Cronaca di un viaggio dal Malawi, attraverso il Mozambico, alla Tanzania
Diario di viaggio agosto 2008
L’Africa
ha mille e più volti differenti, Sandro ed io volevamo conoscerne uno nuovo,
diverso da quello dei parchi naturali, dei paesaggi, delle etnie, degli animali,
così è nata l’idea di questo viaggio che ha inizio in Malawi e che,
attraversando il Mozambico settentrionale, termina nel sud della Tanzania.
L’itinerario
tocca tre Nazioni, ma la distanza percorsa non supera i 2.500 km diluiti in 4
settimane. Abbiamo viaggiato in prevalenza via terra, con lentezza, utilizzando
svariati mezzi e, ad esclusione di alcune soste in paradisi per turisti, ci
siamo calati nelle diverse realtà locali, vivendo esperienze veraci ed
indimenticabili anche se, in alcuni casi, piuttosto faticose.
La
progettazione dell’intero viaggio è stata molto laboriosa, tutto si è
giocato sugli incastri dovendo tener conto che la motonave Ilala che attraversa
il Lago Malawi da sud a nord viaggia una sola volta la settimana (venerdì), che
il treno che collega le cittadine di Cuamba e Nampula c’è a giorni alterni,
vale a dire tre volte la settimana (mercoledì – venerdì – domenica) e che,
infine, il breve volo per Dar es Salaam (Tanzania) è operato da Lam Mozambique
il martedì, giovedì, sabato.
Una
volta definite le varie tappe ci siamo posti il problema di come concretizzare
il tutto ad un costo abbordabile.
Escluse
le proposte, a prezzi – per noi – elevati, di Harmattan (il solo operatore
italiano che, insieme ad un altro grande nome, ha in catalogo un tour simile) e
di Makomo Safaris, loro referente locale, che – ne immagino la ragione – ha
quotato il viaggio ad un costo addirittura maggiore, mi rivolgo, dopo svariate
ricerche, a tre diverse agenzie locali (1 con sede in Malawi, 1 in Mozambico, 1
in Tanzania) ognuna delle quali si occuperà di organizzare una porzione di
itinerario lasciando, tuttavia, scoperta la prenotazione del treno (i biglietti
sono acquistabili presso la stazione di Cuamba solo un giorno prima, a patto che
il treno arrivi dalla direzione opposta) e di un alloggio riservato direttamente
per e-mail, prenotazione che ci ha lasciato dubbiosi fino al nostro arrivo a
Cuamba in quanto alle varie richieste di conferma sono seguiti solo inviti
all’iscrizione ad una chat per cuori solitari. Non abbiamo mai capito se si è
trattato di spam o di qualche traffico particolare di uno degli impiegati
dell’albergo.
Dopo mesi di coordinamento del lavoro svolto dalle tre agenzie e delle conseguenti modifiche per lo spostamento di un giorno, per ben tre volte, del volo dal Mozambico alla Tanzania, finalmente si parte tenendo però le dita incrociate affinché motonave, treno e aereo siano operativi nei giorni stabiliti e non si guastino come spesso accade.
19
agosto 08 – martedì
Ormai
è tutto pronto, i bagagli sono chiusi, siamo impazienti ed insofferenti, la
nostra casa ci sta stretta ed anche se il volo KLM per Amsterdam parte da
Malpensa nel pomeriggio ci avviamo verso l’aeroporto già dalla tarda
mattinata ritenendo che sia meglio ingannare l’attesa curiosando nei negozi e
duty free dello scalo milanese.
Il
volo per l’Olanda parte puntuale, seguono poi, durante la notte, il volo per
Nairobi ed infine quello per Lilongwe, capitale del Malawi.
20
agosto 08 – mercoledì
E’
sempre emozionante, ma anche rassicurante, trovare in aeroporto chi sta
aspettando proprio te con un cartello che riporta a caratteri cubitali l’ormai
consueto DANIELLA x 2 (si, con due elle, gli africani non concepiscono il mio
nome scritto con una sola elle).
L’agenzia
malawiana ha uno sportello anche in aeroporto, facciamo due chiacchiere con uno
degli impiegati, non più di due a causa del nostro inglese alquanto primitivo,
ritiriamo i documenti di viaggio (voucher, cartine, un papiro di consigli vari)
poi a bordo di un minibus nuovo fiammante, in un paio d’ore, raggiungiamo
Senga Bay, sul Lago Malawi.
Il lago Malawi (noto anche come Nyasa o Niassa)
è il terzo lago del continente africano in ordine di grandezza, dopo il Lago
Victoria e il Lago Tanganyka, e il nono più grande del mondo. È il più a sud
fra i laghi della Grande
Rift Valley. Con i suoi 550 km di lunghezza, 75 km di larghezza e 700
m di profondità in alcuni punti, costituisce gran parte del confine fra Malawi e Mozambico
e in parte tocca la Tanzania.
Nelle sue acque blu nuotano più di 500 specie di pesci,
di cui più di 350 sono endemiche del lago. Ospita anche un terzo delle specie
di ciclidi (pesce d’acqua dolce) conosciute, compreso il coloratissimo mbuna.
Fra le altre specie animali presenti nel lago si possono
citare i coccodrilli e una vasta popolazione di aquile pescatrici.
Il
Safari Beach Lodge è molto grazioso, i pochi bungalow sono arroccati su una
serie di collinette che offrono begli scorci del lago, completano l’insieme un
giardino curatissimo con una piccola piscina, poco più sotto una breve
scalinata permette di raggiungere una spiaggetta delimitata da enormi massi di
granito.
Dopo
aver preso possesso dell’alloggio assegnato ci trasferiamo in spiaggia,
piazzandoci sui lettini collocati all’ombra di alcuni imponenti alberi, ci
facciamo catturare dalla bellezza del panorama e ci divertiamo a seguire le
evoluzioni di scimmiette e scoiattoli che qui abbondano.
Il
sole tramonta presto, alle 19 abbiamo già cenato, cerchiamo di tirar tardi (si
fa per dire!), ma la stanchezza post viaggio ha il sopravvento, alle 20 siamo già
nel mondo dei sogni.
Come
sempre, quando torniamo in Africa, siamo ben contenti di regolare il nostro
orologio biologico adattandoci senza fatica ai ritmi solari di queste
latitudini.
21 agosto 08 – giovedì
Rigenerati
da 10 ore di sonno ininterrotto, gustiamo la prima colazione africana stando
seduti in giardino tra scimmie giocherellone che si avvicinano incuriosite, ma
che al minimo nostro movimento fuggono veloci.
In
compagnia di un paio di ragazzi del luogo visitiamo il vicino villaggio di
pescatori.
Le
piroghe in legno, ben allineate sulla spiaggia, sono già rientrate dalla pesca,
gli uomini hanno scaricato il “bottino” (poca roba, in realtà!) e diviso il
pesce in base alle diverse tipologie: i crostacei vengono sparsi sulla sabbia, i
pesci più grandi, tagliati a tranci, vengono posti a seccare adagiati su stuoie
di cannette sollevate da terra, quelli più piccoli vengono subito fritti per
essere poi venduti al mercato.
Nonostante
gli scarti del pesce già pulito, nell’area aleggia soltanto un buon profumo
di frittura anche se immaginiamo che l’olio utilizzato non sia dei migliori.
Qui,
tra gli adulti, nessuno bada a noi, ognuno continua la propria attività,
compresa quella di rammendare le reti, lanciando solo un furtivo sguardo
incuriosito o un mezzo sorriso o un fugace saluto.
Rispettando
l’operosità e la dignità di queste persone ce ne andiamo in punta di piedi
senza scattare le decine di fotografie alle immagini che l’occhio invece ha
scorto e riposto nella memoria.
Il
villaggio è piccolo e raccolto, benché isolato
e costituito da un insieme di povere capanne di fango con il tetto di paglia
comprende una minuscola zona “commerciale”, attorno a cui ruota la micro
economia locale, che ospita un “ristorantino” (una tettoia con un paio di
tavoli e panche rudimentali dove i pescatori al termine di una lunga giornata di
lavoro bevono un tè o mangiano un boccone) oltre ad un “panettiere”, vale a
dire un ripiano con poche pagnottelle, un “ortolano”
che espone, come fossero opere d’arte, un mucchietto di pomodori,
quattro carotine e altrettante cipolle.
Attraversando
il villaggio, sono tanti i bambini che si materializzano circondandoci quasi con
timore, è evidente che qui passano pochi turisti. I più arditi si avvicinano,
ci prendono per mano, ci toccano e – raggiunto l’obiettivo di un contatto
fisico con questi strani esseri tanto pallidi – se ne vanno, subito dopo,
raggianti.
Ne
abbiamo appesi diversi per ciascuna mano, ognuno si accontenta anche di un solo
dito, sono contagiata dalla gioia mista a stupore che i bambini esprimono.
Mi
diverto nell’osservare alcuni di essi che, dopo aver passato entrambe le
manine sulle mie braccia e gambe, sono increduli e delusi nel constatare che
sulle loro estremità non c’è traccia del mio bianco. Una bimba
particolarmente audace e non convinta del mio colore decide di “assaggiarmi”
a piccoli ed innocui morsi, un’altra, dopo aver strofinato le mani sul mio
avambraccio e, forse, certa di aver prelevato l’”impasto” bianco di cui
crede che io sia fatta lo spalma sul suo faccino proprio come si farebbe con una
crema per il viso.
Qui,
a differenza di altri luoghi, dove il passaggio di turisti ha lasciato il segno,
nessuno chiede soldi, matite o caramelle, la nostra presenza è solo un
avvenimento, un momento di curiosità, un gioco, una scoperta. Per noi la
spontaneità di questo incontro è motivo di divertimento e di emozione.
Ci
salutiamo sulle note di una filastrocca africana improvvisata per noi e,
commossi, proseguiamo l’escursione camminando parallelamente al lago sino a
raggiungere una grande insenatura che racchiude una bella spiaggia di sabbia
chiara delimitata da grossi massi di granito.
Lungo
il sentiero osserviamo bellissimi uccelli colorati e babbuini che saltano con
incredibile agilità, di albero in albero, da un ramo all’altro, arrivando a
toccare terra a tempo di record per poi risalire lungo un tronco altrettanto
velocemente.
Tra
la vegetazione spiccano baobab, banani, manghi, alberi salsiccia e numerose
specie di piante e alberi che non conosciamo.
Attraversiamo
zone con piccole lagune contornate da canneti incontrando solo qualche solitaria
capanna. Ovunque, sul terreno, sono disseminati giganteschi massi di granito
rotolati sin qui chissà quando e chissà come, forse milioni di anni fa e
bloccatisi in posizioni che all’apparenza sembrano precarie, pare, infatti,
che debbano caderti addosso da un momento all’altro.
Superiamo
alcune belle spiaggette di sabbia dove le onde del lago, oggi un po’ agitato,
si infrangono rumorosamente esattamente come quelle del mare.
La
camminata termina dopo circa 3 ore, rientriamo al lodge molto soddisfatti degli
incontri spontanei con gli abitanti e appagati dalla bellezza, varietà e
abbondanza di vegetazione e uccelli.
Oziamo
per il resto della giornata, trasferendoci dalla spiaggia al giardino ed,
infine, sulla terrazza panoramica che si affaccia sul lago.
Siamo
in silenzio, in contemplazione ed in attesa del tramonto quando sentiamo un gran
vociare, proviene da una barca carica di persone e merci; attratti dal rumore
anche gli abitanti del villaggio di pescatori accorrono sulla spiaggia.
Con
il passare del tempo è evidente che l’imbarcazione ha un problema, nonostante
i vari tentativi non c’è verso di farla ripartire. Cala il buio ed alla luce
di due torce alcuni uomini mettono mano al motore mentre i passeggeri sbarcano
raggiungendo la riva, bagnandosi fino alla vita, ognuno con il proprio carico di
mercanzia sulla testa.
Lo
sbarco, accompagnato da schiamazzi e risate, dura a lungo, dalla nostra
postazione elevata assistiamo alle scene più incredibili e una cosa ci colpisce
più d’ogni altra: il grande senso di rassegnazione che accompagna i
“naufraghi” e la spontanea solidarietà da parte degli abitanti del
villaggio.
La
spiaggia si accende di fuochi e per diverse ore sentiremo l’eco delle voci,
delle risate, dei canti di chi si appresta a trascorrere la notte sotto le
stelle.
Sorridiamo
compiaciuti al pensiero che il piccolo ristorante del villaggio questa sera,
quasi certamente, ha registrato il tutto esaurito.
22
agosto 08 – venerdì
Al
nostro risveglio la barca è ripartita, proviamo sollievo per gli occupanti che
hanno potuto riprendere il viaggio.
Le
sorprese continuano, in bagno, sul bordo del lavabo, troviamo le impronte delle
manine di una scimmietta. Ci guardiamo attorno e ne scorgiamo parecchie un po’
ovunque: sui rami degli alberi, sulle staccionate di legno, sui massi, alcune,
per nulla intimorite dalla nostra presenza, fanno la spola tra il bagno, la
veranda e le cime degli alberi, non ci si stanca davvero mai di osservare questi
simpatici animali mentre si spostano agili e veloci.
In
questo luogo abbiamo abbandonato la frenesia cui la vita quotidiana e cittadina
ci costringe, abbiamo passato ore in totale inattività semplicemente osservando
la natura, le persone, gli animali, ci siamo rigenerati, ma la preoccupazione di
oggi, rivolta alla motonave Ilala, ci riscuote dallo stato di benessere in cui
ci troviamo, ci chiediamo fin dal mattino se arriverà, non c’è modo di
saperlo in anticipo se non quando la si vede sul lago all’orizzonte.
Lasciamo
il lodge poco dopo mezzogiorno, ci accompagna il manager, un giovane olandese
biondo in compagnia della moglie malawiana in attesa di un bimbo. E’ un
piacere incontrare una coppia mista in un Paese dove il divario tra bianco e
nero è ancora enorme sebbene la segregazione razziale sia stata abolita e dove,
purtroppo, spesso il bianco rappresenta ancora il “bwana” (padrone).
In
circa un’ora raggiungiamo il porto di Chipoka, ci accomodiamo sulle lunghe
panche di cemento collocate sotto una tettoia tra persone che per ingannare
l’attesa dormono, mangiano, bivaccano o si muovono al ritmo della musica
diffusa, ad alto volume, da un altoparlante mentre le immagini di un video
trasmettono una sorta di musical.
Nessuna
notizia dell’Ilala, per 2 ore non succede nulla, secondo gli orari pubblicati
su una tabella dovrebbe essere già arrivata, ma sappiamo che spesso è in
ritardo, cerchiamo, quindi, di non allarmarci più di tanto e finché le
persone, come noi in attesa, non danno segno di impazienza facciamo altrettanto.
Tiriamo, però, un sospiro di sollievo quando all’orizzonte compare un punto
nero: è fatta! l’Ilala, anche se in ritardo, c’è ed il nostro viaggio può
proseguire come da programma. Il primo spauracchio è superato!
Ci
spostiamo sulla banchina, dove, oltre ad una moltitudine di persone in attesa,
c’è una troupe di documentaristi schierata a filmare, registrare e
fotografare l’ingresso in porto della motonave e le successive operazioni di
sbarco di uomini e scarico manuale delle merci più svariate.
Ci
facciamo largo tra la folla di passeggeri appena sbarcati, persone in attesa di
imbarcarsi e curiosi, mentre una schiera di venditori propone a gran voce
frittelle, pannocchie di mais arrostite, pesce fritto ed altre cibarie.
Siamo
a bordo e dal ponte superiore possiamo continuare ad osservare quanto succede
sulla banchina per un’ora buona prima del suono della sirena che annuncia
l’imminente partenza, a quel punto cessa ogni attività, si lasciano gli
ormeggi e si salpa tra i saluti di chi rimane a terra.
La motonave Ilala è una vecchia imbarcazione da 620
tonnellate, gestita dal Lake Malawi Service, che fornisce collegamenti
essenziali alle comunità che vivono sulle sponde del lago.
Ogni settimana la motonave attraversa l'intero lago
viaggiando pigramente ad una velocità di 10 nodi.
Il
ponte inferiore è adibito al trasporto di persone (circa 400) e di merci
sopportando un carico di 100 tonnellate.
Il
ponte superiore ospita, oltre ad un ristorante, 6 cabine destinate ai soli
passeggeri che viaggiano in prima classe, poche persone che dispongono di un
intero piano sovrastato da un ponte panoramico con un baretto e qualche panca.
L’Ilala
non è una nave lussuosa, anzi tutt’altro, le cabine – con bagno in comune
– sono modestissime, lo stesso dicasi per il ristorante, ma il divario tra chi
viaggia in prima classe e chi sul ponte inferiore è abissale, ci sentiamo, per
questo, a disagio ogni volta che, dagli imbocchi delle scale, scorgiamo le
persone ammassate.
Lasciamo
la costa del Malawi ammirando uno spettacolare tramonto e, mentre osserviamo la
superficie del lago che si accende di lucine scintillanti e dorate, non possiamo
che essere d’accordo con l’esploratore Livingstone che lo soprannominò
“il lago delle stelle”.
Il
ponte superiore è semivuoto, oltre a noi ci sono pochi altri passeggeri e la
troupe di documentaristi impegnata a riprendere qualsiasi scena ed immagine. Dal
piano di sotto provengono le voci concitate di un uomo ed una donna, pensiamo
dapprima ad un litigio, poi, allo scoppio di un applauso, realizzando che si
tratta di una recita, facciamo una riflessione sulla fantasia, la creatività
molto sviluppata e l’arte di divertirsi con nulla anche in una situazione di
disagio: sul ponte inferiore è davvero poco lo spazio condiviso da molti.
Ci
addormentiamo accompagnati da una serie di canti malinconici o, forse, è il
nostro senso di colpa che fa assumere alle note un’intonazione triste,
infatti, anche se siamo avvolti in lenzuola non fresche di bucato che hanno già
ospitato altri corpi e gli scarafaggi hanno fatto la loro comparsa, siamo
sicuramente molto meglio accomodati degli inquilini del piano inferiore.
Durante
la notte veniamo svegliati dal suono della sirena che annuncia la prima sosta,
la motonave ormeggia al largo. Le scialuppe, calate in acqua, partono cariche di
persone e merci (compresi polli vivi, materassi, coperte, mobili e viveri di
ogni genere) che vengono scaricate sulla costa per poi fare ritorno piene di
altrettanta merce ed umanità.
I
documentaristi non smettono di filmare ed anche noi non perdiamo un solo attimo
delle operazioni di sbarco/imbarco.
I
passeggeri dall’Ilala si gettano, con un salto, sulle barche e, viceversa,
dalle barche le persone si issano sulla motonave non trascurando mai il proprio
carico. Un’ondata allontana una delle imbarcazioni proprio nell’attimo in
cui un uomo sta compiendo il salto, rabbrividiamo nel vederlo cadere in acqua,
ma senza drammi o scene di panico viene prontamente ripescato.
Le
piccole barche affollate che fanno la spola tra l’Ilala e la costa ci portano
con il pensiero ad altre imbarcazioni che lasciano clandestinamente i porti
africani trasportando centinaia di persone, stipate come animali, in fuga da
violenze, miserie, conflitti e atrocità, viaggi che, purtroppo, non di rado, si
concludono tragicamente.
In
questo contesto la similitudine sta solo nell’affollamento delle barche, la
“traversata” qui dura solo pochi minuti dopo di che c’è chi – sbarcato
– torna alla propria abitazione e chi – imbarcato – prosegue il viaggio a
bordo dell’Ilala.
Dopo
due ore di sosta, la sirena annuncia la nuova partenza, torniamo in cabina e,
incuranti degli scarafaggi, ci riaddormentiamo.
Rumori
di ferraglia e scricchiolii sinistri ci destano improvvisamente, impieghiamo
qualche secondo per realizzare che ci troviamo nel bel mezzo di una bufera che
solleva onde altissime facendoci ballare in maniera impressionante ed
inaspettata.
Abbiamo
voluto un viaggio verace che prevedesse l’utilizzo di svariati mezzi locali?
Bene!
Eccoci servita anche la possibilità di naufragare durante una burrasca.
Scherzi
a parte, non temiamo di affondare, però siamo costretti per diverse ore
all’immobilità, scongiuriamo il “mal di mare” stando sdraiati e
sorridiamo al pensiero di quanto sarebbe grottesco raccontare di averne sofferto
durante la traversata di un lago.
Tra
un sobbalzo e l’altro ci addormentiamo senza, pertanto, poter stabilire come,
dove, quando la bufera è cessata.
23
agosto 08 - sabato
Il
risveglio ed il nuovo giorno, oltre la quiete, ci riservano i
bellissimi paesaggi della costa mozambicana, diverse altre soste con
relativi sbarchi/imbarchi e lo spettacolo dell’attività ancora più serrata
dei documentaristi che, dopo aver calato in acqua un gommone, effettuano riprese
subacquee, a pelo d’acqua, esterne e da ogni altra angolazione possibile.
Ci
chiediamo chissà quando e chissà quale canale televisivo trasmetterà la
straordinaria raccolta di immagini, scene e suoni che, per puro caso, abbiamo
avuto il privilegio di condividere ed assaporare insieme alla dinamica,
efficiente ed attrezzata squadra di tecnici.
Solo
durante le soste è consentito ai passeggeri del ponte inferiore salire
all’ultimo piano che, numerosi, affollano il bar facendo incetta di bibite,
biscotti e di quel poco altro che si trova esposto sugli scaffali.
Non
ci sorprende che la bibita più gettonata sia la Coca Cola dopo aver constatato
con amarezza che costa la metà di meno rispetto ad una bottiglietta d’acqua.
E’
scandalosa la politica adottata dalla multinazionale per diffonderne il consumo
anche nei Paesi più poveri del Mondo.
Dal
canto nostro, continuiamo, sempre più determinati, a sostenerne il
boicottaggio.
Alle
17, dopo 25 ore di navigazione, sbarchiamo a Cobue. Mentre raggiungiamo terra, a
bordo di un gommone, l’Ilala, ancorata al largo, con i colori del tramonto che
fanno da sfondo, è un’immagine tanto bella da sembrare un quadro.
Raggiunta
la spiaggia, ci accomodiamo ad un tavolino di quello che sembra (è quasi buio e
non c’è illuminazione) un piccolo emporio. Attendiamo qui il funzionario
doganale impegnato sulla motonave a controllare i documenti di chi sbarca.
Le
pratiche per l’ottenimento del visto non ci risparmiano momenti di tensione,
inoltre, vanno decisamente per le lunghe: il funzionario è sin troppo
petulante, il buio quasi totale poi non favorisce la corretta compilazione della
modulistica che dobbiamo riscrivere più volte, ripaghiamo la tassa di ingresso
in Mozambico, nonostante sull’Ilala, alla precedente fermata, un diverso
addetto al controllo avesse già applicato sui passaporti un bollo adesivo,
timbrato, comprovante il nostro assolvimento e, per finire, siamo costretti a
rinunciare ad un resto di 14 USD che, guarda caso, il tanto “solerte”
doganiere non possiede.
Non
male il primo approccio con il Mozambico!
Da
Cobue, in gommone, ci trasferiamo presso la Manda Wilderness Reserve correndo e
sobbalzando a velocità sostenuta sull’acqua del lago nera come
l’inchiostro. Con il buio totale che, per noi, è privo di riferimenti, la
notte africana è inquietante, mi aggrappo ad un sostegno e mi concentro sul
cielo stellato per non lasciare spazio al timore che mi assale. Lo spettacolo di
migliaia di stelle e della via lattea mi calma un poco, ma i 30 minuti che
impieghiamo per raggiungere Nkwichi lodge sembrano interminabili e mi rilasso
solo quando mettiamo di nuovo piede a terra.
Chi
ci riceve ci accompagna alla nostra abitazione (Tuya), ma siamo in ritardassimo,
gli altri ospiti stanno aspettando noi per la cena, abbiamo, quindi, giusto il
tempo di lavarci le mani, raggiungiamo poi velocemente la terrazza che ospita la
sala da pranzo con un unico grande tavolo per i commensali. Proviamo molto
imbarazzo per l’attesa imposta agli ospiti, per il nostro aspetto
“stropicciato” (indossiamo gli stessi abiti da due giorni con i quali
abbiamo anche dormito) e, come se non bastasse, tra inglesi ed americani che non
fanno alcuno sforzo per scandire meglio le parole, abbiamo serie difficoltà di
comprensione e comunicazione.
Per
tante ragioni, la stanchezza in primis, non vediamo l’ora di ritirarci nella
nostra “capanna”.
24
agosto 08 – domenica
Alla
luce del sole, il sospetto di trovarci in un luogo da sogno si trasforma in
certezza. L’abitazione Tuya che già ieri sera ci era apparsa enorme e
splendida si rivela in tutti i suoi dettagli. Si tratta di una “capanna”
circolare che ingloba alcuni massi di pietra che costituiscono un elemento
decorativo di grande effetto.
Il
tetto, dalla forma di V rovesciata, è un’altissima struttura di legno
rivestita di paglia.
Lungo
le pareti perimetrali di cannette numerose le aperture che fungono da porte e
finestre tutte senza vetri.
I
materiali utilizzati sono pietra, legno, canne di bambù e paglia.
Un
locale spazioso e ben arieggiato racchiude il bagno (con water ed un ampio
lavabo), ma il punto forte di questa bellissima sistemazione è la vasca da
bagno scavata nella roccia che si trova all’esterno, nel giardino privato, in
cima ad una breve scalinata ricavata tra i massi.
La
doccia pende al di sopra della vasca dal ramo di un albero. E’ davvero
fantastico lavarsi all’aperto, al riparo da sguardi indiscreti e con il
cinguettare degli uccelli, unico suono che rompe il totale silenzio.
Se
l’interno della nostra abitazione ci lascia senza parole, l’esterno ci
“stende”… la prima cosa che notiamo è la sabbia bianca finissima, fatti
pochi passi, al di là di una serie di cespugli, compare una lunga spiaggia
accecante, dalla forma di mezzaluna, lambita dall’acqua del lago
trasparentissima e turchese. Qua e là in acqua ed anche sulla spiaggia, come
sculture, alcune formazioni granitiche modellate dal vento fanno bella mostra di
sé.
Siamo
increduli, ci chiediamo se tutto ciò sia reale, se davvero questo è un lago e
dove sta l’inghippo… forse l’acqua è gelida? non ci si può bagnare? è
infestata dai coccodrilli? c’è la bilharzia? e mille altre domande, perché
questo lago dai colori maldiviani ornato da graniti che ricordano quelli
seychellesi sembra troppo bello per essere reale.
La
natura però riesce ancora una volta a sorprenderci, questo angolo di paradiso
è autentico, non nasconde alcuna insidia, la temperatura dell’acqua è
gradevole e mettendo la testa sotto si possono ammirare i tanti pesci colorati
per cui il Lago Malawi è famoso.
Dopo
aver esplorato la spiaggia in lungo ed in largo, facciamo colazione e prendiamo
accordi con una guida locale per una camminata che prevede la salita ad un
belvedere ed al ritorno, costeggiando il lago, la sosta presso il baobab più
vecchio della zona.
Fa
molto caldo e la salita, anche se non eccessivamente lunga, si rivela
impegnativa, ma il panorama che si gode dall’alto ci ripaga della fatica. La
superficie del lago ha sfumature incredibili ed è disseminata di tanti isolotti
di granito, nonostante il caldo rabbrividisco al pensiero della corsa sfrenata,
della scorsa notte, in gommone, tra le molte insidie affioranti. Lungo la costa
si susseguono spiagge e calette che come piccole falci di luna bianchissime
spiccano tra l’azzurro dell’acqua ed il verde della vegetazione.
Scendiamo
fino a raggiungere una bella ed ampia radura che ospita il vecchio (si dice di
2.000 anni) e gigantesco baobab il cui tronco ha una circonferenza di 29 metri.
L’area
circostante è disabitata, ma la guida ci informa che sono numerosi i riti
propiziatori che si compiono attorno a questo albero colossale e che le persone
affrontano un lungo viaggio, una sorta di pellegrinaggio, per raggiungerlo perchè
considerato sacro.
Forse,
e magari a torto, non crediamo che il baobab abbia il potere di compiere
miracoli però siamo indubbiamente impressionati ed affascinati dalla sua
imponenza.
Compiendo
l’intero giro attorno alle radici ed osservando la corteccia del tronco
notiamo che in alcuni punti pare roccia, in altri ricorda la pelle viva e rugosa
di un elefante, non c’è dubbio sul fascino di questo “vecchio saggio” che
reclama rispetto e che sembra stanco, i suoi frutti, infatti, sono meno numerosi
rispetto a quelli prodotti da alberi più giovani, ma pare che goda ancora di
buona salute e questo ci conforta.
Proseguiamo
l’escursione avvicinandoci ad una serie di lagune dall’acqua cristallina
contornate da belle formazioni di granito e canneti, in una di queste un piccolo
coccodrillo che stava disteso su una roccia crogiolandosi al sole, al nostro
passaggio, scivola furtivamente in acqua.
La
guida ci rassicura garantendo che nel tratto d’acqua antistante il lodge,
durante il giorno, possiamo nuotare tranquilli, invitandoci, invece, ad evitare
bagni notturni, cosa che già non rientrava nei nostri programmi. Ma chi esce
dal riparo della zanzariera, di notte, in una “capanna” tutta aperta? di
avventurarsi oltre non se ne parla
proprio: i coccodrilli dovranno continuare a cibarsi d’altro!
Torniamo
accaldati al lodge, ma molto soddisfatti per la bella passeggiata. Trascorriamo
il resto della giornata in acqua, al sole ad asciugare, all’ombra, a digerire
il pranzo, spaparanzati sulle amache e così via in un alternarsi di “attività”
all’insegna del relax.
L’aperitivo
collettivo sulla spiaggia, all’ora del tramonto, attorno ad un falò e la cena
servita sempre sulla spiaggia sono, per noi, un supplizio. Siamo impressionati
dalla quantità di alcolici e superalcolici che i “british”, donne comprese,
ingurgitano a stomaco vuoto, non riusciamo poi a seguire le conversazioni che si
intrecciano tra l’uno e l’altro gruppo di ospiti. Ci rammarichiamo del
nostro spiccato senso del dovere, nonostante fosse una delle opzioni previste e
proposteci, non ci pareva carino – visto che tutti hanno acconsentito alla
cena in spiaggia – fare gli asociali scegliendo di farci servire il pasto nel
salottino all’esterno della nostra abitazione.
Sacrificio inutile perché, comunque, il risultato è lo stesso: non
comprendiamo nulla e, per lo sforzo immane praticato per afferrare qualche
brandello di discorso, finiamo con il non parlare neppure tra noi. Terribile!
E’
la prima volta che ci capita – tra persone che parlano inglese – di essere
così tanto in difficoltà.
Della
serata ricordiamo con particolare emozione solo quando – tra l’aperitivo e
la cena – ci siamo staccati dal gruppo e, nel buio totale, il cielo ci ha
regalato lo spettacolo della Croce del Sud, la leggendaria costellazione tanto
cara ai naviganti ed ai viaggiatori, insieme a migliaia di altre stelle e alla
magnificenza della via lattea.
Un
brivido mi percorre la schiena e non è l’effetto della brezza serale, spesso
anche le forti emozioni mi fanno venire la pelle d’oca.
Dopo
cena, per la seconda volta, siamo i primi a lasciare l’allegra brigata ben
felici di rintanarci nella nostra reggia.
25
agosto 08 – lunedì
Trascorriamo
l’intera mattinata in spiaggia e facendo snorkelling, è davvero sorprendente
la quantità e varietà di pesci colorati che si possono osservare già in pochi
centimetri d’acqua. Avvicinandosi agli scogli c’è tutto un pullulare di
vita e di colori, questo lago è fantastico, non ha proprio nulla da invidiare
alle più belle e famose mete balneari della costa mozambicana e dell’Oceano
Indiano.
Poco
prima di mezzogiorno lasciamo la spiaggia, di corsa chiudiamo i bagagli e
facciamo un’amara scoperta: dai nostri marsupi (chiusi con un lucchetto in una
apposita cassetta) mancano diverse banconote. Facendo un rapido inventario delle
poche spese sostenute fino ad ora possiamo stabilire con certezza che qualcuno
ha “prelevato” 450 USD e 250 Euro.
Siamo
allibiti, arrabbiati e preoccupati perché, nel caso non riuscissimo a prendere
il treno, dovremmo ripiegare su un costoso trasferimento in auto, qui siamo in
una zona remota del Mozambico, non c’è alcuna possibilità, per diversi
giorni, di incrociare una banca, potremmo, insomma, trovarci nei guai per
mancanza di denaro contante.
Lasciamo
Nkwichi Lodge in uno stato di totale stordimento, neppure l’ora di navigazione
fino a Cobue, a bordo di una barca a motore, attraverso paesaggi da cartolina,
riesce a distoglierci dal pensiero di quanto accaduto.
Ci
domandiamo mille volte dove e quando è avvenuto il furto, ma ogni volta la
risposta è inequivocabile: Nkwichi Lodge è l’unico luogo, da quando siamo
partiti dall’Italia, dove ci siamo tolti di dosso i marsupi.
I
marsupi, insieme ai documenti, erano custoditi in una massiccia cassetta di
legno chiusa da un lucchetto, la cui chiave stava in una tasca dello zaino che
abbiamo lasciato in camera solo durante l’ora dell’aperitivo e della cena
consumati in spiaggia a pochi passi dal nostro alloggio.
Qualcuno
è entrato in camera con l’intenzione di frugare tra le nostre cose, trovata
– tra il mazzo di chiavi di casa e dell’auto – la chiave del lucchetto,
potendoci tenere d’occhio perché in spiaggia sono state accese diverse torce,
indisturbato ha sfilato dai marsupi e dalle diverse mazzette solo alcune
banconote, ha chiuso il lucchetto e riposto le chiavi dileguandosi poi con il
malloppo.
Ci
chiediamo anche chi possa essere stato, ma è difficile stabilirlo, forse non
uno degli altri ospiti del lodge perché gli ultimi ad arrivare nel luogo del
ritrovo – attorno al falò – siamo stati noi. Sulla spiaggia mancava solo
uno dei tre manager bianchi che ci ha raggiunto al termine dell’aperitivo…
potrebbe essere lui il colpevole come pure chi entra ed esce dalle abitazioni
per le pulizie o per consegnare la biancheria pulita, indubbiamente qualcuno che
sa bene come muoversi e che conosce il luogo.
Siamo, comunque, più propensi per la prima ipotesi, ma – ovviamente
– si tratta solo di congetture.
Con
amarezza ci diciamo: “visto? Un difetto c’era in quel posto tanto perfetto
da non sembrare vero!”.
Pare
che, da quando abbiamo messo piede in Mozambico, tutto sia molto più
complicato, provo una certa inquietudine anche se generalmente non sono
particolarmente ansiosa e neppure superstiziosa.
Sbarcati
a Cobue, che alla luce del giorno somma alla tettoia di paglia dell’emporio
che già conosciamo qualche altra sparuta capanna ed una chiesa semi-diroccata,
ci attende un giovane ragazzo accompagnato da un “meccanico” (questo è
quanto ci racconta, ma in seguito avremo modo di dubitarne) che con un’auto
4x4 ci prende in carico per il trasferimento a Lichinga.
Nel
bagagliaio prende posto anche una giovane donna, poco più che un’adolescente,
con un bimbo di pochi mesi che piange solo quando tento di accarezzargli la
testolina ricciuta, per il resto del viaggio mamma e piccolo sono silenziosi,
come se non ci fossero, malgrado lo spazio molto ristretto e la scomodità.
Ancora una volta prendo atto dell’elevato spirito di sopportazione che
possiedono gli africani.
Il
viaggio dura quasi sei ore su strada prevalentemente sterrata, spesso
accidentata, che dopo una serie di ripidi saliscendi corre in una vasta pianura
attraversando il bush e piccoli villaggi dove
il colore della terra e quello delle capanne con il tetto di paglia si
fondono in una continuità cromatica interrotta solo dalle macchie rossastre di
meravigliose buganvillee come se un pittore si fosse sbizzarrito a dare
pennellate di un unico colore, qua e là, su un fondo ocra.
La
strada si affaccia più volte sul Lago Malawi regalandoci begli scorci
panoramici.
A
Metangula, all’ora del tramonto, piccola cittadina che giorni fa abbiamo visto
durante una sosta della motonave Ilala, una fila di imponenti baobab si tinge di
calde tonalità regalandoci una delle più belle immagini di questo viaggio.
Poco
prima di raggiungere la strada asfaltata foriamo un pneumatico ed è in questa
occasione che dubitiamo di colui che ci è stato presentato in qualità di
meccanico.
Autista
e compare si dileguano mentre il volontario di un’associazione, passato per
caso, si ferma e sostituisce la gomma buca con quella di scorta.
Percorriamo
l’ultimo tratto di strada che ci separa da Lichinga al buio, forse anche ad
una velocità un po’ troppo sostenuta, ma siamo sull’asfalto, confidiamo
ormai nel fatto di essere vicini alla meta, teniamo, quindi, a freno la nostra
preoccupazione.
L’autista
ci scarica all’hotel Girassol informandoci che domani mattina, per un impegno
imprevisto, dovrà tornare a Cobue e che del nostro trasferimento a Cuamba si
occuperà un collega. Non erano questi gli accordi, ma protestare non serve, il
driver ci assicura che è tutto a posto e che non dobbiamo temere nulla…
speriamo!
L’hotel
Girassol è di tipo internazionale, senza eccessivo sfarzo, lindo e
confortevole.
Siamo
parecchio stanchi, per cenare scegliamo il ristorante dell’hotel che ha
un’ottima cucina.
Dopo
aver gustato la zuppa di verdure ed un boccone di pesce grigliato devo
abbandonare la sala ristorante e precipitarmi in camera sorretta da Sandro, non
mi sento bene, ho una nausea violenta e mi gira tutto, ho l’impressione di
dover cadere a terra da un momento all’altro e, come se non bastasse, ho un
mal di testa da primato, evidentemente la combinazione mal di testa / stanchezza
/ tensione per il furto subito è una miscela esplosiva.
Mi
lascio travolgere da una crisi di pianto poi, sfinita, mi addormento.
26
agosto 08 – martedì
Il
lungo sonno ha spazzato via il mio malessere, mi gusto la colazione abbondante e
ottima sentendomi rinata.
Dall’hotel
spedisco una mail a Nkwichi Lodge ed all’agenzia che si è occupata di
organizzare quella parte di viaggio per denunciare il furto anche se, ormai, non
mi aspetto nulla.
Dopo
aver atteso per quasi 2 ore il secondo driver ed aver anche pensato di essere
stati bidonati ed abbandonati qui, alle 10 finalmente lasciamo Lichinga diretti
a Cuamba, dove domani – se Dio vorrà / Inshallah! – prenderemo il treno
diretto a Nampula.
Il
viaggio ci impegna per oltre 5 ore, percorriamo circa 300 km attraversando un
paesaggio collinare che alterna bush a ordinati villaggi, bananeti, boschi di
alberi di mango ed eucalipti oltre a piccoli appezzamenti coltivati, montagne e
inselberg (massi di granito vulcanico che raggiungono anche i 1000 m di
altezza).
Cuamba,
con le strade polverose ed i viali alberati, rappresenta per noi un traguardo,
fin qui siamo arrivati e, riferendomi ai mezzi di trasporto, è filato tutto
liscio, ora dobbiamo solo attendere l’arrivo del treno e procurarci i
biglietti.
La
prenotazione presso l’hotel Vision 2000 risulta confermata, smettiamo, quindi,
di interrogarci sugli inviti ad iscriversi alla chat per cuori solitari anche se
decadenza e sporcizia di questa struttura, al costo esorbitante di 75 USD a
notte senza colazione, ci lasciano interdetti e tanto valeva scegliere una
sistemazione di fascia e prezzo inferiori.
La
camera è piccola, squallida, sporca, soffocante, le lenzuola sono già state
usate.
Il
bagno, lurido, è sconcertante: il piatto doccia presenta diversi strati di
incrostazioni di calcare e sporcizia ed una ricca collezione di peli di varie
lunghezze e colori, il lavabo ha lo stesso aspetto del piatto doccia con
l’aggiunga di residui di sapone e dentifricio, ma il pezzo forte è
rappresentato dal water con sedile in finta pelle imbottito e di colore rosso.
Nonostante il disappunto perché sarebbe da folli pensare di lavarsi in questo
tugurio, alla vista del sedile rosso imbottito scoppiamo a ridere.
Poco
importa, tanto – se tutto va bene – alle 4 di domani mattina lasceremo
questa stamberga molto mal gestita da una donna nord europea.
Dopo
un paio d’ore d’attesa e di incertezza, abbiamo la conferma dei biglietti
del treno, possiamo, pertanto, svincolarci dall’autista che prima di andarsene
ci prova chiedendoci la bellezza di 650 USD per il trasferimento odierno.
Prendiamo
atto che questa pratica, in Mozambico, è ormai una costante: anche alla
reception dell’albergo, pagato il conto per la stanza ed i biglietti del
treno, abbiamo dovuto rinunciare al resto perché ne erano sprovvisti.
Questo
tipo ha però calcato un po’ la mano, va bene che siamo turisti e che –
secondo i canoni africani – siamo ricchi, ma 650 USD per 300 km quando abbiamo
già pagato ogni servizio all’agenzia è una cifra davvero improponibile ed
improbabile. Fatichiamo non poco a convincere il furbetto, ma, alla fine,
rassegnato, si congeda mentre noi scuotiamo la testa pensando a quanto sia
alterato il suo senso della misura risultando perfino ridicolo con una richiesta
così esorbitante.
Andiamo
in sopralluogo alla stazione del treno, individuati i vagoni di seconda classe
ci diciamo che questa notte, nonostante l’affollamento ed il buio, dovremmo
facilmente orientarci: il treno parte alle 5 del mattino!
Il
viale che fiancheggia la ferrovia è occupato da venditori ambulanti, curiosiamo
un po’ tra i banchi e le merci esposte in vendita acquistando bottiglie di
acqua, biscotti e cracker per il viaggio che affronteremo domani.
L’hotel
Vision 2000 ha un ristorante, ma nel dubbio che sia gestito come le camere
preferiamo evitarlo scegliendone uno poco lontano, con tavoli all’aperto, dove
gustiamo ottimi gamberi alla griglia. Poi, senza neppure spogliarci, andiamo a
dormire per qualche ora.
27
agosto 08 – mercoledì
Sveglia
alle 4, in pochi minuti siamo pronti, lasciato l’albergo ci incamminiamo verso
la stazione.
La
polvere che aleggia nell’aria e la luce color arancio diffusa da una serie di
lampioni creano un surreale effetto “nebbia in Val Padana” quasi inquietante
allo stesso modo.
Conosciamo
la strada ed anche se svoltiamo in una laterale non illuminata raggiungiamo i
binari senza problemi.
Ci
sono già molte persone ma non la ressa che ci aspettavamo o meglio, per il
momento, in prossimità delle carrozze di 2^ classe ci si muove abbastanza
agevolmente mentre attorno a quelle di 3^ classe c’è più folla.
Il comboi,
così è chiamato il treno, non ha luci, i vagoni sono immersi nell’oscurità,
prendiamo posto in uno scompartimento di 2^ classe vuoto, non abbiamo neppure il
tempo di metterci comodi che un addetto al controllo, dotato di torcia, ci
chiede i biglietti e ci invita a seguirlo in un altro scompartimento già
occupato da 3 persone e relativo ingombrante bagaglio.
Siamo
un po’ contrariati per lo spostamento non sapendo che i posti sono già
preassegnati, cosa che scopriremo solo più tardi controllando i nostri
biglietti alla luce del giorno.
La
nostra insoddisfazione deriva non tanto dal fatto che ci sono 6 posti e che in
tanti dovremo viaggiare, ci spiace solo di non aver accesso al finestrino:
questo treno è famoso per essere il più importante mercato viaggiante di tutta
l’Africa ed abbiamo paura di perderci lo “spettacolo”. Timore che si
rivelerà infondato perché, a differenza della 3^ classe che straborda di
persone stipate insieme a montagne di merci, nei vagoni di seconda ciascuno ha
il proprio posto (6 passeggeri ogni scompartimento), i corridoi finestrati sono
sgomberi, avremo, quindi, comunque una “finestra” sul mondo delle
contrattazioni e degli affari.
Alle
5, puntualissimo ed a strattoni, il treno lascia la stazione di Cuamba diretto a
Nampula che dista 330 km, d’ora in avanti e fino alla stazione di arrivo
nessuno più salirà o scenderà. Le soste previste lungo l’intero tragitto
sono fatte solo allo scopo di dar luogo ai commerci.
Durante
ciascuna fermata, ogni 15 minuti circa, i binari vengono invasi da fiumi di
persone che si accostano al treno e che, strillando, propongono verdura, frutta,
tuberi, legumi, semi, granaglie, uova, galline (vive), cibo cotto, spiedini di
pesce fritto, boccali di acqua, sigarette sfuse, canna da zucchero e molto altro
ancora.
Le
contrattazioni si svolgono rapide ed avvengono attraverso i finestrini, in pochi
minuti passano di mano in mano banconote sporche e stropicciate in cambio di
sacchi di patate, pomodori, mazzi di carote che paiono bouquet, fasci di teste
d’aglio ed ogni altro tipo di alimento proposto. I commerci continuano fino
alla partenza del treno con donne, bambini o uomini che, a piedi nudi, incuranti
delle pietre aguzze, lo rincorrono nel tentativo di sbarazzarsi, anche
abbassando il prezzo, dell’ultimo cesto di cipolle o sacco di patate ed è una
vittoria che si legge nei loro sguardi raggianti quando ci riescono.
C’è
però anche chi non conclude alcuna vendita come il padre con due bimbi
dall’aria avvilita che non abbiamo il coraggio di fotografare. Quando il treno
riparte, l’uomo, immobile sulla banchina della stazione, ha in mano ancora i
suoi 4 pesci infilati in uno stecco, il suo sguardo triste ci tocca il cuore e
ci fa venire il magone.
Il
treno è vecchio e vissuto, a molti finestrini mancano i vetri così che alle 5
del mattino c’è un freddo pungente e dopo le 11 fa un caldo esagerato.
I
rivestimenti dei sedili sono strappati ed il bagno, accanto al nostro
scompartimento, in un punto ha il pavimento sfondato, sotto si vedono scorrere
le traversine, la porta non si chiude e, con il passare delle ore, la puzza di
latrina si diffonde ammorbando l’aria.
Con
la luce del giorno mettiamo a fuoco dettagli che al buio ci erano sfuggiti quali
colonie di scarafaggi e lo sporco che ricopre le pareti, il pavimento ed i pochi
vetri ancora esistenti, ma nonostante tutto siamo comodi, abbiamo sufficiente
spazio per muoverci a nostro piacimento e, rispetto a chi viaggia in terza
classe, ci consideriamo privilegiati.
Volendo
potremmo anche usufruire del servizio ristorante collocato in una carrozza
(attrezzata con una serie di tavoli e panche di legno che un tempo erano
colorati d’azzurro e che ora ne conservano solo qualche traccia) raggiungibile
dal nostro vagone attraverso un passaggio “volante”, tuttavia l’assenza di
acqua e l’odore penetrante di gabinetto ci scoraggiano anche se, bisogna
ammetterlo, i piatti che vediamo sfilare hanno un bell’aspetto.
Il
passaggio del treno è un avvenimento, lungo il percorso, spesso, gruppi di
bimbi lo rincorrono salutando festosi i passeggeri affacciati ai finestrini.
I
nostri compagni di viaggio, una donna in compagnia della figlia Sonia, bella
adolescente dai lineamenti molto delicati, e due uomini, sono molto cordiali, ci
coinvolgono nelle discussioni e, ad ogni fermata, condividono l’entusiasmo per
aver concluso piccoli affari spiegandoci, nel contempo, che ogni zona è
rinomata per questo o quel prodotto e che, pertanto, è meglio acquistare i
pomodori in prossimità del tal villaggio, le banane nella tal altra zona, la
manioca qui, le arance là e così via, riempiendo, con il passare del tempo, lo
scompartimento di ogni genere di alimento ad eccezione delle galline vive che in
seconda classe non sono ammesse.
Durante
le soste, di cui abbiamo perso il conto, stiamo incollati ai finestrini del
corridoio sporgendoci per osservare curiosi e divertiti chi vende, chi compra e
le scene più incredibili, compreso chi per un attimo si blocca stupito nel
vederci perché questo non è un treno per turisti. Notiamo, inoltre, che tutto
il commercio si svolge con la massima serietà ed onestà, non c’è mai
nessuno che non riceve un resto o, ancora peggio, che – dopo aver pagato –
non riceve la merce trattata e neppure il contrario cioè nessuno che non paga
dopo avere già riposto nello scompartimento quanto acquistato.
Quando
il treno, dopo ogni fermata, riparte, torniamo ai nostri posti raggianti per ciò
che abbiamo visto, io prendo appunti su un quadernetto per cercare di fissare
tanti ricordi ed immagini che temo, con il tempo, di dimenticare.
I
compagni di viaggio mi chiedono perché e cosa scrivo ed alla risposta “perché
voglio ricordare anche tra molti anni tutti i particolari di questa giornata per
noi tanto insolita, ma speciale” si riempiono d’orgoglio al pensiero che
anche loro entreranno a far parte della mia piccola e personale cronaca.
Le
prime 8/9 ore di viaggio ci vedono presi da quanto accade ad ogni sosta e
scorrono veloci.
Dalle
13 in poi il caldo è opprimente, la stanchezza si fa sentire, non ci schiodiamo
quasi più dal sedile, la testa spesso ciondola dal sonno, ma gli scossoni ci
scuotono destandoci, vediamo, nei frammenti di lucidità, scorrere panorami
bellissimi con imponenti formazioni rocciose (Inselberg) dalle forme
stranissime: alcune sono perfetti coni aguzzi, altre arrotondate come panettoni,
altre ancora mostrano enormi caverne e somigliano a gigantesche teste con le
bocche spalancate, ma siamo esausti al punto tale da non avere energie neppure
per scattare una fotografia, immagazziniamo le immagini in un angolino della
mente tra uno scossone e l’altro, tra una veglia ed un sonnellino.
Dopo
11 ore intense in tutti i sensi, alle 16 il treno entra in stazione a Nampula.
La folla assiepata lungo i binari ci mette un po’ d’ansia, ma scendere dal
treno, dopo aver aiutato i nostri compagni a scaricare tutta la merce
acquistata, e farci largo attraverso lo sbarramento umano è più facile di quel
che sembra, ne usciamo indenni. Ci allontaniamo velocemente dalla ressa
incamminandoci alla ricerca dell’hotel prenotato che troviamo con facilità
dopo aver chiesto indicazioni.
L’Hotel
Girassol si affaccia su una piazza alberata ed offre una bella vista sulla
immacolata cattedrale de Nossa Senhora de Fatima.
In
genere non facciamo faville per gli alberghi di tipo internazionale, ma dopo il
pernottamento presso lo squallido alloggio di Cuamba e la giornata passata in
treno siamo lerci da far schifo, per cui una comoda suite con la biancheria che
profuma di bucato ed un bagno accessoriato di tutto punto ci procurano un
piacere indescrivibile.
Dopo
diverse passate, sotto la doccia, di sapone e shampoo ed un cambio di abiti
puliti pare che metà della stanchezza sia scivolata via insieme allo sporco.
A
chiusura di una lunga ma meravigliosa giornata ricca di volti, colori e di
emozioni gustiamo dell’ottimo pesce in un ristorantino all’aperto.
Prima
di rientrare in hotel facciamo quattro passi ed in una linda e moderna
pasticceria acquistiamo alcuni dolci, provando tenerezza per la commessa che ci
avvisa che a quest’ora alcuni
prodotti sono scontati.
28
agosto 08 – giovedì
Alle
9, puntuale, arriva il driver che si occuperà del nostro trasferimento a Ilha
de Moçambique.
La
strada è asfaltata, per nulla trafficata, si snoda attraverso piccoli villaggi,
rigogliose piantagioni e gli ormai “soliti” spettacolari Inselberg sino a
raggiungere la costa.
Scorgere
all’orizzonte i colori dell’Oceano Indiano è fonte di emozione.
Siamo
partiti dal cuore dell’Africa, viaggiando per molti giorni con diversi mezzi
riuscendo, quasi incredibilmente, a rispettare la tabella di marcia imbroccando
tutte le coincidenze che per varie ragioni avrebbero potuto saltare, ed ora, in
prossimità della costa, siamo felici per aver raggiunto un importante
traguardo.
In
un paio d’ore, dopo aver attraversato lo stretto ponte, lungo 3 km, che la
unisce alla terraferma, eccoci ad Ilha.
La
prima cosa che ci colpisce è la luce intensa, quasi abbagliante, che esalta i
colori, ci innamoriamo fin da subito di questo luogo.
L’autista
ci “deposita” presso l’hotel O Escondidinho, incantevole struttura
ricavata dal restauro di un edificio coloniale, risalente al XIX secolo, con un
bel loggiato adibito a ristorante che si affaccia su
un giardino curatissimo e una invitante piscina.
Gli
ambienti interni sono ricchi di particolari architettonici di pregio quali ampie
scalinate, saloni, ballatoi con le originali balaustre a colonnine, senza dubbio
una bella ed elegante dimora con spaziose stanze luminose dagli alti soffitti,
con arredi d’epoca sapientemente miscelati con raffinati oggetti
d’artigianato locale.
Dopo
giorni di viaggio senza sosta vogliamo gustarci questa bella sistemazione,
decidiamo, quindi, di cominciare dal ristorante ordinando insalata di aragosta e
calamari (lula) alla griglia, scoprendo, per la delizia dei nostri palati, che
non solo ogni pietanza è ottima, ma anche ben presentata ed è sempre
accompagnata da riso e patate
fritte.
Aggiudichiamo
anche al ristorante il massimo dei voti: questa struttura è decisamente
perfetta in ogni senso.
Dopo
il lauto pasto, durante le ore più calde, ci concediamo una pausa nel giardino
ombreggiato.
Ilha
de Moçambique, lunga 3 km e larga nel punto massimo 500 m, presenta due
distinte facce con caratteristiche totalmente differenti: la Cidade de pedra e
la Cidade de makuti.
La
prima, la più antica, localizzata nella parte settentrionale dell’isola, è
costituita da edifici d’epoca coloniale perlopiù in rovina fatta eccezione
per taluni già oggetto di ristrutturazioni ben eseguite.
La
seconda, più popolata, occupa l’altra metà dell’isola ed è un agglomerato
di povere capanne con il tetto di paglia (makuti), addossate una all’altra,
interrate nell’area di scavo da cui sono stati estratti i blocchi utilizzati
in passato per la costruzione della Cidade de pedra.
Accompagnati
da una guida, un giovane ragazzo del luogo, visitiamo l’intera isola
soffermandoci ad ammirare le diverse architetture degli edifici che recano
evidenti tracce dell’antico splendore, le fortezze, le piazze, le chiese, la
moschea, il piccolo cimitero islamico ombreggiato da splendidi alberi di
frangipane. Passeggiamo per le viuzze lastricate di Ilha assaporando la sua
atmosfera rilassata e un po’ decadente e osservando le scene di vita
quotidiana che hanno luogo nelle due diverse “città”. In particolare siamo
attratti dall’attività di alcuni pescatori intenti a scaricare dalle barche
il pesce appena pescato e ad aggiustare le reti.
La
maggior quantità di pesce viene trasferita in enormi ceste e parte subito per
la città di Nampula mentre una piccola parte è destinata al consumo locale,
infatti nelle vie tutte attorno al porticciolo non è raro incontrare persone
che si dirigono verso casa ciascuna con il mano il proprio “mazzetto” di
pescato.
Dopo
aver appreso che il pesce viene trasportato a Nampula quotidianamente supponiamo
che l’autista che ci ha condotto sin qui, quando è diretto in città per
prelevare turisti non viaggi a vuoto, probabilmente, come molti, nel bagagliaio
dell’auto trasporta un carico di pesce, ci spieghiamo così il forte odore ed
il liquame di cui s’è impregnato il nostro zaino.
Proseguendo
il giro visitiamo l’ospedale costituito da una serie di padiglioni risalenti
alla fine dell’800.
Ci
si stringe il cuore nel constatare lo stato di degrado e di abbandono in cui
versa. Gli edifici sono in prevalenza inutilizzati fatti salvi i padiglioni che
ospitano la radiologia, la maternità ed un reparto di degenza.
L’organico
ospedaliero è composto in tutto da 18 persone: 3 medici, 5 infermieri e 10
ausiliari.
Proviamo
una profonda amarezza pensando a quanto materiale si scarta nei nostri ospedali
perché considerato obsoleto o anche solo per incuria mentre qui sarebbe
utilissimo.
Il
bucato (divise e lenzuola) steso all’aperto ed esposto alla polvere è un
insieme di macchie che fa a pugni con i termini “sterilità” e
“disinfezione”.
I
parenti di alcuni ricoverati bivaccano all’aperto.
La
visita ci fa molto riflettere, promettiamo a noi stessi di pensare, e non solo,
a questo ospedale anche una volta tornati a casa.
La
giornata termina con uno spettacolare tramonto che rimiriamo dall’imbocco del
ponte che collega l’isola al Continente.
La
notte poi cala velocemente e con essa Ilha si anima ancor più: adulti e bambini
ormai liberi dagli impegni lavorativi e scolastici (la scuola è articolata in
più turni giornalieri e le lezioni si svolgono fino al tardo pomeriggio) si
riversano nei vicoli e nelle piazze.
29
agosto 08 – venerdì
Tralasciamo
le uscite in barca che ci vengono proposte e che con l’alternarsi delle maree,
qui molto accentuate, possono richiedere tempi lunghi e, talvolta,
l’impossibilità a sbarcare sulle minuscole e poco distanti isole di Goa e
Sena.
Decidiamo,
in alternativa, di bighellonare per le viuzze della Cidade de pedra curiosando
all’interno dei portoni, attraverso le finestre spalancate, tra i ruderi delle
case più fatiscenti e nei cortili che ci regalano singolari spaccati di vita
quotidiana, pregevoli architetture ed i sorrisi delle persone.
Un
edificio particolarmente bello ospita l’unica banca dell’isola il cui
interno con gli arredi in legno massiccio di oltre un secolo fa, perfettamente
conservati, è una meraviglia.
La
mia attrazione per i ponti ci porta alla ricerca del vecchio molo, adesso
diroccato, che si rivela un buon soggetto per alcuni scatti fotografici.
L’oceano,
ora in fase di bassa marea, ha scoperto chilometri di fondale, ci fermiamo su
una spiaggia ad osservare le barche reclinate sulle secche e alcune donne che,
piegate in due, raccolgono molluschi, i colori di queste immagini sono così
vividi da sembrare irreali per noi abituati quasi esclusivamente alle tinte
smorte delle nostre estati afose e degli inverni nebbiosi e cupi.
Verso
mezzogiorno la calura ci fa optare per un tuffo in piscina, poi, rigenerati,
andiamo a pranzo al Reliquias, grazioso ristorantino con tavoli disposti sotto
un pergolato e con vista mare. Il pesce è squisito, si mangia bene, ma il
ristorante di O Escondidinho si aggiudica, a pieno titolo, la pole position.
Nel
pomeriggio torniamo a visitare la parte meridionale di Ilha soffermandoci ad
ammirare una chiesina bianca edificata su una striscia di terra che si protende
verso il mare, le barchette colorate ormeggiate nell’antistante specchio
d’acqua e le altissime palme che sembrano la “pennellata” finale di questo
magnifico dipinto. Proseguendo troviamo una fila di casette colorate e di nuovo
gli alberi di frangipane in fiore del cimitero islamico, poi l’isolotto con la
fortezza che in passato recludeva schiere di schiavi ed, infine, ci
“scontriamo” con la disinvoltura degli abitanti della Cidade de makuti che,
sulla spiaggia e tra gli scogli, si accovacciano per fare i loro bisogni senza
neppure celarsi, cosa che ci imbarazza, ci fa riporre la macchina fotografica e
girare lo sguardo altrove.
Per
i nostri canoni non si tratta di una buona usanza e neppure di un bel vedere, ma
dopo il “tour” tra le capanne ammassate e gli stretti vicoli con un’alta
concentrazione di persone (e galline!) il cui stile di vita non è diverso da
quello di centinaia d’anni fa, non ce la sentiamo di provare disgusto o
disprezzo. Certamente qualche decennio addietro succedeva la stessa cosa anche
nelle nostre campagne.
Completiamo
il giro di Ilha percorrendo l’altro lato, quello occidentale, e per ammirare
il tramonto scegliamo una panchina piazzata sotto lo sguardo immobile della
statua che raffigura l’esploratore portoghese
Vasco da Gama che sbarcò qui alla fine del XV secolo.
30
agosto 08 – sabato
Lasciamo
Ilha, diretti a Pemba, con un minibus ed un diverso driver aggiungendo così un
altro tassello al mosaico di questo articolato viaggio.
Condividiamo
le 6 ore di trasferta con una coppia di milanesi conosciuta nei giorni scorsi e
con un duetto padre/figlio dal temperamento molto avventuroso il cui obiettivo
è quello di esplorare, con mezzi di fortuna, le disabitate isole Quirimbas del
nord.
Trascuriamo
il panorama a favore di interessanti conversazioni con i compagni di viaggio.
Ci
fermiamo solo un paio di volte:
la
prima per fotografare dall’alto di un ponte un ampio fiume che ci regala tante
belle scene di vita africana;
la
seconda sosta è, invece, puramente fisiologica e che, dopo aver provato un
bagno pubblico mozambicano, ci fornisce nuovi e divertenti spunti di discussione
perché nel settore femminile le turche sono appaiate, cioè potrebbe capitare
di fare pipì in compagnia, mentre dagli ometti ci sono diverse combinazioni di
poggiapiedi e buchi a seconda del bisogno corporale del momento. Insomma c’è
da discutere per diverso tempo!
Raggiunto
il residence Reggio Emilia, di proprietà di un lui italiano (ma và!?) e di una
lei mozambicana, struttura semplice, comoda e pulita, non
perdiamo altro tempo che quello per depositare i bagagli e andiamo subito a fare
quattro passi in spiaggia scoprendo che l’ampia baia di Wimbi ha davvero la
sabbia bianca promessa dalla guida Lonely Planet ed è anche orlata da un fitto
palmeto, ma, ahimè, ci sono troppe costruzioni a ridosso del mare nonché
troppa folla che, insieme, sottraggono gran parte della bellezza al luogo.
Una
volta compreso che non è qui che vogliamo trascorrere l’intera giornata di
domani prendiamo accordi con un taxista per spostarci di una trentina di
chilometri così da poter visitare una località meno turistica.
La
giornata termina con una cena in buona compagnia presso il ristorante Delicia
dove gustiamo ottimi gamberoni (camarao) accompagnati da riso e patate.
31 agosto 08 – domenica
La
strada per Mecufi, circa 30 km a sud di Pemba, è una pista di terra rossa che
attraversa ordinati villaggi di casette con il tetto di paglia e zone molto
vegetate con ombrosi manghi, euforbie, eucalipti e diversi altri alberi, qua e là
spiccano numerosi e imponenti baobab.
La
pista termina in un luogo spettacolare i cui colori predominanti sono il bianco
ed il turchese nelle sue molteplici sfumature.
Qui, un fiume che attraversa una spiaggia sfocia in mare. La bassa marea
ha, inoltre, scoperto un’ampia fascia di sabbia e formato una immensa
laguna entro la quale emergono lingue e banchi sabbiosi.
Guadiamo
il fiume immergendoci fino alla vita e sfidando la forte corrente, poi
costeggiando la laguna proseguiamo, camminando sulla sabbia ancora umida, fino a
raggiungere la lontana spiaggia ed il mare ritiratosi di molto.
Non
esitiamo un attimo a lanciarci contro le onde dell’oceano ed a fare così il
nostro primo bagno di stagione in acqua salata dalla temperatura gradevole e vi
sguazziamo a lungo.
Nel
renderci conto che la marea sta salendo in maniera visibile e per timore di
restare intrappolati tra l’oceano ed il fiume facciamo ritorno al punto di
partenza sfidando di nuovo la corrente di quest’ultimo che, ora, è ancora più
impetuosa.
Ci
incamminiamo poi verso la chilometrica spiaggia che si estende a destra della
laguna.
La
lunga passeggiata ci regala la quiete di un luogo privo di insediamenti dove la
natura non è stata avara nel distribuire bellezze quali le palme che orlano la
sabbia bianca, le onde dell’oceano che si infrangono in lontananza, le pozze
d’acqua scoperte dalla bassa marea pullulanti di vita e gli isolati gruppi di
mangrovie che sembrano messi lì apposta per dare il tocco finale ad un
paesaggio già splendido.
Ci
auguriamo che i tentacoli del turismo invasivo dei villaggi turistici e dei tour
operator non arrivino a deturpare questa porzione di paradiso incontaminato dove
le poche persone che si incontrano ti sorridono e ti salutano per il semplice
gusto di farlo senza chiedere nulla oppure proseguono le loro attività quali
battere i polipi appena pescati, raccogliere conchiglie e molluschi, pescare o
remare una piroga incuranti della tua presenza.
Lasciamo
Mecufi a malincuore, purtroppo il tempo è tiranno ed è ora di tornare sui
nostri passi.
Prima
di rientrare a Pemba facciamo una sosta a Murrèbuè, altra graziosa località
con una stretta spiaggia di sabbia candida delimitata da un cordone di dune e da
una lunghissima fila di alberi che la ombreggiano.
Ci
indirizziamo dapprima verso la parte settentrionale della spiaggia sedendoci
sulla sabbia ad ammirare i bellissimi colori del mare, esploriamo poi anche la
parte meridionale fronteggiata da verdissimi “isolotti”
di mangrovie.
Ci
soffermiamo ad osservare l’attività che si svolge attorno alle barchette dai
colori vivaci e ci lasciamo contagiare dall’allegria di un gruppo di giovani
ragazze vocianti e ridenti che si tuffano in acqua, cantano, ballano e giocano
godendosi la giornata festiva così come tante altre persone e famiglie del
luogo che affollano, con vivacità, questo lato della spiaggia.
Siamo
anche molto fortunati nell’assistere ad una esibizione spontanea di Capoeira.
Le
ombre si allungano, i colori si accendono, è quasi l’ora del tramonto e
dobbiamo tornare, siamo molto soddisfatti di quanto visto oggi e non abbiamo
rimpianti per aver trascurato la più nota e mondana Pemba.
Ceniamo
ancora una volta presso il ristorante Delicia dove il pesce è sempre squisito.
In seguito, per il dolce, ci trasferiamo al Nautilus, bel locale sulla spiaggia.
Salutiamo,
infine, Martina e Maurizio con i quali abbiamo piacevolmente condiviso il breve
soggiorno a Pemba, domani noi ci sposteremo ancora più a nord mentre loro
faranno graduale ritorno verso sud.
1
settembre 08 – lunedì
Lasciamo
il residence Reggio Emilia in taxi diretti in aeroporto, fermandoci qualche
minuto presso l’agenzia che ha organizzato questa seconda parte di viaggio per
ritirare alcuni documenti e per il rimborso di un servizio annullato.
Il
taxista, con il quale avevamo concordato in precedenza sia il percorso che la
tariffa, chiede un supplemento… ci risiamo!
Discutiamo
abbastanza animatamente, il conducente insiste, ma non paghiamo un centesimo in
più di quanto pattuito, ci lascia in malo modo, ma poco importa, dimentichiamo
presto l’ “incidente” concentrandoci sulla nostra prossima meta ovvero
l’Archipèlago das Quirimbas.
L’Archipèlago das Quirimbas comprende circa una
ventina fra isole e isolette sparpagliate nelle acque turchesi che si estendono
per un tratto di circa 400 km lungo la linea costiera tra Pemba e il Rio Rovuma.
Alcune non hanno l’acqua potabile e sono disabitate, mentre altre hanno una
storia lunga quanto la stessa esistenza dell’arcipelago.
In tutto l’arcipelago si possono ammirare bellezze
naturali mozzafiato, con emozionanti chiazze di soffice sabbia bianca circondate
da luccicanti acque azzurro-turchese che si alternano alle chiazze verdi delle
isole ricoperte di vegetazione, e orlate in parte da mangrovie.
Dense foreste di mangrovie collegano molte isole fra loro
e con la terraferma, e solo gli abili capitani dei dhow sono in grado di
navigare attraverso gli intricati canali aperti nel periodo della presenza
portoghese.
Oggi molte delle isole meridionali, tra cui Ibo, Quirimba,
Matemo e Rolas, fanno parte del Parque
Nacional das Quirimbas che comprende anche una vasta zona della fascia
costiera prospiciente.
Oltre che per la sua bellezza naturale incontaminata,
l’arcipelago è anche conosciuto per i siti adatti alle immersioni, fra i
quali sono considerati particolarmente buoni quelli che si trovano nei pressi di
Quilaluia, Vamizi e Rongui.
Raggiungiamo
Ibo, in meno di 30’, con un piccolo aereo variopinto che in totale ospita 5
passeggeri.
Purtroppo
il sole è coperto da una coltre di nuvole, la vista dall’alto è penalizzata,
vediamo distintamente, lungo la costa e attorno alle isole, le secche createsi
per effetto della bassa marea, le fitte foreste di mangrovie e le spiagge, ma le
tinte sono smorzate, non riusciamo a cogliere le varie sfumature di colore della
vegetazione e, soprattutto, del
mare: un vero peccato!
L’aeroporto
di Ibo è il più piccino che ci sia mai capitato di vedere, fa tenerezza, è
poco più di una tettoia, sulla sua facciata campeggia
a caratteri cubitali la scritta: IBO.
Ci
attende un autista con una bella jeep scoperta, come quelle che si usano nei
Parchi durante i safari. Anche questo personaggio non esita a chiederci soldi
per il trasferimento da qui alla guest house Cinco Portas che noi abbiamo già
pagato all’agenzia. Evvai con un’altra discussione, 2 che “ci provano”
nell’arco della stessa giornata e nel giro di poche ore ci fanno perdere la
pazienza, lasciamo, comunque, a bocca asciutta anche questo secondo furbetto.
La
guest house Cinco Portas è una struttura modesta, ma graziosa, con camere di diverso
tipo (alcune con bagno in comune, altre con servizi privati ed una suite con
terrazzino), la nostra è piccola, ma carina ed ha all’interno un “box”
contenente una spaziosa doccia ed il water, ci sarebbe spazio a
sufficienza anche per un lavabo, ma – considerati i lavori in corso –
pensiamo che si provvederà alla carenza in un futuro abbastanza prossimo, in
ogni caso non è un grosso disagio usarne uno di quelli posti all’esterno.
I
punti forti di questa sistemazione sono:
·
il rigoglioso giardino con un pergolato all’ombra del quale si
consumano i pasti,
·
la coreografica piscina affacciata sul mare che anche qui è
impraticabile per via dell’effetto delle maree,
·
l’ottima cucina la cui gestione è affidata alla bella e simpatica
Isaura, giovane donna mozambicana molto efficiente e mamma di Sammy, un
adorabile “bambolotto” di 14 mesi che sono ben felice di “adottare”
mentre la madre spadella.
Come
sempre, quando ci spostiamo in una nuova località, siamo smaniosi di andare a
scoprirla e Ibo non costituisce un’eccezione. Usciamo, quindi, quasi subito
percorrendo le sue tranquille stradine dove si allineano i resti di antiche
dimore, ora in rovina, dalle architetture più elaborate e raffinate rispetto a
quelle delle case di Ilha. Gli edifici, qui, hanno ampi portici, belle
inferriate e portoni massicci.
Visitiamo,
percorrendone i camminamenti, una splendida fortezza bianca affacciata sul mare
che, in questo momento, con la bassa marea, si è ritirato tanto da non riuscire
a vederlo neppure all’orizzonte.
I
colori sfumati, le secche e le barchette di legno reclinate come relitti
abbandonati conferiscono al paesaggio un che di surreale, affascinante e
inquietante al tempo stesso, regalandoci, altresì, ottimi soggetti per le
fotografie.
Verso
mezzogiorno il sole è cocente, naturalmente – per la legge di Murphy - il
cielo è rimasto velato solo per un tempo sufficiente ad impedirci di avere una
bella e soddisfacente visione durante il breve volo aprendosi subito dopo il
nostro atterraggio. Interrompiamo la passeggiata per il troppo caldo, siamo
disidratati al punto tale da accusare malore. Ci rifugiamo all’ombra dopo aver
preso un integratore di sali minerali avendo anche l’accortezza di bere molta
acqua.
Per
pranzo, Isaura “scodella” ottimi gamberoni, patate ed insalatona mista che
gustiamo seduti al bancone della cucina a vista allestita in un angolo del
giardino.
Trascorriamo
il resto della giornata all’ombra, giocando con il socievole Sammy senza
trascurare un tonificante e lungo bagno in piscina.
Se
con il pranzo Isaura si è aggiudicata un ottimo punteggio, con la cena, a base
di aragosta, insalata di patate e sfiziose salsine, ha totalizzato il massimo
dei voti. Davvero strabiliante!
La
squisita cena è accompagnata dallo spettacolo di un tramonto favoloso, il più
bello tra tutti di questo viaggio, i cui colori si riflettono, su più livelli,
nell’acqua della piscina e, più sotto, sulla superficie piatta del mare. Non
è un caso che un fotografo professionista si sia fiondato qui dal vicino e
lussuoso Ibo Island Lodge (con una vista meno pittoresca) e stia scattando foto
a raffica con più macchine fotografiche ed obiettivi diversi.
2
settembre 08 – martedì
Dedichiamo
la mattinata ad una visita più approfondita di Ibo passeggiando senza una meta
precisa lungo le sue stradine, gli ampi viali alberati, ammirando belle case
ristrutturate e altre in rovina con colonnati, portici ed eleganti ringhiere in
ferro.
Qui
l’aria decadente è la stessa di Ilha, ma è tutto più aperto, le piazze sono
vaste, le vie più larghe e gli ampi giardini hanno aiuole delimitate da
“sassi” di corallo e conchiglie di colore bianco. Gustiamo l’atmosfera
sonnacchiosa e rilassata di Ibo con i suoi abitanti che ci sorridono e salutano,
con gli alberi di frangipane che diffondono la loro fragranza, le donne dal viso
dipinto di bianco, i pescatori in pausa dopo le fatiche della pesca in apnea,
gli studenti che si recano a scuola e gli artigiani che non sono assillanti.
Torniamo
alla fortezza che, con le cupole bianche ed il mare azzurro, sullo sfondo, nella
fase di alta marea, ricorda una classica immagine greca.
Visitiamo,
in seguito, un’altra fortezza, più piccola e costruita utilizzando blocchi di
pietra, una chiesa e l’interno di alcuni edifici in rovina, ora invasi dai
rampicanti, immaginandone, da quel che resta, lo splendore del passato.
Pranziamo
da Arquipelago, bar ristorante finanziato e realizzato dal Governo allo scopo di
incentivare le attività dell’isola. Il locale è gestito da un gruppo di
ragazzi del luogo che svolgono egregiamente il loro compito, mangiamo, infatti,
molto bene spendendo poco (calamari alla griglia, riso e salsa di pomodoro
leggermente piccante).
Accomodati
all’aperto osserviamo i mutamenti di colore che il fondale, ora scoperto dalla
bassa marea, subisce per effetto dei giochi di luce e ombra generati dal veloce
passaggio di nuvole. Altro fenomeno, questo, molto affascinante.
Durante
le ore più calde ci concediamo un po’ di relax all’ombra ed un tuffo in
piscina. Nel tardo pomeriggio ci incamminiamo verso l’estremità dell’isola
che ospita un faro e, seduti su un muretto, attendiamo il calar del sole e la
sua esplosione di colori.
La
cena, confezionata da Isaura, è un altro elemento degno di nota della giornata.
3
settembre 08 – mercoledì
Ci
confermano che il trasferimento in barca a Guludo, sulla costa, più a nord,
quasi al confine con la Tanzania, avverrà nel primo pomeriggio con il montare
della marea.
Impegniamo
parte della mattinata andando alla ricerca di un curioso cartello che, il giorno
del nostro arrivo, avevamo notato sulla strada poco prima di raggiungere il
centro abitato.
Non
dobbiamo cercare a lungo, eccolo, in prossimità di una spiaggia, riporta il
disegno di un uomo accovacciato, barrato dal simbolo di divieto e, nella parte
inferiore, la scritta “proibido defecar nesta zona!”. Per noi la
“vignetta” è decisamente fonte di ilarità, scattiamo alcune fotografie a
ricordo di questa amenità.
Dopo
aver percorso nuove viuzze ammirando diversi altri edifici più o meno in rovina
ed avendo esaurito tutte le nostre curiosità su Ibo, ci rifugiamo in piscina e
ce la godiamo fino alle 14,30 quando una persona dello Staff di Guludo lodge ci
prende in carico per lo spostamento.
Prendiamo
posto su un gommone insieme a 4 turisti spagnoli tenendoci saldi poiché,
lasciato lo specchio d’acqua racchiuso in una baia protetta, siamo ben presto
in mare aperto con onde che scuotono la potente e robusta imbarcazione come
fosse un guscio di noce.
La
giornata è tersa, i colori vividi, vediamo sfilare in lontananza alcune isole
che si materializzano sotto forma di linee di sabbia candida sovrastate dal
verde delle palme e circondate dal mare che dal colore blu profondo sfuma fino
al turchese. Per chi conosce le Maldive lo spettacolo è lo stesso!
Ci
avviciniamo poi alla costa e lo scenario non cambia: sabbia bianchissima in
primo piano e vegetazione sullo sfondo. Non mancano, come in ogni luogo
paradisiaco che si rispetti, svettanti palme ed un mare decisamente invitante.
Sbarchiamo,
dopo poco meno di un’ora di “galoppo” sulle onde, su una spiaggia che
apparentemente sembra deserta, il lodge non si vede.
Superato
un argine di sabbia e la vegetazione compare un’ampia tettoia di paglia che
funge da salotto, ristorante, reception.
Con
un briefing ci vengono fornite notizie sul lodge, sulle attività, sui progetti
finanziati con parte degli introiti e sulla costruzione di ogni singolo elemento
della struttura nel pieno rispetto dell’ambiente e mediante l’utilizzo di
materiali e mano d’opera locali. In particolare si sottolinea l’importanza
della scelta di non utilizzare energia elettrica ed acqua corrente,
orientamento, quest’ultimo, che comunque non toglie nulla al comfort perché
ci si può fare una doccia, con acqua calda, quando se ne sente la necessità
anche più volte al giorno, inoltre c’è acqua a sufficienza per sciacquarsi
le mani, il viso e per lavare i denti ed ogni mattina viene ritirata la
biancheria personale sporca per essere riconsegnata pulita la sera dello stesso
giorno.
L’approvvigionamento
d’acqua avviene manualmente. Due volte al giorno una cisterna soprastante la
doccia viene rifornita d’acqua calda; più volte nell’arco della giornata
viene riempita una tanica posta a fianco del lavabo, lo stesso avviene con le
bottiglie contenenti acqua potabile posizionate su uno scrittoio all’interno
dell’abitazione di ciascun ospite.
L’illuminazione
è assicurata da lanterne a paraffina ed ogni ospite viene dotato di una torcia
che si carica ruotando una manovella.
Mi
è difficile spiegare nei minimi particolari il sistema di pulizia del water
anche questo senza acqua corrente. Molto grossolanamente: un condotto aspira e
separa i rifiuti organici solidi dai liquidi smaltendoli attraverso un altro
condotto dall’aspetto di un grosso comignolo, in pratica vengono dissolti
senza l’impiego di tecnologia o macchinari sofisticati, ma per aspirazione
prodotta in modo del tutto naturale. Una cosa, anche se pare inspiegabile, è
certa: il water, con un foro molto più ampio e profondo rispetto a quello di un
water tradizionale, non è mai sporco, non ci sono ristagni sul fondo e non
aleggiano cattivi odori.
Terminata
la “lezione” teorica ci accompagnano alla nostra abitazione contrassegnata
dal simbolo del delfino che – sotto forma di mosaico – decora la
pavimentazione della enorme veranda.
L’alloggio
è una spaziosa “tenda” di circa 30 mq di superficie collocata al centro di
una piattaforma rialzata da terra da un paio di gradini.
Un’ampia
ed alta struttura, a doppia falda e rivestita di paglia, ombreggia la tenda e lo
spazio esterno dove trovano posto un salottino e due amache doppie.
La
tenda è in sostanza un’enorme zanzariera con le 4 pareti costituite da una
rete fitta e trasparente che non permette ad insetti e ad altri animali di
introdursi all’interno.
Poco
distante, un riparo di cannette ospita l’elegante bagno con wc e lavabo, a
fianco di quest’ultimo è posizionata una tanica ricoperta di paglia dalla
quale fuoriesce un “tubo” (una canna di bambù) che eroga acqua
semplicemente staccandolo dal supporto cui è appoggiato e abbassandolo.
In
un diverso riparo, molto spazioso, è collocata la doccia che con un altro
sistema “primitivo” assolve alle nostre necessità: una sorta di maniglia
attaccata all’estremità di una corda abbassa o alza, a seconda della sua
posizione, un braccio con un doccino (mezzo guscio di cocco), che ci ricorda il
lungo collo di una giraffa, da cui l’acqua calda sgorga subito dopo.
Naturalmente,
considerato che la zanzariera trasparente della nostra abitazione ci espone agli
sguardi altrui ed anche le strutture che contengono il locale bagno e la doccia
hanno un passaggio aperto, la privacy è garantita da adeguata distanza tra un
alloggio e l’altro e dalla vegetazione che racchiude ogni unità abitativa.
Anche
l’accesso alla spiaggia è esclusivo. Un passaggio tra la macchia e pochi
gradini permettono di raggiungere il mare.
Il
sole tramonta poco dopo le 5, la giornata, purtroppo, è quasi terminata.
Raggiungiamo
il ristorante percorrendo un tratto di spiaggia anziché i viottoli interni, il
tavolo che ci viene assegnato è in un angolo appartato, posizionato
direttamente sulla sabbia ed illuminato solo da lanterne.
Uno
squarcio tra i cespugli ci permette di vedere il mare sulla cui superficie si
specchiano i bagliori di migliaia di stelle. Anche i poco inclini al
romanticismo non potrebbero provare indifferenza in un simile contesto.
Il
nostro senso di appagamento raggiunge l’apice quando, da sotto la zanzariera,
con la testa appoggiata sul cuscino, sentiamo la brezza marina, il rumore della
risacca e ci addormentiamo contando le stelle.
4
settembre 08 – giovedì
In
questa stagione, nel Canale di Mozambico, stazionano le balene (megattere) che
sono giunte sin qui per partorire e svezzare i cuccioli.
Potevamo,
forse, lasciarci sfuggire l’opportunità di uscire in barca per andare alla
loro ricerca?
Ovviamente,
no!
Ed
eccoci, quindi, seduti a cavalcioni ed aggrappati alle maniglie (come se fossimo
in moto) su una imbarcazione a motore in compagnia di Nieves e Tomas (2 degli
spagnoli), una biologa marina attrezzata di schede per la registrazione degli
avvistamenti e un paio di ragazzi al timone.
Dopo
esserci spinti parecchio al largo, cavalcando le onde a tutta velocità,
rallentiamo l’andatura e osserviamo con la massima concentrazione il mare in
attesa di un segnale che indichi la presenza delle balene.
Siamo
fortunati, non dobbiamo attendere a lungo per il primo avvistamento cui ne
seguono diversi altri.
Non
riusciamo, però, a quantificare quante ne vediamo esattamente perché le balene
compaiono per pochi secondi, si inabissano spostandosi velocemente per poi
riemergere anche parecchio tempo dopo ed in un punto molto distante da quello
della prima apparizione.
Non
capiamo, quindi, se quelle che vediamo sono sempre le stesse o se sono ogni
volta diverse, ma poco importa, ciascun avvistamento è sempre molto
emozionante. Siamo poi impressionati dalle dimensioni, le megattere sono
gigantesche, più di quel che si può immaginare, lo stesso vale per i piccoli
che affiancano sempre la madre. E’ una grande emozione vedere i corpi lucidi
con le pinne dorsali appaiate, gli alti sbuffi d’acqua oppure, nel silenzio
totale, scrutare per lunghi minuti la superficie del mare increspata dalle onde
e individuare all’improvviso una macchia scura che conferma la presenza di un
grosso esemplare.
La
scena più bella ce la regala una balena che emerge a non più di 5 metri dalla
barca offrendoci lo spettacolo del suo dorso visto di fronte, si immerge poi
passando sotto di noi. Pur non vedendola riusciamo, osservando la scia d’acqua
spostata, a seguirne il movimento a lungo. Siamo impressionati dalla mole
d’acqua movimentata e dal lungo strascico cosa che neppure una grossa
imbarcazione riuscirebbe a eguagliare.
Il
mare ha trasparenza e colori straordinari, spesso la barca, in movimento, è
preceduta da branchi di piccoli pesci volanti. Sono, queste, immagini che non
riusciamo a catturare con l’obiettivo, ma che si imprimono indelebilmente
nella nostra memoria insieme a quella dell’ultima balena sul cui dorso lucido
si riflette la luce del sole.
Dopo
diverse ore, trascorse senza che ce ne rendessimo conto, con quest’ultima
meravigliosa immagine stampata negli occhi, salutiamo le balene e, lasciato
questo tratto di mare, torniamo lentamente verso la spiaggia del lodge scrutando
ancora tra le onde a “caccia” di altri esemplari.
Passando
a fianco di Rolas Island già pregustiamo il piacere di domani, la lingua di
sabbia bianchissima che si insinua nel turchese dell’acqua limpida lascia
presagire un’altra indimenticabile giornata.
Mentre
pranziamo, dal nostro angolino appartato, possiamo bearci dei colori
dell’oceano e della distesa di sabbia scoperta dalla bassa marea.
Nel
pomeriggio visitiamo il vicino villaggio interessato da diversi progetti
promossi e finanziati dallo Staff di Guludo lodge.
L’accoglienza
che ci riservano soprattutto i bambini è disarmante. La visita è allietata,
per tutto il tempo, da un codazzo di piccoli e vivaci “ammiratori” che ci
tendono le manine e fanno a gara per aggiudicarsi quello che considerano un
importante obiettivo, vale a dire aggrapparsi alle nostre
mani/braccia/gambe/vestiti e restarci incollati sino a che non vengono
spintonati e spodestati da altri compagni di gioco.
Non
riusciamo a concentrarci sulle argomentazioni sicuramente molto interessanti che
una persona dello Staff ci sta illustrando, ma poco male, questi piccoli
meritano la nostra attenzione, lasciamo, pertanto, che siano loro a condurre il
gioco arrendendoci al festoso e commovente “assalto”.
Le
giornate, in Africa, sembrano sempre troppo corte, il sole sta già tramontando
quando lasciamo il villaggio e salutiamo i nostri nuovi piccoli amici.
Si
ripete poi il rito della cena sotto le stelle e la magnifica sensazione di
addormentarsi cullati dalla brezza e dal rumore sommesso del mare.
5
settembre 08 – venerdì
Ancora
in compagnia dei simpatici Nieves e Tomas e di nuovo a “cavallo”, sfidando
l’oceano oggi più agitato, con una scorta di acqua, cibo, maschere, boccagli
e tutto l’occorrente per trascorrere la giornata su un’isola disabitata,
partiamo alla volta di Rolas Island.
Durante
la traversata la barca corre veloce, inevitabilmente veniamo investiti da
continui spruzzi d’acqua, in particolare la mia postazione è quella che viene
maggiormente colpita e, nel giro di poco, mi ritrovo completamente fradicia ed
infreddolita.
Avvicinandoci
all’isola il mare è calmo, ha sfumature che passano dal blu al turchese,
dall’azzurro tenue alla trasparenza totale.
Sbarchiamo
su una larga lingua di sabbia finissima, dal colore bianco abbagliante, siamo
sopraffatti da tanta bellezza e dalla “violenza” dei colori.
Esclusa
la possibilità di vedere i giganteschi granchi del cocco, che durante il giorno
stanno rintanati, ci concediamo lunghi bagni in mare, godendoci poi la spiaggia,
le calette delimitate da piccoli scogli e lo snorkelling al largo, tra miriadi
di pesci colorati, sopra 3 enormi funghi di corallo.
La
bassa marea ha scoperto, nel frattempo, sul lato occidentale dell’isola, una
lunga e sottile striscia di sabbia che si insinua, per circa un chilometro,
nell’acqua limpidissima. La percorriamo sino a che la sua estremità si perde
nel mare.
Da
ogni prospettiva questo lembo di terra affiorante, con il bianco della sabbia ed
il turchese dell’acqua che la circonda, costituisce uno spettacolo naturale
che difficilmente potremo dimenticare ed è tutto a nostro esclusivo beneficio.
Tornando
verso la spiaggia, quando la brezza si placa, sentiamo sulla pelle i caldi raggi
del sole, d’istinto ci muoviamo rigirandoci spesso perché, fermandosi anche
solo per pochi secondi, si ha la netta sensazione di cuocere.
Pranziamo
all’ombra di un riparo improvvisato dallo Staff con 4 pali di legno ed un telo
di cotone bianco, ammirando affascinati la marea che sale visibilmente e ricopre
la “nostra” lingua di sabbia sino a inghiottirla del tutto.
Verso
le 15,30, “cavalcando” e sfidando in pole position (i posti a sedere sulla
barca sono disposti su due file appaiate e ci si siede, a cavalcioni, uno dietro
l’altro) per l’ultima volta la potenza dell’oceano, torniamo al lodge.
Prima
del tramonto e della totale oscurità ci resta il tempo per fare una passeggiata
sulla spiaggia (lunga in totale 12 km).
Raggiunto
un fitto palmeto torniamo lentamente sui nostri passi fissando nella memoria le
ultime immagini di questo paradiso con i colori del tramonto che si riflettono
sul bagnasciuga invaso da centinaia e centinaia di granchi dal bel colore rosato
che, al nostro passaggio, corrono veloci e buffi con quella particolare andatura
che li contraddistingue.
Per
la nostra ultima serata di permanenza al lodge il Manager ha dato disposizioni
al cuoco di congedarci con una cena all’italiana a base di bruschette e
tagliatelle caserecce con granchio: siamo commossi per la delicatezza.
Unito
alla gratitudine c’è anche il nostro massimo impegno per far sì che i
simpaticissimi ragazzi che portano in tavola i piatti presentandoli di volta in
volta li chiamino nel modo corretto… “bruscetta” non si può proprio
sentire!
Il
passo da lì agli “spagetti” ed altre stramberie sulle pietanze italiane è
breve, nasce così un divertente scambio culturale (con tanto di foglio e matita
per prendere appunti) sui diversi
modi di dire con relative prove di pronuncia. Come spesso accade, in situazioni
simili, gli “allievi” migliori non siamo né Sandro né io.
6
settembre 08 – sabato
Alle
6,30 lasciamo Guludo con un fuoristrada per fare ritorno a Pemba dove termina il
nostro itinerario in terra mozambicana.
Percorriamo
una stretta pista sterrata con un paesaggio che alterna colline, bush e piccoli
villaggi.
Superata
la cittadina di Macomia, imbocchiamo una strada asfaltata attraversando
agglomerati di capanne ombreggiati da bellissimi palmeti e alberi di mango. A
nostro parere questi ultimi sono i villaggi più belli visti sino ad ora.
In
prossimità di Pemba svettano alti ed imponenti Inselberg. Anche l’ultimo
trasferimento via terra si è rivelato, paesaggisticamente parlando, molto
piacevole.
Dopo
circa 4 ore di viaggio, giunti a Pemba, un agente di polizia intima l’alt al
nostro driver, segue poi il ritiro della patente con la contestazione d’aver
superato il limite di velocità (non viaggiavamo a più di 70 km/ora).
La
discussione va per le lunghe, il driver chiede di soprassedere alla
contravvenzione sostenendo d’aver fretta di accompagnarci in aeroporto,
l’agente è irremovibile, ci lascia liberi di andare, ma la patente resta in
“ostaggio” nelle sue mani.
Poco
più avanti, se non è sfiga questa… un altro agente ci blocca, chiede patente
e libretto e qui sbianchiamo tutti, non sappiamo se ridere o piangere, durante
tutto il viaggio, sulle strade del Mozambico, non s’è visto un solo agente,
per di più, questo è l’autista più corretto e prudente tra i diversi che
abbiamo avuto, non possiamo credere a tanta sfortuna, siamo dispiaciuti tanto
quanto lui.
Altra
discussione che si protrae a lungo, poi, finalmente, il rilascio e la corsa in
aeroporto dove non mancano altri momenti di tensione.
Perdiamo
parecchio tempo al check-in per la riemissione dei biglietti aerei dopo aver
pagato un supplemento a causa dell’aumento delle tasse aeroportuali. Qui non
vale la regola che, a biglietto emesso, si è al riparo da qualsiasi incremento
intervenuto successivamente.
Al
metal detector un petulante funzionario apre e fruga, con un piacere perverso
che gli si legge in faccia, nei bagagli di tutti i passeggeri in cerca di chissà
che. Non trovando, come è ovvio,
nulla di irregolare piuttosto che niente “sequestra” accendini e altri
gadget di poco conto.
E’
la prima volta che, nonostante la sua indiscutibile bellezza, lasciamo un Paese
africano con un certo sollievo. Non siamo in grado di stabilire se è una
costante o se siamo stati particolarmente sfortunati, ma, in Mozambico, troppo
spesso, abbiamo avuto la consapevolezza di essere considerati “polli da
spennare”, aspetto che, purtroppo, ci ha accompagnato per tutto il nostro
soggiorno.
Sorvoliamo
la costa mozambicana e le Isole Quirimbas, con il sole, ci regalano un
meraviglioso spettacolo di colori. Superato il fiume Ruvuma che segna il
naturale confine con la Tanzania, riconosciamo, subito dopo, Zanzibar.
Atterriamo, infine, a Dar es Salaam dove ci attende un incaricato dell’agenzia
che ha organizzato la terza ed ultima parte del
nostro viaggio.
Raggiunto
l’hotel Southern Sun (ex Holiday Inn) decidiamo che, per oggi, non abbiamo
voglia d’altro che di una doccia, un pisolino a bordo piscina e di una buona
cena: servizi che troviamo senza dover uscire.
7
settembre 08 – domenica
Usciti
dall’albergo ci incamminiamo verso il mare costeggiandolo sino a raggiungere
il porto dove sono ormeggiati pescherecci colorati ed i traghetti che collegano
la città a Zanzibar.
Nelle
vicinanze visitiamo un grande mercato del pesce brulicante di persone ed in
pieno fermento.
Proseguiamo
la nostra passeggiata tra la miscellanea di edifici coloniali e strutture
decisamente moderne cogliendo contrasti molto suggestivi quali carretti
stracolmi di banane che si specchiano nelle pareti vetrate dei grattacieli.
Visitiamo
un paio di chiese gremite di fedeli che, tirati a lustro e con gli abiti
migliori, partecipano alle funzioni domenicali. Assistiamo anche alle prove di
canto di un gruppo gospel.
Dar
non sembra particolarmente attraente, i negozi oggi – giorno festivo – sono
chiusi, esauriamo ben presto la nostra curiosità.
Decidiamo, quindi, di passare il pomeriggio in hotel godendoci la
frescura del giardino ombreggiato ed i comodi lettini che sono disposti tutto
attorno alla piscina.
Non
avevamo in programma di passare due notti a Dar, inizialmente saremmo dovuti
arrivare qui oggi, ma il cambio operativo del volo Lam Mozambique ci ha imposto
una variazione dell’ultima ora e questa sosta forzata.
Da
domani l’itinerario è invariato e prosegue come preventivato: si vola nella
Selous Game Reserve!
Cena
e a nanna presto sognando il gran finale tra gli animali della savana.
8
settembre 08 – lunedì
Sveglia
alle 6 e trasferimento in aeroporto.
Controllando
i biglietti aerei scopro che il volo di rientro a Dar dell’11.9.08 è stato
prenotato per il mattino anziché a fine giornata come da accordi presi con
l’agenzia. Questa variazione è molto penalizzante in quanto ci preclude la
possibilità, come era nostro desiderio, di passare un’intera giornata
all’interno della Selous Game Reserve costringendoci, invece, ad una nuova e
indesiderata sosta a Dar.
Chiediamo
all’incaricato dell’agenzia di provvedere alla rettifica nel rispetto di
quanto a suo tempo pattuito.
Il
tipo, giunti in aeroporto, si attiva subito, ma la compagnia aerea, dopo alcune
verifiche, ci comunica che l’ultimo volo del pomeriggio è al completo. La
nostra inquietudine cresce.
Seguono
diversi scambi di telefonate tra l’incaricato dell’agenzia e gli uffici
della stessa, ci promettono di risolvere il problema, ma ci salutiamo senza
nessuna certezza e con i biglietti recanti ancora gli estremi del volo del
mattino.
Ancora
frastornati da quanto accaduto prendiamo posto su un piccolo aereo (12 posti)
che dopo 30’ di volo atterra all’interno della Riserva su una pista di terra
battuta che taglia la savana.
Con una superficie approssimativa di 45.000 kmq la Selous
Game Reserve copre il 5% di tutta l’area della Tanzania. E’ la più
grande riserva del continente e l’area protetta più vasta del Paese, seguita
a ruota dagli estesi ecosistemi del Ruaha National Park e del Serengeti. E’
aperta al turismo soltanto la parte a nord del fiume Rufiji, mentre vaste zone a
sud sono adibite alla caccia.
Una delle principali attrattive della riserva è forse il
selvaggio fiume Rufiji che ha il più grande bacino di raccolta d’acqua
dell’Africa occidentale. Dalla sua sorgente sugli altopiani il fiume si snoda
per 250 km attraverso la Selous fino al mare, in cui sfocia con un delta che si
trova al di fuori dei confini della riserva e si espande lungo la costa di
fronte a Mafia.
Siamo
nel nostro ambiente, questa è l’Africa che più amiamo (quella degli
animali), respiriamo fin da subito aria di “casa”.
Un
uomo cordiale, a bordo di una jeep scoperta, aspetta noi, attendiamo solo
qualche minuto, l’aeroplanino riparte, subito dopo attraversiamo la pista
d’atterraggio e ci dirigiamo verso Rufiji River camp che dista solo 1 km.
In
un così breve tragitto vediamo babbuini, impala, un piccolo gruppo di elefanti
in movimento ed un secondo branco con due esemplari che, all’ombra di un
boschetto, dormono mentre altri tutto attorno vegliano sul loro sonno.
Poco
dopo l’ingresso al campo troviamo, nei pressi di un grosso baobab, il piccolo
ufficio dove ci registriamo e ci vengono date alcune informazioni preliminari.
L’intera
struttura, molto bella, è stata realizzata sulla sommità di una falesia che si
affaccia sul fiume di cui il campo porta il nome. Comprende una zona
pranzo/relax/salotto collocata sotto un’enorme tettoia di paglia, una piscina
e due distinti settori con una ventina di tende in totale allineate e
distanziate tra loro.
Il
nostro alloggio non è al momento disponibile, ci chiedono di pazientare qualche
minuto e di accomodarci dove vogliamo.
Scegliamo
di sederci sulle canoe di legno trasformate in panche e collocate a pochi metri
dal dirupo.
Ci
immergiamo subito nel “documentario” che ha luogo sul fiume sottostante
popolato da oziosi ippopotami e sulle isole di sabbia affioranti ricoperte di
uccelli e pellicani le cui sagome
si riflettono nell’acqua.
Binocolo
alla mano osserviamo enormi coccodrilli che sonnecchiano con la spaventosa bocca
spalancata, stormi d’uccelli che si alzano in volo e rumorosi ippopotami che
ruotano le orecchie in quel particolare modo che li contraddistingue e che a noi
risulta sempre buffo.
Il
campo è meta prediletta di simpaticissime scimmiette (Velvet monkey) con gli
esemplari maschi dai testicoli di colore azzurro. Tenerissima la scena
regalataci da una femmina che tiene in braccio un cuccioletto di pochi giorni
dai “capelli” ancora appiccicati al capo cullandolo come facciamo noi umani
con un neonato.
Tempo
una mezz’ora ci accompagnano alla nostra tenda, l’ultima del settore
denominato Hippo.
E’
molto bella e spaziosa, include un ampio bagno in muratura ed una panoramica
veranda.
Come
dicevo, la nostra abitazione chiude la fila, poco oltre un cartello invita a non
superare quel limite.
Non
passa molto tempo per comprendere le ragioni del divieto.
Un
rumore di rami spezzati attira la nostra attenzione, a non più di 5-6 metri di
distanza vediamo sfilare una famigliola di elefanti, con i piccoli, diretta al
fiume ad abbeverarsi.
Oltre
il limite imposto dal segnale c’è un sentiero scavato nella falesia dal
frequente passaggio di elefanti, sentiero utilizzato anche dagli ippopotami
(erbivori) che, dopo il tramonto, lasciano il fiume in cerca di cibo per farvi
poi ritorno alle prime luci dell’alba.
Per
non aver ancora iniziato le attività di safari le premesse sono più che
stimolanti, senza dubbio in quest’area gli animali abbondano.
In
attesa dell’ora di pranzo e del safari pomeridiano facciamo un bagnetto in
piscina.
Possiamo
partecipare a 2 attività giornaliere a scelta tra: game drive (tradizionale
safari in jeep scoperta), walking safari (safari a piedi), boat safari (safari
in barca) oppure si può optare per un full day game drive (safari per
l’intera giornata con pranzo pic-nic).
Dopo
un ottimo pasto ed il relax all’ombra, alle 16, eccitati come due ragazzini
davanti ad un pacco dono da scartare, usciamo dal campo alla ricerca degli
animali.
I
primi che incontriamo sono impala, seguono poi alcune giraffe, un eland (la più
grossa delle antilopi) in fuga, una coppia di zebre, facoceri, un bellissimo
gruppo di 7 giraffe, ancora zebre e di nuovo giraffe che si materializzano
ovunque. Ci è chiaro fin da subito che questa è la riserva africana che ne
ospita il maggior numero ed ecco spiegato anche il logo di Rufiji River camp che
raffigura il muso di una giraffa.
Siamo
incantati dalla bellezza e varietà degli ambienti che attraversiamo. Qui oltre
a diversi elementi quali savane, bush, boschi di acacie, palmeti, alberi di
mopane, boschetti che ricordano quelli montani, baobab e alberi di ogni genere,
ci sono molte lagune, laghi ed il fiume che gira quasi su sé stesso con le sue
numerose anse; in concreto tanti specchi d’acqua che costituiscono la meta
prediletta di uccelli, di coccodrilli che nuotano furtivi e di tutti gli animali
che, più o meno timorosi, in rapporto al loro grado gerarchico, vi si
avvicinano per bere.
La
magia di un tramonto infuocato è un po’ offuscata dalle tse-tse flies che
compaiono a frotte al calar del sole.
La
battaglia contro le fameliche mosche è sempre persa ne esco con una serie di
punture, due delle quali si espandono in maniera vistosa e fastidiosa: anche
questa è Africa!
Un
corposo branco di bufali che fugge veloce al nostro passaggio sollevando una
nube di polvere chiude il carosello di immagini di questa prima meravigliosa
giornata di safari.
9
settembre 08 – martedì
“Full
day safari” è la nostra scelta unanime e indubbia per la seconda giornata di
permanenza nella Riserva.
Non
ci sono itinerari e programmi predeterminati, tutto sarà improvvisato al
momento a seconda degli animali che avvisteremo e delle scene che vorremo
osservare per un tempo più o meno lungo.
Avendo
l’intera giornata a disposizione potremo perlustrare un’area più ampia
spingendoci parecchio più distante rispetto a ieri.
Come
abbiamo capito fin da subito, gli animali abbondano, inoltre, questa immensa
area naturalistica non ha nulla da invidiare ai parchi africani più famosi: qui
ritroviamo le savane del Serengeti N.P.
(Nord Tanzania), diversi paesaggi del Queen Elizabeth N.P. (Uganda), altri
ancora che si possono paragonare ad alcune zone del South Luangwa N.P. (Zambia).
E’ davvero inaspettata la varietà di ambienti che si possono ammirare.
Aprono
la nostra “caccia” fotografica due ippopotami che, nonostante il sole già
alto, sono ancora a zonzo fuori dall’acqua. A seguire, impala disseminati
ovunque, un piccolo branco di elefanti e le sempre numerose giraffe che trovano
nelle acacie spinose il loro cibo preferito.
Non
dobbiamo attendere molto per incontrare il primo felino: una leonessa che,
infastidita dalla nostra presenza, lascia il suo nascondiglio dietro un
cespuglio allontanandosi.
Fatto,
questo, piuttosto insolito poiché generalmente i leoni si lasciano avvicinare
restando impassibili.
Non
tentiamo di seguirla, lasciamo che si dilegui perdendola di vista ben presto.
Raggiunta
una vasta radura verdeggiante che si affaccia sul fiume, troviamo, all’ombra
di un frondoso albero di mogano, un’altra leonessa, accovacciata. Al suo
fianco notiamo i resti di una zebra, poco distante c’è l’intero gruppo di
leoni che ha partecipato al “banchetto”, ne contiamo in totale 13: 1
maschio, 4 femmine, 8 cuccioli.
Tutti
respirano affannosamente (cacciare e cibarsi richiede un grande dispendio di
energie), molti dormono con la pancia all’aria, a guardarli sembrano grossi
micioni paciosi che viene voglia di stropicciare. Tenero il cucciolo che,
supino, sonnecchia con una delle tozze zampe poggiata sopra un occhio.
La
verde spianata brulica di animali: impala, zebre, gnu, giraffe si muovono e
bevono indisturbati. E’ evidente che i felini hanno cacciato da poco, sono
sazi e per diverse ore non faranno altro sforzo che quello di dormire
stiracchiandosi e cambiando posizione ogni tanto.
Lasciamo
questa scena bucolica per raggiungere il Lago Manze, altro bacino d’acqua con
belle vedute panoramiche, contornato da un fitto palmeto dove abbondano
ippopotami, uccelli e coccodrilli che si allineano sulla riva sabbiosa e
scivolano in acqua rapidi e silenziosi all’avvicinarsi della jeep.
La
superficie del lago dal bel colore azzurro apparentemente sembra immobile e
priva di insidie, quasi invitante, ma osservando meglio i dettagli vi si
scorgono le ombre, più che la sagoma, di numerosi coccodrilli e, qualche volta,
emerge solo la curva superiore degli occhi o la cresta del dorso.
Non
sarebbe saggio avventurarsi a piedi in prossimità dell’acqua, il coccodrillo
si mimetizza fin troppo bene, non fa distinzione tra carne animale e carne
umana, è, inoltre, velocissimo, ma nonostante la fama di gran cattivo è un
rettile dal fascino atavico: osservarlo risulta molto appagante, ovviamente
tenendosi a debita distanza.
All’ora
di pranzo ci si allontana dal lago per sostare all’ombra
di un grande baobab, in uno spiazzo molto aperto che la guida ha perlustrato a
fondo, compiendo più giri, per escludere la presenza di felini ed altri animali
pericolosi. Viene allestita una tavolata, si pranza, si scambiano impressioni
con i compagni di safari e la guida, il contesto è molto suggestivo, il cibo
buono, ma a noi sembra di perdere tempo… gli animali ci stanno aspettando!
Si
riparte, la fauna è sempre molta e varia, le giraffe, in particolare, abbondano
anche oggi. Tranne il leopardo abbiamo visto tutte le specie compreso un nutrito
numero di manguste.
A
metà del pomeriggio il sole è cocente, c’è aria di stanca, gli animali si
dimostrano infastiditi dal gran caldo, li si vede, infatti, totalmente inattivi,
radunati a gruppi all’ombra degli alberi.
Foriamo
un pneumatico, per noi è una consuetudine, non sarebbe Africa se non capitasse
almeno una volta nel corso di ogni viaggio. Scendendo dalla jeep ci rendiamo
conto di quanto siano violenti i raggi del sole, tempo pochi minuti la ruota
viene prontamente sostituita ed è un sollievo ripartire e tornare a beneficiare
dell’aria prodotta dal movimento dell’automezzo anche se, in alcuni tratti,
l’aria è così calda da far pensare di aver puntato addosso un
asciugacapelli.
Ripassando
dal luogo dove i leoni hanno cacciato li ritroviamo spostati di qualche metro,
giusto i pochi passi necessari per seguire l’ombra e garantirsi così la
frescura.
Ci
fermiamo nuovamente ad osservarli e per altri scatti fotografici.
Un
cucciolo si sposta dal proprio giaciglio e, attraversandoci la strada, raggiunge
la madre.
Il
leoncino si concede ad una accurata pulizia che la madre effettua a colpi di
lingua, senza trascurare alcun dettaglio. Terminata la “toelettatura” si
passa alle coccole che la leonessa dispensa con generosità arrivando ad
abbracciare il piccolo leone con una delle sue poderose zampe. Se si pensa alla
crudezza della cattura di una preda e del suo sventramento, pare quasi
impossibile che gli stessi pericolosi arti possano riservare tanta tenerezza.
Ci
riteniamo molto fortunati per aver appena assistito ad una singolare sequenza di
effusioni, tanto dolce da intenerire anche i più duri di cuore.
In
prossimità del lago un grosso branco composto da gnu e zebre si compatta.
Essendo ormai trascorse diverse ore dalla caccia dei leoni, gli animali tornano
ad essere guardinghi e si dimostrano timorosi nell’avvicinarsi all’acqua:
l’abbeverata, in presenza di felini, è un momento di totale vulnerabilità.
Sarebbe
bello poter osservare la scena a lungo, gli erbivori sono buffi nella loro
indecisione, scattano per un nonnulla spostandosi a distanza di sicurezza per
poi ricomporre le file e tornare cautamente in prossimità dell’acqua. Questo
può avvenire più volte e non è detto che dopo diversi tentativi finiscano con
l’abbeverarsi.
Non
abbiamo, purtroppo, tempo a sufficienza per assistere all’epilogo che potrebbe
tradursi in una ritirata oppure in una bevuta collettiva, siamo molto distanti
dal campo, dobbiamo lasciare la scena.
Anche
se ne siamo dispiaciuti non possiamo proprio lamentarci, la giornata è stata
ricchissima di emozioni.
Sulla
via del ritorno, senza però più fermarci, con i colori del tramonto che
rendono ogni cosa ancora più suggestiva, incrociamo altri branchi di zebre,
gnu, impala e le immancabili giraffe.
Giunti
al campo, dalla nostra postazione preferita, assistiamo all’ultimo atto del
sole che cala all’orizzonte mentre i suoi colori infuocati si riflettono
nell’acqua del fiume.
10
settembre 08 – mercoledì
Pur
potendo partecipare ad un “walking safari” optiamo anche per questa
mattinata di uscire con una jeep scoperta.
Sappiamo,
per aver già provato l’esperienza, che durante i safari a piedi si vedono
pochi animali e, per ovvie ragioni, ci si tiene ad una ragionevole distanza.
E’
molto appagante il contatto diretto con la natura, interessante leggere nelle
impronte e negli escrementi le abitudini di questa o quella specie, si imparano
poi molte cose sulle piante, ma, avendo pochi giorni a disposizione, preferiamo
fare il “pieno” di animali.
La
nostra scelta è, ben presto, premiata da un nuovo gruppo di leoni: 5 cuccioli,
4 femmine ed un maschio più maturo e con una criniera più folta rispetto a
quello avvistato ieri.
Il
leone si allontana per andare ad accovacciarsi poco distante scegliendo una
postazione più defilata ma che gli permetta di tenere d’occhio il suo
“harem” ed anche noi senza essere troppo visibile.
Le
leonesse alternano stati di veglia al sonno.
E’
evidente che hanno necessità di cibarsi e, quando non cedono al sonno, scrutano
il territorio circostante alla ricerca di una possibile preda.
Il
silenzio e la nostra concentrazione sono totali, sappiamo bene che basta
pochissimo per animare improvvisamente la scena.
E’
impressionante come le leonesse, pur guardando in direzioni diverse, al minimo
rumore o odore, che noi neppure percepiamo, si girino contemporaneamente verso
uno stesso punto.
Una
leonessa in agguato ci mostra il dorso, ha i muscoli pronti allo scatto,
riusciamo a misurarne la potenza, di fronte – quasi nascosti dalla vegetazione
– passano alcuni impala ignari del pericolo.
Sono
attimi intensi, tratteniamo il respiro, altre due femmine si schierano e sono
pronte all’attacco quando, improvvisamente, un impala, fiutata la presenza dei
felini, dà l’allarme, l’intero gruppo di antilopi fugge velocissimo e la
caccia sfuma.
Sostiamo
presso i leoni ancora per qualche tempo, poi togliamo il disturbo.
Proseguendo
la nostra “caccia” ci fermiamo in prossimità del fiume per osservare
un’altra bellissima sequenza: in primo piano, immobile, un grosso coccodrillo,
più oltre, su una lingua di sabbia che si protende nell’acqua, stazionano
molti ippopotami adulti e piccini, tra loro svolazzano diversi aironi bianchi
posandosi e spostandosi da un bestione all’altro per il piacere dei piccoli
ippopotami che sembrano gradire parecchio il gioco. Ogni tanto qualche esemplare
entra in acqua assottigliando il gruppo e quando, infine, la jeep riparte, il
rumore fa sì che anche gli ultimi rimasti si dispongano in fila indiana per poi
tuffarsi uno dopo l’altro velocemente.
Torniamo
a cercare la famiglia di leoni già vista ieri. Troviamo le ossa della zebra
ormai completamente spolpate ed i corpi dei felini addormentati, che oggi hanno
una respirazione più regolare, sparsi tutto attorno, come in un campo di
battaglia. Nulla riscuote i leoni dal profondo sonno, ci divertiamo ad osservare
le pose ridicole di alcuni, come quella del grosso maschio che giace supino con
le 4 zampe sollevate per aria e che a tutto fa pensare tranne che si tratti di
un animale molto feroce: senza dubbio quando il leone dorme perde tutta la
propria regalità e dignità!
La
situazione è tanto tranquilla e controllabile che anche le giraffe, guardinghe
fino all’eccesso, osano accostarsi all’acqua del lago abbassandosi a bere.
Possiamo così abbracciare con un solo sguardo un magnifico poster che raffigura
il terreno disseminato di corpi inerti dei leoni ed in secondo piano lo specchio
d’acqua con le giraffe piegate a bere sulle lunghe zampe anteriori mescolate a
gruppi di zebre.
Proseguendo
nell’esplorazione della riserva incontriamo sempre nuovi e numerosi branchi di
animali tra i quali spiccano una femmina di kudu con il piccolo, perfetta
miniatura di un esemplare adulto con le stesse simpatiche grandi orecchie a
sventola “foderate” di rosa e gli stessi “ricami” bianchi sul corpo.
Forare
un pneumatico è una cosa ricorrente sulle piste africane ed eccoci di nuovo
fermi mentre la guida armeggia con chiavi, cric e ruota di scorta.
La
sosta imprevista somma ritardo a quello già cumulato, siamo ancora lontanissimi
dal campo e ormai non ci resta che correre, ma nonostante tutto la guida ci
regala ancora un paio di fermate e l’opportunità di osservare un grosso
branco di bufali che ci attraversa la strada correndo veloce, come un fiume in
piena, sollevando un gran polverone e poi il piccolo di una giraffa che, goffo
con il suo passo incerto, corre davanti a noi per qualche centinaio di metri
fermandosi, infine, incuriosito ad osservarci. Accantono in un angolo della
memoria anche l’immagine di questa tenerissima, perfetta miniatura che sembra
fatta di peluche con il suo morbido manto maculato e la crinierina dal pelo
rossiccio e arruffato tanto da sembrare “infeltrita”.
L’istinto
irrazionale, in presenza di animali così belli e teneri, ci spingerebbe ad
avvicinarli ed accarezzarli, la ragione – per fortuna – ci impedisce di
commettere sciocchezze.
Ci
sono momenti durante i quali siamo circondati da animali e scenari differenti
che non si sa più dove e cosa guardare nel timore di perdersi momenti ed azioni
importanti ed irripetibili.
Branchi
di animali in corsa in spazi illimitati, impala che punteggiano praterie
verdeggianti brucandone l’erbetta, antilopi e varie altre specie animali le
cui figure si riflettono nei tanti specchi d’acqua, coccodrilli che si
crogiolano al sole con le fauci spalancate o che si intravedono a pelo
d’acqua, uccelli di svariate dimensioni e colori, queste le ultime immagini
che si succedono prima di rientrare al campo, scorrendo come un film al
rallentatore, tanto belle e struggenti da far male al cuore perché ci ricordano
che tra poche decine di ore dovremo lasciare l’Africa.
Giunti
al campo ci comunicano che l’agenzia ha risolto il problema del volo, ci
consegnano i nuovi biglietti aerei confermando che lasceremo la Selous Game
Riserve domani, alle 15,30, con l’ultimo volo del pomeriggio. Siamo raggianti
per la buona notizia che si traduce in una nuova giornata tra gli animali.
Accediamo
per ultimi al ristorante, gli altri ospiti hanno finito di pranzare già da un
pezzo, ci riteniamo molto fortunati per aver potuto, anche se non si è trattato
di una scelta deliberata, protrarre più a lungo il safari.
Quale
attività pomeridiana scegliamo di uscire in barca navigando sul fiume fino
all’ora del tramonto, escursione che permette di osservare ancora più da
vicino soprattutto ippopotami, coccodrilli, uccelli e di ammirare le rive che
offrono paesaggi differenti e variabili tra alte falesie, spiagge sabbiose,
boschetti di palme e intricata vegetazione.
Le
immagini più significative riguardano un carnoso lucertolone verde a macchie
gialle di oltre un metro di lunghezza che sta abbarbicato su una roccia,
un’intera parete verticale della falesia crivellata da centinaia di buchi
(nidi) ed altrettanti uccelletti dal bel colore verde brillante che vi entrano
ed escono a raffica centrando con precisione ognuno il proprio nido, un ramo con
una fila degli stessi uccellini disposti ordinatamente come tanti soldatini ed,
infine, un elefante di cui si vede sbucare tra la vegetazione, come fosse
affacciato ad una finestra, solo il bel faccione che ci regala una minacciosa
sventolata d’orecchie ed un poderoso barrito mentre la palla del sole rosso
fuoco ormai basso sta tramontando alle sue spalle.
Dopo
aver assistito allo spettacolo del tramonto sbarchiamo sulla riva sabbiosa, è
ormai quasi buio, ci affrettiamo a raggiungere la sicurezza del campo posto
sopra la falesia percorrendo un ripido sentiero con il cuore in gola, stiamo
correndo anche se in salita poiché questa è l’ora in cui gli ippopotami
escono dall’acqua alla ricerca di cibo.
11
settembre 08 – giovedì
Per
congedarci dalla Selous Game Reserve scegliamo di partecipare ad un game drive
ed il regalo più bello di queste ultime ore di safari lo riceviamo dalle
giraffe.
L’episodio
ha luogo nei pressi di una laguna. Una giraffa, dalla riva opposta rispetto a
quella dove ci troviamo entra in acqua e si arresta in prossimità di un
cespuglio per cibarsi, davanti a noi due giovani giraffine si scambiano
effusioni, assistiamo allo strofinamento del muso di una lungo il collo
dell’altra e viceversa, all’incrociarsi dei lunghi colli, ad una sorta di
danza che vede i due esemplari immobili nelle stesse pose, con le teste girate
nella medesima direzione o piegate in modo identico, anche le lunghe zampe, in
certi momenti, sono divaricate allo stesso modo. La magnifica sequenza si
protrae per diversi minuti, sebbene ci troviamo molto vicini, le giraffe non
sono turbate dalla nostra silenziosa presenza. Tutto attorno ci sono diversi altri esemplari che
quasi non notiamo tanto siamo presi a seguire il gioco dei due giovani animali.
L’incantesimo
si spezza quando la giraffa che sta nel mezzo della laguna si avvicina e scaccia
senza troppi complimenti le due protagoniste del singolare “show” mettendole
in fuga.
Pensavamo,
dopo un emozionante incontro ravvicinato e prolungato con un gruppo di giraffe
del South Luangwa N.P., di aver visto la più bella scena regalataci da questi
eleganti animali e di non poter assistere a niente di più emozionante, ma la
natura riesce ad offrirci sempre nuovi e grandi spettacoli ed eccoci a sommare
alle già tante splendide sequenze anche quest’ultima che è senza dubbio la
più bella.
Cambiamo
luogo, per diverso tempo non incontriamo un solo animale, poi in una vasta
pianura erbosa si intrecciano branchi di gnu, zebre, kudu, antilopi, giraffe, è
splendido vederli correre liberi, siamo circondati da animali in movimento,
scatta, per noi, quella molla che solo chi ha provato le stesse esperienze può
comprendere: si tratta della sensazione di trovarsi dentro il documentario, si
ha, inoltre, l’impressione di riuscire a misurare il totale senso di libertà
degli animali ed a percepirne in modo tangibile la bellezza come se davvero si
potesse toccarla con mano.
Costeggiamo,
in seguito, un bellissimo lago attorno al quale la vegetazione è molto
rigogliosa, nelle vicinanze pascola un cospicuo numero di impala.
Proseguendo
il safari, avvistiamo per la prima volta una coppia di alcelafi (Hartebeest)
sommiamo così al nostro “carniere” una diversa specie di antilope mai vista
prima d’ora.
Incontriamo
poi un paio di elefanti e ancora molte giraffe che, questa mattina, mi ero
prefissa di contare ma mi sono persa alla numero 35, direi che – a occhio e
croce – potremmo aver tranquillamente raddoppiato.
Al
riparo di un albero dalle fronde basse, che ci fa pensare ad una capanna,
troviamo un’enorme giraffa seduta a terra con la testa reclinata, sulle prime
pensiamo stia dormendo, ma osservandola meglio ci rendiamo conto che è morta e
quando la guida ci spiega che si è spenta in modo naturale perché molto
vecchia riusciamo ad accettare con naturalezza l’evento anche se triste.
Facciamo
una deviazione per passare un’ultima volta dal gruppo di leoni che si è
cibato della zebra cacciata giorni fa: i cuccioli, inconsapevoli, posano per
bellissimi scatti fotografici, una femmina mentre si “lava” leccandosi da
cima a fondo ci regala una sequenza da rivista patinata, il maschio – tanto
per non smentirsi – dorme alla grande, le altre femmine, indecise sul da
farsi, alternano tentativi di caccia poco convincenti a sonnellini.
Esattamente
dove facciamo una sosta “caffè” vediamo guizzar via un serpentello nero e
finissimo, evito di chiedere alla guida se si tratta di un esemplare velenoso…
preferisco non sapere!
Una
interminabile fila indiana di gnu mescolati a zebre chiude il sipario, anche per
oggi il tempo a disposizione è abbondantemente scaduto, torniamo veloci al
campo per l’ultima volta.
Pranziamo,
ci diamo una rinfrescata, chiudiamo i bagagli, spendiamo gli ultimi minuti a
nostra disposizione seduti sulla solita panchetta osservando quel che succede giù
al fiume e sulle isole sabbiose mentre la malinconia per il distacco da tutto ciò
si fa già strada.
Solo
1 km per raggiungere l’airstrip, non abbiamo neppure il tempo di dare un
ultimo sguardo attorno, un piccolo aereo sta già atterrando sulla pista di
terra, tra le diverse persone in attesa chiamano solo noi, siamo gli unici
passeggeri di quel volo. Il pilota sorridente ci invita a salire e ad
accomodarci dove preferiamo. Scopriamo, in questo modo, che l’agenzia pur di
tener fede al programma concordato ha organizzato questo trasferimento con una
diversa compagnia aerea esclusivamente per noi: davvero grandi!
Decollando,
vediamo una coppia di elefanti che si allontana dalla pista e con quest’ultima
immagine africana impressa nel cuore è difficile trattenere le lacrime: è già
nostalgia!
Trascorriamo
qualche ora “parcheggiati” presso
il lussuoso Movenpick hotel di Dar es Salaam, segue la corsa in aeroporto,
infine, alle 22,50, il volo KLM per l’Europa ci separa ancora una volta dalla
“nostra” amata Africa.
Ringraziamenti:
Un
grazie particolare alla Signora Fabiana C. che mi ha fornito un valido indirizzo e suggerimenti
determinanti per la realizzazione del viaggio.
Una
nota di merito alle tre agenzie locali che, ciascuna per la propria parte, con
incastri perfetti, facendo un ottimo “gioco di squadra”, hanno organizzato
l’intero viaggio rispettando gli accordi e provvedendo prontamente alle
variazioni resesi necessarie a seguito del cambio operativo (per 3 volte) del
volo Pemba-Dar es Salaam. Una lode aggiuntiva all’agenzia tanzaniana per il
volo “su misura”.
Ringrazio,
inoltre, Giorgio M. per la sempre
attenta e scrupolosa ricerca nonché prenotazione dei voli intercontinentali.
Malgrado
tutto grazie anche a Rocco L.: buona parte dell’itinerario è una sua vecchia proposta.
Daniela Bellan