CILE / BOLIVIA (CHE FREDDO)
Racconto di viaggio 2006
Visitare
Santiago a luglio significa trovare il freddo e le montagne innevate. Il nostro
arrivo è però coinciso con una domenica di sole che ha portato molti
“Santaguinos” (e anche noi) a fare una gita fuori porta sul Cerro San
Cristobal che con i suoi 869 m domina una parte della città.
Il
giorno dopo il cielo grigio e la chiusura dei musei per il riposo settimanale ci
hanno fatto optare per una visita di Pomaire, villaggio che dista circa un’ora
di autobus da Santiago. Gli artigiani del posto vendono graziosi souvenir di
“greda blanca” (creta bianca) lungo un’unica via polverosa. L’atmosfera
era molto più rilassata di quella della grande metropoli e ci siamo riposate in
attesa del lungo viaggio Santiago-San Pedro che ci attendeva: 25 ore su un
pullmann dell’organizzatissima compagnia Tur Bus. Il tempo è tutto sommato
volato e sembrava di essere comodamente adagiati sul divano di casa. Ci hanno
servito pranzo, cena e colazione mentre fuori dal finestrino scorreva un
paesaggio di cactus e cespugli lungo l’Oceano Pacifico che più si avvicinava
al nord, più diventava arido.
San
Pedro de Atacama è il punto di partenza per molteplici escursioni tra cui la
Valle de la Luna che offre uno spettacolare tramonto godibile dalla cima di una
duna di sabbia; le montagne circostanti mutavano colore man mano che i minuti
scorrevano passando da un pallido rosa a un rosso acceso.
La
seconda escursione ci ha portate alla Reserva Nacional Los Flamengos dove, a
dispetto del nome, i fenicotteri si vedevano solo in lontananza. I laghetti
dell’altopiano a più di 4000 m d’altitudine sono invece di una bellezza
mozzafiato (non solo a causa dell’aria rarefatta e del freddo pungente).
L’alba
del quarto giorno ci ha portate ai Geysers El Tatio: una distesa di fumarole e
pozze di acqua bollente; uno spettacolo affascinante e un’atmosfera quasi
magica che ci consolavano per le mani e i piedi congelati. Abbiamo apprezzato
moltissimo la cioccolata bollente servita per colazione e abbiamo stretto con
cura tra le dita l’uovo sodo bollito nell’acqua dei geyser, che ci
riscaldava le mani.
Ogni
domenica (o mercoledì) a mezzanotte, da Calama parte un pullmann che si ferma
alla frontiera Cile-Bolivia. Al nostro arrivo alla fermata del bus siamo rimaste
impressionate nel trovare una marea di persone che sembrava stessero traslocando
tutte insieme nello stesso momento. Sembrava impossibile che potessimo
trasportare tutta quella mercanzia composta da scatoloni, borse, casse e persino
materassi. Invece alle 00.20 iniziava la nostra avventura boliviana.
Abbiamo
raggiunto la frontiera alle 4.00 del mattino e abbiamo aspettato sul pullmann
fino alle 8.00 l’apertura degli uffici doganali. Alle 12.00 avevamo finalmente
superato la frontiera dopo avere scaricato l’autobus, sopportato pazientemente
il disbrigo di tutte le formalità doganali e caricato di nuovo i bagagli su un
altro mezzo.
Il
secondo autobus era decisamente meno confortevole di quello cileno e le strade
erano dissestate ma gli occhi grandi e curiosi di una bimba seduta davanti a noi
ci hanno fatto presto dimenticare che eravamo in viaggio da 17 ore, non avevamo
praticamente dormito e il freddo non ci dava tregua.
A
Uyuni abbiamo prenotato un tour di tre giorni nel vicino salar (deserto di
sale). Il primo giorno abbiamo attraversato, tra l’altro, un deserto di rocce
e diversi villaggi tipici. Abbiamo trascorso la notte a Villamar dove le luci si
spengono tutte insieme alle 21.00 e il cielo è tappezzato di stelle.
Il
secondo giorno abbiamo visitato un’altra distesa di geyser che davano
l’impressione di essere in un film di fantascienza. Nel pomeriggio abbiamo
fatto una sosta alla laguna colorada il cui colore, rosso, e la miriade di
fenicotteri, ci ha fatto perdere il conto dei clic fotografici.
L’arrivo,
alle 20.30, all’albergo costruito interamente in sale, è corrisposto con una
corsa verso le uniche due docce calde disponibili (le prime dopo tre giorni) che
sarebbero state in funzione per un’altra cortissima mezz’ora di tempo.
Il
vero Salar de Uyuni (12000 km2 di sale a un’altitudine di 3653 m) l’abbiamo
visto al sorgere del sole del terzo giorno. Camminare su quel terreno
scricchiolante ricordava la neve ghiacciata e l’alba che lentamente illuminava
quella distesa bianca è stata uno spettacolo indimenticabile. Nel bel mezzo di
questo deserto sorge la Isla de los Pescadores, coperta da cactus maestosi e
vecchissimi, alcuni di 700/800 anni.
La
sera stessa siamo riuscite a prendere un pullmann diretto a Sucre. Salire sul
mezzo è stato più che mai difficoltoso e condito da una lunga discussione con
l’impiegata dell’ufficio viaggi che aveva inavvertitamente rivenduto i
nostri posti a sedere, acquistati due giorni prima. Considerato che tutti gli
autobus di tutte le compagnie di Uyuni erano pieni, non ci sarebbe rimasto che
viaggiare sedute su una panchetta di legno (fuori discussione dopo tre giorni di
tour su un fuoristrada) o rimandare la partenza di un giorno. Abbiamo comunque
trovato una soluzione per cui dopo 12 ore di viaggio siamo scese a Sucre.
Recuperate
le energie siamo andate alla scoperta di questa incantevole città, dichiarata
Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO, scoprendo con gioia che
fervevano i preparativi per accogliere il Presidente Evo Morales in arrivo il
giorno seguente; c’era grande animazione, bandiere, striscioni e palchi.
Abbiamo visitato alcune chiese dai cui tetti si godeva una bella vista e abbiamo
ammirato un bellissimo tramonto dalla Recoleta, museo ed ex convento affacciato
sulla città.
Il
giorno seguente le vie erano animate da gente proveniente da ogni parte del
Paese per rendere omaggio al loro presidente socialista di origine india ed
esponente dei “cocaleros” (coltivatori di coca). Probabilmente ogni regione
era presente con i propri abiti coloratissimi, le bombette verdi, nere e marroni
portate dalle donne, gli “aguayos” (rettangoli di stoffa di lana a strisce
di diversi colori utilizzati come borse per trasportare qualsiasi cosa, bambini
compresi) e le gonne, corte e indossate sopra diversi strati di sottovesti,
nonché gli uomini con gli scialli quadrati. Persone gentili e pronte al sorriso
a cui abbiamo rubato innumerevoli scatti fotografici.
La
domenica, a Tarabuco si tiene il mercato settimanale. Abbiamo approfittato
dell’occasione per acquistare i regali da portare a casa e a fine giornata
abbiamo preso l’ennesimo autobus che ci ha portate a Potosì, la città più
alta del mondo, a 4090 m. La visita della città non ci ha entusiasmato ma non
escludo che l’altitudine e la conseguente difficoltà di respiro abbiano avuto
una certa influenza sul nostro giudizio.
Abbiamo
prenotato il classico giro turistico delle miniere d’argento che è stato
molto impegnativo sia fisicamente che mentalmente. La mattina presto ci hanno
equipaggiato con calzoni, giaccavento, caschetto, torcia e mascherina. Le
miniere si trovano a 4200 m d’altitudine per cui si può passare da
temperature sotto lo zero ad altre intorno ai 45°C scendendo di 4-5 livelli. Ci
si deve arrampicare su strette scale, arrancare sulle ginocchia, strisciare per
terra negli stretti cunicoli e si è esposti a diversi agenti chimici e a gas
velenosi quali polvere di silice, gas arsenico, vapori di acetilene, ecc.
Un’esperienza
purtroppo indimenticabile in quanto si viene a contatto con condizioni di vita
disumane; si incontrano ragazzini di 13-14 anni che probabilmente non
raggiungeranno i trent’anni perché moriranno prima di silicosi polmonare.
L’unico modo per resistere a quella vita è masticare di continuo foglie di
coca che ogni turista è cordialmente invitato a comperare al mercato per
offrirle ai minatori. Ci si chiede che spettacolo sia mostrare questa
disperazione ma chissà che non sia una presa di coscienza di un realtà che non
dovrebbe esistere più.
Al
termine della visita, estenuate e rattristate, abbiamo proseguito il viaggio per
Oruro, ultima tappa in Bolivia prima di tornare in Cile. Dopo quello che abbiamo
visto e vissuto, riusciamo persino a non prendercela quando alle 2.00 di notte
l’autista ci “abbandona” sull’autobus senza riscaldamento, con la
promessa che sarebbe tornato alle 6.00 per consegnarci gli zaini (naturalmente
alle 6.30 non si era ancora presentato nessuno). Abbiamo visitato la città in
attesa della partenza del nostro prossimo pullmann, alle 12.00, diretto a
Iquique, dove siamo giunte alle 22.30.
Iquique
si trova a 1853 km da Santiago, nel nord del Cile, sull’Oceano Pacifico,
circondata dalle montagne. Pare che le temperature rimangano miti e costanti
tutto l’anno e che piova pochissimo e infatti ci siamo godute due piacevoli
giornate di sole visitando il centro storico con originali case in legno, la
zona del porto con le spiagge e un quartiere moderno. Abbiamo trascorso due
notti alla Casa de Huespedes Profesores, posto bizzarro e accogliente, a
conduzione famigliare.
Se avessimo immaginato la delusione che ci ha riservato Valparaiso, 24 ore di autobus più tardi, saremmo rimaste più tempo al nord. Attendevamo con ansia di visitare Valpo, come viene chiamata, perché descritta da tutti come incantevole. Siamo salite ai quartieri residenziali situati sulle colline e raggiungibili con i vari “ascensores” (funicolari) ma le, seppur caratteristiche, case colorate di lamiera ondulata non ci hanno regalato le emozioni che ci eravamo aspettate. Complice il tempo freddo e piovoso, abbiamo atteso con meno tristezza di quanto avevamo immaginato l’ultimo autobus che ci conduceva all’Aeropuerto Arturo Merino Benítez dove avremmo preso il volo di ritorno.
Claudia