LA MIA GRECIA
Racconto di viaggio
E' passato così tanto tempo da quei miei primi viaggi in Grecia che ne ho un ricordo, confuso, immagini di isole, templi, porticcioli nascosti, suoni e colori, si confondono nella mia memoria non permettendomi di collocarli cronologicamente. Ricordo pero che mi piacque moltissimo da subito, fu amore a prima vista, un amore che aveva le sue radici nelle aule del liceo artistico di Roma, alimentato dalle lezioni della professoressa d’italiano e quelle sue lunghe esegesi dell’Iliade e dell’Odissea che ci complicavano la vita.
La Grecia in ogni modo ho cominciato a conoscerla soprattutto per le belle lezioni di storia dell’arte. Il nostro professore era di statura media, sempre vestito con molta cura e con modi un poco effeminati che cercava di mascherare senza troppo successo. Su di lui facevamo commenti irripetibili ma senza vera malizia.
Era un affabulatore straordinario e quando incominciava a parlare, a descrivere un tempio, una statua, un teatro, incominciava da tutto quello che c’era intorno, inserendo cieli, alberi, strade, artisti, filosofi e guerre in un calderone estremamente sapido. Ogni cosa era collegata ad avvenimenti anteriori e a sviluppi successivi in un ampio affresco nel quale tutti noi ci lasciavamo annegare stregati, ammaliati.
Dopo pochi minuti di lezione eravamo a Verghina, nel palazzo reale di Filippo il Macedone, poi ci arrampicavamo fino a Delfi ascoltando l’oracolo. Lasciavamo Eleusi e i suoi riti e si cominciava tutti a risalire i Propilei dell’Acropoli di Atene, insieme ad una grande massa di pellegrini vocianti. All’interno del Partenone egli era ormai Fidia e ci raccontava con espansività le complicate vicende della costruzione della grande statua crisoelefantina di Athena, delle sue beghe con Pericle insieme a qualche episodio delle guerre del Peloponneso. Queste erano le sue stregate, divaganti lezioni di storia dell’arte, indimenticabili e seducenti come nessuna altra materia del corso. Ma tanto calore, partecipazione, adesione alla storia, esplodevano sempre e solo quando l’argomento, in modo diretto o indiretto, toccava la Grecia.
Durante i miei anni di liceo artistico, quella terra fece capolino anche in altre discipline, in “figura disegnata” ad esempio. L’aula era stracolma di calchi in gesso, sculture di Policleto, Prassitele, una bellissima testa femminile di Skopas, la mano femminile di una dea. Sotto la guida di Renato Guttuso per tre anni siamo andati avanti disegnando quelle opere con tratti nervosi, chiaroscuri intensi, un poco alla sua maniera per evitare le sue drastiche correzioni.
Poi nel ultimo anno abbandonammo i calchi in gesso per ritrarre una vera modella nuda che suscito tra i maschi della mia classe per l’intero corso, un andirivieni di non velate gelosie tra le ragazze, inconfessabili fantasie erotiche e non tanto platonici innamoramenti.
L’altra materia che ci parlò indirettamente della Grecia fù “Ornato Disegnato”. Il titolare della cattedra era Franco Gentilini, buon pittore di un cubismo edulcorato con linee e toni femminei. Anche lì, oltre a una serie di bottiglie vasi e vasetti che ci rimandavano a iconografie morandiane, dovevamo disegnare calchi di sarcofagi con trionfi di alloro, lance incrociate e scudi, c’era anche un enorme mezzo capitello corinzio con le sue belle volute di acanto che sapevo essere una pianta simile al carciofo. Quando in uno dei miei primi viaggi in Grecia vidi quel rigoglioso cespo con le sue foglie lanceolate del tutto identiche alle volute che avevo mille volte disegnato, ebbi un turbamento. Tutto quello che era storia di tempi passati, leggenda, mito, divenne improvvisamente qualcosa di tangibile, vivo e contemporaneo, La Grecia mi si rivelò come una terra fuori dal tempo, dove passato e presente coincidevano e convivevano in modo assolutamente naturale.
Probabilmente quella bella pianta di acanto ebbe una parte importante nel mio rapido processo di innamoramento, ma il fatto è che, la Grecia, con le sue terre riarse, le sue case bianche tra cielo e mare, le sue isole d’acquarello che sfumano impercettibili all'orizzonte navigando su un mare d’inchiostro, per tutto questo e molto altro ancora difficile da spiegare, esercita una malia alla quale è impossibile sottrarsi.
Ma
ci furono altri elementi, di natura emotiva, che contribuirono a rafforzare il
mio innamoramento. Il viaggio in Grecia presupponeva un programma ben studiato,
fissare date, imbarchi e sbarchi da traghetti, arrivi in posti sconosciuti,
isole lontane, mari corrucciati e forti venti di meltemi, oltre a una lingua
antica e incomprensibile.
Insomma,
gli ingredienti per l’avventura c'erano tutti.
In uno di quei tanti viaggi estivi ero con alcune coppie di amici, come me amanti ostinati della Grecia. Arrivammo a Brindisi per l’imbarco, io con la mia Ford Taunus bianca, vecchia di mille stagioni e seguimmo le indicazioni per arrivare alla nostra nave per Igoumenitza tra le varie che erano ormeggiate in banchina, poi la fila delle auto si mosse e lentamente anche noi con le nostre, entrammo nel gigantesco ventre metallico della nave, dove rintoccavano colpi sulle lamiere e richiami gridati. Incominciammo a salire ripide scale per non so quanti piani per arrivare ad una grande sala dove regnava una inverosimile, allegra confusione che era già un bel anticipo di Grecia.
I motori che nella parte più profonda della nave avevano per tutto il tempo dell’attesa continuato a funzionare, aumentarono il loro ritmo e quel gigantesco, ferrigno edificio multi piani, lentissimamente si mosse aumentando via via la velocità.
Durante la notte salii sul ponte superiore, il buio era totale, in cielo milioni di stelle come non ne vedevo da anni, poche ombre si muovevano nel buio solitarie e silenziose come me, unico suono il borbottio sordo dei motori che arrivava insieme ad una leggera vibrazione del pavimento metallico, fin dalla profondità della sala macchine. La nave sembrava immobile nella notte, ma avanzava nel tempo e nello spazio come una misteriosa aeronave tra galassie. Un gruppo di stelle lucenti saltellava intorno all’alta antenna-radio sopra la timoneria, la brezza umida con vago sapore di iodio penetrava nelle mie narici, mi affacciai al parapetto, lo scorrere dell’acqua lungo le fiancate molti metri più in basso, era solo un sommesso brusio di lattescenti bave di spuma che correndo verso poppa lentamente si dissolvevano. Tutto era così essenziale, assoluto, trascendente, che mi sentii profondamente appagato.
Conoscevo quella pienezza e quel profondo appagamento che erano le condizioni che mi avevano sempre seguito ovunque in Grecia.
Incominciai a passare in rassegna i nomi delle regioni di quella terra e quelli delle isole, che avevo visitato durante i tanti viaggi precedenti e ne venne fuori quasi un canto, i nomi sono così belli in Grecia che commuovono, nessun altro paese ha regioni con nomi così sonori, di una luce così intensa. A cominciare dall’ Attica e poi Messenia, Tracia, Argolide, Laconia, Eubea, Elide,……. Sentite come sono armonici questi nomi? come sono evocativi di miti, divinità, battaglie, eroismi? Sembrano nomi di mondi ruotanti nel cosmo, inondati di luce propria come astri. E questo vale anche per le migliaia di isole e rocce sparse per tutto l’Egeo come perle di una collana rotta da una dea maldestra. Sono troppe ma qualche bel nome voglio cantarlo ugualmente. Che ne dite di Delos Amorgòs, Folègandros, Astipalèa, Kàrpatos, Kalìmnos, Santorini, Mìkonos, Skinoussa.... Sentite che suoni di campane? Sentite la musica? sono parole che non sembrano fatte di lettere dell’alfabeto ma di note musicali.
Bene, La Grecia è tutta così, Pace con se stessi, luce abbagliante, isole sperdute in un universo blu e suoni. Se c’è davvero un creatore, ebbene questa terra deve essere stata la primigenia e la più amata. Il mondo andrà in rovina, ci saranno guerre, cataclismi, olocausti, distruzioni, soprusi, violenze, migrazioni incontrollabili, carestie, Forse la nostra stessa civiltà occidentale, nata proprio in Grecia circa 2500 anni fà, sarà spazzata via dal tempestoso, violento vento del Islam, ma la Grecia rimarrà immune, intatta, luminosa come è sempre stata, dall’origine dei tempi, e sarà forse l’embrione di un nuovo mondo, nuovi filosofi percorreranno le sue strade, nuovi viaggiatori ebbri di luce navigheranno tra le sue mille isole in un eterno, reiterato ciclo di vita. E cosí sia.
Gianfranco Fini