VENEZUELA

Diario di viaggio 2005

di Lalla Ferrari

 

19/3/05

Iniziamo il racconto da  Madrid dove a check-in effettuato e già a bordo della navetta  che ci trasferirà sull’aereo x Caracas, ci avvertono dopo mezz’ora di sosta  che il nostro aereo ha un’avaria e che dobbiamo rientrare al gate... Tutto si risolve dopo un’ora. Ripetiamo il check-in e partiamo. Dopo 10 ore, verso le 16 locali siamo all’Aeroporto di Maquetia/Caracas.

Cambiamo 300 dollari (al c/ 2300, l’ufficiale è 2150) . Agli arrivi ci riceve la referente dell’agenzia che ci accompagna con la sua auto a Catia La Mar (Litorale di Caracas, vicino all’aeroporto La Guaira) all’hotel Puerto Viejo Best Western.

Alla sera non mangiamo (abbiamo mangiato sufficientemente in aereo). Prendiamo una bottiglietta d’acqua da ¼ al bar del nostro hotel (che paghiamo 5000 bolivares! 3 volte in più rispetto ad altri bar) e ritorniamo in camera per prepararci lo zaino per il trekking in Amazzonia e il materiale per la visita  di domani a Caracas.

 

20/3

All’alba delle 6.15, ma siamo sveglie forse dalle 4.30….ci prepariamo, “blindate” (usciremo solo con marsupio e macchine fotografiche “scarse”, la fotocopia del passaporto e in apposite  tasche interne sotto ai pantaloni, i pochi soldi che ci serviranno oggi. Il mitico “allarme antiscippo” allacciato al marsupio di Anto. Jeans e infradito).

Ci facciamo chiamare un taxi che ci porti prima al terminal Rodovìa (la linea pullman executive, ovvero lusso, che ci condurrà  a Ciudad Bolivar) per informarci sul viaggio e sul biglietto. E poi per portarci alla teleferica.  (Costo taxi 45000 blv).

Siamo nella semana santa e tutti si spostano per andare dai parenti o alle spiagge. Ci sono poche possibilità con la scelta degli orari. Questi pullman hanno posto a sedere obbligatoriamente prenotabile. Siamo costrette a decidere di partire un giorno prima, ovvero stanotte, e annullare il pernottamento in hotel che abbiamo già pagato.. Il biglietto pullman costa 33000 blv. Ci dicono di arrivare un’ora prima della partenza, ovvero alle 19 per fare il check in del bagaglio (qui è obbligatorio farlo perché va caricato nel bagagliaio e non a bordo sopra al posto a sedere). Il tragitto da Catia La Mar al Centro di Caracas è di circa 45 minuti lungo le famose autovias dove si vedono intere montagne di favelas, qui chiamate ranchos. Un impressionante alveare di case. A Caracas ci sono 6 milioni di abitanti e .. nel vedere questi ranchos, sembra che tutti siano ammassati  lì..

Il taxi ci lascia alla fermata per prendere la teleferica (funicolare che sale al Monte Avila), ma dopo pochi metri un addetto di servizio ci ferma informandoci che è ancora chiusa. Sono solo le 8.15 e apriranno alle 9.30.

Ci dirigiamo a piedi verso il centro della città, direzione Las Mercedes un quartiere abbastanza tranquillo dove facciamo una ricca ed ottima colazione in panaderia. A quest’ora in giro c’è pochissima gente. Guida alla mano, visitiamo il Pantèon Nacional dove ci sono le tombe dei venezuelani illustri con un’intera navata dedicata a Bolivar l’eroe nazionale. Ritorniamo nella strada principale. Vediamo che sta arrivando nella nostra direzione una camioneta (ovvero il bus cittadino, detto anche carrito).  Con la mano, la indichiamo per dirci l’un l’altra che potrebbe essere questa la camioneta da prendere x piazza Bolivar. Questa (come per un imput di una “bacchetta magica”..) inchioda e si ferma per farci salire.. Musica caraibica a tutto volume..  ha 10-12 posti a sedere, costo 700 blvs. Impareremo che questi bus si fermano in qualsiasi posto dove li chiami e per scendere devi urlare la chiamata… dove vuoi..

Plaza Bolivar ha al centro la statua in bronzo di Bolivar il Libertator, su un grande cavallo. Ai piedi 5-6 guardie di picchetto in grande uniforme. Spesso qui si svolgono imponenti manifestazioni popolari politichee ci sono gli  “ urlatori “ che lanciano i loro messaggi a favore di Chavez e del partito al governo, accompagnati da musica a tutto volume.

Nei dintorni della piazza visitiamo la Casa Amarilla (sede del Ministero degli Esteri), la Catedral piena di altari dorati ed elaborate cappelle laterali (tantissima gente che va alla chiesa con la Spiga, molte bancarelle che vendono oggettistica religiosa, spighe, santi, madonne, incensi, vestiti dorado-amarillo o viola per i ninos che andranno alla processione per un ex-voto..).

Visitiamo il Consejo Municipal, la neogotica Iglesia Santa Capilla, il neoclassico  Capitolio Nacional (sede del Parlamento), Iglesia S. Francisco, Casa Bolivar (qui ci fanno togliere il cappello in segno di rispetto.. Dobbiamo anche lasciare i nostri dati e firmare all’ingresso. C’è una raccolta di dipinti che rappresentano le battaglie di Bolivar e gli interni completamente ricostruiti hanno perso gli arredi originali).

Al Capitolio prendiamo la metro x raggiungere Il Museo di Arte Contemporanea. Usciamo alla fermata Bellas Artes. Un bel quartiere, moderno, con grattacieli e grandi piazzali. Fa molto caldo e pure umido, sono circa le 12. Purtroppo il Museo di Arte Contemporanea non è agibile,   è chiuso e il custode ci spiega che è chiuso da 5 mesi per sicurezza in quanto c’è pericolo di crollo di un edificio-torre che rimane alle spalle del museo. All’interno le opere rimaste sono tutte imballate e non si può entrare. Attraversiamo una piazza dove ci sono venditori ambulanti e, ebbene sì esistono ancora, alcuni gruppi di hippies.. che vendono nelle bancarelle orecchini, collanine, oggetti in cuoio ecc.

Visitiamo  la Galeria di Arte Nacional  e Museo de Bellas Artes con opere che ricoprono 5 secoli di storia dell’arte venezuelana, qualche mostra temporanea e opere di arte cinetica. Assistiamo anche ad uno spettacolo che si svolge nella sala bar del museo, al piano terra,  con musica e danza tradizionale venezuela.

Un particolare interessantissimo: i musei in Venezuela sono ad ingresso libero e tenuti molto bene. La città, fuori, è tutt’altra cosa.

All’uscita dal museo (sono circa le 2 del pomeriggio) prendiamo una camioneta x  direzione Teleferica x Monte Avila. El Parque Nacional El Avila è formato da una montagna alta 2250 mt ed è attraversato da decine di sentieri escursionistici.

 La funicolare è quasi nuova e ben tenuta. Il tragitto è di circa mezz’ora. Vista mozzafiato sulla città estesissima e senza fine e sotto la  rigogliosissima vegetazione. Il Monte Avila è mèta di trekking ed escursioni. All’arrivo la temperatura è decisamente cambiata. Non c’è freddo ma si sta bene con una felpa.  Ci sono chioschi, una pista di ghiaccio e spettacoli di danza. Facciamo un giro e “pausa pranzo”: hot dog con coca e “cachapa” frittella rotonda di granoturco fresco (circa 60.000 blv). Ci sono intere famiglie che trascorrono il giorno (non come noi un’ora..) all’aria aperta. C’è un unico albergo a torre di 14 piani rotondo che si chiama ed è dedicato ad Humboldt (uno scienziato tedesco che in Venezuela con lo studio delle piante fece importanti scoperte nel campo della medicina).

Riprendiamo la funicolare e  la camioneta che, facendo un giro particolare in un barrio di Caracas (che l’autista ci dice particolarmente pericoloso) raggiunge il centro. 

Camminata veloce di 10 minuti per arrivare alla fermata dei bus per l’aeroporto di La Guaira e da qui dopo la solita contrattazione, prendiamo un taxi x l’hotel. Il tempo vola.

Ci sistemiamo velocemente con doccia e, zaino in spalla, ci prepariamo per la partenza in serata per Ciudad Bolivar, dopo aver concordato con l’albergo che ci custodisca il nostro bagaglio grosso.

Purtroppo a Caracas non esistono depositi bagagli, né all’aeroporto né altrove, e con questo tipo di spostamenti il problema è serio, ma noi l’abbiamo brillantemente risolto!

Ancora una volta taxi per Caracas e dopo aver fatto il check-in al Rodovìa, in attesa della chiamata della  partenza, ceniamo al bar del terminal. Tutto funziona come in un aeroporto..

Saliamo sull’autobus che notiamo subito molto comodo ma con una temperatura glaciale. Ci accomodiamo nei nostri posti riservati e ci copriamo immediatamente con felpa invernale, giacca antivento, calze e coperte fin sopra la testa col sacco a pelo. Rimane comunque freddo e l’autista non vuole saperne di abbassare. Lusso qui significa aria condizionata. In seguito ci diranno che probabilmente gli automatismi non consentono le modifiche delle temperature. Morale: sui finestrini scendono i ghiaccioli…

 

21/3

Dopo circa 8 ore (abbiamo dormicchiato un po’) arriviamo alle 6 di mattina con buio pesto al terminal bus di Ciudad Bolivar.

Con un taxi (5000 blv) ci facciamo portare all’hotel Caracas, a 15 minuti circa,  come ci indicava la nostra guida ma l’hotel è chiuso per lavori. Proviamo con l’hotel Italia sullo stesso Paseo. Lalla scende dal taxi per suonare alla porta dell’hotel. Primo sgradito incontro con due scarafaggi. Anto asserragliata in taxi con le infradito.. Compare finalmente un ragazzo che ci dice che lì non c’è posto e ci suggeriscel’hotel Union nella strada laterale, ma c’invita a tornare più tardi se vogliamo fare escursioni.  Suoniamo all’Union e dopo un tot arriva un tizio non bene identificato con un asciugamano che gli copre il capo. Concordiamo il prezzo per la camera, e per un paio d’ore.. 12000 blvs. Paghiamo subito.Finalmente una doccia e ci riposiamo un po’.

Dire doccia è eccessivo..Il bagno (?) raggiunge forse 1 mt x 1 mt. Il lavandino è forse 50 cm. Il WC come al solito non ha l’acqua ma un secchio di servizio. La doccia ha un getto di qualche goccia e come al solito è solo fredda (temperatura ambiente). L’acqua calda non l’abbiamo mai trovata in questo viaggio, nemmeno al Best Western.

Il sacco a pelo ci è in questo viaggio davvero  molto utile!  Lo stendiamo sul letto e finalmente gambe allungate  sulla parete, riposiamo i nostri poveri piedi, gonfi più che mai.

Alle 8 scendiamo e andiamo alla ricerca dell’agenzia per il trekking. Ci intercetta il tizio dell’Union che ora, senza salvietta sulla testa, possiamo identificare e ci accompagna all’agenzia dell’Italia. Non c’è ancora il responsabile ed in sua attesa ci fa accomodare nell’attigua sala collegata all’albergo, alla casa, all’agenzia..dove si può fare colazione (succo di guayaba, succo di melon, pane pancetta e prosciutto. Caffè negro, che qui è tosto. Viavai di gente, l’immancabile tv con la musica e il video a tutto volume. Arriva l’addetto che ci chiede di aspettarlo una mezz’ora, il tempo che gli serve “horita” x accompagnare due clienti all’aeroporto e tornare x darci tutte le indicazioni.

 Ed è così che cominciamo ad imparare la definizione di “horita”: tempo variabile da 1 a 4 ore, a seconda della fortuna e del caso. Parliamo con i due ragazzi, uno svedese ed un inglese,  che già da un po’ attendono di essere trasferiti all’aeroporto x l’escursione che hanno scelto di fare a Canaima Salto Angel. Confrontiamo i prezzi x farci un’idea. Qui è fondamentale chiedere e confrontare. Una stessa escursione, uno stesso biglietto autobus, uno stesso pullman possono variare sensibilmente a distanza di un’horita, se non si è pronti a chiedere un controprezzo. Dopo due ore facciamo chiamare al cellulare l’uomo che ripete che horita arriva. Fuori è un mercato a cielo aperto, viavai di gente, vendono di tutto. Musica a tutto volume, compriamo due cd di musica llanera (della regione venezuelana Llanos) al prezzo di 5000 blv ognuno. A Caracas ne compreremo due per 5000…

Trascorsa un’altra mezz’ora decidiamo di muoverci per consultare un’agenzia poco lontana, la Ritz dove parliamo con Javier. Ci spiega che questa era l’agenzia dell’hotel Caracas prima dei lavori di restauro (quella che ci indicava anche la nostra guida).

Ci informa sulle escursioni al Salto Angel e al Rio Caura. Ci dice che in questa stagione secca il Salto Angel  potrebbe non avere l’acqua e questo toglierebbe molto allo spettacolo. Ci consultiamo velocemente e decidiamo per il Rio Caura (costo 180 $/pers.)

Visiteremo la giungla amazzonica. La visita della Guayana richiederà un certo spirito di adattamento e soprattutto predisposizione alla vita all’aria aperta e al trekking per effettuare le escursioni negli angoli meno accessibili della selva… Non chiedevamo di meglio!

 

Ore 11 circa. Graziella, l’aiuto di Javier, ci fa caricare i nostri zaini sulla sua auto e passando per il centro città di Ciudad arriviamo all’abitazione dell’autista del fuoristrada che ci porterà verso l’Amazzonia.

Ciudad Bolivar, capitale dello Stato Bolivar ha un importante centro storico e commerciale arroccato sulla sommità di un promontorio che domina il paesaggio dell’Orinoco e dal cui porto sono sbarcati negli anni dell’era coloniale esploratori, missionari e affaristi alla conquista delle sterminate pianure del vicino stato di Apura e all’interno delle intricate foreste del bacino amazzonico.

Aspettiamo sedute in giardino che l’autista e i vari “aiutanti” moglie sorelle e vari finiscano di caricare le vivande sul  tetto della jeep che con piacere notiamo essere in buone condizioni. Sembra nuova e ben tenuta.  Nel frattempo conosciamo i nostri compagni di viaggio, 2 coppie di ragazzi tedeschi, molto giovani.  Con loro parleremo in inglese, conoscono poco lo spagnolo.

Partiamo verso le 12 alla volta di Puerto Ayacucho accompagnati oltre che dall’autista, da una ragazza di circa 20 anni con il suo bambino, che non abbiamo capito bene se sarà o meno la nostra guida o pseudo, e una ragazzina della famiglia,  ha circa 15 anni e che – ci dice – per la prima volta va al Rio Caura...

Scambio di conoscenze, ci si racconta: si parla inglese, spagnolo, francese, tedesco: di tutto e di più.. Alla fine delle giornate si finisce di parlare inglese con lo spagnolo e viceversa.

Puerto Ayacucho è un importante porto fluviale dell’Amazzonia e capolinea della navigazione sull’Orinoco. Da qui partono le escursioni in fuoristrada all’interno della giungla.

Dopo circa un’ora, caldo infernale nonostante tutti i finestrini aperti, un rumore secco, l’auto si ferma. Morale: radiatore rotto con la  jeep che  perde l’acqua. Impossibile proseguire. L’autista ci dice che, accompagnati dalla ragazzina,  chiedendo un passaggio raggiungeremo un posto di ristoro che è a mezz’ora di strada e dove mangeremo e  lo staremo ad aspettare. Nel frattempo lui e la pseudo guida rientreranno alla base, prenderanno un altro fuoristrada e ci raggiungeranno..

Aspettiamo sotto il sole cocente. Finalmente arriva un camion, modello carrito cubano..trasporto galline aperto dietro sopra.. Ci carica tutti sopra.. Dopo 5 minuti cominciamo a scambiarci le creme max protezione. Il sole brucia e il vento fa il resto. La prendiamo in ridere..

Arriviamo al ristoro. Scegliamo il menù di pesce (il pranzo è compreso nel prezzo dell’escursione, anche se con questo fuori programma..). E poi l’attesa. Lunghissima, infinita. Fa molto caldo. All’interno non si resiste e andiamo tutti a sederci nella capanna di fronte; almeno lì c’è un po’ di giro d’aria. Cerchiamo di non innevosirci, passano alcune ore. Andiamo a conoscere una famiglia di venezuelani locali  che nella corte retrostante , sotto ad una capannina, stanno preparando il cibo per la Pasqua. Le Hallacas e il Pabellon criollo carne e verdure tagliate, fagioli neri, formaggio, con pastella di farina, riso. il tutto avvolto in foglia di banana da far cuocere al vapore.

 

Finalmente (e sono passate quasi 5 ore!) arriva la nostra  jeep e con grande sollievo riprendiamo la strada. Faremo circa 200 km per Puerto Ayacucho e lungo una piccola strada secondaria che si dirama verso sud per circa 50 km fino a Las Trincheras.

I personaggi della Jeep sono nuovamente cambiati. Nuovo autista e nuova guida (?) un ragazzino, Bernardo che – ci toccherà “inquadrare”.. Lungo il percorso ci fermiamo in un paesino dove recuperano alcune provviste che serviranno nei campamenti.

 

Verso le 11 di sera arriviamo a Las Trincheras il nostro primo campamento indio e siamo tutti piuttosto cotti.  Ci mostrano il locale chiuso dove dormiremo nelle nostre amache con zanzariere. Ci sono tre piccole stanze vuote, solo un paio di sedie: in una andranno i tedeschi, nell’altra ci andremo noi. Il terzo locale è il WC, ovviamente senza acqua e aperto, non ci sono porte.. Di doccia non se ne parla. Ce ne sarebbe una esterna ma la tank dell’acqua collegata al rio, non funziona. Potremo lavarci solamente domattina al rio.  Realizziamo che continuano a non esserci  informazioni. Non si capisce chi è il nostro riferimento, quale sarà il nostro programma. Probabilmente dobbiamo ancora entrare nei loro ritmi...

Siamo fuori all’aperto, seduti sulle panche intorno ad una lunga tavola in legno, al lume di candela perché per una regola degli indios, in tutti i loro villaggi la luce si spegne alle 10. C’è una stellata da urlo.

Ci servono la cena (piatto unico di spaghetti con carne). In seguito verremo a sapere che il Venezuela dopo l’Italia è il maggior consumatore di spaghetti: la cosa non ci entusiasma, preferiremmo in quel posto un cibo + esotico...  Cominciamo a rilassarci, la stellata davvero spettacolare ci fa volare. Finita la cena ci avviamo al “locale notte” tra una risata e l’altra. Con queste amache dovremo dormire vestiti. E’ tale la stanchezza che dimentichiamo tutto: anche di metterci la serie di repellenti che abbiamo in abbondanza e che tanto ci eravamo raccomandate..

Bernardo ci dà qualche indicazione sulla posizione (a squadra) per poter dormire nell’amaca (senza alzarsi la mattina con la schiena spezzata) . Spegnamo la candela e c’è buio pesto.  Nessun riflesso o spiraglio di luce e continua ad esserci un caldo umido insopportabile.

Salutiamo i nostri compagni di viaggio nella stanza accanto e che ci sembrano accondiscendenti a qualsiasi cosa.. non come noi che tra una risata e l’altra nel ripercorrere la giornata passata, cominciamo a preparare i piani per il giorno successivo tra un sospiro e l’altro per la fatica di respirare, fino a che Herman ci lancia un “we cannot sleep..” e noi due quasi in sintonia che stiamo x rispondere “we too”!.. Fortunatamente rimaniamo zitte (lui intendeva che li stavamo disturbando..)  e cerchiamo di prendere sonno.

Dopo un paio d’ore Antonella si sveglia, panico da caldo, buio e paura degli scarafaggi. Chiama Lalla chiedendole se sta dormendo e se ha a portata di mano la torcia. Ovviamente non sta dormendo e a tastoni si alza per cercare la torcia che dovrebbe stare vicino alla sua amaca. Riusciamo con la luce ad uscire dalla porta per respirare., pur rimanendo sull’uscio. Il pericolo di serpenti o oggetti non ben identificati rimane. CI rendiamo conto che in quel modo non riusciremo mai a dormire.  

 

22/3

Finalmente arriva il chiaro dell’alba: sono le 6.30 e prendiamo tutto l’occorrente per andarci a lavare a questo  rio. Il posto è bellissimo, l’acqua caldissima, come alle terme, e pulita. Il campamento che ora con la luce riusciamo a vedere bene, è molto suggestivo: le capanne, gli indios, i bambini, i preparativi delle guide per le escursioni in partenza, la fila di jeep arrivate il giorno precedente. Al rio non c’è per il momento nessuno e gasatissime per la conquista, in costume ci laviamo con tanto di bagno doccia, shampo e balsamo, riacquistando tutta l’energia.

Dopo la colazione, ci pare di intuire che il programma è di partire con la piroga a motore (currera) alla volta del secondo campamento. I tempi di Bernardo sono esageratamente lenti, non ha esperienza,  non sa nemmeno lui come muoversi,  è una guida improvvisata.

I tedeschi incassano, noi cominciamo a “farci notare”. Non abbiamo nessuna intenzione di perdere tempo ad aspettare non si sa che cosa. Finalmente dopo la partenza di altre piroghe, il carico delle vivande, del carburante e degli zaini sulla currera, alle 11 ci imbarchiamo e partiamo. La piroga è per circa 10 persone. Ci avvisano che salirà con noi una guida, Paul, che deve raggiungere alcuni suoi clienti francesi-venezuelani che si trovano al campamento El Playon.

Paul si presenta e finalmente abbiamo la sensazione di trovarci davanti ad una vera guida. Profondo conoscitore del territorio e del rio, della flora e della fauna, attrezzato con arnesi del mestiere, pratico. Parla perfettamente l’inglese, il francese, lo spagnolo e un po’ d’italiano. Ci dirà che è di origine francese, che ama moltissimo l’Amazzonia e che ogni tanto scappa da Caracas per rifugiarsi e ricaricarsi qui. Ci parlerà del Venezuela, della politica, della vita, delle città, dei loro ritmi, della foresta, degli indios, degli animali che potremo incontrare.

Percorreremo 150 km dei 700 di questo Rio. Il fiume è bellissimo, isole e paludi di mangrovie e la fitta vegetazione della giungla. Il fiume è “nero”, ha il vantaggio di non  essere infestato dalle zanzare ed è anche uno dei meno inquinati del Venezuela. Punteggiato da isole, spiagge e blocchi di granito e movimentato da rapide e cascate. Scorre per buona parte in mezzo a una foresta pluviale habitat naturale di una ricchissima fauna. Sulle rive vivono diverse comunità indios alcune delle quali visiteremo come gli Yakuana: ci permetteranno di entrare nelle loro capanne, alcuni ci mostreranno loro manufatti artigianali, oggetti come bracciali, monili, ma anche attrezzi per il loro lavoro. Vedremo loro (pappagalli), tucani, colibrì, cormorani, scimmie rosse urlatrici, le formiche culone o 24 ore (quelle che se ti pungono, il veleno ti intorpidisce x 24 ore), il formichiere, avvoltoi, il martin pescatore, tante mariposa (farfalle), le salamandre..

Ma ci sono pure (noi però non li abbiamo visti) l’anaconda, il caimano dell’Orinoco, i pirana, la tarantola, il tapiro, l’armadillo..

 

Paul ci dice fin da subito che gli indios non vogliono essere fotografati e ci raccomanda di non farlo per nessuna ragione.

Ci spiega anche che questa regione è molto ricca di miniere di oro. Non molto lontano da dove siamo c’è il famoso El Dorado.

Dopo circa 6 ore di piroga, il sole è cocente, ci fermiamo ad una spiaggia per un bagno e per mangiare. Il capitano, Bernardo e Paul ci preparano bevande e cibo e beatamente tra sole e ombra ci godiamo questo meraviglioso paesaggio che sprigiona un grande senso di armonia e serenità. Fa molto caldo e nonostante i racconti di Paul su pirana,  caimani, anaconde e affini, ci buttiamo in acqua  a riva per un bagno ristoratore: l’acqua è veramente rigenerante.

Ripartiamo e dopo un paio d’ore ci fermiamo a visitare la prima comunità indios. Notiamo fin da subito che Paul conosce bene e si muove con grande rispetto in queste comunità. Ci mostra alcune loro capanne, la scuola, alcune piante particolari descrivendocene le caratteristiche. Questi indios sono un popolo molto orgoglioso e silenzioso.

Alle sette meno un quarto inizia a calare il sole e in un attimo fa buio. Il rio di notte è particolarmente suggestivo. Siamo totalmente immersi nella natura, in una culla.

Verso le 9 arriviamo al nostro secondo campamento: El Playon. La comunità indio qui è decisamente più ricettiva a questo tipo di turismo. Paul si attiva, va a salutare i suoi clienti francesi che ricambiano entusiasti e  ci porta alla capanna aperta dove appenderanno le nostre amache e dove mangeremo. Bernardo che a questo punto dovrebbe prendere in mano la situazione (alla fine capiamo che è solo un cocinero e non certo una guida) con i suoi tempi sempre più lenti prepara la cena e solo dopo un paio d’ore (al lume di candela per la solita regola indio) riusciamo a mangiare: piatto unico di pollo fritto  e banane fritte (patacones), che apprezziamo molto.

Il villaggio che andiamo a perlustrare  ci sembra fin da subito ben organizzato e suggestivo. C’è un posto per il ristoro con birre ecc., due capanne con oggetti di artigianato, altre 7  capanne tutte occupate dalle amache degli escursionisti che l’indomani andranno al trekking. Amara osservazione: il turismo li sta aiutando ma riuscirà anche a “rovinarli”.. Con Paul nei giorni successivi approfondiremo questa nostra impressione.

Noi due concordiamo che stanotte dobbiamo assolutamente dormire. Non possiamo continuare con questi ritmi. Dalla partenza avremo forse dormito 3 ore per notte. Puntiamo le 3 lunghe panche dove ci siamo seduti per mangiare, ci facciamo aiutare dai tedeschi per avvicinarle e attrezzarle a nostro letto.. Posizioniamo i sacchi a pelo, questa volta ci ricordiamo di impomatarci di repellenti vari, diamo la buonanotte ai tedeschi asserragliati nelle loro amache, e torcia accanto per le emergenze, prendiamo finalmente sonno. Riusciremo a dormire 4 fantastiche ore. Solo nei giorni successivi apprenderemo che abbiamo rischiato su quelle panche... I serpenti avrebbero potuto arrampicarsi alla panca, diversamente che sull’amaca che cominciamo ora  per ovvi motivi a riconsiderare..

 

23/3

All’alba delle solite 6,15 andiamo al rio per la nostra abituale operazione pulizia. E’ un momento di grande relax e benessere. Il campamento visto di giorno è molto bello.

Parliamo con Paul, gli diciamo delle nostre apprensioni, che non ci fidiamo e non vogliamo saperne delle altre guide e dei loro tempi, dobbiamo essere a Ciudad Bolivar il 24 per prendere il bus che ci deve portare a Caracas dove avremo l’aereo per un volo interno. Non vogliamo restare con Bernardo e nemmeno con Carlo un altro ragazzino che ci farà da guida al trekking nella foresta. Abbiamo spiegato loro, che noi, diversamente dai tedeschi, facciamo un giorno in meno di escursione e pertanto i programmi devono essere diversificati. I tedeschi come sempre incassano mentre noi continuiamo a pressare per far valere le nostre ragioni. I vari Bernardo e Carlo sembrano non capire una mazza:  parli, ti rispondono di sì e continuano ad agire sulla loro inquadratura. Il tam-tam è: noi siamo stati sfortunati, abbiamo avuto il fuoristrada che si è guastato. La loro missione è di riparare a questo inconveniente e faranno di tutto per farlo. Secondo loro restare con loro ci farà apprezzare l’escursione e dimenticare il disguido..

A forza di discussioni e con il coivolgimento di Paul riusciamo ad ottenere di ripartire con Paul e il suo gruppo, nel pomeriggio dopo il trekking che faremo nella foresta..

Nei giorni successivi ci spiegheranno che se parli di un tuo problema con un venezuelano, ti darà una sua soluzione ma i problemi a questo punto diventeranno due e via via sempre di piu. Meglio avere un unico referente e non allargare. In effetti tutti ti danno una loro soluzione anche inventata, che x loro è quella buona per quel momento. Se riproponi lo stesso problema a distanza di una mezz’ora, la soluzione sarà certamente diversa..

Partiamo con Carlo, 25 anni, di Ciudad Bolivar per il trekking all’interno della foresta per arrivare  dopo circa due ore alle cascate dello spettacolare Salto Para. Alla partenza ci dà alcune striminzite indicazioni: non dovremo toccare nulla, né piante né fiori e calpestare dove lui cammina. Il pericolo sono i serpenti e anche alcune piante. La foresta è a dir poco spettacolare. Piante altissime che la rendono quasi scura, rumori inquietanti, uccelli, farfalle, salamandre, ragnatele. I percorsi d’acqua. Ogni tanto si incontra qualche indio che trasporta su una particolare gabbia sulle spalle materiale vario. I tedeschi sono molto presi dalle farfalle che sono effettivamente bellissime, grandi  e coloratissime. Uno di loro (che Antonella soprannomina figlio di un nazi) chiede a Carlo di soffermarsi in particolare sulle piante. Carlo accenna ad un sì ma non ha recepito probabilmente.. Vedremo diversi alberi Araguaney, l’albero nazionale, di un giallo intenso, che crea grandi macchie di colore che interrompono la distesa del verde.

La cascata del Salto Para è una delle più spettacolari del basso Orinoco, formata da 5 cascate alte più di 50 metri. Forza della natura. Alle cascate conosciamo alcuni venezuelani che ci chiedono sentendoci parlare in italiano come siamo arrivate sino a lì, mèta difficile già per loro..Ci sarebbe la possibilità di fare il bagno ai piedi della cascata ma non facciamo in tempo.

Ci riposiamo una mezz’ora e quindi sollecitiamo il Carlo a ritornare al campamento per l’appuntamento con Paul. I tedeschi decidono di rimanere e rientrare con una delle guide che intercetteranno. Noi riprendiamo il cammino. Carlo, smesso il muso duro (probabilmente offeso per la nostra insistenza di non voler stare con lui  ma di proseguire con Paul) ci dice che studia a Ciudad Bolivar, che ha una ragazza e ci racconta qualcosa. Facciamo un itinerario in parte diverso da quello dell’andata.

Osserviamo che se dovesse succedere qualcosa (un animale, un morso..) questo non ha nemmeno un coltello e ci affidiamo alla suerte..

Arrivate al Playon, e dopo questa camminata ancora più sostenuta di quella dell’andata, siamo sudate e piuttosto affaticate, ci buttiamo nel rio per un bagno ristoratore. Incrociamo Paul che dispone velocemente per il nostro pranzo e ci dà appuntamento dopo mezz’ora per la partenza col gruppo dei francesi.

Sulla currera conosciamo questo affiatato gruppo. Simpatizziamo subito e ancora una volta constatiamo che le persone fanno sempre la differenza. Altro modo di viaggiare, di mangiare, di gustare le cose. L’avevamo inteso fin dal carico di vivande, zaini e materiale vario sulla currera. Finalmente fatto con logica e praticità. Bagagli coperti, salvagenti sul posto a sedere. Questo  gruppo è super organizzato ed attrezzato. Si nota anche dall’abbigliamento tecnico. Una famiglia di francesi, marito e moglie con un figlio di una decina d’anni. Lui funzionario Alstom di Parigi trasferitosi da qualche mese  per lavoro a Caracas. Con loro anche la figlia maggiore che vive a Parigi, lì in vacanza con il marito. Poi una coppia di venezuelani, lui di origine italiana di Torino, la moglie e due signore. Tutti colleghi, docenti universitari di Caracas.

Notiamo subito una grande vitalità ed esperienza. Ci raccontano dei loro trekking in Cile, Nepal, Cina ecc. e che loro amano questo modo di viaggiare. Sulla currera, affascinati dal paesaggio che diventa sempre piu nostro, ci raccontiamo tra una spalmata  e l’altra di crema ad alta protezione.

Verso le tre ci fermiamo in un villaggio indio. Paul ci mostra qualche attività, ci parla di certe usanze. Beviamo, facciamo un bagno e di nuovo sulla currera alla volta del terzo campamento. Passiamo un paio di rapide. Verso le 7 raggiungiamo Nichare. E’ solo un accampamento e  non ci vivono  indio. E’ molto spartano e ci staremo solo per la notte. Capitano, cocinero e Paul scaricano le casse delle vivande  per la cena, i nostri bagagli e  la botte blu delle amache e si trasporta il tutto alla capanna del campamento. Paul ci mostra come legare la nostra amaca (che ora abbiamo cominciato ad apprezzare). Ci organizziamo per la notte. A pochi passi c’è una piccola capanna adibita a WC: due assi di legno incrociate, poggiate su due buchi. Non c’è dubbio: ci vuole grande spirito di adattamento.

Paul, il cocinero e il capitano (che qui chiamano negro..) iniziano a preparare la cena. Notiamo che con loro anche la cena è migliore. Aperitivo con ron e coca. Pollo, riso, quattro piacevoli chiacchere e tutti in amaca. Le amache a rete, ci spiegano, si chiamano chincorros.

 

24/3

Alla mattina, dopo la sistemazione di bagagli e amache, facciamo colazione. Ci preparano con il caffè, l’arepa, una torta di farina di mais, sal y agua. La mangiamo con il formaggio o con la marmellata di guayaba, o pina (ananas) o mango.

Dopo il carico di tutto il materiale sulla currera, ripartiamo per fermarci dopo un paio d’ore presso una tribù di indio Guaiù. Con Paul e un indio facciamo un trekking nella foresta. Ci indicano alcune piante e ce ne illustrano le caratteristiche. La pianta che curare la malaria, il morso del serpente, l’antidolorifico per il mal di denti,piante coloranti. Mastichiamo una foglia di una pianta antidolorifica e dopo qualche secondo la lingua si anestetizza. Al ritorno al villaggio, Paul ci porta nella capanna dove i guaiù lavorano la Yucca col sebucan un utensile costruito da loro per lavorarla e per farne torte e  casabe, un particolare liquore. E’ una sorta di officina, con arnesi, yucca e una pentola di ferro enorme, forse un metro di diametro. Una donna indio ci mostra i monili e compriamo qualcosa. Torniamo verso la currera e dopo un bagno veloce ripartiamo alla volta di un altro campamento dove sbarcheranno i quattro venezuelani. Loro pernotteranno in questo campamento mentre noi con i francesi  torniamo verso Las Trincheras dove ci aspettano i fuoristrada per riportarci a Ciudad Bolivar.

Arriviamo verso le due e c’è un sacco di gente lungo il rio. Siamo nella semana santa ed è tradizione per i venezuelani andare alla playa.. Il rio in questo tratto è affollatissimo: intere famiglie.  Sbarchiamo, saliamo al campamento e ci solleva il fatto che è già disponibile il nostro mezzo con l’autista, il primo che avevamo incontrato, quello del guasto, che ci viene incontro e ci saluta con grande entusiasmo. Mangiamo qualcosa con Paul ed i francesi, quindi salutiamo tutti. Ringraziamo Paul per la sua disponibilità e bravura, carichiamo i nostri zaini e ci avviamo con la jeep. Avremo circa 4 ore di strada.  Conversiamo con l’autista (ormai il nostro spagnolo stupisce noi stesse..) sulle tradizioni venezuelane.  Durante la semana santa non si mangia carne, e alla fine settimana vanno tutti alla spiaggia inaugurando la bella stagione. Le spiagge infatti sono affollatissime (è paragonabile al nostro ferragosto). La domenica precedente tutti vanno alla Chiesa con la Spiga che viene venduta ad ogni angolo. Vendono anche santini di tutti i tipi e incensi. A Pasqua si cono le processioni e i ninos si vestono con un saio amarillo-dorado (giallo) o viola e quando la Pasqua termina, viene bruciato il fantoccio di Juda Iscariote.

Ci indica alcuni alberi: la lechosa e  il mango i cui frutti si usano per fare i dolci. Ci viene voglia di mangiare una banana e ci fermiamo ad una delle tante bancarelle che  vendono banane, yucca, cachapa, empanadas. Ce ne danno 2 kg!! Le prendiamo (costano pochissimo) cominciamo a mangiarne un tot e le altre le lasciamo all’autista. Sono dolci e gustosissime. Quelle piccole si chiamano Camburi, quelle grandi platano. Parliamo anche di politica, ci dice che Chavez ha fatto buone leggi, per esempio quella che prevede gravi sanzioni per gli ubriachi che circolano in auto. In effetti bisogna stare sempre sul chi va là. Improvvisamente l’auto che stiamo per superare esce in mezzo la corsia e realizziamo che il tipo alla guida è ubriaco. Con una brusca manovra il nostro autista lo supera.  Di tanto in tanto ci sono posti di blocco o di frontera. Dei poliziotti che in divisa militare controllano  i mezzi che transitano. In teoria dovrebbero controllarne il buon funzionamento, che non trasportino armi né droga.   In zona Ciudad, ci facciamo portare in centro città per un paio di foto e quindi all’agenzia dove dovrebbe esserci Javier con i nostri biglietti del bus per il rientro a Caracas e con il cambio in dollari che gli avevamo chiesto.

Javier è fuori. Ci fanno accomodare e chiediamo di farci una doccia. L’agenzia è un porto di mare. Viavai di gente e di ospiti. Ci fanno entrare nella camera dei bambini di Javier per sistemarci e cambiarci dopo la doccia.

Fare la doccia risulta anche qui un’impresa. Girando con una tenaglia un rubinetto si riempie molto lentamente  la cassetta del WC. Girando sempre con la tenaglia un altro rubinetto ma dalla parte inversa esce il getto della doccia che si interrompe, sempre girando con la tenaglia.. Farsi una doccia qui è’ una conquista.

Javier non arriva e chiediamo di chiamarlo al cellulare ma ci dicono che le linee telefoniche sono interrotte per un’ora. Qui la rete telefonica è disastrosa. I nostri cellulari funzionano solo a Caracas e in nessun’altra parte in Venezuela. Per fortuna sono solo le 7 e Javier ci aveva detto che saremmo partite con il bus delle 10.

Dopo un po’, e diversi tentativi , riescono finalmente a rintracciarlo. Arriva in agenzia una ragazza che ci invita a  salire sulla sua auto per portarci da Javier che ci sta aspettando al terminal dei bus. Arriviamo e Javier tutto trafelato ci dice che dobbiamo assolutamente salire sul pullman lì davanti in quanto è l’ultimo che va a Caracas. Poi non ce ne saranno altri. Siamo nella semana santa e non ci sono piu mezzi. Anto dopo aver guardato il pullman che niente ha a che fare con quello dell’andata, chiede a Javier quanto sono costati i biglietti e si fa restituire la differenza. Chiediamo il cambio ma Javier, dispiaciuto, ci dice che si è dimenticato. L’impressione è che questo Javier abbia fatto tutto stasera e non qualche giorno fa come avrebbe dovuto secondo i nostri accordi.. 

Sui pullman venezuelani non si possono caricare borsoni o zaini ma probabilmente Javier ha pagato qualcosa in piu e l’autista ci fa salire con i bagagli, lasciando giù qualcun altro.

Saliamo e ci rendiamo immediatamente conto che non sarà un viaggio facile. Fa un caldo umido tremendo e non c’è l’aria condizionata. C’è gente in piedi e non si respira. L’autista fa togliere un paio di bambini dai posti a sedere e ci dice di prendere posto. Non abbiamo mangiato e non abbiamo neanche un goccio d’acqua.  Il pullman executive lusso è solo un ricordo e rimpiangiamo l’aria condizionata. Questo è piuttosto scassato, non c’è la tv, ci sono i pendolari del fine settimana.

Il pullman che pareva dovesse partire dopo qualche secondo, parte dopo un’ora e dopo un paio di kilometri si ferma ad un distributore per il rifornimento.  Da lì in avanti è un continuo partire e fermarsi. Verso le 11, ad un’area di sosta, e non potendo scendere perché non ci viene permesso, dal finestrino chiediamo all’uomo di un botteghino che vende bibite di portarci una bottiglia di acqua. Ogni tanto ci alziamo per cercare meglio l’aria, anche se calda, dei finestrini. Ci manca il respiro.

Ogni tanto ci scambiamo uno sguardo tra l’incredulo e lo scoramento e poi la buttiamo in ridere. All’ennesima fermata,  verso le due, su una strada in mezzo al nulla, il pullman si ferma. Rimane fermo e tra un borbottio e un altro apprendiamo da qualche passeggero che il mezzo si è guastato e che dovremo cambiarlo.

 Arriva davanti a noi un altro pullman. Confusione e trambusto dei passeggeri che scendono e vanno verso il bagagliaio per ritirare i loro bagagli per trasferirsi nel secondo pullman. Noi, nella sfortuna, almeno non abbiamo questa incombenza e ci catapultiamo di corsa sul nuovo pullman per prenderci i posti davanti dove almeno si dovrebbe respirare meglio.

Ovviamente non viene data nessuna informazione.  Definire “nuovo” questo secondo pullman è eccessivo. CI sembra fin da subito, come o peggio del precedente. Dopo aver lasciato a terra una parte dei passeggeri, in quanto più piccolo, con una grattata micidiale riparte. Pare avere problemi di freni e di marce.  Salendo, un passeggero,  piuttosto alticcio,  che intende sedersi al nostro lato, fa cadere una bottiglia di rum che ci bagna, per fortuna di striscio, jeans e zaino. Lo fulminiamo con un’occhiataccia e un’imprecazione in italiano.

Siamo esterefatte. La gente da noi sarebbe imbestialita. Qui, a parte qualche moderata imprecazione non dicono nulla: sono assuefatti e rassegnati. Sembrano abituati. Il pullman continua a grattare finchè si ferma definitivamente. Sono circa le 6 e arriva un terzo pullman, anzi un carrito, ancora più piccolo del precedente  e ci trasferiamo per la terza volta, sempre grazie al fatto di avere con noi il nostro zaino. Anche ora  lasciano a terra altri passeggeri. I bagagli vengono caricati a bordo perchè qui non c’è un bagagliaio. Li mettono vicino alle uscite, vicino all’autista, dovunque ci sia un buco, e la gente ci si siede sopra. Non è esattamente l’immagine della 626!

Il nuovo autista pare essersi reso conto dell’orario e comincia a correre all’impazzata. Supera le auto e per darsi una carica attacca la musica a  tutto volume. Qui nei bus ci sono casse da discoteca.. Come niente fosse successo…. Ad ogni curva curviamo pure noi aggrappandoci al sedile davanti

Ci guardiamo e ci prende la ridarola, non ci pare possibile!…

 

25/3

 In questo modo arriviamo verso le 7.30 al terminal pullman lunghe percorrenze di Caracas: ce l’abbiamo fatta!

Scendiamo e andiamo a cercare una panederia per fare una buona colazione e per inviare i nostri sms. Qui i nostri telefonini finalmente funzionano. Chiediamo al proprietario del locale un cambio nero che ci fa a 2500, raccomandadoci anche lui di stare molto attente e di muoverci con cautela perché “Caracas è molto pericolosa”. Ci dice che spesso nei negozi entrano per derubare i clienti o l’incasso. Lui è di origine portoghese e sta pensando seriamente di ritornare in Portogallo. Gli chiediamo come arrivare al Hatillo, una cittadina a 15 km sud-est di Caracas.

Prendiamo la metro fino alla fermata Chacaito e da lì la camioneta che in 45 minuti ci porta al Hatillo. E’ un villaggio elegante, alcuni edifici coloniali ora coloratissimi, case basse e multicolorate, bei locali, ristoranti…  ma in questa settimana è tutto chiuso per la Pasqua. Anche il mercato dell’artigianato che volevamo visitare e dove Lalla voleva comperare un’amaca. Ritorniamo prendendo un paio di carriti a La Guaira e da qui a Catia La Mar dove con l’aiuto di un ragazzo del posto e dopo un kilometro a piedi raggiungiamo il nostro hotel.  Di tempi morti non se ne parla.. Siamo in ritardo.

Ritiriamo i nostri bagagli grossi che avevamo lasciato in deposito alla partenza per l’Amazzonia, e nel bagno della hall (per fortuna non c’è nessuno e comunque ormai non abbiamo remore) ci spogliamo, ci diamo una lavata ed una sistemata, ci cambiamo e ..pronte per la partenza.

A proposito di senza remore.. è ormai una settimana che qualsiasi angolo anche dietro a un distributore di benzina, purchè un po’ nascosto, è da noi preferito ai bagni che abbiamo incontrato. All’aperto è molto più igienico..

Ci facciamo chiamare il taxi, contrattiamo il prezzo per l’aeroporto ausiliare di Maiquetia  terminal LTA per il volo delle 17 per Los Roques.

Al check in c’informiamo per il deposito bagagli per il giorno del rientro (avremo  un giorno libero per girare a Caracas) e scopriamo che il deposito bagagli esiste ma non ha le chiavi. I tizi del check in ci spiegano che nessuno sembrava utilizzarlo e quindi hanno pensato bene  di togliere le chiavi. Incredibile ma vero!  Ovviamente ci sarebbe un sacco di gente che se attivato potrebbe utilizzarlo! A Caracas non esiste un deposito bagagli. Se ti va bene devi affidarti agli hotel, ma non è detto che si prendano questa responsabilità ed infatti alla seconda nostra richiesta, il nostro albergo ci ha risposto che non era possibile. Pensiamo a questo punto che con  le nostre facce toste e fiduciose in un cambio di turno del personale dell’albergo…al rientro torneremo a chiederglielo.

 

Il volo di mezz’ora sull’aereo da una quarantina di posti dell’Aerotuy è buono e lo spettacolo all’arrivo è da togliere il fiato: gli atolli e le isole visti dall’alto..Atterriamo alle 17.30. L’atterraggio è incredibile, l’aeroporto è piccolissimo,  sembra infatti di atterrare in mare. E’ un campo con erba e sassi..

 Fa molto caldo ma è ventoso, temperatura gradevolissima. La torre di controllo: altro emblema della 626: una baracca sostenuta da una gru, e appoggiata su un’altissima scala di legno.

 L’arcipelago di Los Roques è parco nazionale dal 72. E’ formato da isole coralline e atolli piccolissimi. L’unica isola abitata è Gran Roque. Ha una fauna ricca di specie tropicali: uccelli marini, iguane, camaleonti, tartarughe, aragoste, enormi quantità di molluschi come testimoniano le montagne di conchiglie che si rinvengono in ogni angolo delle isole. Un problema è l’approvvigionamento idrico. L’acqua viene importata da Caracas. Il mare è un grandissimo acquario naturale, senza pareti di vetro, ricco di coralli, costellato di spugne e abitato da pesci insoliti e variopinti. Sopra il livello del mare predomina il blu, a riva il turchese,  il bianco fuori accecante delle spiagge incontaminate, il verde smeraldo delle mangrovie.

Nota dolente la nostra posada: nella stanza c’è un caldo umido irrespirabile e soffocante. Un ventilatore vecchio, sporco e inadeguato.

Andrea, il referente dell’agenzia ci dà alcune indicazioni. Anche a Gran Roque non c’è linea telefonica. C’è un internet cafè dove la seconda sera tenteremo senza riuscirci di collegarci.

Ci informiamo direttamente per le escursioni alle varie isole. Le barche dei pescatori fanno spola alla mattina verso le 9 e  vengono a riprenderti alle 5,30.

Ci sistemiamo nella stanza dove rimarremo circa una settimana, ci sistemiamo nei due letti, recuperiamo alcune sedie per appoggiare i nostri borsoni, purtroppo sappiamo che incombono gli scarafaggi..   Doccia e.. ci prepariamo per la cena.

Usciamo per un giro. L’isola è proprio piccola come ci avevano descritto. Una piazzetta centrale e tutte viuzze. Non ci sono auto e nemmeno strade asfaltate. Solo sabbia. Ci sono anche molti cani, liberi e belli sani.  E’ molto carina con le case piccole, coloratissime, negozietti, posade per tutti i gusti. C’è parecchio movimento. Molti venezuelani che festeggiano qui  la Pasqua, ed anche diversi italiani. Si coglie subito il salto di qualità da Caracas.  I venezuelani che vengono qui in in vacanza appartengono al ceto medio alto.  I prezzi sono decisamenti più gonfiati. Certo non ci sembra così poco turistica come ci era stato detto, almeno questa Gran Roque. Le  isole che vedremo nei prossimi giorni, invece,  effettivamente sono “fuori dal mondo”, non c’è nulla: spiagge bianchissime, mare magnifico, qualche baracca di pescatori, eserciti di pellicani e gabbiani e un grande cielo azzurro.

 

Andiamo a cenare in uno dei pochi ristoranti dell’isola, alla posada Natura Viva. I locali qui sono molto ben arredati, non c’è niente  fuori posto. Dal colore delle pareti, alle reti appese, ai quadri, agli arredi.. Piatto unico a base di pesce e riso. Ci beviamo una buonissima cerveza (la Polar).  Poi la torta per festeggiare il compleanno di Anto.

Un giro nella piazzetta dove c’è parecchio movimento e musica caraibica a tutto volume, giriamo un po’ nelle viuzze e decidiamo che è ora di provare a dormire. Purtroppo nella stanza c’è un caldo insopportabile e mettiamo al massimo dei giri il vecchio ventilatore che poco migliora la situazione. Optiamo per tenere aperta la finestra, anche se siamo sul piano strada,  perchè circoli un filo d’aria.  A questo punto ci ingegnamo con l’allarme antiscippo e mettiamo su un ambaradan  con tanto di spago, scotch nero, safemade e una bottiglia di shampo. Per finire: la  tendina. Appendiamo un asciugamano di carta usa e getta. Il tutto da far invidia ai migliori installatori di allarme! E qui si rimanda alla foto.. Impossibile descriverlo.

Tra una risata e l’altra cerchiamo di prendere sonno.

 

26/3

Sono quasi le 6 e il caldo è insopportabile. Abbiamo dormito pochissimo rigirandoci più volte. Decidiamo di prepararci e di uscire per un giro. Fuori la temperatura è invece piacevolissima, pare impossibile questa differenza. Vaghiamo per un po’. Dobbiamo aspettare  le 8,30 per la colazione. Prima delle 8,30 qui nulla si muove. Facciamo conoscenza con due coppie di  italiani ospiti della nostra posada, che ci danno alcune informazioni sulle isole da loro già visitate. Sono della serie grandi viaggiatori, subacquei appassionati, ed estasiati da questo splendido mare.

Verso le 9 dopo aver fatto colazione, insieme a tutti gli altri ospiti, ci dirigiamo al botteghino per prendere il biglietto per la barca a motore. Prendiamo anche l’ombrellone che  è assolutamente indispensabile. Non ci sono ripari né piante. Abbiamo scelto di andare nell’isola piu vicina, a 15 minuti di barca: Madrizqui. Al baracchino c’ è una ressa di gente che fa la coda per accapparrarsi i biglietti. Fare la coda in un posto come questo ci fa un po’ girare: d’altronde siamo nella semana santa e tutto risulta sfalsato. Fra due giorni per fortuna sarà tutt’altra cosa. La trasferta è bagnatissima, il mare è parecchio mosso e ci dicono che nei giorni precedenti lo era stato molto di più ed infatti molte escursioni alle isole erano state annullate.

L’impatto all’arrivo non è in realtà dei migliori: una sfilata di ombrelloni che certo non ci aspettavamo. Pure in questa spiaggia che ha del fantastico da quanto è bella. Le cose per fortuna cambieranno fra due giorni quando i moltissimi venezuelani torneranno a Caracas dopo la vacanza della  semana santa.

Il sole si fa immediatamente sentire: notiamo parecchi ustionati. Provvediamo a spalmarci in abbondanza le creme a schermo totale o protezione 50, non vogliamo proprio rischiare e tutti, compresi i sub, ci hanno messo in guardia. E così faremo per i prossimi tre giorni. Davanti a noi decine e decine di gabbiani e  bellissimi pellicani. In mare a riva si vedono tantissimi pesci.

Dopo un paio d’ore sotto l’ombrellone andiamo a perlustrare l’isola. Ci sono lucertolone nere lunghe un po’ dovunque e Anto è costretta a superare la paura..Poco più avanti c’è Cayo Pirata una splendida lingua di sabbia che divide in due il mare e da lì si raggiunge un baracchino dove si può mangiare l’aragosta: ha tendine di conchiglie, 5-6 tavoloni in legno, un amaca. Paradisiaco.  C’è lungo questo percorso qualche altra baracca (rancherias=rifugi) di pescatori, le loro barche coloratissime e assediate dai pellicani. Le particolari reti a cubo per le aragoste che qui si pescano in abbondanza. I colori intorno sono indescrivibili. Ci facciamo una Polar, parliamo con il gestore, un vecchino piccolo e tutt’ossa che continua avanti e indietro tra baracca e mare per lavare pentole e ritirare aragoste e cucinare in cucina e  che ci dice essere dell’isola Margarita, “bellissima e piena di vita” . Progettiamo e gli promettiamo di ritornarci tra un paio di giorni per mangiare  l’aragosta.

Le 5,30 tra un bagno e l’altro  arrivano in un attimo e con la barca (altra lavata) rientriamo a Gran Roque. Perlustriamo la stanza, temiamo gli scarafaggi. Stendiamo fuori dalla nostra finestra in un improvvisato filo che abbiamo attaccato tra la finestra ed il ramo di un albero i nostri costumi ed asciugamani. Il getto della doccia sembra essere sempre più scarso. Ci laviamo ci incremiamo con abbondante doposole e ci rilassiamo un po’ prima di uscire per la cena. Anche stasera c’è parecchio movivento nella piazzetta, molti turisti e tanti ragazzi locali  che si trovano per ascoltare la musica e per giocare a pallone. Qui pare non abbiano il ballo nel sangue come nel resto dei Caraibi. In effetti constatiamo che questi venezuelani non rientrano nei canoni (o luoghi comuni)  del popolo caraibico.

 Ci è stato suggerito di provare il ristorante la Chuchera, nella piazzetta Bolivar e ci andiamo. E’ un locale tipico, pieno di colori con musica in sottofondo e cucinano del pesce buonissimo. Ha anche un giardino.  Il prezzo è buono rispetto agli altri due-tre ristoranti disponibili (circa 75-80.000 blvs x 2). Fa tra l’altro una buona pizza, che assaggiamo la prima sera. Scegliamo il piatto di barracuda con riso, insalata e patatine  e un paio di Polar. Le porzioni sono decisamente abbondanti.  La sera dopo sceglieremo un altro pesce, il “dorado” e la terza sera  i molluschi.

Due passi e ritorno alla posada per operazione impianto allarme..

 

27/3

Il secondo giorno scegliamo di andare all’isola di Francisquises de Arriba a 20 minuti di barca. Bellissima con le piscine naturali a ridosso della barriera,  dove andremo a fare snorkelling. Tantissimi pesci: papagalli, castagnole, barracuda, trombetta, guglie, coralli ..

Verso sera prima dell’arrivo della barca, al baracchino delle bibite,un gruppo di 3-4 venezuelani, voci bellissime e in grande sintonia, accompagnandosi con una piccola chitarra a 4 corde (chiamata cuatro) cantano canzoni della musica llanera. Sono bravissimi.

 

28/3

Il terzo giorno abbiamo un risveglio rocambolesco. Lalla aprendo la porta della camera vede due scarafaggi che cadono dalla parete sopra la nostra porta e rapidamente entrano in un’altra stanza. Si barrica in camera. Anto va in bagno e nello scarico del lavandino ’c’è un altro scarafaggio che per fortuna non riesce a sbucare. Panico. Sono le 6 e chiamiamo la ragazza che di solito serve la colazione e che ora sta riposando nel divano della saletta in ingresso, la quale – costretta - provvede all’omicidio su commissione. Tiriamo fuori la collezione dei nostri repellenti e diamo sfogo a Off e simili su fessure porte, finestra ecc.   I sub di Bologna ci avevano detto che questi scarafaggi erano troppo grossi e quindi  che non potevano salire sulle pareti. Purtroppo non è così!

I biglietti per le isole, decidiamo di farli prima della colazione, così evitiamo eventuali code. Andremo al baracchino di Oscar, un tipo sui 40 anni che impersona la calma.  Niente lo scuote. Anche la sua parlata è lentissima e nessuna frenesia potrebbe modificarlo..

Oggi  andiamo all’isola di Crasqui a 40 minuti di barca (con doppio motore). Lungo il tragitto, il capitano avvista quella che sembra una grossa barca rovesciata e avvicinandoci vediamo invece che si tratta di una balena che galleggia e che poi ci dicono essere morta di morte naturale.

Crasquì è bellissima  ha la sabbia ancora piu bianca e fine delle altre isole. Questa è l’isola con la distesa di sabbia piu lunga e continua dell’arcipelago.

Ha  una lunga lingua di sabbia che divide in due il mare. Ci sono montagne di grosse conchiglie.  E’ uno spettacolo incredibile. Crediamo di poter affermare che questo è  il mare più bello che abbiamo mai visto. Centinaia di gabbiani e pellicani che vicino a riva si tuffano per mangiare il pesce. Andiamo a fare snorkelling. 

 

29/3

Il quarto giorno ritorniamo a Madrizqui. Da buone italiane abbiamo imparato come evitare il noleggio dell’ombrellone. In spiaggia c’è in qualche punto “un piccolo  magazzino di sedie ed ombrelloni” e ne approfittiamo. Oggi ci dedichiamo alla fotografia e c’è da sbizzarrirsi. Verso le due andiamo al baracchino dove ci aspetta l’aragosta. Il nostro omino fa pesare un’aragosta appena pescata: 2 kg!  Si sta troppo bene, siamo in paradiso. L’unico problema è che il tempo vola.. 

L’aragosta è da leccarsi i baffi (all’esorbitante cifra… di 11 euro cad..)  Ci beviamo ognuna due polar e un pescatore,  in un tavolo vicino, ci osserva divertito. Si  presenta come poeta e ci recita alcune sue romantiche poesie. Torniamo alla nostra postazione.Ancora un po’ di sole e un ultimo bagno.  Arriva la  barca e ritorniamo al pueblo.

Stasera non ceniamo. Mangiamo però un ottimo gelatone in piazzetta Bolivar e concludiamo  la seratona con un Margarita (tequila, sale e lime) che ci fa uscire dal locale piuttosto alticce e ondeggianti. Per fortuna la nostra posada è all’angolo. La stanza è sempre più caliente e dato che la notte precedente è stato rubato il telo mare di Anto, steso fuori dalla finestra piano strada, decidiamo di dormire con il balcone chiuso.

 

30/3

Il quinto giorno torniamo a  Francisquìses per ripetere lo snorkelling nelle splendide piscine naturali. All’arrivo, facciamo il periplo dell’isola, arrivando fino alla barriera e da qui alle piscine.

Anche questo giorno vola.

Alla sera ceniamo al nostro solito tavolo nel giardino del Chuchera. Gustiamo dell’ottimo  pesce e.. orrore ..Anto avvisa Lalla che ai suoi piedi sta arrivando un scarafaggio e subito dopo Lalla avvisa  Anto che uno scarafaggio sta arrampicandosi sulla sua sedia. Con un balzo allontaniamo le sedie, spaventando anche gli altri clienti del ristorante, che però capiscono.. e ci catapultiamo dal nostro cameriere che ovviamente ci guarda divertito. Per loro questi scarafaggi (a volte grossi come una scatola di sigarette..) .sono paragonabili alle nostre formiche.. Di ritorno alla posada troviamo Andrea con la sua ragazza. Gli chiediamo se ci può procurare un carrellino per i borsoni per quando dovremo ripartire x Caracas. Sulla sabbia le ruote girano con difficoltà. CI dice che farà il possibile e ci conferma che chiamerà lui il nostro hotel di Caracas x chiedere se possono tenerci i bagagli quelle 5-6 ore il giorno del rientro, in modo di essere libere di girare x Caracas,  prima del volo intercontinentale della sera.

 

Domani abbiamo in programma di tornare  a Madrizqui e  mangiare il pescado  al nostro baracchino.  Alla sera vogliamo andare al ristorante “el canto de la ballena”  sul lungomare per una torta e festeggiare il compleanno di Lalla.

 

1/4

Alle 6 sentiamo bussare.   Chi è?   Nessuna risposta.

Lalla dice che probabilmente hanno bussato alla porta accanto e si prepara x andare a prendere i biglietti da Oscar.

Stamattina prima della colazione, abbiamo in programma di andare a fare una camminata fino al faro.

Alle 6,15 ribussano.   Chi è?   Risponde Andrea: “sono le 6 e un quarto”..   Pausa.

 Anto: “e allora?”  … Andrea: “abbiamo il check-in alle 6,30..”

Anto-Lalla:  “ma Andrea ti stai sbagliando, non è oggi, è domani!”

 Scendiamo dal letto (siamo in mutande e maglietta) e spalanchiamo la porta. Non c’è nessuno, stiamo x richiudere e Andrea trafelato con il telefonino in mano ricompare: “ragazze, oggi è l’1 guardate qui. E’ oggi il check-in!”

Siamo nel panico. Cosa facciamo? Andrea ci dice che andrà lui a farci il check in e di prepararci in fretta. (L’aeroporto è a due minuti dalla nostra posada. L’isola è talmente piccola che è tutto lì).

Abbiamo la nostra roba sparsa dappertutto. Raccogliamo e sbattiamo tutto nei borsoni come capita. Siamo delle furie. Ci mettiamo addosso quello che avevamo la sera prima e all’arrivo di Andrea con il carrello, voliamo trafelatissimi all’imbarco.

Ce la facciamo.. grazie ad Andrea! che ci conferma anche la disponibilità dell’hotel a tenerci i bagagli.

Siamo esterefatte, non ci era mai successo una cosa simile!

Peccato.. avremmo passato volentieri un altro giorno al sole  a Francisquises.

Il volo parte puntualissimo alle 8 e, alle 8.30 siamo a Caracas. Facciamo un cambio al nero e con un taxi ufficiale andiamo all’hotel di Catia La Mar. Il prezzo del taxi (non se ne capisce la ragione) è dimezzato rispetto alla settimana precedente. Misteri venezuelani. Chiediamo all’autista (che ci conferma) di ritornare alle 14 per ritirarci e portarci all’aeroporto.

Ci avviamo con i borsoni nel solito mega-bagno della reception. Ci laviamo e ci sistemiamo per la giornata a Caracas. Porteremo solamente i soldi che ci potranno servire,lasciando nei borsoni lo zaino e tutto il resto. Consegnamo i borsoni alla receptionist avvertendola  che ritorneremo verso le 14.

Ormai esperte con gli spostamenti in Caracas, ci avviamo a piedi alla fermata della camioneta che ci porterà a Macuto, che una guida ci indica a 3 km circa.

La città è molto piu movimentata rispetto alla settimana prima (quando molti negozi, locali ecc. erano chiusi per le ferie della semana santa). Un grande viavai di gente, un traffico intenso, veloce caotico, macchine e camion scassati, tanti mercati. C’è tantissimo inquinamento atmosferico. Gli automobilisti non rispettano molto il codice della strada e spesso passano col rosso o vanno contromano. Ci prendiamo un succo d’arancia a un baracchino. Saliamo sul carrito e constatiamo che Macuto è ben piu lontana di 3 km. Dopo 50 minuti finalmente arriviamo ed una ragazza, alla quale avevamo chiesto alcune informazioni, si offre di accompagnarci  in una panaderia per la colazione.

 Il caldo è insopportabile, la stanchezza probabilmente si fa pure sentire, e c’è un calo di sali.  Per un movimento sbagliato, parte l’allarme – suono acutissimo – del mitico antiscippo. Ci guardano curiosi e dopo averlo interrotto, cerchiamo di ricomporci..

Prendiamo  caffè capuccino e una mega pasta.

Dopodichè ci avviamo al centro commerciale di fronte con l’intento di prendere qualche oggetto di artigianato e, se la troviamo, l’amaca. Questi centri commerciali sono enormi come struttura esterna, ma non ci sembra abbiano un granchè. Macuto non è bella. In certi punti sembra bombardata.. La ragazzina ci dice che tutti i palazzi diroccati e malmessi che vediamo sono così a causa della catastrofica alluvione del 2000. Tra di noi osserviamo che sono passati 5 anni: chissà se li terranno così a memoria..

Ritorniamo lungo la strada principale dove c’è un grande movimento di auto e persone e la solita musica sparata a 1000!  Compriamo collanine e qualcos’altro, chiediamo ai ragazzini del negozio di musica  di metterci  musica venezuelana (llanera, reggetton e salsa portoricana) e compriamo qualche CD.

Dobbiamo ritornare verso Caracas. Realizziamo presto che il carrito che abbiamo preso ha qualche problema di frizione. E’ lentissimo e arranca e noi abbiamo ovviamente una grande fretta. Il traffico è ancora più caotico di questa mattina. C’è anche una coda per un incidente. Finalmente arriviamo al centro della ciudad. Scendiamo ad un coloratissimo mercato di frutta, verdura e pesce. E’ una festa di colori.    Camion pieni di banane, pesce gigante esposto nelle bancarelle, la yucca, le arance.. Ci fermiamo in un locale all’aperto a mangiare un paio di buonissime empanadas con pescado y pollo (focaccia di farina gialla frritta a forma di mezzaluna, ripiena di carne o pescado o formaggio..) e poi ci buttiamo all’interno del mercato dove prendiamo un paio di dolcissime banane.

Purtroppo non abbiamo molto tempo.. Chiediamo ad un taxi ufficiale, in sosta nei paraggi del mercato, quanto ci prende per Catia La Mar. Saliamo. Parliamo col simpatico autista. Anche questo taxi, un vecchio Fiat, come la maggior parte di quelli che abbiamo preso, è scassatissimo. Dalle parti di  La Guaira si blocca definitivamente e l’autista ci comunica che ci sono problemi alla frizione. Da non credere! Siamo già in ritardo.      Abbiamo l’altro tassista che da mezz’ora  ci starà aspettando all’hotel. Questo si toglie la maglietta, apre il cofano e si infila sotto alla macchina per cercare di riparare il guasto.

Gli chiediamo, dopo 10 minuti, se sarà una cosa lunga,  ma… non ci fidiamo piu. Gli dimezziamo la tariffa pattuita e cerchiamo di fermare un altro taxi ma è impresa difficile. Si ferma un camion enorme che sta trasportanto quintali di sacchi di mais e che si offre di darci  un passaggio fino alla prossima fermata di taxi.  Non abbiamo scelta. Di male in peggio: questo va lentissimo, è sovracaricato. C’è un caldo esagerato e noi sudiamo freddo… Siamo costantemente in ritardo.

Il cruscotto è praticamente vuoto: fili che escono da tutte le parti, non c’è il contakilometri  e nessun indicatore, forse non ha nemmeno i fari o le frecce.... 

Arriviamo alla fermata taxi e affidandoci alla suerte chiediamo al tassista di portarci all’hotel, di aspettarci due minuti e poi da lì trasferirci all’aeroporto internazionale. Pensiamo infatti che il primo autista, dato il forte  ritardo, abbia desistito e se ne sia certamente andato..

 

All’hotel ritiriamo i bagagli e incrociamo  il primo autista che, guardando l’orologio, ci viene incontro. Con una calma tutta inglese Anto gli chiede di aspettare un attimo, esce, dice all’altro tassista che se ne può andare perche sarà l’autista dell’albergo che ci porterà in aeroporto. .. Paga metà della tariffa pattuita - che viene a malincuore accettata -  e saluta.

Spieghiamo al primo autista del motivo del ritardo. Ci chiederà, ma senza riuscirci, qualcosa in piu per la sua attesa.

 

Al bagno ladies in aeroporto, sudate e accaldatissime, ci spogliamo restando con i soli jeans e destando qualche occhiata di stupore. Ci laviamo, ci improfumiamo col nostro Pour Femme de Lacoste, ci mettiamo una T-shirt pulita, rispondiamo ad una delle occhiate più insistenti  con un “Italian Style!” (la tipa risponde sorridendo)…. Noi in tutte queste situazioni ci guardiamo e cominciamo a ridere. Ormai siamo senza pudore.

 

Andiamo al check in per liberarci dei bagagli ed andare al duty per spendere ciò che ci è rimasto.

Qui iniziano i controlli minuziosissimi, addirittura con perquisizione, fila uomini, fila donne. Non ci era mai capitato. Zaino e contenuto controllato con i raggi x!

Dopo l’ennesimo controllo finalmente raggiungiamo il duty.

Il volo parte con un’ora di ritardo. L’aereo ci sembra migliore di quello dell’andata ed è nostra intenzione dormire finalmente!

Purtroppo c’è l’aria condizionata altissima: fa freddo.

Passa la notte e purtroppo senza aver dormito, ma almeno abbiamo riposato.

  

2/4

Arriviamo a Madrid con un’ora di ritardo. L’aeroporto di Madrid è enorme. La navetta che ci trasferisce al controllo passaporti impiega almeno 20 minuti e l’aeroterminal è talmente trafficato che sembra di essere sul raccordo anulare. All’arrivo, corriamo alla ricerca  del terminal da dove partirà il nostro volo per Milano. I tempi sono strettissimi. Chiediamo informazioni e ci rimandano da un posto all’altro. Il terminal B pare non finire mai e noi dobbiamo andare al terminal E che è dalla parte opposta. Ad un certo punto, esasperate, chiediamo ad una guardia civil, e con un certo impeto, quasi intimandoglielo,  di accompagnarci all’imbarco e questo cercando di calmarci ci porta ad un banco controlli chiedendo al tizio di accompagnarci a destino col pass. Dopo una decina di minuti fatti di corsa, arriviamo in zona imbarco. Purtroppo hanno appena chiuso il gate e a nulla servono le nostre insistenze.  Abbiamo perso il volo.

 

Cerchiamo un banco Iberia per chiedere  informazioni, spiegando che a causa del ritardo del volo da Caracas ed i tempi stretti per il trasferimento da un terminal all’altro abbiamo perso il volo delle 9 per Milano. La ragazza molto gentile, ci risponde che ci inserisce  sul volo successivo delle 11 e ci rilascia  anche un bonus per una consumazione all’interno del terminal. Ci tranquillizziamo.

Siamo stanchissime, facciamo colazione ed andiamo a sederci.

A questo punto tra un attacco e l’altro di entrambe, “ancorate” vicino ai bagni… per ovvi motivi decidiamo che non ci muoveremo da lì fino alla chiamata del check-in.. Prendiamo qualche pastiglia e progettiamo all’arrivo riposo assoluto per almeno 24 ore.

 

Il volo per Milano parte puntuale. All’arrivo ritiririamo i bagagli, navetta per Malpensa e alla stazione,  prima di prendere il treno che ci riporterà a casa, prendiamo una bibita ed una torta per festeggiare qui il compleanno di Lalla. Quello che dovevamo fare a Gran Roque…

 

Sigh ! è finita…. Un po’ di tristezza e di nostalgia... Siamo esauste ma caricatissime da questa super vacanza. Un viaggio “vero e intenso”  che non dimenticheremo.

 

Lalla     Lalla.Ferrari@ace-ina.comù

 

 

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