Wildlife in Kerala. L’India ancora autentica.
Racconto di viaggio 12/2-2/3 2008.
Kochi, 12/2/08
Welcome to India! L’impatto con i 32 gradi e il sole tropicale è stato notevole, dopo le quasi 2 notti in bianco del viaggio Brindisi-Milano-Dubai-Cochin. Ci recupera Farook, l’autista che ci ha mandato la nostra amica Monique, conosciuta in rete da Maurizio. Ci facciamo subito un’idea di come funziona il traffico da queste parti. Intanto la guida è all’inglese, ma di inglese c’è solo che si tiene la sinistra. Per il resto vige una deregulation che ha sicuramente una sua logica, che però al momento ci sfugge. A un certo punto un’auto davanti a noi ci costringe ad accostare e ne scendono due indiani furibondi che se la prendono con Farook per una manovra, a loro dire, poco corretta. Si arriva quasi alle mani, ma poi gli animi si calmano e possiamo ripartire. Il povero Farook, mortificatissimo, ci spiega che i due erano due arroganti ricchi, che la sua manovra era tutto sommato corretta e la loro reazione assolutamente ingiustificata.
Arriviamo, dopo un po’ di ponti e di traffico, alla nostra guest-house, anche quella riservataci da Monique. Si trova a Fort Cochin, quartiere antico della città, ed è una cosa apparentemente di lusso, con capitelli corinzi ed enorme fontana decorata da cigni di pietra bianca. La stanza che ci è stata riservata è un po’ piccola e calda, ma siamo stanchi e ci adattiamo. Una doccia (quasi inutile, tanto dopo un minuto sei già sudata) per riprenderci, una sistemata al bagaglio e poi chiamiamo Monique la quale ci manda un rikshaw per portarci a casa sua. Finalmente la incontriamo di persona: capelli cortissimi, occhi azzurri diretti, un piglio deciso e un grande amore per l’India che l’ha spinta a trasferirsi qui 10 anni fa circa.
Comincia a farci una lunga spiegazione su come funziona questo Paese. Ci dice che qui è tutto, ma proprio tutto diverso dall’Occidente, e se un visitatore non conosce almeno un poco le usanze indiane, rischia continuamente di fare gaffes madornali. Ci spiega come è più opportuno vestirsi, quali sono alcune delle principali regole del galateo indiano alle quali è meglio attenersi per non offendere o mettere in imbarazzo nessuno. Ci chiede qual è il nostro programma di viaggio e si mette a nostra disposizione per organizzarci il tour. In genere non mi piace essere guidata e indirizzata quando viaggio, infatti non farei mai un viaggio organizzato da un’agenzia, ma vedo che Monique ha capito come siamo fatti io e Maurizio e cosa cerchiamo qui in India, così ci mettiamo volentieri nelle sua mani perché lei conosce questo Paese meglio di noi e ci può aiutare a fare quello che ci interessa nel modo migliore, e forse a scoprire con questo viaggio qualcosa in più di quello che ci aspettavamo. Monique vuole che vediamo quello che di bello c’è da vedere qui senza per forza andare in località troppo turistiche, anzi per niente.
Intanto mi recupera un vestito (si chiama churidar e sono tre pezzi: una casacca lunga fino al ginocchio, dei pantaloni larghissimi alla caviglia e una sciarpa di cotone leggero) più consono agli usi di questo luogo degli abiti che indosso. Io non lo sapevo, ma anche bermuda e maglietta possono essere una provocazione quando in un posto la gamba o la spalla femminile scoperta non si mostrano solitamente in pubblico. L’insieme è nel complesso fresco, comodo ed elegante e mi ci sento subito a mio agio.
Monique ha in serbo per noi una bella sorpresa stasera. Ci porterà a casa di suoi amici (conosciuti in rete anche loro), lei italiana, lui norvegese con due bimbi piccoli. Sono qui per un mese per il lavoro di lui, che insegna regia ed è qui con un gruppo di studenti norvegesi. Durante la serata assisteremo ad uno spettacolo di Katakali, danza religiosa locale molto conosciuta. Parte dello spettacolo, che si svolge sulla terrazza della casa, è la cerimonia del trucco e della vestizione degli attori, e dura un’ora e mezza. Trucco e abiti sono coloratissimi, e il risultato è davvero molto scenografico. La danza è accompagnata dai tamburi. Purtroppo Maurizio ed io siamo proprio stanchissimi, ci si chiudono gli occhi mentre cerchiamo di seguire la trama della storia, e interpretare il simbolismo delle mani e della mimica del viso degli attori è arduo per noi occidentali stanchi.
A fine spettacolo viene offerta la cena a tutti. Mi sforzo di mangiare con la mano destra all’indiana, e per un po’ ce la faccio, ma è veramente un’impresa…
Dopo una nottata un po’ agitata con temporale tropicale e febbre di Maurizio (è partito dall’Italia con l’influenza) e una colazione indo-occidentale nel nostro homestay saliamo sul tuc-tuc che ci aspetta all’entrata per andare a farci un bel massaggio! Il primo vero massaggio professionale della mia vita, e proprio in India! Purtroppo la mia massaggiatrice non parla inglese. Il massaggio è molto energico, dai piedi alla testa cuoio capelluto compreso, ed è seguito da un bagno di vapore in una artigianalissima sauna. Poi la ragazza mi dà un asciugamano e mi indica il bagno, dove mi faccio una doccia rinfrescante, ed esco come nuova e con una pelle morbidissima. Quando usciamo non avvertiamo neanche più il caldo che fa!
Oggi sarà una giornata faticosa. C’è da organizzare tutta la nostra vacanza.
Farook ci accompagna ad Ernakulam all’ufficio dell’Agatti Island Beach Resort dove, con non poche difficoltà con l’Indian English, riusciamo a prenotare i voli e 3 giorni di soggiorno alle mitiche Isole Laccadive per un prezzo pari a circa un quarto di quello che propongono i tour operator italiani. Quasi non ci speravamo, perché sapevamo che i posti disponibili sono pochissimi e serve anche un permesso da richiedere al Governo. Ma Farook ci spiega con la massima naturalezza che “Here everything is possibile, because…we’re in India!) e c’è sempre qualcuno disposto a farsi in quattro per accontentarci.
Nel pomeriggio torniamo da Monique la quale, nel frattempo, ha pianificato il nostro tour che durerà circa una settimana: 3 giorni sulle backwaters al Big Banana Island Resort, gli altri in auto con autista indiano fra colline di the, piantagioni di caffè, jungla misteriosa e montagne all’interno della regione.
Saremo di ritorno a Cochin giusto un giorno prima del volo per Agatti Island. L’autista ci costerà un poco di più di quelli che lavorano con le agenzie, perché Monique pretende che gli autisti dormano in un posto decente e non in macchina, come devono fare molti per arrotondare un già magro guadagno. Inoltre sono autisti che parlano inglese, sanno come comportarsi con noi occidentali, fanno un po’ da guida ai turisti, sono disponiblissimi e soprattutto sono molto molto affidabili al volante, cosa non da poco visto il traffico.
Stanchi ma felici, andiamo a cena in un ristorante all’apparenza di lusso, che si chiama Fort Queen, dove mangiamo benissimo e dal quale usciamo satolli e allibiti dopo avere speso il corrispondente in rupie di 8 euro in tre. Torniamo a piedi, sono le 23 e non c’è già più nessuno per la strada. Ci sentiamo un po’ a disagio, così prendiamo al volo un rikshaw per fare prima, solo che il conducente è brillo e corre come un matto. Arriviamo al nostro homestay sani e salvi giurando di non uscire più così tardi…
Dopo un’altra notte di sauna, chiediamo di cambiare stanza, visto che ci fermeremo qui ancora due giorni, e veniamo accontentati con una stanza più grande e più fresca. Maurizio si sente meglio e dopo colazione ci prepariamo per una giornata di sightseeing. Con Monique ci facciamo accompagnare in tuc-tuc all’inizio del “lungomare” di Cochin. Di fronte sorge un’isola artificiale costruita dagli Inglesi sulla quale è andata a depositarsi la sabbia portata via dallo tsunami dalla spiaggia, della quale rimane ben poco. Il mare è di un bel marroncino, ma a quanto pare il pesce è buono. Camminando, arriviamo alle famose reti cinesi e vediamo bancarelle di pesce ovunque. C’è anche una vera e propria asta del pesce. Qui brulica di turisti e bancarelle e fa un caldo soffocante. Monique ci porta a visitare un negozio di artigianato molto grande e ci spiega come funziona la trattativa fra commerciante indiano e cliente: il venditore dice un prezzo, il cliente gli offre circa il 30% e, dopo una trattativa a volte lunga ed estenuante, ci sia accorda per il 50% circa della richiesta iniziale. Poi bisogna guardarsi dalle fregature etc. etc…mica una cosa facile lo shopping in India, ci vuole occhio, esperienza e pazienza ed è sempre meglio farsi accompagnare da qualcuno di fiducia e del posto.
Visitiamo Jews Town, l’antico quartiere ebraico ( gli ebrei vivono qui circa dal 70 a.C. addirittura, scappati dalla Palestina a causa delle persecuzioni degli antichi Romani). Qui sono concentrati i famosi negozi di antiquariato indiano. Ci si può trovare veramente di tutto, e naturalmente tutto è in vendita, anche i tavoli e le sedie dei ristoranti. Gli indiani pensano a imballare e spedire qualsiasi cosa. Il cliente deve solo pagare e andarsi a ritirare la merce al porto più vicino in Italia. Dopo aver girovagato a bocca aperta fra antichi portoni istoriati, colonnati di legno, pietre scolpite, vecchi sari, lettini da massaggio antichi, lampade votive di dimensioni faraoniche, arriviamo in un negozio di amici di Monique dove trascorriamo il pomeriggio facendo acquisti di regali e souvenir. E’ tutto di ottima qualità e i prezzi ci sembrano onesti. Quando usciamo di lì carichi di buste gli altri commercianti, che stanno sulla soglia dei loro negozi per attirare i clienti, ci chiamano e ci chiedono di entrare a fare acquisti anche da loro. Monique ci spiega che non sempre tutti i commercianti si comportano in maniera corretta, così è meglio fare almeno gli acquisti più importanti solo in posti di fiducia, come quello dei kashmiri dove siamo appena stati.
La sera io e Maurizio usciamo da soli. Andiamo nella zona di Fort Cochin che meglio ha conservato le caratteristiche dell’architettura coloniale portoghese, tanto che ci sembra di essere a Morretes, Paranà, una cittadina coloniale che abbiamo visitato in Brasile…
In questa zona si concentra la maggior parte dei turisti stranieri che alloggiano a Fort Cochin. Si vedono tanti ragazzi vestiti all’occidentale che vengono ben tollerati dagli indiani, nonostante la vista di tanta pelle scoperta li turbi non poco. Io mi sento molto meglio col mio churidar. Ceniamo in un ristorantino sul mare, ma non mangiamo bene e spendiamo molto. Ci facciamo una croce sopra giurando di non andare più a mangiare in posti pieni di turisti.
La mattina, dopo una veloce controllata alle notizie da casa e dall’Italia su internet, la vacanza può riprendere. Oggi è il 14 febbraio, S.Valentino.
Si va da Monique in rikshaw. Oggi si va a visitare i monumenti di Cochin: la chiesa di Sao Francisco con la sua strana volta a forma di scafo di nave, i ventilatori tirati da corde e la tomba di Vasco de Gama; il Palazzo Olandese, residenza dei maraja con i suoi meravigliosi affreschi di scene tratte dalla mitologia indù e i ritratti dei maraja che si sono succeduti fino alla metà del ‘900. Passiamo da un mercatino molto locale, dove acquisto la stoffa per far cucire delle camicie, e un sari da regalare a prezzi veramente popolari. Si pranza da Dal Rotì, un ristorantino tranquillo che fa cucina kashmira dove mangiamo benissimo e spendiamo di nuovo circa 8 euro in tre. Pare che sia una regola, oramai. Abbiamo la sensazione di ricevere un trattamento di riguardo ogni volta che siamo in compagnia di Monique, che qui è molto conosciuta per il fatto che fa da anfitrione a molti turisti, e gli imprenditori di qui sanno molto bene come entrare nelle grazie della gente… Quando usciamo passiamo a prenotare per la cena alla Malabar House, homestay di lusso con ristorante famoso in tutta l’India per la sua cucina raffinata indiana. E’ S.Valentino o no?!?
Nel pomeriggio passiamo dal sarto a portare la stoffa per le camicie che saranno pronte fra qualche giorno. Farsi cucire una camicia dal sarto qui costa pochissimo: 125 rupie! E i sarti sono tantissimi e bravi perché qui gli uomini non indossano altro che camicie sopra a una specie di pareo che stanno tutto il giorno ad annodarsi in vita. Le t-shirt le indossano solo i turisti e gli indiani che vogliono darsi un tono occidentale, e sono molto pochi.
E’ presto quando arriviamo nei paraggi della Malabar House, così ci lasciamo catturare in un negozio di artigianato dove, fra le altre cose, ci sono dei bei tappeti ricamati di seta e Maurizio ne acquista uno. Difficile resistere alle lusinghe dei commercianti indiani, e poi le cose che vendono sono così belle…
Quando entriamo alla Malabar House puntualissimi alle 20,00, rimaniamo a bocca aperta. Dietro tendine fatte di fiorellini bianchi profumatissimi, ci sono i tavoli apparecchiati all’aperto. Ad ogni sedia sono legati palloncini bianchi e rossi a forma di cuore, e c’è una piccola piscina sulla quale galleggiano fiori e lumini. Di fronte al nostro tavolo, in prima fila, c’è un piccolo palco addobbato con altri fiori e lumini, sul quale stanno già suonando tre musicisti che eseguono musica classica indiana. Davanti al palco una lampada votiva diffonde profumo di olio di cocco. L’ambiente è tipicamente indiano e raffinatissimo. Ci vengono servite sette portate una più buona dell’altra. Alla fine anche degli scampi piccanti al latte di cocco che ci mandano in estasi. E il conto alla fine non è salato come tutto poteva far supporre: circa 1150 rupie a testa. Per fortuna noi non beviamo alcolici, altrimenti si che sarebbe arrivata la mazzata, perché una bottiglia di vino costava sulle 1200 rupie, e fra gli avventori c’erano tanti turisti che hanno alzato parecchio il gomito.
La mattina dopo, il 15 febbraio, si preparano i bagagli perché sta per cominciare il nostro tour del Kerala. Dopo una tappa veloce da Monique per gli ultimi dettagli, si parte con Farook per Cherai Ceach, una ventina di km. a Nord di Cochin. La giornata è calda, dopo un’oretta di viaggio nel solito caos indiano, svoltiamo per una strada tranquilla e arriviamo a questa tipica spiaggia indiana: sabbia color ocra, mare torbidino, onde oceaniche e palme da cocco. Deserta, se non fosse per qualche coppia a passeggio e gruppetti di ragazzi e ragazze che ci guardano incuriositi, forse a causa dei nostri costumi da bagno. Mi rendo conto che il mio bikini made in Ipanema attira troppo l’attenzione e che il sole è veramente implacabile, così mi infilo il mio provvidenziale camicione. Maurizio fa il bagno, io non oso. Si può fare anche una doccia, ma rigorosamente al chiuso, al riparo da sguardi indiscreti ma non dalle voracissime zanzare indiane. Pranziamo con Farook, che nel frattempo ha vegliato su di noi, in un ristorante deserto sulla spiaggia.
Dopo pranzo andiamo al posto dell’appuntamento con il nostro Caronte, che ci traghetterà, pagaiando, in canoa fra le backwaters per circa 3 ore fino alla nostra destinazione: B.B.Island (che sta per Big Banana naturalmente).
Saliamo su una canoa di legno dall’aria, ma fortunatamente solo quella, instabile e comincia la traversata fra canali fiancheggiati da abitazioni fra gli alberi di cocco dove la vita scorre tranquilla. Ci sono bambini che vanno a scuola, donne che fanno il bucato, uomini che pescano, templi dove si prega, tutto sull’acqua. La parte più vicina al mare è densamente abitata e, mi spiace sottolinearlo, un po’ invasa dalla plastica, però, mano a mano che ci si addentra nei canali più interni le bottiglie lasciano il posto ai fiori che cadono dai rami protesi sull’acqua, ai tronchi galleggianti e a strane piccole isolette di alghe galleggianti, e i rumori non sono più quelli dei soliti clacson, ma quelli degli uccelli che svolazzano, colorati e felici in un’atmosfera magica. E poi mangrovie, banani, cocchi, hybiscus, glicine selvatico, fiori sconosciuti e splendidi alberi. Ogni centimetro di terra emersa è ricoperto da vegetazione.
A un certo punto della traversata devo chiedere di una toilet. Qui il problema è che si deve bere tanto per via del caldo, e l’acqua imbottigliata che si beve non è acqua minerale, ma acqua depurata e demineralizzata, insomma, come quella che a casa uso per il ferro a vapore. Quindi il bagno a portata di mano è un must. Purtroppo nei canali delle backwaters non se ne trovano facilmente, e in India è molto disdicevole che una signora si apparti per i suoi bisogni dietro a un cespuglio. Il nostro accompagnatore mi propone il bagno di casa sua, che si trova a 10 minuti (indiani) da lì. Dopo circa tre quarti d’ora di imbarazzante disagio, finalmente arriviamo all’ agognato bagno. L’amico ci invita ad entrare in casa. La casa è modestissima, col tetto in ferro zincato, nel soggiorno, dove veniamo fatti accomodare come ospiti di riguardo, troneggiano un Buddha e la tivù. Dopo averci presentato sua moglie, il nostro amico si precipita fuori a raccogliere cocchi e frutta per dissetarci. Noi gustiamo tutto avidamente, loro stanno in piedi e ci guardano, come si usa fare qui. Vogliamo sdebitarci per la semplice ma ospitale accoglienza e lasciamo delle schoolpens per le loro bambine che in quel momento sono a scuola.
Mica roba da poco avere due figlie femmine qui in India! Ben due doti da preparare perchè altrimenti non trovano nessuno che le sposi. Per forza il padre è ben felice di remare per ore sotto il sole per accompagnare i turisti…mi sento un po’ una negriera, ma poi penso che quello che noi paghiamo è un prezzo onesto e non stiamo sfruttando la miseria di nessuno.
Dopo un’altra oretta di meravigliosa navigazione approdiamo a B.B.Island. Ci ritroviamo con Farook e i nostri bagagli. La pace di questo posto è magica, tanto che ci chiediamo se tre notti da pasare qui non saranno troppe. La cena è ottima, e Deepan, il gestore di qui, è un ottimo cuoco e ci propone delle lezioni di cucina.
Andiamo a dormire alle 21 e facciamo il primo vero sonno ristoratore da quando siamo arrivati in India, interrotto solo dai fuochi d’artificio sull’isola di fronte, dove si sta svolgendo uno dei tanti “Temple Festival”. Durata: 5 giorni. Ci svegliamo alle 7, giusto in tempo per vedere un’alba mozzafiato, col sole che sorge dietro le palme dell’isola di fronte. Dopo il breakfast si fa il bagno. L’acqua, pur non essendo limpida, è pulita e tiepida. C’è una canoa a disposizione e Maurizio ne approfitta per pagaiare fino alla sponda opposta. Che pace! La pace però non dura molto perché in tarda mattinata arrivano i ragazzi norvegesi che abbiamo conosciuto a Cochin, e con loro c’è anche Monique. Siamo contenti di avere di nuovo compagnia, e poi i ragazzi sono simpatici. Giocano a tuffarsi dalle palme e a inseguirsi in canoa. Una bella differenza con i fiordi… Per loro e anche per noi Monique ha organizzato una bella sorpresa: una lezione di yoga. Per me e Maurizio, che lo pratichiamo anche a casa, è stato un invito a nozze.
Dopo la lezione, rilassati e affamati, si pranza con un thali, il tipico pasto di riso, varie salsine, yogurt e dolce di riso, tutto servito su una foglia di banano.
Dopo pranzo tutti e 20 i norvegesi con professore, moglie e bambini vengono caricati sulle canoe per ripercorrere al contrario la strada che abbiamo fatto noi all’andata. Così biondi e bianchi sulle canoe sembrano dei vikinghi!
Nel pomeriggio facciamo un giro nel paesino che dista 4 km.dal resort. Ci accompagna il solito tuc-tuc che ci lascia in quella che dovrebbe essere la piazza principale del paese dove troneggia un monumento comunista con tanto di falce e martello e bandiere rosse. Lo stato del Kerala è comunista da quando non ci sono più i maraja. Qui si nota subito che da parte delle istituzioni c’è molta più attenzione al sociale che negli altri stati dell’India. I bambini hanno tutti accesso gratuito alla scuola, che funziona tutti i giorni dalle 10 alle 16, e viene fornito anche il pranzo. Tutti i poveri hanno diritto al corrispondente di una razione di cibo quotidiana. Insomma, in Kerala nessuno muore di fame e, anche se i ritratti di Marx e Lenin che si vedono lungo le strade sembrano un po’ anacronistici oramai, questo comunismo dal volto indiano ci piace.
Il villaggio è piccolo, ma non manca niente. Troviamo un internet point per mandare notizie a casa, un fotografo per copiare su CD le foto e una farmacia ayurvedica dove acquistiamo un olio per i capelli e un collirio favolosi per poche rupie. Non trovo l’hennè, ma la giovane farmacista me lo procurerà domani.
Si torna al resort per cena. Cena buonissima a base di pesce. La sera l’animazione propone river-watching alla Siddharta e canti religiosi accompagnati dal volo di lucciole.
La mattina dopo si fa l’hennè. Prima però devo andarlo a prendere. Mi accompagna in scooter la mia parrucchiera, che si chiama Sindu. Puntualissima, la mia farmacista mi consegna l’hennè, non prima di avermi mostrato la sua casa, le foto di famiglia e quelle in cui lei danza con il costume tradizionale.
Tornate al BBI, mi preparo per l’hennè. Mi metto un costume da bagno per non sporcarmi quando gocciola e mi siedo su una sedia di plastica. Sindu, dopo un massaggio di qualche minuto alla testa, comincia a spalmarmi sui capelli ciocca per ciocca la crema alle erbe mescolata a cubetti di ghiaccio. Che libidine, col caldo che fa! Dopo una mezz’ora ha finito e la mia testa sembra un budino al cioccolato. Due-tre ore di posa e dopo si può sciacquare. Nel fiume, naturalmente! Il risultato è fantastico: capelli morbidissimi, lucidi, color castano.
Due parole sull’argomento igiene in India. Il luogo comune che l’India è sporca è vero. E’ sporca perché nessuno ha spiegato agli indiani che non si deve buttare la spazzatura per la strada, bruciare le bottiglie di plastica in falo’ ai lati delle strade, nessuno ha messo dei raccoglitori per la spazzatura lungo le strade, di raccolta differenziata neanche a parlarne. Ci è capitato di camminare per ore con una buccia di banana in mano che non trovavamo dove gettare. Non esiste, almeno per quello che abbiamo potuto vedere noi, una coscienza ambientale. Spero che pian piano, con il miglioramento della condizione economica e culturale in atto, le cose cambino e le istituzioni e i cittadini diventino più attenti a un tema così importante per loro e anche per il turismo, che è una grande risorsa di questo Paese meraviglioso. L’igiene personale è invece un altro discorso. Gli indiani ci tendono molto e si curano molto. Sulla guida acquistata prima di partire avevo letto con preoccupazione che nei bagni indiani non c’è carta igienica. In molti casi è vero. Però la guida non diceva che, comunque, anche nel bagno più modesto c’è sempre un secchio, una brocca di plastica e un rubinetto, se non addirittura la comodissima doccetta per sciacquarsi le parti intime, e il sapone. Meglio di così…La carta igienica diventa uno spreco inutile, a questo punto.
Le donne sono sempre impeccabili, con i capelli lucidi di olio e intrecciati con fiori profumatissimi.Camminano come regine anche fra mucchi di spazzatura e terra, tutte ingioiellate dal naso alle dita dei piedi, avvolte nei loro preziosi sari di seta.
Questa sera siamo soli a cena. Ci tiene compagnia la figlia maggiore del cuoco, che ha 7 anni. Abbiamo fatto amicizia oggi pomeriggio. Sulle prime faceva la timida, ma con un paio di schoolpen l’ho conquistata. Adesso non ci molla più, cerca in tutti i modi di comunicare con noi con carta e penna scrivendo il suo nome o facendo i numeri piegando una cannuccia. All’isola di fronte continuano i canti e la musica del temple festival. A un tratto la bimba si alza dalla sedia e comincia a danzare una danza indiana complicatissima. Rimaniamo incantati a guardare come si muove con grazia e senso del ritmo. Le donne indiane hanno qualcosa di speciale, fatto di eleganza e mistero. Le ammiro, ma preferisco essere una donna occidentale libera e indipendente. Le donne in India non sono libere. C’è sempre qualcuno da cui dipendono: il padre prima, il marito poi e se invece per disgrazia manca loro una figura maschile, sono abbandonate dalla società.
Si va a nanna presto. Domani, 18 febbraio, si riparte alla volta della Silent Valley.
Il nostro nuovo autista è un ragazzo simpatico,si chiama Sony, ha 23 anni e vuole imparare l’italiano, quindi sembra contento di stare in nostra compagnia. Usciamo dall’oasi di pace di B.B.Island per ritrovarci nel solito caos delle strade indiane. Viaggio lungo e impegnativo, fa caldo, si beve e l’acqua non disseta, si ribeve e si deve cercare un bagno…dopo sei-sette ore ci incontriamo finalmente con Farook che ci aspetta con l’altra auto insieme ad una famiglia di francesi: mamma, papà e figlia indiana di 15 anni. L’ultimo tratto che percorriamo è molto panoramico: si sale per chilometri fra le montagne dei Western Ghats per una strada fiancheggiata da enormi alberi che sembrano imbrigliare con le loro radici i fianchi della montagna trattenendo macigni enormi. Se non ci fossero questi alberi, franerebbe tutto. Per fortuna questa è una zona protetta e non si può toccare niente. Arriviamo in un paesino e noleggiamo le jeep che ci portano su per una strada semiasfaltata guadando ruscelli e pozzanghere. Fa caldo e siamo stanchi. Non vediamo l’ora di toglierci di dosso polvere e stanchezza con una bella doccia. Dopo una mezz’oretta di shake siamo arrivati. Scendiamo per una scaletta fatta di pietre e quando arriviamo giù ci sembra di essere ritornati indietro nel tempo a due secoli fa. Ci sono delle capanne di vimini e legno col tetto fatto di erba intrecciata e una piccola costruzione di fango e paglia con una tettoia che funge da cucina con all’aperto un grande tavolo per mangiare. Per cucinare si usa la legna, non c’è corrente elettrica. Per qualche attimo ci guardiamo, perplessi. La nostra capanna è molto zen: un letto, un bastone per appoggiare i vestiti, un bagno con un minuscolo lavandino, water, doccia, rubinetto e l’immancabile secchio. Come essere in tenda, solo che non siamo in un camping ma nella jungla.
Il nostro cuoco, che ha l’aspetto di un tigrotto della Malesia, ci prepara uno spuntino a base di verdura e pappadam. Tutto buonissimo, sembra di mangiare natura. Trovo qui un libro dal quale prendo qualche informazione sulla Silent Valley. Si tratta di un territorio rettangolare di circa 9000 ettari vecchio di 9000 anni chiuso completamente ad est dalle montagne dei Western Ghats e aperto a sud e ad ovest da due soli valichi fra le montagne. Questo isolamento ha permesso qui lo sviluppo di una fauna e una flora particolari, che non ci sono nel resto dell’India. In particolare abbondano le piante officinali: circa 25.000 delle 45.000 specie catalogate al mondo. Il clima è temperato e le temperature non superano mai i 30° nella stagione calda e non si abbassano sotto gli 8° in quella fredda. La vegetazione è composta prevalentemente da foresta tropicale pluviale. Negli anni ’60-’70 il governo aveva deciso di far costruire qui una diga per produrre energia elettrica. Ambientalisti, scienziati, naturalisti si sono mobilitati perché ciò non accadesse perché si sarebbe sconvolto l’equilibrio naturale di questo posto. Sono state apportate varie modifiche al progetto, finchè alla fine lo si è abbandonato del tutto. Adesso la Silent Valley (si chiama così perché non ci sono le cicale) è un parco protetto a disposizione di ricercatori, naturalisti, antropologi, turisti ecologici con la sua enorme ricchezza di biodiversità.
La sera si cena a base di chapati e natura. Facciamo conoscenza con il proprietario del lodge che si chiama Dominique, è nato a Cochin, vive con una ragazza francese e parla come Toro Seduto. Prima che cali la sera Baby, un signore indiano che dimostra una cinquantina d’anni ma in realtà ne ha 65, accende le lampade a petrolio per la notte e il fuoco per scaldarci, dal momento che la sera fa fresco. Dormiamo quasi bene nel nostro letto a 1 piazza e ½ di fibra di cocco intrecciata (ma perché i materassi in India sono alti 5 cm.?), e all’alba ci godiamo il panorama del risveglio della jungla con uccelli. Si fa una bella colazione e, con i francesi e Baby si parte per un’escursione. Questa di oggi non sarà molto impegnativa: quattro ore circa. Camminiamo nella radura mentre Baby ci indica le diverse piante e ci spiega le loro virtù curative. Arriviamo ad una capanna dove delle donne tribali si stanno dedicando al loro lavoro: sbucciare fagiolini. Una vita un po’ monotona…
Scendiamo giù lungo la valle di un torrente e Baby ci indica qual è l’albero del teak che a toccarlo sembra di pietra, l’albero del mango selvatico (purtroppo non è ancora stagione) e un altro albero dai frutti velenosissimi. Finalmente arriviamo al torrente che forma delle cascatelle che nella stagione umida diventano molto grandi, ma adesso sono perfette per rinfrescarsi i piedi e rilassarsi godendosi il fresco mentre si sgranocchia qualcosa da mangiare. Avremmo voluto vedere qualche animale selvatico, qui ci sono elefanti, cervi, serpenti e cinghiali, ma forse siamo stati un po’ maldestri e ci siamo fatti sentire, così gli animali si tengono alla larga. Noi ci accontentiamo di sapere che stiamo godendo del loro stesso splendido habitat. Dopo la sosta, pian piano cominciamo a risalire attraversando terre coltivate a betel, banani, cardamomo, pepe, caffè (dai fiori profumatissimi), alberi della gomma. Con Baby che ci fa da guida ci sembra di fare una lezione di botanica dal vivo. E’ molto carino con Hansa, la figlia della coppia francese, con pazienza cerca di farsi capire da lei che potrebbe essere una nipotina che vive in un paese tanto lontano e diverso da quello dove era nata.
Siamo di ritorno per le 13,20, time for lunch. Dopo una fantastica doccia, ci sediamo a tavola dove ci aspetta una serie di coloratissime pietanze: fagiolini, carote rosse, carote, curry di pomodori, un piccantissimo curry giallo e naturalmente una montagna di riso profumato. Il pomeriggio trascorre velocemente fra chiacchiere, the, fotografie. Domani i francesi si sposteranno per una notte in un hotel di lusso, un regalo dei genitori per Hansa la quale sarà pure nata in India, ma è cresciuta in Francia e ha 15 anni e desidera tanto tanto un letto comodo e qualche comfort in più. Buon per noi, che così possiamo trasferirci nella loro capanna, meno panoramica della nostra ma molto più comoda con un letto enorme. La sera si fa un barbecue. Pollo alla salsa di aglio che il volenteroso Stéfan si presta a preparare impuzzolendosi per sempre le mani di aglio. Il pollo di qui è favoloso, carne compatta e saporita, non sembra neanche carne di pollo…Dopo cena ci raggiungono Dominique e Sabine, che sono di ritorno da una giornata trascorsa in una città del Tamil Nadu, dove sono andati a vedere un temple festival: una specie di trance collettiva fra tamburi, luci, fiori e canti. Mi piacerebbe vederne uno dal vivo. Stasera il cinema programma “Moonlight in the Silent Valley” con colonna sonora di uccelli notturni e tamburi tribali. Indiana Jones morirebbe d’invidia.
La mattina dopo (che giorno sarà? Boh!) dopo colazione i francesi partono, noi traslochiamo nella loro hut e poi andiamo a fare un’altra passeggiata con Baby e Sony. Dopo aver recuperato dall’albero una papaia e due pompelmi rosa di tre chili ciascuno gentilmente offerti dal contadino che è anche colui che ha costruito le nostre capanne, proseguiamo per un sentierino lungo il quale Baby individua delle impronte di cinghiale selvatico anche abbastanza fresche. Il terreno però è molto scivoloso e non ci teniamo particolarmente ad incontrare i cinghiali, così lasciamo perdere e scendiamo per un sentiero più praticabile dopo aver fatto merenda con la frutta. Lungo il cammino ci imbattiamo nelle capanne di abitanti del posto che fanno vita tribale. C’è pepe spianato a seccare al sole, polli e caprette che razzolano dentro e fuori dalle capanne, donne e bambini che tranquillamente accettano i nostri sguardi incuriositi. Scendiamo poi verso il fiume. C’è gente sulle rive: bambini che giocano, uomini che si riposano, donne che fanno il bucato. La vegetazione è splendida. I bambù sono altissimi e fra le loro foglie riusciamo a vedere un Kingfisher, una specie di martin pescatore color turchese.
Coi piedi a mollo nell’acqua noto con piacere che questa vacanza sta facendo molto bene alla circolazione delle mie gambe. Quella brutta ragnatela di venuzze che mi vedevo sulle caviglie ora non c’è più. Una vacanza come questa ti rigenera nel corpo e nello spirito…
A questo punto si potrebbe proseguire su per la montagna con le foreste di bambù, ma preferiamo prendere la strada del ritorno e risparmiarci le altre 4 ore sotto al sole. Lungo il sentiero che imbocchiamo c’è un posto dove ci fermiamo per un the accompagnato da banane secche e dove ci fanno accomodare su due sedie, fronte mucca, vitello, gallina e pulcini. Dopo una salita mozzafiato (che naturalmente Baby affronta stoicamente con sportività anche con un forte mal di testa), raggiungiamo il lodge, dove troviamo ad aspettarci Dominique, Sabine, un bel piatto di riso biryani con raita e la nostra favolosa suite con megaletto del quale approfittiamo per un bel pisolino. Dopo un the con gli amici che stanno per partire per andare a vedere un altro temple festival, a Maurizio viene un forte mal di testa, peggiorato dalla consapevolezza che tutte le nostre medicine sono rimaste a Cochin nella valigia affidata a Monique per non doverci portare troppo bagaglio in viaggio. Mentre Maurizio se ne sta mogio mogio davanti al fuoco vedo che Baby fa un intruglio col mortaio. Dopo un po’ mi porta una medicina ayurvedica preparata da lui per il mal di testa di Maurizio: 2 cucchiai di pepe nero macinato con 2 cucchiai di zenzero, il tutto bollito con un poco di the nero per cinque minuti, lasciato sbollentare, filtrato e alla fine addolcito con un cucchiaio di miele. Lo fa bere anche a me, è una bomba piccantissima e mi sento lo stomaco esplodere. Dice Sony che qui le mamme lo fanno bere ai bambini perché rinforza l’organismo…bah! Forse i bambini indiani se la bevono, ma con Maurizio non c’è niente da fare. Lo convinco però a trangugiarne mezzo bicchiere. Dopodiché Baby cede alle nostre preghiere e va in “paese” con Sony a cercare il paracetamolo. Il “paese” sono le 4 case da cui siamo passati stamattina, distano un quarto d’ora buono ed è notte. Al ritorno di Baby, miracolosamente Maurizio si sente meglio. La pastiglia la prende comunque, ma si vede che sta già molto meglio. Vuole perfino mangiare e fumare…insomma, a quanto pare la medicina ayurvedica ha funzionato!
Stasera c’è la luna piena e Baby e Sony vanno a vedere un temple festival tribale. Noi non ce la sentiamo di andare a zonzo per la foresta di notte, e poi Maurizio si è ripreso da poco. Così rimaniamo soli soletti a trascorrere una serata romantica al chiaro di luna in mezzo alla foresta coi tamburi lontani…
La mattina si riparte di buon’ora con la jeep Mahindra. Salutiamo Baby e il cuoco tigrotto e partiamo per una nuova avventura. Ripercorriamo la strada fatta per arrivare, poi riprendiamo la macchina e risaliamo per il Tamil Nadu lungo una strada poco trafficata in mezzo a foreste di bambù, dove vediamo alcune famigliole di scimmie in mezzo alla carreggiata imperturbabili al nostro passaggio. Entriamo in Tamil Nadu e da qui cominciano le colline coltivate a the. Man mano che procediamo le colline sono sempre più ricoperte di cuscini di un verde luccicante delle piante di the, intervallate ad alberi di jacaranda fioriti sui quali si arrampicano le piante di pepe. La luce limpida della montagna aggiunge intensità ai colori, insomma…non per niente il Kerala viene chiamato “God’s own Country”. Percorriamo chilometri, incantati, in questa festa per gli occhi. Ci fermiamo a mangiare in un posto vegetariano senza troppe pretese ma pulito, dove ci servono un thali davvero ottimo e paghiamo 118 rupie in 3 (circa 2 euro)! Proseguiamo per qualche chilometro fra le piantagioni di the, poi scendiamo un po’ e il paesaggio cambia improvvisamente. Siamo su un altipiano asciutto, con alberi di eucalipto, bambù e ampie radure. Ci troviamo a Mutanga, vicino al “Wildlife Sanctuary of Wayanad”. Siamo venuti qua per vedere gli animali in libertà nel parco protetto.
Una stradina polverosa ci conduce al nostro prossimo resort. Sarà che i chilometri percorsi cominciano a farsi sentire, sarà che ho proprio bisogno di una doccia fresca e della corrente elettrica, ma quando ci viene indicata la nostra nuova capanna mi viene lo sconforto. E’ una tipica capanna di quelle che si vedono qui, col tetto di paglia e i muri di fango e bambù, anche il pavimento è di fango, e la porta di bambù, due letti singoli che sembrano comodi e un bagno rivestito di fogli di pvc così essenziale che non c’è la doccia ne il lavandino. Uscendo dalla doccia (da farsi rigorosamente col secchio) il pavimento…si scioglie sotto i piedi che, in men che non si dica, sono già più impolverati di prima. Qui derogheremo alla regola indiana che vuole le scarpe sempre fuori di casa. I nostri scendiletto sono dei fogli di gommapiuma ondulata sottile che scivolano da tutte le parti. Insomma, passi per questa notte, ma domani voglio essere già sulla strada di ritorno a Cochin.
Qui ci ritroviamo con i francesi, reduci dalla loro giornata a 5 stelle…dalle stelle alle stalle! Dopo un breve summit con i nostri Sony e Farook, decidiamo di trascorrere qui tutta la mattinata di domani e ripartire nel pomeriggio per Calicut, dove faremo una sosta solo per dormire. Quando il sole sta per tramontare andiamo con la jeep in un posto dove si possono avvistare i pavoni. La passeggiata è bella, ma non siamo fortunati e dei pavoni sentiamo solo il verso. Torniamo al nostro homestay dove, dopo una lunga attesa che ci fa sospettare che la nostra cena non sia stata cucinata sul posto, ci viene servito un ottimo pollo, chapati e crema di piselli. Dopo cena vogliamo darci una botta di vita coi francesi, e decidiamo di andare a curiosare al Temple Festival che si tiene nella foresta qui vicino. Quando arriviamo è ancora presto, sono le 9 e ½ , ma c’è già un sacco di gente. Le bancarelle che vendono bigiotteria di plastica ci fanno pensare a una delle nostre feste di paese. Sotto il palco, però, al ritmo incessante dei tamburi, si sta svolgendo uno strano rito tribale. Gruppi di uomini danzano e suonano, sembrano in preda a una sorta di trance. Le donne e i bambini invece stanno tutti seduti per terra (le donne non possono ballare in queste occasioni!) Presto ci rendiamo conto che c’è poco di mistico in questa trance collettiva che è provocata più dall’alcool che dalla fede. Quando le esalazioni sono ormai mefitiche, la tensione sale, a un tratto mi sembra di trovarmi in mezzo alla festa di un campo rom. Sono quasi tutti sporchi e brutti a vedersi, trasfigurati come sono dall’alcool. Ci sentiamo improvvisamente a disagio e insieme a Isabelle e Hansa chiediamo di essere riaccompagnati a “casa”. Torniamo alle jeep, ma rimaniamo imbottigliati nella fila infinita di camion che sono fermi al check-point perché qui siamo al confine con il Karnataka. Alla fine guadagniamo l’agognato letto, ma quei sinistri tamburi ci accompagnano per tutta la notte. Al debole chiarore della luna si vedono figure camminare sul sentiero davanti alla nostra capanna…
Alle 5,30 ci alziamo (vestiti come ci eravamo coricati) per andare a vedere gli animali nel parco.
Prendiamo le jeep e, dopo le solite formalità burocratiche, entriamo nel parco e, fatti pochi metri, intravediamo attraverso la nebbiolina le figure di alcuni cervi, poi un elefante. Ci fermiamo in un posto dove la vegetazione è più rada e, improvvisamente, sullo sfondo degli alberi avvolti nella bruma, un pavone azzurro spicca il volo sotto i nostri occhi incantati. Un momento veramente magico che ricorderemo per sempre. Riprendendo la jeep, avvistiamo un branco di bufali che pascolano tranquillamente, poi un altro pavone, scimmie e, passeggiando a piedi, altri cervi ed un elefante. Qui i tribali si costruiscono le casette sull’albero e ci vanno a dormire non per divertimento, ma perché gli elefanti lì non arrivano.
Torniamo all’homestay e, dopo una bella colazione, riprendiamo la macchina per andare a vedere delle grotte famose che si dice fossero abitate nel paleolitico. La strada è verde e piacevole. Saliamo per un po’ nel solito bel panorama, poi lasciamo le auto in un parcheggio e proseguiamo a piedi. Meno male che siamo a 1200 mt. Di altitudine e non fa tanto caldo, perché la salita è impegnativa. Poi c’è l’arrampicata sugli scalini lisci scavati nella roccia e infine le scolaresche dei bambini in gita con le maestre. Arriviamo finalmente alla grotta che è formata da enormi massi altissimi che la proteggono da tutti i lati dall’esterno. Su due pareti sono incisi disegni di animali, uomini, bambini. Qui venivano a rifugiarsi dagli animali feroci gli antichi abitanti della montagna. Affascinante. E poi la veduta sulla valle è qualche cosa di indescrivibile.
Si torna all’homestay e per pranzo abbiamo un prelibatezza: carne bovina. Solo che secondo me ai bravi indù dispiaceva troppo uccidere un animale giovane e tenero e ci hanno rifilato una cosa che sembrava mammuth e che ho ceduto volentieri a Maurizio. Abbiamo sbagliato noi a chiedere carne bovina in India!
Dopo mezz’ora di pisolo si parte alla volta di Calicut dove dormiremo per spezzare il viaggio lungo e impegnativo. L’albergo che troviamo con affaccio sulla discarica dove si brucia plastica è uno dei migliori ma non è molto accogliente. Anche qui proviamo a dormire, ma con scarsi risultati. Comincio a bramare una notte di sonno normale. La mattina, via di corsa dopo colazione. Lungo la strada ci dividiamo dai francesi che adesso andranno a B.B. Island, mentre noi proseguiamo per Cochin. Solo una breve sosta per un thali in un posto veramente indiano e, sfiniti per il caldo e la stanchezza, arriviamo a casa di Monique dove ci attende una bella stanzetta con bagno compreso lavandino, nonché soffitto e pavimento veri. Dopo esserci sistemati ed aver fatto un breve resoconto del viaggio a Monique, usciamo per andare dal sarto a ritirare le camicie. Le camicie non sono ancora pronte, ma la passeggiata non è improduttiva. Nei pressi di Pattalam Market vediamo un centro massaggi ayurvedico dove prenotiamo un massaggio per domani. Questa zona è molto carina, piena di alberi e tranquilla, con ville dai giardini meravigliosi. Entriamo a curiosare nel giardino della residenza del vescovo che, tanto per cambiare, è una splendida villa coloniale con giardino curatissimo. La sera ceniamo con Monique, sua figlia Jasmine e le due nipotine al al Fort Queen. Ottimo come al solito, ma l’aria condizionata è glaciale. La solita fissazione dei paesi poveri dove si crede che l’eleganza e il prestigio di un locale si misurino dai gradi sotto zero dell’aria condizionata…Comunque la cena era davvero ottima. Quando torniamo a casa io sono veramente fuori combattimento e, armata di repellente per le zanzare, tappi per le orecchie e mascherina mi predispongo alla quotidiana crociata del letto, più che decisa a vincere. Fortunatamente la stanchezza ha la meglio sulla durezza del letto e mi faccio 7 ore filate. Mi sveglio, come sempre, alle 5 , esco in terrazza col silképil per ingannare il tempo, ma le zanzare non danno tregua. Con calma si alzano anche tutti gli altri, faccio un po’ di bucato, mangiamo e alle 10 passa a prenderci un rikshaw per accompagnarci a fare shopping. La mattinata trascorre in fretta fra negozietti di tessuti, spezie, prodotti ayurvedici e souvenir. Pranziamo con Monique e famiglia alla Ginger House, un originalissimo grande negozio di antiquariato e artigianato indiano con annesso un ottimo ristorante. Un po’ caro ma ottimo. Torniamo a casa a riposare ma ci attende un’amara sorpresa: è andata via la corrente, come spesso accade da queste parti, e i ventilatori non funzionano. La canicola incombe, in camera non si respira, in terrazza c’è troppo rumore per riposare, ma improvvisamente accade il miracolo e ritorna la luce. Si dorme!
Oggi è il 24 febbraio, sono passati 10 giorni dalla sera di S. Valentino e Maurizio ed io abbiamo deciso di dedicarci un’altra serata tutta per noi. Cominciamo con un massaggio. Arriviamo al centro massaggi con un po’ di anticipo, ma ci fanno accomodare subito lo stesso. Dopo avermi fatto spogliare completamente, la massaggiatice mi fa sedere e comincia con il massaggio alla testa. Un quarto d’ora. Poi mi fa stendere sul lettino e mi massaggia il viso per altri 15 minuti. Poi il resto del corpo per un’ora dalla punta dei piedi al collo. Dulcis in fundo…bagno di vapore con alle erbe profumate. Esco dalla stanza del massaggio come sotto l’effetto di una droga, poco dopo esce anche Maurizio sulla sua nuvoletta. Scriviamo una frase sul libro degli ospiti (gli indiani ci tengono molto) e usciamo con un sorriso felice stampato sulla faccia. Anche la cena da Dal Rotì è stata ottima, bella serata.
La mattina dopo usciamo di buon’ora (inutilmente perché qui la vita comincia alle 10) per sbrigare un po’ di commissioni e poi ci facciamo accompagnare a Jews Town, dove visitiamo la Sinagoga che è una delle più antiche di tutta l’India. Le maioliche cinesi del pavimento sono molto belle, ma sembra un negozio di lampadari, e anche il tanto decantato lampadario di Murano con lo stile dei lampadari di Murano ha poco a che fare. Usciti di là, diventiamo facile preda dei commercianti del posto che, sulla soglia delle loro botteghe, fanno a gara ad accalappiare i turisti. Compro qualche ricordino, ma non spendo grosse cifre perché i regali li abbiamo già comprati. C’è un negozietto che vende vecchi sari dove vedo delle sete meravigliose, a saper cucire…mi trattengo, se Maurizio mi vede arrivare anche con i sari mi fulmina, perché dice che sto riempiendo troppo il bagaglio. Mi ritrovo con lui al negozio dei kashmiri che devono consegnarci un piatto di marmo dipinto al quale hanno fatto fare un telaio di fil di ferro per appenderlo alla parete. Non resisto alla tentazione dei foulard di seta (non pesano nulla…) e alla fine Maurizio mi trascina via con la scusa che sta morendo di fame. Lo porto in un ristorantino che avevo notato prima e mi era sembrato carino. Si chiama Caza Maria, è al primo piano di un’antica casa portoghese. Le pareti sono azzurre e dipinte con semplici affreschi, ci sono ritratti antichi, l’arredamento è tutto d’epoca con qualcosa di decadente…una vaga aria familiare che mi ricorda certi posticini al Pelourinho, Bahia. Mangiamo bene e con appetito. Al ritorno casa troviamo il solito black-out. Fa troppo caldo per riposare, così cominciamo ad organizzarci i bagagli. Oggi pomeriggio torniamo a B.B.I., da dove domattina 26 febbraio prenderemo il volo per Agatti, Laccadive. Ormai il traffico indiano non ci sconvolge più, ma quando arriviamo al resort siamo felici di lasciarci avvolgere dalla quiete di questo posto. E’ già sera, i nostri amici francesi stanno facendo il bagno, le canoe scivolano sull’acqua senza fare rumore…ceniamo presto e andiamo a dormire ancora più presto. Non vogliamo perderci l’alba di domani per niente al mondo.
Infatti alle 5 siamo in piedi, io faccio i miei soliti esercizi yoga, Maurizio fa il bagno nell’acqua calda del fiume. L’aria è calda e tranquilla. Dopo colazione ci salutiamo definitivamente con Isabelle, Stefan e Hansa che stanno partendo. Sono stati una compagnia molto piacevole, in particolare Isabelle si è dimostrata preziosa per la sua farmacia da viaggio e la sua calma serafica.
Alle 10, tutti pimpanti e in ciabattine di gomma, siamo sul taxi per l’aeroporto per prendere il volo per le Laccadive. Il bimotore ad elica della Kingfisher Airlines è nuovo e ben tenuto. Hostess carine, pranzo impeccabile…possibile che neanche in India esista una compagnia aerea peggiore della nostra Alitalia? Arriviamo puntualissimi dopo avere visto dall’alto con un tuffo al cuore gli atolli fluorescenti che emergono dal mare. L’aeroporto di Agatti è tutto in fase di allestimento, praticamente ha solo la pista e due piccole costruzioni. Sbarchiamo dall’aereo e veniamo accompagnati in una stanza dove alcuni poliziotti e gli incaricati dei resorts trafficano con carte e passaporti per una mezzora buona. La solita burocrazia indiana, dobbiamo armarci di pazienza. Alla fine vengono separati quelli che vanno a Bangaram e noi invece usciamo a piedi perché il nostro resort è proprio…all’uscita dell’aeroporto. Da questo momento in poi si camminerà sempre sulla sabbia corallina bianchissima. La stanza è grande, ma l’arredo lascia un po’ a desiderare. Peccato, con un po’ più di buon gusto e pochissima spesa si potrebbe rendere questo resort molto più grazioso. Comunque abbiamo tetto, pavimento, corrente elettrica, acqua e tutto, siamo in India su un atollo corallino a 20 mt.da un mare splendido ed è meglio che non facciamo troppo i difficili.
Dopo un bagnetto in mare e una bella doccia ci sistemiamo e andiamo a cenare. C’è vento e forse non si è pescato, così il buffet non è molto ricco. Qui il piatto forte è il pesce, ma stasera non ce n’è.
Si va a dormire presto e si dorme al fresco, ci alziamo alle 6 e dopo un poco miracolosamente il vento cala completamente. Dopo colazione corriamo a prenotare una gita in barca a Bangaram, un atollo vicino che dicono essere splendido. Noleggiamo per fortuna maschera e pinne e così io e Maurizio, una coppietta indiana in honeymoon e i due marinai partiamo su una barchetta a motore. Ci siamo appena staccati dal molo che cominciamo a veder schizzare da tutte le parti delle tartarughe enormi, che ogni tanto mettono la testa fuori dall’acqua per respirare. Usciamo dall’atollo di Agatti e navighiamo a vista per quello di Bangaram. A un certo punto s’iniziano a vedere nel mare trasparente degli sprazzi di turchese fluorescente che man mano si fanno di un colore sempre più intenso. Ci guardiamo allibiti. Mai visto un mare di un colore più bello. Entriamo nell’atollo di Bangaram che siamo già euforici. Depositiamo la coppietta sull’esclusiva spiaggia (onore al merito, è proprio bella) e ci facciamo portare al centro della laguna dove ci sono grandi formazioni di corallo. Ci tuffiamo con pinne e maschera e…un acquario di apre di fronte ai nostri occhi strabuzzati. Fra coralli di tutti i colori e forme si aggirano pesci dai colori incredibili, alcuni piccolissimi e fluorescenti, altri enormi di tutti i colori. E poi conchiglie da cinque chili, coralli coi fiorellini color lavanda, a forma di cervello, di pouf…non ci sono parole per descrivere questo spettacolo straordinario. Non so quanto tempo siamo rimasti a mollo in quell’acqua tiepida, ma non vorrei mai uscire.
Dopo il meraviglioso snorkeling, ci portano sulla spiaggia dove facciamo per un po’ i turisti di lusso seduti ai tavolini del resort. Un ananas juice a un prezzo stratosferico (cioè come in Italia) ce lo possiamo anche permettere. Poi ci sistemiamo sotto un ombrellone appartato alla fine della spiaggia e il nostro equipaggio ci serve il pranzo: pesce, riso, insalata, frutta. Siamo affamati ed è tutto buonissimo. Si rimane in spiaggia per una pennichella fino alle tre, poi si riparte. Ci vuole un’ora e mezza per tornare ad Agatti. La navigazione è tranquilla e ci godiamo lo spettacolo dei mille colori di questo mare. Il nostro capitano cala la lenza, visto che all’andata era riuscito a pescare un bel pesce tipo tonno. Maurizio si offre di aiutarlo e, dopo qualche minuto, sente abboccare un pesce. Agitazione, molla la lenza, piglia la macchina fotografica e dal mare esce un altro pescione come quello dell’andata. Maurizio è proprio euforico, si è anche tagliato per trattenere la lenza…
Arrivati ad Agatti, sfruttiamo fino all’ultimo il noleggio dell’equipaggiamento da snorkeling facendo un giretto fra i coralli di fronte alla nostra spiaggia. Abbiamo un tenerissimo incontro con una tartaruga gigante che sta brucando tranquillamente le alghette e si lascia accarezzare. Ha la pelle coriacea e la sua testa è grande quanto la mia mano. Torniamo alla nostra casetta mentre il sole sta calando, ci facciamo una doccia veloce e poi…via a vedere il tramonto! Non vogliamo perderci neanche un minuto di questa giornata veramente speciale che ricorderemo per tutta la vita. Sarà perché ci viene servito il pescato di oggi, stasera la cena è migliore di ieri. Alle 9 siamo già cotti (e scottati) e la stanchezza ci fa piombare in un sonno profondo.
Tanto poi alle 5 siamo già in piedi, non posso mancare all’appuntamento dello yoga all’alba sulla spiaggia deserta e bianchissima. Dopo colazione decidiamo per un’attività risparmiosa, visto che ieri, fra gita e noleggio attrezzatura, siamo andati fuori budget, anche se ne è valsa la pena. Noleggiamo due scassatissime biciclette Ladybird da donna e facciamo una pedalata fino al paese, che dista circa 4 km. (indiani). Io mi sono coperta pudicamente per l’occasione. Lungo la strada vediamo solo una serie di capre e galline finchè non arriviamo nei pressi del paese, fatto di misere capanne di cocco. Ovunque cocchi, cocchi e ancora cocchi in un’atmosfera piuttosto trasandata Quello che ci riempie di allegria però sono i sorrisi e i saluti delle decine e decine di bambini che a quest’ora stanno andando a scuola. In pochi minuti faccio fuori le ultime schoolpen che mi erano rimaste. Maurizio chiede indicazioni a un tizio perché abbiamo bisogno di un punto internet, e siamo fortunati. Il tipo dice di essere un maestro, insegna nella scuola elementare del paese e ci può far collegare dalla postazione internet della scuola. Lasciamo le bici ed entriamo nella scuola. Veniamo subito circondati dai bambini, curiosi di sapere come ci chiamiamo, da dove veniamo, e di presentarsi a loro volta, così come fanno anche tutti gli indiani adulti. Mi collego giusto il tempo di mandare una e-mail a mio figlio, poi lascio la mia postazione perché vedo una bambina che mi guarda curiosa. La seguo e faccio un giro per le classi, che adesso sono vuote perché i bambini sono tutti fuori per il discorso del direttore e la preghiera (qui sono tutti musulmani). Sono buie, con file di banchi di legno vecchissimi con sopra quaderni e zainetti logori, lavagne di legno così consumate che non si vede neanche più il tratto del gesso. Altro che le aule comode e luminose e, tutto sommato, pulite che hanno i nostri coccolatissimi bambini italiani! Ma è pur sempre una scuola, ed è accessibile a tutti i bambini. E’ con questi mezzi modesti che in India si sta educando e formando una generazione intelligente, volenterosa, preparata ed ambiziosa cha darà del filo da torcere ai nostri ragazzi in futuro, se anche loro non capiranno per tempo che bisogna impegnarsi, altrimenti il successo sarà di qualcun altro.
La preghiera in cortile finisce proprio nel momento in cui io e Maurizio stiamo uscendo dalla sala internet, dopo aver pagato e lasciato la solita firma sul solito libro degli ospiti. Appena i bambini ci vedono ci ripiombano addosso e in men che non si dica siamo circondati. Ne approfittiamo per farci delle foto e un filmino con loro. Sono proprio carini e tanti! Con qualche difficoltà salutiamo e ci allontaniamo, altrimenti qui oggi non si fa lezione. Usciamo, riprendiamo le nostre bici (nostre?!? sono tutte uguali…) e ci incamminiamo sulla strada del ritorno. Fa caldo, ci brucia la schiena per il sole di ieri e le bici sono pesantissime. Insomma, una faticaccia. Per fortuna ci aspetta la nostra suite, che improvvisamente ci sembra lussuosissima, e la nostra solitary beach. Spaparanzati sotto l’ombrellone, scattiamo le ultime foto, io faccio una nuotata memorabile nel turchese fluorescente del mare, fra pesci e tartarughe. SOLA. Un vero paradiso.
Dopo pranzo e pisolo, l’unica attività che abbiamo voglia di concederci è un poco impegnativo giretto in kayak, e poi sole, stravacco e tramonto.
Anche stasera pesce fresco per cena. L’ultima serata ad Agatti. Incontriamo una coppia di italiani e chiacchieriamo un po’ con loro, ma devo dire che parlare italiano non mi dà quella sensazione piacevole che immaginavo. Anzi, mi sembra di interrompere un’atmosfera magica tornando ad argomenti italiani: tasse, politica, futuro incerto…che angoscia!
Il 29 febbraio alle 11,05 c’è il nostro volo per Cochin. Dopo averci consegnato un biglietto compilato a mano e averci fatto aspettare per un sacco di tempo e i meticolosissimi controlli di sicurezza, veniamo accompagnati all’aereo…un bimotore Indian Airlines 20 posti che si ricorda dei tempi andati. Dalla cabina si vede l’abitacolo del pilota coi giornali appiccicati al vetro per ripararsi dal sole. Gli altri passeggeri hanno l’aria tranquilla, abbiamo a bordo anche il Governatore delle Laccadive così, deglutendo, ci rassegniamo al nostro destino e ci allacciamo la cintura di sicurezza.
Il volo a bassa quota sugli atolli corallini ci distrae da ogni pensiero e in men che non si dica stiamo sorvolando le backwaters che ammiriamo in tutta la loro pacifica bellezza. All’aeroporto troviamo Farook ad aspettarci. Rieccoci nel traffico apparentemente caotico di Cochin. Siamo ormai affezionati a questa città e ritorniamo volentieri a casa di Monique.
Dopo il pisolo usciamo per andare a farci l’ultimo (sigh!) massaggio nel nostro centro ayurvedico preferito. Ne usciamo come nuovi, a me è anche passato un fastidioso mal di testa recidivo anche al Moment. Ancora un po’ di shopping e un po’ di brontolii di Maurizio, facciamo un salto a Jews Town ma la troviamo semideserta perché i negozi chiudono alle sei e decidiamo di non cenare lì alla Caza Maria, ma di farci portare al Fort Queen perché è più vicino a casa di Monique. La cena è al solito strepitosa, ci fanno compilare un questionario sul nostro gradimento e gli riconosciamo il massimo dei voti. In questo ristorante sono così gentili che, se arriva una mamma con un neonato e il bimbo piange, i camerieri lo prendono in braccio, lo cullano e lo sistemano anche in una culletta per dare alla mamma il tempo di godersi la cena.
Passiamo la serata in chiacchiere con Monique e facciamo tardi, mezzanotte addirittura! Dopo una notte di safari con le voracissime zanzare locali, una papaia dolcissima e un caffè, prepariamo i bagagli. Miracolosamente riusciamo a stipare tutto, speriamo di starci dentro col peso…
Farook viene a prenderci alle 10 e, caricati i bagagli, dopo una sosta ad Ernakulam per acquistare dei sari con cui realizzeremo delle tende, siamo di nuovo sulla strada per B.B. Island, che ha una collocazione strategica a metà strada fra Cochin e l’aeroporto. Arriviamo nella solita pace idilliaca.
Per pranzo ci raggiungono Monique, Jasmine e le bambine. Passiamo il pomeriggio fra pennica e chiacchiere, poi viene Sindu a farmi l’ultimo hennè, e la sera….lezione di cucina con Dibben. Per cena ci sono Tiger Prawns Masala, e io mi annoto per filo e per segno la ricetta, mentre lui li cucina sotto i nostri occhi. Una vera festa per il palato. Quattro enormi gamberoni a testa conditi con una salsina piccante al cocco e spezie. Andiamo a dormire felici, anche se la sveglia suonerà alle tre perché abbiamo il volo per tornare a casa…
Concludo questo diario indiano così come abbiamo concluso il nostro viaggio:
Per 2 persone (affamate)
Ingredienti:
Preparare circa 1/lt.di brodo vegetale leggero e si lascia a raffreddare con le verdure dentro.
Sgusciare i gamberoni (la coda si lascia) e bollirli per pochi minuti in poca acqua.
In una padella a parte scaldare a fuoco alto 1 cucchiaio di olio di cocco, 1 cucchiaino di semi di mostarda. Preparare a parte un trito con aglio, cipolla e zenzero. Metterne la metà nella padella con gli altri ingredienti e fare dorare insieme. Spegnere il fuoco e aggiungere ½ cucchiaino di curcuma, 2 cucchiaini di masala vegetale, 1 cucchiaino di coriandolo in polvere, una punta di pepe nero. Riaccendere il fuoco e aggiungere 1 pomodoro a fettine. Girare tutto a fiamma media e aggiungere il brodo vegetale con le verdure (quasi tutte). Salare a piacere, alzare la fiamma e far tirare il tutto.
Affettare 3 pomodori. In una padella (tipo wok) a fiamma media mettere 1 noce di burro abbondante e un po’ di olio. Aggiungere 2 cucchiai di trito di cipolla, aglio e zenzero e soffriggere. Aggiungere paprica piccante e pepe a piacere. Mescolare, aggiungere i pomodori, sale e l’acqua dei gamberoni mescolando a fuoco alto per tirare il sughetto. Aggiungere i gamberoni e fare insaporire per 2 minuti a fuoco medio.
Servire i gamberoni con la salsa di verdure a parte e del riso basmati bollito insieme a ½ lime.
CONSIDERAZIONI FINALI
Per questo viaggio abbiamo speso in totale 3.000 euro a testa. Il volo Emirates è costato 780 euro, il visto 90 euro (commissione di agenzia online Backpackers Travel inclusa), altri 120 euro per il Brindisi-Milano con low-cost. Per regali ed acquisti vari se ne sono andati altri (sic!) 1.000 euro. Quindi il soggiorno, compreso il tour con autista in Kerala, i tre giorni alle Laccadive, massaggi e sollazzi vari è costato 1.000 euro. Mica male per 20 giorni in India!
Un ringraziamento particolare a Monique Fontana http://visita-kerala.spaces.live.com/ senza la quale forse non avremmo mai visto l’India più autentica che lei ci ha fatto scoprire, che ci ha affascinato e che già ci manca.
Anna Siviero
Maurizio Giorgino
http://www.flickr.com/photos/visita-kerala/sets/72157604355708547/show/
PEACE
IS NOT JUST THE OPPOSITE OF WAR, NOT JUST THE LAPSE OF TIME BETWEEN TWO WARS-
PEACE IS MORE.
PEACE IS WHEN WE ACT RIGHT AND WHEN THERE IS JUSTICE AMONG ALL HUMAN BEINGS AND
ALL NATIONS. (indian
saying)