Incredible
India!
Di recente mi e’ capitato di sfogliare un numero del National Geographic e una pubblicita’ ha attirato subito la mia attenzione:
C’era la foto di un mercato coloratissimo con file di cammelli ed elefanti ovunque. I sari delle donne spiccavano sulla terra desertica del luogo.
In alto, appena sopra la foto, c’era una scritta:
“Incredible India!”
Diario di viaggio 2005
GIORNO
1:
Nando ha un volto segnato da solchi profondi su tutto il viso, non saprei direi se dagli anni o dalle ristrettezze della vita, non saprei neanche dire se Nando è il suo vero nome o lo usa ogni volta che incontra degli italiani, ad ogni modo e’ un abile pilota e sfreccia con il suo tuc tuc per le vie affollatissime di Varanasi.
Ci
attende fuori dal Surya (400 Rp per una camera singola) un albergo tranquillo e
pulito, nella zona del Cantonment, che abbiamo scelto per il nostro soggiorno di
2 giorni nella piu’ antica e sacra citta’ dell’India. Il sedile posteriore
e’ leggermente stretto per me e Luigi ma ad ogni modo sono molto piu’
concentrato sulla strada che sulle comodita’ di questo mezzo giallo-verde.
E’ incredibile come ad ogni metro debba girare a destra o a sinistra per
evitare biciclette, vacche sacre, pedoni, auto … derelitti che chiedono
l’elemosina… questa e’ l’India che tutti ci aspettiamo di vedere ma che
non vorremmo mai guardare… e Nando corre, corre con il suo tuc tuc nelle vie
della citta’ vecchia dove io farei fatica a passare in bicicletta ma sono
tranquillo il nostro ‘driver’ occasionale e’ eccezionale.
E’ gia’ pomeriggio e siamo arrivati da Delhi in aereo dopo una lunga settimana di lavoro che mi ha anche un po’ sfiancato. Eh si, Delhi in un solo anno e’ cambiata, lo scorso anno passavamo ore nel traffico intricatissimo della capitale ma oggi nuove strade, nuovi ponti danno una maggiore scorrevolezza alle auto pur sempre numerosissime e anarchiche nei loro movimenti. L’India sta crescendo molto piu’ di Europa o Stati Uniti e lo si vede anche da queste cose ma qui a Varanasi il tempo sembra bloccato nel suo incedere, la sacralita’ del luogo e la sua atmosfera mistica bloccano tempo e progresso fregandosene di inflazione, PIL e altre banderuole dell’economia globale. Questo non vuol dire che non siano affaristi o intrallazzatori soprattutto quando si tratta di seta, la famosa seta di Benares …
“Silk
sir ?!?”, “I know the better place for buying the silk” …
e
li’ scatta la loro percentuale se compri nel negozio indicato.
Ma
questo e’ commercio e anche, se vogliamo, spirito di sopravvivenza.
Nando entra in una via lastricata con pietre talmente stretta da non poter neanche sporgere i gomiti dal tuc tuc se non al prezzo di regalarsi abrasioni sulle braccia. Ad un certo punto si ferma e dice “Ok Sirs, Follow me !”. Ammetto di essere stato titubante a scendere dal nostro mezzo, sulla strada c’era sporcizia ovunque, escrementi in ogni angolo, odori nauseanti e liquami che attraversavano la strada da una parte all’altra. Non sono schizzinoso, nei miei viaggi ho dormito in alberghetti da pochi soldi e camminato in strade che erano discariche, ma qui ammetto di aver avuto dubbi a posare un piede per terra.
Luigi
non sembra invece avere i miei dubbi e’ gia’ dietro Nando e io mi accodo
velocemente lasciando dietro le spalle tutte le mie perplessita’.
Attraversiamo
una specie di tunnel ricavato in un’antica abitazione, è buio ma si vede la
luce dove finisce e faccio molta attenzione a non calpestare persone che dormono
lì sotto insieme ai topi. All’inizio non mi rendo conto, la luce è
abbagliante soprattutto dopo che i miei occhi si sono abituati all’oscurita’,
ma bastano pochi secondi e poi appare nel suo insieme il Gange e Varanasi con i
suoi ghat. Poco distante da noi il fiume descrive un’ansa e ci permette di
avere gia’ una visione di insieme dei vari edifici affacciati sulla sua sponda
… sulla riva opposta solo sabbia e vegetazione. Non riesco neanche ad
immaginare la vastita’ del Gange nel periodo delle piogge, adesso siamo nella
stagione secca, Marzo, e gia’ mi sembra immenso.
Ho
visto tante foto di questa citta’ (non ultima quella sulla copertina della
Lonely Planet), ho letto molti racconti ma l’emozione supera di gran lunga una
qualsiasi descrizione. Le barche che solcano le acque scure, gli uomini immersi
a fare delle abluzioni, i sari caleidoscopici delle donne.
Con Luigi non parliamo osserviamo e basta ….
Siamo
all’altezza del Kedar ghat, abbiamo alle spalle un coloratissimo tempio Hindu
con le sue divinita’ in posizioni Yogi. Ganesha e’ lì al centro e fissa un
punto dell’orizzonte.
Ci
sediamo sulle gradinate che scivolano nel fiume e lasciamo passare il tempo.
Ad
un certo punto decidiamo di congedare Nando, dandogli appuntamento dopo il
tramonto, ci avviamo cosi’ verso Nord in direzione del Malviya Bridge per
intenderci. Sono curioso e impaziente di vedere il ghat piu’ famoso ed
importante ad eccezione di quelli dove avvengono le cremazioni : il Dasaswamedh
ghat.
Gli
edifici che costeggiano il Gange sono meravigliosi, la maggior parte fatti in
pietra rossa con architetture che fino ad ora avevo visto solo in foto o in
qualche dipinto con scene dell’epoca dei Maharaja. Ma la vera meraviglia delle
passeggiate lungo il fiume sono le persone che incontriamo: altri turisti come
noi, altri turisti o quantomeno occidentali un poco ‘fricchettoni’ e molto
alternativi (camminano scalzi !!!!!!!! La pianta dei loro piedi e’ di un
colore nero pece … mah !), altri turisti vestiti da santoni che magari hanno
trovato qui un nuovo modo per arricchire positivamente il proprio Karma o
semplicemente sono fuggiti dai loro problemi … e poi … e poi ci sono gli
indiani (la maggior parte ovviamente) intenti nelle pulizia del proprio corpo e
dei propri abiti nel fiume sacro, si strofinano, si insaponano, sbattono i
vestiti ormai lavati contro rocce levigate per strizzarli meglio e le donne ..
stendono in tutta la loro lunghezza i sari coloratissimi ad asciugare sulla
sponda del fiume.
C’e’
chi si cosparge la testa con l’acqua del Gange:
c’e’ chi prega immerso fino alla cinta, c’e chi si tuffa e nuota
verso il largo per fermarsi chissa’ dove, c’e’ infine chi forse aspetta
solo di morire nella citta’ di Shiva ed interrompere cosi’ il Samsara, il
ciclo continuo della reincarnazione e raggiungere la liberazione.
In
ogni angolo c’e’ sporcizia, la sponda del fiume ne e’ spesso invasa e
l’acqua … bhe’ non oso immaginare. Eppure questa gente segue antichi
rituali di abluzione da un ghat all’altro in un ordine predefinito nel fiume
sacro non nel fiume sporco!
La
scena piu’ curiosa pero’ sono tutte quelle persone che per lavarsi i denti
usano un bastoncino, o una radice, immergono il tutto nell’acqua e poi inizia
lo strofinamento … che dire … anche questa e’ l’India.
Siamo
finalmente al Dasaswamedh, circondati dalla solita folla colorata, come colorate
sono le case e le barche, credo sia uno spettacolo unico.
Veniamo
abbordati da una coppia di personaggi che, sfregandoci il palmo della mano, ci
propongono un massaggio completo, dopo qualche insistenza desistiamo e … vada
per questo massaggio! Ci fanno sdraiare su piccolo soppalco di legno ed
iniziano: spalle, schiena, braccia gambe … onestamente non ne sento troppo il
beneficio e non vedo l’ora che il tutto finisca. Li congediamo con 200 Rp a
testa e proseguiamo il nostro giro.
Andiamo
avanti, e’ ancora presto, la direzione e’ giusta per raggiungere il
Manikarnika, il ghat delle cremazioni, il ghat piu’ sacro e antico. Il luogo
dove e’ proibito fare fotografie, il luogo dove il fuoco brucia cataste di
legno e cadaveri 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, il luogo l’odore e il
fumo acre delle cremazioni ti penetra anche nei vestiti.
Nel
frattempo trovo modo di giocare con la mia macchina fotografica cercando di
fermare nell’attimo dello scatto persone, luoghi e animali che qui, sono
numerosi e liberi come le vacche sacre o i bufali, caprette e cani scheletrici e
soprattutto le scimmie, simpatiche ma anche un po’ troppo dispettose.
All’altezza del Meer ghat troviamo un’indicazione per il Nepali Temple , la
scalinata che conduce al tempio e’ ripida ma breve e la nostra curiosita’
viene subito soddisfatta all’apparire di un tempietto la cui architettura ha
dei richiami indiani e nepalesi, fusi insieme a formare un edificio bello a
vedersi e armonioso nella sua forma. Anche i monaci o religiosi che lo abitano
sono una commistione Indu’ e Buddisti. Da una grande cancellata poi, si puo’
osservare le persone chiuse in una stanza intente a pregare o a leggere. Non ho
idea sinceramente se possano essere i Veda o altri testi o inni sacri, ne esce
pero’ un’immagine di spiritualita’ che lascia impietriti, come storditi
dal canto o dal vociare lamentoso dei fedeli.
Luigi
mi guarda di sbieco mentre osservo immobile le scene dalla cancellata ….
“
No Luigi, non sto respirando l’oppio, il fumo che esce e’ solo incenso !”
Giriamo
attorno al tempietto, e’ adorno di scene erotiche degne del miglior libro sul
Kamasutra, e’ gia’ una piccola anticipazione di cio’ che vedremo a
Khajuraho.
La
discesa e’ veloce e ci ritroviamo in poco tempo di nuovo sulla via dei ghat,
il Manikarnika e’ vicino, improvvisamente i palazzi si fanno neri, ricoperti
di fuliggine, nell’aria e’ presente un fumo sinistro e nerastro che fa
presagire cio’ che troveremo dopo la prossima curva.
Osserviamo
con discrezione, guardiamo questo formicolio di persone muoversi con una
frenesia cosi’ fuori posto qui a Varanasi e in piu’ ci sono cataste di legno
ovunque fiori e ornamenti che galleggiano nel fiume. Ci avviciniamo con
discrezione, nessuno qui sembra far caso a noi, nessuno sembra interessato a
proporci l’affare della vita o venderci chissa’ quale oggetto, nessuno qui
ti chiede l’elemosina.
Facciamo
il giro largo, entriamo nei vicoli del paese per oltrepassare il ghat dei morti.
Forse
domani visiteremo meglio questo luogo cosi’ significativo, forse, domani …
In
queste strade cosi’ strette facciamo fatica io e Luigi a stare affiancati
soprattutto se incrociamo altre persone provenienti dalla direzione opposta. Si
sentono uomini vociare, gridare, lamentarsi non molto distanti da qui; anzi si
avvicinano. Si avvicinano sempre piu’ … ad un certo punto facciamo come le
altre persone nel vicolo, ci schiacciamo contro il muro. Le urla sono sempre
piu’ vicine a noi. Arrivano correndo quattro uomini che trasportano una
barella di bambu’ con sopra … con sopra il corpo di un morto coperto da un
telo rosso e bardature dorate ! Corrono giu’ verso il Manikarnika … Confesso
che questo proprio non me lo aspettavo.
La
gente riprende la sua attivita’ e noi con loro continuiamo a perderci nei
vicoli di Varanasi.
Ritorniamo con calma verso il fiume dopo aver fatto un percorso a semicirconferenza per oltrepassare il Manikarnika. All’altezza dello Scindia ghat degli uomini stanno lavorando sulle fondamenta di un tempio che sta sprofondando nella terra melmosa del Gange, e’ tutto inclinato e immagino sara’ veramente dura salvarlo. Basta rientrare un poco tra le case e siamo ancora immersi nella bolgia dei vicoli, dove anche la luce del sole fa fatica a passare, dove matasse enormi di fili si intrecciano per portare luce elettrica in queste abitazioni cosi’ fatiscenti ma allo stesso tempo cosi’ ricche di anni e di storia. La maggior parte dei commercianti ha il proprio negozietto nella cantina di queste case con un’apertura verso il vicolo: sembra piu’ una buca scavata nel terreno che un negozio.
“Yes,
Yes Vishwanath temple !” …
e ci fa segno con la mano di andare dritti … ma dritti dove ?? E’ un vero
labirinto dove persone e cose si fondono insieme.
In
alcuni punti si fa fatica a camminare, sotto i piedi c’e’ solo terra e il
canale di scolo corre giusto in mezzo al vicolo che funge anche da gabinetto …
ormai non ci facciamo piu’ caso.
“Finalmente
un cartello !” siamo vicini al piu’ antico e sacro
tempio indu’ di Varanasi: il Vishwanath. Dobbiamo lasciare le macchine
fotografiche in custodia in un negozietto, non possiamo portarle entro l’area
del tempio; dei metal detector ci impedirebbero anche di nasconderle. Mah !
Speriamo bene.
Non
ho mai capito cosa aspettarmi dai templi indu’ forse e’ molto piu’
interessante respirare l’aria mistica tutt’intorno che godere della sua
visione di insieme, anche questo tempio cosi’ famoso fa vedere poco di se’,
forse perche’ troppo schiacciato tra le case. Delle torri ricoperte d’oro ne
intravediamo un piccolo spiraglio, tutto e’ cosi’ buio e grigio, solo le
scimmie danno una certa vivacita’ all’ambiente.
“Ehiii
! Ma …” … “Sorry Sir”, il santone che mi ha dato una gomitata mi
guarda intensamente poi alza il coperchio del suo cestino dove appare subito la
testa di un cobra … faccio un passo indietro e gli dico di non rompere i
coglioni, non ho voglia di assistere al suo spettacolino da pifferaio magico!
L’aria
sui ghat e’ diversa, non piu’ opprimente come nella citta’ vecchia e
sinceramente ritornare sul fiume dopo un’ora abbondante passata tra i vicoli
mi da sollievo. C’e’ una nuova tappa, una nuova meta da raggiungere! Proprio
sopra di noi scorgiamo i minareti di una moschea. La lunga mano di Allah e’
arrivata anche in questa citta’ sacra agli indu’.
A
Delhi avevamo gia’ riscontrato una forte presenza musulmana nella storia ma
anche nell’attualita’ Indiana. La Jama Masjid e’ una moschea magnifica e
cosa dire del Taj Majal, perfezione massima dell’arte Moghul … ma qui
proprio non me lo aspettavo. E’ anche vero pero’ che la religione musulmana
e’ seconda per numero solo a quella indu’, almeno nell’India de Nord.
“Bhe’ che facciamo Luigi? Andiamo a vedere naturalmente… Le gradinate che portano alla Alamgir Mosque sono ripide quanto quelle del Nepali Temple ma altrettanto brevi. Arriviamo alle cancellate e … nessuno; non c’e’ nessuno! Sbirciamo alla destra dell’ingresso e arriva con una flemma disarmante il custode del luogo che vive sotto una tenda. Togliamo le scarpe ed entriamo, siamo da soli in un’atmosfera surreale. Il bello di questi luoghi di culto sono le persone in preghiera e il ‘via-vai’ continuo. Certo anche l’architettura e’ magnifica e questa ne e’ l’ennesimo esempio ma qui non c’e proprio un cane … anzi c’e’ una coppia di scimmie, io, Luigi e il custode nella sua tenda. Ci sediamo su una lastra di pietra ad ammirare la vista sul Gange ma … il pallore rossastro del sole ci avverte che la nostra giornata sta finendo, percio’ giriamo le spalle e ripercorriamo i nostri passi.
Speravo
sinceramente di scattare qualche bella fotografia al tramonto ma, come al
solito, le migliori foto le faccio all’alba. Di sera non c’e’ mai la luce
giusta, non c’e’ mai la posizione giusta e anche gli edifici sembrano
costruiti in un luogo dove la luce del tramonto non li puo’ illuminare bene.
Non riesco mai a fare foto soddisfacenti quando il sole cala, non ci riesco qui
e non ci sono mai riuscito in tutti gli altri luoghi che ho visitato. E’
inutile, o non sono capace io o la macchina fotografica la sera mi boicotta
sempre, stanca del lavoro diurno. E allora mi godo tutti i tramonti solo
guardandoli e fissandoli nei ricordi … qui poi dal Kedar ghat la vista e’
meravigliosa. Certo, forse con Luigi di fianco e Nando alle spalle il tutto non
e’ cosi’ romantico pero’ i colori di Varanasi mi hanno gia’ conquistato.
Il
buio cala velocemente, improvvisamente in lontananza centinaia di lucine si
muovono nell’acqua all’altezza del Dasaswamedh e pian piano oscillano
trascinate dalla tranquilla corrente del Gange. Anche noi compriamo dei piccoli
contenitori in legno con dentro una candelina e dei fiori e li affidiamo alle
acque confidandogli i nostri desideri. Non so se e’ pratica comune anche per
gli indu’, non credo e non l’ho mai chiesto perche’ a me piace pensare che
sia cosi’.
GIORNO
2:
Se
ci sono dei sapori che proprio non sopporto sono quelli del Curry, della
cannella e dell’anice nell’ordine. Si potrebbe allora pensare che il cibo
dell’India mi metta in difficolta’ soprattutto per quanto riguarda il primo
punto … e, in effetti, e’ cosi’. Diciamo che ormai mi sono ritagliato dai
menu’ una serie di pietanze abbordabili dal mio palato. Ieri sera ad esempio
abbiamo cenato nel ristorante attiguo all’albergo, anzi addirittura ne
condivide lo stesso giardino anche se si tratta di due strutture autonome nella
gestione. Il riso con pollo cotto nel forno Tandoor (110Rp) e’ sicuramente un
piatto gustoso, speziato ma non troppo anche perche’ fa parte della cucina
tipica piu’ della regione del Punjab che del resto dell’India del Nord e,
come tale, e’ piu’ vicino alla cucina araba del Pakistan. Amo generalmente
la cucina araba e questo ne rappresenta a mio parere un misto con quella
indiana. Poi esiste il Naan, un pane simile alla piadina ma piu’ sottile e
leggero … ne mangerei a chili
…. Bhe’ ieri sera e’ stato questo il mio pasto. Luigi invece prova di
tutto, alcune volte penso che se gli portassero il sacchetto dell’umido lui
proverebbe a mangiarlo. Chiamiamola curiosita’ culinaria …
La
camera e’ carina mi fermo ad osservarla mentre riordino lo zaino compagno di
tutti i miei viaggi, dalla porta finestra non entra ancora luce e il suo
balconcino e’ ancora buio ma cosa pretendo ?!? … non sono neanche le 5 di
mattina ! Le pareti sono spoglie se si eccettua qualche incrostazione del muro
ed un poster. Ne avevo visti altri ma non ci avevo mai fatto troppo caso. Sono
poster che pubblicizzano le bellezze dell’India curate probabilmente dal
ministero per il turismo. L’immagine ritrae una foresta sterminata ed
intricatissima, un unico tappeto verde steso verso l’orizzonte, l’unica
scritta e’ un significativo “Incredibile India !”.
Gia’
proprio “Incredible” … un continente di diversita’ e di bellezze.
Ne
avevo visti altri di questi poster all’aeroporto di Delhi: I deserti del
Rajastan, le vette Himalayane, il Taj Mahal, le splendide spiagge del Kerala, le
tigri del Bengala, i volti della gente, i
colori dei sari …
…
gia’ “Incredibile India”.
Nando
questa mattina ha un cappellino di lana ed una giacca color smog, anche a queste
latitudini in questa stagione la temperatura si abbassa per poi sfociare nei 30
gradi giornalieri. Io e Luigi ci accontentiamo di una felpa .. per noi padani
queste sono temperature primaverili.
Ach
! non avevamo previsto pero’ che sul tuc tuc il leggero freschino si
tramutasse in brezza alpina vista la velocita’ del mezzo scoperto
completamente nella sua parte laterale.
Un
po’ di freddo val bene un’alba sul Gange!
Le
vie di Varanasi sono completamente deserte, le uniche manovre Nando le effettua
solo per evitare le vacche; ogni tanto si vede qualche fuocherello acceso dagli
innumerevoli ‘senzatetto’ per scaldarsi un po’; dormono sui marciapiedi e
tutto cio’ che possiedono e li’ con loro, cioe’ niente. E poi ci sono i
bambini, qualcuno e’ anche sveglio e gioca gia’ con la sorella o il
fratellino, alcuni indossano un maglione logoro e lungo fino alle ginocchia
altri sono completamente nudi ma nessuno ha le scarpe e il loro maggior
divertimento e’ saltare nelle pozze di acqua, residuo di qualche fogna
cittadina. Ci guardano passare, accenno un saluto e mi ricambiano con un
sorriso.
Tempo
fa un missionario disse “ I poveri sono la parte piu’ scomoda del volto di
Dio”.
Eppure
tutti noi, spesso, ci ostiniamo ad ignorare quella parte o semplicemente ce la
dimentichiamo anche se lì possiamo trovare un bellissimo sorriso come quello di
oggi.
Vengo
destato dai miei pensieri dal sobbalzare incessante del tuc tuc, siamo rientrati
nella via strettissima di ieri e infatti poco dopo Nando parcheggia il mezzo.
Questa volta salto giu’ senza titubanze, anzi affretto il passo perche’
inizia ad albeggiare e vogliamo goderci il sorgere del sole dalla barca. Al
Kedar ghat non ci mettiamo molto a trovare un barcaiolo disposto a farci fare un
giro sul Gange, potremo cosi’ vedere il risveglio della citta’ da un diverso
punto di vista: guarderemo in faccia ai ghat di Varanasi direttamente dal fiume.
Il costo di 2 ore di gita non e’ eccessivo (300Rp) ma considerando che ieri ci
era stato offerto a 50Rp ! … “Non abbiamo tempo per contrattare … dai
Luigi andiamo e basta e poi quel poveraccio che fatica con i remi !”…
Tutt’intorno a noi si sente un canto lamentoso:
“Oh Shiva,Shivaa, Shivaaa …” e’ come se tutta la citta’ fosse
li’ sui ghat a dare il buon risveglio al suo dio protettore, Shiva appunto,
che nella Trimurti rappresenta la distruzione a differenza di Brahma il creatore
e Vishnu il conservatore. Nel concetto Indu’ pero’ la distruzione non e’
vista in maniera negativa in quanto essa si esplica contro il male
(l’ignoranza e le illusioni) e in piu’ bisogna considerare ogni creazione di
Brahma frutto di una precedente distruzione di Shiva.
Va
bhe’, va bhe’ ma qui devo puntare l’obiettivo della macchina fotografica
verso quell’enorme palla rossa che sta spuntando dietro l’orizzonte;
l’acqua si colora di rosso, giallo con sfumature arancione. Che meraviglia:
e’ la piu’ bella alba che abbia mai visto. Il sole poi riflette i suoi primi
raggi sugli edifici che si specchiano nell’acqua e
le persone sulla riva, prima indolenzite dal risveglio mattiniero,
iniziano le loro attivita’ di preghiera e abluzione contribuendo a dare colore
e magia a tutto cio’ che ci circonda.
La
barca inizia a muoversi verso nord nella stessa direzione che ieri abbiamo fatto
a piedi; il calore del sole inizia a scaldarci e fra pochi minuti sicuramente la
felpa sara’ di troppo.
Il
lento scorrere della barca ci permette di osservare la vita sul fiume, ancora
una volta la preghiera assume un ruolo fondamentale nell’attivita’
giornaliera di queste persone. Non incrociamo mai i.loro occhi quasi non ci
vedessero, quasi il loro sguardo fosse lontano assieme alla mente e lasciassero
li’ solo il corpo nell’acqua del Gange. I colori e il brulicare di gente ci
dice che ci stiamo avvicinando al Dasaswamedh ghat. La vista di insieme e’
magnifica se si aggiungono anche le barche caratteristiche e colorate di
Varanasi.
Ci
fermiamo, veniamo trascinati solo dalla leggera corrente, forse il barcaiolo
e’ stanco o forse sa che questo e’ uno dei luoghi piu’ belli dell’India
e ci lascia il tempo per assaporare questo posto cosi’ speciale. Ancora una
volta con Luigi ci accordiamo nel silenzio, senza dire parola sappiamo gia’
che ognuno vuole contemplare a suo modo cio’ che vede senza bisogno di
scambiarsi idee o impressioni … per quello c’e’ tempo … dopo.
Ancora
una volta il fumo nero ci anticipa. Ancora una volta l’odore acre nell’aria
ci indica che stiamo arrivando al Manikarnika ghat, la nuova pila di legno e’
pronta a bruciare il corpo del defunto e il fiume e’ altrettanto pronto ad
accoglierene le ceneri ed interrompere il suo continuo pellegrinaggio di morti e
resurrezioni. La barca e’ di
nuovo ferma ma la mia voglia di assistere ad una cremazione non e’ certo
grande ed in piu’, mi sembra di trasformare un evento cosi’
religioso composto anche da sofferenza umana, in un evento turistico o da
circo.
Accolgo
con sollievo il nuovo movimento dei remi in acqua.
Quando
la barca inverte direzione, siamo alla stessa altezza di dove siamo arrivati a
piedi ieri (Alamgir Mosque). Il ritorno e’ piu’ vicino a riva, inizia a far
caldo, molto caldo e la tentazione di fare un bagno nel Gange c’e’ ma subito
lascia la mia mente: e’ una pazzia solo momentanea.
E’
ancora presto quando rimettiamo piede sul Kedar ghat,, non sono ancora le 8 ed
io avrei voglia di un caffe’ … espresso naturalmente. Ma dove lo trovo ?
E’ solo la pazzia di un momento, come il bagno nel Gange, ed in breve ci
avviamo verso una nuova camminata sui ghat, in direzione sud questa volta.
L’atmosfera
e’ piu’ tranquilla qui a parte un gruppo di bambini che ci trotterella
attorno per chiedere di comprare alcune cartoline o magari di fargli una
fotografia. Hanno un sorriso furbo e smaliziato, abituati come sono alla strada
che li ha resi molto piu’ grandi dei loro anni. Sono sempre un po’
sospettoso in queste situazioni da quella volta che ho dovuto rincorrere un
gruppo di bambini per le vie di l’Havana. Mi avevano rubato il portafogli e, a
parte la sudata, avevo poi deciso di lasciargli il contenuto di 20 dollari.
Forse ho fatto male, no lo so, resta il fatto che sono rimasto sospettoso e la
cosa non mi piace. Il rischio e’ di creare una barriera che ostacola anche la
minima interazione verso i bambini dei luoghi che visito, questo forse rende
sicuro il mio portafogli, ma sicuramente mi fa perdere i loro sorrisi.
…
e in India i sorrisi sono meravigliosi …
La
strada verso l’Asi ghat non e’ certo lunga come quella percorsa ieri verso
nord, ma le nostre interruzioni alla passeggiata sono frequenti e ci fermiamo
spesso ad ammirare il fiume o semplicemente a fotografare qualche edificio.
Questa e’ una zona di templi giainisti, come riporta la guida, ma onestamente
non riesco a distinguerne una caratteristica cosi’ peculiare da differenziarli
da quelli indu’… e poi sono tutti chiusi cosi’ che la mia curiosita’ si
ferma subito al portone di ingresso.
Non
conosco neanche molto bene questa religione, so che ha molti tratti comuni con
alcuni principi indu’ come il Karma o il samsara e praticano un
vegeterianesimo estremo (arrivano a filtrare anche l’acqua per paura di
ingerire qualche organismo vivente !). E’ una dottrina basata completamente
sulla non-violenza. Il fatto che il fondatore, Mahavira, sia stato un
contemporaneo del Buddha lo apprendo adesso dalla guida, come anche il fatto che
i due non si incontrarono mai o fecero in modo di non incontrarsi mai.
Luigi
mi guarda interrogativo, in effetti ero immerso nella lettura e non mi sono
accorto che siamo arrivati al Asi ghat !.
Che
si fa ?
La
cartina indica che non dovremmo essere lontani dal Durga Temple percio’ forse
e’ il caso di imboccare una delle vie laterali per raggiungerlo e inoltrarci
cosi’ in questa zona periferica della citta’.
E
ci risiamo … vie che sembrano discariche, liquami vari e odori di ogni tipo;
le deviazioni tra questi vicoli sembrano non finire mai finche’ sbuchiamo in
una piazza dove si svolge il mercato e proseguiamo cosi’, imboccando
un’altra via laterale seguendo piu’ l’istinto che una vera strategia di
avvicinamento al Durga.
Ci
fermiamo ad osservare un piccolo tempietto perso nelle vie di Varanasi,
perche’sulla sua piattaforma un insegnante Yoga sta facendo fare degli
esercizi a due suoi adepti, siamo alla soglia del contorsionismo! Credo che
neanche in 20 anni di esercizi arriverei a fare una cosa del genere.
Immediatamente il maestro attacca bottone con noi … ‘di dove siamo, cosa
facciamo, se vogliamo provare … ehm! no grazie, dobbiamo proseguire … sai
che figura di m. se vede la mia elasticita’ corporea ! Grazie, grazie ..
arrivederci.
Eccolo
la’ ! Finalmente ci siamo, si vedono gia’ le sue mura rosse.
Lasciamo
le scarpe fuori ed entriamo.
Un
porticato di colonne, dal quale si accede al tempio, circonda un lastricato
interno, al centro del quale c’e’ una costruzione di base rettangolare dove
i fedeli si recano a fare delle offerte (dei fiori generalmente). Giriamo
cosi’ scalzi per circa un quarto d’ora osservando silenziosamente il via vai
di persone. Perdo Luigi di vista e dopo qualche minuto ricompare con un bollino
rosso impresso in mezzo alla fronte ed un braccialetto nero legato al polso.
“E’
il braccialetto della potenza di Shiva !”
Mi
viene da ridere ma non dico niente, in fondo e’ anche il mio capo e non vorrei
incorrere in qualche rappresaglia lavorativa!
Usciamo,
ci rimettiamo le scarpe e mentre ci allontaniamo sento una serie di urla alle
nostre spalle, io non conosco l’indi ma mi sono decisamente sembrati pesanti
insulti.
“Ok,
Ok, amico sta calmo, eccoti 50 Rupie per le scarpe … e che ne sapevo”.
Il
ritorno e’ decisamente piu’ veloce, sia perche’ conosciamo meglio la
strada, sia perche’ non ci fermiamo in ogni angolo e forse anche perche’ la
fame inizia a farsi sentire.
Nando
e’ li’ ad attenderci al Kedar ghat ed insiste per portarci in un negozio
dove vendono la seta. Accettiamo, ma non prima di essere passati da quello che
ci ha segnalato un conoscente. Il negozio e’ in una via angusta, neanche
asfaltata e due porticine di legno grigio si aprono sul locale.
Togliamo
anche qui le scarpe e ci sediamo in una stanza di non piu’ di 7/8 metri
quadri. Ci sono 4 o 5 venditori. Ci aprono scatole con copriletti, copricuscini,
fazzoletti, sciarpe … tutto meraviglioso e coloratissimo. Prendiamo qualche
sciarpa di seta, ma il copriletto … che bello. La tentazione di comprarlo era
tanta, con 80 euro in Italia non mi avrebbero neanche venduto un copri-water in
seta ma alla fine … bhe’ sono uscito senza. Chissa’ poi se l’arancione
sarebbe stato bene sul mio letto giallo!
Accidenti
Nando! Ma dove cavolo ci stai portando, questo tuo negozio e’ proprio
imboscato! Buche nel terreno ovunque, una fogna a cielo aperto dove le persone
prendono l’acqua e si lavano e poi, siamo l’attrazione della giornata, tutti
ci guardano chiedendosi come siamo finiti in questo angolo sperduto della
citta’.
Nel
negozio si sente il rumore di decine di mani (o di piedi) che filano la seta;
sarei curioso di vedere la fabbrica, ma non ho il coraggio di chiederlo o forse
non voglio solo vedere decine di bambini che invece di giocare lavorano la seta
tutto il giorno.
Anche
qui inizia l’esposizione della mercanzia ma onestamente ne’a me ne’a Luigi
c’e’ qualcosa che interessa … mi spiace Nando, ma la tua percentuale e’
sfumata.
Rientriamo
in albergo, avremo una nottata lunga e meglio rilassarsi un po’ tra una
partita a scacchi e un boccone di cibo.
Aspettiamo
cosi’ oziosamente l’ora di cena dove il mio menu’ prevede l’assaggio di
una pizza indiana che alla fine non si rivela malvagia, mi lascia pero’ in
bocca un retrogusto di qualche spezia … indefinibile.
Facciamo
aspettare Nando un po’ di tempo visto che non abbiamo intenzione di andare in
stazione troppo presto. Il nostro treno notturno per Satna partira’ alle 23:30
e noi usciamo alle 22:00 passate. Nando ci fara’ pagare in piu’ per questa
attesa (200Rp), pazienza comunque meglio aspettare in albergo che in stazione.
E
qui … si apre una parentesi.
Credo
che niente di meglio della stazione dei treni rappresenti bene la situazione
della citta’ in cui e’ situata.
Qui
c’e gente accampata ovunque, seduta, sdraiata, inginocchiata, che mangia, che
dorme, che prega … il tutto in mezzo ad una sporcizia terrificante. I treni
che partono non hanno finestrini ma solo delle sbarre metalliche; ogni tanto si
affaccia qualcuno e sembra un treno merci o di carcerati piuttosto che uno per
passeggeri.
Gli
scarichi di acqua vanno a finire nelle rotaie e nell’attesa ho contato almeno
20 topi le cui dimensioni farebbero rabbrividire anche il gatto piu’
temerario. E poi non ci sono bagni e allora la gente tranquillamente fa pipi’
sulle rotaie.
Ehi
ma !?! e’ gia’ mezzanotte e il nostro treno non si vede ancora, il ritardo
e’ anche qui, come in Italia, una norma.
Mi
perdo cosi’ tra la gente, un insieme di volti e di immagini che ancora una
volta mi fanno ripensare all’India, mi fanno ripensare a questo incredibile
paese.
GIORNO
3:
A
mezzanotte e trenta si vede finalmente in lontananza la luce frontale del nostro
treno, partiamo con un’ora di ritardo ma poco importa siamo di nuovo in
viaggio.
Le
persone iniziano a buttare sul treno sacchi, valigie e quant’altro e’ nelle
loro mani, poi si arrampicano velocemente e iniziano la migrazione verso un
posto libero.
Facciamo
fatica ad identificare la carrozza-letto, poi muoversi con lo zaino tra la folla
inizia a diventare problematico.
Chiediamo
a quello che sembra essere il capo-treno e finalmente ci dirotta nel punto
giusto dove possiamo salire e cercare le nostre cuccette. Ci sono degli
scompartimenti per due o per quattro persone, separati da tende o divisi da
parete.
Io
e Luigi siamo in quello da due, tipo letto a castello, e i posti dove sdraiarsi
sono dei sedili azzurri lunghi quanto me all’incirca. Butto su lo zaino e mi
arrampico, il sedile sembra abbastanza morbido e piu’ confortevole di quello
che pensassi. Tolgo le scarpe e le infilo sotto il sedile di Luigi (speriamo che
sopravviva) e poi mi guardo attorno. Molti scomparti sono vuoti, ma molti altri
sono occupati da persone che stanno dormendo e sbucano le loro teste o i loro
piedi; ci sono anche dei ventilatori portatili appesi alla parete anche se non
mi sembra faccia cosi’ tanto caldo da tenerli accesi e il loro rumore e’
abbastanza fastidioso.
Arriva
un addetto del treno e distribuisce cuscini, lenzuola e coperte … ma che
organizzazione.
Tiriamo
la tenda e’ ora di provare a dormire e speriamo che le 8 ore di viaggio
passino tranquillamente e, a giudicare dall’andatura lenta del treno,
probabilmente sara’ cosi’.
…
e invece mi giro, mi rigiro, dormo un’ora poi mi sveglio, mi riaddormento,
cambio posizione. Insomma siamo alle solite, quando viaggio in aereo, macchina o
treno il sonno fatica ad arrivare.
In questo caso, forse, ha giocato un ruolo decisivo la paura di non svegliarsi
alla stazione giusta e anche il rumore del mio dirimpettaio che russa come un
trombone.
Alle
7 siamo in piedi e aspettiamo oziosamente l’arrivo del treno a Satna, dove un
po’ rimbambiti scendiamo come da programma.
Immediatamente
veniamo circondati da guidatori di tuc tuc che offrono i loro servigi per
portarci alla stazione dei bus. All’inizio non accettiamo pensando di a fare
due passi, ma poi ci rendiamo conto che effettivamente i ‘due passi’ sono
circa 3 Km percio’ rieccoci in sella! Ma questa volta a guidare non e’ Nando
ma un signore di mezza eta’ con tanto di baffoni all’insù’.
Uno
zaino, una valigia e due persone sul retro di un tuc tuc ve lo potete
immaginare, abbiamo imparato a fare delle contorsioni che mai prima d’ora
avrei mai pensato di saper eseguire.
Ad
ogni modo il tragitto e’ solo di qualche minuto e scendiamo in un posto che
all’inizio pensavo essere un deposito di sfasciacarrozze in realta’ si e’
rilevato essere proprio la stazione dei bus!
La
polverosa stazione di Satna e’ anche zona di mercato, e le decine di
scassatissimi bus depositano il loro lascito fumoso sulla frutta e verdura delle
bancarelle. A parte il vetro anteriore, tra l’altro spesso crepato come una
ragnatela, nessuno e’ dotato di finestrini e dai sedili escono molle o
gommapiuma bisuncia. La marmitta poi, quando c’e’, consiste in un ammasso
rugginoso che produce un fumo nero e denso e il resto della carrozzeria e’
dotata di buchi grandi come cocomeri ovviamente arrugginiti dal tempo.
Bhe’,
mi stupisco non tanto di come riescano ad andare ma piuttosto di come stiano in
piedi.
Con
Luigi ci guardiamo e ridiamo pensando al nostro viaggio, non vogliamo pensare ad
altro.
Ma
Satna offre il suo meglio all’interno della stazione.
E’
una latrina a cielo aperto e facciamo sinceramente fatica a capire dove
appoggiare zaino, valigia e … i nostri piedi.
Ma
l’India offre il suo meglio anche in queste condizioni: i colori, il brulicare
della gente, il via vai continuo di bus, di tuc-tuc e di biciclette e il vociare
dei bambini. Ti fermi a guardare fregandotene del trascorrere delle lancette
dell’orologio e di tutti i programmi che ti eri fatto appena arrivato in
stazione … e in fondo c’e’ tempo, in India le attese possono essere
lunghissime o molto brevi a seconda di come vivi l’attesa e di come impieghi
il tuo tempo e io lo passo ad osservare convertendo cosi’ l’attesa in un
arricchimento personale di suoni e di immagini.
Il
mio amico Michele, grande e appassionato viaggiatore, sul suo sito scrive che
“Viaggiare significa vivere, significa perdersi, significa anche imparare
perche’ non si finisce mai di conoscere …”; mai come in questo caso
penso a quanto cio’ sia vero soprattutto qui in questa incredibile India.
“Khajuraho
?!?” …. “Yes, two tickets for Khajuraho !”
“Luigiiiiii
!!!!!!!!!!” “Aiuto ! qui non parlano inglese e come gli spiego a gesti
Khajuraho ??”
Provo
a mostrare due dita delle mani e cerco di pronunciare Khajuraho con tutti gli
accenti possibili …. Forse ci siamo, mi indica 100Rp. Ok, grazie ! gli
rispondo in italiano ….
Ma
sara’ mica quell’affare ?!?
Ebbene
iniziamo a caricare sul tetto i bagagli e ci accodiamo alle altre persone per
salire, in teoria ci sono dei posti numerati che si riveleranno utilissimi. Sono
tutti indiani, tranne un gruppetto di coreani. Guardo il bus, neanche in
Guatemala avevo viaggiato su un mezzo cosi’ scalcinato.
Mi
sembra di poter dire che un tempo era bianco, oggi se ne intravede qualche
crosta di vernice nell’oceano di ruggine. Non ci sono ovviamente i finestrini
e anche questo si rivelera’ una fortuna!
Il
vetro davanti ha delle crepe degne del Gran Canyon e il posto del guidatore e’
un sedile, o meglio cio’ che ne rimane, tutto attorniato da scotch nero con
due molle che escono dallo schienale.
Il
volante non ha clacson ed e’ completamente incerottato. Ma il meglio arriva
appena guardo di fianco al sedile del guidatore.
C’e’
un buco enorme arrugginito da cui si intravede parte del motore, ma che cavolo
e’? Bha ! Ci accomodiamo su dei sedili talmente stretti che ho le ginocchia
che mi toccano la gola!
Entra
il conducente con una tanica d’acqua, si accomoda sul sedile, si beve un sorso
e il resto … lo butta nel buco arrugginito ! E’ il serbatoio del radiatore
!!!!
Dopo
una bella sputazzata il nostro cocchiere accende il mezzo e … si parte! Io e Luigi iniziamo a ridere tanto da lacrimare.
E
qui inizia un’avventura di 4 ore e mezza.
Ho
sempre pensato che per vivere meglio un paese che si visita, per viverne
l’atmosfera, per apprezzarne gli usi o semplicemente per calarsi pienamente
nella sua realta’, bisogna salire su un autobus, non importa diretto dove, non
importa per quanto tempo, ma bisogna farlo.
Ci
sono posti, come il Guatemala o il Peru’, dove gia’ dopo un paio di volte
riesci a capire meglio, o forse solo intravedere, la realta’ del paese di cui
sei ospite; ci sono altri luoghi, come l’India appunto, dove per capire
qualcosa in piu’ dovresti prendere un autobus in ogni sua regione e passare
cosi’ mesi a girarla … ma l’India in fondo e’ un continente anche per
questo.
E’
forse proprio per questo motivo che sono seduto su questo ferrovecchio ad
osservare la gente che riempie sempre di piu’ ogni spazio, tanto da iniziare a
togliere l’aria. La maggior parte di loro ha come bagaglio un sacco di iuta o
una valigia vecchissima. Non hanno messo il tutto sul tetto perche’ la’
sopra non ci sta piu’ niente, ormai il nostro bus ha una piramide sopra di
se’ e nulla e’ legato. Ogni spazio cosi’ diventa prezioso per infilare i
propri averi e consentire piu’ liberta’ ai movimenti. Alcune volte mi
accorgo che i sacchi contengono animali ancora vivi. E la gente continua a
salire e salendo porta con se’ il proprio bagaglio, solo i bambini hanno solo
la cartella e sembrano tutti perfetti nelle loro uniformi.
E
salgono e salgono ma … nessuno scende …. Aiuto !!!! Non ci stiamo piu’ !
menomale che il finestrino e’ senza vetro, ogni tanto chiedo a Luigi di
affacciarmi, ma spesso mi si riversa in faccia solo polvere e fumo. Ma che
strade! Polverose, spesso dissestate e piene di buche, noi rimbalziamo sui
sedile mettendo a dura prova il fondoschiena visto che gli ammortizzatori …
bhe’ che pretese un bus con gli ammortizzatori! Forse sono consumati anche
quelli dal tempo o forse questo mezzo non li ha mai avuti. Ogni tanto incrociamo
tratti stradali asfaltati o su cui degli operai stanno lavorando ma sono proprio
pochi. In compenso ci godiamo la campagna intorno a noi, i villaggi son sempre
piu’ rari e isolati e per questo il bus fa anche meno fermate toccando punte
di velocita’ anche di 40Km/h !
La
campagna in India ha delle abitazioni molto povere e rudimentali ma dignitose
nella loro essenzialita’, a differenza delle citta’, dove la gente si
riversa in massa in cerca di una speranza che spesso non trova e allora anche la
dignita’ dell’essere umano viene intaccata sfociando cosi’ nella miseria
piu’ nera. A Delhi lo scorso anno ho visto interi accampamenti ai margini
delle strade o sopra montagne di immondizia, dove anche l’acqua della fogna
e’ un prezioso mezzo di sopravvivenza. Quest’anno di queste situazioni ne ho
viste molto meno ma la mia preoccupazione e’ che il problema non sia stato
risolto ma solo spostato altrove … dove magari e’ meno facile da vedere. Ad
ogni modo qui, in questi posti sperduti dell’India Nord Occidentale, qualcosa
si sta movendo, le strade sono sempre piu’ battute da noi turisti che ci
dirigiamo verso quel luogo isolato nel mondo chiamato Khajuraho; un posto che,
se non fosse per i suoi magnifici templi, non sarebbe neanche segnato sulle
carte. Un luogo che presto traformera’ queste strade polverose in lunghe linee
diritte di asfalto in mezzo al nulla … e allora si riversera’ anche qui la
speranza della gente che non ha niente.
Ci
fermiamo finalmente! Non dovrebbe mancare piu’ di un’ora alla meta, noi ci
fermiamo in questo paesino di cui non conosco neanche il nome per una pausa di
mezz’ora. C’e’ confusione, non so se oggi e’ giorno di mercato per tutti
i paesi di queste zone oppure c’e’ ogni giorno. Forse e’ come da noi il
supermarket, ogni giorno aperto e spesso anche la domenica. Scendo e mi fermo ad
osservare il nostro bus, vedendolo da dietro e’ anche peggio di quello che
pensassi, la ruggine imperversa ovunque. Entriamo nella stazione, anche qui la
gente e’ accampata in ogni angolo e le scritte su orari e tragitti dei bus
sono solo in indy. Fuori invece c’e’ confusione intorno alle poche
bancarelle di frutta e sciami di insetti si precipitano sull’ uva fresca
appena esposta. Decidiamo di girare tra le polverose vie del paese senza un
perche’, forse solo trascinati dalla nostra curiosita’. Si offrono subito
due taxisti per portarci a Khajuraho, ma quando capiscono che non ne abbiamo
bisogno, ci lasciano e vanno ad
oziare dal barbiere del villaggio. Ripenso a Khajuraho e sento subito la gioia
che mi pervade quando arrivo in uno di questi luoghi. La mia passione per
l’archeologia e la storia mi hanno fatto piantare delle bandierine
sull’atlante alcuni anni fa. Frequentavo ancora l’universita’ e i soldi
scarseggiavano, viaggiare era solo un sogno, era il mio sogno. Allora decisi di
viaggiare con la mente mettendo delle puntine in tutti quei luoghi i cui
monumenti suscitavano in me un grande interesse. Speravo cosi’ che un giorno
avrei potuto visitarli tutti o buona parte di essi …ed io ero pronto avevo
gia’ scelto la meta, dovevo solo aspettare il momento buono per partire e
scegliere qualcuno di quei luoghi.
Al
ritorno che soddisfazione sarebbe stata togliere quella puntina dall’atlante !
Palenque
e Tehotihuacan in Messico, Tikal in Guatemala, Nazca e Machu Pichu in Peru’,
Angkor Wat in Cambogia …
e
… Khajuraho appunto.
Il
Madhya Pradesh e’ anche una regione di parchi.
Ce
ne sono diversi e alcuni molto vicini alla nostra attuale posizione, peccato
avere poco tempo, sempre sta’ fretta. Sarebbe stata sicuramente
un’escursione meravigliosa e chissa’ mai, magari trovarsi una bella tigre
abbastanza vicino (ma non troppo). Ho anche letto, da qualche parte, che in
qualcuno dei parchi di questa regione e’ possibile vedere anche una
comunita’ di quei pochi rinoceronti indiani sopravvissuti allo sterminio.
Sara’ per la prossima volta se mai ci sara’ ….
Tho’,
guarda un po’ chi si rivede! Il nostro amico autista sta risalendo sul bus con
la solita tanica d’acqua ben riempita. Ci affrettiamo a tornare, poi il solito
rituale del conducente: un sorso io, il resto giu’ nel radiatore, sputazzata e
finalmente di nuovo in moto.
Il
resto del viaggio trascorre piu’ tranquillamente anche perche’ molta gente
e’ scesa e non c’e’ piu’ la calca di prima. Ci accorgiamo di essere
vicini quando notiamo le strade asfaltate, qualche viale alberato, molta piu’
pulizia e ordine, ha l’aria di essere proprio un bel posto questo piccolo
villaggio.
Scendiamo
e ci facciamo portare da un tuc tuc all’hotel “Casa di William” che
pero’ risulta pieno, allora ci dirigiamo verso la nostra seconda scelta:
l’hotel Zen.
Il
proprietario e’ una specie di santone di origine sicuramente non indiana ma
europea, con i capelli lunghi neri con ciocche bianche. Veste con una tunica e
dei sandali.
“Vi
posso offrire qualcosa da bere?”
Parla
anche italiano.
“Ok,
una coca grazie”, ma prima vediamo le camere.
Non
mi sembrano nulla di eccezionale per le 450Rp richieste ma comunque per una
notte ci possiamo anche accontentare e poi ho fretta di iniziare la visita ai
templi.
Lasciamo
i bagagli in camera, il letto e’ gia’ pronto e avrei una gran voglia di
dormire … ma il ‘santone’ e’ fuori che ci aspetta e ha fatto preparare
le nostre bibite.
“Sono
a posto le stanze ? Si !?!?, c’e’ l’acqua calda fino alle 21”.
Non
ci da neanche tempo di rispondere che ci fa un gesto con la mano e se ne va;
e’ un gran furbo questo personaggio, lo si vede dalla faccia e dagli occhi,
ogni cosa per lui ha un secondo fine .. o almeno questa e’ l’impressione che
mi ha lasciato.
Sempre
il nostro informatore, a Delhi, ci diceva che il suddetto ‘santone’ e’
anche maestro di massaggi e medicina Ajurvedica e spesso approfitta della
situazione con la clientela femminile per dare una dimostrazione di massaggi …
diciamo … un po’ piu’ ‘approfondita’ durante la notte. In fondo,
pero’, sono solo affari suoi.
“Luigi
!!! Andiamo !! e quanto dura sta pipi’ ?????? “
La
strada verso l’ingresso dell’area archeologica dei templi occidentali e’
tutta dritta e questo ci permette di dare una prima occhiata al paese, un
pochino turistico ma molto carino questo Khajuraho.
Ci
siamo, compriamo i biglietti di ingresso e oltrepassiamo la cancellata nera. Ci
sono molte aiuole ben curate e irrigate, alberi sparsi e i templi, meravigliosi
nelle loro forme, nel loro colore, nella loro architettura tipica di questa
parte del mondo piu’ che relativa alla sola dinastia Chandela che li
costrui’. Anche dall’ingresso si vedono le loro pareti adornate da migliaia
di bassorilievi rappresentatnti divinita’, uomini e donne in posizioni Yoga o
meglio ancora in posizioni rese famose dal Kamasutra. E’ piu’ che altro
quest’ultima la particolarita’ di questo luogo, migliaia di turisti vengono
qui ad ammirare la maestria di queste sculture rappresentate nelle posizioni
piu’ ardite in cui il contorsionismo si mischia con l’atto sessuale vero e
proprio.
Ci
dirigiamo alla nostra sinistra, rispetto all’ingresso, andiamo verso il
Lakshmana uno dei templi piu’ grandi. Da qualche parte dobbiamo pur iniziare,
oggi faremo una visita cosi’ generale senza una meta precisa; domani mattina
andremo a caccia di qualche dettaglio maggiore.
Mi
ritrovo cosi’, a salire la scalinata che porta alla terrazza del tempio; la
prima cosa che noto mentre inizio il giro attorno e’ il faccione di Ganesha
che mi guarda. La sua testa di elefante gli da un senso di pace e trasmette la
stessa sensazione; chissa’ come sarebbe stato il suo volto se il suo caro
paparino, Shiva, non gli avesse tagliato la testa. Chissa’ cosa sarebbe
successo a Shiva se non avesse sostituito la testa del figlioletto con quella di
un elefante per placare l’ira di Parvati.
Ad
ogni modo il mio giro non poteva iniziare meglio … grazie Ganesha.
Eccole
qui, le prime sculture erotiche, le prime posizioni Yoga, iniziano anche le mie
fotografie; giro, riguardo, rigiro, vado da un’altra parte insomma passiamo
una buona mezz’ora solo al Lakshmana.
Il
caldo inizia a farsi sentire, ma questa e’ una vera oasi di pace, il verde dei
suoi prati ben curati e, soprattutto, l’ombra dei suoi alberi fornisce il
giusto refrigerio ad una giornata calda ma non umida. Proprio lungo questi prati
e aiuole si snodano i percorsi che conducono tra un edificio e l’altro.
Proseguiamo cosi’ verso la terrazza piu’ grande del sito, dove sono stati
costruiti tre templi. Il piu’ grande, il Kandariya Mahadev, ha purtroppo delle
impalcature che oscurano parzialmente la vista dei suoi bassorilievi e non
permettono di ammirarne appieno la sua maestosita’. L’atro tempio, il Devi
Jagdamba, si trova nell’estremita’ opposta della terrazza, non e’ grande
come il Kandariya ma i bassorielievi sono egualmente meravigliosi e,
soprattutto, e’ libero da impalcature. Si intravedono scimmie un po’
ovunque, anche di notevoli dimensioni, coda molto lunga, canini sporgenti e una
certa aggressivita’. Senza alcun ritegno poggiano tranquillamente il loro
fondoschiena sulle facce delle divinita’ indu’ e guardano continuamente in
basso, non certo spaventate dalla nostra presenza, ma piu’ probabilmente in
cerca di qualche offerta mangereccia. Il piu’ piccolo tempio, il Mahadev, e’
anche il piu’ centrale rispetto alla piattaforma e sembra essere equidistante
dagli altri due posti alle estremita’. Il maggior interesse per questa
costruzione, non e’ certo legata ai bassorilievi, ma ad una statua di leone
che posa la sua zampa sulla testa di una donna inginocchiata. E’ il simbolo
della casa regnante Chandela e scopro dalla guida che in realta’, la donna,
sta accarezzando il leone. Sinceramente a me sembra piu’ una posa di
sottomissione e il leone potrebbe rappresentare solo la trasfigurazione della
potenza di chi regna.
Non
c’e’ molta gente, per il momento i pochi turisti che vedo in giro sono solo
indiani. La terrazza e’ tutta per noi … e per le scimmie. Penso sia anche un
ottimo posto per aspettare il tramonto, vedremo piu’ tardi.
Adesso e’ il momento di proseguire la visita tornando nella stessa
direzione da dove siamo venuti ma dirigendoci nell’estremita’ opposta per
visitare il Vishvanath. Ancora una volta la camminata, anche se breve, e’
spesso interrotta per una foto, per guardare una pianta strana o per osservare
la numerosa colonia di pappagallini verdi presente su questi alberi.
Il
numero di bassorilievi del Vishvanath e’ ancora una volta impressionante ma
cio’ che maggiormente attira la nostra attenzione sono una coppia di statue di
elefanti, posti alla base della piattaforma, a segnare l’accesso alla rampa di
scale che conduce al tempio.
Spesso
mi capita di perdere la cognizione del tempo quando sono in questi luoghi, mi
aggiro per un’eternita’ senza meta e solo dopo alcune ore mi rendo conto del
tempo trascorso. La mia paura, in questo caso, e’ che non sono da solo e
Luigi, ad un certo punto, si sarebbe potuto scocciare di questo vagare… e
invece no, anche lui sembra rapito da questo luogo.
Arriva
cosi’ la sera in un baleno, la giornata ci e’ scivolata via e mi lascia non
un ricordo nitido, ma un insieme di immagini senza una sequenza precisa. Ci
troviamo cosi’ seduti sulla terrazza del Kandariya a cercare di immortalare le
sfumature rossastre dell’ultimo sole sulla pietra e lasciare che quel disco
rosso che sta calando all’orizzonte, chiuda il capitolo dei ricordi di una
giornata piena di emozioni.
Le
ombre lunghe della sera ci riaccompagnano verso il nostro hotel, ci fermiamo in
qualche mercatino e in alcuni negozietti. Sono alla ricerca di una maschera in
pietra o in legno che raffiguri una delle pose contorsionistiche viste sui
templi, oppure qualche divinita’ indu’. Non trovo nulla che mi soddisfi
pienamente se non in un negozietto dove c’e’ una statuetta di legno anticato
da appendere che raffigura nella sua interezza la dea Parvati. Mi piace, e 350Rp
mi sembra una buona cifra. La appendero’ a casa, insieme alle altre maschere
che ho comprato nei vari luoghi che ho visitato da solo o con Paola.
Sopra
il negozietto noto il ristorante “Mediterraneo” che mi ispira moltissimo, ho
fame e dopo dieci giorni di mangiare indiano sono un po’ stufo. Guardo Luigi,
lui mi sembra piu’ restio a provare il cibo italiano all’estero. Io, invece,
questo problema proprio non ce l’ho e onestamente non lo considero neanche
tale. Mangio semplicemente quello di cui ho voglia in quel momento senza pormi
nessuna questione. Ho assistito a qualche discussione, in passato, in merito
all’argomento e ho notato che in giro per il mondo esistono anche viaggiatori
e/o turisti che non assaggerebbero cibo italiano all’estero neanche se li
pagassero. Mangiano solo cibi locali portando all’estremo questo
comportamento, anche se fa schifo e non lo ammettono, anche se hanno voglia di
altro, bhe’, resistono imperterriti pur di dire ho mangiato solo cibo locale!
E’
pur vero che spesso la pasta all’estero non e’ certo granche’, pero’
fino a che punto torturarsi con cio’ che non piace ?
Luigi
e’ una persona che mangia veramente di tutto, come gia’ accennato, ma oggi
e’ d’accordo con me; percio’ dopo la doccia in albergo, abbiamo gia’ le
gambe infilate sotto un tavolo del ristorante Mediterraneo. Una scritta sul muro
ci allieta: “ The chef has been trained in Rome”.
E
la pasta che ha preparato lo dimostra pienamente!
GIORNO
4:
L’alba,
ecco il mio momento preferito per le foto.
Le
strade sono ancora deserte e noi stiamo gia’ percorrendo la stessa via di ieri
che ci porta all’ingresso dei templi occidentali. La sveglia del cellulare
puntata sulle 5 non mi ha lasciato particolari traumi da sonno. Io sono sempre
abbastanza mattiniero, in queste occasioni poi la mia mente e’ gia’ troppo
occupata a pensare a cosa vedere per preoccuparsi anche dell’ora.
Abbiamo
tutto il sito per noi e gironzoliamo alla ricerca del punto migliore dove
osservare il sorgere del sole. Penso pero’ che un posto valga l’altro, il
terreno attorno a noi non e’ esattamente pianeggiante e ci accorgiamo
dell’alba solo grazie alle mille sfumature di rosso che improvvisamente
appaiono sui templi. Probabilmente fino alle 8, se non piu’ tardi, del sole
non ne vedremo neanche il profilo perso com’e’, in questo momento,
nell’orizzonte.
Pian
piano il posto si anima di gente e nuovi visitatori, noi iniziamo la nostra
ricerca di cio’ che ieri non abbiamo visto.
In
particolare la piattaforma del Lakshmana e’ completamente circondata da
bassorilievi talmente realistici da sembrare veri. Osservandoli in obliquo hanno
una profondita’ e una prospettiva che li rendono cosi’ vivi … reali
appunto.
Le
file di elefanti e di cammelli, l’insieme delle persone indaffarate nelle
attivita’ di tutti i giorni.…
e
poi ci sono le sculture erotiche piu’ famose tra cui la posizione 69 tanto
celebrata nel kamasutra (e non solo). C’e’ anche un uomo tutto intento ad
accoppiarsi con un povero cavallo mentre una donna si chiude gli occhi per non
guardare. Riletto forse in un’interpretazione piu’ moderna potrebbe sembrare
che all’uomo fa talmente schifo la signora di cui sopra tanto da preferirle un
animale … oppure e’ banale depravazione? E chi lo sa cosa pensava l’ignoto
artista, resta il fatto che ci ha lasciato una vera e propria meraviglia
artistica, nel senso piu’ ampio del termine ovviamente.
Usciamo
dal sito soddisfatti della visita, abbiamo ancora qualche ora prima di prendere
l’aereo che ci riportera’ a Delhi, percio’ gironzoliamo senza meta per il
villaggio. Proprio di fronte al cancello da cui siamo usciti c’e’ quello che
sembra essere un tempio indu’ in disuso. Entriamo e ci accorgiamo che i locali
attigui alla costruzione centrale sono stati trasformati in una scuola.
“e’
la piu’ prestigiosa di Khajuraho” come ci spiega il direttore che si e’
precipitato ad accoglierci.
“Volete
fare una visita ?”
“Ok
perche’ no, ma … ehm…. Non siamo qui per fare donazioni, siamo capitati
qui per caso”
“No,No,No
no problem …” continua a ripeterci il nostro amico.
I
bambini, appena entriamo in aula, approfittano per distrarsi subito dalle parole
dell’insegnante e ci guardano sorridenti nelle loro divise bianche e verdi.
Ancora
una volta i volti e le persone lasciano un ricordo piu’ profondo di quello che
puo’ fare la semplice pietra, seppur lavorata meravigliosamente come qui a
Khajuraho.
Ho
la certezza che questa breve visita sara’ un bel ricordo … per entrambi.
Mi
accorgo solo ora di quanto siano polverose le strade in questo posto, quindi il
nostro gironzolare ci regala una bella patina polverosa sugli abiti.
Di
negozietti siamo gia’ stufi e percio’ ci sediamo a far colazione nel nostro
caro “Mediterraneo”.
I
dolci qui non sono per niente male!
Il
solito tuc tuc ci porta questa volta all’aeroporto situato esattamente nella
direzione opposta rispetto alla stazione degli autobus dove siamo arrivati ieri.
“Che
bello!”, penso, al check-in della Jet Airways non c’e’ nessuno. Si,
infatti sono tutti in coda per entrare nella sala di attesa, sostanzialmente io
e Luigi siamo gli ultimi. Queste perquisizioni e controlli aeroportuali sono
diventati veramente severi.
La
piccola sala d’attesa dell’aeroporto di Khajuraho e’ traboccante di gente,
ci sono solo 2 voli oggi e, immagino, che i passeggeri di entrambi siano tutti
qui. Non ci resta che aspettare le 13:15 e sperare che non ci siano ritardi.
Mi
guardo in giro, le pareti sono completamente tappezzate dai poster “Incredible
India!”. Ancora una volta mi ritrovo ad osservarli, ne noto alcuni mai visti
altrove con la foto delle cime himalayane e alcuni mercati di cammelli del
Rajasthan …. Ecco, li in fondo, vicino all’uscita, c’e’ una bellissima
palma sulla quale un uomo si sta arrampicando a prendere un cocco, lo sfondo
e’ una spiaggia del Kerala. Nell’angolo opposto invece due monaci buddisti
accendono un incenso.
“Incredible”,
non potevano descrivere l’India con parola migliore, un continente di
diversita’ e di meraviglie da scoprie. Passare una vita qui non implicherebbe
necessariamente vederle tutte e, soprattutto, non significherebbe capire
completamente la cultura di un paese cosi’ diverso.
…
Cosi’ diverso dal nostro mondo ….cosi’ diverso al suo stesso interno.
“Ehi!,
ma … hanno chiamato il nostro volo”.
Una
mandria di buoi si alza dalle sedie, si sposta in massa verso l’imbuto della
porta che conduce alla pista dell’aeroporto. Io e Luigi aspettiamo qualche
minuto poi ci avviamo.
Ci
mettiamo in fila per un altro controllo e poi saliamo.
Questi
aerei della Jet Airways sono molto nuovi, il personale gentile, servono pasti
ben chiusi nel contenitore di alluminio. Mi viene in mente l’aereo da Delhi a
Varanasi con la Indian Airlines: l’aeromobile era uno scassone, sporco, i
pasti venivano buttati sulle ginocchia e soprattutto una fifa terribile quando
per atterrare ha fatto acrobazie modello “frecce tricolori!”.
Scopro
solo ora che il nostro volo non sara’ diretto a Delhi ma tornera’ a Varanasi
per poi ripartire alla volta della capitale. Poco male, speriamo solo che questo
pilota non voglia anche lui esibirsi in acrobazie non richieste.
Il
vassoio di alluminio che ci portano contiene cibo completamente giallo-Titty
inondato com’e’ dal curry e spezie. Mangio qualcosa e lascio la parte piu’
colorata, non ci provo nemmeno a mangiarla. Luigi, come al solito, mangia il
tutto senza troppi problemi; lo guardo, la sua faccia inizia ad arrossire, gli
occhi iniziano a lacrimare mentre la bocca si contorce in pose non proprio
naturali. Vedo che non continua il suo lauto pasto, le lacrime copiose scendono
sul volto e io che posso fare …. Inizio a ridere! Non ho spirito di vendetta o
di rivalsa ma giuro che e’ la prima volta che lo vedo in simili condizioni.
Quel cavolfiore giallo poteva essere usato come arma! Gusto nauseante e
piccantissimo!
A
Varanasi scendono quasi tutti, rimaniamo in non piu’ di dieci. Dopo le pulizie
si riparte in orario per Delhi senza troppo ritardo.
Giriamo
diversi hotel prima di trovare una stanza all’Oriental Hotel, tutti gli hotel
sono pieni, anche quelli economici. Settimana scorsa abbiamo avuto problemi
analoghi a trovare un posto. Ci deve essere una fiera o qualcosa di simile che
attira migliaia di visitatori. Ad ogni modo la nostra posizione e’ abbastanza
centrale tanto da permetterci di raggiungere Connaught Place a piedi.
Il
pomeriggio e’ gia’ inoltrato, visiteremo la tomba di Humayun domani.
Scopriamo di essere anche molto vicino al Central Cottage Industries Emporium,
il nostro luogo di compere qui a Delhi.
Si
nota subito la differenza tra i prezzi della capitale e il resto del paese.
All’Emporium
trovo infatti la stessa statuetta di legno con Parvati a 1150Rp, ovvero piu’
del triplo di quello che l’ho pagata a Khajuraho.
Usciamo
che e’ gia’ scuro e giriamo per l’attiguo mercatino in cerca di qualche
stoffa. I colori sono magnifici e, in alcuni casi, le contrattazioni sono un
po’ troppo estenuanti. Come detto, non mi piace contrattare all’estremo per
guadagnare pochi spiccioli, ma ho anche notato che in alcuni casi il venditore
ci rimane male se lo scambio dura poco. Oltre che un mezzo per guadagnare, la
vendita e la contrattazione, mi sembra, siano anche il mezzo per passare il
tempo.
Ceniamo in maniera piuttosto anonima in un ristorante in Connaught, dove si’ voluto ricreare un ambiente tipo saloon. I camerieri indiani vestiti da cowboy sono pero’ imperdibili.
GIORNO
5:
La tomba di Humayun era uno dei posti che mi mancavano da visitare a Delhi. Non pretendevo certo di rimanere a bocca aperta come lo scorso anno davanti alla Jama Masjid o di stupirmi come per la bellezza dell’area archeologica del Qutub Minar, ed invece ….
Invece e’ un altro di quei posti che metterei tra gli imperdibili a Delhi.
La visita delle tombe dei suoi dignitari e’ gia’ una giusta introduzione a quella di Humayun. Perfetta nelle sue simmetrie, nelle sue geometrie tipiche dell’arte Mogul e di quella araba in generale.
La sua costruzione ha fatto da precursore a tutti i regnanti successivi, sfociando poi in quella meraviglia chiamata Taj Mahal.
Ricordo ancora, lo scorso anno, come mi ha bloccato quasi il respiro la sua sagoma bianca appena l’occhio ha potuto intravederne il profilo. Era stato un viaggio lungo in macchina fino ad Agra ma ne era valsa la pena, come la visita al suo forte rosso.
Il red fort di Delhi non mi ha lasciato particolarmente soddisfatto, ma il red fort di Agra e’ magnifico e vale da solo una visita.
Il Taj Mahal, una delle meraviglie del mondo, il simbolo dell’India, il suo luogo piu’ visitato e, forse, anche il luogo di maggiori contraddizioni. Mi ricordo che ad Agra infatti c’e’ stato un assedio continuo di venditori, di guide, di driver, mercanzia ovunque e tanta, tanta gente a chiedere l’elemosina. Il mausoleo porta molti visitatori, lo stesso luogo attira le speranze di chi vuol uscire dalla miseria; ma neanche lui, il Taj, riesce a creare cosi’ tanta ricchezza da accontentare tutti e non fa altro che accrescerne la vana speranza.
Non molto tempo fa un amico mi ha chiesto:
“Ho saputo che sei tornato dall’India ! Allora raccontami un po’ com’e’ … mi hanno detto che e’ un posto incredibile”.
“Gia’ Stefano, e’ proprio un posto incredibile”.
Andrea Veggetti atahualpa_70@yahoo.it