Cuba
MI CIELITO CUBANO
Diario di viaggio Luglio
- Agosto 2008
di
Irene M.
Madrid, 9 luglio 2008
Muore
solo un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.
Mancano
2 ore alla partenza del volo per La Habana. Non ho molto tempo, l’aeroporto di
Madrid è gigantesco e ci vogliono 25 minuti di tapis roulant solo per arrivare
al mio gate di imbarco! Lì scopro che il volo è in ritardo e mi siedo,
guardandomi intorno. Per essere un “non-luogo” questo aeroporto è molto
originale dal punto di vista architettonico. Intanto il mio mp3 passa “When
love breaks down” dei Prefab Sprout. Al gate accanto al mio imbarcano per
Nueva York, partenza ore 17, stesso orario del mio volo per Cuba.
Sì,
tutti uguali gli aeroporti, gente che va, gente che torna, tutti un po’
stralunati, in sospeso in questo “non-tempo”, in attesa silenziosa o
smaniosa. Di fronte a me c’è un tizio che legge un libro…capovolto!! Gira
le pagine andando indietro e poi riesco a vedere che la copertina è a rovescio!
Accidenti ma com’è?
Intanto
chiamano l’imbarco e la traversata dell’Atlantico si fa realtà.
Sull’aereo guardo Martian Child con John Cusack, con questo piccoletto che si
crede marziano e ripete sempre nunca nunca nunca nunca…Di leggere invece non se ne parla nemmeno.
Andando al bagno passo accanto al tizio che leggeva “al contrario” e sbircio
il suo libro: è ebraico! Mistero risolto!
Ho
tre sediolini a disposizione e cerco di riposare. Immagino Cuba ma non riesco.
È sempre così quando parto, non mi figuro mai come sarà il posto dove sto
andando. Ma lì c’è una cara amica che mi aspetta. Direi che questa può
chiamarsi fortuna.
Arrivo
all’aeroporto de La Habana, José Martì International, alle 21 circa. I
bagagli superano i controlli alla dogana, anche lo zainone pieno zeppo di
medicinali, tutto fila liscio e Denise è lì che mi aspetta con la sua testa
piena di ricci biondi. Ci abbracciamo e prendiamo il taxi che ci porta a casa.
Sono cotta, dal viaggio, dal fuso e dal raffreddore che mi è scoppiato in volo,
fa caldo boia, menomale che il tassista mi porta i bagagli fin sopra casa, in
centro Habana, Calle Neptuno 521. E’ una casa molto grande, colorata, con una
terrazza coi tavolini e le sedie a dondolo in ferro battuto, la padrona è
Miriam, una signora bianca e bionda che pare tedesca, che vive con la figlia
Sinai e il marito di quest’ultima, Ricardo. Sinai e Ricardo hanno un bimbo di
14 mesi che si chiama Ricardito. Nella casa c’è anche Deilmiri, la ragazza
che cucina e aiuta. I nomi cubani sono davvero fantasiosi! La nostra stanza è
rosa e ha l’aria condizionata, ci son tutti i confort e l’incubo India è
fugato! Tiriamo mezzanotte ora locale (mie 6 del mattino) a chiacchiera, do i
regalini a Denise e poi crollo.
La
Habana, 10 luglio 2008
...me
pides que sigamos siendo amigos.
¿Amigos para qué? ¡Maldita sea!
A un amigo lo perdono, pero a ti te amo,
pueden parecer banales mis instintos naturales...
Ho
dormito poco ma è normale con il jet lag. Ci aspetta la colazione: pane, miele,
burro, omelette, succo di guayaba che mi fa impazzire, il mio tè (earl grey
ovviamente) e la nutella portata per Mami ma che Denise mi chiede come regalo,
presa da un irrefrenabile attacco di golosità e astinenza! J
Ci prepariamo e si esce, per assaggiare il mio primo morso di Habana.
L’appuntamento è alle 10 da un “chiropratico” dove Denise si sta curando
il mal di schiena…arrivo nell’androne di un palazzo di calle Concordia e
vedo un tizio di colore, più o meno della mia età, con un pancione enorme e un
lunghissimo sigaro in bocca, bermuda jeans, scarpe da ginnastica con calzini,
t-shirt celeste, circondato da decine di persone in attesa che lo osservavano
con ammirazione e devozione.
Nel
suo delirio di onnipotenza, il Doctor Lino parla senza sosta, dicendo frasi di
auto-esaltazione tipo Yo soy el medico mas grande de la tierra, yo soy autosufficiente, yo soy
servaje (selvaggio), yo soy caballo
(dice Denise che si riferisce agli spiriti che lo “montano”) e intanto tocca
con gesti rapidi e a scatti il “paziente” che gli sta davanti, in piedi, di
solito di spalle a lui che ti tocca la schiena, ti torce il collo, le braccia,
ti tocca la pancia, ti solleva per il bacino o per le braccia incrociate (come
ha fatto con me) e poi ti dà una pacca per dirti che ha finito. Il tutto dura 2
minuti scarsi per 1 pesos cubano se sei cubano e 20 cuc (pesos convertibili) se
sei straniero! Sulle pareti della stanza diverse scritte con testimonianze di
guarigioni dai mali più disparati, con date e nomi. Arriva una coppia, lei con
una gamba sola, vengono dalla Colombia apposta per farsi toccare da lui che già
in passato li ha “curati”; altri gli portano fotografie di parenti malati e
allora Doctor Lino fa sulla foto gli stessi gesti che fa dal vivo, aspira il suo
sigaro e poi soffia il fumo sulla foto dicendo Tienes
solucion, tienes solucion!
Denise
attende il suo turno, sostiene che dopo la prima seduta si sente già meglio e
che io dovrei farmi curare questo terribile raffreddore ma la mia “visita”
mi piace solamente per il modo in cui Doctor Lino mi fa scrocchiare la colonna
vertebrale dal collo all’osso sacro, pur nel timore che mi spezzi in due!
Insomma
la prima mattina a La Habana è davvero folcloristica, osservo con stupore e
curiosità tutta la gente che è lì e il Doctor Lino…che personaggio
favoloso!!! Il raffreddore mi resta uguale a prima, anzi peggio ma hai visto mai
che mi abbia curato qualche altra cosa di cui non sapevo???
Omaida,
amica di vecchia data di Denise, ci raggiunge e ci porta a casa sua per una
bibita. Lì conosco Eliane, una ragazza svizzera che sta prendendo lezione di
salsa. Lasciamo nutella e alca seltzer a Ilda, la mamma di Omy e poi andiamo in
taxi al Saratoga Hotel, in Parque de la India, dove Denise deve scrivere mail.
Io ne approfitto e scrivo a casa, mi riposo un po’ mentre il raffreddore mi
tormenta e mangio un ottimo tramezzino al tacchino. A casa dormo 3 ore e al
risveglio Miriam mi prepara un decotto di aglio, limone e miele che riesco a
buttar giù senza problemi…il problema ce l’avranno coloro che mi staranno
vicini stasera! J
La
giornata non è finita, Denise ha appuntamento per cena con 3 ragazze americane
Helena, Sarah e Ann in un ristorante sul Malecòn, il lungomare de La Habana.
Assaggio lì il filetto di pesce tipico e un poco di aragosta: buonissimi! E
dopo cena…sì perché c’è pure un dopo cena (alla faccia del jet lag!)
incontriamo Evelio e Emilio, che cantano e suonano la chitarra da dio! C’è
pure Eliane, passeggiamo un po’ lungo il Malecòn, ormai è buio ma c’è
tanta gente seduta sul muretto, non c’è uno spazio libero per metri e metri
perché la sera tutti vanno al Malecòn e respirano il mare, parlano, ballano,
bevono, lasciano passare il tempo godendosi quella brezzolina marina che ridà
respiro dopo la terribile canicola del giorno. Evelio ha una bellissima voce,
canta per noi canzoni d’amore ma poi un poliziotto lo ferma e gli dice che non
si può suonare per strada. Siamo così costretti ad allontanarci. Niente da
fare….uno dei pochi piaceri che hanno e nemmeno quello gli lasciano fare. Alla
fine troviamo un posticino tranquillo e lontano dalla folla così Evelio
riprende a cantare, poi arriva Wilmer (a conferma del fatto che i nomi cubani
sono davvero fantasiosi e originali!) Intanto una famiglia si ferma a ballare,
lui, lei una bottiglia di rum, il ragazzino, ubriachi e chiaramente povera
gente, magri e scavati ma sorridenti e uniti. Ho un sonno che non ci vedo ma
Evelio mi fa cantare, fa la sua parte di uomo cubano romantico ma io non capisco
molto, qui parlano spagnolo senza pronunciare la esse e allora rido mentre gli
chiedo disperata “hablame con la “s” por favor!” ma lui mi canta
d’amore mente Denise chiacchiera con un ragazzo di colore che è babalao
(cioè una specie di veggente), io gli dico che l’amore è un’illusione poi
ad un certo punto parte con “La mia storia tra le dita” di Grignani in
spagnolo…pure qui? Alle 2 circa ci riaccompagnano a casa ed Evelio scrive sms
a Denise: “Quiero conocerte alguna vez o tu seras solo una ilusiòn”. Come
prima serata niente male per iniziare a capire come funziona qui. Notte! J
La
Habana, 11 luglio 2008
Ay,
ay, ay, ay,
Canta y no llores,
Porque cantando se alegran,
Cielito lindo, los corazones...
Una
“traversata” in una macchina vecchia vecchia di un amico di Mercedes e
quando dico vecchia intendo anni ’50, come quasi tutte le macchine cubane,
grandi, coloratissime, arrugginite nell’anima e che si tengono su grazie agli
strati di vernice! Oddio ho visto pure qualche Panda e al Vedado e case
bellissime. Siamo io, Denise, Mercedes ed Eliane. La spiaggia dove ci porta oggi
Mercedes è Santa Fé (marina Hemingway) non è granché, c’è un casino di
gente, tutti stanno all’ombra ed io son la sola che si mette stesa al sole.
Questi lo rifuggono, cercano solo il fresco e l’ombra degli alberi perché
dicono che già è troppo sopportare quel caldo tutto il giorno tutti i giorni
per doverlo fare pure al mare! Invece io non vedevo l’ora, poi con questo
catarro il mare non mi fa che bene e così faccio anche il bagno in mezzo alle
decine di ragazzini cubani che giocano a palla e fanno un casino che mi pare di
essere sulla spiaggia di Mondragone!
Pranziamo
in un localino sulla spiaggia a base di tostones (platano fritto a rondelle)
buonissimi e qualche pesciolino, poi bus pubblico fino alla casa di Ricardo dove
cerco di fare due chiacchiere in cubano ma ancora non li capisco, che roba
strana! Ritorniamo a La Habana con un’altra macchina stavolta più
“nuova”. La quinta Avenida è la strada delle ambasciate, un vialone
alberato bellissimo, pieno di Flamboyant, gli alberi dai fiori rossi, una
esplosione di colore che si staglia nel cielo blu, case con patii e giardini, in
stile coloniale. Mi diverto a guardare e fotografare le targhe delle macchine, i
taxi, i cocotaxi gialli. Ho parlato molto con Eliane oggi del carpe diem e
dell’amore. Mi trovo molto bene con lei, conversiamo in inglese misto allo
spagnolo, è utile avere due lingue a disposizione per chiacchierare, hai più
possibilità di esprimerti, nonostante nessuna delle due lingue sia la propria.
Ma in un posto come Cuba comunicare sembra più facile, forse per la
predisposizione d’animo, la pace che regna, il tempo che scorre lento. O forse
perché se si ha la passione per uno stesso posto si ha di certo qualcosa in
comune, qualcosa di essenziale…
Torniamo
a casa per un riposino e poi ci prepariamo per andare a ballare al Florida, un
hotel nella Habana Vieja che ha una sala con musica dal vivo e che Denise chiama
“jineterolandia”! I Jineteros sono dei bravissimi ballerini e Denise dice
che bisogna ricorrere a loro per poter ballare la salsa alla grande. Questi
ragazzi sono tutti tirati a lucido, magari vestiti di bianco, con le scarpe
dalla punta lunghissima e sempre un fazzoletto nelle mani per asciugarsi il
sudore. Il Florida è un locale turistico, c’è un ambiente selezionato e
l’ingresso costa 5 CUC con due cocteles inclusi. Ci sono i tavolini tondi,
divanetti e una pista da ballo non molto grande ma affollatissima, specie quando
c’è il gruppo che suona dal vivo, anche loro bravissimi, quattro ragazzi che
ballano, cantano, suonano le maracas e i tamburi e trasmettono un ritmo di un
energia pazzesca, non si riesce a star fermi!
I
Jineteros si accompagnano a turiste di tutte le età, per esempio c’è Wilmer,
27 anni, con una tipa di almeno cinquant’anni, europea, che pareva su’
nonna… io, Denise ed Eliane ci siamo chieste se lui davvero si stesse
divertendo come sembrava e ci siamo risposte che così facendo lui ha almeno
rimediato qualche sera nei locali, i cocktail e le cene fuori, qualche regalino,
notti in grand hotel e magari poi quella se lo sposa e lui realizza il suo sogno
di fuggire da Cuba! Comunque c’erano anche coppie giovani che sembravano molto
affiatate, almeno nel ballo, le donne straniere e gli uomini cubani, per la
maggior parte. Chissà perché.
Ci
sono un paio di loro che ballano da dio, mi sono incantata a guardarli per ore!
Domani avrò la mia prima lezione di salsa e allora sarà bello buttarsi nella
mischia con questa gente che ha il ritmo nel sangue e si muove in modo
incredibilmente contagioso. E mi correggo, per le mie amiche che mi prendevano
in giro: i cubani sono molto carini, alcuni bellissimi, i più neri sono quelli
di origine africana e son quelli che ballano meglio di tutti! Non c’è niente
da fare!
E
così la serata è volata, si è fatta l’una e ci siamo incamminate a piedi
verso casa. Le stradine della Habana Vieja sono abbastanza tranquille ma
superato l’incrocio di Galiano si entra nel Centro Habana che è la parte più
povera e fatiscente. Io ho la borsetta di filo a tracolla, cammino disinvolta
quando un ragazzino viene fuori da un vicoletto, mi si para davanti e nel giro
di qualche secondo mi strappa la borsa e inizia a correre via. Un altro cerca di
fare la stessa cosa con Denise ma lei urla e riesce a trattenere il suo
zainetto. Io resto imbambolata, in 37 anni di vita, di cui 30 a Napoli, era ora
che sperimentassi il primo scippo, no? Incredibile, mi ha strappato la borsa dal
collo con un colpo secco, nemmeno mi ha lasciato un graffio, e poi è corso via
come un fulmine mentre il mio cuore andava a mille. Mi sono spaventata, sì, la
strada era deserta, Denise ha subito chiamato un taxi che ci portasse a casa
facendo il giro largo perché nella mia borsa c’erano le chiavi di casa di
Miriam. Nessun danno, oltre questo. Nella borsa avevo un pacchetto di
fazzolettini di carta, 20 cuc, le fotocopie del passaporto e il rossetto…so’
stata scippata ma, falluovo, sempre napoletana sono! E pensare che se me li
avesse chiesti, glieli avrei dati quei soldi assieme a tutte le cose che ho
portato apposta dall’Italia, penne, quaderni, palloncini e caramelle. Società
del cacchio.
La
Habana, 12 Luglio 2008
Si
viaggia sempre in avanti nella misura in cui
si
procede a ritroso dentro la propria esperienza umana.
Ore
10-12 la mia prima lezione di salsa!
A
casa di Omaida ci siamo io, Denise, Eliane, Ann, Helena, Sarah, una ragazza
turca e poi i nostri ballerini, Juan per me, Lachi, Sandy e Yasser per le altre.
Abbiamo
ballato, riso e sudato per due ore, in mezzo ai ventilatori puntati addosso,
bottigliette di acqua e bandane per fermare le gocce che ci bagnavano viso e
occhi.
Io
ho ballato in coppia per la prima volta in vita mia e quel poverino di Juan è
riuscito a farmi muovere e sciogliere come mai mi sarei aspettata! Omaida
non credeva che per me fosse la prima volta a ballar salsa e invece sì! E
voglio farlo ancora!!! Non son riuscita in nessun modo a fare la vuelta ma mi è
piaciuto un sacco, finora ho sempre e solo guardato, invece è stato
divertentissimo stare nella mischia e farsi prendere dal vortice. Dopo 2 ore ero
distrutta e bagnata fradicia ma felice. Ci siamo asciugate e siamo andate a casa
di Lucia, la sorella di Omaida, a mangiare l’aragosta: buonissima! Ci siamo
leccate i baffi. Riso e frijoles (fagioli neri), verdure crude, avocado, platano
fritto, questa favolosa aragosta succosa e saporita e un succo di mango fresco e
dolcissimo in una casa molto bella, lasciata a Lucia dalla donna alla quale lei
faceva da badante.
Dopo
la magnata ritorno a casa e riposino…di 5 ore! J
Al
risveglio avevo le energie per affrontare la serata all’Habana Café ed il
jet-lag era completamente superato. Ci è venuto a prendere Jorge, l’autista
personale di Denise quando lei è qui. È il cognato di Ricardo e Sinai, quindi
è salito a casa a salutarli. Denise me lo presenta ed io vengo letteralmente
accecata da questi bellissimi occhi verde smeraldo. Ma i cubani non erano tutti
neri??? Eh no, evidentemente! Jorge mi saluta col solito bacio sulla guancia cui
ancora non mi sono abituata. Qui ci si presenta così, non ci si dà la mano
dicendo piacere ma ci si bacia direttamente sulla guancia destra, un solo bacio,
la prima volta che ti conosci, chiunque sia, un ragazzo, un anziano signore, un
bimbo o un barbone. Ci prepariamo e Jorge ci porta con la sua Tico alla Habana
Cafè, hotel Meliá Cohiba dove troviamo le
americane, Omaida, altri amici cubani e la simpatica coppia statunitense
Benjamin e Rue. Cenetta e spettacolo di cabaret con i giocolieri,
l’equilibrista e il fenomenale quartetto che ha cantato roba tipo
You are my destiny, i tre maschietti con le giacche con le spalline, lei che
scoppiava nel suo vestito nero attillato e un sedere a mongolfiera come solo le
cubane (è incredibile quanto sfidi la forza di gravità) e tutti e quattro con
i microfoni con il filo, lungo lungo che finiva dietro le quinte! Mi sembrava di
stare in un film Americano degli anni ’50, tutto era molto “antico” e
fuori moda ma loro sono così fieri e così presi nella parte che non puoi che
provare tenerezza. Nel locale ci sono centinaia di foto di personalità famose,
strumenti musicali e oggetti vari utilizzati nei film, due macchine del ’57,
una Harley Davidson del ’47 e perfino uno YAK-18 biposto, appeso al centro
della sala. Comunque abbiamo avuto
il pezzo forte della serata, quello per cui eravamo andati all’Habana Café,
ossia il gruppo Ra ka tan, con Ramses e altri ballerini di salsa, rumba, samba,
di tutto di più, bravissimi, bellissimi. Dopo di ciò è partita la discoteca
col reggaeton e allora siamo fuggiti. Jorge ci aspettava fuori, alle due di
notte suonate poverino, per accompagnarci a casa.
La
Habana, 13 luglio 2008 domenica
Jorge
ci ha portate al Parque Lenin, me, Denise ed Eliane, in questa nuvolosa e
afosissima domenica mattina. Durante il percorso in macchina ho notato i
cartelloni che pubblicizzano la Revoluciòn, con le frasi di Fidel o del Che.
Passiamo accanto ad un cartellone in particolare che dice che la rivoluzione è
libertà. Faccio un mugolio e Jorge mi chiede cosa penso ma io gli rigiro la
domanda: “Cosa pensi della Rivoluzione? Credi davvero che abbia portato alla
libertà?” Lui, da persona intelligente quale è mi dice che lo sa, adesso
lo sa che è stata tutta una bugia. In passato ha militato nel partito e ha
creduto nella Rivoluzione e negli ideali di cui essa si è nutrita ma ora è
disilluso e pensa che a Cuba si è ad un punto morto, che qualcosa deve per
forza cambiare.
Il
Parque è enorme, ci sono grandi alberi dalla corteccia morbida, alte palme,
fiori bellissimi. Jorge ci ha lasciato suo figlio, Jorgito, tutto contento di
restare con noi. Abbiamo fatto un giro sul treno a vapore che percorre tutto il
parco, lento e sbuffante. C’è molta gente, escono di domenica per andare al
Luna Park e si vestono di tutto punto, nei loro abiti migliori, come qui per
andare alla Messa. Altri fanno il pic-nic sotto gli alberi con la macchina
parcheggiata accanto e la musica a palla.
Mercy
è arrivata con Joel, sul vespino, con le cajitas (scatolette di cartone) di
riso moro con frijoles e pollo e poi mi ha insegnato a fare la vuelta che ieri
con Juan non ero riuscita a fare. Ad un certo punto è venuta giù qualche
goccia di pioggia a rinfrescare quella tremenda afa ed è tornato Jorge per
riportarci a casa.
Riposino
e poi al 1830, un posto all’aperto, sul mare, vicino ad un castello nel
quartiere di Miramar, dove c’era una festa di salsa (ovviamente) e dove si è
ballato dalle 19 alle 23.30 senza sosta. Questi sono matti! Per quanto mi
riguarda ho fatto il mio primo ballo con Servio che mi ha tampinato tutta sera
ma almeno è stato paziente a tenermi il tempo mentre ballavo e a farmi rompere
il ghiaccio con la pista da ballo. Inoltre mi ha tenuto una lezione sui cubani
ovvero mi ha classificato gli abitanti in bianchi, mori e negri. Ho scoperto così
che tra di loro c’è razzismo, che i bianchi e i negri hanno tutta una lista
di frasi per offendersi e che ognuno è orgoglioso del proprio colore.
Senza dubbio la differenza principale a Cuba è tra bianco e nero ma a questa
distinzione si aggiungono altre come quelle tra mulatto, moro o meticcio. Ci
sono poi tutta una serie di termini, molto coloriti ed espressivi, che rivelano
un concetto matematico del colore e della etnia e che si basano sulla intenzione
di chi parla. Ad esempio per mulatto si intende la combinazione perfetta di
colore e si indicano persone dai lineamenti sottili e il “pelo bueno”,
dunque con una connotazione di sensualità (tremendo mulato!)
Per
il resto, bianco o negro, ho dovuto spezzargli il cuore visto che Servio già mi
avrebbe sposata. Questi cubani si innamorano a prima vista e tutte le sere e….
i jineteros sono le puttane più capaci ed abili sulla faccia della terra! Ti
chiamano come fossi un gatto, psssssss, pssssss, e poi urlano in un improbabile
nonché ridicolo inglese “Hey leidy, wahs
yore naim? gweir zhou frong?
Denise,
dopo tanti anni, non ne può più e li anticipa facendo loro le stesse domande.
Lei dice che ci trattano come dollari ambulanti e purtroppo questa è la
sacrosanta verità. Colpa del regime, colpa della povertà, fatto sta che la
prostituzione è il modo più semplice e comodo che questi ragazzi abbiano per
tirare un po’ fuori la testa dalla merda. Ciò non vuol dire che noi si debba
sopportarli e assecondarli! La pazienza ha un limite.
Alla fine della serata ero stracca e allora mi sono seduta allungando le gambe su una sedia (non proprio femminile come cosa)…non l’avessi mai fatto!!! Mi è arrivato un applauso da un gruppo di ragazzi, un altro rideva, uno mi ha tirata in mezzo alla pista dopo essersi inginocchiato pregandomi di ballare con lui e alla fine mi sono davvero fatta un mare di risate tra il frastuono, la gente. il sudore e la musica del 1830, con l’odore del mare. E vai, nulla di male nel lasciarsi trasportare per qualche minuto. Poi è venuto Jorge e ci ha riportate a casa, salutandomi con una “buenas noches, italianita”.
La
Habana, 14 luglio 2008 lunedì
Per
chi viaggia, l’incontro con l’altro si svolge sempre “tra”,
in
una sorta di terra di nessuno che
sta in mezzo
alle
due culture di appartenenza.
In
quella zona non delimitata, tra il “già” e il “non ancora”
dove
i pensieri e i gesti trovano spazi comuni di comprensione,
dove
le differenze non entrano a disturbare un dialogo
che
spesso è più facile di quanto pensiamo.
Stamani
con Jorge ho scoperto un’altra Habana. Mi ha portata alla Habana Vieja per
prelevare dei soldi in banca e mentre Denise sbrigava le sue cose noi abbiamo
fatto un bellissimo giro in cui Jorge mi spiegava ogni cosa, ogni angolo, ogni
segreto di questa parte di Habana tutta colorata, ristrutturata, turistica, con
bellissimi palazzi in stile coloniale, isole pedonali, localini, musica dal
vivo, botteghe, insomma molto più tranquilla e rilassante del Centro Habana
dove stiamo noi. Poi Jorge ci ha lasciate ed io e Denise abbiamo proseguito il
nostro giro facendo foto, pranzando con la paella e chiacchierando. A Plaza de
Armas ho visto la Ceiba, l’albero sacro per la
santeria dove gli habaneros si mettono in coda per dar la vuelta a
la Ceiba ovvero fare 3 giri intorno all'albero mentre ne toccano il
tronco esprimendo tre desideri. L'albero, sotto le cui fronde sembra sia stata
celebrata la prima messa cattolica a Cuba, è posto di fronte a El Templete,
il tempietto neoclassico, costruito nel 1828 per celebrare la
fondazione della città, che si affaccia su Plaza de Las
Armas. E' un rituale scaramantico beneaugurante a cui non si
dovrebbe rinunciare. Per tradizione a chi compie questo rito l'anno successivo
tutto andrà perfettamente bene. Se uno dei tre desideri si esaudisce bisogna
tornare a La Habana entro l’anno successivo per ringraziare. Io ho dato la
vuelta e ho espresso i miei desideri, anzi uno solo, perché è unico il
desiderio che ho. Continuando il nostro giro siamo andate a plaza Vieja, alla
piazza della cattedrale dove abbiamo preso un caffè con Servio. Nella piazza
abbiamo visto una quinzeañera, una ragazza che compiva 15 anni ed aveva un
abito largo e lungo pieno di merletti e i fiori in mano, una macchina con nastri
e chauffeur che l’aspettava e il fotografo che la ritraeva nel giorno più
importante della sua vita. Sì a Cuba è così, quando si compiono 15 anni è
festa grande, una sorta di ingresso in società, il nostro diventare maggiorenni
ma anche di più. Che strane queste usanze latine!
Tornate a casa abbiamo avuto giusto il tempo di una doccia e poi subito da Omaida per 2 ore di lezione di salsa con Juan. Stavolta ho imparato a fare tre vueltas una dopo l’altra ed è stata una grande soddisfazione sia per me che per Juan! Ma ho dolori muscolari ovunque: una fatica!!! Ritorno a casa, doccia (ennesima) e preparativi valigia: domani si parte per Holguìn! Io, Denise, Mercedes e Jorge!!
15
luglio 2008 martedì
Mattina
all’hotel Habana Libre al Vedado a scrivere mail in attesa di notizie da Jorge
per la partenza ma queste tardano a giungere. Pranzo con Denise al ristorante
cinese Chan
Li Po in Campanario con un fantastico Chop Suey, un piatto a base di
carne e verdure condito con brodo vegetale e salsa di soia. Poi giro per
negozietti e di nuovo a casa dove abbiamo giocato un po’ con Ricardito, il
bimbo di Sinai, che ha 14 mesi, è bellissimo e fa un sacco di facce mostrando i
denti o i muscoletti! Se poi gli dici “portate
bien Ricardito!” lui ti fa in gesto con l’indice a mò di rimprovero!
Grandioso! Finalmente alle 19 è arrivato Jorge che aveva passato la giornata
dal meccanico. Abbiamo caricato gli zainoni e via, verso la nostra prima tappa
raggiunta in 4 ore: Santa Clara. Sistemazione in casa particular e subito nanna.
Santa
Clara 16 luglio 2008, mercoledì
…mi
sento così patriota dell'America latina,
di
qualsiasi paese dell'America latina, nel modo più assoluto
e
qualora fosse necessario sarei disposto a dare la mia vita
per
la liberazione di qualsiasi paese latinoamericano,
senza
chiedere nulla a nessuno, senza esigere nulla,
senza
approfittare di nessuno.
Alle
6 del mattino già si sentiva il vociare in strada eppure si trattava di una
stradina davvero piccola perché Santa Clara è proprio una cittadina di
campagna. Ma la vita qui comincia presto a quanto pare, con i venditori
ambulanti e gli urloni per strada, i calessi, i cavalli, le vespette colorate.
Jorge è andato di nuovo a cercare un pezzo per la macchina, Denise e Mercedes
chiacchierano ed io decido di farmi un giro nei dintorni. Che bello, qui è
tutta un’altra dimensione rispetto a La Habana: tranquilla, in mezzo al verde,
i vecchietti seduti sugli scalini di casa a leggere il giornale, un donnone che
fuma un sigarone (sono le 8 del mattino!!!), i calessi pieni di gente, le
botteghe di frutta e verdura con le scritte del Che sulle pareti o gli
striscioni per strada, le biciclette arrugginite e le moto anni ’70. Tutto
scorre con un ritmo più lento e più silenzioso, il sole riscalda già forte la
mattinata e la gente ha un fare molto più rilassato. Santa Clara è la città
del monumento al Che che conserva i
suoi resti e i suoi oggetti. Quando Jorge arriva finalmente verso le 11, andiamo
a visitarlo. Si tratta di una piazza enorme, davvero grande, con questo
complesso scultoreo e la statua del Comandante che domina dall’alto di un
piedistallo in mattoni su cui spicca la scritta Hasta
la Victoria Siempre. E
di lato, su un altro cubo di mattoni, la bellissima citazione tratta dal suo
diario in Bolivia: “...me
siento tan patriota de Latinoamérica, de cualquier país de Latinoamérica,
como el que más y, en el momento en que fuera necesario, estaría dispuesto a
entregar mi vida por la liberación de cualquiera de los países de Latinoamérica,
sin pedirle nada a nadie, sin exigir nada, sin explotar a nadie".
Mi
vengono i brividi ogni volta che rileggo questa frase.
C’è
un sole che spacca le pietre e un afa insopportabile, mi soffio col vestito di
jeans che indosso, faccio mille foto alla statua del Che
poi si riparte alla volta di Holguìn nella nostra Tico dove stiamo tutti e
quattro belli stipati stipati. Il viaggio è lungo e ci fermiamo spesso perché
la macchina perde olio. La strada però è bellissima e lungo il percorso ammiro
paesini nel verde lussureggiante, con case di legno, cavalli e calessi, donne
che passeggiano cogli ombrelli bianchi (che appunto qui chiamano sombrillas
e non paraguas), camioncini che caricano la gente da portare al lavoro,
alberi di mille colori, i rossi Flamboyant
che costeggiano tutto il percorso, le biciclette, i banchi della frutta
esotica, i ragazzi che vendono il formaggio ai bordi della strada, le infermiere
con le calze a rete bianche e le scarpe da ginnastica, le donne con le torte in
mano su un vassoio di cartone, e tutto ciò paese dopo paese, municipio dopo
municipio, da Santa Clara a Sancti Spiritu a Camaguey a Holguìn.
La
seconda parte del viaggio l’ho trascorsa in una piacevolissima e lunghissima
chiacchierata con Jorge che aspetta che io gli dica “Estoy muerta contigo”!
Non parlo ancora il cubano però io e Jorge ci capiamo tra spagnolo, italiano e
linguaggio dei gesti. Abbiamo cantato le canzoni di Eros in spagnolo e poi
gliele ho fatte sentire in italiano col mio I-pod. Gli ho messo le canzoni di
Buena Vista e lui ha cantato “Chan Chan” con una contentezza indicibile da
cui emerge l’orgoglio di essere cubano, come spesso si vede in Jorge: “De
alto Cerro voy para Marcane, llego a Cueto voy para Mayari…” Mercedes e
Denise si meravigliano ma quando c’è feeling…. “è un incontro
d’anime…” J
Ci
siamo raccontati la nostra vita e così ho saputo che è nato a Pinar del Rio,
cosa per la quale Mercedes lo prende sempre in giro. A Cuba quelli di Pinar del
Rio sono bonariamente presi in giro per la loro “stupidità”, per il loro
essere dei sempliciotti di campagna. Questo è il ruolo che tocca ai poveri
pinareños, bersagliati da barzellette e motti da tutti i cubani, principalmente
da quelli de La Habana. Jorge dice che le puttane di Pinar Del Rio furono le
ultime a scoprire che dovevano farsi pagare. J
Lui
è un ingegnere in telecomunicazioni che in passato è stato un anno in Brasile,
cosa per la quale si ritiene ovviamente un privilegiato perché sa che
altrimenti non sarebbe mai potuto uscire da Cuba, come succede per la maggior
parte dei cubani. Tuttavia da un paio di anni gli tocca guadagnarsi da vivere
facendo l’autista di questa macchina di proprietà di un medico con il quale
divide i guadagni. Mi ha chiesto quale sia il mio sogno ed io gli ho detto che
voglio vedere l’America Latina. Poi gli ho rigirato la domanda e lui ha
risposto che il suo sogno sarebbe viaggiare per vedere un qualunque posto del
mondo ma che questo resterà per sempre un sogno perché non avrà mai i soldi
per permettersi di prendere un aereo. Intanto i km si accumulavano e quando davo
segni di stanchezza lui mi diceva: “Pensa alla tua canzone!”
Perché
è per via della canzone dei Negrita, Rotolando
verso Sud, che ho nella testa Holguìn. Quel ritornello tante volte fisso
nella mia testa, che dice “….Rio Santiago Lima Holguìn Buenos Aires
Napoli…” e mi son sempre chiesta come fosse Holguìn, perché era affiancata
a città come quelle più calienti di tutto il sud del mondo….
Abbiamo
toccato il suolo di Holguìn alle 21circa dopo 12 ore di viaggio, stanchi e
puzzolenti. Marilìn, l’amica di Denise, ci è venuta incontro e ci ha portato
alla nostra casa particular dove abbiamo lasciato le valigie per andare a
mangiare perché eravamo davvero affamati. Abbiamo trovato aperto solo un
localino che faceva la pizza e nonostante la mia atavica fame giuro che è stata
la peggiore pizza di tutta la mia vita. Poi a La casa de la Musica a ballare,
giretto per la piazza con la statua di Calixto Garcia e poi a nanna, tutti
insieme appassionatamente.
Holguìn,
17 luglio 2008
..la
notte sembra perfetta
per
consumare la vita io e te
C’è
un bisogno d’amore sai che non aspetta
È
un’emozione diretta se vuoi ma non sarà infinita perché
siamo
fuoco nel fuoco ma bruciamo in fretta noi….
Il
risveglio è molto piacevole in questa cameretta di Holguìn anche perché so
che ci aspetta una giornata al mare, il mare vero, caraibico, quello delle
spiagge da sogno bianche e calde. La nostra mèta è Guardalavaca, a un’oretta
di macchina dalla città. Lungo la strada i nostri amici cubani ci comprano
frutta a volontà: mango, guayaba, papaya, che mangeremo in spiaggia all’ombra
dei Flamboyant. Quando arriviamo uno spettacolo paradisiaco ci si offre dinanzi
agli occhi: una spiaggia bianca, costellata di alberi, una riva calma e tiepida,
un mare smeraldo trasparente che si estende a perdita d’occhio…..anche
Mercedes è esterrefatta. A 40 anni è la prima volta che esce dalla Avana e che
vede un luogo simile….
Ho
passeggiato e chiacchierato a lungo con Jorge, mi ha raccontato dell’unica
volta che si è innamorato e ha sofferto per amore, nulla a che vedere con i
suoi due matrimoni. A Cuba pare che il matrimonio sia una cosa da fare
velocemente, appena si prende una cotta per qualcuno. Molti ragazzi a
vent’anni hanno già famiglia, figli e poco dopo sono già divorziati e in
cerca di un altro “amore”. Ovvio, bruciano le tappe. Inoltre il divorzio tra
cubani è una pratica relativamente semplice che dura circa 3 mesi e costa
intorno ai 5 dollari. Culturalmente sia il matrimonio che il divorzio sono visti
in modo completamente differente dal nostro ma la cosa certa è che l’amore
che questi cubani portano per la loro famiglia e soprattutto per i loro figli è
infinito ed intoccabile. Mentre eravamo stesi al sole gli ho detto “Hombre,
e(s)toy muerta contigo!” e lui è scoppiato a ridere come un matto per la mia
esse pronunciata alla spagnola, cioè pronunciata! J
Intanto
è arrivata un’amica di Marilìn e Mercy e così si son messi tutti a ballare
salsa mentre io li riprendevo e scattavo foto, a loro, al mare, ai miei piedi
neri nella sabbia avorio. Verso le 20 ci siamo incamminati per tornare a casa ma
una volta a Holguìn siamo andati sulla Loma
de la cruz (la collina della croce), bellissimo luogo panoramico da dove si
ammira tutta la provincia di Holguìn, nella speranza di trovare un ristorante
che ci facesse mangiare qualcosa e invece aveva già chiuso. L’unico posto
aperto era quello della pizza della prima sera….e con la fame che avevamo non
ci son stati tentennamenti! Quella matta di Mercedes ci ha fatto piangere dalle
risate chiedendo indicazioni per la loma de la cruz mentre ne stavamo
scendendo…e poi mi chiama “lagarsa” perché non riesce a dire
“ragazza” e Denise ride così tanto che le manca l’aria! Insomma, una
giornata perfetta finita in modo perfetto.
Holguìn
18 luglio 2008, venerdì
Ella
es blanca él tambien
Que
bonitos son los dos
Son
dos dos gaticos que se aman
Que
bonito es el amor...el amor... !
Sveglia
tranquilla, colazione tutti insieme e poi Jorge va dal meccanico mentre io,
Denise, Mercedes e Marilìn facciamo un giro per Holguìn e i suoi porticati.
Molto bella questa cittadina piena
di vita, di musica, di botteghe di artigiani, viali pedonali lastricati e statue
di argilla per strada, o gatti di argilla sui tetti, perfino persone di argilla
affacciate ai balconi!
Sotto
i porticati i vecchietti ai tavolini giocano a domino e su un carro alcuni
ballerini provano lo spettacolo della serata.
Per
pranzo ci ha raggiunte Jorge. Tempo due minuti e Mercedes improvvisa con lui una
di quelle scene che resteranno nella memoria e ci faranno ridere per sempre a
ripensarci! Trascina Jorge in un negozio di barbiere, lo fa sedere, gli mette la
mantella addosso e inizia a fingere di tagliargli i capelli mentre il barbiere
li guardava divertitissimo, i clienti interdetti e noi piegate in due dalle
risate. Mercy è proprio comica, ha la capacità di far battute e improvvisare,
prendere in giro, cogliere i dettagli, le manie di ognuno, creandoci degli show
esilaranti!
Poi
siamo andati tutti in un ristorante molto bello, il 1720, all’aperto, coi
tavolini in mezzo agli alberi, un pesce buonissimo e un servizio abbastanza
attento. Abbiamo ovviamente offerto io e Denise, come tutto in questo viaggio.
A
Cuba circolano due monete: il pesos cubano e il pesos convertibile o CUC. Il
primo è la moneta usata dai cubani, con cui sono pagati e con cui pagano,
equivale ad 1/25 di dollaro, più o meno. Il CUC è invece la moneta usata dai
turisti, equivale al dollaro ed è la moneta con la quale si pagano tutti i
servizi, trasporti, ristoranti, alberghi, etc.
Ovviamente
pagare in CUC è per la stragrande maggioranza dei cubani una cosa impossibile
perché il costo di una cena equivarrebbe al loro stipendio mensile (per chi
lavora). È per questo che Mercedes non era mai uscita dalla Havana e che Jorge
non poteva che offrirci la frutta fresca comprata a bordo strada…e tutta la
sua disponibilità.
Dopo
il pranzo siamo andati al mirador sulla collina di Holguìn dal quale si ammira
tutta la vallata verde che circonda la cittadina. Poi abbiamo raggiunto la
piazza dove c’è la statua del Don Quixote a cavallo e le targhe in bronzo con
le citazioni tratte dal libro di Cervantes:
«La libertà, Sancho, è uno dei più preziosi doni che
i cieli abbiano mai dato agli uomini; nè i tesori che racchiude la terra nè
che copre il mare sono da paragonare ad essa; per la libertà, come per l'onore,
si può e si deve mettere a repentaglio la vita; la schiavitù invece è il
peggiore dei mali che agli uomini possano toccare».
Eravamo
lì a leggere, io e Marilìn, Denise, Mercy e Jorge…avevamo da poco passato
altri cartelloni con le frasi della rivoluzione e Jorge aveva appena chiesto a
Denise 10 CUC che noi avevamo dimenticato di dargli, sostenendo che per lui
quella cifra era sostanziosa e non irrisoria come per noi. Pensavo alle
privazioni di questa gente, a quando Jorge mi diceva che non poteva esprimere
pienamente la sua opinione e si guardava in giro primo di dirmi “è tutta una
bugia”… pensavo a Mercedes che non era mai uscita da La Habana in 40 anni di
vita…e rileggevo quella frase con i brividi sulla pelle nonostante il caldo.
“La libertà….voi lo sapete cosa è la libertà? Riprendetevela la vostra
libertà!!!” Ecco cosa avrei voluto urlare.
Poi
ritorno a casa, cena con gelato e frutta, risate da matti con Marilìn e doccia
rigenerante. “Hasta mañana, italianita” mi dice tutte le sere Jorge. Ed io
mi addormento serena, in un mondo pieno di sorrisi.
La
libertad, Sancho, es uno de los más preciosos dones que a los hombres dieron
los cielos; con ella no pueden igualarse los tesoros que encierra la tierra ni
el mar encubre; por la libertad, así como por la honra, se puede y debe
aventurar la vida, y, por el contrario, el cautiverio es el mayor mal que puede
venir a los hombres. Digo esto, Sancho, porque bien has visto el regalo, la
abundancia que en este castillo que dejamos hemos tenido; pues en mitad de
aquellos banquetes sazonados y de aquellas bebidas de nieve, me parecía a mí
que estaba metido entre las estrechezas de la hambre, porque no lo gozaba con la
libertad que lo gozara si fueran míos; que las obligaciones de las recompensas
de los beneficios y mercedes recebidas son ataduras que no dejan campear al ánimo
libre. ¡Venturoso aquél a quien el cielo dio un pedazo de pan, sin que le
quede obligación de agradecerlo a otro que al mismo cielo.
19
luglio 2008, sabato
Hasta
la victoria siempre!
Sveglia
ore 6 e partenza da Holguìn. Pioviggina, ho la testa piena di acqua dal sonno e
non sono per nulla contenta di lasciare questo posto dove son stata tanto bene.
Ma ogni sogno è seguito dal risveglio.
Il
viaggio è stato incredibilmente difficile ed è durato 17 ore! Siamo arrivati
alla Havana alle 23 dopo esserci fermati almeno venti volte a tutti gli Oro
Negro (stazioni di servizio) per rabboccare l’olio (Castrol!) e cambiare le
candele. A Cuba infatti le stazioni di servizio vengono chiamate conejitos,
ovvero coniglietti, perché sono a distanza di saltello uno
dall’altro…bellissimo no? Jorge era distrutto e molto preoccupato per la
macchina e tutti i pezzi di ricambio che qui sono difficilissimi da trovare e
molto costosi, per quello che doveva dire alla proprietaria dell’auto e per il
suo lavoro se la macchina non poteva essere riparata. I suoi occhi verdi erano
annuvolati ma non mancava mai di sorriderci ogni tanto, tra un conejitos e
l’altro. E’ stata davvero un’avventura ma ci siamo spaccati dalle risate
anche stavolta grazie a Mercedes. Oramai era buio pesto quando, a 50 km da la
Habana, la macchina si ferma definitivamente e ci accorgiamo che l’olio è
finito. Sulla carretera central de Cuba le auto sfrecciano veloci e nemmeno ci
vedono eppure dobbiamo riuscire a fermare qualcuno. Jorge è preoccupato perché
in questi casi si verificano molte rapine e ci sono state anche persone
accoltellate e derubate di tutto. Figurati noi che siamo bianche e
turiste…nell’ultimo paio di anni la criminalità è aumentata a Cuba e pare
non si possa stare più tanto tranquilli. Comunque ci
siamo messi tutti e 4 a sbracciarci per fermare qualcuno, era già buio, nessuno
ci cagava, allora Mercedes ha preso un cuscino e una copertina da viaggio, ha
fatto un fagottino fingendo di avere un bambino e me lo ha messo in braccio, io
ho iniziato a cullarlo e bum, si e' fermata una macchina che ci ha aiutati e ci
ha dato olio.. ma quanto abbiamo riso non si può raccontare a parole! Infine
siamo arrivati a casa sotto la spinta delle preghiere e abbiamo ringraziato
tutti gli Orishas, io son crollata e ho dormito circa 11 ore senza nemmeno fare
una piega alle lenzuola!!!
La
Habana, 20 luglio 2008, domenica
Sveglia
tardi e ritorno alla realtà…piove che Dio la manda, pare che un ciclone stia
sfiorando l’isola colpendo solo l’oriente da cui siamo appena tornati. Ci
prepariamo e andiamo a casa di Omaida a fare due chiacchiere con Ilde. Il cielo
è davvero grigio e chiuso, che cosa strana. Approfittando di questa giornata di
pigrizia siamo andate in taxi dalla mamma di Rebecca a portarle i regalini da
parte di Armida. Solo per scendere dal taxi mi sono inzuppata fino alle
ginocchia. Mami è stata contentissima, specie della nutella! Poi Rodolfo e
Denise hanno ballato un po’ di salsa e Mami rideva e cantava. Verso ora di
pranzo abbiamo ripreso un taxi infradiciandoci completamente e siamo andate a
mangiare in un paladar molto carino stesso lì al Vedado, il Décameron. Lì ci
siamo gustate una bella pasta con le verdure e il pesto e la zuppa di zucca, da
delirio! Tutto troppo buono ma soprattutto la compagnia di Denise con la quale
sto benissimo. Nel frattempo Jorge mi manda un messaggio in cui mi chiama
ruffiana! Che dire, mi fa sempre sorridere, anche in un giorno di diluvio come
questo!
Finita
la pioggia abbiamo percorso un paio di viali per andare a trovare Helena che sta
in un bellissimo attico di gente molto benestante, con terrazza panoramica su
tutta La Habana e vista mare. I proprietari della casa particular
sono stati molto carini e si son messi a chiacchiera con noi, poi è
arrivato Robert, il fidanzato cubano di Helena e con loro siamo andati al
Florida dove ho ballato addirittura tre salse, tormentata da Servio che ha
deciso di provarci con me fino alla morte. Quando fanno così diventano davvero
stressanti questi uomini cubani. Denise mi dice che devo tirar fuor la
maleducazione per liberarmene ma io ho bisogno di esercitarmi ancora un po’!
La
Habana, 21 luglio 2008, Lunedì
Sveglia
lenta e poi in banca al Vedado a cambiare i soldi. In realtà in banca c’era
una fila pazzesca e non si capiva come smaltiva così abbiamo mollato e ce ne
siamo andate a cambiare alla Cadeca, tanto lì il cambio è favorevole come in
banca e cmq l’euro va benissimo rispetto al dollaro, infatti per 300 euro mi
hanno dato 420 cuc! Benissimo!
Denise
si è poi diretta al Saratoga ed io alla mia lezione di salsa con Yasser. Ho
fatto due ore in cui ho sudato l’anima ma ho imparato a fare la vuelta
singola, la doppia, il dile que no e
perfino il vacilala che son tutte
figure della salsa! Yasser è un sorridente ragazzo di circa trent’anni che
mentre balla canta con passione le canzoni che ascolta e questo mi fa capire
quanto questa musica per loro sia forte, sentita, importante. Lui ce l’ha
dentro, si vede da come si muove, da come segue il ritmo e da come lo trasmette.
In realtà è stato mezzora solo per insegnarmi a capire e sentire il tempo,
cosa che per me era un mistero. Ma dopo questa lezione è cambiato tutto, ora lo
sento anche io e seguo il ritmo molto più facilmente! Sono felice come una
pasqua e raggiungo Denise al Saratoga per uno spuntino e le mail. Ci
rifocilliamo e poi abbandoniamo l’aria condizionata per tornare a casa, dove
la nostalgia di Holguìn ci ha prese e ci siamo guardate tutte le foto scattate
lì. Nel frattempo Jorge ci ha scritto che la macchina è definitivamente fuori
uso, che lui è senza lavoro e che non potrà portarci a Trinidad, né
accompagnare me al mare. Che tristezza!
Riposino
di un paio di ore e poi serata da ballo al Florida dove c’è il gruppo dal
vivo che è troppo carino (cioè son carini i tipi che cantano e ballano mentre
suonano!) e a seguire alla Casa de La Musica in Galiano per il concerto di
Manolito non so che. Ritorno a casa alle 2 e nanna.
La
Habana, 22 luglio 2008, martedì
Ho
deciso che voglio andare al mare e anche se la Playa del Este è lontana e ci
devo andare da sola, ho bisogno di un po’ di relax. Mentre mi preparo sento
Denise che urla “Hola Jorge!” e vedo lui con la piccola Isabela sulla soglia
di casa. Ci dice che gli spiace non poter essere più il nostro accompagnatore e
che per lui è un momento difficile. Ho regalato ad Isabela pennarelli, penne,
quaderni, palloncini e fermacapelli portati dall’Italia e lei era felicissima
tanto da abbracciarsi i regalini! Che tenerezza, santo cielo.
Intanto
Denise mi ha trovato un altro tassista da lei conosciuto e sperimentato, Jorge
anche questo! Per comodità lo chiamiamo Jorge2, un chiacchierone simpatico che
mi ha portato al Tropicoco per 25 cuc, tacci sua! Ed eccomi finalmente in
spiaggia, sotto un sole a picco e il vento forte che smuove il mare, i granchi
color sabbia che si avvicinano al mio telo con gli occhietti alti alti che
sbucano dalla sabbia e perlustrano il territorio! Qui il mare non è certo
quello di Guardalavaca però è comunque bellissimo e la spiaggia è ampia e
costellata di palme. Inoltre c’è poca gente e posso godermela ma ad un certo
punto passa un poliziotto e mi dice di stare attenta a non lasciare la mia roba
incustodita perché ci sono molti furti, specie se sono sola e sono una turista.
Mi dice addirittura di non andarmi a fare il bagno ma io non mi faccio prendere
dal panico nemmeno un po’. Lo ringrazio, aspetto che si allontani e che
nessuno mi guardi, metto le mie cose in un sacchettino di plastica, scavo un bel
buco sotto la sabbia e ce lo ficco dentro poi ricopro. Dopo di che bagno, bar,
libro di Terzani e voglio proprio vedere chi lo trova il mio sacchetto là
sotto! J
Alle
17.30 Jorge2 torna a prendermi. Meno male che ci siamo dati appuntamento così
presto perché il caldo è talmente forte che mi sembra di impazzire, anche
all’ombra delle palme. Tornata a casa faccio doccia veloce e poi cinema Yara
con Denise a vedere un film cubano uscito da poco, “Efectos Personales” di
Brugués.
Il
protagonista è Ernesto, un ragazzo che vive nella sua macchina posteggiata
all’inizio del Malecòn della Avana. Ernesto sta cercando in ogni modo di
ottenere il visto per andar via da Cuba e si sottomette alle interviste del
governo ma ogni volta, pur raccontando una storia strappalacrime sulla madre,
non riesce ad averlo. Ernesto però non molla, passa il tempo che lo separa
dalla prossima intervista a prepararsi per fare la migliore figura possibile ma
un giorno incontra Ana, una giovane infermiera e tra i due basta poco per far
nascere l’amore…. Ernesto però non vuole vincoli e lei ha un carattere
molto forte, non si lascia intimidire né vuole costringere Ernesto che,
finalmente ottiene il suo tanto atteso e desiderato visto per lasciare
Cuba…… il resto ovviamente non lo racconto perché il film è bellissimo e
va assolutamente guardato anche se temo di essere poco obiettiva considerato che
mi sono commossa tanto da avere i brividi tutto il tempo. Aver conosciuto e
vissuto questa realtà attraverso persone in carne ed ossa che mi hanno mostrato
la loro vita qui a Cuba mi ha fatto sentire questo film pienamente, come una
cubana, come una che si sente prigioniera e farebbe di tutto per ottenere la
libertà….uscita dal cinema mi sentivo oppressa ma poi mi sono ricordata che
io non sono cubana e posso andarmene da lì come e quando voglio…
Il
cinema è un momento molto importante per la società cubana. Il biglietto costa
pochissimo, un pesos cubano (quindi 1/25 di dollaro) e gli spettatori
partecipano attivamente allo spettacolo come fosse teatro, facendo commenti,
urlando, ridendo, suggerendo agli attori cosa fare, insomma c’è stato un
casino tale tutto il tempo della proiezione che non ci potevo credere!
Dopo
la cena al Maraka’s io e Denise ci siamo concesse un cocktail sulla terrazza
del panoramico e famoso Hotel Nacional con vista sul Malecòn pieno di gente
come al solito.
La
Habana, 23 luglio 2008, mercoledì
Yo
vengo de todas partes,
Y hacia todas partes voy:
Arte soy entre las artes,
En los montes, monte soy.
Yo sé los nombres extraños
De las yerbas y las flores,
Y de mortales engaños,
Y de sublimes dolores...
Ho
chiesto a Jorge se mi faceva da guida per un city tour a piedi e lui ha detto di
sì! Sono contenta, sia perché con lui mi diverto troppo sia perché sono sola
a girare per la città e la cosa non è affatto stimolante. Finalmente conoscerò
i monumenti della Avana e imparerò un po’ di cose sulla sua storia che Jorge
conosce molto bene. È arrivato alle 11 puntuale come al solito (ma come cavolo
fa?) e mi ha portato alla Avenida Simon Bolivar dove abbiamo preso un taxi
collettivo cubano diretto alla Plaza de la Revolucion. Prima di salire sul taxi
mi ha detto che non devo parlare mai a meno che non me lo dica lui: i taxi per i
cubani sono solo per i cubani e se la polizia ne ferma uno con un turista fa un
multone al tassista; quindi devo tacere così Jorge mi può offrire il passaggio
pagando in pesos cubani, cosa alla quale lui tiene molto.
Arriviamo
nella splendida Plaza de La Revoluciòn, l’attuale centro politico della
capitale cubana, il luogo in cui sono state collocate le sedi di alcune fra le
più importanti istituzioni della città e del Paese, fra cui la Biblioteca
Nacional.
Al
centro della piazza si erge il monumento a José Martí, l’eroe nazionale
dell’indipendenza cubana dal giogo coloniale, mentre tutto intorno si trovano
gli edifici governativi: la sede del Comitato Centrale del Partito Comunista
Cubano, situata all’interno del Palacio de la Revolución, il Ministero delle
Comunicazioni, sede del Museo Postal Filatélico, e il Ministero degli Interni.
Sulla parete di quest’ultimo spicca una delle immagini più note e suggestive
dell’Avana moderna, l’enorme ritratto di Ernesto "Che" Guevara con
la scritta, famosissima in tutto il mondo: Hasta la victoria siempre.
Abbiamo
fatto molte foto e poi siamo entrati nel museo dedicato a José Martì. Nel
1892 egli fondò il Partito Rivoluzionario Cubano che si poneva gli obiettivi di
indipendenza dell'America Latina dall'imperialismo spagnolo e USA,
organizzazione della lotta armata nella guerra di liberazione, rifiuto di ogni
forma di segregazione razziale. Martì è considerato anche uno
dei più grandi scrittori del mondo ispanico. Tutti gli insegnamenti di Martì
contraddicono ogni sistema politico che non riesce ad occultare la sua
intolleranza verso le libertà individuali e il suo amore per il suo proprio
materiale potenziamento. Le suo opere condannano tutti i regimi dispotici e la
privazione dei diritti umani. Per questo motivo, la pubblicazione dei pensieri
di Marti, in tutta la sua forza, è oggi di grande importanza. Nel museo ci sono
foto, documenti, lettere, i suoi libri di poesia originali ed è qui, oggi, che
scopro che i suoi “Versi Semplici” iniziano così: “Yo
soy un hombre sincero de donde crece la palma y antes de morirme quiero
echar mis versos del alma. …” che io conoscevo solo attraverso la famosa
canzone Guantanamera!
Il
belvedere è a 129 metri di altezza e di lì si ammira La Habana a 360°. Jorge
mi spiega e mi indica i confini di alcuni dei municipi in cui è divisa la città,
il Cerro, Miramar, il Vedado, la Habana Vieja, il Centro Habana. La torre è
chiusa da vetrate ed è a pianta stellare; in ogni punta della stella c’è
incisa sul pavimento una bussola con le distanze tra quel punto e alcune
importanti città del mondo. C’è anche Roma, 8710 km da qui. Jorge mi dice:
“Siamo lontanissimi!”
Dalla
plaza ci dirigiamo a piedi verso il Cimitero monumentale Cristobal Colòn, sotto
un sole davvero infame. Il cimitero è una vera e propria città con strade coi
loro nomi e così prendiamo una guida che ci raccontasse le storie dei morti che
abitano qui. Ad esempio c’è la tomba della signora Amelia Goyri de la Hoz,
morta di parto nel 1903 a 23 anni e sepolta con il bambino ai suoi piedi. La
leggenda narra che quando la tomba fu riaperta per riesumare il corpo, il
bambino fu trovato tra le braccia della madre. Il marito José Vicente
Adot, disperato, non sopportò tanto
dolore e impazzì: egli si recava al cimitero ogni giorno e bussava sulla tomba
gridando: “Svegliati Amelia! Svegliati!” Fece questo per 17 anni finché morì.
Tutta questa storia ha reso leggendaria Amelia che è stata idolatrata come
donna del miracolo. Infatti essa riceve fiori e preghiere ogni giorno e la sua
tomba bianca, con la statua che la raffigura col suo bambino in braccio, è
oramai meta di pellegrinaggi ed è ricoperta di targhe in marmo o bronzo che la
ringraziano per esser intervenuta miracolosamente in casi disperati di
partorienti e neonati in pericolo.
La
guida ci racconta poi di un’altra tomba, stavolta di un ricco signore che era
perdutamente innamorata della sua sposa e le fece fare un monumento funebre con
le rose intarsiate nel marmo nero e i vetri colorati da dove entra un raggio di
sole che cade sulla bara della donna. L’amore vince su tutto, dice la guida,
anche sulla morte.
Fa
caldo boia e dopo un altro breve giro lasciamo il cimitero e ci incamminiamo
verso il Vedado dove ci fermiamo alla caffetteria Fresa Y Chocolate a prendere
una limonata. Poi taxi verso il Malecòn alla ricerca degli attrezzi di
ferramenta che Jorge ha perso dimenticandoli ad un conejito al ritorno da Holguìn. Ovviamente tutti i ferramenta hanno
pochissimo materiale e nulla di ciò che servirebbe a noi. Ci sono
principalmente pezzi Fiat ma Jorge dice che qui quelli che vendono roba fiat
sono tutti imbroglioni…
Al
Malecòn ci sono dei ragazzini che si fanno il bagno e si tuffano dagli scogli.
Il sole picchia talmente forte che non lo reggo e metto su la mia bandana rossa.
Anche qui come in India bisogna sempre girare con un fazzoletto, un panno di
stoffa (pañuelo) o una bandana tassativamente in cotone per asciugarsi il
sudore e coprirsi la testa. E’ la sola cosa che non può mancare mai! Sono
quasi le 16 e devo correre alla lezione di salsa con Yasser. Jorge sale a
salutarlo e poi mi lascia a lui per le mie due ore di lezione. Yasser è
grandioso, mi scrive tutti i nomi delle figure su un blocco notes e me le fa
vedere una per una, insegnandomi tutti i passi così quando, dopo 2 ore, Jorge
torna a prendermi, io ballo senza sosta e a tempo trasportata su e giù per la
sala dal sempre sorridente Yasser.
Torno
a casa mezza morta e mi riposo un po’poi raggiungo Denise al Chevere di Parque
Almendarez, ballo un paio di salse, mangio una pizza immangiabile, litigo con
Servio e lo mando definitivamente a spigare, cubano e buono, poi torniamo a
casa, crolliamo e alle due veniamo svegliata dalla nuova avventuriera: è
arrivata Paola!
La
Habana, 24 luglio 2008. giovedì
Sveglia
lenta e tarda e colazione con Denise e Paola. Io mangio il mio panino burro e
miele e lascio da parte l’omelette che sinceramente mi ha nauseata! Alle 12
arriva Jorge per un altro city tour. Stavolta la prima tappa è il Museo de la
Revoluciòn situato in un bellissimo palazzo dove è vissuto il dittatore
Batista che proprio qui, la sera del 31 dicembre del 1958, fu avvisato
della imminente caduta di Santiago nelle mani dei ribelli capeggiati da Fidel
Castro Ruz. E fu sempre da qui che Castro, El Líder, fece lo storico
discorso dell’8 gennaio 1959 nel quale annunciava al popolo cubano la fine
dell’odiata e terribile dittatura e la vittoria della Revoluciòn. Il
museo è una raccolta di fotografie, documenti, armi, immagini che costituiscono
la storia della rivoluzione, ovviamente vista con gli occhi di chi l’ha fatta
ed in essa ha creduto.
Trovo
noioso leggere tutti quei documenti e molti di essi mi fanno venire rabbia, per
esempio i discorsi demagogici di Fidel che parlano di libertà mentre è ovvio
che la rivoluzione non ha portato alla libertà. Dittatura non è certo sinonimo
di libertà e rivoluzione. Eppure Jorge appare orgoglioso di tutto quello che è
successo, della storia di Cuba e della lotta di questi uomini diventati eroi per
aver rovesciato la dittatura di Batista che aveva imposto un clima di violenza e
sopraffazione.
Il
processo rivoluzionario iniziò con l'assalto
alla caserma Moncada a Santiago, avvenuto il 26 luglio 1953. A guidare i
rivoltosi era Fidel Castro. Il piano prevedeva la conquista delle armi per poi
consegnarle al popolo e dare il via immediatamente all'insurrezione armata.
Centosettanta giovani ascoltarono Fidel: "Compagni" disse questi "tra qualche ora sarete vittoriosi o sconfitti. Ma in ogni caso fate bene
attenzione a quello che vi dico, compagni! In ogni caso il nostro movimento
finirà per trionfare. Se domani sarete vittoriosi, si potrà realizzare più in
fretta quello cui aspirava Marti". Un istante prima di dare il via
all'azione, Fidel evocava dunque quelli che, per un cubano, erano i ricordi più
cari. Le idee di Martì continuavano a ispirare quei giovani che anelavano alla
libertà e alla piena indipendenza nazionale, il compito che Marti' non aveva
portato a compimento. Fallita l'impresa, Castro fu costretto a
riparare in Messico dove, insieme al fratello Raul e all'argentino Ernesto
"Che" Guevara, creò un nucleo rivoluzionario (Movimiento 26 de Julio)
con l'obiettivo di riprendere la lotta armata nell' isola. Fu solo nel 1959 che
Batista rassegnò le dimissioni lasciando il paese mente le prime colonne di
guerriglieri castristi entravano nella capitale.
Finito il giro al
museo, dove faccio una foto sotto il poster di Che Guevara, che continua a
piacermi come personaggio nonostante le contraddizioni, prendiamo un taxi verso
la fortezza San Carlo de La Cabaña (1774) una delle fortezze coloniali più
grandi delle Americhe e che fu anche il quartier generale del Che. Lì c’è il
Cañonazo che ogni sera, alle nove in punto, spara un colpo a salve
riportando i visitatori indietro nel tempo, quando a quell’ora un colpo di
cannone annunciava la chiusura delle porte della città e del porto (Cañonazo
de las Nueve). Dicono che si senta in tutta la Habana eppure io non ci sono
mai riuscita! Mi dico sempre che devo ricordarmi, alle 9 di sera, di tendere
l’orecchio ma puntualmente mi dimentico!
Il panorama dalla Cabaña
è semplicemente mozzafiato: tutta La Habana si apre davanti allo spettatore
incredulo, con la costa, il Malecòn, i monumenti, il Capitolio che svetta, il
monumento di Plaza de la Revoluciòn, le insenature, le navi da carico nel
porto, i giardini…uno spettacolo inondato da un sole cocente che crea riflessi
onirici e ipnotizza lo sguardo. Abbiamo pranzato in un ristorantino
all’interno delle mura della fortezza, con una bella fettona di carne, i
tostones e riso con verdure. Lì Jorge mi dice ciò che pensa della rivoluzione:
per lui Fidel è un grande uomo ed il sistema che lui ha imposto è un sistema
teoricamente buono; è l’essere umano che è imperfetto e commette molti
errori a causa della sua sete di guadagno. Dunque non è solo colpa di Fidel se
le cose non hanno funzionato. Io resto allibita. Mi sembra di essere nel libro
di Orwell, 1984, e vedo Castro come il Grande Fratello… Jorge aggiunge che è
rimasto molto deluso, che in questo paese non è possibile essere onesti e che
per la sua onestà ha perso il lavoro. Gli chiedo se si sente in prigione. Mi
dice di sì. Che ha passato mesi senza dormire la notte, a camminare per casa e
a chiedersi come poter mantenere la sua famiglia e cosa fare capendo infine che
non poteva fare nulla, che qualunque cosa avrebbe messo in pericolo la sua
famiglia e così ha deciso di arrendersi al sistema perché vuole che i suoi
figli abbiano una vita tranquilla e tutto ciò che desiderano. Jorge ha un
fratello che è riuscito ad andarsene a Miami con tutta la famiglia e gli
spedisce magliette, vestiti, denaro e tutto quanto lui può per aiutare i suoi
parenti. Tutto, tranne la libertà, aggiungo io…o forse sì, un giorno…perché
ora, più di quanto avrei mai immaginato, desidero che questa situazione cambi,
che l’embargo finisca e l’economia si riprenda, che Fidel muoia e che, ahimé,
l’ondata di globalizzazione invada anche Cuba, facendola diventare sì un
satellite americano ma paese aperto, aperto al mondo, alla vita, e non
prigioniera del suo mare e del suo idealismo. Spero che quest’uomo sognatore
possa vedere i suoi figli studiare, viaggiare, conoscere, tornare, lavorare,
esprimere liberamente le proprie opinioni e gustare totalmente la libertà, la
libertà di essere, fare, dire, pensare tutto ciò che vorranno essere, fare,
dire e pensare.
Abbiamo visitato la zona dove c’era il quartier generale del Che e dove ora c’è un museo con sue foto e documenti, una statua che io cercavo di baciare mentre Jorge mi tirava via J e qualche suo oggetto personale. Lasciamo la Cabaña e torniamo a Parque Central da dove entriamo in San Rafael per un giro nell’isola pedonale piena di bancarelle che vendono cibo cubano. Infine a piedi per Neptuno e a casa a riposare. Paola e Denise sono al matrimonio della sorella di Mercedes ma io sono troppo stanca per raggiungerle, mi doccio e mi metto a leggere. Sono però costretta a restare tutta la serata in camera perché non me la sento di uscire a piedi da sola e inoltre ho finito tutti i soldi (ho dato a Jorge gli ultimi 20 pesos anche se lui non voleva essere pagato in alcun modo) ed ora ho solo gli euro da cambiare, nemmeno due monetine per chiamare un taxi. Non mi resta che riflettere sulla giornata e chiudere gli occhi per un sonno ristoratore.
La
Habana, 25 luglio 2008, venerdì
…que
alguien me diga
como
se olvida, como se olvida esta pena de amor
como
se sana una herida
que alguien me diga...
Oggi io e le mie
amiche ci dedichiamo la giornata. Passiamo a salutare Ilde e poi facciamo un bel
giro alla Habana Vieja, pranziamo al ristorante Hanoi con filetto di pesce e poi
spilucchiamo i mercatini di Plaza de Armas dove io compro i diari del Che e i
libri di poesia di José Martì. Entriamo poi nella famosa Bodeguita del Medio
dove Hemingway prendeva il suo mojito (c’è anche la dedica originale dello
scrittore che recita così: “Mi daiquiri en la Floridita, mi mojito en la Bodeguita.”) È
oramai un locale turistico ma molto particolare, tutto in legno, pieno di
bottiglie di rum, foto di personaggi famosi passati di lì, poster alle pareti e
dediche varie. Lì fuori compro il cappellino verde con la stella rossa del Che
e ci vado un po’ in giro finche un tassista mi dice che fa troppo turista e
che un cubano non lo indosserebbe mai, dunque lo levo con un po’ di delusione.
Nel tardo pomeriggio
torniamo a casa e Jorge passa a salutarci. Gli faccio vedere i libri e il
cappellino, lui sorride e mi dice “I love you, italianita!”
e mi fa troppo morire di allegria! Le amiche mi richiamano al
“dovere” e mi trascinano al muretto del Malecòn dove, con una bibita fresca
(refresco lo chiamano loro) assistiamo ad un bellissimo tramonto di un sole
rosso rosso che ha lasciato il cielo più rosso ancora…. Poi al Florida,
ovvero Jineterolandia! Oggi altra giornata senza tregua, qui non ci si ferma
mai! J
Io infatti ho un mal di testa pazzesco che mi tormenta tutta la serata finché
il barista mi porta un Moment che mi dà un po’ sollievo, giusto per fittiarmi
un po’ il cantante flachito flachito del gruppo che suona lì e che mi piace
un sacco. Riesco a richiamare la sua attenzione e noto che mi guarda anche lui e
mentre sto litigando con l’accendino per accendermi una sigaretta vedo
sott’occhio che fa per avvicinarsi col suo ma il mio, puf, si accende!
Buonanotte! J
La Habana, 26 luglio
2008, sabato
Oggi
è festa nazionale a Cuba. È il 55° anniversario dell’assalto a Moncada e
per tutti i rivoluzionari cubani è sinonimo di unità e vittoria. In casa tutte
le televisioni sono accese per il discorso a reti unificate di Raul Castro e
nelle strade sventolano decine di bandiere bianche e azzurre con la stella
cubana, mentre gruppi di persone sparse eseguono dei riti. Oggi la città che
ospita la manifestazione principale è Santiago de Cuba dove sono accorsi più
di 10000 cittadini. Il presidente di
Cuba, Raul
Castro, ha detto che la situazione alimentare mondiale è grave e che
gli Stati Uniti la acuiscono con la loro politica che promuove la produzione di
combustibili derivati dagli alimenti.
“La
ex caserma Moncada è un centro scolastico dove gli insegnanti preparano le
nuove generazioni di cubani, con i valori che hanno legato alla Patria
moltissimi giovani che hanno dato la vita per darci quel che abbiamo oggi. Come
non essere orgogliosi di questa storica Rivoluzione e dell’ispirazione che
deriva dall’esempio dei nostri eroi e martiri?” ha affermato Alejandra
Rodríguez, pioniera di dieci anni della scuola elementare José de
la Luz y Caballero. “Inviamo
un messaggio di affetto e d’amore a Fidel e gli diciamo che continueremo a
studiare decisi ad essere migliori ogni giorno di più, perché quegli uomini
che morirono nella Moncada si sentano sempre orgogliosi di noi”.
Alesnay
Pérez, lavoratore di una fabbrica di caffé, ha detto che i lavoratori cubani
hanno il dovere di svolgere con maggiori disciplina i compiti rispettivi
coscienti che “Se produrremo di più avremo di più”. “La
nostra strategia principale è l’unità il nostro principale orgoglio essere
liberi e sovrani” ha affermato durante la manifestazione.
“Agli
imperialisti diciamo che non potranno mai avere questa terra, perché noi cubani
non la cederemo mai” ha dichiarato nel suo intervento il giovane coincidendo
con Ena Elsa Velásquez, ministra cubana d’Educazione, che ha assicurato che
ogni 26 Luglio è un incontro con la storia.
Oggi
i negozi sono tutti chiusi e noi andiamo al Saratoga a prendere il sole
all’ultimo piano dell’hotel, a bordo piscina, su un comodissimo lettino e
con un bel cocktail freddo tra le mani, con vista su tutta La Habana fino al
Morro e al mare azzurro. Ora è un’emozione. Ora che ho conosciuto quasi ogni
angolo della città e della sua storia, è emozione. Dall’alto del lussuoso
albergo non ci accorgiamo che è il 26 di luglio e le parole di Raul sono
dimenticate. Almeno per noi. Un paio di ore di relax e poi andiamo da Lucia che
ci ha preparato l’aragosta. Il pranzo è ottimo: l’aragosta è divinamente
tenera e succosa, il riso con i frijoles neri, le verdure, il succo di mango, il
budino al latte…
Riposino
e passeggiata al Vedado, al parco di John Lennon con la sua statua in bronzo che
lo raffigura seduta su una panchina, senza gli occhiali, mentre accanto c’è
un ometto in carne ed ossa che ha un paio di lenti e ti fa fare la foto, a
pagamento, mettendole a John Lennon. Ci imbattiamo poi in una bellissima villa
che è il Centro Culturale di Cuba, ovvero Istituto cubano de la musica, dove riusciamo ad entrare
per vederne qualche sala e spulciare il programma degli eventi imminenti. Ancora
un po’ di cammino e poi ritorno a casa per prepararci per la nostra ennesima
serata di ballo. Un amico di Denise, Xavier, ci è passato a prendere per andare
insieme al Florida. Menomale che oggi mi sento in forma, poi Denise mi ha
prestato un top troppo carino che ho messo sul mio jeans dunque mi sento anche
bene nei “miei” panni. Xavier è simpatico, tiene la conversazione e mi fa
compagnia mentre Deni e Paola si scatenano nelle salse coi loro cavalieri. Mi si
avvicina Servio che mi chiede di fare pace e io sorrido perché mi pare di avere
a che fare con un bambino. Intanto mi inticchio il solito flachito e a fine
concerto compro anche il cd del suo gruppo. Dopo un po’ di giochi di sguardi
quella matta di Denise decide di mettere fine a questo stillicidio di timidezza
e gli fa cenno di avvicinarsi a me, così lui arriva e mi invita a ballare….panicooo!!!
gli dico che non so ballare bene ma lui mi tiene il tempo e mi fa muovere
lentamente e nel frattempo facciamo conoscenza: si chiama Alain (perché alla
madre piaceva Alain Delon!), vive vicino al Florida con la sorella mentre il
resto della famiglia è a Miami che oramai è una colonia cubana. Anche lui li
raggiungerà all’inizio dell’anno prossimo perché ha ottenuto il visto.
Bene, mi dico, almeno non farà di tutto per farsi sposare!
Finiamo di ballare e ce ne andiamo sui divanetti fuori nell’atrio dove poi ci raggiungono gli altri. Alain mi dice che mi aveva notata ma che non voleva avvicinarsi per paura di essere considerato un jinetero. Ma si vede lontano un miglio che lui non lo è! Mi dice che odia il modo in cui i cubani si comportano coi turisti, il modo in cui cercano di ricavarne qualcosa. Poi ci ha accompagnate a casa e abbiamo preso appuntamento per domani. Sono curiosa di capire la mentalità di quest’altro “esemplare” cubano.
La
Habana, 27 luglio 2008, domenica
Il
viaggio può diventare racconto, un racconto spesso spinge a un altro viaggio,
ma un racconto non è un viaggio….
Stamattina
si va al mare! Taxi fino al Club Havana, sulla Marina Hemingway. È carino, c’è
una spiaggetta con ombrelloni in paglia e le palme, una piscina e il ristorante.
Anche questo è decisamente un luogo per turisti, molto caro e alquanto finto ma
è vicino e comodo. C’è una pace incredibile ed un bellissimo sole ma ad un
certo punto si è scatenata la bufera, proprio come domenica scorsa, con una
pioggia talmente fitta che non si vedeva a 5 metri. Mare e cielo erano di un
solo colore, grigio sfuocato! J
Fortuna però che è passata dopo un’oretta per lasciare posto di nuovo ad un
sole implacabile. Ma il nostro tassista è venuto a prenderci e così siamo
tornate a casa.
Lì
è passato Jorge per dirci che non ci accompagnerà a Trinidad perché non è
riuscito a recuperare un macchina e perché non può allontanarsi di nuovo dalla
città. Ci siamo rimaste male ma io e Paola abbiamo deciso che partiremo
comunque. Denise invece resterà a La Habana per non mancare alle sue serate di
salsa, anche perché lei Trinidad già la conosce.
Intanto
Alain mi aspettava giù alla strada, così sono scesa di corsa per raggiungere
il flachito. Abbiamo passeggiato un po’ lungo il Malecòn affollato e poi ci
siamo seduti sul muretto anche noi, con le gambe penzoloni verso il mare. E lui
mi ha detto: “Vedi, qui nel ’96 era pieno di gente che tentava la fuga in
barca verso Miami, pieno zeppo e sono morte un sacco di persone…”. Non gli
dispiace affatto andarsene da Cuba, anzi lui la odia. Dice che qui il sistema
non funziona, che l’ingranaggio è bloccato e che non si va né avanti né
indietro; che quello che Cuba sta vivendo lo hanno vissuto tanti paesi in
passato, con Mussolini, Hitler, Franco, però adesso tocca a Cuba, anche se in
ritardo rispetto alla storia.
Mi
ha raccontato che è ha viaggiato un po’, è stato in Turchia per un anno e
mezzo e che gli piace molto cucinare. mi ha consigliato di visitare il sito di
comida cubana e di cucinare il “platano in tentacion”! E’ piacevole
ascoltarlo, parla tanto e ogni tanto rallenta accertandosi che io lo stia
capendo ma oramai il cubano è diventata la mia seconda lingua! Parla dei film
che gli piacciono, per esempio “La dolce vita” che io gli devo confessare
non avere mai visto. Anche lui, come Jorge, è avido di film e di tv. Guarda
“qualunque cosa” perché è il solo modo che ha per conoscere il mondo.
Nonostante sia più giovane di Jorge, Alain è meno idealista, più disincantato
e realista. Critica il volto che Cuba offre al mondo e ai turisti, mi parla del
fermento culturale e della vita universitaria, di tutto ciò che noi non vediamo
e non riusciamo a conoscere.
E’
anche molto ironico mentre mi spiega che i cubani non sanno stare senza soffrire
per amore, che se la storia tra due persone non è tormentata da gelosie e corna
i cubani non sono contenti! J
Mangiamo
una pessima pizza al tonno da Rapido vicino al cinema Yara e poi torno a casa a
preparare la valigia. Domani si parte per Trinidad.
Trinidad, 28 luglio
2008, lunedì
Io e Paola usciamo di
casa alle 7 del mattino nella
speranza di trovare un bus Viazul che ci porti a Trinidad il prima possibile.
Alla stazione invece troviamo una coppia di Torino che ci chiede di divedere un
taxi e così con 4 ore di viaggio alle 13 io e Paola siamo a Trinidad sotto un
cielo carico di nuvole. In realtà saremmo venute qui per andare al
mare…..cerchiamo la casa di Mercedes dove pernotteremo e lasciamo le borse
nella nostra stanza, carina, tipica casa coloniale con cortile e tante tante
cucarachas!! L
Facciamo un giro di ricognizione al mercatino, alle escaleras,
in piazza, poi pranziamo in un ristorantino di fronte casa. Trinidad ha tutte le
strade in acciottolato, le case colorate e le finestre tutte ingabbiate, quasi
non esistono automobili e la dimensione è decisamente campagnola. Il luogo è
però turistico, pieno di localini e ristorantini, punti di ritrovo e tanto
passeggio. A Las Ruinas assistiamo ad uno spettacolo alquanto comico con dei
balli contadini che ci hanno fatto piegare dalle risate e un tipo che strappava
a morsi una noce di cocco ma a La escaleras era tutta un’altra musica: quella
semplice scalinata che di giorno era vuota e silenziosa ora pullulava di gente,
tavolini, mojitos e piña coladas, musica e risate. Ci siamo buttate nella
mischia e abbiamo ballato tanto poi Paola ha incontrato dei ragazzi romani che
erano sul suo volo e così siamo state in loro compagnia, rilassandoci
finalmente senza la pesantezza dei discorsi dei cubani sulla famiglia, i figli,
l’amore e tutte le frasi fatte che ti ripetono per cercare di far colpo e
farsi portare via di qui. Coi romani abbiamo parlato di divertimenti, cocktails
e giri di Cuba, nessuno ha nominato l’amore, il sesso e il matrimonio! Che
bello!
Trinidad, 29 luglio
2008, martedì
La casa dove
soggiorniamo è davvero fatiscente ma ha un patio stupendo dove abbiamo fatto
colazione. Sia lodato il mio Earl Grey che mi fa iniziare bene la
giornata senza quel latte caglioso e il caffè bruciato o i succhi di
mango allungati con acqua non bollita! Paola ha comprato tanta frutta, qualcuna
non sappiamo nemmeno riconoscerla ma sperimentiamo e ce la gustiamo dopo di che
al mare!!! La playa Ancon è molto bella, anche qui spettacolo caraibico con
palme e mare smeraldo anche se nulla di paragonabile a Guardalavaca. Siamo
rimaste lì tutto il giorno, leggendo, riposando, ascoltando musica, proprio
quello che volevamo per staccare un po’ dalla frenetica e rumorosa Habana. Al
ritorno abbiamo preso il bus pubblico che ci ha messo un’ora per riportarci a
casa ma ci ha permesso di vedere tutta la periferia di Trinidad e la varietà di
gente che la popola. Non c’è nulla di più interessante che girare un posto
coi mezzi pubblici! Rientro in stanza, cucarachas e sterminio! poi cena al paladar Estela, buonissima, e fine giornata alla scalinata coi
romani tra mojitos e salsa! Ogni tanto fare la turista rigenera…..
Trinidad, 30 luglio
2008, mercoledì
Mercatino. Abbiamo
deciso di passare un’altra giornata qui, posticipando la partenza. Si sta
troppo bene, il clima è molto più fresco rispetto a La Habana, il ritmo più
rilassante, si gira sempre a piedi e si arriva dappertutto, si mangia benissimo
e si va al mare! Ci servivano un paio di giorni così! Oggi siamo restate al
mare fino al tramonto e abbiamo avuto la compagnia prima di Roberto e poi di
Denis che ha chiacchierato un sacco con me ed il tempo è volato. Mi ha fatto
morire dal ridere quando mi ha parlato dell’inverno cubano e di quanto lui
muoia di freddo e batta i denti…ma quando gli ho chiesto che temperatura c’è
in inverno mi ha risposto che ci son 16 gradi! E a 16 gradi loro muoiono di
freddo, ovviamente! Ho fatto un’intervista ai maschi cubani per sapere come si depilano le donne
cubane. Ebbene, è emerso che “ripuliscono” completamente la parte intima ma
lasciano in pelo selvaggio in tutto il resto del corpo o almeno a pantaloncino,
cioè si depilano da metà coscia in giù, giusto quel che esce dai pantaloncini
che loro tanto amano. Mah!
Ritorno a casa, doccia
e sterminio cucarachas, poi cena coi romani e di nuovo escaleras per la nostra
ultima serata a Trinidad. Eravamo seduti tutti al tavolino quando il cameriere
mi porta una piña colada dicendo che è da parte di un ragazzo…me lo indica e
riconosco Denis! Allora il cameriere mi mette un foglietto di carta ripiegato
tra le mani, lo apro e mi ritrovo una vera e proprio lettera d’amore! Mi sono
sentita una quindicenne! Sono andata a ringraziarlo e lui era con un amico,
ovvero il ragazzo che allo spettacolo de Las Ruinas mordeva la noce di cocco!
E’ simpaticissimo e devo ricredermi. Lui e Denis mi portano in discoteca a
“La Cueva” dove devo sopportare un orrendo reggaetton che non so ballare.
Resisto un’oretta poi mi faccio accompagnare a casa, promessa di amore eterno
da Denis e poi nanna. Che pazienza!
La Habana, 31 luglio
2008, giovedì
I'm
walking on sunshine whoa oh
I'm walking on sunshine whoa oh
And don't it feel good alright now
All right now yeah!
Sveglia alle 6.30 dopo
3 ore di sonno e Cubataxi cumulativo per La Habana dove siamo arrivate alle
11.30. Non so descrivere la sensazione che ho provato, è stato come tornare a
casa… Mi Habana! Ora la amo molto più di prima! Facciamo colazione a La
Francesa e poi un giro al Barrio Chino mangiando pasteles pagati con i pesos
cubani! Dopo essermi allontanata da questa favolosa città mi rendo conto di
quanto sia unica e quanto siano particolari il suo ritmo, la sua folla, il suo
rumore, il suo inconfondibile odore, tutta la sua straripante e coinvolgente
vitalità! Sono felice felice, mi guardo intorno con gli occhi di un bambino
sorpreso e divertito, come in un luna park scintillante. Ho solo altri tre
giorni qui e mi si stringe il cuore. Torno a casa e mi riposo, saluto Denise e
telefono a Jorge che mi ha cercata in mattinata. Appena sente la mia voce mi
urla: “Ruffiana” e giù un sacco di battute e risate che ancora non so come
riusciamo a farcele e a capirci tanto bene parlando io uno spagnolo maccheronico
e lui il suo più stretto cubano. Ci diamo appuntamento alle 19.30. Andiamo a
piedi fino a parque central dove prendiamo un taxi per il Castillo del Morro.
Jorge vuole farmi vedere la puerta del sol, ovvero il tramonto sulla Avana. In
silenzio ci sediamo sulle mura alla destra del faro, davanti ad un sole rosso a
guardare il mare, un tramonto bellissimo specie se si pensa che la parola
spagnolo per tramonto è atardecer…si sta facendo tardi ma la vista della
Habana da quassù è il miglior arrivederci che mai potessi immaginare. E alle
nove in punto ho sentito il cañonazo sparare!!!
Si è fatto subito buio e un taxi ci ha portati di nuovo in centro dove siamo andati a mangiare cinese al solito Chan Li Po ma stavolta il chop suey era finito e ci siamo dovuti accontentare di un piatto di carne mista e del buonissimo arroz moro, ovvero il riso scuro con i frijoles neri! Mmmmmm ci sbavo!!! Jorge mi ha regalato delle banconote degli anni sessanta firmati dal Che e una medaglietta raffigurante “il secondo cubano che amo di più”! Non c’è niente da fare, basta così poco per morire di allegria!
La Habana, 1 agosto
2008 venerdì
Oye
mi cuerpo pide salsa, oye oye oye…
Ore 10-12 mi tuffo
nella mia clase di salsa con Juan! E va bene direi a parte che son dimagrita e
mi cade la gonna mentre muovo il bacino e faccio le vueltas. Denise mi urla:
“la gonnaaaa!” J
Finita
la lezione vado alla Habana Vieja a prendere i soldi in banca e poi raggiungo
Denise e Paola per il pranzo ad un ristorante sul Malecòn. Fa davvero caldo e
dopo aver mangiato ci rifugiamo subito in casa per un riposino al fresco
dell’aria condizionata. Nel tardo pomeriggio arriva Jorge che mi ha porta
all’Aquario Nacional a Miramar dove ci sono tanti pesci, ovviamente J,
le tartarughe marine, i cavallucci, una foca monaca addormentata ma soprattutto
i delfini! Sotto l’acquario c’è un ristorante che ha le pareti in vetro ed
è praticamente circondato di enormi pesci che passano e spassano, come si vede
anche nel film “Efectos Personales”. Jorge voleva offrirmi il biglietto di
ingresso e così ha fatto finta che io fossi cubana ma ci hanno fermati e
rimandati indietro. Poverino, mi è dispiaciuto tanto, per lui è anche una
questione di orgoglio, vorrebbe potermi offrire qualcosa e soprattutto non
vorrebbe farsi pagare da me per il suo lavoro ma ho cercato di spiegargli che la
sua compagnia non ha nulla a che vedere con il lavoro e che è giusto che, se
perde del tempo con me, sia compensato. Certo non è una situazione facile, se
si va a mangiare al ristorante lui non può pagare, se non si va moriamo di fame
e lui dice che preferisce non cenare mentre io gli dico che per me è un piacere
non cenare sola e che pagargli ogni tanto una cena non è un problema, che i
soldi non devono e non possono crearci questo tipo di problema. Certo non mi
sarei mai immaginata di trovarmi in tale situazione e fare la parte di Paperon
de’ Paperoni, io poi, che non ho una lira….ma vallo a dire a loro che
davvero non ne hanno e combattono per sopravvivere. Mi sento a disagio
nonostante tutto, specie quando ordina la pizza e poi non la mangia ma se la fa
incartare per portarla ai figli…
Dopo
tanti discorsi siamo andati a cena in un posticino molto economico e alla mano,
il Karl Marx Café dove abbiamo mangiato due semplicissimi sandwich di pollo e
bevuto una birra. Jorge mi ordina il dolce di queso y coco (formaggio e cocco)
ma la cameriera dice che è finito. Lui non si arrende perché ritiene sia una
specialità che devo assolutamente provare e allora chiama un’altra cameriera
e le dice che sono incinta e ho tanta voglia del dolce coco y queso….la
cameriera sorride e va a prendermene una porzione! Allora lo vedi che tutto il
mondo è paese e ognuno sa come ottenere le cose a casa sua!!! Certo che in
questo viaggio è diventata una costante farmi finire per far la mamma! Comunque
il dolce era buonissimo!
Quando
mi ha accompagnato a casa gli ho dato tutte le medicine che mi erano rimaste. E
poi ci siamo salutati.
La
Habana, 2 agosto 2008 sabato
La
guerra è pace. la libertà è schiavitù. l’ignoranza è forza.
George
Orwell, 1984.
Volevo
regalare a Jorge il libro di Orwell, 1984 e così sono andata alla Habana Vieja
ma mi hanno detto che qui quel libro è vietato. E certo! Come potrebbe essere
altrimenti? Le librerie sono piene di testi su Castro e sulla rivoluzione, testi
di scrittori cubani pro regime e di storia. Qualcosa di arte e romanzi di
scrittori sud americani.
Alle
11 arriva Jorge per andare a Playa del Este per la mia ultima giornata di mare
cubana. Alla fermata del bus abbiamo incontrato un tizio americano coi cui Jorge
sta lavorando e siamo andati in spiaggia insieme a lui e a Maiani e le sue bimbe
che lo accompagnavano. L’americano è uno spasso, avrà una sessantina
d’anni o forse meno e mi chiede di dove sono e come mi chiamo. All’udire il
mio cognome inizia a ridere esclamando “ahhh!! Nel Bronx ci sono i Marcarelli!!!”
Penso: “devo dirlo a mio padre?” J
Stavolta,
essendo sabato, la spiaggia è affollatissima e in acqua non c’è spazio per
bagnarsi tanta la gente. Peccato, è andata così. Tanto verso le 16 ha iniziato
a piovigginare e ce ne siamo tornati verso casa. Lì ho iniziato a sentirmi male
con la pancia e seppure l’ultimo giorno, la mia infezione intestinale da
viaggio è riuscita a colpire anche qui! Accidenti, ci ero quasi riuscita! Io
credo che l’aver mangiato cubano per due giorni non è stato gradito dal mio
intestino. Mi son dovuta riempire di medicinali per riuscire ad andare alla
nostra fiesta de despedida organizzata da giorni a casa di Omaida con tutti i
ballerini e gli amici frequentati in questo bellissimo mese di vacanza. Denise
mi ha prestato un suo abitino perché io ne ero a corto e un po’ ammaccata
sono riuscita a ballare per mezza serata con vari cavalieri tra cui Piter che
finalmente mi ha invitata e mi ha fatto girare la testa per quanto mi ha
sollevata da terra facendomi girare insieme a lui. È bravissimo, vederlo
ballare è sempre stato uno spettacolo ma ballare con lui è da delirio!!!
Omaida mi ha regalato il CD di Paulito Fg che mi piaceva tanto durante le mie
lezioni con Juan. Poi sotto la pioggerellina fine fine siamo tornate a casa per
la mia ultima notte habanera. Vorrei non finisse mai.
La
Habana, 3 agosto 2008, domenica
La
tua ombra cambia forma in viaggio, si ingobbisce su una duna, si spezzetta nel
sole dietro a una grata, si frantuma sui sassi, vibra dal finestrino di un
treno, danza su un telo mosso dal vento, si impenna contro una roccia, dando al
suo profilo angoli bizzarri. Vedendo la tua ombra cambiare, ti accorgi che
muovendoti non rimani mai uguale.
Mercedes
viene a salutarmi mentre facciamo colazione…mi dà il suo indirizzo di casa e
il numero di telefono, mi dice che devo credere all’amore e vivere con
ottimismo. È una ragazza speciale, mi ha fatto spisciare dalle risate in questa
vacanza, non me la dimenticherò mai, anzi mi mancherà moltissimo!
Di
corsa alla mia ultima lezione con Juan mentre Denise mi riprende con la
telecamera! Saluti, baci e scambio di indirizzi con i ballerini e con Ilde, poi
con Deni e Paola in giro per la Habana Vieja dove ho comprato un libro di Osho
per Jorge. Pranzo al ristorante sotto casa dove c’è sempre il vecchietto
seduto sulla sedia tutto il giorno a bordo strada. Abbiamo mangiato benissimo! A
saperlo prima!
Poi
preparativi e chiusura valigie. Alle 19 arriva Jorge per portarmi in aeroporto.
Si è fatto prestare una macchina da un amico che abita fuori della Habana, è
andata a recuperarla con il pullman perché non avrebbe mai permesso che andassi
via da La Habana in taxi con un estraneo, mi ha detto. Abbraccio Denise con un
po’ di emozione perché non so quando la rivedrò, saluto Paola con
appuntamento a Roma, baci a Miriam, Sinai, Deilmiri e Ricardo e poi giù, via
sotto la pioggerellina habanera. Ho un maledetto nodo in gola ma so che non devo
esser triste. Do a Jorge il libro di Osho con la mia bandana rossa e lui mi
dice: “è la prima volta in vita mia che mi regalano un libro…” Anche
stavolta resto senza parole e mi chiedo se potrò mai capire fino in fondo come
vivono qui. Mi ha portata fino alla fila per il check-in e poi saluti e abbracci
in silenzio ma con mille ricordi e un grande sorriso di arrivederci. Resto sola.
Lunga
fila per imbarcare, poi pagamento della tassa di soggiorno, controllo passaporto
e infine sul volo che mi porta via da La Habana a circa 9000 km di distanza da
questo sole, dal calore, dalle risate spensierate, dalle amiche scatenate,
dall’odore del mare, dalla musica, volando sola coi miei pensieri, con i già
mille ricordi, carica di emozioni e nostalgia, cercando di tenere il cuore al
riparo e il sorriso pronto per la fortuna che ho avuto anche questa volta.
Adios mi Habana. Buena vida. Mi vida.
Irene