INCREDIBLE INDIA

Diario di viaggio 11-29/11/2005

di Annalisa e Diego Lucianetti

 

Jaipur

Come al solito, partiamo dall’organizzazione del viaggio.

L’India certamente non era la nostra prima scelta, anzi probabilmente proprio non la prendevamo neanche in considerazione fino a qualche mese fa, poi la volontà di evitare anche quest’anno la profilassi antimalarica, ci ha fatto restringere le ricerche sulla meta ed abbiamo iniziato a considerare l’ipotesi Rajasthan e Laccadive per poter fare alcuni giorni di mare, visto che nell’ultimo viaggio in Perù qualche giorno di relax al mare un po’ ci era mancato.

In più altro punto a favore su questa meta è data dalle condizioni meteo ottimali per il periodo di novembre.

Così intorno alla fine di giugno iniziamo a ricercare informazioni in rete.

Subito capiamo che se vogliamo fare un giro serio in Rajasthan dovremo anche quest’anno rinunciare al mare, infatti oltre al costo esorbitante per un soggiorno alle Laccadive c’è anche un problema di logistica, infatti si perderebbe troppo tempo per raggiungerle.

Bene al lavoro e grazie san Google, la guida Lonely Planet e alcuni frequentatori di IHV, tra cui cito MrA, Federicop e Marcaval si proprio lui quello che ci ha già aiutato per il Madagascar e il Perù racimoliamo un’infinità di informazioni.

Stavolta una grande mano c’è la offre anche Simona, alias Stella che avevamo aiutato per il suo viaggio in Madagascar.

Ci piacerebbe girare per conto proprio, con i mezzi locali, autobus e treno, ma con soli 17 giorni decidiamo che la cosa migliore è affidarsi ad un’agenzia del posto per affittare un’auto con driver per girare in Rajasthan poi, con un treno notturno, andremo a Vararanasi ( Benares) e da lì con un volo interno torneremo a New Delhi.

Chiediamo diversi preventivi in rete, più o meno tutti hanno  lo stesso importo, alla fine scegliamo Tour Passion un’agenzia il cui gestore, Bobby, parla anche un buon Italiano, proprio questo motivo ci ha fatto scegliere la sua agenzia.

Bobby mi ha poi detto che ha imparato l’Italiano perché per molto tempo ha lavorato come guida per i Viaggi del Ventaglio fino a quando, qualche anno fa ha deciso di mettersi in proprio. Ora possiamo dire che la nostra scelta si è dimostrata ottima.

Non ci resta che comperare i biglietti, scegliamo Luftansa, anche se non è la meno costosa, ma parte da Falconara a 3 Km da casa nostra e questo ci fa molto comodo. I biglietti ci costano 870 euro cadauno. 

Mi sono già dilungato troppo con preparativi, veniamo ora al viaggio vero e proprio.

 

 

Anzi no, partiamo dal 11/11, il giorno del volo per New Delhi, infatti all’aeroporto di Falconara, la gentile donzella al desk per produrre i biglietti ci dice che non può emettere il biglietto per il volo internazionale perché il nostro volo da Falconara a Munich è in ritardo di 50 min. e non faremo mai in tempo a prendere la coincidenza.

Dopo un’animata discussione la convinciamo ad emettere ugualmente i biglietti internazionali, poi una volta a Monaco vedremo il da farsi.

Il  risultato è che riusciamo ad imbarcarci nel volo internazionale in tempo in tempo, ma Luftansa non fa in tempo a imbarcare gli zaini, a destino ne arriva uno solo, tra l’altro quello meno importante, infatti rimane a spasso per l’Europa quello con i medicinali.

Vabbè ci rassegniamo e facciamo denuncia di smarrimento di uno zaino al desk dell’aeroporto.

Problema: dove ci recapiteranno lo zaino? Noi non abbiamo un tour con le tappe già prestabilite, a parte alcuni hotel già prenotati, per cui non potremo essere rintracciati…

contatto telefonicamente il ragazzo dell’agenzia di Delhi con cui abbiamo affittato l’auto per chiedere come possiamo fare, se è meglio che rimaniamo a New Delhi un altro gg e poi passare a prendere lo zaino l’indomani mattina e iniziare il giro con un giorno di ritardo ma Bobby ci  dice di lasciare il suo  numero di telefono alla Luftansa in modo  da far recapitare lo zaino a lui che poi in qualche modo ce l’avrebbe fatto avere.

Che fare? Ci fidiamo di Bobby e si parte, il Rajasthan ci aspetta.

Fuori incontriamo il nostro driver, è un ragazzo di 29 anni di nome Raj,  è sposato e ha due   bambine.

L’auto in cui saliamo è un’Ambassador bianca degli anni ’70 vagamente somigliante ad un vecchio 1100 FIAT, pulitissima e  tirata a lucido come poche ne ho viste, dotata di aria condizionata ed è comodissima. Pochi minuti  e siamo già nel caos infernale delle strade di Delhi. Certo la strada è a quattro corsie a doppio senso di marcia, ma si viaggia a 20Km all’ora infatti si incontrano risciò, tuc-tuc, biciclette, motorini, vespe, lambrette e qualsiasi due ruote degli anni 60-70 che a suo tempo probabilmente erano a spasso in qualche città europea ed ora trasportano tre o quattro persone indiane, ci sono camion colorati, il cui abitacolo è ornato di fiori bianchi, arancioni, gialli, quasi tutti sono senza lo sportello dalla parte dell’autista e normalmente la parte posteriore del camion è  dipinta e c’è una scritta: “ Please Horn”, infatti il frastuono dei clacson e relativo inquinamento acustico sono a livelli folli, tutti  suonano ripetutamente, in un incrocio, per un sorpasso, quando si attraversa un centro abitato, il tutto senza un minimo di rispetto per le norme della strada, sui semafori  o sugli incroci, vige la legge del più forte si va con cautela e si spera che non accada nulla, ci sono autobus talmente vecchi e malridotti che mi chiedo come possano riuscire ancora a camminare e stare per strada pieni ma talmente pieni di gente da far paura, senza considerare che ai margini del bordo stradale si possono vedere vacche, asini, cammelli, capre…

insomma mi sembra di essere capitato in una gabbia di matti

Questa mia ipotesi viene confermata da un ragazzo indiano, che incontriamo in una stazione di servizio dove facciamo gasolio, che, in perfetto italiano ci dice che  vive a Milano da dieci anni e di essere sconvolto da quello che ha visto nelle strade al suo ritorno in patria,  dieci anni fa, secondo lui non c’era neanche un decimo del traffico e del caos di adesso.

Va bene riprendiamo il viaggio verso Jaipur, la capitale del Rajasthan, è una città di diversi milioni di abitanti ed è comunemente chiamata la città rosa, il perché lo si capisce immediatamente, tutti i palazzi all’interno delle mura sono dipinti di colore rosa, infatti nel 1876 il maharaja Ram Singh fece verniciare tutti i palazzi di questo colore in segno di ospitalità verso il principe di Galles in visita alla città.

Arriviamo che  è tardo pomeriggio e dopo una breve sosta per vedere da fuori l’Amber Fort, che visiteremo al successivo passaggio per  Jaipur dopo 12 gg, siamo già nel caos del traffico del  centro città.

                  La città vecchia è ancora cinta da mura merlate, anch’esse dipinte di rosa, ed ha diverse porte di accesso, le più importanti sono: Chandpol, Ajmeri,Sanganeri.

All’interno dei suoi larghi viali si possono vedere carretti carichi di frutta, spezie o legumi, alcuni trainati manualmente e altri trascinati stancamente da cammelli, asini o cavalli, ai lati delle strade,  prevalentemente sotto i portici ci sono negozietti di tutti i tipi, da quelli che vendono artigianato locale come dipinti e oggetti in legno, argento, stoffe oppure piccole bancarelle che vendono fiori colorati o turbanti in mezzo al traffico impazzito di motorini, automobili, risciò, biciclette, autobus che suonano all’impazzata, dove in qualche modo cercano di destreggiarsi, asini, vacche, capre, cammelli, cani e uomini, quasi tutti vestiti in abiti tradizionali con tanto di sgargiante turbante colorato.

Scendiamo nei pressi del City Palace, che visiteremo, quando ci imbattiamo in una sfilata di sole donne hindu che escono dall’ingresso del palazzo.

Sono tutte, ma proprio tutte, vestite con abiti tradizionali di color giallo arancione e tutte portano in testa una brocca che presumibilmente contiene acqua o latte, sfilano davanti ai nostri occhi accompagnate da carri che suonano musiche Rajasthane.

Rimaniamo alcuni minuti rapiti ad osservare questo spettacolo facendo decine di foto, poi ci dirigiamo a piedi all’ingresso del Palazzo.

E’ un vasto complesso suddiviso in una serie di giardini, cortili ed edifici, e rimaniamo particolarmente colpiti dalle raffinatezza delle lavorazioni di quattro porte che si trovano all’interno di uno dei vari cortili che attraversiamo, una delle quali, la Peacock Gate è dedicata al pavone, animale sacro.

Visitiamo alcuni degli edifici aperti al pubblico, mi ricordo il Diwan-i-Am e Diwan-i-Khas  e il Mubarak Mahal..

E’ quasi l’ora del tramonto e siamo veramente stanchissimi per cui decidiamo di andare a riposarci nell’hotel che ho prenotato dall’Italia via internet.

Percorriamo di nuovo in auto il centro città, ora al tramonto i colori degli edifici sono ancor più carichi di colore e maggiormente suggestivi, ci fermiamo a fare delle foto alla facciata del Hawa Mahal o palazzo dei venti.

Si tratta di un palazzo di cinque piani  che si affaccia sulla via principale della città, è definito un esempio dell’architettura di stile Rajput infatti ha raffinate finestre in arenaria rosa realizzate a nido d’ape. Sulla guida c’è scritto che questa struttura fu ideata per consentire alle donne della casa reale di osservare lo svolgimento delle processioni e della vita quotidiana. Purtroppo l’interno non è agibile  e quindi ci dobbiamo accontentare della facciata.

L’hotel che abbiamo scelto è carino per cui decidiamo di restarci anche per cena visto che c’è un ristorante.

Siamo al primo impatto con la cucina indiana, mangiamo del mutton ( pecora o agnello) con una salsa al curry, del riso bianco e pollo tandori e chapati accompagnato da pepsi e acqua. Rimaniamo entrambi favorevolmente colpiti da questi sapori.

Siamo a letto prestissimo, ma altrettanto presto siamo svegliati dal suono di una banda che è nei pressi dell’hotel, ci affacciamo in pigiama e assistiamo ad una strana manifestazione.

Ci sono delle persone che trasportano sulle loro spalle dei lumi che peseranno 50 Kg, un carretto che attaccato ad un generatore emette una musica assordante, ci sono degli uomini vestiti con abiti da banda paesana che suonano trombe e chitarrine, della gente che balla ed altra che sfila in corteo e in fondo alla sfilata un uomo su un cavallo decoratissimo vestito di bianco e ogni tanto qualcuno spara dei razzi e petardi.

Stupiti da quello che vediamo, chiediamo in giro di che cosa si tratta, un cameriere dell’hotel ci dice che è il rito che precede un  matrimonio, successivamente in giro ne incontreremo a decine. Molto molto carino e caratteristico.

 

 

 

Pushkar

 

Dopo un’abbondante colazione siamo già in strada diretti a Puskar per vedere la piccola città sacra durante i giorni della Camel Fair.

Usciamo dalla città rosa e prendiamo la strada diretta a Jodhpur, dobbiamo percorrere circa 300 km fino ad Ajmer poi fare una piccola deviazione verso Pushkar. La strada ha poco da invidiare ad una nostra autostrada, si paga anche il pedaggio, non credevo di trovare strade in così buono stato  e soprattutto non credevo di trovare così tanto traffico, soprattutto di camion, si capisce che l’India, almeno in questa zona è in forte sviluppo economico.

Arriviamo a Pushkar all’ora di pranzo e andiamo subito nella zona riservata ai campi tendati dove l’agenzia ci ha prenotato una tenda per due notti, infatti siamo stati costretti a prenotare in anticipo perché in questo periodo è praticamente impossibile trovare da dormire, se non si prenota con alcuni mesi di anticipo visto che Pushkar è una piccola città di 20 000 abitanti, con modeste strutture turistiche e durante la Camel Fair invece si raggiungono anche le 200 000 persone tra visitatori e cammellieri.

La Camel Fair è un vero e proprio mercato di animali,  è una delle manifestazioni più popolari e importanti di tutto il subcontinente.

Nei 5 giorni della fiera avvengono trattative, compravendite di circa 25 000 cammelli  e arrivano circa 50 000 cammellieri da tutto il nord ovest dell’India ogni anno.

In molti villaggi rurali dove non c’è né  acqua né luce, il cammello rappresenta l’unico mezzo di trasporto, sia per le merci che per le persone, diventando così indispensabile per la sopravvivenza.

Ecco perchè i cammelli vengono trattati benissimo, per l’occasione vengono anche agghindati e ornati, lisciati e profumati, sia per venerazione ma anche per renderli più appetibili alla vendita.

Ho letto diverse cose su internet e in televisione riguardanti la Camel Fair,  sono molto incuriosito di vedere quello che accade durante questa fiera  ma quello che mi si presenta davanti va oltre tutte le più stravaganti e sfrenate immaginazioni.

Ma la Camel Fair non è solo compravendita di cammelli, in questa fiera vengono contrattate  anche vacche e cavalli e in tutta la città si respira un’aria quasi carnevalesca.

Infatti passeggiando per le vie di Pushkar, che durante la fiera sono chiuse al traffico, si fa per dire perché tra la folla di viaggiatori occidentali e moltissimi turisti locali, sfrecciano incuranti della gente migliaia di moto, ci sono banchetti ad ogni angolo, si vende di tutto, dalle collanine ai flauti, dalle marionette alle spezie, dai legumi alla frutta, dagli attrezzi specifici per i cammelli alle stoffe, da negozietti che vendono oro o argento ai ristorantini che cucinano ed espongono le loro prelibatezze, rendendo l’aria speziata, insomma l’elenco potrebbe essere infinito e l’obiettivo non sa dove posarsi.

In una zona, tra il centro della città e la zona periferica, quella dove vengono radunati i cammelli c’è una specie di parco divertimenti  con tre giostre panoramiche alte una ventina di metri, sulla cui sicurezza non scommetterei neanche una rupia, giostre più piccole adatte a bambini, stand o meglio gabbiotti dove si esibiscono gli eunuchi al ritmo assordante e distorto di musiche tradizionali sparate ad un volume allucinante da casse fatiscenti, altro che le nostre discoteche, contemporaneamente in un campo da cricket avvengono sfilate e manifestazioni di cammelli e tutta la zona è avvolta da una fitta  polvere che si alza dalle strade sterrate e dalle zona dove sono piazzati gli animali, insomma sembra proprio di essere nell’ombelico del mondo.

Comunque lo spettacolo più bello è offerto dalla folla, è veramente difficile descrivere la quantità di gente, quasi tutti vestiti con abiti tradizionali dai colori sgargianti, è un moto continuo, ininterrotto dall’alba fino al tramonto.

Come ho già detto Pushkar non è solo Camel Fair ma è anche un’importante centro di pellegrinaggio hindu, una città sacra che si sviluppa sulle sponde di un piccolo lago attorniato da innumerevoli templi, quasi tutti bianchi e ghat dove si possono incontrare molti sandhu ( uomini che perseguono la ricerca spirituale).

Noi abbiamo trascorso qui due giorni intervallando momenti trascorsi nella zona vera e propria della fiera ad osservare i cammelli e i cammellieri nelle loro contrattazioni, altri stando sulle rive del lago seduti sui gradini ad osservare lo svolgersi della vita intorno a noi. Vediamo gente che prega, altri che si purificano facendo il bagno e altri ancora che semplicemente si lavano e poi lavano anche i loro vestiti. E’ uno spettacolo vedere quei turbanti colorati, solitamente arancioni, rossi o bianchi,  che, una volta lavati,  vengono messi ad asciugare al sole, appesi nei i rami degli alberi o semplicemente tenuti per le loro estremità,  svolazzare nel vento caldo della mattina e sullo sfondo vedere l’acqua azzurra del lago, i templi bianchi e le scalinate dei ghat  e osservare i loro possessori, per lo più gente grande con grandi baffoni attorcigliati  aspettare pazientemente che questi si asciugano.

Altri momenti li abbiamo trascorsi visitando l’interno di alcuni templi tra cui i più degni di nota sono il Brahma Temple e il tempio in onore di Krisna.

Ho ancora negli occhi l’immagine delle donne Rajasthane, con i loro vestiti rossi e con il velo sulla testa che accendendo degli incensi pregando davanti ad una statuetta di Shiva riposta dentro una nicchia ricavata da una colonna di marmo del Brahma Temple.

Abbiamo anche deciso di trascorrere il tramonto della prima sera nei pressi del lago, per vedere il cambiamento di colore dei templi, passano da bianco durante il giorno,  ad arancione intenso poi giallo e di nuovo bianco dopo il tramonto, e la seconda sera nella vallata desertica, per osservare anche qui i colori degli animali, della gente e del deserto, tutto si tinge di arancione e tutto sembra rimanere sospeso nel vuoto, come incantato, grazie soprattutto alla sabbia che luccica rendendo l’atmosfera magica. Difficilmente dimenticherò questo spettacolo. 

Tra le cose “strane” che mi hanno colpito in questo primo impatto con l’India ci sono  i molti ragazzi ma anche uomini adulti che ho visto passeggiare tranquillamente tenendosi per mano,  questo gesto per loro è naturale ed è significato di rispetto, amicizia,  affetto, è successo più volte che i ragazzini più piccoli mi guardassero in modo strano, ammiccando e sorridendo, perché, spesso in quel caos ero io che andavo per mano con Annalisa.

Certo che non è sempre vero che tutto il mondo è paese.

Abbiamo anche visto molti handicappati in mezzo o ai lati della strada chiedere l’elemosina, in principio non ci abbiamo fatto caso, ma poi vedendone molti, troppi, abbiamo chiesto il perché a Raj che ci ha dato una risposta che ci ha lasciato esterrefatti,  quasi tutti  sono poverissimi e  per poter raccogliere  più soldi si deturpano il corpo, o peggio ancora lo deturpano ai loro figli,  tagliando i tendini delle gambe o delle braccia, divenendo così dei tronchi umani, per  essere più visibili e quindi mettere insieme qualche denaro in più, veramente straziante.

La sera, nel campo da cricket l’ente per il turismo del Rajasthan organizza balli e danze tradizionali, noi entrambe le sere, prima di tornare al campo ci facciamo una scappatine per assistere gratuitamente allo spettacolo di suoni e danze.

Entrambe le sere verso le nove ritorniamo al campo e incontriamo Raj, che di nascosto, ci offre del rhum, lo fa di nascosto perché essendo Pushkar una città sacra è proibito l’uso di alcolici e di carne, ma lui che aveva comprato una piccola bottiglia di Rhum ad Ajmer e parlando con noi ha capito che ci avrebbe fatto piacere assaggiarlo ci invita fuori dal campo, dietro l’ambassador e ce ne offre un bicchierino.

Non credevo di trovare del Rhum in India, certo non è il “Zacapa” del Guatemala, ma è anche vero che il regno dei Rhum si trova dall’altra parte del mondo e bisogna sapersi accontentare, inoltre  questa marca, “Old Monk”, non è per niente male.  

 

 

 

Chittorgarh- Udaipur

 

L’uscita da Pushkar la mattina successiva  è tutt’altro che agevole, infatti gran parte della gente locale se ne torna ai propri villaggi e gran parte dei turisti se ne vanno visto che ormai la Camel Fair è finita, facile immaginare che un piccolo paesino con poche strade di accesso diventi un ingorgo pazzesco.

Insomma dopo due ore circa di strada sterrata siamo di nuovo sulla strada principale diretti ad Udaipur, ma prima faremo una deviazione verso Chittorgarh dove in cima alla collina che domina la città si staglia una grande fortezza.   

Ci arriviamo nel primo pomeriggio dopo aver fatto una sosta in un ristorante per poter mangiare qualcosa, inizio ad avvicinarmi alla cucina indiana e inizio a scoprire che per me è particolarmente buona, come approccio con la carne ho mangiato del chicken Tandori veramente ottimo una discreta birra e per chiudere dei semini verdi, anice, mischiati con dei cristalli di zucchero per purificare l’alito. Veramente squisito.

La città in se stesso non ha nulla di particolare, ma dal basso la vista della fortezza che la domina è spettacolare.

Per raggiungere il cuore della fortezza si sale per circa due Km superando una serie di ripidi tornanti, oltrepassando 7 gate, porte, giungendo quindi sul lato occidentale alla porta principale la Rampol.

La fortezza  oggi non è in buone condizioni se si escludono i palazzi principali, le torri e i templi che sono conservati con  cura,  ma le rovine sono talmente vaste e imponenti che riescono a testimoniare bene la grandezza di questo forte fondato intorno al XIV, che per ben tre volte è stato saccheggiato da nemici più forti e in tutte le occasioni gli assalti terminarono secondo la classica tradizione rajput che prevedeva il Jauhar (ossia il suicidio collettivo): gli uomini con gli abiti del martirio, una volta constatato che non sarebbero riusciti a difendere il forte, uscivano a cavallo andando incontro a morte certa mentre le donne e i bambini che rimanevano all’interno delle mura si immolavano su un’enorme pira funeraria.

Queste gesta epiche rendono Chittor speciale per molti abitanti della zona.

Nel nostro breve giro visitiamo prima i templi giainisti, che sono bellissimi, le loro colonne tutte scolpite con immagini sacre finemente lavorate, le loro cupole altrettanto lavorate, il profumo di incenso che pervade tutta l’aria circostante con i pellegrini che si raccolgono in preghiera dopo aver lasciato la loro offerta alla divinità del tempio, ma rispetto ai templi giainisti che vedremo a Ranakpur sono poca cosa.

Visitiamo poi la torre della Vittoria, che con i suoi nove piani  raggiunge l’altezza di 40 mt circa e dalla cui sommità si gode di una bella veduta dell’intero complesso.

E’ bello passeggiare tra  queste rovine soprattutto perché in giro di turisti stranieri ce ne sono pochi, visto che la meta è fuori dalle rotte classiche del giro in Rajasthan,  i visitatori sono quasi tutti indiani di cui la maggior parte sono bambini, che ogni volta che ci incontrano non perdono l’occasione di salutarci con i loro amichevoli “HALLO”.

E’ già tardo pomeriggio e dobbiamo ancora percorrere 140km di strada prima di raggiungere Udaipur, dove passeremo le  prossime due notti.

In poco tempo siamo già nella strada principale a 2 corsie per ogni senso di marcia e stavolta veramente dopo il tramonto mi cago sotto. Si perché in una strada dove si può andare anche a 80/ 90

Km/h, con le luci della nostra auto molto molto basse, praticamente vediamo si e no a 20mt dal nostro muso, vedersi venire incontro un cammello con il suo carretto che trasporta quintali di frumento e non poter aggirarlo perché un’altra auto ci stava superando non è proprio una bella sorpresa… devo dire che ho chiuso gli occhi e quando li ho riaperti dopo che Raj si era attaccato al clacson e ai freni eravamo miracolosamente passati. FIIUUUU…

Arriviamo a Udaipur verso le sette e ci troviamo incastrati in un ingorgo grottesco, ad un certo punto la nostra auto non riesce ad andare né avanti né indietro, si trova accerchiata da decine di motorini, la strada è stretta e ai lati ci sono molte file di moto e motorini parcheggiati, in senso opposto viene una jeep, e non c’è modo di districarsi, tra noi e il fuoristrada ci si mette anche un asino, che si trova al momento sbagliato nel punto sbagliato, cosa ci facesse lì poi proprio non me lo spiego.

Aspettiamo che la povera bestia, dopo oltre 10 minuti di lamenti e sguardi terrorizzati, in qualche modo aiutato da noi a da altri passanti riesca a divincolarsi, poi, con l’aiuto di altra gente spostiamo alcuni motorini e dopo molte manovre riusciamo a muoverci. Che FATICACCIA.

Arriviamo all’hotel, il lake Pichola hotel che abbiamo scelto grazie alla LP e al consiglio di Simona, alle otto di sera praticamente sfiniti, in tempo per una sana e ristoratrice doccia e per un’ottima cena nel ristorante all’interno dell’hotel.

Il Lake Piccola Hotel è situato praticamente in riva all’omonimo lago è una bella struttura, magari un po’ vecchiotta, avrebbe bisogno di qualche piccolo ritocco, ma i 25 dollari a notte per una stanza  sono comunque ottimamente spesi.

Il ristorante è ottimo e la cena sarà superba, io mi faccio fuori un ottimo Laal Mas un piatto di carne di montone con una salsa speziata abbastanza piccante, che farebbe impallidire il Zighinì con riso che a volte mangio dalle mie parti, contornato da una patata cotta al forno Tandori e da chapati tutto veramente ottimo, Anna invece si fa fuori del Kebab con relativo contorno… slurp, veramente notevole, tutto serviti e riveriti per una spesa di 460 Rps… infine  per non farci mancare proprio nulla un bicchiere di  quell’ottimo rhum “Old monk”  che beviamo  su un balconcino dell’Hotel in riva al lago… MANGIATI DALLE ZANZARE.

 

La mattina siamo in giro per la città di buon’ora dopo una lauta colazione al solito terrazzino del Lake Pichola  Hotel, infatti vogliamo fare diverse visite, quindi dobbiamo muoverci, inoltre è anche ora di iniziare a comperare qualcosa, soprattutto vestiti, visto che dello zaino disperso ancora neanche l’ombra, in più dobbiamo anche comprare dei rullini nuovi visto che il pacco è disperso con lo zaino. I rullini, non perdeteli perché a queste latitudini costano un patrimonio, circa 4 dollari l’uno un vero e proprio furto.

Raj, l’autista dapprima ci accompagna ai templi giainisti famosi soprattutto per la statuetta nera raffigurante Vishnu, ma dopo aver superato una lunga scalinata ed essere entrati nei templi vediamo che questi sono già pieni di turisti il che toglie quel tanto di sacro e mistico che si può respirare in questi templi, così subito dopo aver visto la statuetta nera lasciamo il complesso abbastanza delusi e optiamo per andare subito a visitare lo splendido City Palace che dall’alto di una collinetta proprio sopra il lago domina la città, denominata anche la “Venezia d’Oriente”…

Il complesso è molto grande e per girarlo impieghiamo almeno 2/3 ore. Stavolta, anche se di turisti ce ne sono proprio molti, sono soprattutto gruppi di pullman con comitive Italiane e Tedesche, la visita è molto interessante e il palazzo è veramente molto bello.

Non mi dilungo sulla descrizione delle sale che oggi sono adibite a museo mi limito solo a dire che è affascinate girare il palazzo tra sale riccamente decorate con lavorazioni in vetro o terracotta, altre  dove si possono osservare rappresentazioni di pavoni, oppure quelle che custodiscono collezioni di miniature e altre opere pittoriche di artisti Rajput.

Comunque la cosa più bella secondo me sono le torri e i balconi e le cupole che sormontano il palazzo e dai quali si può godere di una magnifica vista della città e del lago.

Inoltre, in questo caso, il tutto è mantenuto in perfette condizioni.

Usciamo dal palazzo, dove Raj ci sta pazientemente aspettando scambiando due chiacchiere con altri autisti, ci dirigiamo prima a visitare dei giardini, Saheliyon-ki-Bari che si trovano nella zona nord della città poi a Bhartiya Lok Kala Museum un piccolo museo-fondazione per la salvaguardia e la promozione delle arti popolari. Qui a 39 anni per la prima volta nella mia vita, dopo aver fatto un giro attraverso stanze dove si possono vedere esposizioni artigianali tipiche, foto storiche, abiti tradizionali antichi, oggetti e statue della cultura Hindi, assisto ad uno spettacolo di marionette tanto famose nella cultura locale.

Lo spettacolino è molto carino e divertente, ma è ancor più gustoso vedere i visi incantati dei bambini locali che assistono divertiti all’esibizione.

Usciamo che è già pomeriggio, la mattinata ci è volata e non abbiamo mangiato nulla…ora abbiamo FAME!

Siamo stanchi di vedere occidentali in giro chiediamo quindi a Raj di  portarci in un ristorante dove poter mangiar cibo caratteristico senza la presenza di turisti occidentali.

Ci accompagna al Garden View che si trova ai bordi del centro città.

Ha mantenuto la parola, siamo solo noi di occidentali e credo una spagnola, mangiamo del cibo esclusivamente vegetariano ad un prezzo fisso assolutamente ridicolo per la quantità che ci viene servita, tra l’altro ottima, spendiamo in due 120Rps, neanche 2,5 EURO!!! Squisito.

Satolli come non mai decidiamo di farci una camminata a piedi senza meta nel centro e scopriamo che la città è molto tranquilla e si può girare senza l’assillo di esser chiamati o toccati ad ogni passo tanto che alla fine aspettiamo il tramonto su  una panchina del curato parco principale della città, Sajjan Niwas Garden, attorniati da una moltitudine di bambini vocianti che giocano tra loro sotto lo sguardo vigile dei lori genitori.

Torniamo in albergo stanchi dopo una giornata così intensa,  per darci una rinfrescata e poi  andare a cena al ristorante Ambrai di cui abbiamo sentito parlare molto bene e letto benissimo  sulla Lonely Planet. Si trova poco distante dal hotel dove soggiorniamo anch’esso in riva al lago, non è che sia bellissimo ed è molto spartano,  ma quando arriviamo scopriamo che è già tutto pieno, la pubblicità sulla  LP  è una manna dal cielo a queste latitudini, decidiamo quindi di non aspettare e tornare al ristorante del Lake Pichola dove anche stasera mangiamo benissimo e spendiamo poco.

 

 

Ranakpur- Jodhpur

 

Dopo la solita colazione in riva al lago saliamo sulla nostra Ambassador diretti prima a Ranakpur poi a Jodhpur dove trascorreremo la notte.

Ranakpur è un complesso di tempi giainisti distanti 60 km da Udaipur , situati in una verde vallata nel mezzo della catena montuosa Aravalli.

Durante il tragitto  superiamo diversi pozzi d’acqua, uno di questi ci incuriosisce perché nei pressi  vediamo un tipo vestito di tutto punto con tanto di turbante, è seduto su uno sgabello di legno e sembra fare il girotondo, invece è trainato da una vacca che grazie ad un ingranaggio dentato e ad un sistema di carrucole pesca l’acqua dal pozzo con l’aiuto di alcune anfore decorate che poi rovesciano il loro contenuto in uno scavo sul terreno che andrà ad irrigare le coltivazioni.

Certo era lì appositamente per richiamare i turisti, la sua impomatatura non lascia alibi, però il sistema è funzionale.

Arriviamo a Ranakpur pochi minuti prima che i templi aprano ai turisti, infatti ora all’interno c’è la preghiera, da fuori si capisce subito che non possono che essere splendidi.

E Invece NO!!!… sono molto ma molto di più: SPETTACOLOSI.

I templi sono costruiti con marmo bianco, il complesso principale è costituito da tre templi, il Chamukha, Neiminath e Parasnath Temple, è costituito da 29 sale, sorrette  da ben 1444 colonne, ognuna diversa dall’altra, tutte raffinatamente lavorate con incise le raffigurazioni delle divinità.

Tra l’altro una di queste è anche inclinata, che sia stata di ispirazione per la ns torre di Pisa?

Passiamo due o tre ore estasiati a guardarci in giro e ad osservare così tanta bellezza.

Ringrazio pubblicamente Marco C. alias Marcaval che tra i consigli che mi ha fornito mi ha detto di non perdere assolutamente la visita a questo complesso.

Siamo di nuovo sull’Ambassador diretti alla nostra prossima meta ed è ora di pranzo, Raj, che è un ragazzo sveglio, ha capito perfettamente che non vogliamo andar a finire in ristoranti per turisti e si ferma quindi in una specie di auotogrill dove già molti camionisti stanno pranzando.

Anche oggi quando è ora di pagare si alza lui dal tavolo e va a pagare per noi… dice che se andassimo noi il costo del pranzo sarebbe almeno triplo. GRAZIE e …. a buon rendere Raj.

Arriviamo a Jodhpur e ci mettiamo alla ricerca di un alberghetto per la notte, le prime scelte che abbiamo in mente già al completo e va a finire che ci fermiamo in un hotel dove spendiamo 10 euro, di per sé non sarebbe proprio brutto ma sulla strada c’è una fogna a cielo aperto e l’odore non è proprio gradevole.

Andiamo subito a fare un giro in centro e scopro che la città è veramente invivibile, oltre al solito pazzesco movimento di gente, auto, moto, motorini, biciclette… c’è un tasso di smog allucinante, si riesce a fatica a respirare, qualche indiano indossa addirittura la mascherina. Ragazzi altro che targhe alterne da queste parti, dovrebbero fermare tutti i mezzi per 10 anni per ripulire un po’ l’aria.

Andiamo nel fulcro della città presso la Torre dell’orologio dove inizia l’animato mercato di Sardar. Il mercato si dirama in un’infinità di viuzze dove si possono comprare verdure, spezie, prodotti artigianali, antiquariato e argenteria ed è un luogo affascinante per girare senza una meta fissa.

Stanchi del traffico e del caos, però, ci  dirigiamo verso una zona più tranquilla del mercato, la zona  della frutta e delle spezie e finiamo per trascorrere molto tempo in un negozietto che vende spezie di tutti i genere e tipi… prettamente turistico, anche il prezzo delle spezie, ma i ragazzi sono gentili ci dicono che ci invieranno delle ricette via mail ( chi l'ha viste) e compriamo ben 10 EURI di spezie, ancora intonse dentro una scansia della nostra cucina. Si perché quando si è in giro viene la voglia di prendere, di fare ma poi una volta a casa, per motivi di tempo e di difficoltà a reperire le materie prime, le ricette  rimangono del tutto campate in aria.

Mangiamo qualcosa in un baracchino per strada, Raj, ci consiglia di provare un fagottino ripieno di nome Samosa. E’ squisito. L’involucro esterno è costituito da qualcosa somigliante alla nostra pasta sfoglia e l’interno è ripieno di verdure e patate lesse e spezie. Ne facciamo fuori un paio a testa anche se ancora dobbiamo andare a cena.

Quasi sazi ci facciamo portare al “On The Rock” un bel ristorante situato su una delle vie principali della città, è in centro ma il complesso, che ha anche una discoteca, è grande e ben curato ed è immerso nel verde, una vera e propria oasi nello smog di Jodhpur.

Anche la cena si rivela ottima. CONSIGLIABILE.

 

 

Oggi visiteremo il Forte della città e poi ci trasferiremo a Jaisalmer dopo diverse ore di auto.

Il Meherangarh fort apre per le visite verso le 10 quindi prima di salire verso la collina facciamo visita ad un handcraft market dove, dopo un’estenuante trattativa, compro un Sitar, il mandolino o chitarra, tipico della zona. Il venditore ci dice che l’oggetto è datato ed è in ottime condizioni per cui dopo vari tira e molla spunto un prezzo vicino a 20 euro: sarà un’affare? Mah sinceramente non lo so ma me ne ero innamorato e alla fine ho ceduto.

Bene è ora di andare e saliti sulla “nostra “ Ambassador ci dirigiamo verso il Meherangarh Fort o Majestic fort nome derivato proprio dalla sua maestosità.

La fortezza è situata su una rocca alta 150mt circa e dalla sua sommità si può godere di una spettacolare vista della città sottostante, la città blu.

Da qui si capisce perfettamente il perché di questa definizione, infatti la vista che si apre ai nostri occhi è quella di una sconfinata distesa di case azzurre, che secondo un detto popolare sono state dipinte con quel colore per tenere lontane le zanzare.

All’ingresso, dopo aver pagato un cospicuo ticket, ci forniscono come guida  un auricolare per l’intera visita. Scoperta: c’è anche la lingua ITALIANO. Vabbè che di turisti e viaggiatori italiani ce ne sono parecchi ma neanche in Europa mi era capitata una attenzione simile.

Il forte è magnifico, perfettamente restaurato e mantenuto in modo ottimale, una rarità da queste parti.

Lo stesso è ancora gestito dal Maharaja di Jodhpur, prima di raggiungere il vero e proprio cuore del forte si superano alcune grandi porte, nella seconda porta sono ancora visibili i segni dei colpi di cannone di una delle tante battaglie per la conquista, mai avvenuta, della fortezza e di fianco alla terza porta invece  ci sono le impronte di 15 mani che ricordano il sacrificio compiuto dalle vedove del Maharaja Man Singh.

Anche la visita all’interno  del forte è gradevole, si attraversano innumerevoli palazzi nelle cui sale sono conservate le solite collezioni di gioielli, armature, dipinti, mobili, per ritrovarsi poi in  cortili da cui si può osservare la straordinaria struttura architettonica del forte a guglie e merletti, accompagnati dall’auricolare che ci dà anche alcune nozioni di storia indiana.

Usciamo dal forte ed è ora che ci rimettiamo in strada, direzione Jaisalmer.

 

 

Jaisalmer

 

Lungo il tragitto, Raj, ormai, senza neanche chiederci dove, si ferma in uno dei soliti ristorantini dove gli unici stranieri siamo noi e, come al solito, pranzo pagato… “se pagate voi vi chiedono il triplo, lasciate stare, siete miei amici” insomma ennesimo pranzetto a scrocco.

Durante l’ultimo tratto di strada verso Jaisalmer incontriamo e superiamo diverse colonne di mezzi militari,  qui siamo molto vicini al confine con il Pakistan e l’esercito indiano impiega migliaia di militari per pattugliare questa linea di confine, certo che se in qualche modo riuscissero a raggiungere un accordo i  due governi sulla questione del Kashmir sarebbe un notevole passo avanti anche per le due economie visto che i governi tra loro non intrattengono nessun rapporto, più avanti nella regione dello Shekawati ci accorgeremo direttamente come la chiusura della frontiere tra i due stati stia deteriorando la vita di città e di villaggi che fino ai primi anni ’50 vivevano di commercio, soprattutto di stoffe, con il Pakistan.

Arriviamo nella citta d’oro al tramonto, effettivamente più che i colori dorati delle sue case e Haveli ci salta all’occhio il colore rosso infuocato che prendono queste abitazioni al tramonto.

Per la notte, dopo aver purtroppo dovuto scartare Nachana Haveli perché piena, ripieghiamo, per modo di dire, nel bellissimo Mandir Palace Hotel, dove ad oggi un’ex famiglia reale ne abita una parte, tra l’altro si trova anche in una posizione strategica: proprio sotto le mura del forte.

Per cena accontentiamo Raj, ci parla del ristorante di un suo amico e decidiamo di andarci, non è che il posto sia il massimo, ma abbiamo davanti ai nostri occhi il forte illuminato ( e rimarrà così solo fino le 22) e la cena è discreta.

Dopo cena ci facciamo una piccola passeggiata digestiva nella zona della città fuori dalle mura del forte e capiamo da subito che questa è molto bella e tranquilla,  non c’è il caos di Jodhpur, tutti i negozi e bancarelle sono sistemate con ordine, in giro  è abbastanza “pulito”, certo prendere con le molle e rapportarsi all’India, comunque al primo approccio ci sembra proprio un’affascinante città.

Dimenticavo, all’arrivo a  Jaisalmer abbiamo avuto una bella sorpresa: Bobby, dell’agenzia Tour Passion, ci ha fatto recapitare il nostro zaino, ancora intatto!!! Abbiamo così finito di cercare saponi, dentifrici, spazzolini ecc. tra le bancarelle delle città: GRAZIE!

 

Dopo la solita e abbondantissima colazione presso il ristorante dell’Hotel, dove conosciamo una coppia di Lugano che starà in giro per l’India per cinque settimane, beati loro, siamo i a passeggio per la città d’oro.

Stavolta andiamo direttamente all’interno del forte. Anche questo come quello di Jodhpur è posto su una rocca alta 80 mt che domina la città ma a differenza dagli altri visti finora non è abbandonato o adibito a museo, dove si paga per entrare, ma è una città vera e propria più viva di qualsiasi altro posto visto finora dove,  nei sui piccoli vicoli si celano case, alberghi, botteghe artigianali, bancarelle e luoghi di culto, insomma un perfetto concentrato della vita e della cultura Rajasthana.

In più da alcuni bastioni che cingono il perimetro della fortezza, se ne contano in tutto 99, si può godere del panorama della città d’oro e adesso, alla luce del sole, si intuisce facilmente il perché di tale appellativo, tutte le case o strutture della città sono costruite con della terra di color giallo dorato. Bellissima.

Nella  nostra passeggiata visitiamo i templi giainisti, che sì sono belli ma non valgono quelli di Ranakpur e il palazzo imperiale, Rajmahal, che si affaccia proprio nella piazza principale del forte, dove un tempo venivano passate in rassegna le truppe e si organizzavano i fastosi ricevimenti in onore degli ospiti importanti.

Il palazzo non è che sia un granchè, ma dall’ultimo dei suoi sette piani si gode una bella vista della piazza sottostante.

Torniamo in hotel per preparare lo zaino in vista dell’escursione in cammello sul deserto, abbiamo deciso di passare la prossima notte a Khuri, un piccolo villaggio situato sulle prime propaggini del deserto del Thar.

La scelta era tra il villaggio di Khuri e quello di  Sam, abbiamo scelto il primo  perché secondo la bibbia, (LP), è leggermente meno inflazionato, turisticamente parlando, rispetto l’altra destinazione.

Partiamo con Raj in macchina intorno alle 13, il sole è a piombo e fa un caldo bestiale, fortuna che almeno non è umido e penso a come potrebbe essere il clima durante il periodo dei monsoni.

Ci allontaniamo da  Jaisalmer per una stradina pressoché sterrata dove si iniziano ad incontrare le prime avvisaglie del deserto, in alcuni punti la strada è completamente ricoperta di sabbia.

Dopo un’ora di tragitto arriviamo finalmente a destinazione, ci sistemiamo in un posticino molto  accogliente e spartano, praticamente all’interno di un recinto costruito in terra sono state ricavate alcune capanne di fango con il tetto di paglia e un paio che sembrano di “lusso”, infatti dispongono anche del bagno e di acqua corrente. Visto che siamo i primi arrivati, perché lasciarci sfuggire qualche comodità in più per la notte?

Dopo aver preso possesso della nostra stanza ed esserci cambiati di abito siamo già sopra il cammello per l’escursione nel deserto fino al tramonto. 

Nel giro siamo accompagnati da due cammellieri ma presto, subito dopo la prima sosta per far abbeverare i cammelli,  ne rimane uno solo, si perché l’altro torna indietro dicendo di aver perduto il portafogli e di voler tornare a cercarlo, sarà vero ...

Preciso subito che per me è la prima volta in sella ad un quadrupede, sì perché non ho mai cavalcato neanche un pony… e già dopo i primi metri capisco che, nonostante i cammelli siano sellati e le selle rivestite da coperte e gomma, per il mio fondo schiena sarà un supplizio… infatti io, che detto tra noi sono un po’ legno, striscio sempre sulla sella a causa della andatura dinoccolata dei cammelli.

Comunque andiamo avanti circondati da un territorio secco, arido, dove vivono solo alcuni arbusti e piante grasse, ma non è il deserto come me lo immaginavo, cioè quello fatto da dune di sabbia a perdita d’occhio.

Superiamo un paio di villaggi dai quali ci vengono incontro bambini vestiti di stracci che ci chiedono a gran voce “shampoo”, quindi un suggerimento per i posteri: piuttosto che penne e quaderni, che in India vengono forniti dal Governo, portate saponette o prendetele dagli alberghi dove soggiornate.

Dopo circa due ore di cammino avvistiamo le prime dune, non sono molto alte, saranno circa una ventina di metri,  ci togliamo le scarpe e raggiungiamo la sommità di una da dove attenderemo il tramonto.

Certo siamo soli in questa duna, la pace intorno a noi è assoluta, ci siamo quasi, il paesaggio si colora di rosso e inizia la magia ….. ben presto rovinata dalle orde di persone che arrivano da Jaisalmer il tardo pomeriggio per scattar foto e poi tornare in città.

Sinceramente la mia aspettativa sull’escursione era maggiore, ripeto, pensavo di vedere molte più dune, in effetti ce ne sono alcune ma se si gira lo sguardo oltre si nota che il paesaggio è ancora abbastanza verde, per chi ha visto il Sahara o il deserto del Namib credo che questo paesaggio possa essere molto deludente.

Forse facendo un’escursione di più giorni e addentrandosi maggiormente credo si possa vedere qualcosa di più vicino alla concezione comune di deserto.

Un’annotazione  per coloro che faranno questo tipo di escursione: ragazzi non lasciate in giro rifiuti perché qui nessuno li raccoglie, anzi date il buon esempio con la speranza di sensibilizzare i locali a fare altrettanto.

Torniamo al villaggio che è già buio, scendo dal cammello con le chiappe che mi fanno vedere le stelle, poi Annalisa mi dirà che ho delle vere e proprie piaghe sanguinanti. DOLORE!

Consumiamo la cena su dei tavoli posti in cerchio intorno ad un fuoco nel piazzale davanti le capanne mentre tre ragazze in abiti tradizionali danzano al ritmo dei Sitar e tamburi dei loro compagni.

L’atmosfera è molto piacevole, la musica è coinvolgente, sopra le nostre teste c’è un tappeto di stelle così lucente che a memoria non ricordo di aver visto, se non lo scorso anno sulle Ande,  in poco tempo ci ritroviamo quasi tutti trascinati nei balli, Raj è con noi e sembra molto divertito dalla nostra interpretazione così a fine serata per concludere in bellezza ci offre del wisky,  almeno così lui lo definisce e dice che è prodotto artigianalmente sul posto.

Sinceramente non è che sia un granchè ed ha una gradazione alcolica spaventosa quindi dopo due o tre bicchierini si va quasi KO. Sarà per questo che dormo come un sasso e non sento neanche molto freddo.

 

 

La mattina, subito dopo la solita e abbondante colazione facciamo un giro a piedi per Khuri ad osservare un po’ della vita locale e camminando ogni tanto vedo Annalisa che guardandomi sorride con Raj, chiedo spiegazioni e mi dice che sembro una papera, cammino a gambe larghe…, ma ragazzi non vi dico il dolore che proviene dal mio di dietro, tra l’altro ogni volta che mi siedo mi sembro quello dello sketch   di Ficarra e Picone… STANCO?... No OGGI NO!!!! AHI AHI AHI … .

Mi prende giro,… fa bene… non ha nessun problema LEI …

Rientriamo a Jaisalmer di prima mattina, decidiamo di cambiare Hotel, vogliamo spendere qualche Rupia in meno… scegliamo Deoki Nivas, su consiglio di Raj, non è riportato sulla LP perché è aperto  da poco e spuntiamo, dopo una lunga trattativa una gradevole stanza ad un costo di 15 euro.

Subito dopo siamo di nuovo per le strade di Jaisalmer dove ci mescoliamo insieme a molti altri turisti e locali con l’intento di visitare alcune delle Haveli più importanti per poi finire la giornata, senza una meta ben precisa, con la sola volontà di passeggiare tra le vie di questa incantevole città. Siamo accompagnati dagli odori dei chioschi che vendono cibarie varie, dai profumi di incenso ma anche dagli olezzi degli scarichi a cielo aperto o degli escrementi degli animali, vacche, asini, capre che girano liberamente per le viuzze strette della città, nonostante questo girare per Jaisalmer è veramente piacevole… sarà che ormai ci siamo abituati a questo miscuglio.

Visitiamo due Haveli, esternamente bellissime ma l’interno di una delle due lascia veramente molto a desiderare.

In seguito alla chiusura delle frontiere con il Pakistan il commercio è crollato e i mercanti hanno abbandonato le loro bellissime e ricche case per cercare fortuna altrove e nonostante siano una attrazione turistica sono state lasciate alla mercè di piccioni e pipistrelli, oltre che dei locali  che non hanno il minimo rispetto per le opere d’arte … rifiuti in ogni angolo,  parte delle decorazioni rotte o rubate, scritte o incisioni sui muri … un vero peccato.

Usciamo e non possiamo non notare uno striscione che pubblicizza l’uomo dai baffi più lunghi del mondo, tanto da entrare nel Guinness  dei primati e visto che è proprio davanti a noi un signore vestito di tutto punto, con i suoi baffoni neri lunghi più di un metro e mezzo, non ce lo lasciamo scappare e lo immortaliamo in una simpatica foto.

Jaisalmer è famosa per l’argento e Raj non ha dovuto faticare tanto per convincere Annalisa ad andare nella casa/negozio di un suo amico gioielliere: ci ha fatto accomodare per terra, ci ha offerto un the, dopodichè ci ha mostrato oggetti e gioielli di ogni tipo, molti dei quali provenivano dalle famiglie di mercanti che, ridotti in  povertà, sono state costrette a vendere i loro averi.

Alla fine siamo usciti con un bracciale, due anelli, un ditale per arricchire la nostra collezione e un tubo d’argento finemente intarsiato che i Mharaja usavano per “spedire” le lettere, gli attuali SMS,  e abbiamo lasciato una pipa che a ripensarci bene sarebbe stato veramente un affare.

Prima di cena abbiamo del tempo e decidiamo di aspettare il tramonto a  Bada Bagh, pochi Km fuori Jaisalmer, dove si trova una fertile oasi con una diga, ora quasi prosciugata, costruita molti anni fa.

Il complesso ha dei giardini e dei chatri e un piccolo tempio, non è proprio un granchè e non è tenuto in buono stato ma almeno abbiamo la fortuna di assistere ai preparativi  di un matrimonio.

Ci sono molti invitati e  la sposa, che è veramente carina, indossa un abito rosso, è accuratamente truccata e ornata da gioielli d’oro, si sottopone a dei rituali che osserviamo ma non riusciamo a capire bene, è comunque gentilissima e posa per noi per alcune foto.

Tra l’altro, ci si avvicina incuriosito il fotografo ufficiale del matrimonio e ci chiede informazioni sulla nostra nuova reflex e alla risposta che ci è costata circa 300 euro quasi sviene… lui infatti è orgogliosissimo della sua vecchissima Fuji che da noi è praticamente un pezzo di antiquariato.

Stavolta, per cena, ci affidiamo al consiglio della LP e andiamo al Trio Restaurant, sulla piazza vicino ad uno degli ingressi del forte, è particolarmente scenografico e molto curato ed anche il cibo è veramente ottimo… ormai è un’abitudine mangiare squisitamente.

Attenzione per chi ci vorrà andare, prenotate in anticipo perché molto spesso il ristorante è pieno.

 

 

Bikaner- Mandawa

 

La mattina successiva siamo di buon ora in auto stavolta diretti a Bikaner.

Le 5 ore di auto per raggiungere Bikaner trascorrono tranquillamente conversando con il nostro amico Raj, attraversando un territorio ancora arido, ancora per alcuni scorci si possono ammirare delle dune di sabbia. La strada è completamente asfaltata, in ottime condizioni e il traffico è veramente scarso.

Arriviamo a Bikaner verso l’ora di pranzo e la prima impressione che abbiamo attraversandola in auto non è proprio delle migliori, riusciamo a vedere solo un grandissimo caos.

Dopo una breve ricerca ci sistemiamo presso l’Hotel Jaswant Bhawan, in una grande stanza pulita ma un po’ malconcia, sarà perché la costruzione sembra avere qualche anno sulle spalle.

Siamo gli unici turisti dell’hotel e il gentilissimo gestore ci offre qualcosa da mangiare presso la sala della casa padronale che si trova all’interno dell’hotel. E’ un salone molto lussuoso e i “padroni” della struttura attualmente ci vivono . Ci dice che questa una volta era la casa di una parlamentare indiana.

Ci chiede anche se vogliamo restare a cena… immagino che abbia voglia di parlare con qualcuno, visto che non mi sembra ci sia un gran movimento nell’hotel e considerato quel poco che abbiamo visto della città, accettiamo volentieri. 

Siamo di nuovo a visitare una fortezza, Junagarh Fort.

Tra quelli che abbiamo potuto visitare fin ora è quello che meno mi ha colpito, forse perché meno scenografico, non è costruito su di un promontorio, forse perché ne abbiamo già visti altri più belli, certamente una visita la merita, è molto imponente anche questo con i suoi 37 bastioni ma nulla a che vedere con Meraghaner di Jodphur.

Molto molto più stravagante e interessante è la visita al Karni Mata Temple. IL TEMPIO DEI TOPI.

Questo tempio si trova a d una trentina di Km da Bikaner  a Deshnok ed è, nello stesso momento sia il tempio più stravagante e affascinante che sconvolgente e sconcertante che abbia visto in questo viaggio…e non solo.

Me ne avevano già parlato ma di persona fa veramente effetto, dopo aver superato un portale di argento massiccio si entra nel cuore del tempio e ci si imbatte subito con i topi che lo popolano….

Ce ne sono a migliaia, di tutte le dimensioni, tutti liberamente a spasso nell’ampio cortile del tempio insieme a turisti curiosi , rigorosamente a piedi nudi o al massimo con i calzini come facciamo io e Anna, e  agli hinduisti che vengono qui a pregare, si perché questo è un vero e proprio luogo di culto e pellegrinaggio per la religione Hindu.

I topi sono sacri, all’interno del tempio infatti la leggenda narra che: “Karni Mata, incarnazione di Durga, avesse chiesto a Yama, dio della morte, di resuscitare il figlio di un cantastorie, allorché Yama si rifiutò, Karni Mata  fece reincarnare in topi  tutti i cantastorie defunti affinché Yama  fosse privato delle anime di quegli uomini, in seguito i topi si sarebbero nuovamente reincarnati in uomini.” Cit. Lonely Planet.

Da qui la sacralità dei topi all’interno del tempio, per un Hindu aggirarsi nel tempio è la cosa più naturale del mondo e se un topo dovesse passare sopra un loro piede questo sarebbe segno di buon auspicio…. per noi è un po’ differente, ogni passo che faccio guardo attentamente dove metto i piedi, riusciamo a stare dentro 15 minuti, per scattare alcune foto, fino  a quando un bambino per scherzo mi tocca i piedi e subito fa il verso del topo…. faccio un salto sul posto di mezzo metro, quasi  svengo e decido che per me è ora di uscire.

Fuori dal portone di argento prendo con le molle i calzini che ho indosso li tolgo e li ripongo nel cesto della spazzatura più vicino, vedo che non sono il solo occidentale a fare questa operazione.

Prima di ritirarci in albergo per la cena ci togliamo lo sfizio di fare un giretto per il centro della città per vedere se l’impressione avuta all’arrivo fosse sbagliata.ma l’impressione era giusta, infatti oltre a non esserci praticamente nulla di interessante, secondo me peggio di Jodhpur, c’è la solita confusione indescrivibile, la strada principale non è asfaltata e quindi si alza una nube di polvere che si mescola con lo smog del traffico caotico del centro città rendendo l’aria praticamente irrespirabile. Non è un posto salutare per passeggiare per cui ritorniamo velocemente sui nostri passi.

Con noi mangerà anche il simpatico e un po’ invadente gestore e a fine cena lezione veloce di frasi romantiche in italiano, infatti ci dice che è innamorato di una ragazza del nord Italia e non perde occasione per parlare la nostra lingua… aveva anche lui un piccolo scopo… comunque abbiamo trascorso una piacevole serata.

 

 

Di nuovo per strada stavolta siamo diretti nella regione Shekhawati, famosa per le città con le case dipinte.

Il tragitto sulla nostra Ambassor bianca  come sempre pulitissima, infatti Raj tutte le mattine si sveglia all’alba per lustrarla, è assolutamente tranquillo, attraversiamo come al solito un paesaggio ancora desertico. Dopo la solita tappa ristoratrice, chapati e masala the, in uno dei tanti casottini che si trovano ai lati della strada, arriviamo a Fatephur dove visitiamo un paio delle Haveli più famose e visto che non sono in buone condizioni decidiamo di andar a Mandawa dove ce ne sono altre che speriamo essere custodite in modo migliore.

Arriviamo all’ora di pranzo e per prima cosa, visto che il nostro stomaco sta ormai brontolando per la fame, ci fermiamo nella piazza principale dove voracemente ci spazzoliamo alcune squisite Samosa bagnate da una fresca Kingfisher beer.

Non abbiamo ancora messo piede in città che subito veniamo assaliti da una moltitudine di bambini… tutti che si offrono di farci da guida per la visita delle case affrescate… alcuni sono veramente petulanti e ci vuole una pazienza infinita per non trattarli in malo modo, ma poi gli sguardi si incrociano e scorgi dei bellissimi sorrisi e se è vero che mi stanno stressando  e che non è giusto dargli corda perché per molti di loro è un lavoro e non un doposcuola come tentano di farti credere, non ce la faccio a trattarli male… così, alla fine cediamo a uno che avrà circa 10 anni, ci sembra quello più simpatico e meno invadente, tra l’altro si sforza anche a dire alcune parole in italiano.

Nel nostro giro visiteremo 5 o 6 Haveli, sono in condizioni migliori rispetto quelle di Fatehpur ma purtroppo sempre decadenti.

Infatti è facilmente intuibile che le città nel periodo del loro massimo splendore fossero veramente bellissime con le loro haveli finemente affrescate ma ora abbandonate al loro destino stanno progressivamente deteriorandosi.

Le Haveli erano state fatte costruire da ricchi mercanti in questa zona dell’India perché era una zona strategica per il commercio proveniente dai porti del Gujarat e dal Pakistan ma poi un po’ a causa dell’acuirsi del conflitto tra Pakistan ed India e forse un po’ perché i proprietari non trovavano particolarmente stimolante vivere in questa zona rurale, le hanno abbandonate per trasferirsi in luoghi più esotici, lo smog, la sabbia, l’incuranza delle popolazioni che hanno depredato molte case e il commercio di oggetti di antiquariato sottratto alle stesse, hanno ridotto molte  Haveli in pessime condizioni.

Non si rendono conto ma con questo commercio a lungo andare ci rimetterà il patrimonio artistico della zona, quindi una grande fonte di guadagno chiamata turismo andrà progressivamente esaurendosi, inoltre servirebbe un’opera rigida anche per infondere il rispetto dell’arte alle popolazioni di questa zona, visto che molti monumenti, fortezze, presentano anche danni materiali compiuti da  varie incisioni su muri o da  rifiuti lasciati marcire in giro…, ma questi sono discorsi fin troppo grandi per una piccola RECE…

Comunque alcune haveli ancora si salvano, almeno quelle che sono state ristrutturate e adibite ad hotel o alcune dove qualche discendente dei mercanti abita e le mantiene in maniera dignitosa. Per accedere alle haveli si attraversa un grande portone di legno da cui ci si immette prima in un piccolo cortile poi generalmente in un altro ancora, cosa che garantiva la presenza di ambienti differenti e la sicurezza e la privacy delle donne che vi abitavano, i muri che circondano questi cortili sono finemente affrescati con temi che riguardano la mitologia della storia hindu, altri che illustrano di racconti popolari  o alcuni che raffigurano stranieri accanto ad aeroplani o a invenzioni moderne, ma quelli che più mi hanno colpito sono quelli riguardanti Venezia …. non me l’aspettavo.

E' comunque molto piacevole girare in questo piccolo villaggio dove di turisti non se ne vedono molti e il nostro bambino guida si rivela veramente simpatico e estroverso, anche se nel suo piccolo aveva anche lui un interesse: farci visitare il negozio di artigianato del fratello.

A sera siamo a cena nell’hotel in cui pernottiamo, una bellissima haveli ora con il primo piano completamente ristrutturato e il secondo in fase di ultimazione, il Mandawa Heritage Hotel.

La cena non è il massimo, ci intrattiene uno spettacolino di marionette e il dopo cena lo passiamo sul tetto dell’hotel a bere del rum, sotto un cielo tempestato di stelle, mentre nel villaggio si tiene il solito addio al celibato con tanto di fuochi pirotecnici.

Una precisazione, l’hotel è ottimo ma la sveglia qui è alle cinque del mattino quando dai minareti i mhullah del villaggio declamano le loro  preghiere…. una volta che hanno finito i musulmani iniziano le preghiere degli induisti. Il villaggio è piccolo e credo che questa litania bisognerà sopportarla da qualsiasi hotel.

 

 

Jaipur- Fatehpur Sikri- Agra

 

Il giro in Rajasthan stà ormai per concludersi, oggi siamo di ritorno nella città rosa, Jaipur, per visitare l’ennesima fortezza di questa regione, l’Amber Fort.

Questo è situato a qualche km dal centro della città e ci arriviamo in tarda mattinata. Il palazzo-fortezza si staglia imponente su una collina dalla quale domina un laghetto sottostante, che in questa stagione è praticamente asciutto e da qui si può godere di una splendido panorama delle colline che circondano Jaipur e si può ammirare anche il Jaigarh forte eretto nella collina sovrastante Amber.

La costruzione del forte è stata avviata dal maharaja  Man Sigh comandante rajput  dell’esercito di akbar e portato a termine da Jai Singh.

Per accedervi si può salire a piedi superando un’imponente scalinata o, per qualche decina di rupie, salire a dorso di un elefante, decidiamo di evitare il supplizio a qualche povero pachiderma e saliamo a piedi.

Una volta entrati giriamo liberamente senza seguire un percorso preciso, superiamo una serie di stanze, corridoi, cortili, torri da cui si può intuire la bellezza dell’architettura Rajput  ma è tangibile  anche  il passaggio di orde di gente ignorante che ha lasciato il segno con le loro stupide scritte sui muri, con l’odore di urina che aleggia  all’interno dei cortili un po’ più reconditi, deturpando così ciò che un tempo è stato sicuramente magnifico, fortunatamente negli anni ’90 è iniziata una lenta opera di restauro.

Nonostante tutto rimane  la bellezza, la maestosità e l’imponenza del palazzo fortezza che merita assolutamente una visita.

All’uscita ci soffermiamo in un baracchino a bere del chai, il tè indiano con il latte, al tavolo con noi si siedono due ragazzi tedeschi di 20anni, che dopo un anno di volontariato a Delhi si sono concessi un tour del Rajasthan. ECCELLENTE.

Siamo di nuovo per le strade della città rosa per cercare di acquistare qualche bottiglia di rum, qualche bastoncino di incenso e dei dolcetti post cena per rinfrescare l’alito.

Dopo 14 giorni di India mi sembra diversa anche la visione della stessa città, infatti Jaipur mi pare meno caotica e più pulita rispetto al primo passaggio, certo il traffico è infernale ma le strade sono asfaltate,  ci sono i marciapiedi, i negozietti e le bancarelle sono disposte sotto i porticati in maniera abbastanza ordinata e non c’è lo smog di Bikaner.

Mentre giriamo liberamente per la città inizio a sentirmi strano, fiacco e quando torniamo in hotel per darci una rinfrescata prima di cena mi faccio dare un termometro. Ho 39 di febbre…. e poco dopo devo anche correre in bagno…. a forza vado a mangiare qualcosa , mi imbottisco di antibiotico a largo spettro e prendo un multivitaminico prima di sprofondare in un sonno profondo. …AZZ… non c’è un viaggio dove per almeno un giorno non mi sono sentito male.

 

E’ il giorno nel quale visiteremo il Taj Mahal, una meta che sogno da tempo, non DEVO assolutamente rovinarmi la giornata.

La notte passata è stata un po’ movimentata, ma ora mi sento meglio, mi misuro la febbre e non ne ho più, la diarrea è quasi passata, decido comunque di  prendere antibiotico e multivitaminico di nuovo, faccio  un’abbondante colazione e di nuovo in strada diretti a Fatehpur Sikri. 

Fortunatamente dopo alcune ore mi sento molto meglio anche se ancora sono un po’ spossato.

La prima tappa della giornata sarà però Fatehpur Sikri si trova già all’interno della regione dell’Uttar Pradesh.

Abbiamo lasciato il Rajasthan con il deserto, le sue magnifiche città con le loro maestose fortezze. Impieghiamo quasi 5 ore per percorrere 200 km infatti la strada che collega Jaipur ad Agra progressivamente diventa sempre più trafficata e le condizioni del fondo gradualmente peggiorano causa delle forti piogge della stagione ormai passata dei monsoni e il panorama che ci circonda passa dall’arido del deserto al verde di una regione tipicamente tropicale.

Arriviamo a Fatehpur Sikri con il sole a piombo e un caldo tremendo. Fatehpur è una città fortezza che è stata capitale dell’impero moghul sotto il regno di Akbar.

La città fu costruita in onore di Shaikh Salim Chishiti, che predisse ad Akbar l’arrivo di un erede e all’interno della bella moschea Jama Masjid o Dargar Mosque si trova la tomba di Shaikh.

La tomba è una costruzione posizionata nella parte settentrionale del grande cortile e risalta subito alla vista grazie al suo marmo bianco che contrasta con il color rosso delle restanti parti della moschea. E’ straordinariamente bella e i pannelli di marmo traforato, jali, sono qualcosa di incantevole, si è usata una tecnica che permette di vedere dall’interno all’esterno ma non il contrario. Durante la nostra visita molti mussulmani si recano all’interno della tomba per pregare e portare fiori sulla tomba per cui decidiamo di rimanere all’interno per poco tempo, non so se è così ma ci sentiamo fuori posto, ci sembra quasi di disturbare.

Facciamo un giro panoramico per la moschea poi visto che non abbiamo voglia di pagare il biglietto per entrare nel palazzo principale, forse siamo anche un po’ stufi di tutti questi palazzi,  facciamo un giro esterno, tra le rovine della città che non sono ancora ristrutturate, tanto un ragazzino ci ha detto che riusciremo a vedere il palazzo anche da fuori. Non so se abbiamo fatto la scelta giusta però girare da soli tra le rovine della città è stato veramente affascinante.

Nei trenta km di strada che ci separano da Agra attraversiamo un posto tristemente famoso per gli “orsi ballerini”, di cui mi  aveva già parlato Simona.

In questa zona infatti degli uomini fanno il loro spettacolino per i turisti sfruttando orsi  “ammaestrati”, si fa per dire, che tenuti al guinzaglio vengono fatti danzare a forza per poche rupie… veramente raccapricciante, terribile.

Fortunatamente Raj ci ha detto che questa macabra pratica ultimamente è combattuta anche dal governo e infatti al nostro passaggio ne vediamo uno solo, speriamo bene per queste povere bestie tra l’altro in via di estinzione.

Piombiamo nel caotico traffico di Agra nel tardo pomeriggio, in tempo per cercare un hotel e per andare  poi al Taj all’ora del tramonto, proprio come volevamo.

C’è da dire che il prezzo per i turisti stranieri per accedere a questa meraviglia è sette volte più alto rispetto a quello che pagano i locali,  per i forestieri comunque viene offerta una serie di servizi aggiuntivi come il trasporto gratuito per spostarsi dalla zona del parcheggio all’ingresso del Taj e viene fornita una bottiglietta d’acqua, ma questo non basta per giustificare una differenza così spropositata di prezzo. Paghiamo 750 rupie a testa!!!!

Superiamo l’ingresso verso le 17.30 mezz’ora prima del tramonto. All’interno c’è ancora una folla incredibile, perché questo è uno degli orari migliori per fotografare il mausoleo e vederne il cambiamento di colore. Fatto costruire interamente con marmo bianco dall’imperatore Shan Jahan in ricordo della sua seconda moglie morta di parto nel 1631, ad opera di circa 20000 persone, fu ultimato nel 1653 e ancor oggi risulta immacolato come ai tempi in cui venne ultimato.

Per accedere al mausoleo vero e proprio, si deve superare un grande cortile adornato da dei giardini e un grandioso portale, color rosso ocra, costruito in arenaria rossa, da cui si può già scorgere l’immensa struttura, del Taj Mahal.

Mi fermo, subito dopo il portale di ingresso insieme ad altre migliaia di persone ad osservare, strabiliato, questa meraviglia: il Taj Mahal è stato costruita su di un enorme basamento di marmo e in ciascuno dei quattro angoli è stato eretto un minareto, le cui funzioni sono solo a scopo decorativo, infatti non vengono utilizzati per le preghiere, ma pensandoci bene, e dopo aver visto delle foto del solo mausoleo senza i minareti, credo proprio che in qualche modo questi completano in maniera perfetta e simmetrica tutto il complesso. La struttura centrale del taj è costruita con lastre di marmo sulla cui superficie sono scolpiti fiori che sono stati riempiti, utilizzando la tecnica della pietra dura, con migliaia di pietre preziose e le quattro identiche facciate del mausoleo sono state impreziosite, utilizzando la stessa tecnica dell’incastonamento, utilizzando questa volta delle pietre nere, con le incisioni dei  versetti del Corano.

Davanti ai miei occhi il colore del Taj cambia progressivamente di tonalità, passa da un rosa arancio ad un arancio intenso, proprio durante il tramonto,  per poi tornare ad essere bianchissimo quando tutto intorno diventa buio.E’ UNO SPETTACOLO!!! Non ho altre parole per descrivere questa meraviglia. 

Usciamo dal taj che è già buio, dobbiamo mantenere la promessa che abbiamo fatto a Raj, cioè quella di pagargli la cena, visto che questa è l’ultima possibilità che abbiamo di poter cenare insieme.

Lasciamo a lui il compito di scegliere il ristorante dicendogli solo che ci deve portare in un posto dove si mangia cucina tipica Indiana.

Andiamo in un ristorante vicino all’albergo dove mangeremo una quantità industriale di ottimo cibo annaffiato con del vino bianco indiano di cui si può dir tutto tranne che sia buono e poco costoso.

Sfiniti, contenti per la giornata trascorsa ma stanchi, satolli per la cena ma un po’ sbronzi, si   perché Raj il vino non lo ha bevuto, ci siamo quindi scolati una bottiglia in due e diversi bicchieri di Rum, torniamo in Hotel sprofondando in un sonno profondo. Non ho neanche lontanamente qualche sintomo del malessere di ieri.  E ci credo!!!

 

 

Stamattina la sveglia non sarà prestissimo, infatti non abbiamo molte cose da fare tranne quella di visitare l’ennesima fortezza di questo viaggio: l’Agra Fort.

Non mi dilungo ancora sulla descrizione del forte, dico solo che effettivamente è uno tra quelli meglio conservati e restaurati che abbiamo visto, tuttora stanno facendo lavori all’interno del forte e sulle mura di cinta, il forte è effettivamente mastodontico la doppia cerchia di mura colossali, costruite in arenaria rossa, superano i 20mt di altezza e 2,5 km di circonferenza e che all’interno la struttura più bella è quella della Moti Masjid ( moschea di Perla) costruita interamente in marmo bianco. Dal forte si  può godere , nebbia e smog permettendo anche di un bel panorama del Taj Mahal, che si erge maestoso al di là del fiume Yamuna.

Trascorriamo il resto della giornata prima passeggiando tranquillamente per la zona del mercato di Sadar, dove facciamo anche delle compere e dove Annalisa decide di farsi fare un tatuaggio all’hennè, entriamo in negozi di artigianato dove vendono marmo o tappeti, solo con lo scopo di vedere qualche dimostrazione pur sapendo che non compreremo nulla e il pomeriggio lo trascorriamo in compagnia dell'ormai amico Raj all’interno dei giardini che si trovano vicino all’ingresso, quello per gli Indiani, del Taj.

Passiamo gran parte del tempo seduti su una panchina ad osservare il tranquillo passeggiare della gente, il rincorrersi dei bambini  e l’inseguirsi delle scimmie che fanno a lotta per un pezzo di chapati lanciato dai passanti.

Scriviamo anche degli appunti sui ristoranti, hotel, che poi Raj dovrà far avere a Bobby, il gestore dell’agenzia che ci ha noleggiato l’auto.

Ceniamo molto presto e in maniera leggera, visto che dovremo trascorrere l’intera notte in treno, ci aspetta il tragitto ferroviario da Agra a Varanasi che dovrebbe durare circa 12 ore.

Arriviamo alla stazione  un’ora prima della prevista partenza del treno, con i ticket siamo già a posto così andiamo direttamente sul binario di imbarco…. C’è una moltitudine di persone indescrivibile, avevano ragione coloro che mi dicevano che per vedere la “vera” vita indiana bisogna passare da una stazione… ci sono famiglie, bambini che giocano, barboni che chiedono elemosina, persone anche anziane che trasportano sporte o sacchi improponibili, gente che si lava o mangia,  animali liberamente in giro, oltre ai soliti venditori di chaì e a qualche turista zaino in spalla  come noi…. Uno spaccato reale di come scorre la vita a queste latitudini.

Il nostro treno arriva con un’ora di ritardo, ben poco vista la media dei ritardi dei treni indiani e quando è ora di salutarci con Raj quasi quasi ci scappa pure una lacrimuccia. Vero Annalisa?

Abbiamo prenotato una cabina di seconda classe e con noi viaggerà una coppia di spagnoli di Barcelona che staranno in giro per l’India per un altro mese circa… beati loro.

A parte il freddo che arriva dai bocchettoni dell’aria condizionata, ci vorrebbe la giacca a vento per stare caldi,  il viaggio è tranquillo e si riesce anche a dormire.

Arriviamo a Varanasi dopo 14 ore di viaggio con sole due ore di ritardo sul previsto arrivo.

Subito fuori dal treno, guardando un po’ intorno a noi ci rendiamo subito conto del caos che regna in città, abbiamo cambiato regione siamo nell’Uttar Pradesh ma la confusione è simile a quella delle città del Rajasthan. Per evitare intoppi, problemi vari e per mancanza di tempo, infatti possiamo fermarci solo un giorno a Benares, prendiamo un taxi ufficiale, si possono contattare direttamente all’interno della stazione, presso il casottino turistico.

Siamo con due giovani ragazzi che ci prospettano anche l’idea di fare un giro turistico ma siamo appena arrivati e non avendo ancora capito un gran che di Varanasi, gentilmente rifiutiamo la loro offerta e ci facciamo solo accompagnare presso l’hotel che abbiamo scelto dall’Italia: il Gange View.

Si rivelerà un’ottima scelta,  è in una splendida villa in una posizione stupenda, a due passi dall’Assi Ghat con una magnifica vista sul fiume sacro per gli Hindu: il Gange.

Dopo un piccolo spuntino ristoratore siamo subito per le vie di principali della città sacra, attraversiamo a piedi alcuni ghat, ( gradini che scendono al fiume) diretti alla zona vecchia  della citta, Godaulia, ma vista la distanza che ci separa dal centro saliamo su un risciò e in poco tempo ci troviamo al Dasaswmedh, il gath più importante nel centro storico.

 

 

Varanasi

 

Varanasi oggi è una metropoli di diversi milioni di abitanti ed è la città di Shiva, che sorge sulle sponde del fiume Gange ed è uno dei luoghi più sacri di tutta l’India, per questo i pellegrini Hindu vengono a bagnarsi selle acque del fiume per purificare la loro anima ed è un luogo propizio dove poter morire, dal momento che morendo sulla città sacra ci si sottrae al ciclo delle rinascite e sia accede direttamente in paradiso.

Neanche a dirlo, il centro è assolutamente caotico ed è un dedalo intricato di vicoli dove pullulano  negozietti colorati della seta famosissima di Benares, bancarelle, ristorantini…., è pieno di vita, di venditori ambulanti, di gente che chiede elemosina e di molti turisti fricchettoni, assolutamente consigliabile girare senza meta precisa lasciandosi trasportare dagli eventi, intanto qualcosa accade sempre.

Noi, ad esempio siamo tormentati da  un conduttore di risciò, ci perseguita, con il suo continuo “Hallo Italiani”, non ci ha sentito parlare non abbiamo scritto da nessuna parte che siamo Italiani ma nonostante tutto ci ha “sgamati” in due secondi, vuole per forza venderci un tour della città in risciò.

Risultato, giriamo due ore senza meta con il solo scopo di depistare il torturatore.

Torniamo all’Assi Ghat per il tramonto perché ci siamo precedentemente accordati con un barcaiolo per uscire in barca al tramonto, in modo da assistere dalla Madre Ganga al rituale dei lumini che si tiene  tutte le sere  presso il Dasaswmedh Ghat.

Attraversiamo molti Ghat e arriviamo a quello principale che è ormai buio e dalla barca  assistiamo ad uno spettacolo incredibile, mistico, coinvolgente, di luci, di suoni, di odori, di fuoco e di acqua, dove tutti i simboli sacri dell’hinduismo vengono venerati. I gradini del ghat sono pieni di pellegrini che seduti pregano, cantano e partecipano al rituale, dalle scalinate  scende verso il fiume un’aria impregnata da un forte odore di incenso che avvolge tutto e tutti, dalle piccole campane, mosse a mano dai fedeli, giunge il classico accompagnamento ossessivo dei templi indiani e nel fiume sono state accese candele ad olio che vengono lasciate galleggiare insieme a  migliaia di fiori arancioni e rossi…veramente difficile descrivere l’atmosfera che si respira tutt’intorno, anche per noi turisti è uno spettacolo coinvolgente e mistico tanto che tutti sembrano rapiti dal fascino di questo rito. FANTASTICO!!

E’ sicuramente il rito più bello, più spirituale che mi sia mai capitato di assistere.

Torniamo in hotel per la cena con l’intenzione di mangiar poco e presto visto che domani mattina il nostro “amico” barcaiolo ci aspetta alle 5.30 per andare sul Gange a vedere l’alba dal fiume e vedere i pellegrini e i devoti hindu eseguire la puja al sole nascente.

La cena al Gange View è completamente vegetariana, siamo in una città sacra, ma ugualmente buona e sostanziosa. Degno di nota è il dhal la lenticchia indiana.

 

 

Oggi è il nostro ultimo giorno in India e l’alzataccia alle 5 è traumatica ma ne varrà la pena.

Il nostro amico ci stà già aspettando in fondo alle scalinate dell’Assi Ghat, è abbastanza freddo e non c’è molta gente in giro a quest’ora.

Saliamo in barca e lentamente ci dirigiamo verso i Ghat principali di Benares, ne superiamo diversi, ognuno dei quali  in memoria di una divinità, le prime persone che avvistiamo nell’ombra sono donne che si lavano o fanno il bucato.

In particolar modo ci colpisce un Ghat da dove vediamo salire del fuoco, si tratta di un “burning Ghat” cioè uno di quelli dedicati alle cremazione, il barcaiolo ci dice che è proibito fare foto o video ma che più avanti ci farà scendere nel Ghat più importante per le cremazioni. Non abbiamo nessuna intenzione di non rispettare il loro volere e deponiamo momentaneamente la nostra cara macchina fotografica nello zainetto.

Si stà facendo giorno, dal lato destro del fiume sta salendo il sole che inonda i ghat con una  luce magica, attraverso una leggera foschia tinge tutto di arancio.

Già adesso molta gente si riversa sulle scalinate sacre, dove il sacro si mescola naturalmente con il profano in una serie di gesta del tutto naturali per le migliaia di pellegrini che affollano le gradinate.

I pellegrini sono di tute le età ma la maggior parte sono persone anziane che vengono qui per purificarsi dai peccati, infatti un’immersione nella madre Ganga vale molto di più di una vita condotta nel completo ascetismo e morire in questa città sacra vuol dire porre fine al ciclo delle reincarnazione perché qui il Yuma, la divinità della morte, non trova dimora. Qui sulle rive di questo fiume sacro ogni persona ha un proprio compito da svolgere, un proprio rito, ci sono quelli che seduti rivolti verso il sole lanciano la loro preghiera fatta di parole e gesti, altri che fanno le abluzioni nel fiume sacro, si immergono per la metà del corpo poi eseguono il loro rituale, cioè quello di lanciarsi l’acqua sul viso, altri che accendono le loro stecche di  incenso, ci sono quelli  che fanno yoga, ragazzini che già giocano e si rincorrono tra le scalinate e altri che si fanno una nuotata, c’è gente intenta a  battere e lavare i proprio vestiti, altri che portano le loro offerte: candele o fiori di loto, altri intenti a lavarsi e altri più “spirituali” che si fanno una bella fumata di oppio all’alba, in un mescolarsi di situazioni e gesti mistici.

Ci sono anche i soliti animali che si trovano in giro per le città indiane, mucche, capre,cani, asini… Insomma scorre davanti ai nostri occhi il complesso spettacolo della vita Indiana. Potrei rimamere incantato ad osservare e fotografare per ore e ore.

Per questa gente tutto quello che stanno facendo è naturale, credo che i turisti proprio non li vedano, siamo solo un contorno per loro, a prescindere dal gesto che stanno compiendo.

Tra tutta questa vita anche un’altra cosa mi colpisce, il colore dell’acqua del Gange, è grigio, l’acqua sembra densa, anzi lo è infatti la quantità di inquinamento di questo fiume ha ormai raggiunto livelli insostenibili, nella zona di Varanasi il fiume è assolutamente privo di ossigeno disciolto, in città come nelle altre non c’è un sistema fognario efficiente e tutto viene raccolta dal lento cammino di questo fiume sacro e si va ad aggiungere alla quantità industriale di rifiuti che vengono lasciati sui Ghat e in riva al fiume.

Bisognerebbe cercare di portare avanti una battaglia per ridurre l’inquinamento del fiume prima che sia troppo tardi. Ultimamente ci sono organizzazioni senza scopo di lucro che stanno cercando di ripulire le acque, ma ancora è troppo poco, secondo me  si dovrebbe andare alla radice, ora che l’India sta diventando una potenza economica potrebbe anche farlo, credo,  e cercare di intensificare la costruzione specifica di depuratori.

 

 

Cmq proseguiamo nel nostro giro e raggiungiamo il ghat di cui ci aveva parlato l’”amico” barcaiolo, quello delle cremazioni, si trova a poca distanza da una magnifica Moschea che troneggia sopra le rive del fiume.

Stavolta ci fanno scendere e anche adesso è assolutamente vietato fotografare o fare video, rispettiamo assolutamente il loro volere facciamo un piccolo giro tra le scalinate stracolme di legna da ardere in assoluto e rispettoso silenzio, e vediamo la, per noi macabra, conclusione di due cremazioni.

Giriamo la barca per tornare al nostro Ghat, i ghat ora sono stracolmi, abbiamo di nuovo, con la luce del giorno la possibilità di rivedere tutta la serie  di gesta spirituale compiute da questa gente.

Torniamo in hotel in tempo per darci una rinfrescata, fare un’abbondante colazione, cambiare i soldi perché siamo a secco e siamo già sul taxi che ci porta all’aeroporto per tornare a New Delhi.

Veramente troppo poco il tempo passato a Benares, posso solo dire di aver visto il Gange, ma  della città non abbiamo visto nulla, bisognerebbe rimare almeno altri due giorni.

Sarà per la prossima volta. BENARES ASPETTACI!!!

Poco dopo la salita nel taxi vedo Annalisa che mi guarda con gli occhi sgranati…. La sua espressione non mi piace per nulla, infatti mi confessa di aver perso la busta con i regali… e soprattutto con il Sitar… l’abbiamo lasciata in treno, ci siamo accorti con 48 ore di ritardo.

Abbiamo veramente “la testa per spartire le recchie” come si dice ad Ancona.

Spero di aver tempo di andare in un market a Delhi e di comprarne uno simile.

Il volo che ci riporta  a Delhi arriva in orario e fuori dall’aeroporto c'è il tassista dell’hotel Ajanta che ci sta aspettando. Ancora è giorno e voglio andare al mercato di Paharganj per comprare quello che abbiamo perso. Speriamo bene.

Dopo aver attraversato la parte nuova della città con strade a tre corsie per ogni senso di marcia e innumerevoli hotel di alta categoria, un’infinità di cantieri edili e stradali e l’ormai consueto caos delle strade indiane, arriviamo nella città vecchia dove è locato l’hotel. Si tratta di un grande palazzo probabilmente ristrutturato da poco, in buone condizioni e vicino al bazar di Pahargani. Ottimo.

Il tempo di depositare i bagagli che siamo subito per le viuzze del mercato alla disperata ricerca di un sitar.

Dopo un giro infruttuoso riusciamo a trovare un negozietto di strumenti musicali che ne ha un paio in vetrina, senza pensarci due volte entriamo e, anche se qualitativamente meno belli e soprattutto nuovi ma almeno funzionanti, ne ricompriamo un altro, ad un costo tre volte più basso.

In questo mercato si può trovare di tutto, ogni oggetto che abbiamo visto nei mercati delle città  del tour si può facilmente ritrovare e a dei costi veramente molto più bassi.

Consiglio ai prossimi viaggiatori di prendere in considerazione di effettuare acquisti nella capitale indiana.

Spendiamo ancora un po’ del nostro tempo a zonzo in questo bazar, cercando di finire gli ultimi spiccioli di rupie che abbiamo in tasca in acquisti vari e regalini che è  già buio e torniamo in hotel per la cena.

LA CENA! Più che una cena è un’abbuffata di diverse squisite pietanze, al costo di 3 euro  a testa mangiamo mezzo pollo tanghi, un piatto di mutton con riso Birmani, una patata arrostita al forno tandori, alcuni chapati, un paio di naan, 2 coca cola e una bottiglia di acqua, e per finire due chaì il tutto in un bell’ambiente elegante e corredato da un’ottimo servizio. 

Domani all’alba avremo il volo che ci riporterà in Italia…… purtroppo.

 

INCREDIBILE INDIA, poche parole per sintetizzare quello che ci è rimasto:

 

"...Chi AMA l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. E' sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l'amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato..."

 

Tiziano Terzani.

Diego e Annalisa.   dieanna@tiscali.it 

 

 

 

 

 

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