INDIA 2005

UN VIAGGIO SPECIALE NEL TAMIL NADU DOPO LO TSUNAMI

di Claudio Giacchetti

 

 

In questo racconto non vengono descritti paesi lontani con località da non perdere, non si consigliano alberghi o ristoranti, non vengono rivelate dritte ad altri viaggiatori. È solo la testimonianza di una esperienza personale, un tentativo di dare una mano a degli amici in difficoltà, è il diario di un viaggio che non è ancora finito e che spero non finisca mai…

   

14 gennaio, venerdì; Italia - India

Questo viaggio inizia di notte, attraversando l'Umbria in treno, ma idealmente è cominciato qualche settimana fa quando le prime, terribili notizie sul maremoto, provenienti dal sud-est asiatico diffondevano in tutto il mondo le immagini di una tragedia immane che si è abbattuta in un attimo sulle centinaia di migliaia di vittime che non hanno potuto trovare alcuno scampo dalla furia delle acque impazzite.

Ma il dramma continua ancora a manifestare le sue conseguenze sui milioni di sopravvissuti rimasti senza casa e lavoro e senza prospettive per il futuro.

In quei giorni ho cercato di rendermi disponibile per fare qualcosa di pratico, oltre alla semplice offerta di denaro che non sapevo se e quando sarebbe arrivata a chi ne aveva un estremo bisogno.

Navigando in rete alla ricerca di notizie ed opportunità mi sono imbattuto nella richiesta di volontari da inviare in India da parte di una organizzazione Onlus romana.

Dopo i primi contatti, un veloce viaggio a Roma per il rilascio del visto d'ingresso da parte dell'Ambasciata indiana e le necessarie vaccinazioni previste in questi casi di emergenza, oggi ci siamo ritrovati in quattro all'aeroporto Leonardo da Vinci dal quale decolleremo con un volo della Kuwait Airlines per Chennai (Madras), con scalo a Kuwait City.

Gli altri componenti del gruppo sono: Davide, romano, laureato in Scienze Politiche con specializzazione in cooperazione internazionale, Susi di Milano, ex segretaria di redazione e impegnata in una Pubblica Assistenza e Stefano, responsabile dell'organizzazione con già all'attivo parecchie missioni dall'Albania al Kossovo e nello Sri Lanka.

Prima del trasferimento in aeroporto, abbiamo stipato i nostri zaini di materiale come mascherine, guanti, disinfettanti, cloro ed una quantità di medicinali da distribuire in loco.

La nostra missione dovrebbe essere quella di monitorare la zona del Tamil Nadu più colpita dallo tsunami, verificare lo stato degli aiuti finora giunti e trovare una zona dove poter operare distribuendo attrezzature e medicinali e, in un secondo tempo, creare le premesse per la ricostruzione e la possibilità di ripresa della pesca contribuendo all'acquisto di nuove barche in sostituzione di quelle perdute o distrutte anche attraverso la concessione di microcredito alle famiglie di pescatori.

Per fare ciò avremo a disposizione i contributi di benefattori legati all'associazione ed il supporto logistico nella zona offertoci dalle missioni delle suore Bethelmite con le quali sono già attivati dei progetti di sostegno permanenti.

Durante il viaggio cominciamo a conoscerci, scherzando come un qualsiasi gruppo di amici in vacanza, forse anche per non pensare alle difficoltà che avremmo sicuramente trovato laggiù ed a quello che avremmo visto.

Il volo è regolare ed abbastanza piacevole, con una curiosità: uno schermo mostra sempre la posizione del velivolo rispetto alla Mecca. Anche se ho già volato con compagnie di paesi arabi, non avevo mai visto questo servizio per i pellegrini e i devoti mussulmani.

 

 

15 gennaio, sabato – Muttukaddu

Arriviamo a Chennai all'alba, accolti all'uscita dell'aeroporto dalle suore Bethelmite con la Superiora, Madre Imelda. Ci aspettano con due fuoristrada dove carichiamo le nostre cose e ci dirigiamo subito a Muttukaddu, 30 chilometri più a sud, in una missione dove vengono ricoverati anziani malati e indigenti, dove saremo ospitati nei primi giorni.

Riconosco subito l'India già visitata anni prima, gli stessi colori brillanti, gli stessi odori speziati, l'aria dolcemente calda rispetto al pieno inverno lasciato solo da poche ore, ma soprattutto ritrovo gli sguardi franchi e i modi cortesi della gente indiana, un modo di accoglierti che non può lasciare nessuno indifferente, è subito fraternità e simpatia.

Attraversando villaggi e cittadine, noto che davanti a quasi tutti i cancelli sono stati disegnati complicati ghirigori colorati sul terreno: siamo nel periodo del Pomba, la festa indù di ringraziamento per la buona annata, che quest'anno ha un sapore beffardo. Nonostante il grave momento, nessuno rinuncia ai disegni realizzati con polveri colorate che un tempo venivano fatti con polvere di riso. Anche davanti all'ingresso della missione, le suore hanno realizzato un grande motivo di intrecci colorato.

Queste suore, semplici e con una dolcezza naturale, quasi tutte giovani e continuamente impegnate a fare qualcosa, ci accolgono con entusiasmo. Molte parlano italiano avendo studiato a Roma oppure si esprimono in spagnolo essendo Colombiana la Superiora. Ovviamente tutte conoscono anche l'inglese dalla pronuncia un po' particolare parlato comunemente in India.

Il nostro primo contatto con la spiaggia e con il mare che ha causato il disastro l'abbiamo nel primo pomeriggio.

 

In un'atmosfera quasi surreale, incontriamo alcuni pescatori accoccolati sui relitti di alcune barche con gli sguardi fissi al mare, mentre le reti rimaste ormai inservibili sono aggrovigliate ed ammucchiate tra la sabbia come cetacei arenati.

Non ci sono quasi più barche e le casette in riva al mare sono completamente sparite. Tutti sono accampati alla meglio in tende di plastica azzurra montate sulle prime collinette un po' lontano dalla riva, ma non troppo, quasi a non potersene distaccare, in attesa di una riappacificazione che possa far riprendere la vita di sempre, l'unica possibile per molti.

Al mercato, i banchi solitamente pieni di pesci e molluschi, sono desolatamente chiusi con le serrande arrugginite abbassate. Nessuno va a pesca, sia perchè le attrezzature sono andate distrutte, sia perchè il sentimento prevalente è ancora la paura, paura di demoni e spiriti a cui si dà la colpa di quanto è successo.

Inoltre, nessuno mangerebbe pesce, con il mare che ancora restituisce cadaveri. Si raccontano storie orripilanti di pesci con dita umane nello stomaco a cui è difficile credere, ma che rendono appieno lo stato d'animo della popolazione che tra l'altro si sente colpevole di chissà quale peccato che abbia potuto scatenare così le ire delle divinità.

Visitiamo anche una tendopoli, dove alcune ONG locali hanno già organizzato i primi aiuti. Ci fanno presente di come sia importante per la gente la presenza di qualcuno che si interessi a loro, che li faccia parlare e raccontare l'esperienza vissuta in modo da poter così cercare di superare meglio il trauma.

In questo modo cominciamo anche noi ad imparare  quale sia il giusto modo di rapportarsi con queste persone per le quali anche il semplice fatto di poterci raccontare la propria esperienza è importante.

 

Nel pomeriggio andiamo a Mamallapuram, una zona archeologica con grandi templi scolpiti nella roccia.

I templi  vicino alla spiaggia sono rimasti indenni dall'onda subita, solo le bancarelle tutt'intorno che vendevano cibo e chincaglierie sono state spazzate via, ma la loro ricostruzione è già a buon punto, un modo per far ripartire l’economia del posto. La spiaggia è piena di gente per la festività del Ponga e noi rimaniamo un po’ stupiti di questo, ma ci spiegano che non sono i locali, ma "turisti" dei villaggi dell'interno, che non hanno vissuto direttamente i momenti cruciali dell'evento disastroso.

 

 

Al ritorno visitiamo un altro campo di sfollati, dove un camion messo a disposizione dal Rotary indiano sta scaricando provviste di sacchi di riso.

Al momento la crisi alimentare sembra superata, ma alcuni giovani ci trasmettono i loro dubbi e la loro paura per il futuro, quando tutti gli aiuti finiranno e saranno lasciati in balia di loro stessi.

Un uomo, caricandosi sulle spalle alcuni sacchi di riso, si produce una lussazione della spalla e, con l'aiuto determinante di Stefano, riusciamo a rimetterla a posto guadagnandoci la gratitudine e l'apprezzamento di tutto il campo!

La sera, dopo una sostanziosa cena cucinata dalle suore, che ci preparano piatti meno speziati e piccanti rispetto a quelli a cui sono abituate, facciamo il primo briefing. La situazione non ci sembra catastrofica, la popolazione al momento ha ricevuto aiuti e sostegno e l’emergenza primaria è superata. Domani mattina parleremo con due sacerdoti che conoscono meglio il territorio, ma pensiamo che sicuramente dovremo andare più a sud.

 

16 gennaio, domenica – Nellore

In mattinata ci rechiamo dal vicario provinciale dei salesiani, il quale ci conferma che nella zona la situazione è sotto controllo per quanto riguarda la prima fase dell’emergenza. Nonostante la distruzione di abitazioni ed attrezzature, le perdite umane sono state contenute (15/20 morti, nessun disperso) e le organizzazioni locali, subito attivatesi stanno svolgendo il loro lavoro a sostegno dei superstiti.

Nel pomeriggio visitiamo ancora un campo di tende, la vita si svolge in modo ordinato, gli ospiti hanno già ricevuto riso, vestiario, pentolame e suppellettili. Il problema principale ci sembra essere l’inattività forzata degli uomini, che alla lunga potrebbe portare a fenomeni di alcolismo e depressione.

Consegniamo parte dei nostri medicinali e disinfettanti in un paio di dispensari e decidiamo di andare a dare un’occhiata ancora più a nord, nell’Andra Pradesh, dove, ospiti della Superiora, visiteremo oltre ad alcuni villaggi sulla costa, un orfanotrofio gestito dalle suore.

In serata una lunga corsa in auto ci porta fino a Nellore, alla casa generale delle Bethlemite dove suor Imelda ci accoglie con una ottima cena.

Il complesso è molto grande e comprende l’orfanotrofio, una scuola per 240 bambini che arrivano fino alla X classe, che corrisponde alle nostre elementari e medie inferiori. C’è anche un noviziato dove otto giovani indiane stanno svolgendo il loro percorso per diventare suore a tutti gli effetti.

Ci spiegano che fino a pochi anni fa il ciclo di studi doveva essere completato in Italia, ecco il motivo per cui molte suore parlano la nostra lingua, ma gli alti costi del viaggio e della vita in Occidente, ha di fatto interrotto questa consuetudine con l’apertura nel nord dell’India di un seminario superiore.

Ci sistemiamo in alcuna aule vuote dove erano stati preparati  i nostri letti. Queste suore ci assistono in modo impeccabile e ci consigliano di non aprire le finestre perché le scimmie potrebbero entrare a rubare la nostra roba.

 

17 gennaio, lunedì - Nellore

Partiamo presto con la jeep del convento accompagnati da suor Fatima e visitiamo un villaggio costiero colpito dall’onda anomala. Pur essendo situato alla fine di un canale a parecchie centinaia di metri dalla costa, alcune case in muratura sono state letteralmente attraversate dall’acqua che ha potuto sfondare i muri. Ora i tetti di paglia sono appoggiati sulle macerie.

Gli abitanti, subito riunitisi col capo villaggio al nostro arrivo, ci dicono che al momento la loro situazione è buona, nonostante si siano registrate tre morti, ma chiedono nuove barche e reti per poter proseguire il loro lavoro.

Nel pomeriggio, sempre sulla costa, visitiamo una missione delle suore di S. Anna che gestiscono una scuola per ragazzi sordomuti.

Queste suore non vestono l’abito classico, ma portano un sari color pesca ed hanno il capo scoperto. Dopo una merenda sostanziosa, ci mostrano i segni lasciati dall’acqua sui muri, ma fortunatamente i danni sembrano contenuti. Non così è stato invece per i proprietari di due baracche sulla spiaggia che cucinavano parata e samoza, che hanno dovuto ricostruire tutto da capo. Io compro alcuni piccantissimi parata e tutti beviamo una bibita, così contribuiamo anche noi alla ricostruzione di queste piccole economie familiari.

In serata passiamo un paio d’ore in un grande negozio di tessuti di Nellore, dove Stefano compra alcuni sari di ottima seta che saranno mandati in Italia per essere venduti poi all’asta e far ritornare il ricavato in India. Ottimo questo sistema dove con i soldi dei benefattori si acquistano sul posto prodotti locali da rivendere in Italia ed il ricavato ritorna qui per essere di nuovo reimpiegato…

 

18 gennaio, martedì – Koovathur

Oggi andiamo a sud. Partiamo di prima mattina dopo i saluti delle suore e le foto ricordo che suor Imelda ci chiede di mandarle successivamente dall’Italia.

Il traffico, specie nell’attraversamento di Madras, la seconda città dell’India, è da incubo. Qua l’ora di punta è costante per tutto il giorno e i clacson suonano incessantemente tra le auto che si muovono centimetro dopo centimetro e biciclette e motorini che s’infilano in ogni piccolo spazio. Neanche un breve tratto di superstrada, la prima che vedo in India, ci allevia un po’ lo stress, visto che è intasato da carri trainati da buoi dalle lunghe corna, da vacche sacre pigramente sdraiate sulla carreggiata e, nei tratti liberi, alcune auto marciano contromano tra l’indifferenza generale degli altri automobilisti (e il nostro stupore).

Siamo proprio in India, non c’è che dire.

Per fare 50 chilometri impieghiamo così tutta la mattina e parte del pomeriggio rischiando di perdere il treno che ci deve portare a Koovathur. Alle 17,30 siamo trafelati in stazione e ci concediamo la prima classe, visto che le altre sono completamente stipate da viaggiatori accampati in ogni spazio con tutti i loro bagagli. Il viaggio di tre ore lo passiamo tranquillamente cercando di chiacchierare con un avvocato ed un commerciante con i quali condividiamo lo scompartimento.

Arrivati alla stazione siamo accolti da suor Theresa, la superiora della missione, e dopo un’altra ora di jeep attraverso strade sempre più sterrate, schivando carri, biciclette e viandanti che procedono di notte senza luci, arriviamo finalmente, tardissimo, alla missione.

 

19 gennaio, mercoledì – Koovathur

Ci svegliamo tutti all’alba, e questa cosa sarà una costante nei giorni successivi, a causa della musica sacra sparata a tutto volume dagli altoparlanti della chiesa vicina. Il parroco così dà la sveglia a tutto il villaggio che sembra accettarla di buon grado, ma per noi è un’alzataccia.

Dopo colazione facciamo una prima  ispezione alla missione, che è composta oltre al corpo centrale che ospita noi e le suore, da un dispensario e un piccolo ospedale con un servizio medico giornaliero.

Qui vivono anche cinque bambine orfane che frequentano anche la scuola gestita in paese dalle stesse suore, molto apprezzata dagli abitanti della zona.

Sia il mantenimento delle bambine che i lavori di manutenzione ed ampliamento della scuola sono a carico dell’associazione di Stefano con il contributo di benefattori italiani.

C’è anche un piccolo orto giardino con alcuni polli, galline e uno scorbutico tacchino che diventerà la vittima dei nostri scherzi nei momenti di relax.

Siamo ubicati in un villaggio rurale e la costa dista un paio d’ore di fuoristrada (ho imparato presto che le distanze in India non si misurano in spazio, ma in tempo, visto che a volte per percorrere pochi chilometri necessitano delle ore).

Raggiungere i villaggi dei pescatori non è sempre facile, infatti non esiste una litoranea e per arrivare sino al mare è necessario percorrere strade sterrate quasi sempre prive di indicazioni, per cui il nostro autista si deve fermare continuamente a chiedere informazioni.

Nel pomeriggio facciamo una visita sulla costa dove ci rendiamo subito conto di essere nel centro della zona più colpita.

Il villaggio di Pukkupar che visitiamo è molto danneggiato, le prime file di case, le più vicine alla spiaggia, sono state travolte e non rimane più alcuna traccia come pure dei loro abitanti dei quali oltre un centinaio sono morti o mancano all’appello.

 

Anche le case in muratura nella zona più interna mostrano i segni del passaggio dell’acqua e parecchie hanno le pareti sfondate dalla forza del mare.

 

Un anziano ci racconta di come si sia salvato arrampicandosi in cima ad una palma e abbia resistito così oltre mezz’ora, finché le acque ritirandosi hanno lasciato sotto di lui pesci morti e cadaveri.

In questo villaggio è già presente una equipe medica e volontari provenienti dallo stato del Gujarat, con alcuni meccanici che stanno valutando la possibilità di riparare i motori delle barche recuperati.

In serata, nel patio della missione ci riuniamo per discutere della possibilità di collaborare con questo gruppo o se proseguire verso sud. Alla fine prevale la tesi di Stefano che vuole cercare un villaggio dove gli aiuti non siano ancora arrivati.

 

20 gennaio, giovedì – Koovathur

Ancora una partenza all’alba. Le suore ci danno la sveglia con la musica ad altissimo volume diffusa dagli altoparlanti della vicina chiesa. Dopo una veloce colazione tutti di nuovo in fuoristrada. Oggi andiamo a Velankanni, una cittadina sulla costa dove sorge un famoso santuario dedicato alla Madonna, dove ogni anno decine di migliaia di fedeli si recano in pellegrinaggio. È proprio qui che vediamo la distruzione peggiore e dove, in poco più di mezzora, la mattina del 26 dicembre sono morte oltre 5.000 persone, in gran parte proprio pellegrini giunti da tutte le parti del Tamil Nadu che erano accampati sulla spiaggia in attesa di visitare la basilica.

 

 

Rimaniamo in silenzio tra le macerie delle abitazioni sventrate dall’onda anomala ancora piene di detriti e mobili distrutti.

Mentre siamo in strada assistiamo al passaggio  dei mezzi che nebulizzano cloro lungo le strade per tenere a bada le possibili epidemie.

La basilica è stata risparmiata dall’onda, inspiegabilmente, o forse perché riparata dalle case vicine che hanno permesso all’acqua di defluire ai lati, distruggendo altre abitazioni intorno. Sembra strano, ma è andata proprio così, l’unico edificio ad essere rimasto indenne è stata proprio questa grande chiesa, gremita di più di 2.000 fedeli che hanno così potuto salvarsi.

Tutto intorno già fervono i lavori di riparazione e ripulitura di case e negozi da parte degli stessi abitanti. Questa è una città turistica, l’economia deve riprendere a girare il più presto possibile. Anche gli aiuti e la presenza del Governo qui è massiccia, mentre altrove, come vedremo, non sarà così.

In una piazza a lato del santuario troviamo due grandi tabelloni di legno con affisse le foto dei cadaveri ancora senza nome e gli appelli dei familiari che cercano i dispersi con sempre meno speranze, purtroppo. Avevamo già visto queste immagini in televisione, ma trovarcele davanti ci procura un dolore ed una commozione autentici.

Riusciamo a parlare con le suore che gestiscono una infermeria dispensario accanto alla chiesa che di solito assistono chi, tra i pellegrini giunti in massa, viene colto da malore e che hanno invece passato la giornata del 26 dicembre ad affrontare per prime una catastrofe immane, letteralmente sommerse da decine e decine di feriti e centinaia di cadaveri sparsi lungo le vie. Hanno dovuto affrontare tutto ciò da sole lavorando fino allo stremo e dando indicazioni  ai volontari accorsi sul posto dalle zone vicine, prima che arrivassero in serata i militari con uomini e mezzi,.

Ci dicono di ispezionare la zona costiera limitrofa alla città, che va dai distretti di Nagore a nord, fino al paese di T.R. Pattinam verso sud  dove si trovano i villaggi più colpiti dal disastro e dove gli aiuti governativi sono stati meno presenti.

Andiamo subito a Nagore, enclave mussulmana, dove sorge una grande moschea che le suore stesse ci accompagnano a visitare accolte con rispetto sia dai devoti che dall’imam all’interno della stessa.

Subito dopo andiamo a vedere il campo allestito dal Governo alla periferia della città, formato da una decina di grandi capanne suddivise in vani dove sono stati accolti gli sfollati, i più con le famiglie e le parentele distrutte o disperse.

Parliamo con donne che assistono nipoti orfane o vicini di casa rimasti soli. Mi colpisce in modo particolare una bambina di una decina  d’anni che pulisce continuamente l’anta di una finestra appoggiata in terra, l’unica cosa rimasta della propria casa.

Al nostro arrivo subito si forma un capannello di persone, tra cui il capo villaggio ed alcuni rappresentanti dei pescatori che ci spiegano la situazione. Gli aiuti sono finora consistiti in un contributo di 4.000 rupie (poco più di 70 euro) e 60 chili di riso a famiglia. L’Unicef ha fornito grandi recipienti per l’acqua potabile. La preoccupazione maggiore qui sembra essere l’incertezza per il futuro e l’inattività forzata degli ospiti del campo e dei conseguenti problemi psicologici.

Tornando alla missione che raggiungiamo in tarda notte, riflettiamo sulla possibilità di operare in questo senso e sulla necessità di piazzarci sul posto per evitare questi lunghi e pericolosi viaggi notturni.

 

21 gennaio, venerdì – Koovathur

In mattinata abbiamo una riunione con un medico della zona che già si occupa di volontariato e con Rosario, Presidente di una ONG locale, l’OASIS già attiva nel campo degli aiuti alla popolazione nel campo delle tossicodipendenze e dell’AIDS.

Comprendiamo che solo con la loro collaborazione riusciremo a realizzare i nostri progetti, le organizzazioni locali potranno fornirci i necessari contatti per mezzo dei quali ottenere la fiducia dei capi villaggio senza l’autorizzazione dei quali gli operatori stranieri non potrebbero operare in sicurezza all’interno dei campi.

La riunione inizia con un esercizio yoga che facciamo tutti, suore comprese, in circolo su alcune stuoie nella classica posizione del loto, al fine di attivare la nostra concentrazione che ci premetterà di prendere le giuste decisioni. Poi vediamo un filmato girato in alcuni villaggi costieri nei primi momenti dell’arrivo dei volontari, mezz’ora di immagini che valgono fiumi di parole…

Alla fine la decisione è presa: manderemo il medico con un team specializzato per valutare la possibilità di attivare un sostegno psicologico al campo di Nagore, mentre noi, dovendo restare inattivi fino a domenica, proseguiremo le visite in altri campi della zona che richiedano un intervento più pratico.

 

22 gennaio, sabato – Koovathur

Oggi è il compleanno di suor Theresa, la superiora della missione. Alle otto tutte le sorelle si riuniscono nel refettorio dove è stata preparata una colazione speciale con tanto di torta alla panna. Dopo la rituale preghiera ci uniamo anche noi ai canti ed agli auguri in allegria.

Nel pomeriggio ci rechiamo nella cittadina di Kumbacoon, a fare delle compere per le suore, accompagnando anche le cinque bambine adottate dalla missione alle quali offriamo vestiti e sandali nuovi. Acquistiamo anche il nostro regalo di compleanno per suor Theresa, un apparecchio radio registratore che sarà molto apprezzato. Approfittiamo della giornata di riposo per andare in un internet cafè per leggere la posta e poter mandare così nostre notizie a casa.

Nel pomeriggio sostiamo con la jeep vicino ad un mercato in attesa che le due suore che ci accompagnano tornino dalla spesa. Vedendoci con le bambine all’interno dell’auto, la gente del posto si riunisce intorno a noi commentando la cosa non troppo amichevolmente. Siamo un po’ preoccupati, ma finalmente arrivano le suore che spiegano il motivo della nostra presenza. L’atmosfera si rilassa immediatamente, otteniamo l’approvazione ed il rispetto di tutti e molti vengono a ringraziarci ed a stringerci la mano.

 

23 gennaio, domenica – Koovathur

Nel villaggio si celebra un matrimonio indù e siamo invitati alla cerimonia che si svolge presso la “sala dei matrimoni” vicina alla missione che ci ospita. La festa inizia con l’arrivo  del corteo di invitati con vassoi carichi di cibo e dolciumi, preceduto da una banda musicale con strumenti a fiato e percussioni che suonerà incessantemente fino a notte fonda.

Nella sala tutti gli invitati mangiano riso, chapati e verdure posate su grandi foglie di banano attendendo l’arrivo degli sposi che siederanno poi su due poltrone dorate, vestiti con abiti sontuosi e con grandi collane di fiori profumati al collo. Noi siamo considerati un po’ gli ospiti d’onore ed alcuni ragazzi che parlano un po’ d’inglese cercano di farci comprendere le varie fasi della celebrazione. Ci offrono dolci e cristalli di zucchero in segno di benvenuto. Ad un certo punto tutti i parenti e gli amici si mettono in fila per augurare felicità agli sposi e fare loro un piccolo dono in denaro, così che anche io e Stefano, in rappresentanza del gruppo, ci troviamo un po’ goffamente in fila e salutiamo con un augurio i timidi sposi, mettendo le nostre banconote insieme alle altre su di un piatto di metallo argentato.

Nel pomeriggio incontriamo di nuovo Rosario con il quale ci accordiamo sulla possibilità di coordinarci con la sua ONG già attiva nella zona colpita.

Aspetteremo l’indomani la relazione  del dottore ed il suo gruppo e partiremo poi per la costa dove contiamo di stabilirci in albergo a Karaikal.

Dopo cena le suore ci mostrano il gioco della “carambola”, molto popolare nel Tamil Nadu,  una specie di piccolo biliardo a quattro buche dove vanno mandate delle pedine simili a quelle della dama.

Più tardi decidiamo di fare una visita alla casa degli sposi dove la musica a tutto volume proseguirà per tutta la notte fino all’alba, quando avrà il cambio da quella trasmessa dal parroco. Per noi si prospetta una notte completamente insonne.

 

24 gennaio, lunedì – Koovathur

Alle otto, con una puntualità non comune in India, il dottore arriva alla missione per relazionarci sul lavoro da fare nei campi visitati dal gruppo da lui costituito. Rimaniamo un po’ delusi vedendo che nei tre giorni avuti a disposizione è stata fatta solo una raccolta di dati e di informazioni sulla composizione dei campi, ma nessun progetto viene presentato. Dobbiamo così fare i conti con la differenza culturale tra noi, pragmatici ed organizzati occidentali che devono sfruttare ogni minuto e la mentalità indiana per cui il tempo sembra non avere troppa importanza così come non sembra essere determinante la programmazione di una attività complessa.

Decidiamo di lasciare al dottore ed al suo gruppo la gestione del lavoro di sostegno psicologico e cerchiamo di definire con Rosario come intervenire insieme alla sua OASIS. Purtroppo questa è una giornata persa, partiremo l’indomani mattina  per trasferirci a Karaikal.

 

25 gennaio, martedì – Karaikal

Questa mattina all’alba partiamo con un pulmino carico delle nostre cose, con due suore che ci faranno da interpreti e con Rosario per stabilirci in albergo e per raggiungere il villaggio di Pattinatcherry, abitato prevalentemente da pescatori che hanno perso le loro barche, oltre alle case ed a tutte i propri averi, dove ci sono stati più di trecento morti, tra i quali purtroppo molti bambini.

Sbrighiamo subito le formalità per la sistemazione in albergo trovando un discreto hotel lungo la via principale della città  dove prendiamo le nostre camere al prezzo di 1,50 euro a testa. Altri vantaggi sono la vicinanza a ristoranti e a un punto internet, inoltre a poche decine di metri troviamo un banchetto dove si serve un ottimo chai (tè al latte caldissimo, bevanda corroborante consumata a tutte le ore dagli indiani).

All’ora di pranzo ci rechiamo a vedere il villaggio di Pattinatcherry, che raggiungiamo percorrendo diversi chilometri di strade sterrate. In prossimità dell’arrivo cominciamo a notare barche semidistrutte abbandonate in mezzo ai campi, motori con le eliche divelte e reti aggrovigliate ai cespugli. Questi sono i segni inequivocabili dell’onda che ha spinto le acque per diverse centinaia di metri sulla terraferma trascinando con sé tutto ciò che trovava lungo il cammino. Le coltivazioni rinsecchite stanno marcendo sul terreno corroso dal sale che rimarrà incoltivabile almeno fino all’arrivo delle grandi piogge monsoniche del prossimo autunno.

 

 

La situazione del villaggio è la seguente: la zona più vicina al mare è completamente distrutta, molte abitazioni in muratura hanno pareti crollate e sono pericolanti, diversi pescatori che erano in mare al momento dello tsunami al rientro non hanno più trovato né casa né famiglia. La scuola locale ha perso quasi un centinaio di bambini, circa un quarto del totale. Molte sono ancora le persone che risultano scomparse e lungo la spiaggia si trovano ancora due o tre cadaveri ogni  giorno affioranti dalla sabbia, che vengono segnalati dalla presenza dei corvi. Una tendopoli è sorta in periferia grazie al contributo della Henkel, una multinazionale che ha uno stabilimento di prodotti chimici nella zona. Gli aiuti governativi hanno fornito soprattutto generi alimentari come riso e cereali, ma ora gli abitanti sono lasciati a loro stessi e la sensazione di precarietà è grande.

Al momento del nostro arrivo era in distribuzione il pranzo per i bambini della scuola, costituito da un piatto di riso, un uovo sodo e un mestolo di verdure. Poco dopo è cominciata la distribuzione del pasto per gli adulti del campo, stesso menù in porzioni più abbondanti.

 

 

Dopo pranzo ci riuniamo col direttore della scuola ed alcune insegnanti, le quali ci fanno presente che tra i bambini c’è un estremo bisogno di vestiti nuovi e materiali per la pulizia personale. Accettiamo subito di provvedere a tutto ciò e così passiamo il pomeriggio a segnare sui nostri taccuini quantità e misure.

Ci lasciamo con la promessa da parte nostra di tornare entro un paio di giorni con tutto il materiale richiesto e con la possibilità di estendere il nostro aiuto in modo che possa coinvolgere maggiormente tutti gli abitanti del villaggio.

La sera festeggiamo il buon lavoro svolto con una cena in un ristorante di lusso, dove spendiamo quasi 3 euro a testa!

 

26 gennaio, mercoledì – Karaikal

Trascorriamo tutta questa giornata in città, visitando molti negozi dove contrattiamo i prezzi e la quantità dei materiali da reperire. Dobbiamo riconoscere che venuti a conoscenza della destinazione delle merci richieste, i commercianti si prestano volentieri a sostanziosi sconti, contribuendo così a modo loro alla gara di solidarietà nei confronti delle popolazioni colpite.

Alla fine riusciamo a mettere insieme vestiti, biancheria intima, sapone, shampoo, olio per capelli, pettini, dentifricio e spazzolini, detersivo ed altro per quasi 200 bambini di ogni età, spendendo poco più di mille euro. Questi sono i miracoli che solo l’India rende possibili.

Durante una breve sosta degli acquisti, raggiungiamo il porto della vicina Nagappattinam, dove ci si presenta uno spettacolo surreale e terribile: tutti i grandi barconi da pesca, sono ammassati l’uno sull’altro semidistrutti, come se una grande mano li avesse sospinti in un angolo verso i piloni di un pontile.

 

 

Alcuni di questi sono addirittura finiti in secca nei campi vicini, pensare che sono imbarcazioni cabinate grandi come i nostri pescherecci e pesanti qualche tonnellata.

Non riusciamo a vedere una pronta ripresa economica della zona se non tramite un massiccio intervento organico da parte del Governo centrale, ma riuscirà l’India che vuole essere considerata una grande potenza, a vincere questa scommessa rifiutando gli aiuti internazionali?

 

27 gennaio, venerdì – Pattinatcherry

In mattinata stipiamo due fuoristrada con le scatole contenenti le merci da consegnare a Pattinatcherry e ci rechiamo sul posto, sempre all’ora di pranzo, sempre con lo stesso menù. I bambini stanno ordinati in fila e non si vedono le intemperanze ed i giochi che caratterizzerebbero il comportamento dei “nostri” in situazioni analoghe. Qua l’infanzia è molto più responsabilizzata, inoltre questi bimbi hanno ancora negli occhi immagini e sensazioni così terrificanti che lascerebbero sconvolto anche un adulto.

Gli insegnanti ci mettono a disposizione un’aula della scuola dove preparare i sacchetti da consegnare ai bambini. Il lavoro è faticoso anche perché dobbiamo aprire tutte le confezioni per impedire che i genitori le sequestrino ai figli per rivenderle, ma viene fatto in allegria aiutati da alcune maestre e dallo stesso direttore.

Appena pronti, tutti i bambini vengono messi in fila (ancora una volta) in ordine di età e ad ognuno consegniamo un vestito ed un sacchetto con i prodotti per la pulizia, nonché un pacchetto di caramelle ed alcuni palloncini che ho portato dall’Italia, offerti dai compagni di scuola di mio figlio. Proprio questi riescono a dare un momento di serenità a tutti bimbi che finalmente rompono le righe e giocano gonfiando palloncini multicolori. Ecco, improvvisamente mi ritrovo circondato da piccoli sorridenti e vocianti che vogliono una foto, che giocano in un momento di felicità spontanea che li accomuna così a tutti i loro coetanei del mondo.

Più tardi, timidamente alcune nonne ci vengono a chiedere altri palloncini per i più piccoli e dobbiamo dare fondo a tutte le nostre scorte per accontentarle.

A fine giornata ci riuniamo  con gli insegnanti ed il direttore che ci ringraziano molto, colpiti dal fatto che abbiamo lavorato con loro sentendoci partecipi e coinvolti emotivamente nella loro situazione e ci offrono un brindisi con l’unica cosa che hanno, un bicchiere di latte.

Durante il tragitto di ritorno rimaniamo imbottigliati in un grande ingorgo causato da due autobus rimasti impantanati in un grande mucchio di rifiuti (!) e rischiamo di rimanere anche senza benzina  a causa dell’autista un po’ troppo parsimonioso, ma raggiungiamo la città per cena.

Il proprietario dell’albergo ci fornisce addirittura la sua macchina con l’autista che ci porta fino al ristorante e dopo cena per concludere degnamente questa giornata andiamo a bere qualcosa in quello che definiamo come “il peggior bar di Caracas” una specie di bettola sporca con i muri scrostati dove consumiamo birra e noccioline in compagnia degli “sbevazzoni” del posto, che mutano presto in calda cordialità l’iniziale diffidenza nei nostri confronti.

 

28 gennaio, sabato – Madras

Ultimo giorno della mia permanenza in India.

In mattinata ci dividiamo i compiti, mentre Stefano e Davide vanno a comprare ancora alcune cose per il “nostro” villaggio, io e Susi andiamo con Rosario a portare una anziana signora sofferente dal medico. Nei giorni precedenti avevamo visitato infatti un altro villaggio sulla costa dove avevamo preso a cuore la situazione precaria di questa donna sofferente per una forte artrosi agli arti inferiori e ci eravamo ripromessi di farla curare, cosa che da sola non avrebbe fatto perché non poteva permettersi di pagare né la visita nè le medicine.

Una volta giunti sul posto, le donne malate sono diventate due, essendosi presentato un ragazzo a raccomandarci sua madre sofferente di una grave insufficienza respiratoria. Prendiamo così in macchina anche la seconda signora che portiamo da un medico il quale effettua le due visite (chiedendoci l’equivalente di un euro ognuna) e prescrive loro le cure del caso. Dopo aver accompagnato le due signore, prima al dispensario a comprare le medicine ed averle poi riportate a casa, rientriamo in città in tempo per prendere l’autobus per Madras da dove partirà l’aereo con cui rientrerò in Italia.

Finisce così, con questo ultimo servizio il mio lavoro di volontario in India. Alle 14.00, accompagnato da Stefano che deve fare una commissione a Madras, prendo un autobus modernissimo con tanto di aria condizionata che però si guasta quasi subito, come a voler sottolineare che dopotutto siamo ancora in India, il paese della precarietà…

 

Oggi… aprile 2005 – Italia

Sono stato il primo del gruppo a lasciare l’India, so che il lavoro era appena cominciato e non siamo riusciti a fare tutto quello che volevamo, abbiamo passato insieme momenti esaltanti e di grande frustrazione, ma per nessuno di noi l’esperienza è finita lì.

Il nostro sostegno ai bambini della scuola di Pattinatcherry è continuato. Stefano è rimasto sul posto per altre due settimane, fornendo l’apporto economico per iniziare a ricostruire i bagni della scuola, perché la situazione sanitaria era molto precaria, mentre l’organizzazione di Rosario ha provveduto a ristrutturare le cucine.

Susi e Stefano hanno poi proseguito il loro viaggio fino a Trivandrum, nel Kerala visitando le altre missioni delle suore Bethlemite. Oggi Susi è ritornata a Milano ed ha ripreso la sua attività di volontariato, ma si tiene costantemente in contatto con noi, mentre Stefano e la sua associazione continuano a sostenere dall’Italia i progetti già iniziati da tempo, quali l’ampliamento di una scuola, il mantenimento di alcuni dispensari e soprattutto l’adozione a distanza delle bambine di Koovathur.

Davide è riuscito a realizzare il suo sogno.

È rimasto in India e continua a lavorare nel villaggio collaborando con alcune ONG locali, aiutando psicologicamente i pescatori che hanno perduto la famiglia, cercando con la sua grande carica di umanità, di far ritornare in loro la fiducia in un futuro più sereno.

Infine, io continuo ad occuparmi dell’assistenza e della ricostruzione nel villaggio di Pattinatcherry che ormai abbiamo adottato, grazie ai fondi raccolti tra il personale dell’azienda dove lavoro. Ovviamente il nostro referente sul posto è proprio Davide che  ora sta lavorando alla definizione dei progetti che poi seguirà direttamente fino alla loro realizzazione.

 

E così questo nostro viaggio continua…  

 

 

 

 

 

 

 

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