LA MARTINICA A MODO NOSTRO

 

Diario di viaggio 2/4 – 16/4/2005

di Nelly Gandolfo

 

Premessa

Perché un titolo come questo? Perché crediamo che una località come la Martinica venga scelta prevalentemente da chi adora il mare e le spiagge assolate in cui crogiolarsi per ore. Noi invece  abbiamo cercato di organizzarci in modo da lasciare spazio alla conoscenza dell’isola attraverso camminate fatte nelle città, nelle foreste e lungo le coste. Ne è risultata una vacanza entusiasmante che consigliamo caldamente ai fanatici della natura e della botanica in particolare.

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Organizzazione

Abbiamo fatto i primi 4 pernottamenti a Fort de France, prenotando via internet una ‘gite’ cioè un monolocale messo a disposizione da una famiglia a fianco della propria abitazione. Per chi non conoscesse questo tipo di strutture segnalo che l’organizzazione ‘Gites de France’ permette di prenotare in tutti i territori francesi strutture analoghe a prezzi accettabili. Ci si fa da mangiare, ma spesso ciò rende più liberi sia per tipo di alimentazione, che per gli orari.

Gli altri pernottamenti li abbiamo prenotati in loco: 4 notti a nord dell’isola e 5 notti a sud, nella zona più turistica.

Per il bagaglio abbiamo optato ancora una volta per lo zaino che ci consentisse un’eventuale percorso tutto a piedi. Le informazioni della nostra guida ‘La Martinique à pied’ della Fédération Francaise de la Randonnée Pédéstre segnalavano escursioni non collegate, ma avremmo potuto scoprire che si poteva fare una traversata nord-sud come già fatto alla Réunion (vedi diario relativo).

Il volo per la Martinica parte da Parigi Orly, per cui abbiamo avuto prima il tratto Malpensa-Parigi Charles de Gaulle e lo spostamento fra i due aeroporti (con un po’ di batticuore perché 3 ore sono quasi insufficienti per garantire di arrivare in tempo).

 

Trasporti interni all’isola

L’idea era di spostarsi solo con i mezzi pubblici e così abbiamo fatto per i primi 4 giorni, ma poi è stato indispensabile noleggiare un’auto: in caso contrario non avremmo avuto la possibilità di portarci ai luoghi di partenza delle nostre camminate.

 

Periodo

Il periodo è stato scelto volutamente all’inizio della ‘carème’, cioè del periodo secco e più caldo. Per il tipo di attività che volevamo fare la pioggia sarebbe stata un problema abbastanza serio e abbiamo quindi deciso di correre il rischio (che c’è stato) di soffrire il caldo nelle zone della costa.

 

Le escursioni

Le tappe a piedi  hanno il difetto, non essendo previsto un posto di pernottamento, di richiedere il rientro per lo stesso percorso dell’andata, per cui le ore di cammino indicate nelle guide, vanno raddoppiate.

Diario

2/4/2005 Sabato

Viaggio senza particolari problemi. In Martinica ci sono -6 ore rispetto all’Italia, ma con i soliti problemi di spostamento, check-in e controlli di sicurezza si sta in ballo dalle 8 del 2/4 alle 2,30 del 3 aprile. A Fort de France sono le 20.30, fa caldo e dobbiamo subito liberarci delle giacche a vento che avevamo alla partenza. Non ci sono servizi di autobus fra l’aeroporto e la capitale per cui abbiamo chiesto di venirci a prendere alla persona che ci ha procurato i primi pernottamenti.

Veniamo ricevuti con molta cordialità dai proprietari della gite: ci hanno preparato un aperitivo ghiacciato e supponendo l’impatto del caldo ci hanno fatto trovare acqua fresca in frigorifero.

 

3/4/2005 Domenica

Madame Barnabe, che ci ospita, ha chiesto al marito di farci fare un giretto in auto perché ci possiamo rendere conto di dove siamo e per condurci ad una prima passeggiata di acclimatamento. La cortesia è tale che è impossibile rifiutare il giretto in auto. Mr. Barnabe ci lascia al Didier Tunnel e noi ci ritroviamo dopo una ventina di minuti a camminare lungo un percorso vita nella foresta semi-umida. C’è molta gente che fa jogging, ma questa è l’unica volta in cui vedremo quasi folla lungo i sentieri. E’ un primo approccio alla natura dell’isola e anche al discorso dei mezzi pubblici: rientriamo infatti a piedi controllando quali autobus passano e ci accorgiamo che le fermate ci sono, ma senza indicazioni della linea, né tanto meno degli orari. Ci supera un solo autobus con il numero 27 durante gli 8 chilometri del rientro. Nelle vicinanza di casa chiediamo aiuto ad un passante per ritrovare la strada e ancora una volta la cortesia si spinge a darci un passaggio per gli ultimi 500 metri (l’amico dice che è più facile portarci che spiegarci…). Verso le 17 una passeggiata per andare a vedere il mare ci porta sulla Pointe des Nègres da cui si può vedere tutta l’ampia baia di Fort de France. Nulla di bello perché la vista è sulla zona portuale e c’è parecchia foschia. In compenso la strada percorsa è fiancheggiata da abitazioni molto rustiche che sono praticamente sul bordo del mare (ecco perché pur trovandoci a 8-10 metri non lo vediamo affatto).

 

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4/4/2005 Lunedì

A piedi in centro città a Fort de France. Noi siamo alloggiati al quartiere Bellevue che è nella zona nord leggermente in collina e verso Schoelcher. Lungo il percorso si può scendere rapidamente all’altezza del mare attraverso scalinate strette e tortuose, simili ai carrugi liguri. Le case di questa zona sono piuttosto malandate, ma assai caratteristiche.

La visita della città mette in luce il caratteristico ambiente delle isole ex colonie: qualche casa in stile coloniale, parecchie case fatiscenti, molta animazione nei mercatini (piuttosto piccoli per la verità).

Al porto vediamo che c’è disponibilità di mezzi pubblici, tutti in partenza da Fort de France verso le singole città della costa: St. Pierre, Le Marin, La Trinità. Non sembrano invece esistere mezzi che congiungano le città fra loro. Per esempio, da St. Pierre a Le Marin non ci sono mezzi e bisogna sempre portarsi sulla capitale. Grande disponibilità di taxis collectif, ma con la stessa caratteristica degli autobus. Tutti ci sconsigliano caldamente i mezzi pubblici che secondo la gente del posto sono assolutamente insufficienti e inaffidabili. Fra l’altro alla sera alle 18 c’è l’ultima corsa e a quel punto non è facile trovare di che muoversi.

Intorno alle 17, quando fa più fresco, andiamo alla spiaggia di Schoelcher, di sabbia grigia, piuttosto piccola e faticosa da raggiungere a piedi perché si deve percorrere una sorta di superstrada molto trafficata. Facciamo il primo bagno in un’acqua calma e pulita, ma non eccezionale.

 

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5/4/2005 Martedì

Ci alziamo presto e ci avviamo a piedi in direzione di Didier. Prenderemo appena possibile l’autobus 27, il problema è come sempre dove passa? E quando? Il vecchio adagio che chiedendo si va dovunque è sempre vero, ma non dice quando si arriverà…. Noi comunque ci avviamo fiduciosi chiedendo a destra e a manca e alle 7,30 siamo già in cammino per la prima vera escursione. Le domande formulate all’autista dell’autobus circa linee e orari cadono nel vuoto, ci dice che ‘lui non è abituato a questa linea e che sta solo facendo una sostituzione, per cui non può esserci d’aiuto’.

Il Circuit d’Absalon ci attende dopo il primo tratto percorso anche domenica fino alla fonte Didier ed un secondo tratto per arrivare alle antiche terme (ora in disuso). Qui ci riposiamo e mangiamo qualcosa prima di riprendere il cammino. Un improvviso acquazzone tropicale si esaurisce in dieci minuti, mentre noi siamo seduti sotto una tettoia della casa forestale. Una vera fortuna perché, per quanto di breve durata, la pioggia è talmente fitta da poterci infradiciare in poco tempo. Da qui il sentiero inizialmente molto ripido porta in una zona di cresta: alberi altissimi, felci, eliconie, mogani, insomma una vegetazione di grande fascino ci attornia. Incontriamo  4/5 persone in tutto. C’è solo stormir di foglie e il canto degli uccelli. I colibrì svolazzano sulle eliconie.

Il percorso ritorna alle terme e da qui con una mezz’ora di cammino su strada asfaltata, arriviamo alla RN3 dove dovrebbe esserci una fermata dell’autobus. Prima però, visto che siamo vicinissimi ai Jardins de Balata, entriamo in questo giardino botanico che con molte specie di palme, alberi e fiori tropicali, è una vera delizia per gli occhi. Fra foto, riprese video e curiosità botaniche, passiamo due ore molto piacevolmente.

Intanto, vista la situazione dei mezzi pubblici, ci siamo convinti che il consiglio iniziale di noleggiare un’auto va seguito: i mezzi ci sono e lo dimostra il fatto che anche da qui siamo tornati in città  usandoli, ma se ci si deve portare al punto di partenza delle varie escursioni, non si può contare su un servizio il mattino presto e in molte località non arrivano. Per questo domani mattina, prima di spostarci a nord, prenderemo un’auto per i giorni di vacanza che restano.

 

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6/4/2005 Mercoledì

Colazione coi manghi che ci ha regalato il padrone di casa (che meraviglia mangiare questa frutta sul posto!), poi in città con l’autobus a ritirare l’auto,  rientro per caricare i nostri zaini, salutare madame Barnabe che è stata davvero gentilissima in questi giorni (fra l’altro ci ha fatto vedere i suoi lavori, costumi teatrali che si ispirano alla tradizione dell’isola, dipinti su tela di figure caratteristiche veramente notevoli che non ho visto poi in nessun altra parte), poi via per St. Pierre che dista solo 28 chilometri.

Poco prima della cittadina (antica capitale della Martinica, distrutta da un’eruzione all’inizio del 1900), ci fermiamo su una spiaggia con splendida vista sulla baia e sulla Montagne Pelée, il vulcano che per l’appunto distrusse St. Pierre. Diversi alberi di cocco attirano la mia attenzione, a terra c’è un frutto maturo. Sfido Arturo ad aprirlo: voi non lo conoscete, ma quello che riesce a fare quando ci si mette vale la pena di essere visto: un coltellino svizzero con lama da 3 cm. è il solo arnese che ha a disposizione eppure riesce a farmi mangiare il cocco fresco!

La gite dei prossimi giorni è ancora una volta leggermente fuori paese, è più grande della precedente ed ospita alcune coppie di francesi  oltre a noi. Dispone di una piccola piscina che col caldo del mezzogiorno è una vera delizia ed offre una vista suggestiva sul fiume Roxanne immerso nel verde (io lo definirei un torrente perché assomiglia moltissimo ai nostri nostri corsi d’acqua montani più che ai fiumi).

 

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7/4/2005 Giovedì

Sveglia alle 5. Vi sembrerà un’ora antelucana, ma qui le giornate sono assai brevi: iniziano intorno alle 6 ed è buio poco dopo le 18, per cui è bene anticipare le proprie attività.

In auto fino a Precheur e di qui al parcheggio dell’anse Couleuvre. La gita di oggi consente di percorrere un sentiero che offre stupendi scorci dall’alto sul mar dei Caraibi e sulle varie anse della zona nord-ovest dell’isola. La foresta umida è splendida: alberi dalle strepitose radici a ventaglio e dalle dimensioni gigantesche, felci arboree che disegnano contro il cielo azzurro un vero arabesco, gruppi di bambù altissimi sbattono fra di loro con un suono che ti sembra presago di una caduta imminente. Vediamo il ragno caratteristico dell’isola, rosso e nero (la migale), un paio di manguste e uccelli di vario tipo. I corsi d’acqua che attraversiamo non presentano alcun problema in questa stagione, ma chiunque voglia tentare in stagione umida, dovrà mettere in conto possibili pericoli perché in genere diventano quasi impraticabili.

Fa caldo, ma siamo in piena ombra fin quasi alla fine del percorso e questo consente di procedere speditamente.

A Fond Moulin finisce la foresta e ci sono resti di piantagioni di papaya e banane. Visto che ci sono alcune papaya appena cadute e mature, ne approfittiamo. Durante questo soggiorno voglio collezionare i sapori di tutti i frutti esotici che mi capiteranno: una collezione particolare e assai gustosa.

Giungiamo a Grand’ Rivière dopo 18 km di cammino. Sono le 12,45 ed ora si tratta di capire come rientrare dove abbiamo lasciato l’auto. La nostra guida suggerisce di chiedere un passaggio ai pescatori e quindi ci rivolgiamo al Syndacat d’Initiatives. Ci viene detto che di solito il percorso consigliato è inverso a quello fatto da noi: arrivo via mare e rientro per la foresta. Comunque chiamano un pescatore che ci dà appuntamento per le 15,30 al porto.

Aspettiamo guardandoci intorno: il paese ha 800 abitanti, il porticciolo conta una dozzina di barche in tutto e una sta rientrando proprio ora dalla pesca. Guardiamo l’accorrere di aiutanti per tirare in secco la barca: molte braccia, alcune che non sembrano darsi troppo da fare nonostante l’animazione di tutti. La pesca non sembra essere stata abbondante, in compenso i pesci sono davvero grossi. Di fronte a Grand’Rivière, a circa 20 miglia di distanza, c’è l’isola della Dominica che si intravede nella foschia. Gli sfaccendati, che non mancano mai, stanno a chiacchierare per ore su un muricciolo in vista del mare; abbiamo visto scene analoghe un po’ dappertutto e mi meraviglia che vedendosi tutti i giorni abbiano tanto da raccontarsi ad ogni incontro.

Alle 15,30 compare Max, il pescatore. Saliamo e lui si lancia di gran carriera con la barca che sbatacchia sulle onde lunghe. Rivediamo dal basso le insenature ammirate durante il cammino. In una ventina di minuti siamo sotto i cocchi di una bella spiaggia e ci immergiamo in un limpido mare. E’ stata in assoluto la gita più bella di tutto il soggiorno.

 

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8/4/2005 Venerdì

Non si può lasciare un’isola delle Antille senza aver visitato una distilleria di rum. Quella di St. Pierre poi ha una storia particolare: operante già nell’800, fu completamente distrutta con l’eruzione del 1902 che uccise circa 30000 persone nei vari paesi della zona nord della Martinica. L’unico sopravvissuto della famiglia Depaz, proprietaria della distilleria, decise di ricostruire lo stabilimento e la casa d’abitazione in stile coloniale, proprio dove sorgeva la precedente. Così oggi i turisti possono vedere la fabbrica al lavoro. Si tratta di un procedimento piuttosto semplice che in questo caso parte dalla produzione della canna da zucchero che avviene in terreni di proprietà dei Depaz, fino alla distillazione in alcuni grandi alambicchi e alla stagionatura in botti. L’immancabile negozio annesso ci ha consentito di procurarci dell’ottimo rum  (niente a che vedere con altri assaggiati in Italia o provenienti da altre isole caraibiche) e lo sciroppo di canna che è indispensabile alla preparazione del T-Punch, l’aperitivo classico dell’isola.

Immancabile giro del paese con relativo mercato di frutta e verdura. Un paio di giovanotti con treccine e aria hippy girano per il mercatino: sembrano i compagni di due ragazze che vendono le solite collanine: sembrano infastiditi dagli sguardi dei turisti, ma hanno proprio l’aria di chi in realtà vuol  farsi fotografare… ad ogni buon conto noi ci asteniamo dal riprenderli anche perché non ci paiono neppure della Martinica.

Nel pomeriggio una rapida escursione in auto fino ad una cascata nella foresta di Morne Rouge (nulla di notevole, oltre tutto l’acqua cade in una vasca artificiale  assai poco attraente). Molto interessante invece sarebbe la visita alla Maison de la Botanique, un parco a libero accesso con tutte le indicazioni dei nomi delle piante lungo un percorso di 3 km nel verde. Un po’ come Balata, ma con meno fiori e più alberi: ha una zona dedicata alle piante aromatiche (cannella, bois d’Inde, ecc.), una ai frutti, altre alle varie specie di alberi. Siamo giunti troppo tardi per poter percorrere tutto il parco ed abbiamo solo avuto un’idea della sua ricchezza.

A sera, il proprietario della gite ha invitato tutti i suoi ospiti ad un aperitivo alla martinichese e per scambiare quattro chiacchiere. Ci insegna a fare il T-Punch (che proveremo più volte nei prossimi giorni) e ci suggerisce i vari punti di interesse della zona. Le persone arrivate di recente ci hanno chiesto che differenza abbiamo trovato fra la Réunion (percorsa nel 2003) e la Martinica.

 

 

 

9/4/2005 Sabato

La Montagne Pelée ci attende. Ci si porta agli 824 metri del primo rifugio in auto. Sono le 6,50 e iniziamo la salita con i gradini irregolari creati ponendo assi di legno di traverso al sentiero. Avevamo visto questa struttura anche alla Réunion: serve perché durante la stagione umida, quando piove molto, i sentieri diventano particolarmente scivolosi; i gradini però sono di altezza spesso esagerata al punto che io, bassetta come sono, faccio molta fatica a salire. C’è vento e siamo immersi nelle nuvole. Del resto la Montagne Pelée è sempre coperta perché, essendo la cima più alta dell’isola, ferma tutte le nuvole provenienti dall’Atlantico. Di solito solo nel tardo pomeriggio si scopre un poco. Comunque non fa freddo, contrariamente a quanto la nostra guida ipotizzava. Si sale in mezzo alla bassa vegetazione che è cresciuta dopo l’eruzione: si tratta di molte e diverse varietà di arbusti, alcuni fioriti. E’ presente la begonia bianca, molto più alta di come siamo abituati a vederla nei nostri giardini. Il secondo rifugio, ai 1245 metri, è solo una baracca di sasso. Io pensavo ai nostri rifugi dove c’è un gestore e di che dormire, ma questo è solo un possibile riparo di fortuna da eventuali intemperie. D’altronde non sembra salgano in molti: fino ad ora abbiamo incrociato 6 persone in tutto. Da qui si cammina quasi in piano sulla cresta della caldera che si percorre con un gran giro prima di ricominciare la ripida salita fino al terzo rifugio (baracca come il primo).

Incontriamo una piccola comitiva di bambini accompagnati da alcuni adulti. Ci precedono sulla cima (1395 metri) dove cominciano a scherzare sull’impossibilità di fotografare qualcosa immersi come continuiamo ad essere nelle nuvole. Il bello è che le nuvole si spostano a velocità folle tanto che vi sono dei momenti in cui sembra di poter ammirare il panorama, ma non si fa neppure a tempo a togliere il coperchio dall’obiettivo: così è tutto un ‘Dai, veloce!, ‘Adesso, adesso ce la fai!, che si conclude con grandi risate perché lo speranzoso di turno resta sempre con un palmo di naso.

La passeggiata comunque ha messo appetito a tutti. Facciamo quattro chiacchiere, poi restiamo soli a scattare qualche foto fra noi e a qualche fiore. Di panorami neanche a parlarne.

Durante il cammino di ritorno abbiamo finalmente il bene di vedere le nuvole alzarsi e darci un po’ di tregua: i panorami sul vulcano e sulle coste est e ovest sono bellissimi.

 

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10/4/2005 Domenica

Oggi ci spostiamo sul mare percorrendo in auto tutta la costa atlantica e una parte interna fino a S. Anne, nella costa sud.

Le strade sono comode anche se salite e discese sono piuttosto ripide: molti punti panoramici, ma poca possibilità di fermarsi ad una piazzola per goderseli.

A La Trinité, una penisola si stende verso il mare: è La Caravelle che noi percorriamo per andare a fare una breve escursione a piedi fra le mangrovie. Questo è un suggerimento datoci a Fort de France dove ce lo hanno segnalato come imperdibile. Fa un caldo infernale e ieri, nonostante le nuvole, ci siamo scottati il collo e le braccia: dobbiamo correre ai ripari con olio solare ogni ora e un fazzoletto a protezione del collo.

Il sentiero (piuttosto frequentato) percorre la foresta secca. Completamente diversa dalle foreste umide, ha alberi di dimensioni modeste e zone a mangrovie in cui centinaia di granchi (touloulou) prendono il sole. Sono animali di piccola dimensione con una chela molto più grande dell’altra; in genere ci sembra di poter dire che la fauna più interessante sia costituita dagli uccelli che sono sempre numerosi e molto diversi fra di loro. La foresta originaria è stata eliminata nel corso dei secoli ed ora questo è un tentativo di ricostituirla in atto da qualche decina d’anni. Camminiamo un paio d’ore poi riprendiamo l’auto per S. Anne. C’è molto traffico nella zona sud, inizialmente pensavo alla giornata festiva, ma poi ci siamo resi conto che la popolazione è abbastanza concentrata fra Fort de France (2/3 degli abitanti stanno nella capitale), Lamentin e Le Marin; anche i turisti sono quasi tutti  lungo le coste sud dove le spiagge sono più belle.

La gite di S. Anne è su una strada in salita, ci siamo arrivati con qualche difficoltà perché per la prima volta non è nell’abitazione del proprietario, ma separata di un paio di chilometri. Le chiavi ci vengono consegnate da un’italiana: la signora Lucia il cui padre era un emigrante friulano.

Una breve passeggiata sul lungo mare ci consente di acquistare un cappello di paglia che è l’unico che può riparare correttamente dal sole cocente.

Un piccolo terrazzo dà sulla strada: qui possiamo mangiare al fresco alla sera e salutare i passanti (questo è l’uso: se si incrociano gli occhi, si saluta calorosamente, se non si incrociano si fa in modo di farlo…).

 

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11/4/2005 Lunedì

Oggi si va da Petite Anse Macabu a Cap Macré e ritorno. Quando dopo l’avvicinamento in auto, iniziamo a camminare sotto enormi alberi, la quantità di granchi di terra che fugge nelle proprie tane è impressionante: pare che la cucina della Martinica usi e apprezzi particolarmente questi crostacei, ma evidentemente non ne fanno man bassa visto quanti ce ne sono qui. Sono le 7,30 ed è l’ora in cui sono più attivi insieme alle ore serali: col caldo (più furbi di noi) se ne stanno al fresco delle tane, sul terreno sempre umido della foresta secca. I mancenillier, gli alberi la cui resina è altamente tossica, sono indicati qua e là con segni rossi perché in caso di pioggia è bene non fermarsi sotto le loro fronde, inoltre hanno dei frutti simili a piccole mele che hanno l’aria estremamente invitante, ma fanno finire all’ospedale. Il mare è molto vicino. Ne sentiamo il rumore, ma non lo vediamo per via della vegetazione costiera. Alla Grande Anse du Macabu si esce allo scoperto e si raggiunge una piccola cappella posta su un’altura. Il panorama della costa vale la pena d’essere visto e fotografato prima di scendere all’anse Grosse Roche: una spiaggia di sabbia chiara assolutamente deserta, una vegetazione ad alberi di cocco che creano piccole zone ombrose in cui fermarsi a riposare. Un folto gruppo di uccelli marini piuttosto piccoli corre velocissima a mangiare qualcosa quando l’onda si ritrae per fuggire subito ed evitare di essere raggiunti dall’onda successiva. Sono degli sprinter nati.

Ci gettiamo in acqua, che meraviglia! Proprio quello che ci vuole dopo il sole e la camminata. Il nostro riparo fra i cocchi è così comodo che ci facciamo una dormita; Arturo scopre anche che se si prende un frutto giovane, ha già il latte di cocco, pur potendolo aprire con grande facilità. Non è un gran sapore, ma è più fresco dell’acqua che abbiamo portato con noi e consente di togliersi un po’ di sale dalle mani.

Riprendendo il cammino arriviamo a Pointe Macré. Che mare! Quello dell’anse Grosse Roche era bello, ma la sabbia sollevata dalle onde lo rendeva opaco (non si vedeva praticamente il fondo); qui invece è trasparente e immergendosi a pochi metri  dalla riva, vicino ad uno scoglio, si potrebbero passare ore ad ammirare i pesci che lo abitano. Continuiamo ad entrare e uscire dall’acqua senza stancarci, ma dobbiamo tener presente che va rifatto il percorso a ritroso per riprendere l’auto e il sole è ancora caldissimo. Rientriamo felicissimi della gita che consente di vedere spiagge assai poco frequentate perché non raggiungibili con l’auto.

 

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12/4/2005 Martedì

Le mie caviglie sono gonfie: il sole diretto sulle gambe mi fa questo effetto da un po’ di tempo: nulla di grave comunque, sto tranquilla con i piedi sollevati. Intanto è il caso di procurarsi una crema solare più efficiente perché questa non mi convince per nulla, poi per oggi riposeremo andando alla spiaggia di S. Anne solo verso sera.

Continuo una mia personale collezione di sapori dell’isola: oltre alle spezie da usare nei piatti quotidiani, ho assaggiato altri frutti: guayvier, corossol, bibasse, banane di diversi tipi, apricot-pays. Per la verità, a questo proposito, devo dire che non ho mai visto frutti tanto profumati e con così scarsa appetibilità: hanno spesso una quantità di semi e poca polpa, oppure un unico seme centrale grandissimo. L’unico che mi piace moltissimo è il mango.

La spiaggia di S. Anne è piuttosto frequentata, ha alberi che riparano dal sole e sabbia chiara, l’acqua è limpida e calda. Andando alla spiaggia abbiamo incrociato un funerale: ci ha colpito che tutti i partecipanti si siano vestiti a festa e rigorosamente in bianco o in nero: le signore erano tutte con vezzosi cappellini e abiti eleganti. Per quanto l’evento sia triste abbiamo notato che è interessante vedere queste cerimonie che consentono di capire un po’ meglio  lo spirito degli abitanti di un paese.

 

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13/4/2005 Mercoledì

Oggi si va dall’Anse Caritan all’Anse Trabaud passando per gli stagni delle saline. Si torna per lo stesso percorso. Sono 19 chilometri e 7 ore di cammino

Partiamo presto e un buon tratto è sotto gli alberi. Imponenti gommiers rouges (alberi dalla corteccia rossa da cui si estrae una resina profumata) sono presenti inizialmente, il sentiero, leggermente alto sul mare, mostra piccole insenature. Un villaggio turistico costringe a passare per strada asfaltata per un breve tratto, poi si giunge all’Anse Meunier: alla destra il mare, alla sinistra un grande stagno con qualche uccello acquatico (airone striato, airone cinerino o uccello molto simile) e gli immancabili granchi. Si prosegue arrivando alla Petite Anse des Salines e poi alla Grande Anse. Qui c’è molto movimento, si arriva in auto e anche se ora ci sono solo i mezzi delle bancarelle di cibo e bevande, si indovina che deve essere una spiaggia molto frequentata. Un giovanotto vende lavori artigianali in cocco decisamente originali: pesci, modellini di barche, contenitori vari. Sono ben fatti e abbastanza economici, mi convinco ad acquistarne per farne un regalo. Non abbiamo trovato nulla di simile nei negozi neppure nei giorni successivi. Alla successiva ansa, poco frequentata,  è tempo di fare un bel bagno. Il sole splende implacabile e il prossimo tratto, la Savane des Pétrifications (il nome è tutto un programma) è tutto allo scoperto: si tratta di una zona desolata: unica pianta è un’erba strisciante di piccolissime dimensioni a fiore rosa.

Una nuova zona alberata ci porta all’anse Trabaud dove un giovanotto sta divertendosi con surf e vela tipo parapendio spostandosi velocissimo sulle onde. Ci deve volere una forza non indifferente alle virate. Un amico lo riprende con la videocamera. Noi, sotto una palma, ci riposiamo guardando il cielo: questa sì che è una bella attività! Per il ritorno intendiamo attendere almeno finché il sole non inizia a scendere, ma dobbiamo tener presente ancora una volta che il percorso non è breve per cui alle 14, sotto la falsa speranza che una nuvola copra il sole, ripartiamo. Molta gente alla Grande Anse des Salines, come avevamo ipotizzato. Di nuovo facciamo il bagno in un’insenatura poco affollata.

Rientro piacevole anche se siamo un po’ stanchi.

 

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14/4/2005

Oggi facciamo una giornata di bighellonaggio in paese e un bel bagno serale in una caletta a est di S. Anne (anse Caritan). E’ l’ultimo giorno di soggiorno qui e abbiamo voluto goderlo in pieno. Avevamo voglia di pesce e lo abbiamo acquistato per cena: veramente ottimo.

 

15/4/2005

Dopo i preparativi per la partenza, salutata la signora Lucia, siamo saliti in auto per percorrere la costa sud-occidentale: in questo modo otterremo di completare il periplo dell’isola e di passare l’ultima giornata in Martinica ammirando altri scorci del paesaggio. L’anse d’Arlet è stupenda e meriterebbe un soggiorno per il suo mare, le Trois Ilets invece ci hanno deluso: è una cittadina già sulla baia di Fort de France  con parecchia confusione. Ci siamo fermati al museo della canna da zucchero che ci ha consentito di ricostruire un po’ di storia dell’isola, poi al parco naturale di Vatable che dopo le gite fatte e dato il gran caldo-umido non ci ha attirato per una passeggiata, infine al villaggio degli artigiani: un complesso di piccoli negozi con souvenir di tutti i tipi prodotti in loco. La cosa più interessante era che si trattava di lavori molto diversi fra loro: ceramica, dipinti, lavori in ferro e legno, stoffe, insomma una bella varietà per chi ama fare acquisti.

Alle 20 ora locale siamo decollati per Parigi Orly. Ancora una volta patema d’animo e qualche rischio di perdita del volo a Charles de Gaulle, ma con l’aiuto degli assistenti al check-in siamo partiti. Arrivo a Milano il 16/4 nel pomeriggio.

 

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Conclusioni

Non mi era mai capitato come in questo caso di trovare, organizzando il viaggio, pareri tanto discordanti su una località: si andava dall’entusiamo all’invito ad evitare accuratamente l’isola perché ‘di sera è un mortorio’. Noi non ci siamo fatti troppo influenzare perché sappiamo che ciascuno di noi ha un proprio metro di valutazione che nel nostro caso, come ho già accennato è tutto basato sulla natura. In questo siamo stati più che soddisfatti di quel che abbiamo visto e consigliamo senz’altro il viaggio.

 

 

Nelly Gandolfo   negando@alice.it

 

 

 

 

 

 

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