dei 4000 effettivi della (PFP) Polizia Federale Preventiva inviati da Città
del Messico per cercare di “ristabilire l’ordine e la legalità” nel noto
centro turistico. Inoltre, sono stati rilasciati dal carcere di Nayarit 43 dei
141 detenuti che erano stati arrestati e, in seguito, deportati nel nord del
paese durante gli scontri violenti tra i manifestanti della APPO (Asamblea
Popular de los Pueblos de Oaxaca) e la PFP il 25 novembre scorso. Le cauzioni
per la liberazione dei detenuti oscillano tra i 3000 e i 150.000 euro e sono
state coperte, in questo caso, dal Governo dello Stato di Oaxaca. Sostiene il
leader sindacale Enrique Rueda che “la liberazione dei compagni catturati è
avvenuta attraverso una negoziazione politica visto che il regolare processo
giuridico avrebbe preso dei mesi”.
Nonostante questi segnali di distensione e il
parziale ritorno alla normalità della vita nel capoluogo, continuano ad
arrivare denunce che mantengono in stato d’allerta le associazioni per la
difesa dei diritti umani. Domenica 17 c’è stata la manifestazione delle donne
di Oaxaca ed anche un atto pubblico d’accoglimento dei primi detenuti che
ritornavano alle proprie case. La APPO ha convocato una nuova mobilitazione
pacifica per la giornata di venerdì 22 dicembre. E’ prevista una marcia dei
membri della Assemblea Popolare che sono stati picchiati e perseguitati per
rendere pubbliche le violazioni che hanno caratterizzato l’operazione
repressiva e le provocazioni della polizia a partire dalla sua incursione il 29
ottobre fino agli ultimi scontri di novembre.
A questo proposito abbiamo raccolto la preziosa
testimonianza del oaxaqueño Artemio Martinez, membro del Comitè Cerezo Oaxaca,
organizzazione che lotta per la liberazione dei fratelli Cerezo e i diritti dei
detenuti in generale (http://www.comitecerezo.org/),
e volontario della LIMEDDH (Liga Mexicana para la Defensa de los Derechos
Humanos). Dopo l’arresto di uno dei leader più conosciuti della APPO, Flavio
Sosa, lo scorso 4 dicembre i governi locale e federale hanno dichiarato la fine
del movimento mentre “questo si considera formato dalle basi e privo di una
leadership e gerarchia definite anche se si riconosce il ruolo importante dei
portavoce come Sosa e Florentino Lopez per intavolare negoziazioni e rapportarsi
ai mezzi di comunicazione. Inoltre è molto complicato il controllo di
associazioni eterogenee e di una militanza così numerosa e a questo scopo è
stato celebrato il Congresso Costituente dell’Assemblea il mese scorso”.
Alle accuse provenienti da più parti che insinuano
una strumentalizzazione del movimento da parte dei partiti politici,
specialmente del PRD dell’ex-candidato presidenziale Lopez Obrador, Artemio
ribatte specificando che la APPO “è una unione includente in cui uno dei
partecipanti è il PRD o parti di questo partito così come lo sono i
professori, le donne, i movimenti indigeni e gli studenti; la protesta propone
un governo popolare, è anti repressiva e contraria alle affiliazioni e
interessi di partito”. Infatti, la riforma profonda dello Stato passa dalla
“sparizione dei poteri esistenti, la destituzione del governatore e il
riconoscimento dei diritti democratici delle comunità, incluso il sistema di
usi e costumi che già funziona nella maggior parte dei Comuni”.
Intanto continua la vessazione di categorie
specifiche, organizzazioni della APPO e volontari. Esempio eclatante è
l’ordine di arresto contro Jessica Maya responsabile della Lega Messicana
Diritti Umani a Oaxaca per “l’occupazione del canale numero 9 della TV
locale mentre costei si trovava là come intermediaria per la liberazione delle
persone detenute in quella operazione; addirittura appare in una foto scattata
tendenziosamente quando, secondo l’accusa, capeggiava l’azione illegale”.
In questo modo ha operato la propaganda televisiva e governativa che ha definito
i detenuti del 25 novembre come “altamente pericolosi” per poterli internare
nel settentrionale stato di Nayarit, lontano dai propri familiari “nonostante
non ci siano delitti federali imputabili né atti di delinquenza comune che
giustificano il trasferimento”.
Continua Artemio sostenendo che “oltre alle misure
di provocazione diretta con infiltrazioni nelle manifestazioni e lancio
preventivo di lacrimogeni, si è proceduto, come ad Atenco il maggio scorso,
alla perquisizione sistematica di case con la violenza, ai pestaggi, alle
catture con invenzione di accuse e minacce fisiche e psicologiche dirette a
familiari e integranti del movimento”. Dopo gli scontri del 25 novembre, la
polizia è autorizzata a portare armi e fare rastrellamenti giornalieri. Si
entra in case private e negozi per eseguire ordini di cattura fittizi contro
chiunque sia stato identificato come integrante della APPO o semplicemente
contro persone sospette o presunti attivisti.
Il conflitto, che dura ormai da più di sette mesi e
che era cominciato come una protesta sindacale dei docenti, s’è esteso ai
gruppi della società civile che hanno creato la APPO come risposta all’onda
repressiva che il governatore dello Stato, Ulises Ruiz, ha scatenato contro il
movimento pacifico dei professori. Alle domande strettamente sindacali si sono
quindi aggiunte delle richieste politiche come la riforma costituzionale dello
Stato, la destituzione del governatore e la democratizzazione di istituzioni
obsolete che, dopo 77 anni di governo di un solo partito, il PRI, non sono
assolutamente in grado di canalizzare il malcontento.
DI FABRIZIO LORUSSO, MEXICO DF
I
nodi irrisolti del conflitto di Oaxaca
In pochi giorni la città di Oaxaca, Messico, ha smesso di
apparire sulle prime pagine dei giornali messicani (su quelli europei
praticamente non ha lasciato traccia) e lentamente è stata rimpiazzata da altre
questioni come il dibattito sulla legge finanziaria, le operazioni militari
contro il narcotraffico ed il rapido aumento del prezzo del mais e della tortilla,
uno degli elementi più sensibili del paniere di consumo per milioni di
famiglie. Ciononostante il problema di Oaxaca non è stato risolto.
L’entrata in carica del nuovo Presidente Felipe Calderòn,
il primo dicembre scorso, era stata preceduta dall’ultima grande offensiva del
governo uscente di Vicente Fox contro il movimento degli insegnanti di Oaxaca.
Questa era culminata il 25 di novembre con l’arresto, spesso arbitrario e
brutale, di 141 persone, la morte di due manifestanti e la repressione violenta
del movimento. Durante il mese di dicembre la Polizia Federale Preventiva ha
lasciato il posto a quella locale mentre il governatore, Ulises Ruiz, azzardava
statistiche irreali sul recupero del turismo ed il fittizio boom dell’economia
cittadina. Una calma apparente era tornata in città, anche se le vie del centro
erano ancora militarizzate ed inquietanti e, a detta di numerosi operatori del
settore turistico, le presenze erano scese almeno della metà rispetto
all’anno precedente. In realtà, le operazioni d’intimidazione del governo
locale
Dopo la liberazione di circa la metà dei detenuti, il 22
dicembre è stata realizzata una marcia pacifica di protesta con la
partecipazione di almeno 5000 manifestanti. Alcune persone scarcerate, la cui
cauzione è stata pagata dallo stesso governo locale di Oaxaca che un mese prima
le aveva catturate, hanno dichiarato di aver dovuto firmare lettere false in cui
accusavano la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani, e la sua
rappresentante a Oaxaca, Yessica Sanchez, di averli spinti ad atti vandalici e
ad aderire alle manifestazioni. In un intervista rilasciatami, quest’ultima ha
riportato una serie di testimonianze di ex-detenuti e loro familiari che
denunciano le torture fisiche e psicologiche subite durante l’arresto e in
carcere. Donne colpite in stato d’incoscienza, umiliazioni pubbliche,
sequestri lampo di studenti e cittadini comuni, accuse completamente inventate,
reiterate minacce di morte. Il tutto in un sistema legale dove vige la
presunzione di colpevolezza, e non d’innocenza come, in teoria, succede in
Italia, e le famiglie non hanno risorse per costruire una difesa legale
efficace.
La APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca) ed i
simpatizzanti del movimento, che ora chiedono la rinuncia del governatore e la
liberazione dei detenuti politici ancora in carcere, sono stati osteggiati nei
loro tentativi di manifestare pacificamente in ripetute occasioni: nella famosa
“notte dei ravanelli” del 24 dicembre le bancarelle degli integranti della
APPO sono state allontanate dal centro con la forza mentre il 6 gennaio sono
state circondate dalla polizia ed è stata impedita la loro partecipazione alle
cerimonie previste. In diversi villaggi dell’entroterra gli insegnanti non
possono più svolgere serenamente le loro attività regolari a causa della
continua ingerenza da parte di appartenenti al PRI, il partito del governatore
Ruiz.
A partire dal 13 gennaio, in seguito ad alcuni arresti
arbitrari ed allo sgombero violento dell’accampamento che i familiari dei
detenuti avevano fissato nei pressi del carcere CERESO di Miahuatlan (Oaxaca),
si sono moltiplicati gli appelli al rispetto dei diritti umani ed alcuni
deputati del parlamento nazionale hanno annunciato la presentazione di una
denuncia contro Ulises Ruiz presso la Corte Penale Internazionale de L’Aia. La
Commissione Civile Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani, che opera
nella zona raccogliendo le testimonianze delle parti in conflitto, ha accelerato
i suoi lavori ed ha presentato un documento con i risultati preliminari
dell’indagine in una conferenza stampa tenutasi oggi, 20 gennaio, nel centro
Josè Marti di Città del Messico.
Violazione
diritti umani: sintesi del report della Commissione Internazionale
La Commissione, che opera in Messico dal 1997 quando
investigò i terribili fatti di Acteal, Chiapas, ha portato a termine
un’indagine basata su 420 interviste relative al conflitto sociale di Oaxaca
che hanno interessato attori istituzionali statali, insegnanti, giudici e
pubblici ministeri, ospedali, enti morali e religiosi, organizzazioni per i
diritti umani e della società civile, comunità indigene e mezzi di
comunicazione.
Il documento (http://cciodh.pangea.org)
analizza le violazioni perpetrate ai danni della popolazione dall’inizio del
conflitto e, soprattutto, dal 25 novembre scorso. Si considerano provate 23
morti e diverse probabili sparizioni violente nell’ambito di una strategia
giuridica, poliziesca e militare di controllo della società civile. Non è
stata garantita la libertà di espressione, pensiero, associazione, sciopero e,
anzi, s’è ricorso alla forza pubblica e la coercizione per vulnerare questi
diritti e intervenire indiscriminatamente su un tessuto sociale colpito da un
emarginazione endemica. Non sono stati garantiti i diritti minimi dei detenuti
che non venivano informati dei delitti loro imputati, erano rinchiusi in spazi
privi di condizioni igieniche ed
erano sottoposti a scariche elettriche, scottature e pestaggi. Gli avvocati
d’ufficio, avvolti da un velo di sospetto e sfiducia a causa della loro
dipendenza organica dall’ostile governo locale, hanno trovato numerosi
ostacoli legali alla difesa dei loro assistiti a cui sono state chieste cauzioni
sproporzionate per poter uscire da prigioni di media e massima sicurezza. Tutto
questo sotto gli occhi, chiusi, delle Commissioni locali e nazionali ufficiali
che dovrebbero monitorare il rispetto dei diritti umani nel paese ma che, in
realtà, non costituiscono un aiuto concreto per i cittadini coinvolti. Sono
state denunciate anche violenze sessuali, attacchi selettivi ad organizzazioni
umanitarie e civili oltre a una repressione significativa dei mezzi di stampa.
La Commissione conclude il suo documento con una serie di raccomandazioni che
puntano a una riforma, fondata sul dialogo, delle istituzioni dello Stato di
Oaxaca affinché possano canalizzare il malcontento profondo che sta alla base
del conflitto. Lo stato di diritto deve essere ristabilito non solo attraverso
il ritorno alla “vita normale” in città ma anche tramite l’indagine e la
punizione sistematica dei numerosi abusi commessi.
Relazione
finale della Commissione Civile Internazionale dei Diritti Umani sul caso Oaxaca
Il conflitto rimane aperto, richiesto intervento ONU e UE
Presentate al Ministero dell’Interno prove contundenti degli abusi commessi a Oaxaca
Un agente de la Polizia Federale Preventiva lancia gas lacrimogeno a
integranti della APPO (Assemlea Popolare del Popolo di Oaxaca) durante
lo scontro dello scorso 20 novembre
Foto: Francisco Olvera
La Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani (CCIODH) ha consegnato ieri, 1 marzo, al Ministero dell’Interno messicano il rapporto che ha realizzato sulle violazioni alle garanzie fondamentali a Oaxaca, durante gli oltre 10 mesi di protesta popolare in quella regione. Le autorità si sono impegnate ad analizzare il documento e ricercare i responsabili visto che, secondo la ONG internazionale, ci sono almeno 23 casi di omicidio irrisolti.
Dopo oltre 7 ore d’attesa, alle 5 del pomeriggio i rappresentanti dell’organismo internazionale sono stati ricevuti dal vice-ministro dell’Interno, Abraham González Uyeda, con cui hanno tenuto una riunione di circa due ore.
Testimonianze degli elementi coinvolti
La CCIODH,
formata soprattutto da attivisti europei, ha consegnato il documento finale che
raccoglie le ricerche che sono state portate a termine nello stato di Oaxaca,
nel sud del Messico, nel dicembre e gennaio scorsi. Il report riunisce le
testimonianze di tutti gli attori sociali coinvolti nel conflitto: membri della
APPO, autorità statali, detenuti e difensori dei diritti umani, così come di
organismi e persone che non sono in favore del movimento dei professori.
Per poter
risarcire le violazioni alle garanzie fondamentali degli abitanti di Oaxaca,
l’organismo internazionale raccomanda al governo messicano di sveltire le
ricerche e sanzionare i responsabili.
Oltre a una serie di videoregistrazioni con le testimonianze, la commissione fa un riepilogo puntuale di quali sono le violazioni commesse dai funzionari locali e federali, enfatizzando i danni sociali e psicologici delle loro azioni.
Secondo le dichiarazioni di Ignacio García, integrante della commissione, il viceministro s’è impegnato ad analizzare le denunce e testimonianze incluse nel documento, oltre a investigare i delitti in cui sono coinvolti funzionari. Ad ogni modo, sono state denunciate la lentezza e l’insufficienza della giustizia a Oaxaca. I rappresentanti della ONG hanno rilasciato interviste in una conferenza stampa in cui è stata richiesta la presenza a Oaxaca di una delegazione della Unione Europea e dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani visto che il conflitto non può darsi assolutamente per concluso. S’è sottolineato, inoltre, che urge un’azione dei governi locale federale per risolvere i problemi e le domande sociali che hanno dato origine al conflitto data la possibile ed imminente riattivazione della violenza nella regione. In effetti, si segnala la presenza di attori politici che si dedicano a riattivare le frizioni in modo violento come sta succedendo dopo la creazione fittizia dell’antagonista sezione 59 del sindacato dei docenti per ridurre le forze della “ribelle” sezione 22.
Grave, la non identificazione e incarcerazione di responsabili
La commissione ha avvertito che è grave che ci siano ancora circa 50 detenuti, senza prove concrete, appartenenti al movimento e che, tra i violatori dei diritti umani, “non ci sia stato nemmeno un arresto dopo tante morti e repressioni, fatto che induce sospetti” nei confronti delle autorità che, in questi casi, tendono a sviare e applicare misure diverse. “Uno stato di diritto che funziona deve basarsi sull’applicazione giusta della legge, senza discriminazioni ed esclusioni” e “il conflitto sociale non si risolve con la forza”, ha ribadito Ignacio Garcia.
Data la vicinanza
temporale dei gravi eventi repressivi di Atenco, Pasta de Conchos, Lazaro
Cardenas e Oaxaca, la commissione internazionale ha richiesto la presenza della
Unione Europea nella vigilanza del rispetto delle garanzie fondamentali in
Messico, sulla base della clausola democratica contenuta nel trattato di libero
commercio in vigore tra le due parti, la quale stabilisce l’eventuale rottura
del trattato se una di queste non rispetta i diritti umani. La risoluzione del
caso Oaxaca e delle violazioni di Atenco risultano importantissime per definire
un precedente rilevante nel rapporto tra Stato e società e, soprattutto, per
prevedere le modalità di negoziazione e rispetto dei diritti umani in futuro.
Anche il Segretario Esecutivo della Commissione Nazionale dei Diritti Umani,
organo che, in verità, è rimasto piuttosto al margine del conflitto, ha
realizzato un incontro con i membri della commissione internazionale e ha
garantito l’emissione di una relazione ufficiale in merito.
Oaxaca,
Messico, 2 marzo 2007.
Il segretario generale del Governo di Oaxaca, Manuel Garcia Corpus, ha scaricato la colpa al Ministero dell’Interno federale messicano per la persistenza del conflitto con la sezione 22 del Sindacato Nazionale del Lavoratori dell’Istruzione e la APPO. Il Ministero è accusato di non avere adempiuto agli accordi sottoscritti nel novembre scorso che avrebbero potuto risolvere le dispute in oltre un centinaio di scuole occupate da membri del PRI (Partido Revolucionario Institucional) e della rivale sezione 59, creata ad hoc per contrarrestare la forza del movimento dei professori di Oaxaca. Manuel Garcia ha ribadito la sua volontà di risolvere i conflitti ma “né il Ministero dell’Interno né quello della Pubblica Istruzione hanno adempiuto le loro responsabilità” tanto negli scontri nelle scuole come nelle questioni legate alla rettificazione salariale di oltre 70mila docenti e alla liberazione dei detenuti politici della APPO.
Due giorni fa, di
nuovo, la sezione 22 del sindacato dei professori ha sollecitato il Ministero al
rispetto dell’accordo del novembre scorso e alla risoluzione dei gravi
problemi ancora presenti in numerosi centri scolastici. In caso che non sia
ascoltato, il sindacato promette nuovi scontri e manifestazioni.
Rispettare il
diritto di terzi
Il segretario Manuel Garcia ha comunque richiamato i professori e la APPO affinché non realizzino azioni contro i diritti di terze parti e cerchino l’adempimento delle loro richieste con vie legali. Ufficialmente, la principale preoccupazione del governo di Oaxaca è quella di garantire lo svolgimento completo del ciclo scolastico nelle scuole locali. Il funzionario ha manifestato il suo dissenso riguardo alle controproducenti opinioni espresse dal segretario tecnico del Potere Esecutivo Statale,Hector Pablo Ramirez, che ha minacciato l’uso della forza pubblica in caso di nuove occupazione dei mezzi di comunicazione da parte della APPO. Il mese scorso in una zona costiera dello stato di Oaxaca, ci sono stati ancora scontri e 11 feriti tra le due sezioni del sindacato, la 22 e la governativa 59, dei professori per il possesso di una scuola e la possibilità di ricominciare le lezioni indipendentemente dall’affiliazione sindacale: un nuovo esempio della vigenza del conflitto nella regione.
Commento
di Fabrizio Lorusso, corrispondente dal Messico
Sebbene discordino tra di loro, le dichiarazioni dei due funzionari pubblici di Oaxaca sottolineano, ancora una volta, la scarsa volontà politica di azione efficace nei confronti dei gravi problemi che affliggono la regione: povertà, violazione dei diritti umani, negazione del conflitto, omicidio per citare quelli tristemente più noti. Scaricare responsabilità e denunciare la scarsità delle risorse sono parte di una strategia implementata dai governanti locali per recuperare legittimità e margini di manovra.
Il governo di Ulises Ruiz sta cercando, attraverso una campagna televisiva che ha preso piede recentemente sulle catene nazionali, di restituire credibilità alle sue azioni senza risolvere a fondo i problemi. La distribuzione clientelare di risorse e la repressione fisica per sedare e incorporare i movimenti sociali nel Messico del PRI erano la norma ma la pratica recente non sembra comunque avere ceduto alle pressioni democratizzanti che provengono da alcune parti della società e dalle pressioni internazionali. In questo senso le campagne pubblicitarie che fomentano l’investimento, il turismo e l’idea di sicurezza, tanto usate anche nel caso del Chiapas dopo l’esplosione del conflitto dell’EZLN, costituiscono uno strumento di legittimazione ingannevole e oscurantista.
Scontri tra membri della APPO e la Polizia Federale Preventiva, nel novembre
scorso. Foto: Francisco Olvera
MESSICO:
SGOMBERATO L’ACCAMPAMENTO DELLA APPO DI FRONTE ALL’EDIFICIO DEL SENATO
Di Fabrizio Lorusso, corrispondente
dal Messico
Città del Messico, 19 marzo 2007.
Alle ore 23 e 45 della notte di ieri, 18 marzo, durante i festeggiamenti del
Festival della Primavera nel centro storico, un gruppo di granaderos
e di poliziotti locali, per ordine del Capo del Governo della città, Marcelo
Ebrard, è arrivato nei pressi dell’accampamento della APPO. Da sei mesi
almeno 200 integranti della Asamblea Popular di Oaxaca mantenevano un avamposto
presso il Senato della Repubblica messicana per chiedere la destituzione del
governatore Ulises Ruiz e la liberazione dei detenuti politici di un conflitto
che, in circa 10 mesi, ha causato oltre 20 morti, decine di detenzioni illegali
e ripetute violazioni dei diritti umani e politici fondamentali
(per informazioni consultare il sito ora in italiano della CCIODU: http://cciodh.pangea.org/quinta/070120_inf_conclusiones_recomendaciones_ita.shtml
).
Sgombero
notturno e repliche
Da fonti
extraufficiali e secondo quanto riportato dalla APPO, (http://www.asambleapopulardeoaxaca.com/boletines/?p=263)
un commando di poliziotti e funzionari del Governo del Distretto Federale, preceduti da bande di infiltrati, ha sgomberato con la violenza e non senza scontri i manifestanti accampati nella Plaza dedicata all’architetto Manuel Tolsà. Il materiale e le strutture dei manifestanti (computer, bancarelle, coperte, tende, ecc.) sono state sequestrate o distrutte. Verso le 2 del mattino i circa 50 picchiatori e infiltrati si sarebbero ritirati per permettere il completamento dello sgombero da parte del corpo dei granaderos. Contrariamente a quanto affermato dalle autorità locali, decine di accampati sono risultati feriti, compreso Gustavo Sosa Villavicencio, fratello dell’ormai noto Flavio Sosa, uno dei portavoce dell’assemblea arrestato lo scorso 4 dicembre. Le transenne sistemate dai granaderos proteggono la piazza e impediscono agli integranti della APPO di rioccupare la zona. Questi si sono comunque mantenuti uniti e si stanno riorganizzando, anche grazie alla solidarietà cittadina, a pochi isolati di distanza. La risposta della APPO non s’è fatta attendere e questa ha organizzato per la giornata di martedì 20 marzo una marcia di protesta nel centro della capitale contro lo sgombero. Il portavoce dell’organizzazione, Florentino López, ha ribadito altresì la sua posizione critica nei confronti del governo del DF ed il sindaco Marcelo Ebrard che, sostiene, ha realizzato una discutibile politica di connivenza con il Governo Federale del Presidente Felipe Calderon.
Implicazioni
politiche
Circa sei mesi fa, quando l’accampamento è stato impiantato nel centro cittadino, il Governo locale lo aveva tollerato in quanto vi era un certo consenso ed un relativo appoggio politico dell’amministrazione del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) verso il movimento di Oaxaca che lottava contro il PRI, partito nemico alleato del PAN anche nel parlamento nazionale. Anche se attualmente il PRD continua, a parole, ad appoggiare la causa della APPO, in vista delle elezioni che si terranno quest’anno nello stato di Oaxaca, sembra che il governo di Ebrard nel D.F. stia applicando una politica di mano dura che mette sullo stesso piano i venditori ambulanti, di solito abusivi, operanti nel centro storico, i centri di smistamento della droga e della pirateria, concentrati nel quartiere isola di Tepito, ed i cittadini che reclamano pacificamente il rispetto e la riparazione per i diritti violati a Oaxaca. Se da una parte si adduce che il blocco delle vie pubbliche costituisce un “delitto contro la comunità” ovvero uno sfregio allo stato di diritto, dall’altra viene negata la possibilità di riconoscere degnamente e in modo istituzionalizzato le richieste e le vessazioni di una parte sostanziale della società oaxaqueña..
Di Fabrizio Lorusso
Fotografie
dai siti: http://www.eluniversal.com.mx/notas/413116.html,
http://ahoraeresnosotros.110mb.com/index.php?option=com_content&task=view&id=40&Itemid=1
Diritti umani e cultura dell’impunità in Messico e in America Latina: dalla “guerra sucia” al conflitto di Oaxaca
(di
Fabrizio Lorusso)
Direttamente
da Washington, è arrivata a rompere l’amenità delle vacanze pasquali la
denuncia di Human Right Watch (HRW) per gli scarsi risultati ottenuti
dalla procura speciale creata nel 2002 dall’ex-presidente messicano Vicente
Fox (2000 – 2006) con lo scopo di investigare i casi di tortura, sparizione,
esecuzioni sommarie e altre gravi e sistematiche violazioni commesse durante la
cosiddetta “guerra sucia” (guerra sporca) degli anni 60, 70 e 80.
Come segnala l’organizzazione umanitaria, il primo sforzo serio del Messico
per ottenere giustizia è risultato un palese insuccesso visto che non s’è
avuta nessuna condanna e i responsabili non sono stati nemmeno identificati. Lo
smantellamento della Procura Speciale per i Movimenti Sociali e Politici del
Passato, come si chiamava l’organo preposto all’indagine della guerra di
bassa intensità condotta dal governo messicano contro numerosi gruppi che
rappresentavano forse l’unica forma reale d’opposizione e dissidenza
politica, è stato concluso formalmente poco prima della Pasqua, dopo la
destituzione, già avvenuta il 30 novembre scorso, del procuratore generale
Daniel Cabeza de Vaca.
Forse
l’unico riconoscimento che è doveroso attribuire all’agenzia creata da Fox
è l’elaborazione del rapporto su 18 anni di guerra sporca in Messico che si
può scaricare alla pagina http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB180/index.htm
e che descrive minuziosamente uno dei capitoli più oscuri e drammatici, oltre
che poco conosciuti all’estero, della storia della falsa democrazia messicana
durante la fase discendente del regime a partito unico (il PRI, Partido
Revolucionario Institucional). In effetti non esiste una pagina web
dell’organismo governativo da poco cancellato e non si trova traccia del suo
rapporto finale in siti ufficiali messicani e questi sono elementi che
testimoniano la scarsa volontà di diffusione delle informazioni al di là degli
annunci altisonanti in favore dei diritti umani che si sono succeduti negli anni
del governo Fox. Ad ogni modo, se da una parte è stato fatto un primo sforzo di
chiarezza e sistematizzazione di tipo storico, dall’altra non s’è proceduto
né alla necessaria riparazione del danno né all’ammissione pubblica dei
delitti commessi da parte dello Stato e dei suoi rappresentanti attuali e
passati. Rimane, quindi, l’amaro sapore dell’impunità e dell’impotenza,
reso ancora più pungente dalla conoscenza e l’apprendimento sofferto dei
crimini, che alla fine saranno imputati a fantasmi fuggiti tra documenti
bruciati e archivi sotterrati dai terremoti della non giustizia messicana.
Nell’altro
estremo della regione latino americana, nell’Argentina post – crisi del
presidente peronista Nestor Kirchner, è in corso, invece, un profondo
revisionismo e stanno tornando a galla le colpe legate ai crimini efferati
commessi durante l’ultima dittatura militare (1976 – 1983). La cancellazione
delle Leyes de Amnistia, una serie di
provvedimenti legali approvati all’inizio della nuova tappa democratica per
proteggere militari e criminali di Stato, è stata formalizzata, infatti, da una
decisione della Corte Suprema argentina nel giugno del 2005. Il provvedimento è
stato accolto con giubilo dalla società civile e dalle organizzazioni per la
difesa dei diritti umani ed ha favorito la riapertura di importanti processi nei
confronti dei principali responsabili di un regime che ha scandalizzato il mondo
intero con oltre 15.000 (ma si arriva a parlare anche di 30.000) oppositori desaparecidos.
L’attitudine bellicosa e nazionalista dei militari, elevatisi a estremi
difensori di un atollo di patria perduta oltre 100 anni prima, si autodistrusse
in seguito alla Guerra delle Isole Malvine o Falklands, che tra l’aprile ed il
giugno del 1982 causò oltre 600 vittime tra i militari argentini sconfitti
dalle truppe del Regno Unito. Anche in Uruguay, paese insanguinato da una
crudele dittatura militare tra il 1973 e il 1985, si sta muovendo qualcosa e il
governo del Frente Amplio guidato da Tabaré Vazquez sta mettendo in discussione
la Ley de Caducidad che impedisce
qualunque processo dei crimini perpetrati in quegli anni.
Il
caso argentino e quello uruguaiano, purtroppo, rappresentano una rara eccezione
se osserviamo globalmente la situazione dell’America Latina che, dopo il
ritorno della democrazia formale o elettorale negli anni 80, ha mantenuto gli
apparati giudiziari relativamente deboli costruiti durante le dittature.
D’altronde lo stesso ex dittatore cileno (1973 – 1990) Augusto Pinochet, è
morto senza essere stato condannato e si procede ora contro alcuni membri della
sua famiglia e del suo clan per cercare almeno di recuperare gli avanzi del
patrimonio defraudato alla società cilena. La cultura dell’illegalità
ereditata dai regimi di fine secolo scorso ha creato a sua volta una dannosa
cultura dell’impunità: in America Latina il 95% dei delitti comuni non viene
punito mentre in Messico e in Guatemala la media è del 98%. In quest’ultimo
paese, il conflitto armato ha prodotto oltre 200.000 vittime dal 1962 al 1996 ma
sembra che non ci sia possibilità alcuna per i magistrati spagnoli che si
occupano del caso, primo fra tutti il giudice Santiago Pedraz, di ottenere
l’estradizione, tra gli altri, dell’ex-Presidente de
facto Efrain Rios Montt (1982 – 1983) che aspira invece all’immunità
dato che s’è candidato a un seggio come deputato nel prossimo parlamento.
Sempre in Guatemala, nel febbraio scorso sono stati assassinati a colpi di
pistola tre deputati salvadoregni appartenenti al Parlamento Centroamericano e,
poco dopo, i tre poliziotti accusati del delitto sono stati freddati in carcere
senza che fossero accertate responsabilità. La speranza di risolvere questi
casi così eclatanti sta lasciando lentamente spazio all’oblio da parte della
stampa e degli stessi governi coinvolti.
Per
quanto riguarda El Salvador, paese che insieme alla Colombia guida la triste
classifica del numero di morti violente per
capita nella regione, si può affermare che, dopo la fine della guerra
civile nel 1992, è sprofondato in un’ininterrotta scalata di violenza dovuta
alla povertà estrema e all’esclusione sociale. Questo ha portato a una
progressiva militarizzazione degli apparati statali e ad un incremento delle
forze di polizia. Proprio i corpi speciali, l’esercito e la polizia sono i
principali responsabili dell’incremento nelle violazioni dei diritti umani.
Bisogna sottolineare che la Colombia e El Salvador sono tra i pochi paesi
latinoamericani che continuano a inviare massicciamente i loro ufficiali e
soldati a “istruirsi” nella celebre Escuela de las Americas di Fort Benning, in Georgia, Stati Uniti.
Nato negli anni 40, questo sinistro centro di addestramento militare ha
incrementato la sua influenza anche grazie alla costruzione di una sede nella
selva di Panamà ed ha visto passare nei suoi campi oltre 70.000 soldati
latinoamericani. Almeno 11 dittatori sono usciti dalla
scuola, tra di loro gli argentini Leopoldo Galtieri (1981-82) e Roberto Viola
(1981), i boliviani Hugo Bánzer Suárez (1971-78) e Luis García Meza
(1980-81), il guatemalteco Efraín Ríos Montt (1982-83) e il cileno Augusto
Pinochet (1973-90). Un altro allievo eccellente della Scuola è stato il
maggiore dell’esercito salvadoregno Roberto D’Aubuisson, creatore degli
squadroni della morte in El Salvador e autore morale dell’assassinio
dell’arcivescovo Oscar Romero nel 1980. Altri personaggi in posizione di
secondo piano imposero la tortura e l’assassinio come una routine militare:
Vladimiro Montesinos, numero due di Fujimori in Perù (1990-2000), era un
allievo eccellente della Scuola, così come Manuel Contreras, capo dei servizi
segreti della dittatura cilena e responsabile degli assassinii del cancelliere
Orlando Letelier nel 1976 e dell’ex capo dell’Esercito Carlos Prats nel
1974.
Tornando
di nuovo sul fronte messicano, il direttore per le Americhe di Human Right Watch
ha condannato l’immobilismo istituzionale dichiarando perentoriamente che
“l’ufficio del procuratore speciale può anche essere smantellato, ma la
necessità di risanare l’eredità di abusi passati rimane” e, quindi, “il
Messico deve ancora trovare una strada per adempiere al suo obbligo di ricercare
e giudicare questi casi”. Senza dubbio il 2006 è stato un anno da dimenticare
per le fragili istituzioni messicane che, incapaci di canalizzare il malcontento
dei quasi 50 milioni di poveri che vivono di migrazione e precarietà, hanno
dovuto ricorrere a metodi repressivi in ripetute occasioni ad Atenco, a Città
del Messico, nello Stato del Michoacan ed infine nella splendida città di
Oaxaca dove, dal maggio scorso, imperversa un grave conflitto sociale che è
costato oltre 20 morti. Alla fine di marzo è stato reiterato lo stato di
allerta e di pericolosità riguardante Oaxaca da parte dell’ambasciata
statunitense in Messico che cerca tiepidamente di fare pressione affinché le
ricerche giudiziarie sull’omicidio del giornalista indipendente Brad Will,
ucciso durante gli scontri che alcuni infiltrati del PRI hanno provocato contro
integranti della APPO (Asamblea Popular de
los Pueblos de Oaxaca) il 27 ottobre 2006, possano condurre ai colpevoli.
D’altro canto, il governo messicano ha mostrato la sua cattiva disposizione
nei confronti di un’analisi trasparente dei fatti e, anche grazie alla
connivenza di mass – media antidemocratici, ha sempre privilegiato la
colpevolizzazione dei membri della APPO piuttosto che ricercare i responsabili
nelle file del corrotto governo dello Stato presieduto dal governatore Ulises
Ruiz. La verità sul caso Brad Will potrebbe risultare decisamente scomoda per
il governo del PAN e del suo alleato PRI visto che un’eventuale accertamento
delle responsabilità porterebbe alla luce le strategie repressive, basate anche
sulla contrattazione di sgherri e pistoleros
per rompere marce e assemblee, che sono state usate dal governo di Oaxaca non
solo in questo conflitto ma in oltre trent’anni di lotte.
Oaxaca - Italia: preoccupante la partecipazione del nostro paese come “invitato speciale” nel Festival di primavera del Governo di Ulises Ruiz
(Articolo
di Fabrizio Lorusso)
Passato
ormai un anno dallo scoppio del drammatico conflitto sociale che ha portato alla
morte accertata di oltre 20 militanti del sindacato nazionale degli insegnanti
di Oaxaca e della APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca), il
governatore Ulises Ruiz, responsabile di un apparato repressivo che ha
sistematicamente violato i diritti umani della popolazione nella regione negli
ultimi anni, ha convocato l’Italia come paese ospite per il Festival di
primavera “Humanitas”, alla sua terza edizione, che si terrà dal 4 al 13
maggio. Sebbene il nostro paese non abbia preso ufficialmente posizione rispetto
alle violazioni in atto a Oaxaca e al conflitto che ha sconvolto questa
meravigliosa città per dodici mesi, la partecipazione di artisti italiani ad
una manifestazione governativa può rappresentare, a mio giudizio, un indubbio
motivo di preoccupazione per la comunità italiana in Messico e non mette
certamente in buona luce l’immagine dell’Italia né di fronte agli altri
paesi europei né di fronte allo stesso popolo di Oaxaca e del Messico intero.
Mentre
la APPO esige la liberazione dei detenuti politici, ancora in carcere per lo più
con accuse fabbricate ad hoc dopo gli
scontri del 25 novembre scorso tra i manifestanti e la Polizia Federale
Preventiva, il Governo locale promuove con un certo cinismo il ritorno del
turismo nel mondo delle favole che si pretende creare a Oaxaca e stimola gli
investimenti nel quadro del controverso Piano Puebla Panamà (http://www.planpuebla-panama.org),
resuscitato dal Presidente messicano Felipe Calderòn e dai suoi omologhi
centroamericani proprio il mese scorso. Intanto le autorità locali sembrano
voler dimenticare che i terribili abusi commessi non sono stati né investigati
né castigati in tutti questi mesi, l’impunità regna sovrana e nessun serio
cambiamento istituzionale è stato intrapreso in favore dell’inclusione
sociale.
Una
quarantina di studenti della Universidad Autonoma Benito Juarez de Oaxaca,
simpatizzanti della APPO, hanno rioccupato pacificamente per un giorno Radio
Universidad, ridando voce al segnale di protesta e speranza che in tante
occasioni s’era fatto sentire nei momenti più tesi della storia del
movimento. In occasione delle celebrazioni del Primo maggio tutte le strade
hanno portato al zocalo, la splendida
piazza centrale della città. Studenti, lavoratori in generale, impiegati
federali, professori e integranti della APPO sono arrivati a migliaia nella
Plaza de la Constitucion per celebrare un’importante festa civica, formulare
le proprie domande e rivendicare la democratizzazione dello Stato.
Nonostante
l’impresentabilità internazionale del Governo di Oaxaca, alla luce delle
pesanti raccomandazioni ricevute dalla Commissione Civile Internazionale per
l’Osservazione dei Diritti Umani (http://cciodh.pangea.org/index/index.shtml),
dalla Commissione Nazionale e dalla Commissione Interamericana per i Diritti
Umani, numerosi artisti italiani, forse ignari della situazione politica locale,
hanno accettato di partecipare a un’iniziativa che avrebbe il fine di “far
sí che la cultura della Regione di Oaxaca sia lo strumento che rinforzi le
condizioni di vita dei suoi cittadini nei sensi più diversi: nella identitá,
nel convivere, nello sviluppo economico, nello sviluppo sociale e quindi
provocare che Oaxaca mostri alla Repubblica
Messicana e non solo, ma anche al mondo, la sua diversità culturale manifestata
con delle attività continue che promuovano la convivenza, con la finalità di
rilanciare la crescita economica” (http://www.humanitas.gob.mx/italiano/quienes.html).
Buone intenzioni per una volontà politica dimostratasi, nei fatti, inesistente.
Le iniziative del governante Ulises Ruiz cercano di esorcizzare lo spettro del
suo isolamento politico e istituzionale dopo che, tanto il suo partito, il PRI (Partido
Revolucionario Institucional), come il più conservatore PAN (Partido Accion
Nacional), hanno in più occasioni preso le dovute distanze a causa del suo
ingiustificabile operato.
Gli
artisti nostrani che hanno aderito all’evento sono tra gli altri: la cantante
Filippa Giordano, la compagnia teatrale Teatro Tascabile di Bergamo, la banda
popolare Fiati Sprecati di Firenze, la fotografa Roberta Vassallo. L'ambasciata
italiana sembra negare di aver dato appoggi ufficiali e partecipato direttamente
all’organizzazione dell’evento ma non si può escludere che si siano
facilitati aspetti logistici affinché i singoli artisti potessero partecipare o
essere contattati. Dopo tutto la pagina e la propaganda legata all’evento
parlano chiaramente dell’Italia come paese invitato e non di singoli artisti o
personalità rilevanti. Ad ogni modo l’associazione del nome Italia e
dell’immagine internazionale della nostra cultura con l’attività di un
Governo palesemente antidemocratico e repressore sarà il risultato inevitabile
di questa scelta che, mi auguro, potrà essere rettificata dall’espressione
della dovuta distanza da parte delle autorità o, almeno, dalle comunità
italiane presenti in Messico.
Di
Fabrizio Lorusso dal Messico
LETTERA
APERTA ALLA DELEGAZIONE PARLAMENTARE ITALIANA
Nuovamente
il Messico attraversa una situazione di crisi. L’attuale presidente,
Felipe Calderón ha ottenuto la
presidenza nel 2006 solo grazie ad un magro e molto contestato mezzo punto
di vantaggio sul candidato della sinistra, Andrés Manuel López Obrador.
Molto sensibile all’immagine che proietta all’estero, il suo
governo
diffonde l’idea che nel paese regna un clima di pace, favorevole ai
diritti umani e, soprattutto, agli investimenti.
Di
fronte a ciò, consideriamo utile che la delegazione conosca anche voci
indipendenti. Secondo l’autorevole Ong, Servicios
y AsesorÃa para la Paz
(Serapaz), vi sono nel paese ben 432 conflitti nei seguenti ambiti:
elettorale, media, movimenti sociali e narcotraffico.
http://www.serapaz.org.mx/paginas/principal.html
L’attuale
offensiva contro la delinquenza organizzata, principale bandiera del governo
Calderón alla ricerca disperata di legittimazione, ha prodotto finora più
di mille morti in soli cinque mesi – la maggioranza fra le “forze
dell’ordine†– dimostrando che il primo potere in
Messico è quello del narcotraffico. Le narcoejecuciones
registrate quotidianamente dai media nazionali sono superate in numero solo
dai bollettini dei caduti di guerra in Iraq.
In
tale contesto si moltiplicano le violazioni ai diritti umani. Il caso più
grave è probabilmente quello dello stato di Oaxaca dove, con l’arrivo
al potere di Ulises Ruiz Ortiz, il vecchio modello fondato sulla gestione di
cacicchi corrotti e senza scrupoli, è stato riciclato al servizio di una
dubbia “modernizzazioneâ€.
Come
Calderón, Ruiz Ortiz è prodotto di una probabile frode elettorale.
Appena “elettoâ€, dichiarò guerra al quotidiano locale “Noticias
de Oaxacaâ€, mandando a
bruciare i chioschi dove era in vendita ed occupando militarmente la sua
sede, senza tuttavia riuscire a farlo tacere. Poi venne il turno della
Sezione 22 del sindacato degli insegnanti elementari -70.000 iscritti-, un
organismo indipendente con una lunga tradizione di lotta. Il 14 giugno 2006,
Ruiz Ortiz scatenò il finimondo contro gli insegnanti che avevano
occupato il centro della città per ottenere miglioramenti salariali.
Come risposta, la popolazione insorse spontaneamente ed il 23, circa 400
organizzazioni sociali dettero vita alla APPO
-Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca- che si unirono intorno ad
una sola richiesta: la destituzione di Ruiz.
I
risultati sono noti: 25 vittime comprovate, tutte dalla parte della APPO
(tra le quali due giornalisti; Brad Will, dell’agenzia indipendente
Indymedia e Raúl Marcial Pérez,
del “Gráficoâ€, quotidiano di Juxtlahuaca, una localitÃ
indigena a circa 200 km dalla città di Oaxaca),
centinaia di feriti, circa 300 arresti ed un numero non precisato di desaparecidos.
Perché desaparecidos?
Semplicemente perché si è persa ogni traccia di un gran numero di
persone e, temendo rappresaglie,
i parenti non osano sporgere denuncia. Tutto
ciò è stato ampiamente documentato da organismi dei diritti umani sia
nazionali che internazionali.
http://cciodh.pangea.org/quinta/070120_inf_conclusiones_recomendaciones_ita.shtml
Attualmente
rimangono in prigione una quarantina di cittadini che, in gran parte, non
sono neppure militanti della APPO. Dietro una calma ingannevole, la cittÃ
vive nel terrore: gli ultimi 3 arresti, ingiustificati, risalgono a venerdì
27 aprile.
Oaxaca
è lo specchio del Messico che, nel contesto latinoamericano, è oggi il
paese dove si documenta il maggior numero di violazioni ai diritti umani. La
situazione cominciò ad inasprirsi nell’ultima tappa del governo
Fox (2000-2006). A Guadalajara, nel 2004, l’allora governatore
Francisco RamÃrez Acuña (oggi ministro degli interni) scatenò una
dura repressione contro militanti no
global, in occasione del Terzo
Summit America Latina, Caribe e Unione Europea. Circa 70 giovani furono
arrestati e maltrattati senza aver commesso nessun delitto e 45 di loro
passarono lunghi mesi in prigione.
Episodi
analoghi si verificarono a Lázaro
Cárdenas (Michoacán) dove, nell’aprile
2006, la polizia aggredì i
lavoratori dell’impresa
siderurgica Las Truchas (Sicartsa).
Risultato: due morti e 42 feriti. Più conosciuto è il caso dei
contadini di San Salvador Atenco (non lontano da Città del Messico),
selvaggiamente brutalizzati nel maggio dello stesso anno. In quell’occasione,
la Policia Federal Preventiva (PFP)
si rese colpevole di 2 omicidi, di efferati atti di violenza e decine di
stupri(http://cciodh.pangea.org/index_4atenco.html).
Nessun agente fu tuttavia processato, mentre invece i militanti del
movimento vennero detenuti in prigioni di massima sicurezza e tre di loro
hanno recentemente subito l’assurda condanna a 67 anni di carcere.
Il
governo Fox ha lasciato a quello di Calderón una pesante ereditÃ
di circa 400 prigionieri politici, ma la cifra è in aumento per via della
repressione nei confronti di altri movimenti sociali. A titolo d’esempio,
ricordiamo che nei mesi scorsi si sono verificate percosse e arresti di
numerosi cittadini che manifestavano contro l’apertura della miniera
San Xavier (San LuÃs PotosÃ) e contro la visita di George Bush a
Merida, Yucatán. Contemporaneamente si riportano arresti di membri della Otra
campaña, il movimento civile che promuove l’EZLN, mettendo in
pericolo il già precario processo di pace con gli zapatisti.
Secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti, il Messico è il paese più pericoloso per esercitare la professione, soprattutto nei casi di denuncia dei crimini connessi al narcotraffico ed alla corruzione (quotidiano La Jornada, 3 gennaio 2007). Tra l’ottobre 2005 e il dicembre 2006, si sono verificati 9 casi di giornalisti assassinati e 2 desaparecidos.
http://www.impunidad.com/statistics/stats_anoypais.htm
Per
aver denunciato una rete di pedofili altolocati, la giornalista Lydia Cacho
è stata arrestata, minacciata e poi liberata solo grazie a massicce
proteste pubbliche. Il suo calvario non è però finito, visto che l’ultimo
attentato -dal quale si è miracolosamente salvata-, risale alla settimana
scorsa.
Come
nel passato, la geografia della repressione percorre le regioni indigene:
Chiapas (dove si assiste ad un preoccupante ritorno della violenza
paramilitare), Oaxaca, Veracruz, Guerrero, Hidalgo, Puebla, San LuÃs
PotosÃ. Come nel passato, l’esercito è lo strumento di una
violenza assassina e fratricida. Lo stupro e assassinio dell’anziana
Ernestina Ascención (a Zongolica,Veracruz) da parte di militari è
stato attribuito a “complicazioni gastrointestinaliâ€.
Incredibilmente questa versione -a cui nessuno crede- è stata avallata
dalla stessa Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH), il che non ha
fatto altro che rendere più acuto il vuoto istituzionale.
La
lista dei crimini di stato potrebbe continuare, ma risulterebbe troppo
estesa. Citeremo solo lo stupro
e le torture a 13 prostitute a Castaños, Coahuila (di nuovo da parte di
militari) ed il fatto che ai 400 noti femminicidi di Ciudad Juárez se ne
aggiungono costantemente altri in molte regioni del paese.
A
tutto ciò, bisogna aggiungere un altro indizio inquietante. Il Senato ha
recentemente approvato un pacchetto di riforme che, dietro l’allineamento
alla dottrina antiterrorista di Bush, comporta la criminalizzazione di tutte
le proteste sociali. Infatti, la nuova redazione dell’articolo 139
del codice penale federale –già approvata dal Senato ed
attualmente in discussione alla Camera- prevede condanne dai 6 ai 40 anni
per i colpevoli non solo di “terrorismoâ€, ma anche di
“fare pressione sulle autorità â€
(“La Jornadaâ€, 27
aprile 2007).
L’involuzione
autoritaria del governo messicano – in particolare: l’impiego
crescente dell’esercito in funzioni di ordine pubblico, la
militarizzazione e la sospensione delle garanzie individuali in ampie zone
del territorio nazionale, la creazione incostituzionale di una nuova polizia
militarizzata (Cuerpo de Fuerzas de
Apoyo Federal) agli ordini diretti del presidente della Repubblica, il
ricorso sempre più frequente alla tortura e alle violenze sessuali da
parte delle forze dell’ordine, il rinnovato assedio di corpi
paramilitari alle comunità indigene, l’uso dell’apparato
giudiziario per reprimere le proteste sociali e la dissidenza politica, l’attacco
costante ai diritti dei lavoratori e della popolazione in generale come il
rincaro dei generi di prima necessità e la recente riforma del
sistema pensionistico e di previdenza sociale, l’assenza di una
effettiva legislazione antimonopolistica, la crescente emigrazione illegale
verso gli Stati Uniti – costituisce una flagrante violazione di
numerosi trattati internazionali ratificati dal Senato messicano.
L’Acuerdo
de Asociación Económica, Concertación PolÃtica y Cooperación
fra il Messico e l’Unione Europea, entrato in vigore il 1º ottobre
2000, recita nel suo articolo 1:
“El respeto a los principios democráticos y a los derechos humanos fundamentales, tal como se enuncian en la Declaración Universal de los Derechos Humanos, inspira las polÃticas internas e internacionales de las Partes y constituye un elemento esencial del presente Acuerdo.â€
Come
italiani residenti in Messico, ci sentiamo profondamente preoccupati. Di
conseguenza, richiediamo che la vostra delegazione riferisca in Parlamento
le informazioni di cui sopra e, anche attraverso il ministero degli
Esteri, faccia
pervenire al governo messicano una richiesta di garanzia del rispetto dei
diritti umani. Nel caso specifico di Oaxaca, ci uniamo alla petizione della Comisión
Civil Internacional de Observación por lo Derechos
Humanos (CCIODH), di sollecitare la presenza dell’ufficio
dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
Claudio
Albertani, Carlo Almeyra, Rossella Bergamaschi, Nina Caldarella, Manuela De
Rosas, Matteo Dean, Donatella Di Benedetto, Clara Ferri, Francesca Gargallo,
Laura Longhino, Sabina Longhitano, Fabrizio Lorusso, Massimo Modonesi, Paolo
Pagliai, Rosalba Piazza, Gianni Proiettis, Anna Maria Satta, Teresa
Scolamacchia, Luciano Valentinotti.
Oaxaca:
eppur qualcosa si muove. Cronache dopo oltre un anno di conflitto
Il
ritorno della APPO e dei docenti con la megamarcia del 14 giugno e il nuovo
accampamento nella piazza centrale di Oaxaca di
Fabrizio Lorusso
Pochi giorni dopo la grande marcia dei cittadini di Oaxaca che in massa, oltre 10 chilometri di corteo, hanno commemorato la data del fallito sgombero dell’accampamento dei docenti nel centro della città, il 14 giugno 2006, ed hanno rialzato la voce contro il governatore Ulises Ruiz, ecco che arrivano le inappropriate e tardive scuse pubbliche del medesimo e di altri membri del governo locale per il tentativo di sgombero violento che ha inasprito il conflitto e dato origine alla APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca). Quest’ultima ha rifiutato le scuse e ha annunciato la prossima realizzazione a Città del Messico di un giudizio popolare, figura presente nel diritto messicano, contro Ruiz e Carlos Abascal, ex ministro dell’interno. A partire da lunedì 18 giugno, inoltre, ricomincerà la protesta attiva dei docenti con l’appoggio della APPO i quali allestiranno un nuovo accampamento nel “zocalo” di Oaxaca.
Intanto, Flavio Sosa Villavicencio, uno dei portavoce più noti della APPO, il movimento sociale che da un anno tiene in scacco le insensibili autorità del meridionale Stato di Oaxaca, Messico, è uno dei circa dieci detenuti politici ancora in carcere dopo che nell’ultimo mese sono uscite altre tredici persone (anche se il 27 aprile, per non mollare la presa e ribadire la stretta autoritaria nella regione, il Governo di Oaxaca ne ha incarcerate altre tre).
Guadalupe Acosta e Josè Antonio Rueda, segretario generale e consigliere del secondo partito nazionale, il PRD (Partido Revolucion Democratica), hanno fatto visita a Flavio Sosa nella prigione Altipiano, situata a Città del Messico, e hanno auspicato pubblicamente l’intervento delle autorità per favorire processi giusti per i membri principali della APPO e la scarcerazione di tutti i detenuti visto che non è stata dimostrata la loro colpevolezza e, anzi, la maggior parte si dichiara estranea ai fatti che le vengono imputati. In un’intervista, la Maestra Carmen Lopez, consigliera della APPO e responsabile dei rapporti con la stampa sulla quale pende ancora un immotivato ordine di cattura, ha evidenziato come l’incarcerazione selettiva sia stata la strategia preferita durante il conflitto a Oaxaca e, inoltre, ha ribadito l’intenzione della Asamblea Popular di continuare con le richieste di libertà per i detenuti ma soprattutto con la volontà di stabilire una costituente nello Stato e democratizzare la vita politica. Per questi motivi, viene mantenuto l’accampamento della APPO, al quale sono stati tolti i servizi di base e l’acqua corrente, nel centro della capitale del paese per mantenere un avamposto e una voce attiva nel cuore di un Messico che presto dimentica.
E’ proprio di questi giorni la notizia che ha ridato qualche speranza di ottenere giustizia al movimento di Oaxaca. Il giudice della Corte Suprema di Giustizia messicana Juan N. Silva Meza, ha sostenuto che “le autorità federali, statali e municipali hanno violato gravemente le garanzie individuali nello Stato di Oaxaca nel periodo che va dal 2 giugno al 31 gennaio scorso” nell’ambito della proposta più generale da questo presentata affinché la Corte cominci formalmente le indagini nello Stato governato da Ulises Ruiz. La base delle dichiarazioni del giudice della Corte Suprema è il resoconto della Commissione Nazionale per i Diritti Umani che aveva emesso poche settimane fa le sue ultime raccomandazioni dirette ai massimi organi di Governo. Silva Meza ha precisato che urge investigare ufficialmente “perché si verificarono tante e tali violazioni gravi delle garanzie individuali, chi le ordinò e se ciò obbedì a una strategia statale oppure alla deficiente formazione dei poliziotti superati dalla situazione”. La speranza, comunque tutta da dimostrare coi fatti, è che i cittadini “sappiano che lo Stato s’interessa per la difesa dei diritti umani fondamentali dei governati”. Al di là delle dichiarazioni di intenzioni e delle posizioni ufficiali della Corte e della Commissione per i Diritti Umani, sta emergendo una crescente sensibilità che, sebbene sia ancora legata precipuamente a questioni d’immagine internazionale, sembra segnalare un certo interesse di alcune istituzioni e della società civile verso le situazioni drammatiche e deplorevoli alla quali si arriva ciclicamente in alcune parti, di solito le più emarginate, del paese. Si spera che, dopo il passo indietro fatto con la chiusura della Femossp (la agenzia speciale che investigava sui delitti della guerra sporca condotta dallo Stato messicano durante gli anni 70 e 80; http://www.lahistoriaparalela.com.ar/2007/04/11/mexico-la-guerra-sucia-y-la-femossp/ ), si possa prevedere una “giustizia giusta” ed un certo equilibrio tra le antiche forze repressive e la modernizzazione socioeconomica che implica il passaggio da una società autoritaria e frammentata a una democratica e pluralista.
In generale, come riporta Jesus Aranda sul giornale messicano La Jornada del 12 giugno scorso (http://www.jornada.unam.mx/2007/06/12/index.php?section=politica&article=012n3pol) s’e’ osservata una certa apatia tra i giudici supremi nell’indagare ed esercitare le loro facoltà nei casi di gravi violazioni ai diritti umani. Ciononostante, è auspicabile che le dichiarazioni del giudice Meza inizino a forare il manto protettivo dell’inazione pubblica.
DI FABRIZIO LORUSSO
http://fainotizia.radioradicale.it/user/fabrizio-lorusso
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