Marocco
Una
tavolozza di colori pastello
Diario di Viaggio 2004
"Dio, tè alla menta, non c'è problema", ovvero, se Dio vuole anche oggi avremo il nostro tè alla menta, che problema c'è. La sintesi perfetta della filosofia di vita di questo popolo, ciò che più d'ogni altra cosa unisce e fonde le due anime di questa terra, la cultura araba e la cultura berbera, perché tutto accade se Dio lo vuole e qualunque problema può essere risolto davanti ad una tazza fumante di tè alla menta. Non lo troverete scritto da nessuna parte, al contrario del motto ufficiale "Dio, Patria, Re" dipinto a caratteri cubitali lungo le principali vie di comunicazione, ma credetemi, non se ne potrebbe coniare uno più vero di questo dopo aver trascorso due settimane in questa magnifica terra, che sa regalare ad ogni angolo contrasti stupefacenti. Immersi in un caleidoscopio di immagini e sensazioni colorate, con il giallo dorato del deserto che si fonde nel verde smeraldo dei palmeti, l’ocra delle kasbah che rifulge sui profili argentei di cime ammantate di neve, dove mille sfumature porpora ondeggiano tra le pieghe di un caffettano mosso da una leggera brezza, e dove il bianco candido delle antiche medine intonacate a calce si riflette negli spicchi di blu cobalto che appena si intravedono tra i tetti delle case. E quel caliginoso silenzio, così grave di echi remoti, che d'un tratto prende vita ed inizia ad animarsi, nelle frasi bisbigliate dietro una finestra socchiusa, nei grani d'un rosario che scorrono preghiera dopo preghiera, nel lento strascicare d'un vecchio che ti soppesa da lontano, e mentre cresce si fa armonia fino a esplodere nelle voci d’un mercato, nei rumori delle botteghe, qui il ritmico andare di un telaio, la il tonfo sordo del martello che incontra il metallo, li il leggero ticchettio dello scalpello che incide la pietra. In uno spazio che non esiste e di cui tu stesso sei parte vitale, mentre tutto appare e svanisce lentamente, ora al passaggio d'un carretto trainato da un somarello, ora a inseguire una frotta di ragazzini che si rincorrono vociando, ora nella fila disordinata dei turisti che procedono a fatica tra i banchi della via. Questo è il Marocco, un connubio di antico e moderno che sono parte dello stesso modo di sentire la vita, in un alternarsi di opposti, di bianco e di colore, di spazi sconfinati e di vicoli affollati, di cime vertiginose e di pianure assolate, di sapori dolci e di gusti agri, in uno scivolare di percezioni che si accavallano e si rincorrono lasciandoti senza fiato. Sono riuscito a darvi appena un'idea di quello che potete aspettarvi arrivando qui ? e allora, lasciatevi guidare...
21 Marzo 2004 Genova - Bologna - Marrakech
Si parte. Con un po’ di fortuna, o
come si dice per una serie di circostanze legate al caso, riesco a staccare
l'ultimo biglietto aereo disponibile per Marrakech, per partecipare insieme ad
altri compagni di ventura al Gran Tour del Marocco di Francorosso. Uno dei giri
più completi che si possano trovare in merito ( a meno di organizzarselo da
soli ), due settimane di full immersion in lungo e in largo per il paese. E il
caso stavolta mi ha assegnato l'aeroporto di Bologna, poco male da li non sono
mai partito, lo annovererò tra le esperienze del viaggio. E' mattina presto,
quando in treno mi lascio alle spalle i silenziosi vicoli di Genova, una città
il cui centro storico non sfigurerebbe al confronto della più affollata medina
marocchina. La città di Bologna non smentisce la sua fama d’efficienza ed in
men che non si dica, anche di domenica, traghetto in bus dalla stazione
ferroviaria al check-in dell'aeroporto di Borgo Panigale, in attesa del volo
della Royal Air Maroc che ci porterà in meno di quattro ore a Marrakech, un
nome che da solo è in grado di evocare racconti da mille e una notte, ed
infatti sull'aereo scopro che ci sono persone partite per trascorrere li anche
solo due o tre giorni. All'arrivo ci attende una temperatura quasi
freddina ( ma chi l'ha detto che in Marocco si muore sempre di caldo, l'inverno
c'è anche qui e non scherza affatto ), la solita sfoltita al gregge e via
ai pullman Gran Turismo assegnati per i vari tipi di tour in partenza. Ora
vorrei chiarire, una volta per tutte, che il termine Gran Turismo assume
significati e connotazioni differenti secondo la nazionalità dei
passeggeri trasportati, infatti, se questi sono italiani inizia a colorarsi di
mille sfumature fino a comprendere un qualcosa che è una via di mezzo tra un
pullman turistico di vetusta età e un "ma che ce ne frega, tanto noi
ci adattiamo a tutto", che poi in parte questo è anche vero, forse perché
in noi "il senso del viaggio" porta in maniera naturale a cercare
d’essere un po' più viaggiatori che semplici turisti. E ai piedi della
scaletta del famigerato mezzo ci attende la nostra guida marocchina, il mitico
Saâd, guida nazionale diplomata ed accompagnatore in varie lingue tra cui
l'italiano, nonché la controfigura del bravo Tomas Milian quando recitava nei
panni dell’ispettore di polizia Nico Giraldi, il famoso er Monnezza. Eh…non
c'è niente da fare, penso sia una cosa insita nel modo di fare arabo, quel mix
di simpatia e cortesia che alla fine ti lascia sempre in dubbio su tutto. Ti
hanno guidato dove volevi andare o sei arrivato lì perché faceva comodo a
loro, …è vero che non abbiamo più tempo e che dobbiamo correre, ...ma è
proprio quello il miglior prezzo che potevo spuntare, …e lì, è davvero il
caso di non avventurarsi da soli, e..., ma d'altra parte se hai una guida devi
lasciarti guidare e tutto il resto diventa parte del viaggio, dopo tutto per il
nostro Saâd il compito più importante era quello di farci arrivare sani e
salvi sulla scaletta dell'aereo che ci avrebbe riportato in Italia da li a due
settimane. Ciao Saâd, buona fortuna (a proposito del libro che ci hai
consigliato di comprare per approfondire la conoscenza della cultura berbera
"La Stella verde" di Mark Parentis, edito dalla Fabbri di Milano,
nessuno ne ha mai sentito parlare, ho perfino chiamato la Fabbri stessa, ma
forse è meglio così, non esistono libri che possono spiegarti ciò che
comunque non riusciresti mai a comprendere fino in fondo). E' ormai pomeriggio
inoltrato quando arriviamo in albergo, il moderno Atlas in ave de France nella
ville nouvelle di Marrakech, sulle montagne che stringono d'attorno la
città la neve non si è ancora sciolta e l'aria che si respira non lascia
presagire l'imminente arrivo della primavera. Siamo in anticipo sul top della
stagione turistica, ma abbiamo dalla nostra un clima migliore per girare ed un
minor numero di comitive da dover incrociare, sperando solo che Giove pluvio
abbia esaurito tutte le sue riserve d'acqua.
22 Marzo 2004 Marrakech
- Essaouira
Primo giorno di tour e subito in cammino verso la costa
atlantica, lasciamo Marrakech che ritroveremo al termine della seconda settimana
come la classica ciliegina sulla torta. Fuori della hall ci attende il nostro
bus, inutile sperare che nella notte sia stato sottoposto ad un restyling
straordinario, tutti a bordo con un tempismo quasi perfetto e via con il
tradizionale rituale della conta dei presenti, tante volte qualcuno fosse salito
su uno di quei super deluxe con cui girano francesi e tedeschi, tentando
di bleffare invano sulle origini altoatesine del suo cognome. Ok, ci siamo
tutti. Cosa facile a dirsi, meno facile a doversi stabilire per il povero
aiutante di Saâd ( un simpatico ragazzo marocchino che ci accompagnerà durante
tutto il viaggio e che come scopriremo più avanti vivrà per due settimane in
perfetta simbiosi con il mezzo meccanico, custodendolo, pulendolo e dormendoci
dentro a scanso di equivoci ), che in ogni occasione eseguirà questo compito
con uno scrupolo assoluto, passando a contare e a ricontare, avanti e
indietro per il corridoio, almeno una decina di volte. Probabilmente sempre con
un risultato diverso, perché al fine solo con un grande sforzo di auto
convincimento riusciva a dare il via per la partenza. Questo aneddoto mi dà lo
spunto per introdurre uno dei più grandi misteri di cui non siamo riusciti a
venire a capo al termine delle due settimane, il funzionamento del sistema
scolastico marocchino. E non perché ci sia motivo di metterne in dubbio la
validità, ma perché in qualunque parte del paese fossimo, ad una qualunque
delle ore del giorno ( mattina presto, mezza mattinata, mezzogiorno, primo
pomeriggio, pomeriggio inoltrato, sera tardi ), non mancava mai di incontrare
frotte di bambini di tutte le età andare e venire dalla scuola, in un festoso
happening di corse e scherzi. Siamo perfino arrivati a pensare che avessero
regolato il suono delle campanelle con l'orario dei nostri passaggi, o che
magari avessero organizzato delle staffette volanti per avvisare del nostro
imminente arrivo, mah... A parte gli scherzi siamo arrivati alla nostra prima
sosta, una visita fuori programma che si rivelerà molto interessante. Ci
fermiamo nel paesino di Sidi Moktar, sulla provinciale P10, per visitare
un autentico mercato berbero che si tiene una volta la settimana e che per
nostra fortuna ( o meglio per la volontà di qualcuno in alto, come ci ricorda
il buon Saâd ) si svolge proprio oggi. Siamo l'unico pullman turistico
insieme con una miriade di carrettini trainati da piccoli somarelli, il mezzo più
popolare tra la gente del posto, custoditi in un apposito parcheggio. Ci
accodiamo al nostro Saâd ed entriamo nel recinto del mercato, compiendo al
contempo un bel balzo indietro nel tempo, a contatto con tradizioni e modi
radicati da chissà quante generazioni. Il mercato si tiene all'aperto ed ognuno
espone la sua mercanzia direttamente per terra, disposta alla bell'e meglio su
sacchi di iuta, spezie, ortaggi, frutta, oggetti e articoli per la casa,
vestiti, scarpe e quant'altro, ci sono anche dei banchi fissi in muratura
utilizzati per esporre e vendere vari tipi di carne che nugoli di mosche
s’incaricano di assaggiare in anticipo, mentre leggermente in disparte si
trovano enormi pentoloni fumanti in cui vengono immersi i polli per essere
spiumati. Passiamo attraverso la folla neanche fossimo invisibili, e così
abbiamo modo di osservare la reale natura del luogo senza ulteriori
sovrapposizioni per turisti. Ognuno sembra interpretare un personaggio ed alcuni
fanno parte di quelle rappresentazioni classiche che ci si potrebbe aspettare di
vedere in una piazza del medioevo, come il cantastorie e l'incantatore di
serpenti, versione moderna degli antichi giullari, o come il venditore d'acqua,
che gira bardato nel suo costume caratteristico portando a tracolla l’orcio di
pelle di pecora, testimone d’un mestiere completamente scomparso. Ed è un
continuo salutarsi e stringersi le mani, in un evento in cui fare la spesa (
attività che vede quasi del tutto assenti le donne, come se qui andare al
mercato fosse una prerogativa esclusivamente maschile ) sembra solo il pretesto
per incontrarsi e tenersi aggiornati sulle ultime notizie del circondario. Ma
quando il discorso scivola verso qualcosa di più intimo e personale, ecco che
allora fanno ricorso ad un antico linguaggio muto, un metodo secolare escogitato
dai berberi e che attraverso il contatto fisico delle mani è in grado di
esprimere in maniera silenziosa quello che altri non devono sentire, per questo
non meravigliatevi, se venendo da queste parti vi capiterà di vedere uomini che
camminano tenendosi per mano, perché in realtà si stanno parlando. Ripartiamo
poco dopo alla volta di Essaouira, con la soddisfazione di essere riusciti ad
intrufolarci, anche solo per poco, in una realtà veramente autentica. Attraversiamo
ora una zona con estese coltivazioni di olivi ed agrumi, mentre sui bordi della
strada pascolano tranquilli greggi di capre, prima che il caldo e la mancanza
d'acqua le costringano a cercare nutrimento, abili arrampicatrici, sulla cima
delle basse piante di argan ( una pianta officinale largamente utilizzata in
erboristeria ) per cibarsi delle foglie più tenere. Ogni tanto il profilo della
pianura è interrotto dalla presenza di qualche piccolo gruppo di case,
ingegnoso il modo che hanno di realizzare i covoni di fieno, fatti a forma di
casa con il tetto spiovente e ricoperti interamente di argilla per proteggerli
dall'acqua piovana. Arriviamo cosi sulla costa atlantica, a questa latitudine
particolarmente battuta dal vento. Siamo a Essaouira, cittadina che deve
la sua fama, come ci ricorda Saâd, oltre che alla sua bella e lunga spiaggia di
sabbia anche alla rinomata e apprezzata lavorazione artigianale del legno, in
particolare quello della Tuia, un albero della famiglia delle cupressaceae
che fornisce una materia prima leggera e resistente.
Tutto ciò le conferirebbe anche il titolo, sempre a detta di Saâd, di posto
meno caro dove acquistare oggetti ed artigiano in legno, sarà anche vero, ma se
iniziamo a comprare già adesso alla fine delle due settimane occorrerà
acquistare anche una valigia supplementare ( cosa che poi accadrà puntualmente
) per portare a casa tutti i souvenir. A mio avviso Essaouira è soprattutto un
ottimo punto di partenza per iniziare a visitare il Marocco, perché offre, pur
nel pieno rispetto del suo essere araba, un impatto più soft che altrove. La
medina, con i souq, i vicoli contorti, le botteghe degli artigiani ( in cui è
possibile fermarsi ad ammirare l'abilità delle tecniche di lavorazione ), ha un
aspetto tranquillo e non molto affollato, ed è possibile gironzolare qua e la
senza l'assillo di dover continuamente porre un cortese diniego alle offerte di
acquisto. La parte vecchia della città è chiusa verso il mare dai possenti
bastioni della fortezza portoghese, testimone dell'antica dominazione, su cui si
può salire per godere di un bel panorama della costa, mentre rabbiose onde
s’infrangono sugli scogli sottostanti. Proseguendo lungo le mura,
attraverso uno stretto vicolo, si arriva nella grande Piazza Moulay Hassan
animata da numerosi e simpatici localini, ancora pochi passi e si arriva al
mercato del pesce rinomato per la sua quotidiana vivacità, nei pressi piccoli
ristoranti ambulanti servono invitanti grigliate di pesce, crostacei e granchi
enormi, mentre alle loro spalle nugoli di gabbiani volteggiano bassi attirati
dall’incessante lavorio degli uomini intenti a pulire il pescato che da lì a
poco passerà direttamente sulla griglia. Questo è anche uno dei punti migliori
per ammirare il profilo della città vecchia, una chiazza di bianco, sospesa tra
l’azzurro del cielo e del mare. Attiguo al mercato del pesce si apre il
piccolo porto, dove ancora oggi abili artigiani costruiscono le tipiche
imbarcazioni di legno utilizzate per la pesca. E' passato da poco il
primo pomeriggio, quando ci avviamo verso l’albergo. Contrariamente al
programma originale, che prevedeva di arrivare nella giornata fino a Safi, ci
fermiamo a dormire a Essaouira, perché, come ci informa Saâd, l'albergo
previsto dal tour è in fase di ristrutturazione ed è meglio evitare di andare
incontro a inutili problemi. Una combinazione del caso? La volontà di qualcuno
in alto di riservarci per domani i 130 Km previsti per oggi? Un improvviso
overbooking alberghiero in una città, Safi, di mezzo milione di abitanti? Ma
d'altra parte, non siamo soliti dire anche noi che le vie del Signore sono
imperscrutabili, e poi così il viaggio si uniforma di più al modo di pensare
arabo, se Dio vuole .......... chissà cosa ci riserverà il domani.
23 Marzo 2004 Essaouira - Safi - El Jadida – Casablanca
Lasciamo Essaouira e sulla vecchia
provinciale che costeggia il litorale iniziamo a risalire la costa atlantica
meridionale, chilometri di sabbia scura punteggiata da piccole dune che a stento
sembrano riuscire ad arginare un mare rabbioso e ribollente. Il panorama scorre
fuori del finestrino lasciandosi alle spalle piccoli appezzamenti, ricavati così
a ridosso del mare che paiono dover essere inghiottiti da un momento all'altro.
Qui viene coltivato un tipo di cipolla che per la composizione chimica del suolo
e la vicinanza dell'acqua salata assume un gusto particolarmente apprezzato in
cucina. La zona è scarsamente abitata e la presenza di vita si divide tra
sparuti gruppi di case e greggi di pecore e capre che brucano indisturbati. Siamo
quasi in vista di Safi, quando in prossimità del paesino di Souira Kedima,
una località che si sta rapidamente sviluppando come centro balneare, ci
ritroviamo la strada improvvisamente sbarrata da un mercato, ma nel senso
letterale del termine in cui la normale carreggiata può prestarsi a diventare
temporaneamente una via pedonale tra due file di banchi e bar allestiti sotto le
tipiche tende berbere. E' un mercato locale settimanale, ci spiega Saâd, che
normalmente si tiene in un altro giorno, ma che in via eccezionale è stato
anticipato per la concomitante giornata dedicata alla festa dei bambini, in cui
si è soliti regalare caramelle e dolciumi ai più piccoli. Allora è
questo lo spettacolo che ci ha preparato la sorte, rimandano ad oggi i
chilometri del giorno prima, una ventina di minuti abbondanti a passo di
formica, incollati al finestrino a guardare quello che avviene fuori, con quelli
di fuori intenti ad osservare noi che per una volta assurgiamo al ruolo di
osservati da quello di osservatori. In effetti, bisognerebbe meditare sul fatto
che quando andiamo in giro per il mondo a curiosare in casa d'altri, sia da
viaggiatori indipendenti che con un tour organizzato, in fondo andiamo sempre un
po’ a rompere i "maroni". Finalmente riprendiamo il viaggio
arrivando poco dopo a Safi, una città dall’impronta moderna dedita
principalmente alla pesca e alla produzione di fosfati di cui è ricco il
sottosuolo. Il primo impatto non è dei più piacevoli ed arrivando da sud la
città ci accoglie con il suo grande complesso industriale, eredità dello
sviluppo avviato agli inizi degli anni '60 da Enrico Mattei, dove alte volute di
fumo biancastro che sbuffano verso il cielo azzurro, per fortuna, a detta di Saâd,
sembra che il complesso sarà presto trasferito in una zona più idonea, ammesso
che ne esistano per tali mostri. Il luogo era già conosciuto all'epoca dei
fenici e dei romani, ma la fondazione della città vera e propria avviene nel
XII secolo per volere della dinastia dei sultani almohadi. Uno dei principali
motivi di interesse è la ceramica, apprezzata e conosciuta come una delle
migliori di tutto il Marocco, e la cui produzione avviene ancora oggi
all’interno di antichi forni che senza dubbio meritano una visita. Sul
lungomare della città si staglia l'antica fortezza portoghese di Qasr al-Bahr,
costruita nel 1508 a protezione del porto, appena dietro ha inizio la medina con
i suoi souq colorati. Uscendo dalla porta settentrionale della medina stessa,
Bab Chaba, si arriva a piedi d’una bassa collina, qui, arrampicandosi sulle
strette viuzze, si può curiosare tranquillamente nei laboratori tra gli
artigiani al lavoro, osservando le antiche tecniche di cottura della terracotta
rimaste immutate da secoli. Lasciamo Safi e riprendiamo il viaggio lungo il
litorale atlantico, il panorama si fa via, via più aspro e la costa sabbiosa si
alterna a lunghi tratti rocciosi con alte falesie stratificate. Passiamo accanto
a piccoli campi di grano dorato, separati dal mare solo da sottili strisce di
sabbia rossa incessantemente sferzate dalle onde del mare, e poi a file
ininterrotte di serre, non ci sono dubbi su come hanno saputo sfruttare al
meglio la poca terra coltivabile di questa zona. Ci fermiamo per il pranzo a Oualidia,
nota località balneare stretta tra il mare e una laguna in cui nidificano varie
specie di volatili. Dopo il pranzo riprendiamo la strada verso la nostra
prossima meta, la città di El Jadida, mentre la costa cambia ancora e per un
lungo tratto il nastro d’asfalto lucido sfila accanto a una laguna interna
sfruttata per ricavarne delle saline. Arriviamo a El Jadida che è ormai
pomeriggio inoltrato. La città fondata nel 1513 con il nome di Mazagan è uno
dei migliori esempi di architettura militare portoghese in Marocco, anche se in
parte fu distrutta nel 1769 durante l'assedio del sultano Sidi Mohammed ben
Abdallah, quando i difensori stessi ne fecero saltare gran parte dei bastioni,
prima di abbandonarla al suo destino. Una delle principali attrazioni è la
famosa Citerne Portugaise ( Cisterna Portoghese ), costruita nel 1541 per
la raccolta dell'acqua piovana si trova all'interno della vecchia cittadella in
Rue Mohammed Ahchemi Bahbai. Un soffitto a volte, sorretto da venticinque
colonne, che specchiandosi sull'acqua crea un insieme di effetti suggestivi,
immortalati da Orson Welles nel famoso film Otello, peccato che durante la
nostra visita la cisterna fosse vuota e gli effetti in parte sfumati. Terminiamo
la visita di El Jadida con una passeggiata lungo gli antichi bastioni,
godendo della vista del mare e della città dall'alto, prima di proseguire il
viaggio verso l'ultima meta della giornata, la città di Casablanca. Mentre
raggiungiamo il nostro albergo passiamo accanto al luogo dove nel 2003 è
avvenuto il tragico attentato che è costato la vita a numerose persone, la hall
e l'ingresso sono ancora presidiati da un nutrito numero di poliziotti e
militari, si stringe il cuore al pensiero di quei tragici eventi che hanno
trasformato un momento di piacere in una tragedia. Sono sempre più convinto che
viaggiare sia anche un modo per avvicinarsi a culture diverse, per una pacifica
convivenza su questo piccolo pianeta chiamato Terra. Dopo cena uscita
fuori programma per ammirare Casablanca sotto una luce diversa, in particolare
la grande moschea di Hassan II che deserta e con l'illuminazione notturna assume
un fascino tutto particolare, e per finire la serata cosa c'è di meglio che
bere un drink nel bar dell’Hotel Hyatt, quello del film famoso di Humphery
Bogart, dove c’è sempre un Sam di turno che suona l'ultima canzone.
24 Marzo 2004 Casablanca
– Rabat
Dedichiamo
la mattina alla visita di Casablanca, Anfa in arabo, la città più
grande del Marocco e quella in cui si avverte maggiormente l'influenza
dell'occupazione francese, con uno stile di vita più vicino ai gusti
occidentali. L'architettura coloniale dei palazzi, l'eleganza dei viali e dei
parchi, la rendono nell'aspetto simile a una metropoli europea dall'aria un
po’ rètro. Iniziamo il giro da Piazza
Mohammed V, il fulcro della ville nouvelle di Casablanca. Qui si
possono ammirare alcuni dei più bei palazzi in stile moresco risalenti al
periodo coloniale, come il palazzo della Posta, il Tribunale, l'Ancienne
Prefecture ed il Consolato Francese. Dopo una breve visita ad un mercato
coperto, ricco di vita e colori, riusciamo ad intrufolarci, grazie ai buoni
uffici della nostra guida Saâd, in un palazzo governativo per ammirare la
stupenda architettura araba dei suoi ambienti e dei suoi patii, proiettati in un
attimo dal caos cittadino all'interno di un'oasi di pace e tranquillità.
Proseguiamo la visita della città ammirando dall'esterno il Palazzo
Reale di Casablanca. Il
sultano ne possiede uno in ogni principale città del paese, purtroppo non sono
visitabili all’interno, anche se sembra, a detta di Saâd, che prossimamente
alcuni saranno aperti al pubblico, il potere del ritorno economico del turismo.
Successivamente visitiamo la moderna chiesa cattolica di Notre Dame de Lourdes,
al cui all'interno si possono apprezzare delle belle vetrate artistiche,
terminando la mattinata con la spettacolare Moschea
di Hassan II, proiettata con la sua mole imponente direttamente
sull'oceano. Costruita per volere del sultano Hassan II, padre dell'attuale
Mohammed VI, la moschea è il terzo monumento religioso più grande al
mondo. Il progetto dell'architetto francese Michel Pinseau fu portato a termine
nel 1993 dopo più di cinque anni di lavoro, per una spesa complessiva che si
vocifera si sia aggirata sui 600 milioni di dollari, elargiti per lo più dalle
casse pubbliche. Certamente, dopo aver visitato il Marocco, qualcuno sarà
portato a chiedersi se tutta quella montagna di dollari non potesse essere
impiegata meglio, ma d'altra parte, quando costruirono San Pietro credete non ci
fosse qualcos’altro di più urgente da realizzare? La moschea è comunque un
gioiello di tecnologia, con il minareto di 210 mt. d’altezza, le porte
elettriche ed il tetto che si può aprire completamente. Per poterne visitare
l'interno, è una delle poche moschee aperte agli stranieri, è obbligatorio
partecipare ad una delle visite guidate che partono ad orari prefissati.
Purtroppo ho dovuto rinunciarvi a malincuore, sia perché non previsto dal
programma originale Francorosso e sia perché la nostra buona guida Saâd
sembrava quasi sconsigliarlo, facendo così propendere la maggioranza del gruppo
verso un'esplicita rinuncia, peccato! Dopo il pranzo in uno dei ristoranti del
famoso lungomare di Casablanca, il boulevard de la Corniche una delle zone più
"in" della città, riprendiamo il viaggio verso la nostra prossima
meta, la capitale Rabat. Attraversiamo la degradata periferia di
Casablanca e lungo la strada costiera percorriamo i 100 Km scarsi che ci
separano da Rabat, dove arriviamo nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per fare
un giro nell’antica medina del XVII sec. Il
contrasto con il traffico e i rumori di Casablanca è cosi
stupefacente che ci permette di apprezzare ancora di più la passeggiata tra le
antiche case intonacate a calce. Eleganti portoni di legno intarsiato, graziose
fontane decorate con piccole maioliche, rari passanti nei loro colorati
caffettani, tutto contribuisce a fare di questo intricato dedalo di vicoli un
luogo dall’atmosfera tranquilla e rilassata. Cui si aggiunge un tocco di
mistero con quelle piccole finestre di legno a mezzaluna completamente chiuse
tranne che per un piccolo foro centrale. Osservatorio privilegiato che
permetteva anticamente, in un tempo in cui le donne non erano solite uscire
molto spesso di casa, di poter scrutare, senza esser visti, ciò che avveniva di
fuori. Chissà, forse proprio in questo momento qualcuno sta spiando da dietro
il nostro passaggio. Mentre continuiamo a seguire un invisibile percorso,
sostando ad osservare l'alacre lavoro degli artigiani indaffarati nelle loro
piccole botteghe, piano, piano il vociare e l'animarsi della via aumentano. E’
il segnale che stiamo arrivando nella più viva della medina, con la grande
moschea ed il mercato, che per certi versi sembra essersi fermato agli inizi del
secolo, come nell’angolo dove operano gli scrivani, sui cui tavoli fanno bella
mostra polverose macchine per scrivere Olivetti che da noi troverebbero posto
solo in museo della tecnologia. La visita della medina di Rabat, in cui si
può tranquillamente girare senza venir assediati da venditori d’ogni specie,
è uno dei ricordi più piacevoli del viaggio e anche se è tenuta in minor
considerazione, rispetto ad altre più grandi ed antiche, merita senza dubbio
una visita.
25 Marzo 2004 Rabat
– Fès
Oggi il
cielo è plumbeo, anche se fortunatamente la pioggia sembra rimanersene appesa
lassù in alto. Trascorriamo la mattina nella visita di Rabat, capitale
del Marocco dal periodo coloniale francese, iniziando dal complesso del Palazzo Reale situato all'interno di una vasta area cinta da mura.
Accediamo dall'ingresso nei pressi della porta Bab ar-Rouah ( porta dei venti ),
una delle porte della città rimaste dal tempo della dinastia almohade. Del
complesso fa parte, oltre al palazzo vero e proprio, anche la moschea di Ahl-al
Fas che ne chiude un lato sulla grande piazza d'armi, non è possibile accedere
all'interno degli edifici e bisogna accontentarsi di ammirarli dall'esterno,
immaginando solo quali bellezze possono racchiudere. Riprendiamo il pullman
per fare un'escursione fuori delle mura della città, dove nella zona sud si
possono ammirare i resti dell'antica colonia romana di Sala Colonia,
inseriti all'interno della necropoli di Chellah, costruita nel XIII sec.
dalla dinastia dei merinidi. All'ingresso del complesso ci attendono due
suonatori in costume che alla nostra vista iniziano ad eseguire una danza
rituale, superata la massiccia porta principale un breve sentiero conduce ad una
piattaforma panoramica da cui si può godere una vista d'insieme del sito
archeologico, prima di scendere direttamente tra quello che resta dell'antica
città romana, in cui non è facile distinguere i vari ambienti e la loro
funzione originale. Completando il giro si arriva all'interno del complesso
della necropoli islamica, in cui numerose coppie di cicogne hanno trovato
l'ambiente ideale per mettere su casa. Anticamente si trovavano qui una moschea,
un minareto e una scuola coranica che doveva ospitare diversi studenti, dietro i
resti della moschea si trovano alcune tombe della dinastia merinide. Dopo
la visita della necropoli rientriamo all'interno delle mura e ci rechiamo a
visitare la torre di Hassan ed il
Mausoleo di Mohammed V. La costruzione della torre di Hassan,
divenuta nel tempo uno dei simboli della città, fu iniziata nel 1195 per volere
del sultano almohade Yacoub al-Mansour, ma alla morte di questi nel 1199 i
lavori furono definitivamente interrotti all'attuale altezza di 44 mt., contro i
60 previsti dal progetto originale. Neanche la moschea attigua, di cui la torre
fungeva da minareto, ebbe sorte migliore, perché nel 1755 venne completamente
distrutta da un terremoto, oggi se ne può solo intuire la struttura da alcuni
pilastri parzialmente ricostruiti. Di epoca più recente è il grande Mausoleo
di Mohammed V, edificato dal sultano Hassan II, quello della grande moschea di
Casablanca. Il mausoleo, in stile marocchino e riccamente decorato, ospita in
una camera sotterranea le spoglie del nonno e del padre, lo stesso Hassan II,
dell'attuale sultano. Completiamo il giro di Rabat con la visita della Kasbah
des Oudaias, passando attraverso la porta che conduce ai giardini andalusi.
Da questi, salendo attraverso strette viuzze con le tipiche case nei colori
bianco ed azzurro, arriviamo nella via principale, rue Jamaa. Al termine di
questa, in direzione sud, sorge il belvedere chiamato la Plateforme du Sémaphore,
da cui si può godere una bella vista panoramica della foce del fiume che separa
Rabat dalla vicina cittadina di Sale. Dopo il pranzo, in un ristorante su una
nave ancorata lungo la banchina del fiume, un breve giro nella medina di Sale, e
la mancata visita di un'importante medersa, chiusa per restauri, riprendiamo il
nostro viaggio. Lasciamo la costa atlantica verso l'interno,
percorrendo la statale S311 in direzione della nostra prossima meta, la città
di Fès. Attraversiamo la foresta di Mamora, ricca di piante di eucalipto
e querce da sughero, passando accanto ad una maestosa tenuta in stile ranch
californiano, è la residenza di una delle principesse, sorella dell’attuale
sultano. Superiamo quindi la città di Meknes, che visiteremo l'indomani, mentre
gradualmente le grandi pianure coltivate iniziano a lasciare il posto a dolci
colline. La catena del Medio Atlante si profila all'orizzonte, iniziando a
divenire cosi, un’abituale compagna di viaggio. In breve arriviamo a Fès e
dopo cena abbiamo il tempo per fare un primo giro in città, assistendo in un
locale ad uno spettacolo folcloristico di danze e acrobazie.
26 Marzo 2004 Fès
- Volubilis - Moulay
Idriss – Meknes - Fès
Ci svegliamo
sotto una leggera pioggerellina che ci accompagnerà durante tutta la giornata,
fenomeno non raro in questo periodo dell'anno. Oggi non sono in cantiere molti
chilometri ed il programma prevede un giro che parte e ritorna a Fès, includendo durante la giornata alcune mete molto
interessanti. Effettuiamo la prima visita all’insediamento dove sorgeva
l'antica città romana di Volubilis, il sito archeologico, dichiarato
dall'Unesco nel ‘97 patrimonio mondiale dell'umanità, che si trova a circa 30
Km a nord della città di Meknes. E’ uno dei più importanti insediamenti
romani del Nord Africa che è giunto fino a noi in un ottimo stato, ma è anche
vero per quello che ho potuto constatare, che se non si pone un sollecito avvio
ad importanti opere di restauro e conservazione rischia di rimanerlo ancora per
poco. In tutti i miei viaggi non mi era mai capitato di vedere dei mosaici
romani cosi belli direttamente sul loro sito originale, a decorare i pavimenti
delle case dei nobili patrizi della città. Purtroppo devo aggiungere che mi
sembrano in uno stato di semi abbandono e senza quelle adeguate protezioni,
dagli agenti atmosferici e non, che ne possono facilitare un rapido
deterioramento. Mi auguro che si ponga al più presto rimedio, perché come si
può vedere dalle foto i mosaici sono veramente di notevole pregio artistico. La
città era uno degli avamposti più remoti dell'impero romano ed oltre ad una
funzione di prima difesa, rivestiva anche un ruolo di primaria importanza
nell'approvvigionamento di derrate alimentari per la capitale. Il periodo più
fiorente risale al II e III sec. d.C., ma la lontananza dalla madrepatria ed il
riaffermarsi delle tribù berbere, mai completamente domate, costrinsero ben
presto i romani ad abbandonare Volubilis al suo destino. Nonostante tutto, la
città cosmopolita continuò a sopravvivere tra alterne fortune fino al XVIII
sec. Il sito archeologico non è stato ancora completamente esplorato ed in
futuro sarà certo fonte di nuove scoperte. Ad est si individua l'Arco
di Trionfo, restaurato negli anni ’30, dal quale parte un lungo
viale cerimoniale, il Decumanus Maximus, costruito nel 217 d.C. in onore
dell'imperatore Caracalla e di sua madre Giulia Domna. Lungo il suo tracciato si
trovano le residenze con i mosaici meglio conservati e di maggior pregio
artistico. Come la Casa
delle Colonne, con un portico che circondava completamente il patio
interno abbellito da mosaici con disegni geometrici, la Casa del Cavaliere, con un mosaico dedicato a Bacco ed Arianna,
la Casa di Venere, con uno stupendo mosaico dove la dea è ritratta
insieme alle sue ancelle durante il bagno, la Casa di Ercole, con
un mosaico che ritrae le famose fatiche del semidio ed altre ancora tutte
originariamente abbellite da artistici mosaici. Nei pressi dell'Arco di
Trionfo si trova la Casa
dell'Acrobata, con un mosaico che ritrae un esercizio di destrezza in
sella ad un cavallo, subito dietro l’area che ospitava il Foro con i
resti della Basilica e del Campidoglio, il tempio dedicato alla
triade divina romana, risalente al 218 d.C. Proseguendo verso l'uscita si
incontra la Casa
di Orfeo, appartenuta probabilmente ad uno dei più ricchi mercanti
della città, con un bel mosaico dove il personaggio mitologico è ritratto
mentre suona la lira. Dopo Volubilis il programma della giornata prosegue con la
visita di Moulay Idriss, adagiata sul declivio della collina che domina
il sito archeologico, una cittadina fondata da un pronipote di Maometto in fuga
dalla Mecca sul finire dell'VIII sec. A lui si deve l'istituzione della prima
dinastia imperiale del Marocco e la conversione degli abitanti del luogo alla
nuova fede. Le sue spoglie riposano nel santuario che fu edificato alla sua
morte nel punto più alto della città. Ai non credenti non è permessa la
visita del luogo, che con gli anni è divenuto una delle mete di pellegrinaggio
più gettonate, così come Moulay Idriss stesso è oggi uno dei santi più
venerati del Marocco. Curiosamente è ancora in vigore anche l’antico divieto
che proibisce ai non islamici di passare la notte in città. Partendo dalla
piazza principale si imbocca un vicolo sulla sinistra accanto ad un bar molto
frequentato e dopo aver attraversato un mercato coperto, seguendo le
indicazioni, si giunge all'ingresso del mausoleo dedicato al santo, fino al
punto in cui una sbarra di legno ne blocca l'ingresso. Tutt’attorno è una
cornice di stradine con piccole botteghe artigianali, se vi sarà possibile non
mancate di visitare uno dei forni pubblici, dove ancora oggi le famiglie portano
a cuocere il pane preparato in casa, lasciandone una parte come compenso del
fornaio. Cotto a legna e gustato appena sfornato è veramente una delizia,
croccante fuori e soffice dentro. Completiamo il programma della giornata con la
visita di Meknès, una città dall'impronta architettonica francese, che
in passato gli è valso l’appellativo di Versaille del Marocco. Capitale del
sultanato alawita di Moulay Ismail, che contemporaneo del re sole Luigi XIV
cercava di imitarne i fasti. La città imperiale si estendeva di fronte
all'antica medina, separate unicamente dalla porta monumentale di Bab el-Mansour,
oggi chiusa e trasformata in una galleria d'arte. Dietro la porta si
trovava la grande piazza d'armi, oggi place Lalla Aouda, nei cui pressi si può
vedere il mausoleo dedicato al sultano Moulay Ismail, che scelse Meknès come
capitale del suo regno, uno dei più begli esempi di architettura araba e
marocchina. L'accesso è consentito anche ai non musulmani fatta eccezione per
la stanza dove è collocata la tomba del sultano, al cui interno si alternano
dei muezzin in preghiera. A sud del mausoleo si trovano gli immensi granai
fatti costruire dal sultano, gli Heri
es-Souani, che servivano per immagazzinare grano e fieno per i cavalli del
suo esercito, alloggiati nelle scuderie attigue. All'interno dei granai si
respira un'atmosfera suggestiva, quasi surreale, che spesso è stata utilizzata
anche come ambientazione cinematografica, come per il film "L'ultima
tentazione di Cristo" di Martin Scorsese. Terminata la visita di Meknès
rientriamo a Fès per la notte.
27 Marzo 2004 Fès
Il programma odierno non
prevede spostamenti e tutta la giornata è dedicata alla visita della città di Fès,
una full-immersion nel più autentico spirito marocchino, in una realtà che
nessuna fantasia riuscirebbe a descrivere con forza più vivida. Una miscellanea
di sensazioni che non mancherà di lasciarvi stupefatti, all’interno di un
ambiente magico in cui si è riusciti a trovare la giusta equazione per fermare
il tempo. Colori, profumi, suoni, in un incessante brulicare di vita attorno ad
antichi mestieri artigianali che sembravano scomparsi da secoli. Certo una
sola giornata è veramente tirata, ma come si sa in questi tipi di tour il tempo
è sempre tiranno e a voler tirare la coperta da una parte... Fès è una delle
più antiche città imperiali del Marocco, fondata poco dopo l'inizio
dell'espansione araba nel nord Africa ne conserva intatta l'originale identità,
qui l'integrazione con le autoctone popolazioni berbere, diversamente che
altrove, si è realizzata in minima parte. Se non avete molto tempo a
disposizione concentratevi sulle due zone più importanti e caratteristiche, Fès
el-Bali, la parte più antica che comprende la medina, e Fès el-Jdid,
la parte più moderna chiamata anche nuova Fès, dove si trova il Palazzo Reale
ed il mellah, il quartiere ebraico. Considerando la vastità del giro e
l'elevato numero di cose da vedere è consigliabile affidarsi ad una guida del
luogo, accantonando un attimo la sicurezza da esperti backpackers e ricordando
che qui, più che altrove, è importante prestare un minimo di attenzione in più
al problema della sicurezza, avendo cura di non girare con borse a tracollo che
penzolano allegramente di lato o peggio con zaini lasciati incustoditi sulle
spalle, se non volete ritrovarvi anche voi a dover compilare moduli su moduli in
un commissariato di polizia, come purtroppo è accaduto ad un nostro compagno
d'avventura un po' sprovveduto. Credo che come esperienza vi possa bastare
quella d’attraversare vicoli così affollati, pigiati l'uno all'altro, che il
famoso detto "si è trasportati dalla folla", passa da un piano
puramente letterale ad una dimensione che più terrena non potrebbe essere.
Potete contattare una guida autorizzata tramite l'ufficio del turismo o presso
uno dei grandi alberghi, mentre all'interno della medina troverete molte persone
che vi si offriranno come tali pur non essendolo. Sebbene in linea di massima
siano persone affidabili, il governo ha però deciso da tempo, per evitare
problemi, di proibire tale consuetudine, introducendo norme molto severe
che prevedono anche la carcerazione per esercita senza autorizzazione. Noi
ovviamente oltre al fidato Saâd
eravamo accompagnanti da un’altra guida locale specializzata nella città. Prima di
immergervi in quel caravanserraglio umano che è la medina provate ad osservarla
dall'alto, vi troverete di fronte ad una città che sembra essere stata
abbandonata, immobile e silenziosa, così una volta dentro lo stupore sarà
ancora maggiore. Anche la nostra visita non può che iniziare da Fès
el-Bali, la zona senza dubbio più caratteristica di tutta la città. Mi è
veramente difficile ricordare l'esatto tragitto che abbiamo percorso, perché il
labirinto di vicoli attraversato, girando ora a destra ora a sinistra, sembra
l'opera di un enigmatico matematico che ha voluto lasciare traccia indelebile
dei suoi tortuosi meccanismi mentali. In effetti, non è poi neanche così
importante come la capacità di lasciarsi coinvolgere dall'atmosfera, scoprendo
angolo dopo angolo qualcosa di interessante da vedere o da gustare, con
l'orecchio, però, sempre pronto a ravvisare l'approssimarsi d’un pericolo
imminente. "Balak, Balak", non è forse il termine esatto, ma suona
pressappoco così, il grido che richiama l'attenzione al passaggio d’un
somarello, stracarico della più svariata mercanzia, che s'appressa
faticosamente verso di voi, in un vicolo che all'occorrenza sembra stringersi
ancora di più, tanto da farvi trattenere il fiato e spingere in dentro i chili
di troppo. Iniziamo ad esplorare la medina ammirando dall'esterno una delle
porte della grande moschea di Kairaouine, uno dei centri teologici più
importanti del mondo mussulmano, infilandoci poi nella vicina medersa di
el-Attarine, costruita da Abu Said nel 1325 nello stile della dinastia mérinide.
Basta attraversare una porta per
essere catapultati in un attimo da una frenesia estrema ad una tranquillità
assoluta, come all’interno di quest’antica scuola coranica, che ancora oggi
nelle sue piccole stanze ospita molti studenti. Siamo nel quartiere dove si
lavorano i metalli, almeno a giudicare dal gran numero di botteghe dove abili
artigiani e giovani apprendisti si affaccendano in un concerto di tintinnii e
tonfi sordi. Oggetti in oro, argento, rame, dai metalli più preziosi a quelli
più poveri, qui potete trovare di tutto, perfino botteghe stracolme di cuccume
e pentoloni di tutte le fogge e dimensioni, in vendita o a noleggio, come quelle
enormi utilizzate per preparare banchetti di nozze cui poi è invitato tutto il
quartiere. E accanto a questo, sovrapponendosi ed alternandosi, si sviluppa
l'intricato mosaico delle corporazioni in cui è divisa la medina di Fès, come
negli antichi centri medievali, ognuna con i suoi spazi e i suoi luoghi comuni
ben delimitati. Dopo la medersa ed un altra serie di giri nel labirinto
visitiamo in un bel palazzo seicentesco il museo Belghazi, che al suo
interno ospita una ricca collezione di tappeti, gioielli, armi e oggetti di uso
comune. Un tè alla menta, dieci minuti di meritato riposo e ci rituffiamo nel
traffico congestionato della medina verso la zona delle concerie con il souq
dei tintori, probabilmente la zona di Fès ancestralmente più
caratteristica e senza dubbio quella più immortalata nelle foto ricordo. L'arte
della lavorazione della pelle affonda le sue origini in tempi antichissimi ed
ancora oggi è praticata con metodi che risalgono al periodo medievale, con gli
uomini che si immergono fino alla cintola dentro alle vasche di tintura,
costruite ancora con mattoni di fango e piastrelle di ceramica. E' uno
spettacolo veramente unico e a vederlo dall'alto crea l'effetto d’una
tavolozza con tutte le tinte e le sfumature possibili, come se l'artista si
fosse dimenticati aperti tutti i tubetti di colore. A rendere tutto ancora più
indimenticabile contribuisce anche il forte odore che si respira e di cui tutta
l'aria è impregnata. Dopo il pranzo, gustato in uno degli eleganti
palazzi-ristoranti di cui è piena la medina, riprendiamo il nostro giro
visitando prima un'altra medersa e successivamente una bottega artigianale dove
si producono ancora stoffe utilizzando ancora i vecchi telai di legno spinti dal
ritmico movimento avanti e indietro delle gambe. Continuiamo la visita con la
zona di produzione delle ceramiche, seguendo in un laboratorio scuola tutte le
fasi della lavorazione, dalla creazione dell'oggetto al tornio a pedale, alla
cottura nei forni, per finire con la decorazione eseguita a mano da giovani
ragazze. Al termine lasciamo la zona di Fès el-Bali e riprendiamo per un breve
tragitto il pullman per spostarci nella zona di Fès el-Jdid di più recente costruzione. In questa parte della città
si trovano il Palazzo Reale, visibile
solo dall'esterno, ed il quartiere ebraico, il Mellah. Sembra che questo termine, che in arabo significa
"sale", sia stato utilizzato qui per la prima volta, prima che
diventasse d’uso comune nel mondo arabo, per indicare la zona destinata ad
ospitare la popolazione di origine ebraica, infatti la zona era in origine una
palude salmastra. Il quartiere, abitato oggi quasi esclusivamente da arabi, dato
che la maggioranza degli israeliti è emigrata negli ultimi decenni, ha una
fisionomia più aperta rispetto alla medina, con piccole case a due o tre piani
ornate da graziosi e caratteristici balconcini di legno. Qui si trovano varie
sinagoghe, tra queste merita una visita quella di Ibn
Danan, restaurata di recente grazie ad un contributo dell'Unesco.
All'interno si possono ammirare arredi sacri e cultuali, tra cui una copia della
Torah custodita in una nicchia nel muro in fondo alla sala, mentre scendendo per
una stretta scala si accede ad una piccola sala sotterranea dove è situato un
mikveh, una piscina in cui sono effettuate le abluzioni rituali prima delle
cerimonie più importanti. Terminiamo la visita della città di Fès uscendo
dalla porta di Bab Dekkaken, chiamata
anche la porta blu dal colore delle piastrelle di ceramica con cui è decorata,
il nostro pullman è lì ad attenderci per riportarci in albergo, insieme ai
ricordi indelebili di questa stupefacente città.
28 Marzo 2004 Fès
- Ifrane - la Valle dello Ziz – Erfoud
Riprendiamo il viaggio
lasciandoci alle spalle la fantastica Fès, una città che sembra piombata dai
confini del tempo fino ai nostri giorni, come uno squarcio di medioevo saltato
fuori all’improvviso da un buco nero, per farci rivivere con le sue ancestrali
atmosfere attimi e sensazioni di una vita passata. Abbandoniamo cosi quella
parte di Marocco, che è con le città imperiali la metà araba della sua anima,
per ritrovarla poi alla fine del viaggio splendidamente conservata in un'altra
città da favola, Marrakech. Ci aspettano le montagne, con le catene del
Medio e dell'Alto Atlante, una terra aspra e dura quasi ai confini della
sopravvivenza, che ha saputo custodire gelosamente l'altra metà dell'anima di
questo paese, quella berbera. Un'anima le cui tradizioni non sono mai venute
meno e che ha saputo fondersi con i conquistatori arabi senza mai perdere la sua
specifica identità. Scendiamo verso sud, abbagliati dai toni e dall'intensità
dei colori, in un'aria limpida che ne esalta i contrasti. Usciamo da Fès sulla
statale P24, mentre una leggera pioggia saluta la nostra partenza. Il paesaggio
che ci scorre accanto cambia rapidamente e mentre il profilo delle montagne si
avvicina sempre di più i paesi iniziano ad assumere un aspetto vagamente
familiare, con i tetti delle case che si fanno d'improvviso aguzzi e spioventi,
sembra quasi d’essere entrati in una valle alpina circondata da cime ammantate
di neve candida. Attraversiamo il paese di Imouzzer fermandoci poco dopo,
per una breve sosta, a Ifrane che in lingua berbera significa zona arida
e fredda, una piccola località di villeggiatura fondata dai francesi negli anni
'30 a 1650 mt. di altitudine, al riparo dalle calure estive delle pianure e
delle città costiere. Ci accoglie un'atmosfera tranquillità e rilassata
che ha in sé qualcosa di irreale, un senso dell'ordine e della pulizia che
lascia ancor più stupefatti se paragonato a quello che abbiamo appena lasciato,
quasi che un pezzetto di Svizzera sia stato trapianto qui nel cuore del Marocco,
all’interno di una foresta di lecci e cedri. Ed è buffo vedere le persone
aggirarsi nelle stradine del paese avvolte nei tradizionali caffettani arabi.
Qui ha sede l'università più esclusiva del paese, Al-Akhawayn, fondata nel
1995 dal sultano Hassan II e dal re Fahd dell'Arabia Saudita e frequentata dai
figli dell'elite di tutto il mondo arabo. Non manca poi anche una residenza
reale, un castello vero e proprio, che fa bella mostra di se dall'alto di una
collina e che come tutte le altre è preclusa alle visite. Lungo la strada,
appena fuori del paese, una grande scultura leonina sembra vegliare sorniona sul
campus universitario di fronte, tappa obbligata per le foto ricordo dei turisti
locali cui subito ci accodiamo anche noi. Prima di riprendere il viaggio
facciamo una breve deviazione su una strada secondaria, inoltrandoci cosi per un
tratto all'interno della foresta, nell’intento di avvicinare le piccole
scimmie di Barberia che popolano queste montagne e che a detta della nostra
guida Saâd si avvicinano volentieri per prendere da mangiare direttamente dalle
mani. Purtroppo, nonostante i chiassosi richiami in cui ci prodighiamo, delle
bestiole non si vede traccia. Ad Azrou, tranquilla cittadina berbera,
lasciamo la statale P24 immettendoci sulla P21, maestosi altopiani si
sostituiscono alla foresta di pini e cedri, mentre sul profilo dell'orizzonte
che si apre terso alla nostra vista si stagliano le cime innevate del Medio
Atlante. Ci si sente improvvisamente piccoli di fronte a tanta bellezza, persi
ad ammirare il panorama in questo splendido isolamento. Attraversiamo Timahdite
e successivamente Zaïda, piccoli paesi la cui economia è sostenuta
principalmente dall'estrazione del ferro e del cobalto dalle miniere a cielo
aperto che colorano il paesaggio di un nero e un verde intenso. Lungo la
strada osserviamo numerose steli, che ricordano ognuna il luogo dove è caduto
un ufficiale francese, come ci spiega la nostra guida Saâd, morto durante la
guerra d'indipendenza e divenuto ormai, insieme con tutti gli altri morti nobili
o plebei, un pugno di sabbia di questa terra arsa. Quasi senza accorgercene
siamo arrivati a più di 2000 mt. di altitudine e dopo la sosta per il pranzo, a
Midelt, riprendiamo la strada continuando a salire ancora fino al valico
del passo della Cammella sulla catena
dell'Alto Atlante, una serie di cime spettacolari che attraversano in senso
longitudinale questo stupendo paese. Il tempo si è fatto nuovamente cupo e
piove leggermente, mentre ci lasciamo alle spalle piccoli villaggi con le case
costruite come le antiche kasbah. Iniziamo a scendere verso il paese di Rich
situato nei pressi di una piccola oasi, da qui ha inizio la valle dello Ziz,
dal nome dal fiume omonimo, l'Oued Ziz, che l’attraversa, inserita nella
cosiddetta zona del Tafilat dai contorni paesaggistici incantevoli. Le
tribù della zona furono tra le ultime a sottomettersi alla dominazione francese
ed anche in epoca più remota primeggiarono per potenza e ricchezza con le altre
etnie del paese, l'attuale dinasta degli alawiti è originaria di questa zona. Siamo
sulla soglia del Marocco più intimo, pronti ad inebriarci di quello spirito che
aleggia silenzioso all'ombra di una palma e che lontano dai clamori e dalla
frenesia delle grandi città ne fa il vero cuore africano del paese. Come ad
ubbidire ad una sapiente regia, che non sembra paga di stupirci con i suoi
effetti, il tempo cambia ancora e torna di nuovo il sole, siamo ormai nei pressi
del Tunnel du Légionaire costruito dai francesi per superare le asperità
della natura, qui il letto del fiume si apre a disegnare un’ansa che in un
lungo respiro supera le gole prima di tuffarsi verso l'altopiano.
Attraversato il tunnel continuiamo a risalire il fiume costeggiando le Gole
dello Ziz prima di arrivare nei pressi della cittadina di Er-Rachidia,
importante crocevia sull'asse nord-sud del paese. Per un
tratto il fiume scompare dalla nostra vista, riaffiorando più avanti fino al
punto in cui sembra tuffarsi nel mare verde del grande palmento di Aufouss. Un serpente silenzioso che si snoda tra le pareti di roccia del
canyon, modellato dal lento fluire dell’acqua e del tempo. Intanto
all'orizzonte si sta profilando una tempesta di sabbia e l'aria è satura di
polvere in sospensione, cosi i piccoli villaggi che incontriamo lungo la strada
sembrano assumere un'atmosfera ancor più spettrale ed abbandonata. Arriviamo
ad Erfoud, tappa finale della nostra giornata, con la tempesta che sembra
non essersi ancora placata e così l'escursione prevista per ammirare il
tramonto sul deserto si trasforma in un'attesa per l'alba del giorno dopo.
29
Marzo 2004
Erfoud
- Merzouga - la Valle del Dràa – Zagora
Sveglia nel
cuore della notte per assistere al sorgere del sole sulle grandi dune di sabbia
dell'unico vero Erg sahariano del Marocco, l'Erg Chebbi. E' uno
spettacolo unico e vale certo qualche ora di sonno persa. Saliamo a bordo delle
Land Rover 4x4 e formata la colonna partiamo alla volta di Merzouga,
circa 50 km a sud di Erfoud, ben presto l’asfalto lascia il posto allo
sterrato, mentre i fari delle macchine fendono il nulla, attraverso un deserto
roccioso in cui la pista si distingue a malapena tra segni e tracce di mille
passaggi. E’ una corsa contro il tempo, con l'orizzonte che si fa via, via
sempre più chiaro, presagio dell'evento ormai prossimo. Finalmente arriviamo in
vista dell'Erg, come novelli marinai che in balia di un panorama solo blu
approdano felici su un piccolo pezzo di terra, non resta che compiere l'ultimo
sforzo e cosi ci addentriamo, chi a piedi, chi a dorso di dromedario dietro
lauto compenso, sulla sabbia soffice e impalpabile alla conquista della duna
migliore. Ancora pochi minuti e i raggi del Sole iniziano a fendere l'aria,
ammantando tutto con mille sfumature di colore, dall’ocra alla porpora, in un
continuo rincorrersi di luci ed ombre che disegnano sulle grandi dune un gioco
d’immagini che si ripete dalla notte dei tempi. E' difficile doversene
staccare, ma il viaggio deve proseguire e a malincuore riprendiamo la via del
ritorno. Sulla strada che ci riporta a Erfoud ci imbattiamo in una tenda berbera
isolata e cosi ci fermiamo ad osservare più da vicino la loro vita.
Istintivamente come gli altri mi abbasso a guardare dentro, nella tenda ci sono
solo donne e bambini, probabilmente gli uomini si sono allontanati in cerca di
pascoli per le greggi. I bambini ci guardano con un misto di cuiosità e timore,
mentre la madre si copre il volto con il velo, ringraziando con un cenno del
capo, quando qualcuno si avvicina per metterle in mano una moneta. In disparte
c'è un'altra ragazza, ha degli occhi stupendi ed un’espressione forse un po'
triste, non si capisce se è la figlia maggiore od una seconda e più giovane
moglie. Tutto avviene in un attimo e non posso che ritrarmi subito, con la
colpevole sensazione d’aver violato la loro intimità, per seguire la mia
stupida curiosità. Provo un sentimento di doloroso rincrescimento, devo
appiopparmi una nota di demerito e con me tutto il resto del gruppo che si
sofferma in stupidi commenti. Recuperato il nostro pullman riprendiamo il
viaggio verso sud, alla volta della città di Zagora, la nostra meta
giornaliera. All'altezza del paese di Rissani lasciamo la valle dello Ziz,
entrando nella zona arida del deserto di Hammada. Attraversiamo un
panorama roccioso dove basse colline sono punteggiate da sparuti alberi, solo
ogni tanto oasi e piccoli appezzamenti di terra coltivati a grano rivelano nelle
vicinanze la presenza dell'acqua. Ci fermiamo per il pranzo nel piccolo villaggio di Asnif,
situato nel bacino di Mader, una zona ricca di giacimenti fossili.
Successivamente attraversiamo i villaggi di Tazzarine e di N'Kob,
dove c'è un bel palmeto. Da qui e fino a Zagora si estende la valle del Dràa,
che oggi percorreremo nella direzione nord-sud, una delle valli più belle del
sud del Marocco, in un susseguirsi di palmeti, villaggi berberi e tipiche kasbah.
Lungo la strada ci fermiamo a visitare un palmeto chiamato della kasbah
dell'Arabo, mentre camminiamo, lungo i sentieri che corrono parallelamente ai
piccoli canali di irrigazione, veniamo indottrinati sulla vita delle palme,
ognuna delle quali risulta essere una preziosa proprietà privata. E’
particolarmente interessante la descrizione della delicata fase
dell'impollinazione, che qui come altrove è facilitata dall’intervento
dell'uomo, il quale a tempo debito preleva la punta della palma maschio e di
corsa, nel volgere di pochi minuti, sale sulla palma femmina, l’unica che
produca i frutti, per fecondarla. Devo aggiungere però, una volta assaggiati,
che i datteri di questa zona non mi sembrano particolarmente pregiati, anche se
dicono che siano normalmente destinati all'esportazione. Arriviamo infine a Zagora,
una cittadina fondata durante il periodo coloniale francese, caratterizzata da
una forte presenza militare per via della posizione strategica al confine con
l'Algeria. Mentre entriamo in città Saâd ci fa notare una fila di case con
delle piccole finestre al primo piano, appena dietro si intravedono visi di
donne senza velo, mentre scrutano i passanti sulla strada. Sembra che siano
dedite ad esercitare quello che si definisce il mestiere più antico del mondo,
un'anomalia quasi unica nei paesi islamici, tollerata solo per via dell'alta
concentrazione di militari. La città di Zagora è situata in una grande oasi e
di fronte al nostro albergo si estende un bel palmeto, c’è ancora il tempo
per fare un giretto fuori, ma siamo scoraggiati ad uscire da soli, per via di
alcuni episodi di violenza accaduti in passato ai turisti. E’ sempre difficile
stabilire quanto ci sia di vero o quanto riportato tra le guide diventi una
leggenda cui tutti finiscono per credere, ma a scanso di equivoci preferiamo
desistere...
30 Marzo 2004 Zagora
- la Valle del Dràa – Ouarzazate
Ripartiamo
da Zagora invertendo la rotta in direzione di Ouarzazate, inizia così la lenta
risalita del nostro viaggio verso nord-ovest, accompagnati dai verdi palmeti e
dalle belle kasbah del versante occidentale della valle del Dràa, ma
prima ci spingiamo ancora per alcuni chilometri verso il confine algerino, fino
a toccare il punto estremo a sud del nostro tour, Tamegroute. Al
centro del paese, considerato una volta un importante sito religioso, si trovano
un'antica biblioteca con annessa medersa ed una zawiya, una confraternita
religiosa che sorge nei pressi di un marabutto, dove sono conservate le spoglie
di un importante santo islamico che ha operato nella zona. La biblioteca
contiene manoscritti e libri di natura religiosa e scientifica, i più antichi e
preziosi risalgono al XIII sec., alcuni in particolare sono scritti su
pelle di gazzella. Non si può accedere all'interno della biblioteca se non
accompagnati dal suo vecchio guardiano, un personaggio che sembra uscito da un
racconto epico, geloso e attento custode delle opere e delle loro fantastiche
storie, che sarà ben felice d’illustrarvi in un italiano stentato appreso
chissà dove, mentre al contempo vi catechizzerà sull'assoluto divieto di
scattare fotografie, anche in assenza dell’uso del flash. Poco lontano si
trova il marabutto con la tomba del santo, qui i visitatori stranieri non sono
ammessi e si può accedere unicamente al cortile esterno, insieme ai numerosi
pellegrini venuti a chiedere la grazia al santo, particolarmente richiesta per
la guarigione da malattie di natura psichica. Pellegrini che nell’attesa di un
segno sostano anche per mesi, accampandosi alla bell’e meglio sotto le volte
dell'ampio colonnato che gira tutt’intorno. Prima di lasciare definitivamente
Zagora ci fermiamo a scattare una foto al famoso cartello che riporta la
distanza di 52 giorni a dorso di cammello dalla mitica Timbuctù, e ora via
sulla statale P31 verso Ouarzazate. Risaliamo la valle del Draà attraversata
dal fiume omonimo, che nasce nell'Alto Atlante per andare a sfociare, ma solo
quando c'è molta acqua, nell'oceano atlantico. Lungo la strada ci fermiamo per
una sosta a Agzd dove c'è una kasbah del XIII sec chiamata El Kissane,
come il nome della montagna, il Jebel Kissane, il cui profilo si può ammirare
dal paese. Nel bar dove ci ristoriamo c'è un simpatico e giovane dromedario a
cui qualcuno ha insegnato a bere direttamente dalla bottiglia, è diventato
ormai un'attrazione per tutti i turisti di passaggio. Dopo Agzd la strada inizia
a salire disegnando lungo il percorso sinuosi tornanti, attraversiamo le gole di
Asedi Assouin, mentre il panorama che ci circonda, abbandonati i toni consueti,
si colora di scuro, come se la terra e la roccia fossero state arse in passato
da un fuoco ardente. Mentre scendiamo sull'altro versante la vista si apre
all’improvviso sul magnifico sull'altopiano di Ouarzazate, arriviamo giusto
per l'ora di pranzo e subito dopo ci rechiamo a visitare la grande kasbah di
Taourit. Fino a poco tempo fa la kasbah era ancora utilizzata come
abitazione privata, solo recentemente, grazie all'interessamento dell'Unesco,
alcuni ambienti sono stati restaurati ed aperti al pubblico. La visita permette
di ammirare e comprendere meglio come fosse organizzata la struttura interna di
un edificio di questo tipo. Il piano terra si apre direttamente sul cortile
interno ed era utilizzato principalmente come ambiente di lavoro, salendo si
trovano prima i piani occupati dalle numerose mogli, ognuna aveva a disposizione
un appartamento privato per lei e i suoi figli più piccoli, i piani per gli
uomini adulti della famiglia, e in cima a tutto il piano riservato agli usi
conviviali, di volta in volta sala da pranzo o di lettura. Vista
dall'esterno la kasbah ha un aspetto imponente, con torri, sbalzi merlati e
piccoli balconi chiusi, mentre al suo interno si frammenta in una serie di
ambienti irregolari, ricchi di stanze, corridoi, nicchie, passaggi, finestre,
che si aprono uno dentro l'altro come scatole cinesi. Penso che questo tipo di
architettura rifletta in parte anche specifiche esigenze militari, probabilmente
nell’intento di creare un campo di battaglia che consentisse ai difensori di
muoversi più agevolmente, solido e compatto verso l’esterno, intricato e
tortuoso all’interno. Le stanze più importanti e d’uso comune sono rifinite
elegantemente con porte intarsiate, soffitti di legno a cassettoni decorati con
motivi geometrici, e piccole maioliche colorate alle pareti e sopra le finestre.
La kasbah di Taourit è senza dubbio uno dei luoghi più interessanti visitati
in Marocco, peccato che dell'arredamento originale non sia rimasto pressoché
nulla. Terminata la visita della kasbah riprendiamo il pullman per una breve
escursione, è ormai pomeriggio inoltrato e nel breve volgere di poche ore il
tramonto regalerà uno spettacolo di luce fiabesca, è il momento migliore per
visitare la famosa kasbah di Aït Benhaddou, quando gli ultimi
raggi del sole, salutando il giorno che muore, giocano ad ammantare di fuoco
acceso le facciate e le torri ocra delle antiche residenze. La kasbah si trova
ad appena una trentina di chilometri da Ouarzazate, su una sponda dell'Oued
Ounila, e cosi sulla strada abbiamo il tempo per ammirare anche la bella kasbah
di Tiffoltout. Finalmente arriviamo alla kasbah di Aït Benhaddou, un
castello dalle cento torri che si erge su una piccola collina all’interno di
uno scenario veramente unico, lungo le sponde dell'Oued Ounila, alle spalle di
un grande palmeto e appena prima dello spazio sconfinato ed arido del grande
deserto di Hamada. Non si fa fatica a comprendere perché la kasbah di Aït
Benhaddou sia stata scelta come set di molte e importanti produzioni
cinematografiche, dal Gesù di Nazareth al più recente Gladiatore. Per visitare
la kasbah, ora sotto la tutela dell'Unesco, occorre guadare il letto del fiume.
Non essendoci ponti nelle vicinanze tale operazione può avvenire utilizzando un
passaggio costruito con dei sacchi di sabbia, più che sufficiente nei periodi
di secca ad evitare di bagnarsi i piedi, oppure in groppa a simpatici somarelli
abilmente guidati da ragazzi del luogo. Inutile stare a sottilizzare sul fatto,
che qualcuno possa aver abilmente disfatto il passaggio per racimolare qualche
spicciolo dai turisti di passaggio, fa parte dell'avventura del viaggio,
compresa l'abilità che occorre esercitare per restare aggrappati sulla schiena
dell'animale. Entrati nella kasbah si sale attraverso piccoli viottoli, in
un susseguirsi di negozietti e piccole case, dove con un cenno vi inviteranno ad
entrare, conoscendo ormai l'inguaribile curiosità del turista, in cambio di
qualche moneta. La kasbah di Aït Benhaddou, a differenza di quella di
Taourit, non è appartenuta ad un’unica e potente famiglia e le persone che
vivono qui, in piccole e dignitose abitazioni composte di due o tre ambienti,
sono per lo più piccoli agricoltori od allevatori di bestiame, se non spesso
donne sole con prole abbandonate dai mariti, una consuetudine che purtroppo
sembra piuttosto frequente da queste parti. Tutto ciò la rende meno
appariscente vista dall'interno, ma certo più pulsante di vita. Arrivati in
cima alla collina, su cui si trova un antico granaio fortificato ora in rovina,
sarete ripagati dello sforzo da una vista eccezionale, su un orizzonte che non
finisce di stancare, tra il palmeto, il deserto e la kasbah, nell’attesa poi
del tramonto che ammanterà tutto con mille sfumature di porpora. Dispiace
davvero dover venir via da un luogo così bello.
31 Marzo 2004 Ouarzazate
- la Valle del Dadès - la Gola del Todra – Ouarzazate
Questa mattina niente
valigie, zaino leggero e via, effettueremo un'escursione che ci vedrà
attraversare la Valle del Dadès fino alle Gole del Todra, con ritorno nella
serata alla nostra base di Ouarzazate. La Valle del Dadès si insinua
come una sottile lama, ad est del paese di Ouarzazate, tra la catena dell'Alto
Atlante e i picchi neri di origine vulcanica della zona desertica del Jebel
Sarho. Grazie alla presenza di numerose oasi, alimentate dalle acque dell'Oude
Dadès, la valle permise fin dai tempi antichi un insediamento stabile, come
testimoniano le numerose kasbah che si incontrano e che le hanno valso
l'appellativo di Valle delle Mille Kasbah, non saprei dirvi se il numero
corrisponde al vero, ma è certo che per parecchi chilometri i paesi sono cosi
ravvicinati che sembrano quasi a formare un unico centro abitativo. La Valle del
Dadès è inoltre conosciuta anche come Valle delle Rose, per via
dell'intensa coltivazione che vi si svolge e da cui si ricava praticamente
qualsiasi tipo di prodotto cosmetico possibile, dalle essenze alle creme, dai
saponi ai profumi, e ad altro ancora. E’ un vero peccato essere in anticipo
sul periodo della fioritura, perché senza dubbio dev’essere uno spettacolo
incredibile sia per gli occhi che per l'olfatto. Il primo paese che si incontra
lungo la valle è Skuora, un importante centro scolastico, ai margini
della strada si erge una maestosa kasbah da cartolina, alle spalle il profilo
delle cime dell'Alto Atlante ancora innevate. Altre kasbah sono visibili nelle
oasi di questa zona, raggiungibili però solo attraverso sentieri sterrati. Il
viaggio prosegue attraverso un panorama arido e roccioso, mentre un falco
pellegrino che volteggia sopra di noi sembra seguire i nostri passi, in questa
zona il governo marocchino ha avviato un programma di rinverdimento che sfrutta
tecnologie innovative già sperimentate in altre zone desertiche, ma per ora, da
quello che si può vedere, senza risultati apprezzabili. Continuiamo ad
addentrarci all'interno della Valle del Dadès, arrivando in breve nel paese di El-Kelâa
M'Gouna, il principale centro di produzione di acqua di rose e di tutti gli
altri preparati. La raccolta dei fiori avviene nel mese di Maggio e culmina con
una caratteristica festa popolare, inutile aggiungere che qui era programmata
una sosta tattica per permettere alle gentili signore del nostro gruppo di
"saccheggiare" allegramente l'annesso spaccio di vendita. Dal paese di
El-Kelâa M'Gouna e per una quarantina di chilometri fino al paese di Boulemane
du Dadès è tutto un susseguirsi di kasbah grandi e piccole, meglio conservate
o in stato di abbandono, mentre il panorama si fa più verde con un'unica grande
oasi che si insinua lungo il corso del fiume. Prima del paese di Boulemane
du Dadès una deviazione a sinistra conduce alle Gole del Dadès,
una zona suggestiva e ricca di kasbah e ksar, come suggerisce la guida di
viaggio della Lonely Planet, peccato che non faccia parte del nostro programma
di viaggio, sembrava una zona molto interessante. Dopo aver attraversato
Boulemane du Dadès, al centro di un vivace mercato settimanale che si tiene
all'interno di un caravanserraglio, continuiamo il nostro viaggio verso la
Gola del Todra, la nostra meta finale. Lungo la strada, dopo il paese di Imiter,
ci fermiamo a Tinerhir, un paese conosciuto ed apprezzato per la
produzione dei tappeti, che qui, a detta della nostra guida Saâd, costano meno
che altrove. Provare per credere, come recitava lo slogan di un famoso
imbonitore televisivo in voga alcuni anni fa sulle emittenti private, e cosi non
ci si può certo esentare dal fare un salto in uno dei numerosi bazar che si
incontrano lungo la strada, giusto il tempo di alleggerire la carta di credito e
di appesantire il carico dei bagagli per il volo di rientro. Devo però anche
aggiungere, pur non essendo un amante dei tappeti, che alcuni mi sembrano
veramente belli, così come pure notevoli sono i prezzi, una bella scoppola.
Lasciata Tinerhir, apprezzata anche per la sua antica medina, con un souq ed un
ksar originali, arriviamo finalmente dopo pochi chilometri alla Gola
del Todra. La gola è una frattura naturale che divide la catena dell'Alto
Atlante dai contrafforti del Jebel Sarho, i raggi del sole che riescono a
penetrare all'interno creano sulle vertiginose pareti dei bei giochi, anche se
per apprezzare al meglio il fenomeno occorrerebbe trovarsi qui nelle prime ore
giorno. La Gola del Todra attira anche numerosi appassionati di arrampicata, per
la presenza di pareti verticali che ben si prestano per praticare questo sport.
All’interno della gola scorre un piccolo torrente dalle acque cristalline, cui
una leggenda locale attribuisce miracolose proprietà benefiche e curative. E'
ormai pomeriggio inoltrato, quando riprendiamo la strada del ritorno verso
Ouarzazate, ammirando gli stupendi panorami che la Valle del Dadès ci offre nel
suo versante orientale, in un susseguirsi di villaggi dalle piccole case
colorate, come ad esempio quello di Tizgui, ricchi di vita ed inseriti in
un ambito paesaggistico unico tra appezzamenti coltivati, palmeti e kasbah
abbandonate, mentre sullo sfondo pianure desolate si protendono incontro al
deserto roccioso del Jebel Sarho.
1 Aprile 2004 Ouarzazate
- Passo del Tizi n'Tichka – Marrakech
Lasciamo la
città di Ouarzazate cullati dal canto di un'antica nenia berbera che si
affievolisce nel silenzio di sconfinati altopiani, con gli occhi ancora pieni
delle struggenti emozioni che il sud del Marocco ha saputo regalarci. Abbiamo
assaporato i ritmi arcaici d’una vita senza tempo, in cui ogni più piccolo
gesto esprime muto una sapienza antica e dove tutto sembra farsi polvere per
confondersi con la sabbia del deserto, in un continuo fluire di stupefacenti
contrasti fissati in maniera indelebile nei nostri ricordi. Una sottile vena di
malinconia pervade l'aria, mentre in tutti noi s'appressa quel sentimento di
nostalgia che invade l'animo, quando il viaggio ha ormai intrapreso la strada
del ritorno, è come se solo ad un tratto ci si accorgesse del tempo che è
passato e di quanto poco
s'approssima alla fine. La strada sale incessante, arrampicandosi per
tortuose vie verso il passo del Tizi n'Tichka ben oltre i 2000 mt., ci
lasciamo alle spalle il paesaggio lunare dell'Anti Atlante, intervallato da
spettacolari e verdi terrazze, mentre una leggera foschia scende a incappucciare
la cima della montagna che si staglia davanti a noi. Sembra quasi di essere
sospinti in avanti dall'alitare d'uno spirito antico, partecipe anche lui
d'un rito che con la ripida discesa verso Marrakech ci apre la via verso una
nuova dimensione. E arriviamo finalmente a Marrakech, l'ultima
tappa del nostro viaggio in Marocco e la migliore sintesi conclusiva di
quest'esperienza, la città che più d'ogni altra sa offrire un autentico punto
di vista sull'insieme cosi variegato e composito della cultura di questo paese,
tra la ragion d'essere araba e l'antica memoria berbera, tra sapori mediterranei
e profumi africani, in un continuo equilibrio tra antico e moderno che qui
convivono l'uno accanto all'altro, ora sfiorandosi appena, ora intrecciandosi
indissolubilmente. La storia della città di Marrakech è costellata di
splendori e miserie, dall'anno della sua fondazione, avvenuta nel 1062 ad opera
del sultano almoravide Toussef bin Tachfin, è stata più volte capitale
del regno e più volte conquistata e ridotta ad un rango inferiore. Molte delle
sue antiche bellezze architettoniche sono andate irrimediabilmente perdute,
distrutte dalla nuova dinastia araba che subentrava alla precedente. Ma anche
nei momenti di maggior decadenza la città è sempre riuscita a mantenere
intatto un suo fascino intimo e discreto, sapendo rinascere ogni volta dalle sue
stesse ceneri, fuori e all’interno delle antiche mura che al tramonto si
tingono di rosso porpora, colorate dal sangue che sgorgò quando venne costruita
la Koutoubia (la grande moschea ) come narra un'antica leggenda berbera. Prima
di acquartierarci di nuovo, per gli ultimi giorni del nostro tour, nello stesso
albergo che ci ospitò al nostro arrivo in Marocco, il moderno Atlas in ave de
France, ci fermiamo in centro, ansiosi di dare un primo assaggio all'atmosfera
che si respira in città e che contrasta in maniera così rumorosa dal sud che
abbiamo appena lasciato. Ed ogni visita della città che si rispetti non
può che iniziare dal cuore pulsante che è piazza Djemaa el-Fna,
crocevia dove passato e presente si incontrano e si confondono, all'interno di
uno spazio in cui anche gli spettatori sono chiamati a farsi attori. Regna
ancora una calma apparente e tutto è sospeso come per magia in una religiosa
attesa. Si ha quasi il timore di violarne l’intimità, come a risvegliare
quello spirito misterioso che la possiede e che ora si è placato. C'è una
forza inesorabile che ti attira verso il suo centro, nell’attesa che si apra
di nuovo il sipario sullo spettacolo che si rappresenta oggi come ieri, ieri
come cento anni fa, perché questa piazza è il teatro del mondo che cambia,
rimanendo sempre uguale a se stesso. E cosi per un magico incanto, mentre le
ombre della sera scacciano gli ultimi furtivi raggi del sole, la piazza inizia a
risvegliarsi e a prendere nuovamente vita. E in un attimo tutto diventa clamore,
mentre un incessante brulicare di anime si affaccendano attorno alla propria
opera, all'interno d’un disordine organizzato in cui ognuno è rispettoso del
ruolo che si è scelto. Spuntano così, fuori dal nulla, gli attori di questo
immaginifico circo, che ogni sera e da ogni luogo attira a se comparse e
spettatori. Qui s’affannano ad allestire banchetti, li ad accendere fuochi, la
a cucinare pietanze e piatti dei più ricercati, mentre l'aria si satura degli
odori che si spandono dalle volute di fumo, di pesce fritto, di carni arrostite,
di brodo di lumache, di zuppe di verdura, di spezie pungenti, di pani fragranti,
di frutta fresca, di montagne di dolci caramellosi, in un vociare di richiami
che ti accompagna e ti tira, ora da una parte ora d'altra. E ad ogni angolo puoi
essere partecipe d'una scena diversa, saltimbanchi e giocolieri, incantatori di
serpenti e ammaestratori di scimmie, cantastorie e danzatori, megere e
fattucchiere, cavadenti e vecchi stregoni, mentre tutto inizia a girare
vorticosamente attorno e dentro di te, nell’attesa che tu decida fino a che
punto vuoi partecipare al gioco. E' una delle esperienze più particolari e
coinvolgenti cui si può assistere, il momento in cui culmina l'esperienza
trascendente del viaggio in questo splendido paese, imparando a gustare da
viaggiatori un autentico squarcio di vita, non costruito ad uso e consumo di
semplici turisti. Non ci sono regole né norme da rispettare, tutto è lasciato
alla vostra libera interpretazione, potete essere attori o solo semplici
spettatori, attraversarla da dentro o spiarla dall'alto, sopra d’una delle
tante terrazze che la circondano. Anticamente ogni grande e piccola città del
Marocco ospitava al tramonto un’adunanza del genere, che solo qui, però, ha
saputo mantenersi viva, grazie anche all'intuito del governo che si è prodigato
perché potesse continuare a svolgersi. Il programma della serata, con cui
concludiamo il nostro primo giorno a Marrakech, prevede la cena facoltativa con
spettacolo "Fantasia" presso il ristorante Chez Ali, poco lontano
dalla città sulla strada per Safi. Devo dire che in un primo momento,
subodorando il solito pacco confezionato per turisti, declino gentilmente
l'invito, salvo poi ripensarci più tardi dopo aver letto sulla guida della
Lonely Planet, generalmente poco tenera in circostanze simili, una nota
specifica su come fosse, in effetti, uno dei pochi spettacoli folkloristici
degni di nota. Posso aggiungere, a parte alcuni aspetti tipo Disney Araba,
che la serata merita veramente, in particolare perché si ha modo di gustare
un'ottima cena, con alcune delle più squisite portate della cucina marocchina,
comodamente seduti sotto un'ampia tenda berbera, mentre diversi gruppi
folkloristici si alternano per rallegrare la cena. Il menu della serata
prevedeva, zuppa Harira (la mia preferita, preparata con brodo d'agnello,
pollo, vari tipi di verdure e spezie come il coriandolo, la cannella, lo
zafferano e con il tocco finale di alcune gocce di limone), una porzione di
mezzo agnello alla brace per tavolo, diversi tipi di Coucous e Tajine,
e per terminare vari tipi di dolci, tra cui il m'hancha (paste
piatte e rotonde farcite con miele, mandorle e coperte di glassa e cannella). Al
termine della cena in grande spazio all’aperto si svolge uno spettacolo
d’arte varia, tra cui abili acrobazie a cavallo e cariche simulate che
terminano con salve esplose da antichi moschetti.
2 Aprile 2004 Marrakech
Oggi
dedichiamo la giornata alla visita di Marrakech, conosciuta anche come
"la città rosa". Scende una leggera pioggia, mentre iniziamo la
visita della necropoli che si trova nei pressi della moschea della Kasbah,
appena passata una delle porte, Bab Agnaou, con cui si accede all’interno
delle antiche mura che circondano la medina. La necropoli, costruita per
volere del sultano Ahmed al-Mansour verso la fine del 1500, contiene le tombe
della dinastia dei saaditi, e pur
salvandosi dai successivi saccheggi, seguiti alla caduta della dinastia stessa,
fini ben presto nell'oblio del tempo, fino alla successiva riscoperta per opera
del generale francese Layautey. Il complesso è suddiviso in tre piccole sale,
riccamente decorate da stucchi e intarsi in ceramica, al cui interno riposano
numerose spoglie di sultani e dei loro familiari. La sala centrale, detta delle
12 colonne per via del colonnato interno realizzato con marmo italiano, è la più
grande e maestosa ed ospita le spoglie del sultano che ne ordinò la
costruzione. Appena dietro la moschea e la necropoli si trova uno dei
palazzi più famosi di Marrakech, il Palais el-Badi, costruito tra il
1578 ed il 1602 per volere dallo stesso sultano Ahmed al-Mansour. Nel periodo di
maggior splendore il palazzo era considerato uno tra i più belli al mondo, oggi
purtroppo, dopo il saccheggio seguito alla conquista di Marrakech per opera del
sultano Moulay Ismail, versa in cattive condizioni. Splendidi interni si possono
invece ammirare, poco lontano, nel Palais de la Bahia, un palazzo in
stile marocchino utilizzato in parte, ancora oggi, dal sultano e dalla sua
famiglia. Costruito alla fine del XIX sec., come residenza di un gran visir
del sultano Moulay al-Hassan I, il palazzo si presenta con una struttura
articolata, con numerosi ambienti collegati tra loro da patii, giardini e
stretti corridoi, ognuno rifinito da decorazioni in ceramica alle pareti, con
stucchi ed intarsi di legno sui soffitti e negli stipiti delle porte. Terminata
la visita del palazzo ci rechiamo in rue Riad Zitoun el-Jedid, per ammirare la
collezione di uno dei più interessanti e spettacolari musei di tutto il
Marocco, il museo Dar Si Said, da non mancare assolutamente. In effetti
il nome, attribuito oggi comunemente al museo delle Arti Marocchine, deve
essere più propriamente riferito al palazzo che lo ospita, fatto costruire dal
fratello del gran visir Bou Ahmed, quello per cui venne costruito il Palais de
la Bahia. Il museo ospita una delle più belle collezioni d'arte, unendo insieme
oggetti raffinati, gioielli in argento, oggetti di legno d’uso comune,
stupendi portali intarsiati, ceramiche decorate a mano, tappeti ed arazzi,
antichi giochi per nobili bambini, armi da fuoco e caratteristici pugnali,
peccato solo che al suo interno è severamente proibito scattare fotografie.
Proseguendo nel nostro giro riprendiamo il pullman per spostarci nella zona
nuova di Marrakech, la ville nouvelle, per visitare le Jardin Majorelle,
uno dei numerosi giardini esotici che si trovano in città. Creati dal
pittore francese Jacques Majorelle sono oggi di proprietà dello stilista Yves
Saint-Laurent ( uno dei tanti nomi noti, tra cui anche parecchi italiani, ad
avere una casa qui ), al loro interno ospitano varie specie di piante, in
particolare cactus provenienti da varie parti del mondo e buganvillee.
L’atmosfera tranquilla e rilassata ed il delicato profumo dei fiori concorrono
a farne un'oasi di pace che invita a prendersi una sosta dalla caotica e
frenetica vita che scorre appena fuori. I giardini ospitano anche un piccolo
museo di Arte Islamica in cui è possibile ammirare alcuni dei lavori di
Majorelle. Passato il momento di immersione nella natura siamo pronti a
rituffarci nella medina e mentre ci dirigiamo per il pranzo in uno dei famosi
palazzi, antichi riad trasformati in raffinati ed eleganti ristoranti,
attraversiamo il souq con il suo dedalo di vicoli, di negozi, di botteghe
artigianali, con quel vociare che ora aumenta e ora scompare come per magia,
appena girato un angolo, per piombare in un silenzio irreale. Il fascino del
souq di Marrakech ha i connotati tipici di tutte le città marocchine dove più
forte è l'impronta araba ed ogni volta è pronto a stupire, offrendo di se un
panorama sempre unico e diverso. E mentre la sera si avvicina la forza
ancestrale di Djemaa el-Fna ci richiama di nuovo a se, è incredibile come si
possa restare incantati di fronte a questo spettacolo che muta ogni sera per
rimanere sempre fedele a se stesso. E quello che la sera prima si presentava in
un modo ora assume una sfaccettatura nuova, una voce si sovrappone ad un'altra
nella nostra memoria e sembra quasi di non essersene mai staccati, come legati
da un filo invisibile. Per concludere la giornata ci concediamo una puntata al
casinò nel famoso albergo La Mamounia, appena dentro la medina passata
la porta di Bab el-Jedid, e con il pretesto di ammirare gli interni di
questo splendido palazzo, costruito tra il 1925 ed il 1929 e meta preferita di
personaggi storici come ad esempio Winston Churchill, tentiamo la fortuna nella
sala delle slot machine ( per accedere nella sala vera e propria occorre essere
in giacca e cravatta ) , riuscendo perfino a vincere qualche centinaio di
dinari.
3 Aprile 2004 Marrakech
Oggi aleggia
una strana atmosfera in albergo, è il nostro ultimo giorno di permanenza in
Marocco, non c'è nessuna sveglia che ci invita ad alzarci, nessun orario da
rispettare, nessuno che ci aspetta per iniziare un nuovo giro, non c'è neanche
la nostra guida Saâd ad augurarci il buon giorno, siamo soli, soli e liberi, e
per la prima volta ci sentiamo un po' persi, come sospesi tra un quotidiano che
di li a poco abbandoneremo e il quotidiano della nostra vita che presto
riabbracceremo. Ed allora è invitabile che in tutti noi monti quell'impalpabile
malinconia che precede la partenza, che rende svogliati e sazi, come se
tutto fosse già compiuto e nulla più ci attendesse. Quanto possono essere
lunghi, seppur brevi, quindici giorni, quanto è facile immergersi in una realtà
tanto diversa dalla nostra da non volersene più staccare. Mi rimane ancora
qualche foto da scattare, qualche regalo da portare via, e cosi a piedi
raggiungo di nuovo la medina, il souq, la piazza, cercando di memorizzare ogni
viso, ogni sorriso, ogni più piccolo ricordo di questo stupendo paese. Il
pomeriggio poi, insieme con altri del gruppo, affittiamo una di quelle
carrozzelle che stazionano nei pressi di Djemaa
el-Fna, e che per una modica cifra offrono la possibilità di rivivere
tutto da una prospettiva diversa, attraverso gli stretti vicoli della medina in
cui il vetturino deve destreggiarsi profondendo tutta la sua notevole abilità. Con
un piccolo supplemento, lo chiamano giro completo, si può arrivare fin dove ha
inizio il palmeto. Non ha nulla a che spartire con i bei palmeti del sud del
paese, ma è comunque interessante passare a velocità ridotta nel caos del
traffico dei quartieri periferici ricchi di vita. E al termine della giornata
decidiamo di concludere il nostro viaggio in Marocco in una maniera un po'
insolita, andando a mangiare un hamburger nel McDonald che si trova nella zona
nuova della città. Siamo gli unici stranieri presenti, ma ci confondiamo
facilmente con i ragazzi del luogo, i cui modi, per certi versi, non sono molto
dissimili da quelli di qualunque ragazzo della stessa età in una qualunque città
italiana, a dimostrazione di come questo paese, così legato alle sue
tradizioni, ai suoi ancestrali modi di essere, sia anche un paese proiettato
verso usi e costumi più occidentali.
4 Aprile 2004 Marrakech
– Bologna
E' l'alba, quando
incontriamo per l'ultima volta la nostra guida Saâd, il tempo dei saluti si è
fatto urgente, il suo compito è finito ed ora raggiungerà per qualche giorno
di riposo il suo piccolo paese nel sud, il nostro aereo è pronto sulla pista e
mentre decolla noi stiamo già rientrando nella vita di tutti i giorni, forse
qualcuno sta pensando al prossimo viaggio e qualcun'altro, forse, sta già
pensando al giorno in cui ritornerà ...
Diario
di Viaggio di Maurizio Fortunato – Marocco 2004.
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Bibliografia e Fonti Storiche :
Guida di Viaggio Marocco della Lonely Planet, edita da EDT nel 2003.