Cinque mesi in Colombia

... a la orden

Racconto di viaggio 12 agosto 2004 - 12 gennaio 2005

di Stefano e Donatella

 

 

Dopo dieci mesi (294 giorni) di permanenza in Venezuela, lasciamo Caracas il giorno 11 agosto 2004, alcuni giorni prima del referendum attraverso il quale i venezuelani decideranno se confermare o meno nella carica il Presidente Chávez. Ci piacerebbe fermarci per vedere come va a finire, ma purtroppo il nostro visto turistico non ci dá altro tempo. Anche questa volta, come spesso abbiamo fatto in Venezuela, decidiamo di viaggiare di notte. Partiamo in autobus (75000 bolivares fino a Santa Marta, Colombia) dal caotico Terminal La Bandera, alle 7.30 della sera, consci delle undici ore di viaggio che ci separano dalla frontiera, 800 km. piú a ovest. Il sonno, l’abitudine ai lunghi viaggi e qualche proverbiale sosta, fanno scorrere le ore e cosí, alle 6.30 del mattino successivo, siamo a Paraguachón, posto di frontiera tra Venezuela e Colombia. Le formalitá presso la D.I.E.X. venezuelana sono abbastanza rapide e finalmente scopriamo quanto dobbiamo pagare per l’uscita dal paese ... 24700 bolivares a testa. Parguachón  rispecchia i canoni da spot televisivo, naturalmente mancano le belle figliole, il bel tenebroso e la fuoriserie sportiva, peró c’é quasi tutto il resto: l’unica strada battuta senza sosta da auto, camion, furgoni, jeep carichi di gente e bagagli. Ai lati della strada, tra case e baracche, una sfilza di griglie fumose, sulle quali trapassano a peggior vita ali di pollo e poco invitanti churrascos (spiedini). Tutto intorno il paesaggio desertico de La Guajira, con la bassa vegetazione e la polvere fine e fastidiosa, sollevata dal vento. A bordo dell’autobus, poi, alcune situazioni equivoche (sicuramente solo ai nostri occhi) precedono e seguono il passaggio della frontiera. Sul lato venezuelano, prima di un controllo a bordo da parte della Polizia, una passeggera, evidentemente non in regola, si nasconde, con la complicitá del cobrador (bigliettaio), nella toilette dell’autobus. Sul lato colombiano, la stessa signora e altri due passeggeri, invitati a scendere dall’autobus per un altro controllo, risolvono l’intoppo allungando un pó di soldi che, attraverso le mani del chofer (così in Sud America si chiamano gli autisti), arrivano agli agenti colombiani. Equivoci o no, anche noi, alle prime luci dell’alba (abbiamo giá portato indietro l’orologio di un’ora per il cambio del fuso orario) otteniamo il nostro visto di entrata, con un permesso di 90 giorni, sul passaporto.

 

Passiamo la frontiera, adios Venezuela.

Siamo in Colombia ... giorno 1014 di viaggio ...

 

 

 

... dopo un cambio di autobus, il viaggio prosegue verso Santa Marta, prima meta in territorio colombiano, partendo da Paraguachón alle 8.30. Attraversiamo il Departamento de La Guajira, passando per Maicao, Rioacha e Palomino, dove incappiamo in un controllo di documenti e bagagli da parte della Polizia. Siamo nella zona della Sierra Nevada che, oltre a vantare la vetta piú alta della Colombia, con i 5775 metri delle vette gemelle Pico Bolívar e Pico Cristobal Colón, é anche un’area in cui é segnalata la presenza di paramilitari delle A.U.C. (Autodefensas Unidas de Colombia).. Il controllo é abbastanza rapido e cortese e, verso mezzogiorno, il terminal di Santa Marta, ci accoglie con un caldo infernale.

 

 

Siamo entrati in Colombia sulla scorta di informazioni raccolte in Venezuela tra i, non molti, viaggiatori che hanno visitato il paese. Tutto sembra discordare con le consolidate allarmanti notizie che ritraggono la Colombia. Nei ricordi delle persone con cui parliamo ritorna sovente la descrizione della gente: “los colombianos son muy amables y cariñosos” (“i colombiani sono amabili”). Peró, che dire del vergognoso sito www.viaggiaresicuri.mae.aci.it/aciWeb/it/sud_america/colombia/sicurezza.scheda  del Ministero degli Esteri Italiano, che consiglia di “evitare viaggi in Colombia se non strettamente necessari”? E che dire della guida Lonely Planet, regalataci in Venezuela da due ragazzi scozzesi che, dopo averla letta, hanno ... desistito, intimoriti? Un consiglio: se decidete di visitare la Colombia (avendo tempo che vi consenta di fare qualcosa in piú rispetto alle classiche mete) e volete acquistare una guida Lonely Planet, cercate di procurarvi l’edizione precedente a quella del 2003. Noi abbiamo fatto un raffronto, purtroppo quasi alla fine del viaggio in Colombia, e abbiamo notato che l’ultima edizione é stata “tagliata” di circa 300 pagine, escludendo cosí intere zone del paese. É comprensibile la cautela degli editori della Lonely Planet nel redigere una guida sulla Colombia, ma, almeno con il senno di poi, possiamo dire che il tono é eccessivamente allarmistico. Naturalmente questa é la visione di chi, in viaggio oltre tre anni (Cabo Verde, Brasile, Venezuela, Colombia, e adesso Ecuador) ha forse aspettative, visioni e esigenze che magari non collimano con quelle di chi fa un viaggio di 15/20 giorni. Detto questo, c’è da riconoscere che il paese ha ancora seri problemi, alcuni dei quali di lontana e difficile soluzione: narcotraffico, movimenti guerriglieri, organizzazioni paramilitari, deliquenza comune. Per mettere sul piatto della bilancia anche le statistiche ufficiali, riportiamo alcuni degli ultimi dati emessi dal Ministero della Difesa Colombiano, riferiti all’anno 2004:

un totale di 13.538 membri di gruppi armati (A.U.C, F.A.R.C., E.L.N.) “esclusi” dal conflitto armato, di cui 2.518 uccisi in combattimento da Polizia o Esercito; 8.346 armi, 2.000.000 di munizioni di diverso calibro e 9.500 granate sequestrate. Nel 2004 le azioni terroristiche sono diminuite, rispetto al 2003 del 46%. Massacri: le incursioni di forze terroristiche che hanno provocato massacri nel 2003 sono state 94, con un totale di 504 morti, nel 2004 i casi sono diminuiti a 45, con 259 morti. Morti tra le forze militari e di Polizia (la maggior parte dei quali a causa di esplosioni di mine): nel 2003, 576, nel 2004, 121. Resa delle armi: 1703 guerriglieri (F.A.R.C. e E.L.N.) e 1269 combattenti delle A.U.C. hanno rinunciato alla lotta armata. Distruzione di coltivazioni di coca e amapola (papavero): 136.551 ettari coltivati a coca e 3.826 coltivati a amapola. 1098 laboratori per la produzione di cocaina distrutti dalle forze dell’ordine. Cocaina sequestrata: 148 tonnellate. Desplazados, cioè civili forzatamente allontanati dalle prorpie case o terreni da A.U.C., F.A.R.C. o E.L.N., nel 2003, 49.000 persone, nel 2004, 32.330. Sequestri a fine di estorsione: nel 2003, 1468, nel 2004, 746 (-49%).

 

  Un quasi italiano ...

 

La fine di quattordici anni di guerra

 

Insieme ai fratelli Castaño, Mancuso fondó le A.U.C. (Autodefensas Unidas de Colombia). Ci sono nove ordini di cattura contro di lui in Colombia, con l’accusa di aver preso parte a vari massacri. La giustizia degli Stati Uniti lo accusa di narcotraffico.

 

Salvatore Mancuso Gómez, principale rappresentante delle Autodefensas Unidas de Colombia, con la resa delle armi del “Bloque Catatumbo” ha posto fine alla lotta armata che durava da quattordici anni, iniziata quando le F.A.R.C. cominciarono a ricattare la sua famiglia. Figlio di un immigrante italiano, ha 39 anni e viene descritto da colleghi e amici come un uomo combattivo, sobrio e intelletuale. Negli anni ’90 denunció presso la “Brigata 11”, con sede a Montería (Departamento de Córdoba), le estorsioni di cui la sua famiglia era vittima. Il “Frente 38” delle F.A.R.C. aveva infatti convertito il gruppo di allevatori di questo departamento, di cui faceva parte la famiglia di Mancuso e della moglie, nella principale fonte di finanziamento. Di fronte alla difficoltá da parte dello Stato di combattere la guerriglia, Mancuso decise di armare un nucleo di ex soldati professionisti, da lui stesso reclutati, per affrontare i gruppi sovversivi presenti nella zona. Il suo raggruppamento, “Los Tangueros”, si uní alle fila di Fidel Castaño, fratello di Carlos Castaño, che sará per oltre dieci anni suo compagno di battaglia. Oltre a fondare le A.U.C., nel 1998, Mancuso si specializzo in tecniche di guerriglia in Vietnam, studió inglese negli Stati Uniti e diventó pilota di elicotteri, grazie agli insegnamenti di un Capitano dell’esercito in pensione. I suoi nomi di battaglia sono “Santader Lozada” e “Triple Cero”. Il suo dominio militare, esercitato attraverso il “Bloque Norte” e il “Bloque Catatumbo”, si estendeva nei Departamentos di Sucre, Bolívar, Magdalena, Cesar, Santander, Norte de Santander, Córdoba, La Guajira. Attualmente su Mancuso pendono nove ordini di cattura e una citazione in giudizio per i massacri di Morroa, Colosó e Tolú (Departamento de Sucre), avvenuti nel 1996. Nel 2003 é stato condannato a 40 anni di carcere per il massacro di El Aro, a Ituango, nel nord del Departamento de Antioquia. Nel 2002 gli Stati Uniti ne hanno richiesto l’estradizione per narcotraffico. Da 15 giorni tale richiesta ha il beneplacito della Corte Suprema di Giustizia Colombiana.

Tratto dal quotidiano colombiano “El Tiempo” del 11 dicembre 2004

 

... a Santa Marta il caldo é a tratti insopportabile, e camminando si ha solo un pó di refrigerio quando si percorrono le strade che tagliano in senso perpendicolare, verso il mare. Il malecón (lungomare) é frequentato soprattutto la sera, quando la brezza richiama gente tra i bar e gli innumerevoli banchi di ambulanti, dove si puó mangiare un trancio di pizza (decente), un salchipapa (patate fritte con salsiccia), bere un buon tinto (caffé) o una cerveza (birra) Aguila. Sul lato di fronte al mare, e prima della spiaggia, le belle e originali sculture in metallo di Edgardo Carmona (ci sono anche in Plaza de San Pedro Claver, a Cartagena). Il centro storico di Santa Marta é ben conservato, e soprattutto vissuto. Questa é una differenza che salta subito agli occhi, quando ripensiamo alle cittá coloniali venezuelane, Coro, Ciudád Bolívar, Carupano, assolutamente deserte dopo l’imbrunire. C’é un’altra curiositá: a Santa Marta dobbiamo rivedere i nostri sistemi di misura, e passare dai chilogrammi alle libbre e dai litri ai galloni. Le spiagge vicine alla cittá sono piuttosto frequentate, soprattutto El Rodadero, che la domenica diventa un carnaio. La sera, nella spiaggia del malecón, tanta gente a mollo, in cerca di refrigerio, mentre pescatori stendono e ritirano le reti direttamente dal bagnasciuga. Sull’altro lato dell’affollato viale, tra ritmi di salsa e vallenato, si aggirano venditori di tours, marihuana, cocaina e piú o meno attraenti accompagnatrici. Santa Marta é anche il punto di partenza per interessanti itinerari nella zona. L’escursione piú quotata é forse quella verso Ciudád Perdida, antico insediamento degli indigeni tayrona, nella Sierra Nevada. Dura sei giorni (tre per arrivarci, uno sul posto e due per il ritorno, tutto a piedi). Il fai-da-te non é consentito, e anche poco igienico, vista la presenza nell’area di gruppi paramilitari, per cui se volete farla é  necessario rivolgersi a una guida o a un’agenzia. Noi, “siccome tutto non si puó fare”, rinunciamo, peró sappiamo che il costo si aggira intorno ai 150 USD. 

 

Cabo San Juan, Parque Tayrona

 

Altra area interessante é il Parque Tayrona, circa 40 km. a nord-est di Santa Marta. É una meta da non perdere. Ci trascorriamo quattro giorni: bellissime spiagge di sabbia bianca, palme, vegetazione lussureggiante, acqua turchese (se beccate una giornata di sole) e imponenti rocce granitiche che ricordano tanto la costa settentrionale della nostra bella Sardegna. Dalle spiagge del parco ci si puó inerpicare (circa due ore di dura camminata), attraverso un sentiero tra la foresta e i giganteschi massi di granito, e raggiungere Pueblito, antico villaggio tayrona, dove attualmente vive un’unica famiglia dell’etnia koguis. All’interno del parco ci sono due o tre accampamenti, vicini alle spiagge, nei quali si puó dormire in amaca a prezzi piú che ragionevoli (per i piú comodi ci sono anche sistemazioni in bungalow). Ci sono poi due ristoranti, chiaramente un pó piú cari rispetto a quelli di Santa Marta. Del resto é comprensibile, visto che l’ultimo tratto di strada per raggiungere il parco lo si puó percorrere solo a piedi (circa 45  minuti) o a cavallo. Visitare il parco é comunque facile, e non é necesario rivolgersi a agenzie turistiche. Prima di andare via da Santa Marta, attraverso la nostra radiolina portatile, veniamo a conoscenza dei risultati del referendum venezuelano. Chávez é riconfermato de manera contundente (nettamente), tra il disappunto di una opposizione ormai allo sbando e il sofferto riconoscimento del risultato da parte degli Stati Uniti e del Señor Jorge Dobleve Buss (cosí lo chiama Chávez). 

 

Bambini koguis a Pueblito, Parque Tayrona

 

Il 23 agosto lasciamo Santa Marta in autobus. Superiamo in direzione ovest le spiagge della cittá e quelle vicine, per infilarci in un paesaggio insolito. É la Ciénaga Grande de Santa Marta, una larga zona paludosa, sulla sinistra dell’istmo che percorriamo, tra baracche di legno, tetti di lamiera e pescatori con l’acqua alla cintola che lanciano le reti. Sul lato opposto dell’istmo, il mare aperto, di un colore scuro per l’apporto delle acque dolci dei fiumi che scendono dalla Sierra Nevada. Al largo, le canoe dello stesso colore dell’acqua, svettano solo per il nero e il bianco dei teli o dei pezzi di plastica usati come vele. 

 

 “ ... y el vasto universo de la Ciénaga Grande que, según testimonios de los gitanos, carecía de límite. La Ciénaga Grande se confundía al occidente con una extensión acuática sin horizontales, donde había cetáceos de piel delicada con cabeza y torso de mujer, que perdían a los navegantes con el hechizo de sus tetas descomunales ...”

da "Cien años de soledad” di Gabriel García Márquez

 

Piú in lá, oltre l’istmo, si profila Barranquilla che, chissá per quale ragione, forse epidermica, decidiamo di non visitare. Puntiamo cosí su Cartagena de Indias, Departamento del Bolívar. Ci siamo. La cittá é decisamente piú grande di Santa Marta, la attraversiamo in buona parte partendo dal terminal degli autobus. La visione é la stessa di tutte le cittá sud americane che fino ad ora abbiamo visto: caotiche, disordinate, rumorose ... naturalmente tutto cambia quando si passano i bastioni del centro storico e si entra nella ciudád amurallada (cittá racchiusa fra le mura). Il casco historico (centro storico) di Cartagena é bellissimo e i chilometri di muraglia che lo circondano hanno preservato, e tuttora custodiscono, un patrimonio architettonico spettacolare. Nella zona di El Centro si concentra la parte architettonicamente nobile e ricca della cittá: gli  alberghi raffinati, il Palácio de la Inquisición, le imponenti chiese del ‘600 e ‘700, Plaza de los Coches, Plaza de San Pedro Claver o l’affollatissima, sopratutto la sera, Plaza de Santo Domingo, dove i meglio dotati economicamente cenano all’aperto tra i tanti ristoranti, mentre i piú si accontentano di una foto in posa vicino alla scultura di Fernando Botero. Forse ancora piú bello é percorrere le strette calles (strade) che mettono in comunicazione le piazze, lungo le quali si deve spesso cedere il passo alle carrozze trainate da cavalli, con a bordo tanti turisti colombiani e stranieri con il naso per aria nell’intento di contemplare tanta bellezza. La forte presenza di gringos (cosí, in generale, sono chiamati gli stranieri) é, naturalmente, una fonte di lavoro per decine e decine di venditori ambulanti che, in maniera assillante, cercano di vendere i piú disparati oggetti. L’opulenza e lo splendore contrastano con la visibile miseria che molti uomini, donne e bambini si portano appresso. Niente di nuovo rispetto a quanto giá visto in Brasile e Venezuela, ma sempre sconcertante quando il nostro concetto di dignitá umana si piega di fronte alla visione di anziani o bambini che si nutrono di rifiuti, cercando, tra bidoni e buste di plastica, gli scarti del surplus alimentare dei piú fortunati. Il fascino di Cartagena sta anche nel fatto che l’anima popolare della cittá ha resistito, soprattutto nel barrio (quartiere) di San Diego, e ancor piú in quello di Getsemaní, sempre all’interno della muraglia. Noi ci siamo sistemati in quest’ultimo, che a tratti ricorda alcune zone de La Habana. Strade affollate di giorno, attivitá atigianali incessanti, piccoli ristoranti dove si puó mangiare, se si lasciano da parte le raffinatezze, con meno di un euro. La sera, le “pubbliche virtú” nella piccola piazza della Santisima Trinidad, dove, tra la piacevole brezza di mare e le sanduicherie ambulanti, si ritrovano famiglie e bambini ... i “vizi privati”, ma non poi cosí privati piú in lá, agli angoli delle calles  in ombra o nei locali per niente equivoci, affollati di bellezze, il piú delle volte, boteriane in esplicita attesa del prossimo cliente. La zona é comunque sufficientemente sicura, almeno fino a una certa ora. Siamo a dieci minuti di cammino da El Centro, dove la sera le piazze si animano con spettacoli itineranti di ballerini di cumbia e mapalé, ritmi afro-caraibici. 

 

C’é un posticino in Plaza de los Coches, che é punto di riferimento per chi apprezza la musica caraibica. Si chiama “Donde Fidel”, e Fidel, naturalmente, é il proprietario, corpulento antillano dai capelli bianchi con braccia sufficientemente grosse da scoraggiare qualsiasi rompiballe. Il locale ha un’antica tradizione e soprattutto una smodata raccolta di CD e video che crediamo abbracci tutto lo scibile della musica caraibica, con particolare predilezione per quella cubana e portoricana. L’ambiente é snob, nel senso piú anglosassone del termine. Snob perché é snobbato dai turisti locali e stranieri, il che é segno di autenticitá, e doppiamente snob perché il genere femminile, che trova ancora peccaminoso l’ambiente, é in netta minoranza. Ci si ritrovano professionisti, impiegati e gente piú umile che, soprattutto il venerdí e il sabato sera, si lasciano andare a performance di passi di salsa. Morale, non é posto per avventure galanti, ma si per riempirsi gli occhi e le orecchie di Celia Cruz e tanti altri musicisti. Una birretta costa 1500 pesos e con il tappo non ci metterete troppo tempo prima di iniziare a battere il ritmo sul bancone di granito, sul quale l’assonnata mescitrice marcherá con un gessetto il vostro debito alcoolico.

 

Oltre il quartiere di San Diego e fuori le mura, tutti i giorni, il rituale della pesca, che ha origine e fine tra le tante piccole spiagge, che barriere artificiali proteggono dall’onda dell’Atlantico. Da qui partono, per missioni che sembrano impossibili, pescatori negri a bordo di piccole canoe ricavate da un solo tronco, spinte da vele di tele rabberciate ma efficienti. 

 

Pescatori, Cartagena

 

Proseguendo lungo la costa, a pochi chilometri da Cartagena c’é La Boquilla, un piccolo villaggio fatto per lo più di baracche di legno, sorte tra i limiti della spiaggia e la laguna di manglares (mangrovie) retrostante. Il paese, un tempo abitato soprattutto da pescatori, è oggi diventato rifugio anche di tanti desplazados (gruppi familiari, o interi villaggi, allontanati forzatamente dalle loro case o terreni dai gruppi paramilitari o guerriglieri). Il fine settimana da queste parti si concentra una buona parte della fascia popolare dei gitanti domenicali. La spiaggia di sabbia grigia è poco invitante, ma il vero richiamo, soprattutto quando il sole cala, sono le decine di locali costruiti ai limiti dell’arenile, dove si beve ron e cerveza in quantità industriale e si ballano i ritmi più in voga nella costa caraibica: salsa, cumbia, reggueton, vallenato ma particolarmente la champeta, un languido ballo al limite del lascivo, su un ritmo sincopato. Immaginate una coppia, naturalmente nera e ovviamente sú di giri, con lui ben piantato a gambe larghe e lei, sorretta per le ascelle, che si abbandona con tutto il peso del corpo, inarcando la schiena fino al limite della rottura, con le gambe flesse e le ginocchia che quasi toccano per terra ...difficile da rendere, ma, se volete vederlo, andate da “Bony”. Noi ci siamo stati, zero turisti, pochi bianchi, ambiente caliente ma sicuro, visto che sia il proprietario, sia i buttafuori sono ex pugili. Fate da bravi. Una bottiglia da 375 ml. di Ron Viejo de Caldas piú Coca Cola e ghiaccio, ve la serviranno per 16000 pesos.

La Boquilla

 

Un altro posto vicino a Cartagena, anche se di tutt’altro genere, è Playa Blanca, sull’Isla de Barú. La spiaggia è sulla rotta delle barche che partono da Cartagena per le visite alla Isla del Rosario. Il nostro percorso é piú complicato, peró interessante e piú economico: un pó di autobus, poi canoa, un camion, poi un altro camion e l’ultimo tratto di strada a piedi, in tutto circa sei ore di viaggio, con tempi di attesa interminabili, ma alla fine il premio c’é ... sabbia bianca, palme e vegetazione rigogliosa ai limiti della spiaggia, acqua turchese e, se il cielo non è coperto, un sole che tenterà di spellarvi vivi. Insomma, tutto quello che ci si può aspettare da una spiaggia tropicale che si rispetti. Trascorriamo quattro giorni in un campamento, dormendo in amaca. Il posto é molto tranquillo e rilassante, e si agita solo un pó quando arrivano le barche cariche di turisti che qui fanno tappa prima di raggiungere le altre isole ... il tempo di sbarcare e mettere i piedi in terra e verrete assaliti da decine di venditori ambulanti di frutta-collanine-camarones-massaggi-affitto-di-maschere-con-boccaglio. Gran bel posto.

 

Lasciamo Cartagena e la zona costiera per spingerci 250 km più a sud est, arrivando a Santa Cruz de Mompós. Il viaggio scorre tra lunghe ore di autobus, passando per San Jacinto e Carmen de Bolívar, due localitá dove, fino a qualche anno fa, era quasi sicuro incappare in un retén (posto di controllo) della guerriglia. Doveva essere proprio cosí, visto che al nostro passaggio notiamo, sul bordo della strada e per chilometri, pattuglie dell’esercito a intervalli di un centinaio di metri l’una dall’altra. L’autobus finisce la sua corsa a Yati, dove ci imbarchiamo su una chiatta che, attraversando un braccio del Río Magdalena, ci lascia a La Bodega. Ancora una ventina di chilometri in autobus e siamo a Mompós. Si tratta di una cittadina che sorge su una grande isola, all’interno di una zona chiamata depresione momposina, a non più di 30 metri sul livello del mare, il che la rende estremamente caliente. La città, quando il Río Magdalena era navigabile, ha conosciuto grande splendore come importante punto di scambio commerciale. Di questo splendore rimangono oggi notevoli testimonianze architettoniche dell’epoca coloniale. Il centro storico, dichiarato Patrimonio dell’Umanità da parte dell’U.N.E.S.C.O. nel 1995, è rimasto praticamente intatto, con grandi casone dalle pareti colorate e dagli altissimi soffitti, bellissimi patii interni, le case più ricche con balconate in legno. Tutte le abitazioni di epoca coloniale sfoggiano una caratteristica tipica, tanto che si può parlare di una aquitectura momposina: la particolarità si evidenzia nella struttura delle finestre, protette all’esterno da belle e elaborate inferriate. Oltre che per la bellezza architettonica, Mompós si caratterizza per una grande semplicità e tranquillità della vita: il gran caldo della giornata incoraggia la gente a tenere aperte le porte delle case e la sera, magari su una mecedora (sedia a dondolo), cercare un pò di refrigerio lungo le albarradas, cioè le vie che si affacciano sulla riva del fiume. A Mompós pare di vivere alcune momenti dei romanzi di Gabriel García Márquez. Forse per questa ragione il regista italiano Rosi ha scelto una delle piazze del paese per girare diverse scene di “Cronaca di una morte annunciata”, ve lo ricordate? Gli attori erano Anthony Delon e quella cozza di Ornella Muti ... il film forse non era da Oscar, ma qui lo ricordano come un grande evento, anche perchè l’intero paese ne è stato coinvolto. A proposito di cinema, due volte alla settimana, la Casa de la Cultura di Mompós (ogni città colombiana ne ha una, più o meno efficiente) proietta film “a gratis”. Naturalmente l’appuntamento é da non perdere, primo perché, dopo l’imbrunire, non c’è tanto da fare, e poi perchè, trattandosi di un evento gratuito, la sala, con sedie bianche di plastica e spompati ventilatori che fanno del loro meglio per attenuare la calura, si riempie del più variegato genere di spettatori. La proiezione alla quale assistiamo non è proprio delle migliori, nonostante il soggetto un classico, seppur in versione moderna: “Dracula 2000”. Come da copione, le scene più cruente sono quelle che calamitano l’attenzione, mentre il resto è snobbato con risate, commenti e qualche fischio … neanche i quattro o cinque pipistrelli che svolazzano ininterrottamente sulle nostre teste riescono a dare un tono di tensione. Morto Dracula, con i soliti paletti nel cuore, il grosso degli astanti abbandona la sala, ci sarebbero ancora una decina di minuti di proiezione, ma …

 

Gli incontri più interessanti sono sempre quelli che non cerchi, magari mentre stai bevendo una birretta sulla riva del fiume. Così capita a noi, quando incontriamo Faiber (come si scrive si pronuncia), un commerciante momposino già in avanzato stato alcoolico domenicale, ma ancora sufficientemente lucido per invitarci a fare un giro verso la Ciénaga de Juan Criollo, al di là del fiume. Tutti a bordo del mototaxi, una sorta di “risció” noleggiato da Faiber, con autista compreso. Naturalmente, tra le dotazioni di bordo non manca una bottiglia di aguardiente, che si perpetuerà durante in tragitto. Attraversiamo il fiume su una chiatta costituita da tre canoe, tenute insieme da assi trasversali, e spinta da un motore fuoribordo. Pochi minuti e siamo dall’altra parte. Inizia così una lunga giornata in giro per strade dissestate, villaggi isolati, case di barro (fango) e legno, a volte senza corrente, e con acqua presa dai pozzi, tanti bambini vestiti di poco e con le pance gonfie, però belli e sorridenti. E poi la ciénaga (laguna), con centinaia di strarnazzanti anatre, pesci rubati da una rete e che finiranno in padella tra i fornelli della provvidenziale Tia Basilisca, zia di Faiber, che vive con marito e figli in una capanna sulla riva della laguna. Prima dell’imbrunire, sulla via del rientro, un’ultima sosta a Bermejal, quattro case tra strade polverose, “asini carichi come muli” e campesinos con machete e sombrero. Riuniti in circolo, sotto un albero, scorrono le discussioni, un’altra bottiglia di aguardiente se ne va e con lei anche il buon Faiber, che, adagiato su un amaca, si abbandona all’abbraccio di Morfeo ...

 

Ciénaga Juan Criollo

 

Dopo dieci giorni trascorsi a Mompós e dintorni, partiamo ... il prossimo destino é Bucaramanga, piú a est e decisamente più a sud. Lasciamo Mompós a bordo di una camionetta che, cammin facendo, si satura come una scatola di sardine. Si tratta dell’unico mezzo con il quale raggiungere, attraverso una strada più che sconnessa, e dopo quattro ore di viaggio, El Banco. Da qui, cinque minuti di canoa e siamo sull’altra sponda del fiume, per prendere l’autobus su cui risultiamo essere gli unici passeggeri ... sette ore di viaggio, fra posti di blocco dell’esercito, con militari sorpresi di incontrare dos italianos da queste parti. Arriviamo a Bucaramanga con un fresco che inumidisce le narici, siamo infatti a circa 1000 metri di altitudine e la differenza di clima rispetto a Mompox si sente.

 

Ci sistemiamo nel centro storico della cittá, anche questa volta in un hotel privo di stelle, ma con un vecchio televisore, alimentato dal sistema cable, che ci rimette in contatto con il vicino Venezuela e i corposi monologhi del Presidente Chávez. Su un altro canale, piú ovattato, l’immarcescibile Bruno Vespa, che continua ad aprire porte a politici, sempre piú amici tra loro e esteticamente inalterati ... che ingiustizia, quando ci guardiamo allo specchio e notiamo l’incipiente aumento delle zampe di gallina intorno agli occhi, sará che questi tre anni sono passati solo per noi? 

 

 ... e un italiano vero

 

Stile Pirata

La vanitá non é solo prerogativa femminile e Silvio Berlusconi ne é la dimostrazione. Alcuni mesi fa, il Primo Ministro ha fatto scalpore dichiarando di essersi sottoposto a un lifting facciale per apparire piú giovane. Adesso pare che, non solo voglia farla finita con le rughe, ma anche dire addio alla calvizie. Recentemente, mentre trascorreva alcuni giorni di vacanza in Sardegna, si é presentato con una bandana sulla testa, in stile pirata. Alcuni hanno pensato che questo facesse parte del suo look estivo, altri che volesse sembrare piú giovane. Il giornale “Corriere della Sera”, ha rivelato che, in realtá, Berlusconi deve coprirsi la testa, in quanto si é sottoposto a un trapianto di capelli. Il suo chirurgo plastico, Dottor Piero Rosati, ha confermato che in uno o due mesi cominceranno a vedersi i risultati. Nemmeno la visita del suo collega inglese Tony Blair e della moglie Cherie gli hanno fatto rinunciare alla sua bandana.

Tratto dal settimanale colombiano “La Semana

 

Anche a Bucaramanga, come in tutte le città del Venezuela e della Colombia, c’è naturalmente una piazza dedicata a Simón Bolìvar e in piú, ancora ben conservata, la casa che lo ospitó per circa due mesi, e che oggi é museo storico e etno-antropologico della città. La parte piú interessante del museo é quella dedicata al gruppo indigeno Guane, che popolava la regione prima della colonizzazione. Tra le teche in vetro sono conservate mummie in posizione fetale o ancora, in una ampia mostra, si possono osservare crani deformati con tecniche particolari, che davano alla testa forme allungate, segno di prestigio e connotazione sociale. Bucaramanga ha un vanto culinario tutto suo, la hormiga culona. Come é facile intuire, si tratta di una grande formica dal trasero (da cui culona) spropositato, e che viene consumata fritta. 

 

Giron

 

A mezz’ora di autobus piú a sud di Bucaramanga c’é Giron, una cittadina di 45000 abitanti, dove il passaggio della colonizzazione spagnola ha lasciato i segni di una architettura sobria e ordinata. Tutte le case, per lo più di un solo piano, sono dipinte di bianco, i tetti di vecchie tegole e le porte e le finestre di un’unica variante di colore, un marron scuro. Ai lati delle calles (strade) in acciotolato, tante attivitá commerciali, bar e piccoli ristoranti. Guardando tra le porte socchiuse nell’assolato pomeriggio, scorgiamo una piccola, piccolissima, fabbrica si sigari. La conduzione é familiare e svolta tra le pareti di casa da fratelli, sorelle, mamma e una abuela (nonna), ognuno con il proprio ruolo. Ci accoglie ancora una volta la gentilezza colombiana e il buon profumo delle foglie di tabacco, molte giè secche e composte in balle, altre non ancora pronte e stese su una canna sospesa a mezz’aria. La nostra presenza non interrompe il lavoro di mani che scelgono, tirano, tagliano e arrotolano. Alla fine decidiamo di comprare sigari, ce li vorrebbero regalare ma insistiamo per pagare il giusto prezzo, 100 pesos l’uno ...

 

Approfondiamo il viaggio lungo la Cordillera Orientale e, lasciata Bucaramanga, raggiungiamo San Gil, un centinaio di chilometri più a sud. Il viaggio scorre tra bellissimi panorami, saliamo di quota e i cañones diventano profondissimi, attraversati sul fondo da una massa fangosa e turbolenta che dá l’idea della forza delle acque. Purtroppo il chofer (“razza bastarda”, come dice il conterraneo Pietro) è veramente bastardo, e sembra avere connessione solo con il pedale dell’acceleratore, provocando brividi ogni volta che guardiamo fuori dal finestrino, alcune centinaia di metri più in basso. La pazienza ha un limite e così all’ennesima curva, oltre la quale intravediamo il baratro, lancio un urlo di protesta, condito da qualche epiteto, sperando di risvegliare il buon senso del conduttore e la solidarietà dei passeggeri ... tabula rasa su un fronte e sull’altro. Qualcuno si sarà anche chiesto “¿que carajo gritaba el gringo atras?” (“che c.... gridava lo straniero lì dietro?”). 

 

Non c’è inchiostro nè carta per ogni dove, e cosí di San Gil ci portiamo solo il ricordo del mercato della città e del piccolo barbone (avrá avuto 12 o 13 anni) e del suo cane. Per alcune sere di seguito li incontriamo nello stesso piccolo ristorante, l’uno in attesa di una sopa (minestra) offerta dal proprietario e l’altro, fuori dalla porta, con il miraggio dei resti di un pezzo di pollo che “sto per finire di spolpare”.

 

Mercato, San Gil

 

Da una delle vie intorno al mercato di San Gil partono, ogni mezz’ora, gli autobus che conducono a Barichara, cittadina coloniale fondata nel 1705. É difficile non innamorarsi a prima vista delle stradine in pietra, delle case dipinte di bianco e degli infissi in legno, i cui colori vanno dal verde scuro all’acquamarina, passando per turchesi, celesti, verde acqua ...All’ingresso delle case sono appese graziose piccole croci, confezionate con rametti e fiori secchi, che danno alle costruzioni un aspetto quasi magico, come se fungessero da scacciaspiriti. Qualora le croci non fossero sufficienti, appena si supera la soglia, si incontra un’altra porta, in cima alla quale é generalmente collocata un’immagine sacra ... a Barichara gli spiriti maligni hanno vita difficile. Infatti, quando domandiamo se ci sia qualche pericolo a percorrere a piedi la strada che conduce a Guane, la risposta sorridente e rassicurante é “aqui no pasa nada” (qui non succede niente).                                                                                                        Barichara

 

Partiamo dunque, lungo il Camino Real, sentiero in pietra utilizzato in origine dalle popolazioni indigene locali, e ricostruito nel 1864. Il percorso si snoda verso il basso, fra intensa vegetazione, coltivazioni di tabacco, qualche capra e un gran caldo. Impieghiamo circa un’ora e mezza per raggiungere Guane, la cui vita ruota intorno alla piazza principale, dalla quale si diramano una decina di viuzze. L’avvenimento principale della giornata é il Gran Premio di Formula Uno e gran parte degli uomini del paese lo seguono affollando un minuscolo baretto. L’attenzione alla fine viene premiata, visto che é proprio il colombiano Carlos Montoya a vincere la gara, regalando al piccolo villaggio coloniale un momento di orgoglio nazionale.

 

Guane

 

Nella progressione del viaggio, saliamo anche di altitudine, e, a Tunja, capitale del Departamento de Boyacá, dobbiamo fare i conti con i 2800 metri sul livello del mare. Ovviamente sono 2800 metri in zona tropicale, peró, per noi che da circa tre anni non usiamo scarpe chiuse, è un piccolo trauma, anche perchè la temperatura non supera i 13 gradi, poco meno di quelli che troviamo nell’austera stanza del Hotel Saboy, al lato della Plaza Bolìvar. Tempo addietro l’albergo deve aver goduto di un certo tono, oggi l’aspetto decadente, portato però con eleganza, abbraccia sia le mura dell’edificio sia l’essenza fisica dell’anziana e simpatica proprietaria, Señora Julieta. Con la salita di quota, sentiamo una certa fatica nel respirare, che peró, dopo qualche giorno di acclimatamento, scompare. In una freddissima serata, tra una pizza e un caffè, ci ritroviamo nella grande piazza centrale ad assistere a una eclisse totale di luna, che per oltre un’ora oscura completamente la grande luna piena. Tunja è rinomata per le sue chiese del XVI sec, ma forse la particolarità che più colpisce sono i grandi dipinti che adornano i soffitti delle grandi case coloniali, un misto di cattolicesimo, mitologie indigene, influenze arabe.

 

 

Lustrascarpe a Tunja

 

A Tunja abbiamo il nostro primo vero incontro con i tratti somatici andini. Lo facciamo visitando il grande e animatissimo Mercado del Sur, dove i campesinos della zona vendono i loro prodotti: dalle enormi e coloratissime zucche alle selle per gli asini, dalle buonissime fragole ai ponchos (chiamati anche ruanas) di lana, grandi varietà di frutta e verdura ... e in mezzo a tutto questo, le figure minute dei campesinos, la cui altezza media non va oltre il metro e mezzo. Le donne, forse a causa degli impressionanti carichi che trasportano sulle spalle, hanno un aspetto più massiccio rispetto a quello degli uomini: gonne larghe, grandi fianconi, calzettoni di lana sotto il ginocchio, facce rubiconde, con guance bruciate dal freddo, capelli neri raccolti in trecce, sui quali alberga l’immancabile cappello di panno, quasi sempre nero o marron, a volte con una leggera nota di colore, data da una piuma. Gli uomini, piú in disparte dalle attivitá del mercato, si raggruppano per consumare caffé, birra o carne arrosto, anche loro abbigliati con ponchos di lana e cappelli, che contrastano con le leggere alpargatas, scarpe di tela, aperte in punta, chiuse sul tallone con una fascia, e spesso decorate con ricami.

Da Tunja é quasi obbligatoria una visita a Villa de Leyva, forse la piú rinomata fra le cittadine coloniali della zona andina. Dai 2820 metri di Tunja scendiamo a 2140 metri, attraverso una strada tutta curve, con bei panorami sulle vallate circostanti. A Villa de Leyva, monumento nazionale dal 1954, le vie hanno un aspetto curato. Porte, finestre e balconi in legno sono rigorosamente verniciati di colore verde scuro. La bianchissima cattedrale domina l’enorme Plaza Mayor (la piú grande piazza colombiana, con 14400 metri quadri di superficie!), pavimentata con grandi lastroni di pietra e interrotta soltanto dalla fontana, collocata al centro, che un tempo forniva acqua a tutto il paese. Nelle vie circostanti ristoranti, negozietti di frutta e verdura e panaderias (panetterie), in una delle quali scopriamo i calados, buonissime gallette secche. Piú in lá, tanti laboratori artigianali, nei quali si producono borse ricamate, maglioni in lana, sciarpe coloratissime e capi di cotone. La cittadina trasmette una sensazione di sana operositá, e tutto pare funzionare ... a parte i musei che sono tutti chiusi.

 

Il 30 ottobre, come un’armata Brancaleone, tentiamo un primo assalto alla città di Santa Fé de Bogotá ma ... veniamo respinti proprio sotto le mura. Il fatto é che, in questi giorni, nella capitale colombiana si sta svolgendo un grande festival di musica rock e la cittá ha il tutto esaurito tra gli hotel che rientrano nel nostro target. Dunque, di nuovo sull’autobus e, dal terminal di Bogotá ritirata incruenta verso la vicina Zipaquirá, a circa 40 chilometri. Ci ricorderanno come gli unici turisti che abbiano trascorso piú di mezza giornata in questa cittá, tempo generalmente piú che sufficiente per vedere ció che c’é da vedere, cioé la Cattedrale di Sale, costruita nel sottosuolo della montagna che domina la cittá. Ignoriamo la “chiesa salata” e ci concentriamo sul vicino Museo del Sale e il Museo Archeologico. Il paese é in festa e alla sera, tra musica e fuochi d’artificio, ci godiamo le piccole, rotonde, buonissime patate con la buccia, fritte per strada dai venditori ambulanti.

 

 

Il festival rock é finito, e cosí, il 2 novembre arriviamo ripartiamo alla volta di Bogotá. Percorriamo in autobus buona parte della cittá, tra traffico intenso ma non caotico. Scendiamo al Portal Norte, dove abbordiamo una linea del Transmilenio, una sorta di metropolitana di superficie, con i grandi autobus rossi che “corrono” su corsie preferenziali. Il servizio é efficiente e sufficientemente rapido per lasciarci alle spalle le lunghe avenidas, dove l’aria é resa irrespirabile dagli scarichi di centinaia di vecchi autobus e dalle armate di gialli taxi che sembrano lavorare a  pieno ritmo. Andiamo in direzione de La Candelaria, centro storico della cittá, sicuri che la prossima parada (fermata) sará la nostra. Cosí dovrebbe essere, se non ché una regia suprema ci rende protagonisti di una di quelle scene da cinematografia americana, con Lui che scende dall’autobus, mentre Lei, intrappolata dalla pressione umana, non riesce a guadagnare l’uscita ... le porte si chiudono e l’autobus si allontana. Forse a tutti e due, dopo tre anni di stretta convivenza, non sarebbe dispiaciuta l’idea di perdersi tra sette milioni di abitanti. Il fatto é che solo uno dei due (Lei) ha soldi in tasca (grave errore), per cui lo spirito di sopravvivenza ha il sopravvento e, con una rapida comunicazione gestuale, prima che ci perdiamo di vista, ci diamo appuntamento alla prossima fermata.

 

Plaza Bolívar, manifestazione di desplazados

 

L’albergo che troviamo a La Candelaria é tra i piú economici ma, sfortunatamente, anche tra i piú rumorosi. Siamo circondati infatti da cinque o sei locali da ballo e bar che, dal mercoledí al sabato, fino alle tre, quattro di notte non danno tregua. Per il resto, la zona é molto tranquilla e l’impronta coloniale resiste, anche se con intrusioni architettoniche di epoca piú recente non sempre in armonia. Tra le strette vie del casco historico, il via vai continuo di studenti, soprattutto universitari, che frequentano le numerose facoltá ... a dire il vero sembrano tutti piuttosto formali, con giacche, cravatte e colori scuri che rispecchiano le tonalitá climatiche di questa cittá, dove nuvole e pioggia non mancano. Che differenza con i colori della costa caraibica! L’ariosa Plaza Bolívar, alcune vie sotto il nostro hotel, raccoglie un variegato genere umano, che si amplia in particolar modo la domenica, quando saltimbanchi, comici, fotografi e venditori ambulanti, animano la giornata intorno al grande albero natalizio, alto piú di 30 metri, che troneggia al centro. All’angolo fra la piazza e la carrera 7, la malinconica carrozza, trainata da un lucente cavallo, e, al lato, il suo impeccabile cocchiere, sempre a corto di clienti. Piú sú dell’hotel e quasi ai piedi dei Cerros Monserrate (3160 metri) e Guadalupe (3316 metri), che chiudono a est la cittá, le strade diventano piú ripide e strette e la notte si animano di una gioventú eterogenea, che entra e esce dalle decine di piccoli locali fumosi, che si affacciano sulle calles. Ancora piú su, dopo un ultimo sforzo da grimpeur, la piccola piazza, altro ritrovo bohemienne, dove tutto si svolge sotto lo sguardo un pó inquietante delle strane statue sistemate tra balconi e cornicioni. La cittá é molto viva culturalmente e é difficile seguire tutti gli avvenimenti in cartellone, peró, presso l’ufficio di informazioni turistiche in Plaza Bolívar si puó avere gratuitamente la rivista “Urbicola”, nella quale sono elencati gli eventi principali. Naturalmente, é da non perdere una visita al recentemente ristrutturato Museo del Oro, che raccoglie testimonianze e reperti delle civiltá pre-ispaniche sviluppatesi in Colombia, al Museo Arqueológico e alla Donación Botero, nella quale sono esposte circa 140 opere, fra sculture e quadri del famoso artista colombiano, insieme a pezzi di Picasso, Mirò, Dalì, De Chirico, Renoir, Degas. I musei non mancano, cosí come gli spettacoli, spesso a prezzi popolari, nell’anfiteatro all’aperto de La Media Torta o offerti nel Teatro Jorge Eliecér Gaitán, dove assistiamo a un festival folklorico colombiano, con esibizioni di danze e musiche della zona caraibica, del Pacifico, dell’area andina e delle regioni meridionali, in una bella miscellanea di ritmi e colori. A proposito di colori, avete mai visto da vicino il verde di uno smeraldo? Gli smeraldi, per quantitá e qualitá, sono uno dei vanti della Colombia, e tutti i giorni, all’angolo fra la Avenida Jimenez e la carrera 7, centinaia di persone si ritrovano per ritrovano per concludere affari con la “pietra verde”. Uomini e donne affollano anche i bar circostanti, sui cui tavoli, con estrema naturalezza, vengono esposte, per essere esaminate da venditori e compratori, generose quantitá di smeraldi delle piú varie dimensioni e tonalitá di colore. Occhio alle tentazioni, da qualche parte abbiamo letto un avviso, secondo il quale circa il 70% delle pietre sul mercato sono falso o sottosposte a correzioni chimico-fisiche.

 

Partiamo da Bogotá all’inizio di dicembre, per dirigerci verso l’Eje Cafetero, area prevalentemente popolata da “bianchi” e dove si concentrano le grandi coltivazioni di caffè, la bacca rossa di cui la Colombia é importante produttore a livello mondiale. Visitiamo le città di Armenia e Manizales, passando rapidamente per Pereira. Bisogna dire che i centri abitati in questa zona non sono proprio bellissimi. In modo particolare, a Armenia sono estremamente evidenti i segni del forte terremoto che, nel 1999 ha praticamente distrutto la cittá. Quello che invece colpisce, attraversando questa regione, sono le sterminate coltivazioni di caffè, che avanzano per chilometri e chilometri, occupando colline, montagne e vallate. Altro particolare interessante, soprattutto nelle vicinanze di Armenia, è la presenza della palma de cera, pianta nazionale colombiana, una palma che, chissá per quale ragione, ha deciso di crescere a 2500 mt. di altitudine, dando al paesaggio uno strano effetto, visto che normalmente siamo abituati a vedere le palme sulle spiagge tropicali. Qui non ci sono spiagge tropicali, anzi, siamo molto vicini alle nevi del Nevado del Ruiz, le cui cime superano i 4000 metri. Il clima é fresco e l´aria pungente, in particolare quando si esce dalle città, dove invece gli scarichi delle auto e la presenza umana sollevano un pò la temperatura.

 

La “greca”: cosí si prepara un buon caffé in Colombia

 

A proposito di temperatura alta, da Manizales ci trasferiamo in una cittadina decisamente diversa, La Dorada, sul Rio Magdalena. Il caldo é veramente fortissimo e finalmente possiamo rimettere ciabatte e canottiere, che da oltre un mese avevamo messo in fondo agli zaini. Purtroppo con il caldo ritornano anche le zanzare e i maledetti puri-puri, vecchia conoscenza brasiliana e venezuelana, terribili insetti di dimensioni microscopiche, che pungono durante il giorno. Lasciano un segno piccolissimo che provoca un doloroso prurito per settimane ... davvero tremendi. Superiamo anche questa, trascorrendo qualche giorno a La Dorada, le cui attrattive piú rilevanti sono il Rio Magdalena e i bambini che si tuffano nel fiume, facendo spettacolari capriole ... magari a pagamento.

 

Río Magdalena, La Dorada

 

Lasciamo il calore e gli insetti de La Dorada per andare a conoscere la ciudad de la eterna primavera (la cittá dell’eterna primavera), Medellín. Capitale del Departamento de Antioquia, la città é considerata la piú moderna e organizzata della Colombia, ma é anche tristemente conosciuta per avere dato i natali a Pablo Escobar, noto narcotrafficante. Escobar negli anni ‘80 e ‘90 ha scatenato, con il suo Cartel de Medellín, una vera e propria guerra, con sequestri e attentati, un periodo di terrore che ha coinvolto tutto il paese, e che é culmninato con la sua morte, avvenuta per mano delle forze armate colombiane, nel dicembre del 1993. Adesso Medellín é una grande e operosa cittá, punto di riferimento per attivitá commerciali, moda e innovazioni in vari settori. I suoi abitanti, conosciuti come paisa sono sparsi per tutta la Colombia e gestiscono gran parte della ristorazione e delle attività alberghiere e commerciali. Medellín é famosa anche per essere la cittá dove é nato Fernando Botero, pittore e sculture di fama mondiale. Molte delle sue opere sono esposte nel Museo de Antioquia e una ventina delle sue bellissime sculture si trovano nella Plazoleta de las Esculturas (Piazzetta delle Sculture). Avevamo già avuto modo di ammirare le opere di Botero a Bogotà, ma è emozionante vedere dal vivo los gordos y las gordas (i grassi e le grasse), classiche immagine boteriane di donne obese con minuscole bocche e enormi uomini che, nonostante la mole, ballano con leggerezza nei quadri del grande artista. Una parte della produzione di Botero è dedicata al periodo de “La violencia”, appunto gli anni ‘90, rappresentati con incredibile crudezza, in quadri carichi di sentimento, da parte di un artista che ha sentito il dovere di immortalare una epoca così triste della propria città. In una piazza di Medellin é esposta una statua dal nome Pájaro de la Paz (Uccello della Pace) che, paradossalmente, é stata semi-distrutta in un attentato nel quale sono morte oltre trenta persone ... per rispondere a ció Botero ne ha realizzato una uguale, e adesso sono tutte e due lí, identiche, una distrutta e una nuova. Medellin è una cittá vivace e movimentata e sostanzialmente “bianca”. Nei bar si ascolta il nostalgico tango, un miscuglio di modernitá e sentimentalismo, che nel periodo natalizio si mischia con i grandi addobbi, los alumbrados, sospesi a mezz’aria lungo il fiume e per le vie del centro.

 

Chiva, Santa Fé de Antioquia

 

A 79 chilometri da Medellín, in direzione nord-ovest, c’é Santa Fé de Antioquia, la cittadina piú antica di questa regione. Il viaggio in autobus dura circa tre ore e, dal punto di vista paesaggistico é molto interessante perché possimao ammirare profonde vallate, quais completamente atppezzate da terreni coltivati. Un pó meno eccitante é il fatto che, in molti punti, la strada sia talmente stretta che l’incontro con un altro mezzo di trasporto provoca improvvise frenate e pericolosi avvicinamenti al ciglio della carreggiata, al di lá della quale si aprono scarpate da brivido. Con un pò di batticuore arriviamo a Santa Fé de Antioquia, dove l’ambiente é decisamente rilassante. Nella piazza centrale, seduti ai tavolini sistemati fuori dai bar, si consuma caffé, discutendo del piú e del meno, a volte abbassando il tono della voce, quando l’argomento tocca temi politici. Abbiamo giá notato questo comportamento in altre occasioni. Sembra sempre che ci sia il timore di essere ascoltati da qualche delatore, pronto a venderti al nemico, fatto tipico dei paesi la cui storia é stata caratterizzata da periodi violenti e repressivi. Viene da chiedersi se questo guardarsi intorno e bisbigliare sia solo un retaggio o una reale preoccupazione. Una delle piacevoli sorprese che ha caratterizzato il nostro viaggio in Colombia é stato proprio notare che, nonostante l’enormitá e la gravitá dei problemi che il paese soffre, la popolazione ha un atteggiamento sereno e un gran desiderio di affrontare le situazioni a viso aperto. In particolare si nota che, forse per reazione a un’opinione pubblica internazionale che li vuole tutti narcotrafficanti, guerriglieri e sequestratori, i colombiani sono veramente amables y cariñosos. Questo atteggiamento si riflette nel linguaggio quotidiano, carico di vezzeggiativi come “querido, mi amor, mi reina” (caro, amore, mia regina), distribuiti a piene mani e in uguale maniera a amici, membri della famiglia o a semplici sconosciuti. Allo stesso modo, é comune la generosa offerta di aiuto quando vedono un turista un pó sperduto che non sa dove andare.

 

Anche noi non sappiamo bene quale direzione prendere, soprattutto perché il Natale incombe e non vorremo rimanere incastrati in qualche caotica cittá, tra alberi di Natale e frenetici acquisti di regali ... incoerenti al massimo andiamo a finire proprio a Cali, Reina de la salsa y de la rumba, in eterna competizione con Medellín. Cali detiene diversi primati. Negli ultimi anni la cittá é diventata famosa per le sue cliniche di salute e chirurgia estetica, e infatti le donne di Cali, las caleñas, sono considerate le colombiane più belle. Cali é considerata la capitale della rumba, termine usato per descrivere la sfrenata vita notturna che si vive nei tanti locali della avenida 6, o in quelli delle zone piú periferiche e popolari, dove si ascolta e si balla la salsa. Questo genere musicale ha trovato a Cali terreno fertile, visto che una parte significativa della popolazione é negra o mulatta. Dunque, a Medellín si ascolta il tango e a Cali la salsa, a Medellín si lavora e a Cali si balla ... in Colombia, come in generale avviene in America Latina, i luoghi comuni non mancano. Luoghi comuni o no, arrivando a Cali troviamo una cittá rumorosa e movimentata in maniera quasi insopportabile. La frenesia da Babbo Natale intasa le strade del centro, invase dai banchi degli ambulanti, con una offerta spropositata di abbigliamento, musica, scarpe, gingilli vari, tutto accompagnato da musica sparata da terribili casse acustiche di dimensioni giganti. Quasi non si riesce a camminare a causa della marea umana che invade le strade ... la sera poi, tutti lungo il fiume che attraversa la cittá, a mangiare zucchero filato guardando le luminarie ... si, ma quelle di Medellín sono piú belle ...

 

*Qualche giorno prima della nascita del Bambin Gesú ci spostiamo verso la costa pacifica, piú precisamente a Buenaventura, principale porto colombiano sull’Oceano Pacifico, situato all’interno di una grande baia tra manglares (mangrovie), isole e fitta vegetazione, insomma, il posto ideale per lo sviluppo di commerci leciti e meno leciti. Si tratta infatti di una delle zone in disputa fra la guerrilla e i paramilitari, e asse viario del traffico di droga e armi. Qui, come in tutta la costa del Pacifico, la popolazione é quasi tutta nera, ma non nera caraibica, é proprio nera nera, retaggio dell’epoca coloniale e della grande migrazione forzata di schiavi negri provenienti dall’Africa. Buenaventura è il punto di partenza per raggiungere l’Isola di Gorgona, parco naturale a circa 10 ore di navigazione. Visitiamo due villaggi più a nord di Buenaventura e che si possono raggiungere solo via mare. Si tratta di Juanchaco e Ladrilleros, collegate a Buenaventura da veloci barche che, in circa 40 minuti portano a destinazione merce e passeggeri. Sia Juanchaco, sia Ladrilleros (a mezz’ora di cammino l’uno dall’altro) sono piccoli villaggi, nei quali le principali attivitá sono la pesca e il turismo, quasi esclusivamente locale. Nelle due comunità c’é una buona offerta di alloggi, la maggior parte dei quali basici e senza stelle. Le abitazioni sono quasi tutte in legno e sollevate dal terreno per far fronte a maree e forti piogge. La zona pacifica della Colombia é una delle piú piovose dell’universo e anche per questa ragione le spiagge nulla hanno a che vedere con quelle atlantiche: sabbia grigio scuro, mare scuro per le acque dei fiumi che sfociano in questa zona e il cielo ... scuro. Un’immagine ben diversa da quella di Playa Blanca e delle spiagge del Parque Tayrona, nella costa caraibica colombiana. Natale quindi a Buenaventura e la sera del 24 cena all’italiana che ci impegna ai fornelli dell’albergo, la cui padrona, sposata con un italiano vieppiù deceduto, si commuove di fronte a un piatto di penne con le melanzane ...  “che il mio Giuseppe le faceva sempre e tanto buone”. Chiude la tavolata un italiano di passaggio, ex ufficiale di marina oggi “inviato di guerra” in simpatica tenuta da Indiana Jones e con regolare colombiana meno matura al seguito. Una serata tranquilla e piacevole, poco natalizia e dove, dopo tanto tempo, abbiamo riassaporato il piacere di un bicchiere di vino tinto.

 

Da Buenaventura ripassiamo a Cali per riprenderci parte dei voluminosi bagagli. La cittá, dopo il caos natalizio, ha ripreso il suo normale aspetto. Ci fermiamo solo un paio di giorni, e poi via verso Popayán, conosciuta come la “Ciudád Blanca”. Bella, si, di epoca coloniale, peró sinceramente abbastanza noiosa e a tratti lugubre la notte, un centro storico davvero poco vissuto, dove é difficile anche trovare un bar per bere una sana birretta.

 

Chiva, Silvia

 

Visitiamo Silvia, un piccolo paese a 60 km. di distanza, dove tutti i martedí si svolge un pittoresco mercato di strada verso il quale convergono i campesinos della zona. La cosa più interessante è la presenza di una folta comunitá indigena, i Guambianos, che si riversano nel paese per comprare e vendere frutta, verdura e vestiario. Sono veramente curiosi ai nostri occhi: piccoli (soprattutto le donne, la cui altezza non va oltre il metro e mezzo), capelli nerissimi, zigomi prominenti, guance rosse, molto riservati, tanto da non apprezzare le macchine fotografiche. L’aspetto più particolare é l’abbigliamento, soprattutto quello maschile. Gli uomini non usano pantaloni ma una sorta di panno di lana a mò di gonna. Copre fin sotto il ginocchio con una unica variante colore ... un bel azzurro scuro, il tutto è completato da calze corte e scarponi con stringhe dai colori accesi: gialle, arancioni, verdi. L’altra curiositá é data dall’uso del classico cappello andino, una specie di bombetta di colore scuro che, uomini e donne, portano quasi in equilibrio sulla testa.

                                                                                                                                             Guambianos, Silvia

 

Popayán é il punto di partenza per lo spostamento verso le zone archeologiche di Tierradentro e San Agustin. Sono due aree archeologiche del periodo pre-ispanico, da non perdere assolutamente in un viaggio in Colombia, anche perché sono situate in un ambiente naturale molto bello tra vallate, cañones, fiumi, montagne. I viaggi da Popayán a Tierradentro, da Tierradentro a San Agustin, ma soprattutto da San Agustin a Popayán, che si svolgono su strade bianche, accidentate, anguste e con frequenti frane, mettono a dura prova chiappe e articolazioni. Si tratta di tragitti tra i 100 e i 200 chilometri, per percorrere i quali si impiegano circa sei ore, utilizzando vari mezzi di trasporto: autobus, camion, jeep, taxi, microbus e le caratterischiche chivas. Queste ultime sono il mezzo di trasporto popolare soprattutto nelle zone rurali. Si tratta di grossi camion decorati in maniera molto fantasiosa, con il cassone coperto e dotato di panche in legno per i passeggeri. Sul tetto della chiva viaggia chi non ha trovato posto all´interno, insieme a sacchi di verdure, frutta, patate, galline, maiali ... alcuni (come me, Stefano) viaggiano su una sorta di piattaforma collocata sul retro del mezzo, in piedi, attaccati a proverbiali sostegni metallici, senza i quali molti passeggeri si perderebbero per strada. Al termine delle due ore di viaggio la polvere vi avrá cambiato i connotati, peró l´esperienza in chiva é da fare e da quella posizione si possono ammirare paesaggi spettacolari.

 

Interno di una tomba, Tierradentro

 

Tierradentro é una zona dove sono state scoperte centinaia di tombe sotterranee, risalenti al periodo a cavallo fra il 600 d.c. e l’800 d.c., scavate nella roccia alle quali si accede attraverso una scala spesso a forma di spirale. Le tombe hanno uno sviluppo semicircolare, con due o tre colonne centrali che rinforzano la volta. Lungo il perimetro della tomba sono ricavate tre o quattro nicchie, nelle quali venivano riposti, all’interno di urne funerarie, i resti del defunto, risultato di una prima inumazione. Generalmente, vicino alle urne, si collocavano oggetti di uso comunie, o altri piú preziosi, realizzati in oro. Ció che rende uniche le tombe di Tierradentro sono le pitture murali che rappresentano figure geometriche, immagini antropomorfe e zoomorfe. I colori utilizzati sono il bianco, il rosso e il nero, ottenuti da vegetali e minerali. La gran parte delle tombe sono state saccheggiate dai guaqueros (tombaroli) che ancora imperversano e non hanno scrupoli nell’offrire, tutt´oggi, reperti e reliquie a compratori altrettanto privi di scrupoli. Oltre al fascino dell’aspetto archeologico, Tierradentro si trova in una zona di grande bellezza naturale del Departamento del Cauca, attraversato dalla Cordiliera Andina. Nonostante l’imponenza, il paesaggio é dolce, con svariate tonalità di verde “appena brucato” che coprono i ripidissimi fianchi delle montagne attraversate dagli immancabili torrenti per superare i quali, gli indigeni Paezes costruiscono ponti sospesi con luce di anche 30 metri, utilizzando la guadua, un tipo di bambù molto diffuso, usato anche nella costruzione delle case. San Andrès de Pisimbalà, il villaggio al quale fa capo l’area archeologica, ha una “g” di troppo, perchè è veramente piccolo. L’agglomerato urbano si riduce a un´ottantina di case, che si raccolgono intorno alla Iglesia de San Andrès, una graziosa chiesetta dipinta di un accecante bianco calce e con il tetto di travi in legno, che sorreggono la copertura esterna, realizzata con grandi fascine di fibra vegetale. La notte di Capodanno, insieme a tutto il paese e alle famiglie indigene arrivate dal circondario, ci ritroviamo anche noi ad assistere alla messa, che contempla anche la celebrazione di un matrimonio e di alcuni battesimi. Il nostro piú che scarso spirito religioso non ci impedisce di seguire tutta la funzione e di apprezzare il significato che qui ancora riveste l’incontro di tutta una comunità. Una scena curiosa capita proprio sui gradini all’ingresso della chiesa, prima dell’inizio della messa, quando un campesino scambia Stefano per il prete che doveva celebrare la funzione e, inginocchiandosi ai suoi piedi, tenta di baciargli la mano, chiamandolo “Padre”. Naturalmente, una volta conclusa la messa, gli istinti più veraci si risvegliano e danno seguito al lancio di petardi, mortaretti, fuochi d’artificio, il tutto condito da buone dosi di aguardiente di pessima qualità, alla quale attingiamo anche noi, dopo avere dato fondo a una pregiata bottiglia di Ron de Caldas, preventivamente acquistata. A mezzanotte gli auguri di rito, profusi a piene mani a conosciuti e sconosciuti, tutti più o meno etilicamente euforici.

 

Superato il Capodanno, iniziamo il 2005 con una tappa di trasferimento verso San Agustin, altra zona archeologica, nel Departamento de Huila. L’area, dichiarata (così come Tierradentro) Patrimonio dell’Umanità da parte dell’U.N.E.S.C.O.,  sorge intorno al paese omonimo, dal quale si puó partire per tours a cavallo o in jeep, che coprono tutta l’area di interesse naturalistico e archeologico. Alla periferia del paese sono situati il Parco e il Museo Archeologico, nei quali, in un percorso di circa tre ore, è possibile ammirare gran parte dell’opera scultorea della cultura agustiniana. Infatti, se Tierradentro é nota per le tombe, San Agustin risalta per le sue imponenti statue di pietra. Le sculture risalgono a un periodo fra il  100 a.c. e il IX secolo d.c. Le statue, lavorate in roccia lavica, rappresentano figure antropomorfe, zoomorfe e antropo-zoomorfe, hanno misure che variano dai 30 cm fino ai 7 mt. e si rifanno alla mitologia agustiniana (l’aquila, il serpente, l’uomo-giaguaro). Generalmente sono disposte a guardia delle tombe e degli imponenti sarcofagi scavati nella pietra. Molti dei reperti in oro ritrovati nelle tombe sono oggi esposti nei Museo del Oro delle principali città colombiane, mentre molti altri sono andati perduti a causa dei saccheggi da parte dei tombaroli locali. La precarietà delle strade e la distanza di alcuni luoghi rendono difficile un fai-da-te in questa zona, e dunque è consigliabile affidarsi a una delle agenzie locali. Facciamo due tours, uno a cavallo e uno in jeep. Il primo, che dura circa quattro ore, parte dal paese e copre le zone archeologiche de El Tablòn, che si affaccia sul profondo cañón nel quale scorre il Rio Magdalena e dove si possono ammirare bellissime incisioni rupestri, La Chaquira, La Pelota e El Purutal, nel quale si trovano gli unici esempi di statue dipinte con colori. Il secondo tour si svolge in jeep e dura 8/9 ore. Si parte dal paese in direzione nord-ovest, fino a raggiungere El Estrecho, punto più stretto nel corso del Rio Magdalena (2,20 metri). Da qui proseguiamo per Obando, più a nord, dove visitiamo il piccolo Museo Archeologico e una decina di tombe sotterranee che ricordano quelle di Tierradentro. Dopo aver attraversato Altos de los Idolos, San José de Isnos, arriviamo, attraverso una dissestata strada panoramica, a Altos de las Piedras, dove, fra tombe e statue, si trova una delle sculture più rappresentative conosciuta come Doble Yo. La statua, alta circa 2 metri, riporta frontalmente due facce sovrapposte. Da qui proseguiamo per il Salto de Bordones, una spettacolare cascata alta circa  400 metri, e poi per il Salto de Mortiño, un´altra bella cascata, meno imponente della prima.

 

La panela

 

Sulla strada del rientro ci fermiamo in un ingenio, così si chiamano le piccole aziende in cui, attraverso la lavorazione della canna da zucchero, si ottiene come risultato finale la panela. Il processo, quasi sempre artigianale, parte dalla spremitura della canna, il cui liquido, dopo vari passaggi di pulizia, ebollizione e raffinazione, viene lavorato fino ad ottenere la consistenza di una melassa. A questo punto la massa viene collocata in contenitori di legno e lasciata raffreddare. A processo ultimato la panela avrà la forma, la consistenza e il colore di un mattone. In sostanza si tratta di zucchero non raffinato del quale i colombiani, così come venezuelani e brasiliani, fanno un uso smodato, utilizzandolo con il caffè, con il formaggio, oppure come semplice agua de panela, il cui sapore ricorda quello del tè con limone. Il rientro all´imbrunire a San Agustin ci riporta a un´atmosfera un pò più rude e essenziale: nei bar il genere maschile impera, tra cervezas, aguardiente e musica ranchera, per le strade del paese non è raro incontrare vaqueros con sombrero e pantaloni di cuoio, in sella ai loro cavalli, campesinos che rientrano dalla campagna e chivas che partono per le destinazioni più remote.

 

Tutta quest’area, come altre della Colombia, per quanto ci racconta la gente, fino a due anni fa, era controllata da guerrilleros, e questo rendeva gli spostamenti piuttosto rischiosi. Oggi, con il processo di smobilitazione promosso dal governo del Presidente Uribe, si è arrivati alla resa delle armi di alcune importanti colonne di paramilitari delle A.U.C. (Autodefensas Unidas de Colombia). Per altro verso, l’azione energica della Polizia e dell´Esercito ha allontanato verso zone più periferiche i gruppi guerriglieri della F.A.R.C. (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e del E.L.N. (Ejército  de Liberación Nacional). Proprio per questo, un pò in tutta la Colombia, ma soprattutto nelle strade meno trafficate o aree di particolare interesse strategico, si nota la forte presenza di Polizia e Esercito, con frequenti posti di blocco dove, con estrema gentilezza, si è sottoposti a controllo dei documenti, perquisizioni personali e dei bagagli.

 

Il 4 gennaio partiamo da San Agustin, intorno alle 7.30 del mattino, a bordo di un esausto autobus che non alberga piú di venti posti. Con poco fair play, e contrastando la pressione sulle fasce laterali di chi vuole scavalcarci, ci aggiudichiamo due dei quattro posti liberi, proprio in coda all´autobus. Giá lo sapevamo, ma anche questa volta non abbiamo possibilitá di scelta ... peró un consiglio, evitate l’ultima fila a “poppa”, soprattuto se é cosí conformata: all’estrema sinistra sul lato finestrino signore con gallina, a seguire corpulenta signora che tracima occupando il vostro spazio aereo, a seguire ancora i due posti da noi occupati e poi, per chiudere la fila, sul lato destro vicino al finestrino, signore con bambina sulle gambe che si alternano sul sedile con posizioni acrobatiche. A questo aggiungete, dietro i vostri sedili eiettabili (eiettabili perché vi scappano da sotto il sedere ad ogni sobbalzo) una tonnellata di valigie che premono sullo schienale cercando di appiattirvi in avanti, mentre lo schienale in perenne avaria del passeggero che vi precede, cercherá di strangolarvi. Come se non bastasse, sopra le valigie, ma soprattutto sopra le nostre teste, incombe una bicicletta e il suo fiammante cambio shimano che, a ogni buca, si avvicina sempre piú ai nostri crani, tentando una lobotomia. Tutto scorre, e cosí tra soste pranzo, controlli dell’esercito e sali e scendi di passeggeri, copriamo i circa 140 km. che separano San Agustin da Popayán. Ci sono volute sei ore per percorrere una strada bianca che crediamo abbia il piú alto numero di buche per metro quadro del nuovo continente. La meta é tanto agognata che, alle porte di Popayán, un rinvigorito gallo, sistemato vicino al chofer (autista), squilla per tre volte segnando la fine del viaggio.

 

Popayán

 

Troviamo Popayán alle prese con il Carnevale, che qui festeggiano in maniera particolare. Ce ne rendiamo conto quando, passando sotto una finestra, ci becchiamo un paio di secchiate di acqua, seguite da una impolverata di talco. Cosí é, vanno avanti per tre o quattro giorni, allagandosi e incipriandosi. Ora, sarebbe anche simpatico in braghe di tela e in riva al mare, ma, appena scesi dall´autobus, con uno zaino da 25 kg. sulle spalle e un altro da 10 kg. sul petto ... non é assolutamente divertente. Anche gli amministratori della cittá cominciano a trovare la cosa non proprio esaltante e, visti i danni subiti e il il grande spreco di acqua, pensano, per la prossima edizione del Carnevale, di chiudere le saracinesche.

 

Con l’Ecuador in mente e all’orizzonte, lasciamo, dopo due giorni, Popayán, per spostarci piú a sud, e raggiungere cosí, dopo 240 km. e sei ore di viaggio, Pasto. Il viaggio, ancora una volta, si snoda tra paesaggi di grande bellezza. Si sale di quota e la Cordigliera diventa piú imponente, con il susseguirsi di montagne, attraversate da profondi canyons sul fondo dei quali si aprono la strada quebradas e rios. Arriviamo a Pasto il 7 gennaio, cioé il giorno dopo la fine del Carnaval de Blancos y Negros, molto rinomato a livello nazionale e certamente piú simpatico di quello “umido” di Popayán. Arriva gente da tutta la Colombia per questa festa di tre giorni (dal 4 al 6 gennaio), durante i quali tutta la cittá si pinta de negro con il carbone e de blanco, con talco o farina, tanto che al nostro arrivo troviamo le strade della cittá coperte di un velo chiaro e scivoloso. Pasto é la capitale del Departamento de Nariño, situata a poco meno 2600 metri sul livello del mare, e con circa 400.000 abitanti. Dopo una serie di telefonate ai vari alberghi, decidiamo di raggiungere il Koala Inn, in pieno centro. L’albergo é vecchiotto peró abbastanza frequentato, pulito, si puó usare la cucina e usufruire del servizio di lavanderia. Nonostante la fondazione risalga al 1537, la cittá non ha conservato, complice anche un teremoto, molto dell’impronta architettonica del periodo coloniale, peró, tra le cose da non perdere, c’é sicuramente una visita al Museo di Arte e Tradizioni Popolari Taminango e all’immancabile Museo del Oro. La cittá sembra un pó piú viva di Popayan e, da una delle due grandi piazze, si puó ammirare, in direzione ovest, nelle giornate di sole, il Vulcano Galeras e la sua vetta a quasi 4300 metri. Ultimamente il vulcano ha dato segni di ripresa dell´attivitá, per cui é vietato l’accesso ai turisti. Pasto é piuttosto famosa in tutta la Colombia per la sua barniz, una sorta di lacca di vari colori che viene utilizzata per decorare oggetti in legno. Si ottiene da un lungo e in parte segreto processo che ha origine con la raccolta della semilla de mopa-mopa, una piccola bacca resinosa di una pianta (appunto la mopa-mopa) che cresce nella foresta lungo il Rio Putumayo.

 

Alcuni giorni dopo il nostro arrivo a Pasto visitiamo La Cocha, una laguna a circa 35 minuti dalla cittá. Saliamo ancora di quota, in una strada panoramica e fortemente presidiata da polizia e esercito. In mezz’ora raggiungiamo il piccolo paese de El Encano, dal quale, camminando per circa 30 minuti si raggiunge la riva del lago e il canale interno e stretto, lungo il quale é  situato il muelle (molo). Da qui partono freneticamente le curiose barche in legno coloratissime, che trasportano turisti per un giro verso l’Isla la Corota, ad alcune centinaia di metri dalla riva. Arriviamo alla laguna di domenica e con scampoli del carnevale ancora da smaltire. L’ambiente é curioso: una sequela interminabile di semplici ristoranti a conduzione familiare, all’interno di case con tetti spioventissimi, balconi fioriti, finestre colorate, ponticelli in legno che attraversano il canale. Sembrerebbe un misto tra alpi svizzere e paesaggi olandesi, se non fosse per il fatto che, dal panco montato vicino al pontile, un gruppo musicale spara a tutto volume salsa, reggueton e vallenato, classici ritmi colombiani. L’ambiente é piacevolmente popolare, tra musica, cerveza e le buone truchas (trote), piatto forte della zona. La giornata non é delle migliori e la pioggerellina fitta ci fa optare per un piccolo bar, al di lá del ponticello, dove con piacere troviamo un caminetto in piena attivitá, e del quale approfittiamo per asciugarci, prima di prendere un autobus per Pasto.

 

Il tempo stringe, tra qualche giorno scadrá il nostro visto turistico in Colombia, e ormai sembra chiaro che la prossima meta sará piú a sud, oltre la frontiera. Il 12 gennaio lasciamo Pasto e, in autobus raggiungiamo Ipiales, ultima cittá colombiana. Non c’é tempo neanche per un breve giro in cittá, per cui dal terminal di Ipiales prendiamo un taxi colectivo che, in circa 10 minuti, ci porta a Rumichaca, posto di frontiera tra Colombia e Ecuador. Facciamo un pó di fila agli uffici del D.A.S. ma, dopo una ventina di minuti, abbiamo il nostro timbro de salida (di uscita) dal paese, sono trascorsi 154 giorni dal nostro arrivo. Con un bel sole caldo attraversiamo a piedi il ponte che divide e unisce i due paesi e, alle 13.55, entriamo ufficialmente in Ecuador .

 

... ma questa é un’altra storia.

 

 

Informazioni utili, inutili e altro.

 

I prezzi che riportiamo sono riferiti ai mesi tra agosto 2004 e gennaio 2005.

 

In questo periodo il cambio ha oscillato fra i 3100/3300 pesos per 1 euro.

 

I prezzi degli alberghi si intendono per due persone, visto che noi siamo due. I prezzi degli spostamenti, invece, sono da intendere per persona.

 

Anche in Colombia, come in Brasile e Venezuela, sono molto diffuse le casse automatiche delle banche, dalle quali si possono prelevare contanti (importo massimo: 400.000 pesos) usando la Carta di debito, Circuito Cirrus - Maestro.

 

Nessuna tassa di entrata o uscita dal paese é dovuta se ci si muove per via terrestre.

 

A noi, senza alcuna difficoltá, sono stati dati 90 giorni di visto turistico, ma alcuni turisti non hanno avuto piú di 30 giorni. Il rinnovo del visto va fatto, presso gli uffici del D.A.S., alcuni giorni prima della scadenza, ha validitá di 30 giorni, e costa 54800 pesos. Viene rilasciato in giornata, dopo la presentazione della ricevuta di pagamento della tassa, di due fotografie, copie del passaporto. A Bogotá non ci hanno richiesto il biglietto di proseguimento del viaggio, a Medellín invece lo hanno preteso. In ogni caso preparatevi: verrete schedati con foto digitali e impronte delle dieci dita.

 

Santa Marta: Hotel Casa Familiar, calle 10c, numero 2-14, centro storico, stanza con due letti, con bagno e ventilatore, 15000 pesos, ambiente tranquillo, pulito. Le stanze sono piuttosto calde. Nella stessa strada ci sono altri 2/3 hotel dello stesso livello. 

 

Parco Tayrona: a Santa Marta, prendere un autobus che vi porti in calle 11 con carrera 11, zona mercato. Da qui prendere un autobus con direzione Palomino, chiedendo di scendere a El Zaíno (50 minuti, 3000 pesos). Qui si trova l’entrata del parco, dove si pagano 20000 pesos di ingresso. Da qui, in auto (10 minuti, 1500 pesos) si raggiunge Cañaveral. Da Cañaveral si arriva a Arrecife, la zona delle spiagge e degli accampamenti, camminando per circa 45 minuti (volendo, si puó noleggiare un cavallo per 10000 pesos). L’accampamento piú economico costa 2000 pesos per notte per persona, se si ha amaca propria, o 4000 pesos se non ce l´avete. In ogni caso, dotatevi di zanzariera e repellenti contro gli insetti. Una comida corriente (riso, insalata, patate fritte, carne o pollo, banana fritta) costa 7000 pesos.

 

Cartagena: Hotel Familiar, Calle del Guerrero, Barrio Getsemaní, stanza matrimoniale con bagno in comune, ventilatore, uso cucina, 14000/15000 pesos

 

La Boquilla: da Cartagena prendere un autobus dalla fermata “India Catalina”, vicinissima al centro storico (700 pesos, circa 40 minuti) 

 

Playa Blanca: via mare: da Cartagena si può prendere una barca, dal Muelle de los Pegasos, 30/40 minuti di viaggio, a 15000 pesos, trattabili. Via terra: autobus dal Mercado Bazurto di Cartagena fino a Pasacaballo (circa un’ora di viaggio, 800 pesos), da Pasacaballo una canoa a remi in 5 minuti (500 pesos) vi porterà sull´Isola di Barù. Da qui, un camion, che può partire in 5 minuti o dopo due ore, a seconda del numero dei passeggeri, vi lascerà al villaggio de Santa Ana (1000 pesos, 40 minuti di viaggio). Dopo Santa Ana i tempi di attesa possono essere brevi o molto lunghi, prima che qualcuno vi carichi su un autobus o su un camion (mezz’ora di viaggio, 1000 pesos) che vi lascerà a circa venti minuti di cammino dalla spiaggia. Alcuni mezzi arrivano fino alla spiaggia, è questione di fortuna. A Playa Blanca si può alloggiare al “Campamento Sirena”, vicinissimo alla spiaggia, non c’è acqua corrente (ci si lava con secchi) e l’energia elettrica è fornita da un generatore a partire dalle 18.00. Con amaca propria, si può dormire sotto una capanna con 5000 pesos (utile la zanzariera). Se non l’avete, l’affitto dell’amaca costa 7000 pesos. Volendo, ci sono anche un paio di camere. Un pasto costa 6000 pesos (carne, riso, insalata, patate, e porzioni sono abbondanti); una lattina di birra costa 2000 pesos.

 

Mompós: si puó trovare alloggio presso la Señora Griselda Martins, la cui casa si trova dietro la Chiesa di Santa Barbara, stanza con due letti, bagno e ventilatore, 10000 pesos, caldissima

 

Bucaramanga: Hotel Tachira, calle 31, stanza matrimoniale, bagno, acqua calda, TV cable e ventilatore, 14000 pesos

 

San Gil: Hotel San Carlos, stanza matrimoniale, con bagno (acqua gelata), televisione e ventilatore, 15000 pesos

 

Tunja: Hotel Saboy, centro storico, angolo Plaza Bolívar, stanza matrimoniale, fredda, bagno in comune, 12000 pesos

 

Bogotá: Hotel El Dorado, carrera 4 con calle 15, stanza matrimoniale con bagno, acqua calda e televisione, 20000 pesos

 

Medellín: Hotel Plaza, Plaza Bolívar, stanza matrimoniale con bagno, televisione e ventilatore, 16000 pesos

 

Cali: Los Farallones, calle 11 con carrera 8, stanza matrimoniale, con bagno, televisione cable e ventilatore, 23000 pesos

 

Armenia: Hotel President, carrera 17, stanza matrimoniale con bagno e televisione, 15000 pesos

 

Manizales: Hotel Consul 3, carrera 20, stanza matrimoniale con bagno in comune, 12000 pesos

 

La Dorada: Hotel Astoria, stanza matrimoniale con bagno, televisione e ventilatore, 10000 pesos, caldo infernale

 

Buenaventura: Hotel Romano, stanza matrimoniale con bagno, televisione e ventilatore, 16000 pesos

 

Popayán: Casa Familiar Turistica, carrera: 5 n. 2-07, stanzone con due letti, bagno in comune, acqua calda, 20000 pesos

 

Tierradentro: ci sono varie posadas nei pressi del Museo archeologico, tutte a 6000/7000 pesos per persona. A San Andrés de Pisimbalá, due chilometri piú sú, si puó alloggiare dalla Señora Marta, stanza con due letti, bagno in comune, 7000 pesos per persona, la signora prepara da mangiare: una colazione costa 2000 pesos e un pasto 2500 pesos.

 

Tierradentro: il biglietto di 6000 pesos da diritto all’ingresso al Parco Archeologico e al Museo, ed é valido tre giorni

 

San Agustin: El Jardín, carrera 11, stanza con due letti, bagni in comune, acqua calda, 8000 pesos per persona, una colazione nello stesso hotel costa 2000 pesos

 

San Agustin: il biglietto di 6000 pesos da diritto all’ingresso al Parco Archeologico e al Museo, altri 4000 pesos si pagano per entrare al Alto de las Piedras.

 

Pasto: calle 18, stanza con due letti, bagno in comune, acqua calda, uso cucina, 18000 pesos

 

 

... e meno utili

 

Gli autobus urbani colombiani, decoratissimi, soprattutto all’interno, dove l’immagine de El Che si alterna con quella del canarino Titti, tra luci intermittenti, tendine con pizzo, musica sostenuta e le immancabili immagini sacre.

 

La birra, non é poi cosí facile trovarne una bien helada.

 

La metropolitana di superficie (su rotaia, a Medellín). Una buona maniera per attraversare la cittá con vista dall’alto. Se poi volete vedere le cose o le case ancora piú dall’alto, arrivate all’ultima stazione del Metro in direzione nord, e da lí prendete il Metrocable, una sorta di funivia che vi sospenderá su uno dei quartieri popolari della cittá.

 

La Pizzeria Ricasoli, poco piú su del nostro hotel a Bogotá. Piccola pizzeria colombiana, frequentatissima, economica (un bel trancio, 1700 pesos) e la pizza é buonissima. Tra le migliori mangiate in tre anni di viaggio (la migliore rimane quella di Sandro, a Santa Fé, in Venezuela). Poco piú giú della pizzeria, la Pasticceria ... senza nome. Piccola, piccolissima, ma le sfoglie farcite di cioccolato sono davvero buone.

 

Premio “migliore incompiuta” al Cinema in calle 5 a Bogotá. La pellicola in programmazione é “Novecento”, di Bertolucci. Assistiamo con rinnovato interesse alla proiezione del primo tempo, mentre il secondo (tempo) lo stiamo ancora aspettando.

 

Con quello che costano i libri in Colombia, si capisce perché le edizioni pirata, soprattutto dei romanzi di Gabriel García Márquez, vadano alla grande. Si vendono per strada e a volte riportano strafalcioni, orrori di ortografia e, nei casi piú gravi, la mancanza di qualche pagina (recuperabile). Complice l’amico Giampietro con i suoi dotti suggerimenti, abbiamo prima acquistato “Vivir para contarla” e poi, in una cavalcata a ritroso, il passato piú o meno recente delle opere di Márquez. L’ultimo suo libro “Memorias de mis putas tristes” era giá sulle bancarelle giorni prima dell’uscita ufficiale. Si racconta che, per contrastare la mossa, Gabo abbia cambiato il finale del libro all’ultimo momento.

 

Non affannatevi a portarvi la farmacia da casa, anche in Colombia, come nel resto dei paesi visitati, si trovano tutti i farmaci che normalmente servono durante un viaggio. Semmai c’é da farsene una scorta prima di rientrare in Italia, visti i prezzi economici, soprattutto dei “farmaci generici”.

 

El Doctor Eduardo Castilla, galeno in Cartagena, personaggio macondiano, alchimista nella bella “Farmacia Blanca” nel Barrio Getsemaní. Tra polveri e pestelli, l’impeccabile camice bianco, prepara unguenti, ricostituenti e soprattutto il Jarabe Castilla, prodigioso rimedio per la tosse. I suoi preparati sembrano proprio funzionare, visto che la farmacia é molto frequentata. Ha curato una infezione da Staphilococcus con un attacco “por cielo, por tierra y por mar”, come dice lui. E cosí, via con la penicillina in dosi massicce: iniezioni, pastiglie e applicazioni in loco di una pomata da lui elaborata. L’infezione é passata e io, Donatella, sono ancora viva

 

Prezzi vari, riferiti a supermercati, ristoranti e locali popolari. I ristoranti in non li abbiamo frequentati e anche sui prezzi di ingresso in discoteca non sappiamo granché.

 

un caffé per strada: tra 200 e 400 pesos

una birra da 300 ml: tra 1000 e 1500 pesos

una bottiglietta di Coca Cola: 700 pesos

una bottiglia di Ron Viejo de Caldas da 375 ml: tra 9000 e 10000 pesos

una bustina di acqua da 300 ml: 200 pesos

una bustona di acqua da 4 litri: 800/900 pesos

 

una comida corriente (minestra, riso, insalata, carne o pollo, banana fritta, una bibita): tra 3000 e 4000 pesos

una colazione (caffé, pane, uova sbattute): tra 1500 e 2000 pesos

una baguette: 900 pesos

 

un quotidiano: 1200 pesos, la domenica costa 3000 pesos

trasporto urbano: tra 750 e 900 pesos

un taglio di capelli maschile: 3000/4000 pesos

CD pirata per strada: tra i 4000 pesos per un CD di Cartagena e i 5000 pesos per tre CD a Cali

un ingresso al cinema: 6000 pesos

un’ora di internet: tra 1000 e 2000 pesos

una telefonata per l’Italia via internet: minimo 700 pesos per minuto, la qualitá della linea é scarsa

esame completo del sangue, sperando che nessuno ne abbia bisogno: 16000 pesos, in una clinica privata. Si può fare nelle strutture pubbliche, ma spesso mancano i reagenti

farsi fare una guayabera (tipica camicia maschile) su misura, nel barrio Getstemaní a Cartagena: 25000 pesos, inclusa la stoffa

spedizione di un pacco per l’Italia con Adpostal (servizio postale pubblico), tariffa economica, consegna in 10/15 giorni: 56500 pesos di importo fisso, piú 12800 pesos per ogni chilogrammo

 

 

Percorsi, tempi, distanze e costi per persona. I prezzi che riportiamo sono quasi sempre frutto di contrattazione. Tirate sempre sul prezzo, è una pratica comune.

 

Paraguachón (frontiera con Colombia) – Santa Marta: autobus, 254 km, 3 ore e 30 minuti, 20000 pesos

Santa Marta – Parque Tayrona: autobus e a piedi, 50 km, 1 ora e 45 minuti, 4500 pesos

Santa Marta – Cartagena: autobus, 209 km, 4 ore e 30 minuti, 15000 pesos

Cartagena – La Boquilla: autobus urbano, circa 40 minuti, 700 pesos

Cartagena – Playa Blanca: autobus, canoa, camion, 6 ore, 3300 pesos

Cartagena – Mompós: autobus e ferry, 246 km, 7 ore, 25000 pesos

Mompós – El Banco: jeep, 70 km, 3 ore e 45 minuti, 15000 pesos

El Banco – Bucaramanga: autobus, 275 km, 6 ore, 20000 pesos

Bucaramanga – Giron: autobus, 20 km, 25 minuti, 750 pesos

Bucaramanga – San Gil: autobus, 88 km, 3 ore e 50 minuti, 10000 pesos

San Gil – Barichara: autobus o minibus, 20 km, 35 minuti, 2500 pesos

Barichara - Guane: a piedi, 1 ora e 30 minuti

San Gil – Tunja: autobus, 177 km, 3 ore e 50 minuti, 15000 pesos

Tunja – Villa de Leyva: autobus o minibus, 37 km, 40 minuti, 3500 pesos

Tunja – Bogotà: autobus, 120 km, 2 ore e 45 minuti, 10000 pesos

Bogotà – Zipaquirà: autobus, 40 km, 1ora e 30 minuti, 2200 pesos

Bogotà – Armenia: autobus, 316 km, 8 ore, 25000 pesos

Armenia – Salento: autobus, 40 km, 1 ora, 2200 pesos

Armenia – Manizales: autobus, 102 km, 2 ore e 45 minuti, 11000 pesos

Manizales – Chinchinà: autobus, 21 km, 30 minuti, 1700 pesos

Manizales – La Dorada: autobus, 175 km, 4 ore, 15500 pesos

La Dorada – Medellín: autobus, 240 km, 5 ore, 20000 pesos

Medellín – Santa Fè de Antioquia: autobus, 80 km, 3 ore, 7200 pesos

Medelliín – Cali: autobus, 456 km, 9 ore, 30000 pesos

Cali – Buenaventura: autobus, 120 km, 2 ore e 30 minuti, 10000 pesos

Buenaventura – Juan Chaco: barca, 1 ora, 43800 pesos (andata e ritorno)

Cali – Popayán: autobus, 135 km, 3 ore, 10000 pesos

Popayán – Silvia: minibus, 60 km, 1 ora, 4500 pesos

Popayán – San Andrés de Pisimbalá (Tierradentro): autobus e chiva, 100 km, 5 ore, 15000 pesos

San Andrés de Pisimbalá – San Agustin: camion, autobus, chiva, pick-up, taxi collettivo, 214 km, 6 ore, 26000 pesos

San Agustin – Popayán: autobus, 140 km, 6 ore, 20000 pesos

Popayán – Pasto: autobus, 275 km, 5 ore e 45 minuti, 23000 pesos

Pasto – El Encano (30 minuti di cammino da La Cocha): taxi collettivo, 30 km, 30 minuti, 3000 pesos

Pasto – Ipiales: autobus, 78 km, 1 ora e 30 minuti, 6000 pesos

Ipiales – Rumichaca (frontiera con Ecuador): taxi collettivo, 4 km, 10 minuti, 1200 pesos

 

Chilometri percorsi: circa 4700

 

Dati Colombia

1.141.748 kmq. (come Francia, Spagna e Portogallo messi insieme). É il quarto paese in Sud America per grandezza, dopo Brasile, Argentina e Perú. Occupa la zona nord-ovest del continente ed é l’unico paese con coste sull’Oceano Atlantico (1760 km) e sull’Oceano Pacifico (1448 km). Confina con Panama, Perú, Venezuela, Ecuador e Brasile. La parte occidentale del paese, che corrisponde piú o meno a metá del territorio, é montagnosa, con tre catene montuose, orientate da sud a nord, la Cordillera Occidentale, Centrale e Orientale, con vette intorno ai 500 mt. Due grandi valli, quella del Magdalena e quella del Cauca, si sviluppano tra le Codilleras. I fiumi che le attraversano corrono in direzione nord, piú o meno paralleli, e i due piú importanti sono il Rio Magdalena (1538 km) e il Rio Cauca (1350 km). Le vette piú alte sono le cime gemelle Pico Simon Bolívar e Pico Cristobal Colón (5775 mt), nel massiccio della Sierra Nevada, vicino a Santa Marta e alla costa  caraibica. A est delle Ande, i vasti territori pianeggianti de Los Llanos a nord (250.000 kmq) e Amazonas a sud (400.000 kmq). La Colombia é il secondo paese piú popoloso, dopo il Brasile, con circa 44 milioni di abitanti. Piú o meno il 75% della popolazione é di sangue misto. Di questi, circa il 50/55% sono mestizos (unione tra bianchi e aborigeni), il 15/20% sono mulatos (unione fra bianchi e africani). C’é poi circa un 3% di zambos (unione fra africani e aborigeni). Il restante 25% della popolazione é costituito da bianchi (20%), per lo piú concentrati nella Zona Cafetera, neri (4%), la cui maggioranza vive nelle coste caraibiche, lungo le coste del Pacifico e nella zona di Cali. I gruppi indigeni (1%) vivono sparsi per il paese, occupando generalmente aree piuttosto piccole. Alcune comunitá vivono relativamente isolate, mentre altre mantengono contatti con l’esterno. La Colombia é una Repubblica Parlamentare, il cui Presidente eletto é Capo di Stato, di Governo e delle Forze Armate. Il paese é diviso in 32 Departamentos, amministrati da Governatori, a cui va aggiunto il Distrito Capital de Bogotá. Santa Fé de Bogotá é la capitale dello stato, a 2700 mt sul livello del mare, e con circa 7 milioni di abitanti. Altre grandi cittá sono Medellín, Cali e Barranquilla.

 

Link utili.

Ambasciata d’Italia a Bogotá www.ambitaliabogota.org  

El Tiempo, quotidiano a maggior diffusione nazionale www.eltiempo.com.co  

Istituto di Statistica Colombiano www.dane.gov.co

Istituto Geografico Agustin Codazzi www.igac.gov.co  

Sito ufficiale della F.A.R.C. www.farcep.org  

Sito ufficile del E.L.N. www.eln-voces.com 

Sito ufficile delle A.U.C. www.colombialibre.org  

Organizzazione Etnie Indigene www.etniasdecolombia.org  

Istituto Colombiano di Antropologia e Storia www.icanh.gov.co  

Informazioni turistiche www.colombia.com  

www.uniandes.edu.co/Colombia/Turismo/turismo.html

www.turismocolombia.com

 

 

 

 

 

 

Finiamo il racconto mentre ci troviamo a Baños, Ecuador.

14 marzo 2005

Stefano e Donatella   trullalli@yahoo.it  

 

 

 

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