Etiopia

Racconto di viaggio 2006

di Egidio Parolini

 

 

Sono ancora ben presenti nei nostri occhi, nella mente e soprattutto nel cuore gli sguardi, i sorrisi, i frammenti di vita di tante persone, non saprei indicare quante alle quali siamo pas­sati vicino nel nostro pedalare attraverso l’altopiano etiope. In tutto il viaggio non abbiamo incontrato un solo “frengi” (come loro chiamano i "bianchi") come noi. Mi chiedo quale può essere l’impressione per un bimbo nel vedere transitare davanti alla sua capanna un gruppo di bianchi in bicicletta. :)

 

 

 

RACE for Malaku = Corsa per Angelo

 

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Anche questo è stata la “race for Malaku” quest’avventura un po' folle appena portata a termine. Ma andiamo con ordi­ne, anche se è difficile

porre ordine mentre affiorano con alternanza i sentimenti. Brevemente i fatti: Mons. Ange­lo Moreschi, vescovo salesia­no di Gambella (cittadina

sperduta nel sud ovest dell'Etiopia al confine con il Sudan), ci scrive lo scorso inverno chiedendoci di scegliere un progetto da con­cretizzare tra i tanti che con determinazione vuole portare a termine per la sua gente.

Optiamo per una cosa sem­plice, un trattore ed un pozzo per l’acqua per un villaggio dove sta nascendo una piccola comunità cristiana. Si parte... E da tempo che Peppino e Gigi hanno in mente di tornare a trovare gli amici in Etiopia ma di farlo in modo alternativo: usando la bicicletta.

 

Prende così forma la “race”, i km che dividono Addis Abeba da Gambella sono 800, l’importo che ci serve raccogliere per il progetto è pari a 40.000 eu­ro e allora, dividendo l’uno per gli altri otteniamo un bel 50 euro a km tondo tondo. Un bel numero da proporre agli sponsor, cominciamo con le aziende e poi amici, colleghi, il complesso degli Asma organizzano tre concerti, ci ingegniamo con qualche lavoretto di artigianato e allestiamo bancarelle di beneficenza, si organizza una cena di solidarietà alla quale partecipano 400 persone e così arrivano i sol­di, di chilometro in chilometro gli euro aumentano giorno dopo giorno e alla partenza ci ritroviamo con 81.000 euro :) da portare in dote a mamma Africa sempre sofferente e dignitosa, meravigliosa e seve­ra: unica.

 

 

Oltre a quanto promesso possiamo lasciare un bel contributo aggiuntivo a Melaku per le sue missioni e così anche agli amici dell'associazione "il Sidamo".

 

 

Dopo il doveroso rendiconto alcuni sprazzi di avventura tratti dal diario di viaggio. 8 dicembre arriviamo ad Addis Abeba Lele, Gigi, Davi­de, Peo,

Peppino ed io.

 

 

Arriviamo alla casa di Melaku e dopo aver fatto un abbondante colazione ci apprestiamo a disimballare i pacchi con il materiale portato dall'Italia e le preziose montainbike donate a noi per questa pedalata e da noi lasciate al traguardo a fine viaggio. Ci raggiunge Fabio, un “salesiano volante” di anni 67 che gira per la città in bicicletta si propone di aggregarsi per l'impresa. Capelli e barba bianca, occhi scuri e vispi; l’intesa è immediata!

 

 

 

 

9 dicembre — Velocemente passiamo a salutare gli amici delle missioni salesiane . Cominciamo da Paolo alla scuola di amarico che sta

fre­quentando, poi Don Sandro a Makanissa; Chiara e Gigi a Bo­sco Children, Don Roberto in Ispettoria. Che dire, è bello avere amici così, che

spendo­no la vita per gli altri nel se­gno di Don Bosco. Lo spirito salesiano si respira a pieni polmoni, forse per l’aria fine della quota.

Delle varie opere in Addis Ababa tutte fonda­mentali e ricche di speranza per i giovani...

 

 

10 dicembre — Dopo una preghiera accanto alla statua di Maria Ausiliatrice e una benedizione speciale del Vescovo si va. Guidati da Fabio usciamo velocemente dalla città e pedalando ci allontaniamo da quel concentrato di contraddizioni e sogni infranti rappresentato dalle grandi città del terzo mondo. La campagna ci dà una dimen­sione più umana, a misura d’uomo, più dignitosa. La ca­panna è sempre più vivibile di una baracca di cartone, legno e lamiere arrugginite. Il primo giorno scorre veloce, tappa quasi pianeggiante, temperatura ideale, non scendiamo mai sotto i 2000 metri e il sole, su noi “bianchetti”, produce il suo effetto.

 

 

11 dicembre — Secondo gior­no, cominciano le salite e su e giù ad ogni villaggio tutti ci salutano, sorridono, si meravigliano vedendo questa

strana carovana. I ragazzi ci chiedono in inglese dove stiamo andando e al nome Gambella seguono esclamazioni di stupore. I bambini ti rubano il cuore con i loro occhi, i loro sorrisi e le loro manine che si muovono a volte timorose, a volte gioiose. Dopo una salita in cui gli atleti di punta

sferrano il loro attacco ci troviamo a mangiare polli all’aperto in un tipico “ristorante” con tutti i bambini del paese che ci osservano ed il nostro imbarazzo è vinto solamente dalla fame.

 

 

Terzo giorno — Si prosegue e finalmente entriamo dopo oltre 400 chilometri nella diocesi di Melaku. I paesaggi sono sempre mozzafiato ma ci vorrebbe un libro per descriverli tutti dalle vallate agli altipiani, dalle foreste alle piantagioni di tè o caffe, alla savana. La prima chiesetta che

incontriamo è di fango con il tetto di lamiera. Il pomeriggio giungiamo a Beddele dove ad accoglierci c’è Padre Abram con un mazzo di fiori in mano; siamo commossi e felici. Sulle porte delle stanze che ci ospitano sono appiccicati i nostri nomi, ci sentiamo a casa. La missione è in un posto veramente meraviglioso; fuori dalla cittadina immersa nel verde. Le aule della piccola scuola, la chiesetta e tutto intorno a noi, ci trasmettono serenità e pace.

 

Me­laku ha diviso equamente tra le missioni che tocchiamo la nostra dote e ci sentiamo quasi in imbarazzo per l’accoglienza semplice e generosa che ci viene riservata.

 

 

Quarto giorno — Quasi ci siamo. . . si giunge a Metu dove all’asilo scarichiamo dal camion che ci segue una giostra per i bambini. Sono tanti,

le classi traboccano di occhi vi­spi e voci squillanti... ancora fiori e applausi per noi. Anche chi non lo dà a vedere è com­mosso da questa

accoglienza che si ripresenta puntualmente. La sera siamo a Gore. Qui il camion si ferma, il cambio non va più, per fortuna si rompe prima della

discesa che porta alla missione altrimenti sarebbero stati guai seri.

 

 

Quinto giorno e ultimo in bici — Si lascia l’al­tipiano, il verde, il clima mite e velocemente si scende a valle tra la savana in fiamme, l’odore

acre del fumo e il cal­do. Dove siamo finiti? Ci sembra di essere all’inferno:

tutto bruciato attorno a noi, la temperatura continua ad aumentare siamo ormai a 40 gradi. La sola sorgente di vita sembra essere il fiume che pigro scorre verso la pianura, ricco di pesce e bordato dall’unica natura verde rimasta dopo gli incendi. Presto giun­giamo ai primi campi profughi dei sudanesi e poco dopo ci vengono incontro alcuni ragazzi da Gambella, anche loro in bicicletta, mandati da Melaku per accompagnarci alla meta. Quasi ci siamo, gli ultimi km sono indimenticabili, la gioia cresce ad ogni pedalata, ci scambiamo sorrisi e sguardi loquaci.

 

ce l'abbiamo fatta!!.

 

 

Al nostro arrivo l’accoglienza è indescrivibile, la gente applaude vedendoci transitare per le vie dalla cittadina dall'atmosfera insolita:

strade polverose, pochissime automobili, carretti trainati da cavalli, le abitazioni sono palazine (alcune risalenti alla colonizzazione italiana) e

capanne di fango col tetto in paglia., al nostro arrivo alla missione un corteo ci attende, le ragazze ballano meravigliosamente, veniamo adornati

con ghirlande di fiori; siamo commossi, ammutoliti ed increduli. Ce l’abbiamo fatta! La race for Melaku non è più un folle sogno ma realtà.

 

I giorni che seguono li passiamo tra la gente, i villaggi, le missioni, l’ospedale di Abobo, le suore di Madre Teresa e l’oratorio di Gambella dove

la domenica contiamo 4050 bambini ma di questo ed altro narreranno le immagini che il nostro mitico regista ha raccolto e sta montando in questi giorni. Per noi è stata un’ esperienza indimenticabile e irripetibile..., ma il mal d’Africa già si fa sentire.

 

 

 

 

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Saluti Egidio        egparol@inwind.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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