New
York New Yooooooooork!!!!!!!!!!!!
Racconto di viaggio 2008
di
Irene
Certo
che l’America sorprende.
La
vedi fin da bambino nei film, predomina nel mondo della politica, del cinema,
dell’economia, della musica, ti entra nelle ossa e nemmeno te ne accorgi, poi
vai lì e la tocchi. Esiste davvero. L’America.
C’è
un modo di dire quando ti capita qualcosa di bello: ho trovato l’America.
Forse perché una volta si andava lì a cercar fortuna e quasi sempre ci si
riusciva. Ancora oggi succede.
E’
generosa l’America. E senza che glielo chiedessi mi ha fatto un regalo
bellissimo, qualcosa che desideravo tanto e non osavo più chiedere. Ma lei lo
sapeva ed è andata sul sicuro. Io non ho potuto che accettare e gioire. Chi non
accetta non merita ed io meritavo eccome se meritavo! Mi ha accolta una casa
tutta colorata in un caldo abbraccio al dispetto del freddo di fuori. E ho visto
tutto attraverso un filtro di sorrisi e serenità.
In
America c’è sempre qualcuno che ti saluta, ti sorride, ti parla, ti coccola.
Sempre. In America, se compri mezzo centro commerciale in un attimo di follia
consumistica e poi dopo mezza giornata decidi di riportare tutto indietro, loro
ti ridanno i soldi. E già. Assecondano la follia. Bello no?
Appena
arrivata all’aeroporto mi hanno preso le impronte digitali e fatto la
fotografia. Non è tutto. Mi hanno chiesto perché ero lì, chi conoscevo e
come, che lavoro facevo in Italia (commentando che son matta perché faccio
l’insegnante) e poi finalmente mi hanno detto Merry Christmas e mi hanno
lasciata entrare nel loro mondo. Che fatica!
Sì
sì l’America sorprende.
Pure
quando vai ai bagni pubblici e li cerchi per mezzora nell’aeroporto, perché
li chiamano restrooms, perché loro devono differenziarsi dal resto del mondo.
Restrooms!!! Ovvio che non li trovassi, i bagni! Poi li trovi, entri e chiudi la
porta ma in realtà resta un cm di spazio ai due lati della porta che permette a
chi sta fuori di vederti mentre fai pipì. E no, così non si può! Ci sarà
anche una telecamera nascosta da qualche parte, ne sono sicura. Attenti al flush
poi, ti fa il bidet e l’acqua arriva quasi all’orlo della tazza così che
temi possa fuoriuscire ed allagare la città, come in un film dell’orrore, e
farti trovare in una fogna overground. A me i bagni colpiscono sempre un casino
perché sono lo specchio della società. Una società, quella americana, che ti
tiene sempre sotto controllo, pulito e coccolato ma sempre sorvegliato a
distanza! Io lo so che il grande fratello mi osserva. Lo sento.
Poi
decidi di entrare in un locale a bere una cosa calda o mangiare un boccone. Alto
là! Non ti azzardare a dirigerti verso un tavolo, devi aspettare che qualcuno
ti porti al tavolo anche se il locale è vuoto. Dopodiché il gentile cameriere
di turno ti inizia a tormentare senza lasciarti un attimo di privacy.
Everything’s ok? Need something else? Are you done? Do you want the
bill? You can pay
me! E
se uno al ristorante volesse passarci un’oretta a fare una chiacchierata
magari a lume di candela, quante volte ti spezzerebbero l’atmosfera? Ma agli
americani piace. Loro così si sentono coccolati, considerati. E sono ben felici
di lasciare il 18% di mancia, guai a non farlo!
In
America puoi pagare tutto con la carta di credito, anche un tè. In metro i
distributori di biglietti prevedono l’uso della carta, una figata, no cash,
inutile prelevare. Spero solo di non aver pagato la commissione per ogni cazzata
che ho pagato se no sai le risate; l’avrò tirata fuori almeno dieci volte al
giorno, la carta.
Perché
lì tutto costa pochissimo! I vestiti, tutti, le grandi marche americane e non,
gli accessori, persino i libri. Poi però il parcheggio a New York costa 14 $
l’ora e se mangi fuori spendi il doppio che a Roma però il cibo è buono! La
carne, il salmone, le patate cucinate in ogni modo, le verdure, i fritti, il
thai, il sushi, l’italiano, tutto da leccarsi i baffi specie dopo il dolce al
cioccolato di Brenner!
I
taxi gialli invece non sono per nulla cari a parte nelle peak hours (quelle che
gli inglesi chiamano rush hours) quando il traffico scorre davvero lento e tu
paghi a tempo e allora salti giù dal taxi e te la fai a piedi, tanto ci metti
di meno. My vagabond shoes are longing to
stray….
A
New York è impossibile perdersi. E’ vero. Le strade di Manhattan formano una
griglia di vie parallele e perpendicolari tra loro: quelle orizzontali sono le
Street e sono numerate (la 34esima, la quarantaduesima, etc etc) in ordine
crescente da sud a nord e quelle verticali sono le Avenue, anch’esse numerate
in ordine crescente ma da est a ovest, obviously. Man mano che sali si va Uptown
e scendendo si va Downtown per cui anche le direzioni in metro sono estremamente
semplificate. Tra un incrocio e l’altro c’è un block e la distanza la
misurano col numero di blocks: 3 blocks, 5 blocks, calcolando che ogni isolato
è bello grande se si considera la misura extra large dei grattacieli di New
York. E così ho imparato subito ad orientarmi, nord-sud-est-ovest qui sono per
me una certezza, posto che non ho bisogno nemmeno della mappa perché se devo
andare all’Empire State Building, per esempio, alzo la testa, lo vedo e mi ci
dirigo! Idem con gli altri grattacieli, dal Chrysler a quello del Rockfeller
center.
Sì,
questa città che non dorme mai è molto più malleabile di quanto potessi
immaginare. The city that doesn’t sleep,
cantava Frank Sinatra. Quanto mi è sempre piaciuta questa canzone! Cantata da
Liza Minnelli nel musical New York New York di cui ho una videocassetta che si
ricorda il cippo a forcella, mio cult di tanti anni fa perché si poteva cantare
coi toni alti che riuscivo ad imitare sentendomi una cantante di Broadway. My
little town blue I’m melting away, I wanna be a part of it New York New
York!!! Ebbene, sono stata per un po’ parte di questa grande mela, di
questo meltin’ pot tanto confusionario, di questo grande palcoscenico con le
luci sempre puntate, una città sempre accesa 24 ore su 24 senza alcuna tregua e
che ti tiene compagnia senza abbandonarti mai. L’ho vista talmente spesso nei
film che quando salgo in cima all’ottantaseiesimo piano dell’Empire State
penso a Meg Ryan e Tom Hanks in “Insonnia d’amore” e mentre consumo le
scarpe lungo la quinta strada, la famosa 5th dello shopping di marca, non posso
non sentirmi come Carrie in Sex & the City! Solo che lei è sempre vestita
come una figa ed io invece sono imbacuccata come un extraterrestre e continuo a
morire di freddo!
Però
la sera faccio la figa pure io e vado a Broadway, da brava benestante
semi-intellettuale e, in quanto tale, resto un po’ delusa dagli show di
livello medio-basso. Ma forse ho semplicemente scelto i musical sbagliati. I
teatri sono tutti intorno al Times Square e alla 42esima strada. Un vortice di
luce, colori, schermi giganti su grattacieli senza fine, insegne pubblicitarie,
rumori del traffico e una folla incredibile di gente che si muove come in un
formicaio. Scioccante. Bello. Eccitante. Adrenalinico!
Ogni
volta che ho potuto ho fatto tappa a Times Square con la subway. E già, perché
in America la subway non è un sottopassaggio come in England. Anyway.
Qui
è tutto grande. Loro vanno al supermercato e comprano le cose per un mese. I
rotoli di alluminio son 4 volte i nostri, le buste per la spazzatura, cribbio,
le avessi avute durante il trasloco mi avrebbero facilitato il tutto! Ci entro
io intera dentro! I pacchi di corn flakes sono spropositati e le porzioni al
ristorante poi… con un antipasto ci fai pranzo e cena! Che buone le bucce di
patata ripiene! Me le sognerò la notte! Enorme è anche l’albero di Natale più
famoso del mondo, al Rockfeller Center.
La
notte poi…la quantità di luci è impressionante. E il Manhattan Skyline
sembra una cartolina, una foto, un film ed invece è realtà. Resto senza parole
quando l’autostrada arriva al Lincoln e ti apre il panorama su questo scorcio
ancora silenzioso perché lontano. E’ come se il cielo avesse mille finestre
illuminate da una vita palpitante e inarrestabile. E’ come se la notte non
riuscisse ad addormentare questa città.
Poi
c’è l’America del Ground Zero. Quella delle macerie e della ferita che
ancora sanguina. Quella di un immenso spazio vuoto nel cuore di Manhattan, vuoto
di vite perdute ma pieno di cielo e di forza, perché l’America non si arrende
e già ha iniziato a costruire sulle rovine. Perché dal Ground zero nascerà
una colossale torre, la Torre della Libertà, circondata da altri tre
grattacieli che formeranno il World Trade Center Memorial, per non dimenticare
mai, per non darla vinta a chi ha voluto distruggere non solo un simbolo ma la
serenità di un intero popolo. Ed
è qui che ti senti parte dell’America, che i brividi lungo la schiena ti
fanno capire che quella ferita è anche tua e la rabbia è la stessa di chi lì
ci ha perso i propri cari.
Perché
la bandiera americana continuerà a sventolare dall’alto dei grattacieli, per
ricordare al mondo che la testa non si abbassa mai davanti agli assassini,
nemmeno se sono americani, nemmeno se hanno nome e cognome. Anzi, soprattutto se
hanno nome e cognome.
Irene madnorthwest@hotmail.it