Ladakh e Nepal
L’ARIA DELLE MONTAGNE D’ORIENTE
Diario di viaggio 2005
E
si è stata ancora una volta l’aria d’oriente a portarmi in Ladakh e in
Nepal…
L’anno
scorso quello scorcio di himalaya mi aveva lasciato in bocca quella voglia che
si prova quando non si è gustato a pieno un dolcetto troppo buono…
E
così nasce l’idea di un viaggio in Ladakh, nel Piccolo Tibet, e nel Nepal dei
newari.
Decidiamo
di fare un trek di 9 giorni nel Ladakh alla scoperta della Markha valley. I
dubbi sono tanti: a me la montagna d’estate non mi è mai piaciuta un granchè,
non sono un trekker e non sono neanche allenata per camminare 6-7 ore al giorno.
La
voglia di arrivare in cima al mondo è però più forte quindi si parte come
sempre senza tanti “ma” e senza tanti “se”.
4
AGOSTO: scalo a Delhi
L’India.
Concedetemi
un pensiero per la mia India.
Sono
scesa a Delhi e mi sono sentita di nuovo a casa. Mi è passato davanti il
viaggio dell’anno scorso e la tentazione di ricominciare di nuovo a
vagabondare in questa terra è stata fortissima.
Ovvio
che un pensiero sia volato anche dall’altra parte della costa a Calcutta. Non
ho dimenticato.
5
AGOSTO: Leh
Partiamo
alle 7.00 per Leh, la capitale del Ladakh, questa piccola regione himalayana
abitata da una folto gruppetto di rifugiati tibetani e da un popolo che ha la
sua religione, le sue tradizioni e la sua cultura: i ladakhi.
Leh
si trova a 3400 mt e appena si scende dall’aereo si sentono subito tutti e
3400!!!
Ogni
passo costa una fatica incredibile. Mi manca il fiato. Dopo che ho fatto la
rampa dell’albergo ho il fiatone e mi chiedo come farò a fare il trekking….
La
capitale (suona strano questo nome se si pensa a Delhi o alle grandi città
indiane….) è carina. Al di là delle due vie principali che, come di consueto
in oriente, propongono ai turisti un vasto assortimento di artigianato locale, i
vicoletti di questo paese sono incantevoli.
Nelle
strade Leh è rimasta ferma a 50 anni fa: ci sono le botteghe che lavorano il
legno e quelle che preparano il pane; i bambini giocano in strada e il mercato
è ancora al centro della vita del paese.
Ho subito notato che qui la gente è molto cordiale e sta bene con il poco che
ha. Non si vedono scene di povertà estrema come in ogni città del resto
dell’India.
Non
si può parlare di Leh e della sua gente senza parlare della religione. Quasi
ogni casa espone le bandierine di preghiera buddista e quasi ad ogni angolo sono
presenti chorten in pietra.
Al
centro della città c’è anche una bellissima moschea la cui architettura si
interseca perfettamente con il paesaggio circostante.
NOTE
DI VIAGGIO:
Alloggio:
Hotel Horzey (15 euro a notte)
Ristorante:
Dreamland: buono e abbastanza economico. Il servizio è abbastanza veloce.
6
AGOSTO: Monastero di Tagthog e di Chemre
Necessario
a queste altitudini fare qualche giorno di acclimatamento così i nostri primi
giorni in Ladakh sono dedicati a visite ai monasteri.
Questa
mattina ci siamo alzati presto, abbiamo preso le jeep e ci siamo recati alla
volta di due monasteri.
La
premessa è che questi paesaggi mi hanno subito folgorata. Montagne immense,
desertiche e in cima al cucuzzolo, come nei film, questi monasteri…e poi
vallate straordinarie, incredibilmente verdi.
A
rovinare il paesaggio a tratti mozzafiato, ci sono le colonie militari a
presidiare questo territorio di confine…così vicino al Kashmir ormai da anni
territorio conteso tra India e Pakistan.
Eppure
io mi chiedo come si fa. Come si fa a contendersi un territorio che per le sue
caratteristiche geografiche e culturali deve rimanere libero. Quassù, su queste
montagne i padroni devono essere loro. Gli abitanti. E nessun altro.
Arriviamo
al monastero di Taghtong. Il monastero si compone di due parti: una parte nuova
e una vecchia, entrambe molto belle.
La
parte vecchia è più suggestiva; mi ha colpito molto la sala della preghiera
fatta di argilla.
Il
secondo monastero che visitiamo è quello di Chemre. Quello che più colpisce è
sicuramente la posizione. In cima a una collinetta, il monastero si dispone per
tutto il pendio. Da quassù si gode una vista straordinaria. A me sembra già di
essere così in alto e invece devo ancora incominciare a salire….
7
AGOSTO: destinazione LAMAYURU
Il
Lamayuru è sicuramente il monastero più famoso di tutto il Ladakh ed è
visitato da tanti turisti.
Decidiamo
di dormire in una guesthouse proprio vicino al monastero in modo da poterlo
visitare all’alba quando non c’è nessuno.
Per
andare al Lamayuru la strada è lunga (circa 4 ore di jeep da Leh).
Il
paesaggio è straordinario. In particolare c’è un punto dove si congiungono
due fiumi dove si ha una vista strepitosa. Le montagne cambiano colore ad ogni
curva, ad ogni inclinazione della luce, e poi immense vallate, verdissime che si
contrappongono a una montagna arida.
E
poi canyon profondi, fiumi e terra….che terra.
Facciamo
due tappe.
Prima
ci fermiamo al monastero di Alchi.
La
sala della preghiera è stupenda. Risale al XI secolo e dentro ci sono quattro
Buddha enormi e al centro un chorten.
La
seconda tappa la facciamo a quello che, secondo me, sarà il più bel monastero
che abbiamo visitato: il monastero di RISONG.
Ci
fermiamo con le jeep alla base della montagna e, dopo un chilometro di
camminata, si apre davanti a noi, in tutta la sua grandezza, questo bellissimo
monastero. Sopra solo le nuvole.
Il
monastero ha alla base la scuola per i piccoli monaci e di fronte la catena
montuosa dello Zanzskar.
La
vista è favolosa. Quanto sono belle queste montagne. E’ difficile da spiegare
lo stupore che ho provato perché non pensavo di emozionarmi così davanti a una
montagna. Ma sono così alte e così imponenti che mi trasmettono un senso di
libertà che non provavo da tanto tempo.
Il
monastero si compone di diverse sale per la preghiera e delle stanze dei monaci.
Paolo ha la fortuna di essere invitato nella casetta di un monaco che gli offre
il the al burro di YAK. Mi dice che è un piccolissimo appartamento con il
letto, una finestrella e tutto ciò che serve per la preghiera.
I
monaci a me fanno tanta tenerezza. Soprattutto i bimbi mi emozionano
particolarmente. Tutto è come in Italia qualche decennio fa…i bambini giocano
fuori la scuola con quello che hanno cioè poco o niente. Le loro classi sono
semplici ma pulite e molto decorose.
Arriviamo
al Lamayuru dove dormiamo in una guesthouse proprio vicino al monastero che è
semplicemente strepitoso. La posizione è stupenda, e la sera quando il sole
cala e i turisti non ci sono più dalla finestra della mia camera posso godere
di uno spettacolo che non dimenticherò mai.
Scende
la notte. E che notte. Fra queste montagne la notte è nera.
8
AGOSTO: ritorno a Leh.
La
mattina ci alziamo alle 5.00 e andiamo ad assistere alla puja, che è la
preghiera dei monaci buddisti.
Una
parentesi sull’alba al Lamayuru.
Solo
lo spettacolo che offre questo posto all’alba merita il viaggio.
E’
un luogo straordinario: il monastero antico e imponente, le montagne che lo
raccolgono e lo proteggono, i monaci che lo popolano, la terra della luna che lo
colora.
Ogni
cosa è al suo posto.
La
Puja dura un’ora e mezza ed è una bella cerimonia. Ci sono monaci
giovanissimi che siedono rivolti verso l’esterno e monaci più grandi che
invece siedono rivolti verso l’interno della stanza della preghiera.
I
monaci durante la preghiera fanno colazione con burro di yak, farina e chai.
E
siccome tutto il mondo è paese anche qui i bambini durante la preghiera fanno i
capricci, e invece di pregare
giocano e si fanno i dispetti.
I
monaci più anziani invece dirigono la preghiera scandita dal suono del gong,
dei piatti e delle campanelle. La cerimonia è molto suggestiva.
Dopo
la puja cominciamo la strada di ritorno verso Leh con una bella camminata
attraverso la valle della Luna (moon land). I contrasti e i colori sono davvero
belli: si alternano il giallo intenso, il nero, il viola, il verde e il rosso.
Con
la jeep raggiungiamo, prima di arrivare a Leh, il monastero di Likir che è
carino ma la cosa più interessante è che siamo arrivati durante un compito in
classe dei monaci buddisti. I bambini sono molto concentrati e assistiamo
divertiti a scene di cui ognuno di noi un giorno è stato protagonista: c’è
chi ha i bigliettini, chi chiede aiuto al professore, chi sbircia e chi è il
solito secchione….
9
AGOSTO: partenza per il trekking- 1 tappa 3350 mt.- 4 ore di camminata
E
mi sembravano mille ore….durissima il primo giorno.
Ci
fermiamo a pranzo vicino a un torrente. Il paesaggio mi piace molto. Siamo
ancora in un tratto di percorso che si può fare anche in jeep quindi ancora
siamo in un posto abbastanza frequentato.
Arriviamo
alle 14 al campo dove pianteremo le nostre tende.
Dopo
cena alziamo gli occhi e sopra di noi si presenta una distesa di stelle come
difficilmente ne ho viste altrove. Ci troviamo in una conca quindi il cielo è
ridotto in un frammento ma è pieno
di stelle ed è incredibilmente bello.
10
AGOSTO- 2 tappa- mt 4400- 7 ore di camminata
Si
parte alle 8 della mattina quindi sveglia alle 6.30, si smontano le tende, si fa
colazione, si prende il pranzo al sacco e ci si incammina. Oggi è impegnativa.
I miei compagni di viaggio dicono che il dislivello è parecchio. Capirò sulla
mia pelle quanto pesa ogni metro di dislivello a queste quote.
La
mattinata passa bene. Tra paesaggi mozzafiato, gole stupende e ambienti sempre
diversi.
Alle
11 facciamo una piccola deviazione verso il vicino paesino di RUMBAK. Qui
incontriamo una giovane donna ladakha che ci invita nella sua casa. Le faccio
una foto e lei è tutta emozionata quando si rivede nel display della mia
macchina digitale.
La
cucina dove ci accoglie è molto semplice ma ordinata alla perfezione.
Non
parla inglese come quasi nessuno degli abitanti di questi villaggi che
incontreremo lungo la strada perciò ci si intende a gesti e sorrisi. Ma va bene
così. Significa che il turismo di massa qui ancora non è arrivato con la sua
irruenza e prepotenza. E’ arrivato in punta di piedi e in punta di piedi ogni
anno a settembre se ne va. E speriamo che resti così per sempre perché questo
è ancora un popolo vero e genuino e per questo tanto affascinante.
Il
paesino è composto da poche case in pietra e grandi campi di frumento che sono
il simbolo del villaggio ladakho.
Dopo
pranzo la salita è lunga e la quota si fa sentire. Ogni metro mi pesa come un
macigno. La cosa incredibile è che faccio 10 passi e mi sembra di aver scalato
una montagna per 10 ore e poi mi fermo e dopo un istante sono fresca come una
rosa pronta a partire. E’ la quota si dice.
Comunque
ad allietare la mia fatica sono queste facce di popolo che incontriamo per
strada: la contadina, i bambini, i cavallanti. Il popolo. La mia passione.
Arriviamo
nel primo pomeriggio al campo e come al solito montiamo le tende, ci diamo una
lavata nel fiume (a 4400 metri l’acqua è freddissima!!!!) e aspettiamo la
cena. La sera siamo stremati ma non possiamo rinunciare a guardare stupiti il
nostro cielo che questa sera ci regala la luna, solo per un po’ prima di
sparire dietro la montagna.
E’
la notte di San Lorenzo. Cadono le stelle cadenti. E io non ho desideri. Sto
proprio bene così. In pace. E non posso volere niente di meglio.
11
AGOSTO: 3 tappa- mt 3300- passo a 4900 mt- 8 ore di camminata
La
camminata di questa mattina è durissima.
Sono
500 metri di dislivello e li vedo tutti davanti a me. In queste occasioni conta
anche la questione psicologica…insomma già fatico tantissimo…per di più
alzo la testa e mi vedo davanti una salita infinita…
Cammino
senza pensarci troppo e arrivo al passo a 4900 mt. E arrivati quassù non mi
ricordo più della fatica delle 2 ore precedenti. Da quassù la vista è
strepitosa e mi sento così in alto.
La
camminata che ci porterà al campo a 3300 metri è bellissima. La più bella di
tutto il trekking. Si costeggia un
fiumiciattolo e si attraversa una gola straordinaria. Una roccia color verde si
fonde con una vegetazione arida ma rigogliosa.
Campeggiamo al paesino di SKIU sulla riva del fiume Markha dove facciamo il
bagno. Che bello potersi fare il bagno dopo tante ore di camminata. Anche se
l’acqua è freddissima il sole picchia forte e ci asciuga subito. Siamo
completamente immersi nella natura di questo posto straordinario ed è una bella
sensazione.
Il
paesino offre un piccolo monastero e diversi chorten alcuni posti in posizioni
incredibili in cima a speroni rocciosi raggiunti chissà come.
12
AGOSTO: 4 tappa-3800 mt-7 ore di camminata.
Stamattina
si parte per una lunga camminata che ci porterà ai piedi del paesino Markha. Il
percorso è molto lungo (17 km) ma
molto piacevole. Il sole picchia forte oggi. Guadiamo il fiume Markha e
arriviamo al campeggio che è stupendo. Ci siamo solo noi e gli abitanti della
casa che ci è di fronte.
Mi
presento subito alla gentile proprietaria che non solo mi concede una foto con
lei ma quando si rivede nello schermo della digitale è così contenta che ci
inviata a casa sua e mi offre dell’ottimo chai e a Paolo un bicchiere di chang
che è la birra locale. Ci spiegano in un misto di inglese e ladakho che è un
distillato dell’orzo e che è la bevanda abitualmente consumata dagli uomini
ladakhi.
L’assaggio
anch’io: il gusto è molto diverso dal nostro e per me è decisamente troppo
alcolica.
La
cucina dove ci accoglie presenta una vasta gamma di stoviglie ordinate e
lucidate alla perfezione.
Facciamo
il bagno al fiume e la notte stavolta è insuperabile. Lo spazio dove
campeggiamo è aperto e abbiamo un bel pezzo di cielo da osservare. Prima la
luna illumina incontrastata poi sparisce dietro la montagna e le stelle entrano
in scena, tutte bellissime protagoniste di un cielo senza paragoni.
13
AGOSTO: 5 tappa- mt 4200- 6 ore di camminata.
Partiamo
come sempre di buon mattino e attraversiamo subito il paesino Markha dove
incontriamo qualche bambino e due giovani donne che lavorano l’orzo. Il paese,
poche case in pietra, è circondato da distese di frumento sapientemente
irrigate.
La camminata è piacevole anche se è davvero molto caldo e i due guadi che ci
aspettano ci rinfrescano e ci danno la carica per continuare. Incontriamo un bel
monastero posto in cima a uno sperone roccioso.
Il
pomeriggio la camminata è più faticosa ma il paesaggio che questa splendida
valle ci offre mi fa dimenticare la fatica. All’orizzonte finalmente si vede
la nostra meta: il Kang Yatze. Lo vedo lontanissimo eppure domani saremo lì,
appena sotto la sua vetta.
La
camminata continua tra villaggi e chorten e pietre incise di mille preghiere,
campi di frumento e ponti sospesi sul fiume.
E
si incontrano contadini e signore che filano la lana e le intrecciano con la
pelliccia di yak.
Arriviamo
al campo a quota 4200 in un bel campeggio in riva al fiume.
14
AGOSTO: mt 4850-6 tappa- 4 ore di camminata
Dobbiamo
arrivare al campo base del Kang Yatze.
La
camminata è “breve” ma molto
faticosa sia per la salita che per la quota.
Quando
arriviamo al campo questo monte e i suoi 6200 mt di altezza ci sembrano solo un
imponente collina…solo ieri mi sembrava lontanissimo…il campo dove
piantiamo le tende è bellissimo. Intorno a noi ci sono solo montagne e niente
altro a ricordarci di essere nel 2005.
15
AGOSTO: mt. 4800- 7 tappa- 1 ora
La
camminata è a questo punto una passeggiatina tra le colline…
E’
un giorno di riposo. Il campeggio è carino ma il mio pensiero e rivolto a
domani dove arriveremo a 5300 mt. Ho davanti la salita che ci aspetta…non
sembra poi così lunga ma lo è.
16
AGOSTO: 8 tappa- 3700 mt- passo a 5300 mt- 7 ore di cammino.
La
salita è dolce e la soddisfazione di arrivare a 5300 mt è tanta.
La
vista è magnifica: di fronte il Kang Yatze e di dietro una valle rocciosa
profonda e inquietante.
La
discesa è all’inizio molto faticosa perché è molto rapida. Sulla strada
incontriamo qualche paesino e una scuola che visitiamo. E’ una prima
elementare e già studiano l’inglese.
Nel
primo pomeriggio siamo già al campo. Domani è l’ultimo giorno di trekking.
Stanotte l’ultima notte in questo posto senza tempo. Saluto questo splendido
cielo che mi ha regalato notti magiche con un arrivederci e un sincero grazie.
Grazie di avermi ricordato che ancora esistono posti così fuori dal tempo e
dallo spazio, dove ogni bisogno è annullato, dove finalmente ci si sente
davvero liberi.
17
AGOSTO: 9 tappa- 2 ore di camminata- 3400 mt
La
camminata di oggi serve solo per raggiungere il posto dove verranno a prenderci
le jeep.
La
mattina si riduce nell’attesa delle nostre jeep, nello splendido ricordo di un
trekking memorabile e uno sguardo rivolto al Nepal.
Sulla
strada del ritorno ci fermiamo al monastero di Hemis ma sarà il fatto di essere
stati così bene per 9 giorni fuori dal mondo o sarà la gente che affolla
questo posto diventato troppo turistico, il monastero non ci affascina per
niente. Il pomeriggio siamo a Leh.
18
AGOSTO: Leh
Ci
riposiamo e ci prepariamo per partire per il Nepal.
IL
LADAKH, I LADAKHI, IL BUDDISMO …
Gente
meravigliosa i ladakhi.
Un
popolo ancora ancorato alle sue tradizioni, strettamente legato alla religione
buddista che caratterizza non solo i paesaggi di questa terra colorati dalle
bandierine delle preghiere buddiste e impreziositi dai monasteri e dai chorten
ma anche la vita di questa gente in ogni suo aspetto.
Persone
modeste i ladakhi, non abituate al turismo di massa ma curiosi dello straniero
che di tanto in tanto d’estate gli fa visita.
Ci
ospitano nelle loro case in cambio di niente e a noi non ci sembra vero. Ci
offrono la loro cordialità, la loro cortesia, i loro sorrisi e il loro buon tè
e noi in cambio offriamo solo un sorriso, un grazie e un po’ di imbarazzo. Non
siamo abituati a tanta gentilezza. Certo noi non facciamo così a casa nostra
con i turisti che ci fanno visita. Ma noi siamo proprio un’altra storia.
Le
donne ancora vestite secondo tradizione, i bambini che vanno a scuola, i monaci
che studiano nei monasteri: è tutto molto vero.
I
monasteri appunto. Certo non si può parlare di questo Piccolo Tibet senza
spendere due parole sui suoi monasteri. Stupendi nella posizione e negli
interni. E affollati di anziani monaci e di giovanissimi monaci che studiano
questa religione fin da giovanissimi. Il buddismo in fondo è nella sua natura
è uno stile di vita più che una religione.
Un
pensiero malinconico va al vecchio Tibet. Al paese delle nevi che non c’è più.
E a questi monasteri che tanto fanno parte dell’immaginario collettivo del
Tibet, in Tibet non ci sono più. E allora ci accontentiamo di questo Piccolo
Tibet non senza farci domande, non senza dimenticare. E ci chiediamo come è
possibile bruciare così le tradizioni di un popolo sereno e pacifico, come si
può annullare una cultura così affascinante, come si possono distruggere
questi meravigliosi luoghi di culto senza che nessuno si ribelli, incontrastati.
E
ora che il Tibet è cinese, il Tibet non c’è più. La consolazione, piuttosto
misera direi, è che i rifugiati di questa terra hanno ricreato dei piccoli
paradisi sparsi qua e là soprattutto in India e in Nepal. E a noi hanno
lasciato rabbia e rimpianto di non aver capito che stava succedendo in quel
lontano 1956.
Il
nostro piccolo Ladakh è ciò che resta del grande Tibet, così simile ad esso
nella cultura e nel paesaggio.
A
volte mi chiedo come si faccia a vivere in queste montagne che a noi sembrano
così affascinanti ma che nella realtà presentano evidenti problemi di
adattamento per la vita umana. Eppure il senso di pace di questo popolo è
talmente genuino che alla fine penso che il loro modo di vivere è solo un modo
diverso di vedere le cose, di disegnare le priorità. Non è ancora entrato
nell’epoca delle bombe il Ladakh, e tutti i militari che invadono questa terra
non sfiorano l’animo del popolo delle montagne.
SOTTO
UN CIELO PIENO DI STELLE
Non
sono mai stata un trekker e non credo che lo diventerò mai. A me le montagne
piacciono d’inverno e in discesa. Non credevo di rimanere particolarmente
colpita dai paesaggi del Ladakh, non dopo km di cammino, ore di cammino. Non
sono certo allenata io per certe sfacchinate. Faccio sport ma niente di più.
Questo
il mio stato d’animo quando sono partita. Curiosa certo di questo popolo e
della sua cultura come sempre, ma “le montagne sono solo montagne”, mi
dicevo. Arrivata in Ladakh ecco che tutto è cambiato. Dalla prima corsa in
jeep, dalla prima camminata queste montagne, questo paesaggio così brullo ma
incredibilmente vario di colori e forme mi ha rapito il cuore. E a mi ha stupito
ogni giorno.
Alla
fine di una salita il paesaggio è sempre diverso: puoi trovarti davanti a
profonde gole, a valli verdissime, a immense catene montuose che ti ricordano
che sei sull’himalaya e si vede.
E
più si sale più diventa tutto più bello: pochi sentieri, pochi tracciati e
poca gente.
E
poi la notte. Che notte. La luna illumina queste altissime montagne donandole un
aspetto ancora diverso. E quando la luna scompare dietro le rocce resta solo un
cielo pieno di stelle.
IL
LADAKH E IL XX SECOLO
Fino
agli anni ‘70 il Ladakh era una regione chiusa al turismo. Si dice che chi
venne da queste parti nei primi anni ‘70 trovò una Leh in versione paesello
di montagna.
Da
allora molte cose sono cambiate ma molte sono rimaste ancora genuine.
Leh
è un centro turistico e ci sono più alberghi che case locali, i monasteri
intorno alla capitale sono affollati di turisti spesso invadenti.
Ma
ancora è abbastanza facile perdersi fra le montagne e ritrovare le antiche
tradizioni di questo popolo. I paesi sono ancora abitati e i monasteri sono
ancora pieni di monaci. I turisti tra le montagne sono limitati al periodo
estivo e non è ancora un turismo di massa perché la maggior parte dei luoghi
che abbiamo visitato non sono raggiungibili in auto e la fatica che si fa per
raggiungerli seleziona pochi turisti appassionati e rispettosi della montagna.
La
paura è come sarà il Ladakh tra qualche anno. Perché dove arrivano le jeep
arriva il turismo di massa che tutto distrugge.
Siamo
fiduciosi che chi leggerà questo racconto e deciderà di andare nel Ladakh ci
andrà in punta di piedi e in punta di piedi verrà via, senza fare rumore.
19
AGOSTO: destinazione Kathmandu
Ci
sarebbe piaciuto arrivare a Kathmandu come da piano alle 13 ma l’errore è
stato avere un piano.
Insomma
siamo in India: avere un piano e come avere un sogno irrealizzabile.
Perdiamo
la coincidenza a Delhi per Kathmandu in quanto il nostro aereo da Leh parte con
tre ore di ritardo. La compagnia con cui voliamo ci prenota la prima classe per
il giorno dopo e ci paga la notte a Delhi in un bell’albergo vicino
all’aeroporto.
La
giornata passa così aspettando di arrivare in Nepal
20
AGOSTO: il Nepal davvero.
La
visita è dedicata alla capitale del Nepal, Kathmandu. E’ molto carina. Oggi
è la festa della vacca e tutto il paese è in festa. La piazza centrale (Durban
Square) è molto bella e caratteristica e oggi è anche particolarmente
affollata, colorata e allegra. Dopo un bel giro fra le viuzze di questa città
prendiamo un risciò e ci facciamo portare al tempio indù famoso per le
cremazioni, come a Varanasi: Pashupatinath.
Qui
come a Varanasi l’ambiente è molto suggestivo ma io ho l’impressione di
essere un occidentale nel posto sbagliato. Visitiamo il sito abbastanza
velocemente, assistiamo a una cremazione e poi torniamo a Tamhel con un taxi.
Il
Nepal ci intriga da subito moltissimo. Un aspetto che ci salta subito agli occhi
è la commistione di culture e religioni che il Nepal ci offre.
NOTE
DI VIAGGIO:
Il
visto per entrare in Nepal si fa all’aeroporto di Kathmandu e costa 30
dollari.
A
Kathmandu abbiamo alloggiato alla Kathmandu Guesthouse nel quartiere di Tamhel.
Una camera doppia con bagno comune costa 6 dollari (390 RS). Le camere sono
pulite e anche i bagni. La guesthouse offre ogni genere di servizio (non certo a
buon mercato) e l’ambiente è molto carino e familiare.
L’entrata
alla Durban Square costa 250 RS e anche l’entrata a Pashupatinath. La corsa in
taxi fino al sito indù costa 90 RS.
Il
ristorante della KGH è molto buono ma un po’ costoso (una cena completa per
due costa sulle 600 RS).
21
AGOSTO: Bakthapur
Arriviamo
a Bakthapur di buon mattino. Lasciamo le nostre cose in hotel e visitiamo la
città che è davvero molto bella.
Non
ci sono macchine a Bakthapur e questo rende la città piacevolissima da
visitare.
Al
di là delle piazze che sono tutte splendide, dalla Durban Square alla Potter’s
Square passando per Taumadhi Square, i vicoli lontani dal percorso turistico
sono caratteristici: si possono incontrare donne che stendono il frumento ad
essiccare al sole, botteghe di artigiani che intagliano il legno e semplicemente
gruppi di persone intorno a un tempio indù intente in coloratissime e
pittoresche preghiere. E ancora bambini che giocano, donne che filano la lana e
uomini che giocano a carte, oggi che è domenica.
E
così seguendo una di queste stradine si arriva a Potter’s Square, piena di
vasi lasciati ad essiccare al sole e poi a Tachupal Tole dove proprio dietro il
tempio di Dattaraya c’è il Peacock Shop. Sul retro del negozio è possibile
visitare la fabbrica della carta. Molto interessante. Il “boss” ci spiega
tutte le fasi della lavorazione della carta e in particolare ci fa vedere il
confezionamento dei bigliettini di Natale, fatti con la tecnica dello stensil.
In questa piccola fabbrica lavorano 8 persone di cui 2 uomini addetti alle
macchine pesanti per stirare e tagliare i fogli di carta e 6 donne che invece si
occupano dei lavori manuali di disegno e costruzione del biglietto.
Dopo
un the a Nataya cafè da cui si gode proprio una bella vista sulla piazza
Taumadhi Square andiamo in camera a riposarci un po’ visto che inizia a
piovere.
A
cena accompagnano il nostro pasto un gruppo di nepalesi che cantano proprio
sotto il ristorante, nella piazza.
NOTE
DI VIAGGIO:
Entrata
a Bakthapur: 10 dollari
Taxi
da Kathmandu: 300 RS
Golden
Gate Guesthouse: camera doppia con bagno 500 RS
Ristoranti:
Marco Polo restaurant (economico) e Sunny restaurant in Taumadhi Tole (entrambi
davvero molto buoni).
22
AGOSTO: Thimi- Patan
La
mattina andiamo a piedi da Bakthapur a Thimi.
Thimi
è un tipico villaggio newari; la popolazione è dedita all’arte del legno e
della ceramica. L’artigianato propone delle marionette interamente fatte a
mano davvero molto belle. Non resisto, neanche ci provo, e ne compro una che
adesso ho proprio qui davanti a me ed è stupenda.
Al
ritorno da Thimi prendiamo i bagagli e partiamo per Patan dove dormiremo una
notte.
La
città è carina ma non è nulla di particolare. La Durban Square è la più
generosa di templi rispetto alle altre città che abbiamo visitato ma oltre a
questo non c’è nulla che ci colpisce.
Per
la visita probabilmente è più che sufficiente un’escursione in giornata da
Kathmandu o da Bakthapur che invece merita una sosta di almeno un paio di
giorni.
NOTE
DI VIAGGIO:
Taxi
da Bakthapur a Patan: 200 RS
Mahabuddha
Guesthouse: camera doppia con bagno 400 RS
Ristoranti:
Taleju Restaurant (molto buono, economico e veloce e offre una bella vista sulla
Durban Square) e Cafè de Patan.
Entrata
alla Durban Square di Patan: 150 RS
23
AGOSTO: Bungmati- Bodnath
La
mattina andiamo a Bungmati, tipico villaggio newari posto su uno sperone
roccioso a pochi chilometri da Patan. Il paesino è davvero caratteristico: in
particolare la piazza centrale raccoglie tutta la vita di questo villaggio fuori
dal tempo. Molto carini quelle enormi catene di peperoncini essiccati al sole
che spuntano da ogni casa e colorano questo paesino.
Torniamo
a Patan, prendiamo i nostri bagagli e andiamo a Bodnath, sito e luogo di ritrovo
e di vita di un nutrito gruppo di rifugiati tibetani alla periferia di Kathmandu.
Lo
stupa è imponente e molto bello ma la cosa che rende suggestivo questo luogo è
vedere la processione di monaci e fedeli in circolo intorno allo stupa, la sera
quando i gruppi turistici se ne sono andati.
E’
stupenda la commistione della cultura buddista e di quella indù, nei monumenti
come nei fedeli delle due religioni che pregano insieme.
NOTE
DI VIAGGIO:
Taxi
da Patan a Bungmati (A/R) e da Patan a Bodnath: 500 RS
Lotus
Guesthouse: camera doppia con bagno in comune 350 RS
Ristoranti:
Stupa View Restaurant (a parte la bella vista non è niente di particolare) e
Double Dorie Restaurant (molto tibetano: economico, buonissimo, porzioni
abbondanti e ricco di atmosfera).
24
AGOSTO: Kathmandu
Oggi
ci godiamo un po’ le comodità di Tamhel. I negozietti sono proprio carini e
hanno un sacco di artigianato locale a poco prezzo.
NOTE
DI VIAGGIO:
Taxi
da Bodnath a Kathmandu: 80 RS
Kathmandu
Guesthouse: camera doppia con bagno in comune 390 RS
Ristoranti:
Le Bistro e Kathmandu Guesthouse (molto buoni)
NB:
non telefonate dalla KGH perché le tariffe al minuto sono molto alte.
25
AGOSTO: Kathmandu- Delhi
La
mattina, dopo aver fatto un’ottima colazione in una delle bakery di Tamhel,
andiamo al sito buddista detto anche tempio delle scimmie: Swayambhunath.
Si
accede al sito alla fine di una lunga scalinata dove ci fanno compagnie un
nutrito gruppo di scimmiette. Visitiamo lo stupa la mattina presto, alle 8.30 e
non c’è un turista. In compenso ci sono tantissimi fedeli che pregano: indù
e buddisti. E così tra una statua di Ganesh e un Buddha, un monaco prega e una
signora indù si inchina e porge le offerte fatte di fiori e riso.
Molto
bella la vista di Kathmandu da quassù.
Alle
14.15 abbiamo l’aereo per Delhi e la notte partiremo per l’Italia.
Così
anche questo viaggio è finito.
NOTE
DI VIAGGIO:
Taxi
da Kathmandu al sito: 80 RS
Taxi
da Kathmandu all’aeroporto: 200 RS
Entrata
al sito: 75 RS
Tassa
per uscire dal Nepal: 18 euro
ARRIVEDERCI
NEPAL
Una
settimana per visitare la valle di Kathmandu è il minimo. L’ideale sarebbe
dieci giorni.
In
una settimana non si può prendere di aver capito tutto di un popolo ma certo
alcune cose sono da subito molto evidenti.
A
volte si parla del Nepal come di un paese che è un po’ il prolungamento
dell’India, ingoiato dalla sua cultura.
Il
Nepal in realtà è molto di più.
E’
un paese che ha una sua tradizione, le sue religioni e i suoi popoli.
Qui
più che mai la religione è un’insieme di religioni che si fondono insieme in
un unico credo.
Qui
più che mai il popolo è un insieme di popoli e di tradizioni.
E’
tutto più piccolo rispetto all’India e così è molto facile allontanarsi per
qualche chilometro dalla città per ritrovare vecchi villaggi newari,
tradizionali e non toccati dal turismo di massa. Inoltre la vegetazione in Nepal
occupa ancora gran parte del territorio.
E’
gente cordiale quella nepalese dotata di un grande senso di rispetto, come già
avevo notato in India.
Avrei
voluto visitare anche le montagne di questo paese e così conto di tornarci
presto, magari per salire l’Annapurna o l’Everest…
NAMASTE’,
JULEY!
E’
stata dura mettere insieme in 20 giorni un trekking nel Ladakh e la visita alla
valle di Kathmandu ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Non ci siamo mai fermati
neanche quest’anno.
I
posti, i popoli, le culture che abbiamo incontrato, con cui ci siamo scontrati,
che ci hanno incuriosito e che ci hanno fatto sorridere sono due culture che
hanno fatto della pace la loro religione e delle montagne la loro forza. E così
succede che ci dimentichiamo di tutto quassù, in cima al mondo, e che anche i
militari non sembrano poi così cattivi. Si fa fatica a pensare a un concetto di
guerra di confini quando si attraversa il Ladakh.
Salutiamo
il ladakh e la sua gente, il Nepal e i suoi newari ringraziandoli di averci
accolto nelle loro terre con la simpatia e la cordialità tipica della mia
India.
Perciò
Juley alle faccie del Ladakh, Namastè al popolo newari.
Ambra