Marrakech: fra souk e modernità

Marocco

Diario di viaggio 21-25 ottobre 2004

di Marco Monottoli

 

 

21 Ottobre 2004

Un viaggio breve e straordinario dettato dalla voglia di andare o di fuggire ancora una volta, che mi porta in Marocco e più precisamente a Marrakech.

Questo mio viaggio coincide con l’inizio del Ramadan e sul volo della Royal Air Maroc si parla solamente marocchino.

Lo stretto braccio di mare che separa l’Europa dal continente africano appare chiaro e limpido. Sto sorvolando le leggendarie Colonne d’Ercole ovvero lo Stretto di Gibilterra, così stretto, che per uno strano scherzo madre natura ha voluto che il vecchio continente fosse staccato dall’Africa e che il Mediterraneo non fosse un grande lago. Mentre Gibilterra e Tangeri spariscono dalla visuale, la costa atlantica del Marocco è marcatamente delineata che sembra di guardare le pagine di un atlante geografico e, intanto, strane conformazioni di un deserto di roccia rossastra sono interrotte da sinuosi corsi d’acqua che, serpeggiando fra pianure aride e scarsamente coltivate, si gettano nello spumeggiante Atlantico.  Pochi i villaggi e le strade: solo sentieri battuti.

Atterro a Casablanca alle 16,30 e da qui, con un volo di quaranta minuti, raggiungo Marrakech. Il cielo è nuvoloso, l’aria è calda e umida…sono in Nord Africa.

Un breve tragitto in taxi che, fra grandi viali delimitati da alte palme e strette vie, mi porterà al Riad Amina, nella Medina di Marrakech. L’auto si ferma alla stazione dei taxi di Bab Taghzout da cui devo proseguire a piedi fra gli scuri vicoli, tutti uguali.  Sono arrivato e busso alla piccola porta d’ingresso.

Il Riad è molto carino, ben arredato, un’atmosfera tranquilla resa famigliare dal sorriso di Mariam, la padrona di casa, che mi da il benvenuto offrendomi  un buon bicchiere di te alla menta e qualche dolce tradizionale marocchino.

Riad, nome antico che significa giardino, è oggi sinonimo di Guest House di queste zone.  Il piccolo cortile alberato, adornato da qualche tavolino in ferro battuto e comodi divani in vimini, è arricchito da una piccola fontana in marmo colma di colorati petali di rosa.   Tutte le stanze si affacciano sul cortile e le sale interne sono ricche di tappeti e suppellettili forse antiche e quadri berberi.

Beh è ora di uscire alla scoperta di Marrakech e, armato di buona memoria, cerco di non perdermi fra i vicoli che portano alla Bab Taghzout da dove prenderò un taxi per questa mia prima serata marocchina.

In meno di dieci minuti arrivo alla Koutobia, la grande moschea al centro della Medina e, attraverso la Piazza Foucault, mi incammino verso l’irregolare e stravagante Piazza Djemma el-Fna, il cuore di Marrakech.

La Place è brulicante di gente, di colorate bancarelle che vendono frutta fresca e secca, spezie e articoli di artigianato marocchino e berbero, danzatori e suonatori. Al centro centinaia di bancarelle disposte in file compatte illuminate da lanterne da campeggio cuociono i cibi esposti e le volute di fumo creano una cappa caliginosa su quello che, senza ombra di dubbio, è il più grande ristorante all’aperto del mondo. Con molta efficienza ognuno cerca, talvolta in modo colorato e divertente, di accaparrarsi il maggior numero di clienti per una cena a base di brocchettes (spiedini alla griglia),  kefta (spiedini di agnello tritato e speziato), tajine ma anche couscous, pesce, verdure e, ovviamente, te alla menta per finire.

 

Dapprima disorientato dalla moltitudine di gente, dalle grida, dai suoni e dagli odori, mi rendo conto di quanto sia divertente questa piazza e decido di sedermi in una bancarella per la mia cena. Olive speziate, pesce fritto e tajine di verdure. Mangio divertito nel vedere come i “ristoratori” intenti a servire al meglio e con mille attenzioni i propri clienti, li abbandonino improvvisamente per accaparrarsi nuove prede che passeggiano curiose ed indecise su quale delle bancarelle consumare la propria cena.

 

Dopo l’ennesimo bicchierino di te alla menta mi addentro nei primi souk, quelli più facili, che circondano la piazza.  L’impressionante numero di negozi e bancarelle che vendono più o meno le stesse cose, l’odore di zafferano e cannella e tutti che mi chiamano invitandomi a guardare, mi rendono euforico ma mi trattengo limitandomi ad osservare apparentemente senza interesse, lasciando a domani il mio irrefrenabile desiderio di shopping.

Su Place de Foucault le carrozze caricano i turisti per i tradizionali tours lungo le mura della Medina mentre gli ospiti del Club Med pian piano rientrano nel sofisticato resort mescolandosi ai mendicanti sdraiati sui marciapiedi, in cerca di pochi dhiram o intenti a sbucciare piccole patate bollite.

Cammino fra la folla lasciandomi alle spalle la fumosa Djemma el-Fna, illuminata a giorno dalle mille luci delle bancarelle.

Per oggi il taxi è ancora il mezzo che preferisco sia perché sono un po’ stanco e sia perché non ho ancora imparato a districarmi fra i vicoli e vicoletti della Medina e non vorrei trovarmi a vagabondare per tutta la notte alla ricerca del Riad con l’unica certezza di non trovarlo.

Domani mi aspettano i souk e gli acquisti.

 

22 Ottobre 2004

La giornata non è bella, è nuvolo e fa caldo, e qualche goccia di pioggia sporca i marciapiedi…ma dura poco.

Mi avvio a piedi fra le vie della Medina cercando di ricordarmi la strada percorsa in taxi e raggiungo di nuovo la Piazza Djemma el-Fna che vedo tanto diversa da ieri notte. I danzatori berberi, nei loro tradizionali costumi colorati, gli incantatori di serpenti e gli acrobati hanno preso il posto delle bancarelle ambulanti dei ristoratori. Mi trovo a nord della Piazza e, passato il profumato mercato delle spezie ed il maleodorante mercato delle uova, dovrei incontrare Rue Semarine, che insieme a Rue Mouassine, è una delle principali strade del Souk di Marrakech.

 

Passo sotto il grande arco decorato che delimita l’ingresso al Souk Semarine ed entro nell’ampia e apparentemente ordinata via coperta da graticci sopraelevati che screziano il selciato con giochi di luci e ombra. Questa prima parte è dedicata ai prodotti tessili e di artigianato ed eccomi a parlare con il titolare de La Lampe d’Aladin, un antiquario che espone oggetti di ceramica, armi, gioielli e tappeti antichi molto belli ma anche molto costosi. Mi intrattengo incuriosito dagli stupendi pugnali  d’argento, finemente intarsiati ed arricchiti da pietre preziose e colorati velluti.

 

 

Intanto, fra un “…messieur, messieur…o un …amigo, amigo…” loschi personaggi mi offrono hashish o altra roba da fumare ma anche babouches, ceramiche e collanine.

Sono all’estremità del souk, ed oltrepassata Rue de la babouches, raggiungo il Museo di Marrakech, un palazzo dei primi del ‘900 appartenuto ad un ricco mercante ed ora adibito a spazio espositivo. L’ex hammam è delizioso e si presta molto bene come spazio per mostre fotografiche e stampe oltre che ideale rifugio dal caldo esterno. Il suo grazioso cortile riunisce un piccolo bar all’aperto ed una libreria. 

Di fronte al museo, la cupola moresca della Koubba Ba’adiyn, leggermente infossata rispetto al livello della strada, è il massimo esempio architettonico dell’era degli Almoravidi i fondatori di Marrakech.

Dopo questo intervallo culturale ed un rigenerante caffé, eccomi nuovamente a gironzolare nelle stradine del souk ed in particolare nella griglia degli inquietanti vicoli perpendicolari alla Rue Semarine. Le merci esposte sono sempre le stesse e mi chiedo come, un così gran numero di commercianti possa campare!  A taluni questo sembra non interessare vista la calma e la tranquillità con la quale restano comodamente sdraiati davanti o dentro le proprie botteghe.

Altri, più intraprendenti mi chiamano, mi si parano davanti impedendomi di proseguire obbligandomi ad entrare nelle loro botteghe tanto che sarebbe eufemistico dire di essere stato invitato o di essere entrato spontaneamente.

Mi incuriosiscono gli stretti vicoli dove non ci sono botteghe e mi piace l’idea di seguire qualche itinerario un po’ fuori programma dove è normale assistere a scene di vita quotidiana che contrariamente non si vedrebbero e così, spesso mi fermo a guardare pigri uomini, con i loro lunghi kaftani, alle prese con testardi asini che non ne vogliono sapere di spingere i carretti di legno carichi di sacchi o mercanzia varia, e osservo frettolosi burka tornare a casa con i piccoli sacchetti della spesa.  Le strade del souk sono una contrapposizione di caos e di pace, di colore e di anonimato e gironzolo senza pensare di perdermi perché l’idea di non ritrovare la strada del ritorno, in un certo senso mi affascina, come se ciò potesse o dovesse essere l’ingrediente principale di un’avventura in un souk…ma non mi perdo e riesco a capire sempre dove sono o dove quel vicolo mi porterà.  L’insistenza di strani personaggi a volermi accompagnare in una direzione, in una via o chissà dove mi innervosisce un po’ e, dopo i tanti rifiuti, cambio strada ma, come per magia, i loro volti mi si ripresentano davanti, ancor più insistenti di prima.

Il mio zizzagare fra vicoli e vicoletti mi porta verso la zona dei tappeti.  Sto cercando il passaggio alla Criée Berbère (asta berbera), la zona semi nascosta e buia dove si rifugiano oggi i mercanti di tappeti e che, fino a buona parte del XX secolo, era utilizzata per la compravendita degli schiavi. Capire di essere in un souk anziché in un altro non è semplice ma, data la grande quantità di tappeti e stoffe che scendono dai piani superiori dei negozi, sono certo di trovarmi nella zona giusta e comincio a guardarmi intorno, attento a non farmi sfuggire nulla.  Qui si trovano molte botteghe di antiquari e venditori di tappeti moderni ed antichi ed è proprio in una di queste vie che trovo La Port D’Orient.  Il vecchio proprietario mi accoglie con rispetto e cortesia e mi conduce, attraverso un basso passaggio a volta, nel suo “atelier du tapis”. Montagne di tappeti accatastati occupano gran parte della sala, lasciando posto soltanto a due piccoli divani ed un tavolino.

Le pareti sono completamente ricoperte di tappeti, grandissimi e sicuramente molto pregiati. I colori confondono la vista. C’è un atmosfera d’altri tempi che mi piace moltissimo e stimola la mia curiosità oltre che il desiderio di acquisti.

Il vecchio commerciante, viso scarno, colorito olivastro, un po’ curvo ma molto dinamico, in un inglese strascicato, mi invita ad accomodarmi offrendomi del te alla menta. 

Un si tale personaggio non sarebbe completo se non avesse il suo fido servitore: Abdul, arriva con un vassoio e serve il te.

Comincia la rassegna dei tappeti che Abdul apre sul pavimento; grandi, piccoli, colorati, antichi. Pur apprezzandoli, non trovo ciò che sto cercando e, con un po’ di fatica, tento di descrivere quello che voglio…ed ecco finalmente un bellissimo Royal, sfondo blu chiaro e sobri disegni in blu scuro.

Comincia la trattativa estenuante, una botta e risposta di cifre che culminerà nell’acquisto del pezzo.  Finalmente un tappeto per la mia piccola casa che Abdul confezionerà in maniera perfetta per il trasporto e sarà proprio lui ad accompagnarmi al taxi.

Una piccola sosta al Riad per depositare il tappeto e via ancora per i souk. Sandali in cuoio e ceramiche saranno i prossimi acquisti di questa soddisfacente giornata. Anche il tempo sembra essersi rimesso ed una bellissima luna splende sopra l’illuminata torre della Koutobia.

Sono solo e non ho voglia di rinchiudermi in qualche ristorante, quindi ripeto l’esperienza della sera precedente e mi immergo tra i fumi delle cucine ambulanti per assaporare brochettes, Kefta e melanzane.

E’ quasi mezzanotte e molti cominciano a chiudere…ma la piazza è ancora un grande palcoscenico. Mi siedo su una panchina e guardo.

 

23 Ottobre 2004

Palais El Badi, Palais de la Bahia e le Tombe Saadiane: questo il programma di oggi.

La zona dove sono situati la maggior parte dei palazzi è quella della kasbah, che occupa la parte sud della Medina, meglio nota come quartiere ebraico.

Uscito dal Riad mi incammino verso la Moschea della Koutobia dalla quale proseguo in direzione de la Place des Ferblantiers percorrendo la grande Avenue Houmann El Fetouaki. C’è gran fermento e in tutta la città riecheggia la voce modulata del Muezzin che, attraverso gli altoparlanti, chiama i fedeli alla preghiera coranica.

Il Palazzo El Badi è in fondo ad un piccolo vicolo e la sua entrata è costretta fra alte mura che servivano a tenere la Medina ad una distanza ossequiosa dalla proprietà reale.

Quel che resta oggi del palazzo del Sultano Ahmed El Mansour sono solamente le mura esterne, parte delle vasche dove un tempo furono i giardini ed il Padiglione delle cinquanta colonne. Molto interessante è il sito archeologico nel quale sono visibili stanze e cunicoli trogloditi.

Non c’è molta gente all’interno del Palazzo e la mia visita procede salendo le grandi scalinate che conducono alla terrazza dalla quale si gode uno stupendo scorcio della Medina e della Catena dell’Atlante.

I grandi bastioni bucherellati sono decorati, alle loro estremità, dai nidi cespugliosi  delle cicogne.

Ritorno verso la strada degli ulivi per raggiungere il Palazzo de la Bahia.

Il lungo viale che conduce all’ingresso del palazzo è orlato da alte piante di bambù e banani in fiore e lungo il tragitto si incontrano una serie di cortili interni, porticati, padiglioni ed ampie sale di ricevimento costruiti in stile moderno smorzato da decorazioni marocchine in gesso scolpito e cedro intagliato.

 

 

Mi restano le Tombe Saadiane, l’ultimo appuntamento di oggi. Le tombe si trovano a ridosso del muro dell’antica Moschea Kasbah e sono raggiungibili attraverso la Porta Bab Agnaou.

Per accedere al giardino interno, cinto da mura, che contiene le tombe sacre dei sultani saadiani si deve passare da uno stretto passaggio interno. Sparse per il boschetto ci sono molte tombe decorate con colorati mosaici ma l’identità dei morti è andata da tempo perduta.

 

I tre padiglioni principali rappresentati dalla Sala delle Dodici Colonne e dalla Sala delle Preghiere, costituiscono l’unica vera attrazione di questo luogo sacro che nell’insieme della sua ambientazione, sembra assomigliare più ad un piccolo cimitero di campagna che ad un luogo storicamente importante.

La veloce visita alle Tombe conclude il mio programma e, lungo la trafficata Rue Kasbah, mi fermo a guardare un negoziante – vorrei fotografarlo ma non ci riesco –  intento a frantumare a colpi di accetta una parte di animale non ben identificabile, mentre di fianco alcune eleganti signore francesi ammirano la mediocre mercanzia di un anonimo negozio di souvenir locali.  Marrakech ha saputo mantenere intatti determinati elementi tipici della cultura e della tradizione marocchina, nonostante che l’affluenza dei molti visitatori provenienti da tutto il mondo, abbia creato una serie di attività che gravitano esclusivamente intorno all’industria del turismo che qui, come altrove, è fiorente ed indiscutibilmente utile alla popolazione locale; e così le piccole botteghe artigiane dei fabbri si mescolano con i bazar per turisti, i piccoli carretti di legno trainati da pigri somari si fanno strada fra il traffico di pullman e taxi, i bimbi in tenuta scolastica si mescolano fra i mille curiosi provenienti chissà da dove. 

Vorrei entrare nel cimitero che si trova appena fuori dalla Porta Bab Agnaou ma un cartello mi impedisce di entrare. E’ uno spazio enorme pieno di tombe, non un albero non un fiore.  Proseguo per il grande viale esterno alle mura della Medina ma il caldo è fortissimo e preferisco rientrare nei vicoletti freschi alla ricerca di qualche scorcio da immortale.

La giornata termina ed una sosta alla Piazza Djemma el-Fna è d’obbligo. Mi siedo ad un tavolino della terrazza del cafè de France dalla quale si gode un panorama bellissimo mentre i carri degli ambulanti pian piano si sistemano e le prime luci dei bazar si accendono. E’ di nuovo sera ed è di nuovo festa.

 

24 Ottobre 2004

Ancora una bella giornata di sole e la mia destinazione di oggi è Geliz, la parte nuova di Marrakech.

Grandi viali, alti palazzi con lunghi portici art decò sui quali si affacciano spaziosi bar, banche, sedi di compagnie aeree e negozi di vario genere; alcuni dei più noti negozi di antiquariato della città si trovano qui e, tanto per non smentirmi, eccomi alla ricerca delle loro vetrine.

Place Abdel Moumen è considerata la Piccadilly Circus di Marrakech. E’ il fulcro di una zona di caffè, bar ristoranti e locali notturni.

L’atmosfera che si respira in questa parte della città è certamente differente, più anonima talvolta resa triste dal poco traffico di persone o da ambigui volti maschili seduti ai tavolini di squallidi bar.

Ma Geliz non è solo cemento e grandi strade, ma anche verde e grandi giardini. I celebri Giardini Majorelle, attualmente di proprietà di Yves Saint Laurent, ne sono un esempio evidente. L’accostamento di colori è sorprendente, le piante risaltano contro uno sfondo del famoso blu Majorelle controbilanciato da tenui ocra e rosso mattone.

Macchie di bambù rumoreggiano nella brezza leggera, palme grandiose torreggiano su tutto a protezione degli antichi cactus.

La  casa del noto artista francese tinta anch’essa di blu contrasta con il bianco e l’ ocra di finestre e  porte in stile orientaleggiante.

Ancora qualche acquisto e rientro in riad in quest’ultimo pomeriggio marocchino con i ricordi di un breve ma intenso viaggio che mi ha fatto sentire ancora una volta protagonista libero e cittadino di uno scorcio di mondo che ancora non avevo visto.

 

Viaggiare significa conoscere, scoprire, capire culture e popoli spesso molto lontani

       dal nostro mondo ma non solo. Significa anche conoscersi, scoprirsi e capirsi.

                          Chi, come me, ama viaggiare comprenderà il significato delle mie parole.

 

  

 

   

Marrakech: fra souk e modernità

 

 

Marco Monottoli   cmvsas@tin.it

 

 

 

 

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