TRANSIBERIANA
Racconto di viaggio
Questo
scritto non vuole essere un diario di viaggio, perchè avrei dovuto approntarlo
giorno per giorno per non dimenticare nulla e non l'ho fatto, né ha la pretesa
di essere una guida pur contenendo anche delle informazioni pratiche, perchè ce
ne sono di migliori in circolazione e poi io non sono del mestiere. Vorrei solo
comunicare a chi avrà la pazienza di leggere queste pagine, le impressioni
ricevute nell'affrontare un viaggio come questo, senza spiagge, senza ritrovi
per vip e senza l'affanno di arrivare per forza da qualche parte, ma anzi
cercando di perdersi nella vastità degli spazi e rimanere un po' a guardare...
e a guardarsi dentro.
La
Transiberiana rappresenta, per ogni viaggiatore, uno dei grandi viaggi verso la
fine del mondo, come la Patagonia o Capo Nord, luoghi non-luoghi, dove la meta
non è così importante come lo è invece l'idea stessa del viaggio.
A
questo pensavo, quando in una piovosa giornata all'inizio di quest'anno sono
entrato in libreria e nel dare un'occhiata nel reparto viaggi, ho scoperto la
prima edizione della Lonely Planet dedicata a questa grande avventura. Come a
volte capita nella buona tradizione letteraria, ne sono rimasto letteralmente
folgorato, così l'ho acquistata immediatamente, senza neanche sfogliarla un
po'.
Si
può dire quindi, parafrasando indegnamente il sommo Poeta, "galeotto fu il
libro e chi lo scrisse", perché proprio leggendolo, io e mia moglie ci
siamo accorti che anche questo viaggio si sarebbe potuto fare alla nostra
maniera, cioè in modo per quanto più possibile autonomo e non programmato
anticipatamente.
Ormai
da anni siamo abituati a viaggiare, anche con figli e amici, prenotando
solamente il biglietto aereo, cercando una volta sul posto le sistemazioni e
prendendo al momento le decisioni riguardanti destinazioni successive ed
itinerari da seguire. Questa grande libertà, a prezzo di poche momentanee
difficoltà, ci ha dato sempre molte soddisfazioni e ci ha permesso di fare i
nostri viaggi più belli…
Siamo
così partiti con Tommaso, un piccolo giramondo di otto anni, mentre l'altro
figlio, Mattia, ormai quasi maggiorenne, sarebbe andato nello stesso periodo a
Malta per una vacanza studio in un college internazionale.
La
nostra idea era di effettuare il tragitto in treno da Pechino a Mosca via Ulaan
Baatar, viaggiando quindi su uno dei due "rami" della Transiberiana,
quello conosciuto come Transmongolica (l'altro tratto va fino alle coste del
Pacifico a Vladivostock ed è il percorso classico, tutto in Russia).
Il
senso del tragitto, da est verso ovest, è consigliato perché meno frequentato
dai turisti ed è quindi più facile trovare posti e biglietti senza
prenotazione, come nelle nostre intenzioni.
Stando
alle notizie raccolte in giro tra i frequentatori di forum, siti di viaggiatori
e anche sul sito "ufficiale" www.transiberiana.com, molte sembravano
le difficoltà da superare, a cominciare dall'ottenimento dei visti in paesi non
ancora del tutto aperti al turismo libero o come le difficoltà di acquisto dei
biglietti ferroviari che bisogna fare volta per volta, spesso in sportelli dove
è molto difficile non soltanto farsi capire, ma anche solamente
"leggere" indicazioni scritte in cirillico o, peggio, in ideogrammi.
Un
altro problema che abbiamo dovuto risolvere riguardava il biglietto aereo.
Avevamo bisogno di un volo di andata su Pechino e uno di ritorno da Mosca, perciò
chiedevamo due tratte singole invece del solito a/r. Non so per quale oscura
ragione commerciale, un biglietto di sola andata spesso non è previsto e quando
lo è, ha un costo maggiore di uno andata e ritorno!
Solo
grazie ad approfondite ricerche e alla infinita pazienza dell'impiegata della
nostra agenzia di viaggi, siamo riusciti ad arrivare ad una soluzione
accettabile. Abbiamo acquistato un volo Finnair da Roma a Pechino (che prevedeva
anche il ritorno che non abbiamo utilizzato) per 540 euro a testa, mentre per il
rientro in Italia ci siamo rivolti alla società www.evolavia.com che ci ha
fornito i biglietti da Mosca ad Ancona ad un prezzo molto invitante, solo 100
euro l'uno!
Per
quanto riguarda i visti, ci siamo regolati in questo modo: per la Cina, un
modulo da compilare e da mandare all'ambasciata di Roma con foto tessera; per la
Mongolia, un modulo in tre copie e tre foto tessera da inviare al nuovo
Consolato di Trieste (fino a qualche tempo fa bisognava mandare la
documentazione in Svizzera); per la Russia, la complicazione era data dal fatto
che bisognerebbe avere una prenotazione alberghiera, cosa per noi impossibile in
quanto non eravamo in grado, a priori, di sapere in quale giorno (e dove)
saremmo arrivati in territorio russo. Abbiamo sopperito a ciò pagando una
sovrattassa di 70 euro per ogni visto… il prezzo della libertà!
A
questo punto avevamo svolto tutte le incombenze burocratiche ed eravamo così
pronti per la partenza che sarebbe finalmente avvenuta il 23 giugno.
Il
volo Finnair prevedeva uno scalo ad Helsinki e poi l'arrivo a Pechino il giorno
successivo.
Devo
segnalare l'ottimo servizio offerto da questa compagnia, dalla estrema puntualità
dei voli, alla gentilezza delle hostess dall'aspetto un po' casalingo, ma
efficientissime ed attente ai bisogni delle persone a bordo. Il menù
vegetariano prenotato per mia moglie, sempre oggetto di scommesse tra di noi
sulla sua presenza, è arrivato con tanto di cartellino con nome e numero di
posto!
Siamo
arrivati a Pechino la mattina del 24 giugno e dopo aver sbrigato le formalità
doganali senza eccessivi intoppi, ci siamo diretti verso la città.
Come
succede in ogni aeroporto del mondo, una schiera di tassisti ci ha subito
avvicinato offrendoci passaggi a prezzi esorbitanti ed alle nostre richieste di
indicazioni per i bus, tutti senza eccezione alcuna, ci assicuravano che
a quell'ora non ce n'erano. Ovviamente i bus c'erano, appena fuori sul
marciapiede esterno alla zona degli arrivi, con tanto di biglietteria. Con pochi
spiccioli a testa, in mezz'ora siamo così arrivati in centro.
Come
già scritto più volte, noi non prenotiamo mai alberghi o altri servizi e la
nostra tecnica di andare in una zona centrale e seguire le indicazioni della
guida, ha perfettamente funzionato anche qua.
Dopo
alcuni minuti eravamo già nella nostra camera all'hotel Far East (24 $ a notte,
courtyard@yong.com), a pochi minuti di cammino dalla piazza Tienanmen, in uno
degli ultimi hutong non ancora travolti dalla "furia
rinnovatrice" che impera in Cina.
Tutta
la città sembra infatti nuovissima, grattacieli con immense vetrate, ardite
costruzioni in ferro e cemento sorgono ovunque, mentre cantieri giganteschi
distruggono tutto ciò che ha più di cinque o sei anni per sostituirlo con
nuove costruzioni. Gli hutong, cioè i vicoli tradizionali con basse
costruzioni addossate le une alle altre, dove la gente vive tranquilla con i
propri animali, muovendosi con biciclette e carrettini, sedendosi la sera fuori
di casa a chiacchierare o a giocare a dama o a mangiare un piatto cucinato al
momento, stanno inesorabilmente scomparendo, tanto che vengono offerte ai
turisti escursioni in risciò per visitare gli ultimi rimasti intatti. Tra
qualche anno Pechino non sarà molto diversa da una qualsiasi metropoli
asiatica, con buona pace delle migliaia di anni di storia che rappresenta.
passatempo
nel hutong
Una
domanda poi sorge spontanea: dove manderanno gli abitanti dei vicoli, visto che
molto probabilmente non potranno mai permettersi un appartamento in un
grattacielo?
Noi
abbiamo vissuto cinque giorni nel nostro vicolo, alla fine ci conoscevano tutti
e Tommaso conosceva gli animali di tutti, dai cani (pechinesi, ovviamente!) ai
gatti, pappagalli e canarini.
L'impressione
che abbiamo avuto dei cinesi, rispecchia un po' l'iconografia classica, cioè
appaiono molto gentili, spesso sorridenti, ma molto difficili da capire perché
l'inglese è poco conosciuto e quando lo è la pronuncia è molto
"creativa", quindi si comunica prevalentemente a gesti e anche così
la comprensione non è immediata. Ad esempio, se si volesse indicare il numero
tre, il modo giusto è usare l'indice, il medio e l'anulare; se si usano pollice
indice e medio alla nostra maniera, loro, semplicemente non capiscono e fanno un
grande sorriso imbarazzato…
E'
proprio vero inoltre che i cinesi hanno l'abitudine di sputare liberamente.
Questo atto è talmente frequente che noi, dopo un primo momento di sconcerto,
abbiamo cercato di ignorare tutta la fase della sonora preparazione ed il colpo
finale, mentre Tommaso, anche se redarguito prontamente, ha cercato di adeguarsi
ai costumi locali.
Ciò
che invece ci ha colpito negativamente è stata la vista di molte persone, anche
bambini, affetti da vistose deturpazioni, a volte anche sfigurati, che
chiedevano l'elemosina appena fuori dai supermercati o alle stazioni della
metro. La nostra società ci ha insegnato un pudore per queste cose che
evidentemente non è condiviso dalla cultura orientale. Pur evitando di
esprimere frettolosi giudizi di merito, non posso non constatare la grande
differenza tra le due culture.
Il
modo di vivere, almeno a Pechino, è molto ordinato anche se la forte presenza
di polizia e forze militari fa supporre che questo possa essere in qualche modo
imposto, ma bisogna tener conto della complessità di governare un miliardo e
trecentodieci milioni di persone!
Il
grande fermento economico che sta vivendo la Cina si nota immediatamente in
strada, molte sono le automobili di grossa cilindrata (VW Passat, Audi, Mercedes)
e i grandi magazzini pieni di merci hanno ad ogni ingresso una ragazza che,
battendo le mani, grida incessantemente ai passanti le offerte del giorno.
I
cinesi stanno scoprendo giorno dopo giorno il benessere e il consumismo anche se
tutto ciò sembra per ora riservato alle grandi città perché appena fuori, in
campagna o nei villaggi si fa un salto indietro di quasi un secolo!
Muoversi
per la città è abbastanza semplice, sia perché tutte le zone di interesse
turistico sono concentrate in centro come la Città Proibita, piazza Tienanmen o
la stazione principale, sia perché la metropolitana è facilissima da usare e
raggiunge in pochi minuti qualsiasi destinazione, anche periferica.
Abbiamo
trovato invece un po' di difficoltà nel muoverci a piedi, perché le strade
sono grandissime e "transennate" ed il traffico costantemente all'ora
di punta non invita certamente ad infilarcisi in mezzo, quindi per attraversarle
bisogna utilizzare dei sottopassi. Per andare quindi da un posto all'altro è
necessario fare un percorso che tenga conto dell'ubicazione degli stessi. Tutto
ciò ci è servito a fare chilometri di cammino ogni giorno, a tutto vantaggio
della nostra linea, già molto
aiutata dalla cucina cinese, che non ci ha permesso certo grandi abbuffate.
Oltre ai sapori molto diversi da quelli a noi abituali, quasi mai i piatti
ordinati, spesso senza l'ausilio di un menù scritto in inglese, corrispondevano
alle nostre aspettative. Gli unici piatti che prendevamo con una certa sicurezza
erano i ravioli al vapore ed il riso. Siamo comunque riusciti quasi subito ad
imparare l'uso basico dei bastoncini, anche se un paio di volte i camerieri,
impietositi dai nostri sforzi, ci hanno portato dei cucchiai.
Non
starò a dilungarmi sulla bellezza della Città Proibita, o sull'imponente colpo
d'occhio offerto da piazza Tienanmen, luoghi ormai universalmente conosciuti e
di una tale bellezza che richiederebbero una descrizione particolareggiata in
luogo di queste poche righe, dirò solo che bisogna esserci stati almeno una
volta nella vita, per tentare di comprendere una civiltà così diversa e fino a
poco tempo fa ancora così lontana dalla nostra.
l’arte della scrittura
Vorrei
solo raccontare della visita che abbiamo fatto al Mausoleo di Mao e di come
tuttora i cinesi nutrano sentimenti di autentica venerazione per questo grande
personaggio, anche se la sua epoca è sempre più oggetto di una rivisitazione
critica. Il Mausoleo è aperto tutte le mattine dalle 8 alle 11 e la coda
chilometrica dei visitatori è costante ed impressionante, tanto che noi a prima
vista stavamo per rinunciare, quando improvvisamente ci si è presentata davanti
una anziana signora che ci ha letteralmente preso per mano, accompagnandoci
prima al deposito bagagli e macchine fotografiche (non si può portare nulla
all'interno), poi alla biglietteria dove si è intrufolata nella coda ed in
pochi minuti ci ha fornito di biglietti.
Poco
dopo eravamo nella grande sala, dove in penombra e dentro una teca di cristallo
è visibile alla folla che scorre lentamente ai due lati senza interruzioni, il
corpo mummificato di Mao Ze Dong, morto nel 1976 a più di 90 anni, dopo essere
stato la guida ed il padrone di questo grande paese per quasi 20 anni.
I
cinesi mostravano sentimenti che andavano dall'ammirazione al rispetto alla
all'autentica commozione e giornalmente quintali di mazzi di fiori rossi vengono
depositati da moltissime persone sulla
scalinata esterna. Bisogna dire che anche noi, seppur col nostro disincanto
occidentale, siamo rimasti colpiti dall'atmosfera del luogo.
Alla
fine della visita, la simpatica nonnetta ci ha accompagnato per il percorso
inverso ed ha recuperato i nostri marsupi indenni e con nostra grande sorpresa
non ha accettato alcun pagamento per il suo lavoro. Siamo rimasti col dubbio che
facesse parte di un servizio offerto dal Governo per facilitare gli stranieri,
chissà? Comunque in Cina non si usa dare mance, se non nei grandi alberghi per
occidentali.
Un'altra
giornata memorabile è stata quella della visita alla Grande Muraglia.
Dalla
capitale si possono fare diverse escursioni che permettono di visitare questa
opera che si snoda per migliaia di chilometri, solo in alcuni punti, dei quali
il più noto è Badaling. Qui avremmo trovato grandi parcheggi per autobus,
centinaia di venditori di souvenirs e decine di guide più o meno autorizzate.
Non volendo tutto ciò, siamo andati a Simatai, che presenta un tratto
altrettanto bello ed interessante, ma molto meno turistico. La camminata
completa è però lunga circa 17 chilometri fatti di scalinate, discese e salite
che a volte sono delle vere arrampicate. Si devono passare ben 35 torri di
guardia, in mezzo ad uno scenario fantastico e a volte surreale della muraglia
che si snoda sulle creste delle montagne immerse nella natura incontaminata. Il
sole splendente, pur mostrandoci un paesaggio da favola, non ci aiutava certo
nella nostra impresa e nonostante l'ausilio di un ombrellino ci siamo in breve
trasformati in profughi madidi di sudore con la lingua a penzoloni. Ci ha
salvato a questo punto un gruppo di contadine che ci hanno accompagnato per una
scorciatoia nella foresta che ha ridotto a soli 8 chilometri la nostra
camminata. Eccezionale è stato il comportamento di Tommy che ha camminato per
tutto il giorno senza un lamento né una protesta, tanto da meritarsi alla fine
la maglietta che testimonierà la sua impresa. Anche questa volta, le nostre
"guide" non hanno voluto alcun compenso ed abbiamo così acquistato
volentieri da loro alcuni souvenirs, tirati fuori timidamente dalle borse.
Riuscivamo
a comunicare con queste contadine prevalentemente a gesti e sorrisi, con molta
difficoltà ma con tanta voglia di capirsi ed abbiamo così compreso come
invidino quasi chi, come noi, ha più di un figlio, cosa che a loro non è
permessa dalle ferree leggi cinesi sul controllo delle nascite.
l’arrivo
a Simatai
Abbiamo
passato una giornata entusiasmante, quei panorami, le sensazioni provate ed il
tempo passato con le nostre guide improvvisate, ci hanno ampiamente ricompensato
della fatica che ci è costata questa escursione.
E'
così arrivato il momento di acquistare i biglietti per la prima tratta che ci
avrebbe portato ad Ulaan Baatar, la capitale della Mongolia. Ci siamo recati
alla biglietteria internazionale della stazione centrale, ma qui, con nostro
disappunto abbiamo saputo che tutti i treni erano completi e ci è stato
proposto un itinerario alternativo con un cambio in una stazioncina per noi
sconosciuta.
Abbiamo
così tentato la carta di servirci di una agenzia governativa di prenotazioni e
qui i biglietti sono saltati fuori senza alcuna difficoltà. Saremmo partiti
l'indomani mattina per giungere ad Ulaan Baatar il giorno successivo dopo
trentasei ore di viaggio.
Nella
nostra ultima giornata pechinese abbiamo visitato lo splendido Palazzo
d'Inverno, con il suo lago avvolto dalle nebbie che danno al paesaggio un
aspetto irreale e misterioso.
La
mattina dopo, in perfetto orario siamo saliti in treno ed abbiamo così dato
finalmente inizio alla nostra Transiberiana.
I
treni internazionali a lunghissima percorrenza sono ben attrezzati, hanno
scompartimenti a quattro cuccette con vari sportelli per sistemare i bagagli, un
tavolino centrale, due bagni per carrozza ed un samovar costantemente alimentato
a carbone dove si può attingere acqua calda per fare il tè o prepararsi un
pasto caldo. Per questo vengono vendute a pochi centesimi, confezioni di
minestre liofilizzate che sono molto usate dai viaggiatori e che sono anche di
ottimo sapore e molto sostanziose. Naturalmente c'è anche la carrozza
ristorante dove si può mangiare a qualsiasi ora o bere bibite fresche.
In
ogni vagone uno scompartimento è riservato a due conduttori che si alternano in
servizio per tenere puliti i bagni, fornire lenzuola e coperte per la notte,
cucchiai, tazze e a volte anche piccoli snacks. Dislocate lungo il corridoio vi
sono varie prese di corrente per ricaricare le batterie di fotocamere o
cellulari o usare apparecchi elettrici quali phon o rasoi.
Essendo
noi in tre, spesso abbiamo potuto utilizzare l'intero scompartimento in modo che
Tommy potesse giocare liberamente nelle cuccette superiori ed avere anche tutta
la nostra privacy.
Dopo
poco tempo comunque ci si ritrova a chiacchierare con viaggiatori di vari paesi
o si guarda scorrere il paesaggio facendo fotografie ed il tempo passa senza che
ci si possa annoiare, anche con l'aiuto di un buon libro e… dei compiti per le
vacanze!
Dopo
qualche ora abbiamo potuto rivedere la Grande Muraglia nello splendido scenario
di Badaling e la sera siamo arrivati al confine con la Mongolia, dove abbiamo
effettuato un "pit stop" di quattro ore. Infatti, oltre alle
accuratissime ispezioni doganali cinesi, che hanno controllato ovunque e dei
mongoli poi, che lo hanno rifatto una seconda volta, abbiamo dovuto cambiare i
carrelli di tutte le carrozze in quanto lo scartamento delle ferrovie cinesi è
diverso da quello degli altri paesi.
Ogni
carrozza, completa di tutti i passeggeri è stata portata all'interno di un
capannone dove è stata sollevata per cambiare le ruote. Un lavoro che viene
svolto tutti i giorni, più volte, in entrata ed in uscita per tutti i treni in
transito!
Solo
a tarda notte siamo riusciti a dormire qualche ora, prima di essere risvegliati
dalla luce del mattino. Stavamo attraversando il deserto del Gobi! I gialli e
gli ocra del terreno sabbioso si confondevano all'orizzonte col blu intenso del
cielo e ogni tanto un arcobaleno che sembrava nascere dalla sabbia dava un tocco
di poesia ad un paesaggio già fantastico.
arcobaleno del deserto del Gobi
Quando
il treno faceva un'ampia curva (non ho mai capito perchè nei deserti spesso le
strade o le ferrovie come in questo caso, facciano delle curve...) si poteva
addirittura fotografare la motrice col suo pennacchio di fumo che interrompeva
le linee orizzontali del paesaggio. Ogni tanto si vedevano branchi di cammelli
al pascolo e quando è iniziata a comparire la prateria, erano sostituiti da
mandrie di cavalli e greggi di capre e pecore. In Mongolia ci sono sei animali
da pascolo per ogni abitante e la scarsa popolazione di due milioni e
ottocentomila abitanti su un territorio con una superficie che corrisponde a
quasi metà dell'Europa, ha la densità più bassa del mondo ed effettivamente
incontrare qualcuno in un ambiente come questo è un evento, da festeggiare con
una bevuta ed una chiacchierata senza alcuna fretta. Sarà forse per questo che
la gente si distingue per la grande gentilezza unita alla fierezza risalente ai
tempi di Genghis Khan, quando i terribili guerrieri che si diceva vivessero
sempre a cavallo terrorizzavano le popolazioni vicine, tanto da indurre la Cina
a costruire la Grande Muraglia per proteggersi dall'attacco di quelle orde...
Ogni
tanto si vedeva qualche accampamento nomade costituito da qualche gher,
la tipica tenda circolare di feltro, con cavalli e pecore liberi al pascolo.
Ulaan
Baatar, la capitale della Mongolia, dove siamo arrivati in mattinata, veniva
definita all'inizio del secolo scorso, la città di feltro, proprio perché era
costituita prevalentemente da queste tende, cosa che si può vedere anche oggi
in periferia, dove quasi ogni casa in legno ha nel cortile la sua tenda, segno
evidente che i mongoli sono rimasti una popolazione nomade, almeno nell'animo.
Oggi
questa capitale, chiamata semplicemente UB, è una vivace città con grandi
palazzi dall'architettura avveniristica ed altri un po' meno moderni, squadrati
e un po' scrostati, ricordo dell'occupazione sovietica negli anni quaranta. Ne
vedremo molti, di queste costruzioni a forma di parallelepipedo adagiato sul
terreno sia qui che in Siberia, tanto che siamo convinti che a quei tempi un
unico progetto fosse servito più volte senza alcuna modifica...
All'arrivo
in stazione abbiamo sentito parlare italiano ed abbiamo conosciuto così Bolod,
proprietario di una guest house in centro dove abbiamo preso una stanza (con
bagno in comune) per soli 8 dollari a notte. Non era per noi la sistemazione
ideale, tanto che l'abbiamo poi cambiata con il più comodo Hotel Urge (25 euro
a notte), ma la simpatia e la comunicatività di Bolot ci ha colpito. Abbiamo
chiacchierato molto con lui, in un discreto italiano misto a francese imparato
semplicemente parlando con i viaggiatori, mentre il suo inglese perfetto era
dovuto ad anni di lavoro a Los Angeles. Ci ha raccontato la sua vita
avventurosa, ci ha mostrato le foto del suo villaggio di origine dove vive
l'anziana madre ovviamente in tenda, ci ha parlato della sua terra dove la vita
scorre ancora lentamente, con così tanta calma che la mattina, prima delle 10
è difficile trovare un bar aperto per fare colazione. Se capitate a UB, non
perdetevi una chiacchierata con Bolod (www.bolodtours.com), dormite almeno per
una notte in una delle due stanze spartane nella sua pensione, ne varrà
sicuramente la pena.
La
grande piazza centrale intitolata all'eroe nazionale Sukhbaatar è il centro
vitale di UB, dove si ritrovano i ragazzi e passeggiano gli anziani vestiti con
l'abito tradizionale e gli stivali da cavallo.
Siamo
andati a visitare il monastero buddista di Gandantegchinlen Khiid, il più
venerato fuori dal Tibet. E' un grande complesso dove l'imponente costruzione
centrale è circondata da parecchi templi minori. In tutta l'area si respira
pace e tranquillità, i fedeli pregano il grande buddha di 22 metri in legno di
sandalo, accendono le candele fabbricate al momento da alcune donne sedute nel
patio antistante, mentre centinaia di piccioni volano continuamente nel grande
giardino dove si passeggia e ci si gode un po' di fresco.
Abbiamo
vissuto qualche giorno immersi nell'atmosfera strana di questa città circondata
dalle montagne sacre, visitando vecchi palazzi, residenze dei re discendenti da
Genghis Khan, come il grande Palazzo d'Inverno di Bogd Khaan, ottavo buddha
vivente e ultimo re di Mongolia, dove sono conservati lussuosi mobili e
suppellettili tra cui una tenda coperta interamente da pelle di leopardo, troni
intarsiati e vestiti ricamati in oro.
Abbiamo
semplicemente passeggiato insieme alla gente del luogo, abbiamo camminato in
periferia dove case di legno e tende di feltro sembrano sorgere casualmente
senza un ordine, abbiamo frequentato ristoranti dove imperavano menù a base di
carne di montone e dove finalmente abbiamo ritrovato le posate!
Il
costo della vita è molto economico, la moneta locale è il Togrok (1 euro =
1400T), i pasti costano solo pochi euro a testa, i taxi appena qualche decina di
centesimi, bibite e internet quasi niente. Tommaso ha potuto passare un po' di
tempo in un internet cafè a giocare col computer, così Ulaan Baatar gli è
rimasta per sempre nel cuore, anche per la visita approfondita fatta al Museo di
Storia Naturale, dove innumerevoli stanze contenevano centinaia di animali
impagliati, ma soprattutto i due soli scheletri completi di dinosauri finora
rinvenuti (addirittura uno è un Tirannosaurus rex).
il
T-rex nel museo di Ulaan Baatar
Una
volta però siamo rimasti a dir poco perplessi vedendo una ragazza probabilmente
epilettica lasciata svenuta in mezzo alla strada nel traffico caotico del
mercato, schivata continuamente dalle macchine che le passavano a pochi
centimetri dal corpo, senza che nessuno se ne occupasse. Solo l'intervento
risoluto di Paola è servito a far arrivare un poliziotto il quale, accertatosi
che la donna fosse viva, l'ha semplicemente trascinata fino al marciapiede
lasciandola lì, ancora incosciente!
Avevamo
deciso di visitare solo la città, dovendo proseguire il nostro viaggio, ma i
treni al completo per i successivi due giorni e l'impossibilità conseguente ad
acquistare i biglietti, ci ha fatto prendere la decisione giusta: avremo usato
queste giornate in più per andare nel Parco Naturale di Terelj in tenda.
L'esperienza
è stata molto interessante, siamo arrivati in una delle zone più isolate del
parco, sotto un costone roccioso erano montate una decina di gher, al centro
dell'accampamento ce n'era una grande per i pasti in comune e, più lontana, una
costruzione con i bagni e le docce.
L'interno
della nostra gher era composto da tre letti, una stufa a legna ed una candela.
Abbiamo
trascorso il tempo cercando la legna per il fuoco, necessario vista la
temperatura rigida, facendo lunghe passeggiate e cavalcate nel parco e vivendo
in mezzo agli animali, dai cavalli agli yak, dalle pecore ai vitelli e con Misha,
un cagnolino mascotte del campo che naturalmente ha subito stretto una grande
amicizia con Tommaso.
Quando
le nuvole lasciavano arrivare la luce del sole, tutte le tonalità del verde e i
colori della terra comparivano sotto un cielo cobalto, un vero paradiso
naturalistico.
Nel
pomeriggio sono arrivati alcuni nomadi con i loro cavalli che si sono accampati
nelle vicinanze delle nostre tende.
Un
po' titubanti siamo andati verso di loro che ci hanno invece accolto con molta
cordialità e alla fine Tommaso ha potuto fare un giro a cavallo e noi alcune
belle foto.
giovani amazzoni nel Terelj
I
pasti venivano serviti nella tenda ristorante ed erano abbondanti e sostanziosi,
a base di zuppe, carne di montone e verdure condite con lo yoghurt.
Il
giorno successivo, nel primo pomeriggio siamo ritornati ad Ulaan Baatar ed
abbiamo trascorso la serata in una grande gher vicina alla piazza centrale,
ritrovo dei giovani locali, dove si mangiava una discreta pizza e veniva suonata
musica rock locale e russa.
L'indomani
abbiamo visitato un monastero buddista situato in una valle a circa 30
chilometri dalla città.
Abbiamo
potuto renderci conto della distruzione sistematica dei luoghi di culto attuata
dai sovietici durante l'occupazione del paese in quanto del grande complesso
risalente al XVII secolo rimane in piedi un solo tempio, tutto il resto è stato
bombardato. Erano però scampate alla rovina alcune belle pitture rupestri
dipinte dai monaci durante le loro meditazioni, inoltre un piccolo museo
mostrava alcune foto del luogo prima della distruzione.
E'
così arrivato il giorno della partenza per effettuare la seconda tappa del
nostro viaggio in treno. Avremmo lasciato UB e la Mongolia per raggiungere in 36
ore la città di Irkutsk, in Siberia.
Questo
tratto è servito da treni russi e in ogni carrozza sono presenti due provodnitze
(conduttrici) dall'aspetto burbero, ma efficienti e precise.
Al
solito, ci siamo sistemati nello scompartimento a noi riservato. Altri
viaggiatori occidentali occupavano la stessa carrozza ed abbiamo così
cominciato a chiacchierare. Con una coppia cinquantenne di australiani ci
saremmo successivamente incontrati altre volte, perfino tra la folla della
Piazza Rossa a Mosca.
Fin
dai primi momenti dopo la partenza del treno, ci siamo accorti di strani
movimenti di un gruppetto di mongoli con grandi borsoni e buste colme di capi di
abbigliamento, che si andavano accentuando all'avvicinarsi della frontiera
russa. I borsoni venivano svuotati e riempiti di nuovo, pacchi di maglie e
cappellini passavano di mano sotto il nostro sguardo incuriosito. Erano
contrabbandieri che cercavano di trasportare le merci da vendere in Russia,
ovviamente cercando di non pagare le tasse doganali. Ad un certo punto ognuno di
loro aveva addosso tre camicie, due cappelli, ciabatte nuove e borsetta a
tracolla, tutti gli attaccapanni del treno erano occupati ed hanno anche cercato
di affibbiare alcuni capi anche a noi turisti che abbiamo rifiutato in blocco,
pensando con raccapriccio alla possibilità di essere arrestati in Siberia per
contrabbando.
Alla
frontiera la scena era surreale: i mongoli imbacuccati sotto il sole facendo
finta di niente, mentre una squadra di doganieri russi smontava letteralmente il
treno alla ricerca di merci (o persone) nascoste.
L'operazione
è durata in tutto quattordici ore equamente distribuite tra la dogana mongola e
quella russa. Il controllo ai nostri documenti è stato tutto sommato abbastanza
sbrigativo, ma hanno trovato il modo di farci occupare il tempo facendoci
riempire svariati moduli e dichiarazioni doganali... in cirillico!
Alla
fine, contrabbandieri e militari hanno raggiunto un accordo, una parte della
merce è stata sequestrata, altra è passata e qualcosa è rimasto in caserma...
così siamo potuti ripartire.
Durante
la notte abbiamo costeggiato il grande lago Baikal, e la mattina abbiamo visto
sfilare dai finestrini immense praterie, boschi di betulle e piccoli villaggi
con le caratteristiche casette di legno dalle finestre intarsiate e
coloratissime, che avevano sostituito le tende circolari degli accampamenti in
Mongolia.
Nella
tarda mattinata siamo arrivati a Irkutsk, detta la Parigi della Siberia.
La
città, da avamposto delle truppe zariste ai confini dell'impero, all'inizio
dell'800 ha conosciuto un periodo di grande sviluppo urbanistico e culturale, in
quanto vi erano stati mandati in esilio alcuni aristocratici del movimento
"decabrista" che avevano tentato di rovesciare lo zar Alessandro I.
Inizialmente costretti al lavoro nelle miniere, gli esiliati sono stati poi
raggiunti dalle famiglie ed hanno così formato una classe colta locale che ha
contribuito alla costruzione di belle abitazioni e palazzi pubblici, teatri e
biblioteche. Oggi convivono assieme le tre architetture, quella originaria dalle
costruzioni in legno, la parte aristocratica in stile classico ed i nuovi
palazzi di stampo sovietico dall'inconfondibile forma lineare a parallelepipedo.
una casa
decabrista
Siamo
rimasti stupiti anche dal trovare, pur essendo in Asia centrale, una popolazione
quasi completamente di tipo europeo, dai caratteri slavi.
Una
bellissima gioventù (specialmente le ragazze, a mio parere...), in prevalenza
con capelli biondi e occhi azzurri, riempiva le vie principali o passeggiava
lungo gli ampi viali che costeggiano il fiume Angara.
Tutto
ciò è spiegabile col fatto che l'esigua popolazione originaria di tipo
asiatico, ha subìto nel tempo una vasta immigrazione dalle sovrappopolate terre
europee ed oggi rappresenta appena il 4% del totale e sembra, pur stando sullo
stesso meridiano di Hanoy, di essere a Praga o a Budapest.
Un'altra
cosa che si percepisce immediatamente, abituati ai costanti sorrisi dei cinesi e all'estrema gentilezza dei
mongoli, è il primo impatto scorbutico e sbrigativo con i russi. Il loro "niet"
è assoluto e senza alcuna possibilità di mediazione, la loro espressione si
lascia andare ad un sorriso molto raramente. A questo fortunatamente non
corrisponde un atteggiamento altrettanto negativo, i servizi richiesti vengono
svolti correttamente, ma non si riscontra apparentemente alcun sentimento di
simpatia o quanto meno di curiosità verso gli stranieri.
Questo
comporta la mancanza delle più comuni facilitazioni per il turista. Ad
eccezione dei grandi alberghi e ristoranti di livello internazionale, è raro
trovare un menù in inglese o almeno che non sia scritto
in cirillico e nel chiedere informazioni o presentandosi ad uno
sportello, l'addetto risponde tranquillamente in russo e veramente pochi parlano
un po' d'inglese. Le ragioni di tutto ciò credo vadano spiegate con il grande
isolamento della gente comune in quella che è stata l'Unione Sovietica fino a
poco più di dieci anni fa e la storica inimicizia con le nazioni anglofone.
A
Irkutsk abbiamo avuto qualche difficoltà nel trovare un albergo.
Seguendo
le indicazioni della Lonely Planet siamo andati inizialmente a cercare l'Hotel
Arena, ma l'impatto con le due scorbutiche proprietarie ci ha fatto subito
recedere dall'idea di soggiornarvi; il secondo tentativo è andato a vuoto
invece perché il prezzo chiesto per la camera era esageratamente più alto di
quanto riportato sulla guida e così ci siamo trovati letteralmente in mezzo
alla strada con tutti i nostri bagagli.
Dopo
vari tentativi a piedi e in tram, seguendo indicazioni sbagliate o che noi non
interpretavamo correttamente, ci siamo arresi ad un taxi che ci ha portato
all'Hotel Agat che era la nostra ultima speranza. Lì finalmente siamo riusciti
a sistemarci, seppure in una stanza non proprio economica (circa 60 euro!) con
bagno in comune e con la doccia da fare usando una batteria di pentole con
l'acqua scaldata sui fornelli: eravamo in Siberia!
Altri
segni ci ricordavano che eravamo in una delle parti più lontane e dimenticate
della grande Russia. Durante il viaggio vedevamo frequentemente grandi complessi
industriali completamente abbandonati, capannoni ridotti a scheletri corrosi
dalla ruggine e dalle intemperie, segno del disfacimento di una economia non più
all'altezza di reggersi autonomamente dopo la liberalizzazione dei mercati.
Ai
bordi delle strade inoltre erano abbandonate, ridotte a carcasse spolpate di
tutto, decine di vecchie auto e camion, tra cui le tipiche “Trabant”,
utilitarie di pessima qualità che testimoniano il tentativo fallito di
motorizzare il popolo sovietico.
vecchie
Trabant in mostra
Anche
le automobili tuttora circolanti nelle dissestate strade russe, sono in
prevalenza vecchie Lada e Moscovich costruite su licenza della Fiat negli anni
settanta. Qui la nostra Ford del ’93 sarebbe certamente guardata con
ammirazione e con un pizzico d’invidia!
La
sosta di tre giorni, oltre a permetterci di visitare questa piacevole città che
sorge sul fiume Angara, di passeggiare sul lungofiume alberato o prendere un
caffè in Piazza Lenin con l'immancabile monumento, è servita soprattutto per
fare una escursione sul lago Baikal, una vera meraviglia della natura ed uno dei
bacini di acqua dolce più importanti del pianeta.
Dalla
stazione degli autobus ogni mattina partono diversi pulmini da nove posti che
percorrono in meno di un'ora i 60 chilometri di distanza che separano Irkutsk
dal villaggio di Listvyanka sulle rive del grande lago.
Il
clima, rigido come una nostra giornata di novembre, imponeva un abbigliamento
pesante ed il paesaggio era ammantato da una sottile foschia che sfumava i
contorni delle montagne e dava un tocco drammatico alla superficie plumbea del
lago. Nel piazzale che fungeva anche da piccolo molo, le bancarelle di prodotti
artigianali erano affiancate da quelle di venditrici di pesce affumicato che
veniva preparato sul posto. Più tardi sono arrivate le "babuske"
(nonnine) con i loro carrettini colmi di frittelle ed altre leccornie come le
kartocke (specie di calzoni ripieni di patate) cucinate in casa, oltre a
grigliate di spiedini. Altre vendevano frutta come lamponi o fragole, unici
segnali che facevano ritenere di essere in estate.
venditrici
di pesce affumicato
Durante
la mattinata ha fatto scalo nel piccolo porticciolo un aliscafo col quale
abbiamo raggiunto il villaggio di Bolshie Koty, un po' più a nord. L'aliscafo
collega direttamente Irkutsk con alcuni villaggi sulle rive del Baikal,
arrivando fino a Bolshie Koty da dove riparte nel primo pomeriggio, ma dalle
informazioni ricevute il giorno precedente non avevamo avuto la certezza che
sarebbe partito, quindi abbiamo optato per il più sicuro viaggio in pulmino.
Bolshie
Koty, che significa "quattro stivali" è composto da una decina di
tipiche abitazioni siberiane in legno, una chiesetta arroccata sulla costa della
montagna ricoperta di betulle che si specchia sulla riva del lago in un
paesaggio da cartolina. Gli abitanti, un centinaio circa, vivono di pesca,
allevamento di mucche ed un po' di agricoltura. Un solo ristorantino ed un paio
di baracche che vendono biscotti e succhi di frutta, servono i turisti che
vengono qua in visita.
Ovviamente
le stradine sono in terra battuta e non esiste praticamente alcuna costruzione
in cemento.
Da
questo punto partono diversi sentieri che permettono di esplorare i dintorni ed
offrono viste stupende del lago Baikal, che è un vero e proprio museo
naturalistico a cielo aperto. Si dice che l'acqua sia così limpida che la
visibilità possa spingersi sino ad oltre quaranta metri di profondità ed in
effetti si ha l'impressione di essere in un ambiente totalmente incontaminato,
anche se anni or sono alcune cartiere riversavano nel lago le acque di scarto
della lavorazione, ma ora fortunatamente sono chiuse.
L'arrivo
di un pallido sole ci ha mostrato colori e panorami più definiti e mi ha
invitato ad entrare nell'acqua freddissima. Ho potuto resistere solo il tempo
necessario per una foto, prima di dover uscire alla svelta per non congelarmi i
piedi già doloranti!
Nel
pomeriggio siamo rientrati in hotel sotto una fredda pioggia incessante che
aveva riempito le strade di grandi pozzanghere che abbiamo dovuto
"circumnavigare" come è abituata a fare la gente del luogo.
Era
ormai tempo di ripartire, siamo quindi andati a prenotare i biglietti per la
tratta ferroviaria successiva all'interno dell'hotel Intourist, dove è ubicata
un'apposita agenzia statale e lì, una cordialissima signora - una vera
eccezione da quelle parti - ci ha fornito di prenotazioni per la tratta fino a
Yekaterinburg e per quella seguente, l'ultima, fino a Mosca.
Il
viaggio fino alla città di Yekaterinburg, sarebbe durato ben cinquantaquattro
ore, con due notti da passare in treno, ma ormai si avvicinava inesorabilmente
la data del rientro in Italia e non avremmo potuto concederci ulteriori soste
prima di arrivare a Mosca.
Saremmo
quindi partiti nel primo pomeriggio ed abbiamo così potuto dedicare un po' di
tempo all'acquisto di qualche provvista e generi di conforto e naturalmente
Tommaso ci ha scucito un altro giocattolo. Bisogna riconoscere però che nostro
figlio ha la tempra del viaggiatore, perché con un paio di Topolini che ha
letto e riletto più volte e qualche giocattolo, oltre ai compiti estivi, ha
trascorso questi lunghi periodi in treno prevalentemente guardando fuori dal
finestrino, interessato a tutto ciò che vedeva e riempiendoci di domande. Buon
sangue non mente...
Durante
il tragitto, boschi di betulle sempre più fitti andavano sostituendo la steppa
desolata man mano che ci avvicinavamo alla fine della regione siberiana.
Nelle
stazioni più grandi la sosta durava alcune decine di minuti, si poteva
scendere, fare un giretto per comprare qualcosa o approfittare delle babuske che
portavano fin sotto i finestrini i loro prodotti, frittelle farcite, dolci,
frutta, bevande e cibi cucinati che si possono acquistare tranquillamente in
questo modo, la loro qualità è sempre elevata, i prezzi spesso irrisori e
nessuno tenta mai di truffare i viaggiatori.
il nostro
treno in una stazione
Per
sapere in ogni momento dove si è, basta guardare sul lato sinistro della
ferrovia, dove ad ogni chilometro è piantato un paletto con un cartello
indicante la distanza da Mosca e per sapere se il treno è in orario bisogna
controllare l'elenco delle fermate, scritto in cirillico, affisso in ogni
carrozza, con la complicazione che l'orario ufficiale delle ferrovie è ovunque
quello di Mosca e bisogna perciò fare il calcolo della differenza di fuso a
seconda del luogo in cui ci si trovi. Semplice, vero?
A
volte ho scherzato su questo, ma imparare a leggere i cartelli e le indicazioni
in caratteri russi è relativamente semplice e può essere utile, perché molte
parole sono facilmente traducibili in italiano, come ad esempio
TYAЛET o KACCA che si leggono “tualèt” e "cassa" e
non hanno bisogno di traduzione.
Durante
gli oltre due giorni di viaggio abbiamo attraversato i grandi fiumi dell'Asia
come l'Ob e lo Yenisey, abbiamo toccato le
città di Krasnoyarsk e Novosibirsk dove ci si può rendere conto che c'è anche
una Siberia che corre, un gigante produttivo che potrà dare, in un prossimo
futuro, notevole benessere economico alla sua popolazione ed alla Russia in
generale.
Yekaterinburg
è una grande città di quasi un
milione e mezzo di abitanti, vietata agli stranieri fino a dieci anni fa in
quanto sede di industrie strategiche militari e nota anche per essere stata il
luogo dove venne trucidato l'ultimo zar Nicola II con tutta la sua famiglia.
Pur
non giustificando in alcun modo le esecuzioni sommarie, neanche quando
riguardino spietati dittatori o monarchi che nulla hanno fatto per il bene dei
loro popoli, non mi sento neanche di condividere il movimento di rivalutazione
della figura dei Romanov, che oggi sta cercando addirittura di santificarli.
Visitando
il luogo dell'esecuzione, dove sorge ora la bella Chiesa del Sangue con le sue
cupole dorate, si possono già vedere le icone che dipingono la famiglia reale
con tanto di aureole e i segni della beatificazione. Bisognerebbe ricordarsi che
questi personaggi vivevano nel lusso più sfrenato, letteralmente ricoperti
d'oro, mentre gran parte del popolo moriva di fame e di stenti in un impero
sprofondato nel medioevo, inoltre gli unici contatti con il clero e la religione
riguardavano per lo più feroci intrighi di palazzo.
Ecco
perchè vedere anziane donne in preghiera davanti alle loro immagini e
considerare questo un luogo di martirio e di pellegrinaggio, mi fa pensare come
la grande delusione avuta dal comunismo possa aver innescato una sorta di
nostalgia per un regime ancora peggiore, mentre dovrebbe essere incanalata verso
la ricerca di qualcosa di nuovo, anche se con fatica e a volte dai risultati
imperfetti.
Ma
in questa città le nostalgie non finiscono qui, molti infatti sono i ricordi
del recente passato, dalle falci e martello ancora scolpite sulle facciate dei
palazzi pubblici, tutti sormontati dalla stella rossa, ai carri armati e agli
aerei da caccia posti su piedistalli davanti alle scuole come opere
commemorative.
Il
solo monumento che ha suscitato in me una intensa emozione è stato quello posto
a ricordo dei caduti nella guerra in Afghanistan, dove un enorme soldato morente
è inginocchiato a capo chino, reggendosi sul suo kalasnikov, senza più
speranza.
Sempre
sull’argomento, una visita al cimitero monumentale Shirokorenchinskaya, ad
alcuni chilometri dalla città, è stata utile per vedere l'immenso sacrario
dedicato alle vittime dei Gulag. Anche le guerre tra bande rivali della nuova
mafia russa hanno qui la loro celebrazione. Diverse sono infatti le steli
marmoree dove sono effigiati, a grandezza naturale, giovanotti dall'aria
spavalda che sono dovuti soccombere in nome di un potere tanto effimero quanto
inutile.
La
città di Yekaterinburg non è soltanto mausolei e grandi statue, il centro
storico è moderno e piacevole, lunghi viali alberati si diramano dalla solita
piazza Lenin dove bancarelle di prodotti artigianali affiancano quelle che
vendono spille, medaglie e mostrine sovietiche, la zona pedonale ricca di caffè
e moderni fast food è frequentata da giovani ed intere famiglie per lo
“struscio” pomeridiano. Un bel parco pubblico ospita, tra gli alberi, grandi
pietre che testimoniano le diversità geologiche del territorio, tavoli
all'aperto e giochi per bambini sono molto frequentati, inoltre una comoda
metropolitana e diverse linee tranviarie permettono di raggiungere agevolmente
qualsiasi zona.
All’arrivo,
abbiamo subito cercato una sistemazione all'Hotel Sverdlovsk, proprio di fronte
alla stazione, ma era troppo caro per noi (la Lonely Planet questa volta non è
risultata affidabile come al solito nell'indicazione dei prezzi). Alla reception
ci hanno però indicato il più economico Hotel Bolshoj che si trova anche più
vicino al centro. E' un ottimo albergo dall'aspetto lussuoso, ma la camera ci è
costata solo 30 dollari a notte.
Un'ultima
annotazione sulla città è purtroppo un dato negativo: abbiamo constatato la
presenza di bambini di strada, piccoli mendicanti che, spesso in gruppi di tre o
quattro, battono , alla continua ricerca di denaro, le vie del centro e i
dintorni della stazione ferroviaria dove probabilmente trovano rifugio.
Il
fenomeno dell'emarginazione è emerso nei paesi dell'est dove il recente
benessere è ancora distribuito a pelle di leopardo e le sacche di povertà che
prima erano confuse nella comune ristrettezza economica o forse mitigate da una
maggiore solidarietà, oggi vengono inesorabilmente alla luce. Incontrare una di
queste bande in una via semideserta potrebbe non essere un'esperienza piacevole.
Dopo
tre giorni di permanenza era alfine arrivata l'ora di ripartire per completare,
con l'ultimo tratto fino a Mosca, l'intero percorso dei quasi 8.200 chilometri
della Transiberiana.
Questo
tragitto di trenta ore non è molto interessante, il paesaggio piuttosto
monotono di boschi, campi coltivati e piccoli villaggi si vivacizza un po' solo
nell'attraversare i monti Urali, (il ritorno in Europa!) con una serie di ponti
e gallerie e la fermata notturna nella città di Kazan, la capitale del
Tataristan che, con i suoi alti minareti e le moschee illuminate, ci ha
riportato per un attimo con la mente in altri luoghi...
Prima
dell'arrivo, la mattina seguente, durante la sosta nella cittadina di Vekovka,
insieme alle consuete babuske, gli operai di una vicina vetreria ci proponevano
l'acquisto di enormi lampadari, set di bicchieri e anfore delicatissime che mai
saremmo riusciti a portare a casa indenni...
Alle
11.20, in perfetto orario siamo entrati nella grande stazione Yaroslaw di Mosca,
in una caldissima giornata, finalmente estiva.
Appena fuori, sul grande piazzale dove sostavano taxi e bus, si distingueva tra gli edifici dalla pesante architettura sovietica, la slanciata silouette dell'Hotel Lenigradskaya, una delle "sette sorelle", cioè dei sette grattacieli, simili tra loro, fatti costruire da Stalin a celebrazione di se stesso negli anni cinquanta. Conservano ancora un po’ del loro fascino queste costruzioni enormi, sormontate da un puntale con all'apice una stella, con grandi statue raffiguranti operai con lo sguardo verso il futuro, che reggono la bandiera rossa.
una delle “sette sorelle”
Al
solito, il prezzo dell'hotel era fuori della nostra portata, ma la preziosa
indicazione di un'impiegata ci ha permesso anche stavolta di trovare un'ottima
sistemazione, che può essere utile a chi volesse visitare Mosca.
In
periferia verso sud-est c'è, in parte ancora in costruzione, un parco tematico
sul lavoro dei popoli nel mondo, Izmailovsky Park. Nelle immediate vicinanze
della relativa stazione della metropolitana, sorgono quattro grattacieli
identici risalenti agli anni settanta, quattro grandi hotels che allora
servivano a concentrare (e controllare) i primi turisti stranieri che arrivando
in URSS tramite l'agenzia statale Intourist, dovevano rimanere impressionati
dalla grandezza delle opere del regime a cominciare proprio dall'albergo.
Nelle
spaziose camere potrebbe ancora essere nascosta qualche “cimice”
dimenticata…
Oggi
si chiamano Alfa, Beta, Gamma e Vega. e pur essendo identici hanno
amministrazioni e prezzi diversi e nonostante l'ambiente impersonale e un po'
demodè, il Vega ci è sembrato comunque accettabile per 42 euro a notte.
Poco
lontano c'è anche un supermercato, alcuni cambiavalute, un paio di ristoranti e
una stazione di autobus con friggitorie ambulanti, tutto ciò che occorre
insomma!
Per
visitare Mosca, non è importante avere una sistemazione centrale, perché la
metropolitana, con una rete di
gallerie costituita da due anelli concentrici e una serie di raggi che si
diramano verso l'esterno, svolge un servizio molto efficiente e collega
qualsiasi punto periferico al centro, in una manciata di minuti.
Tra
l’altro, la metropolitana di Mosca è giustamente famosa anche per la bellezza
delle sue stazioni, ognuna delle quali rappresenta, in un diverso stile
architettonico, un momento cruciale della storia della rivoluzione. Chissà se
qualcuno ha già pensato di realizzarci un libro fotografico?
Avevamo
tre giorni per dare almeno un'occhiata ai luoghi più interessanti, quindi siamo
andati sulla Piazza Rossa e al Mausoleo di Lenin, abbiamo visto il cambio della
guardia al Milite Ignoto e abbiamo visitato le sale del Cremlino dove sono
conservate pregevoli opere d'arte, oro e sontuosi gioielli, tra i quali il
diamante Orloff, appartenuti al tesoro degli zar.
La
Cattedrale di San Basilio, con le sue cupole colorate, è piaciuta molto a Tommy
che ha gridato: "Guarda, papà, c'è un luna park!".
la chiesa di
San Basilio
A
pranzo siamo stati attratti dall’insegna di un ristorante italiano, dove sia
il sapore degli spaghetti alla carbonara che il livello dei prezzi ci hanno
ricordato il nostro paese…
Abbiamo
anche fatto acquisti nei magazzini GUM, diventati ormai un centro commerciale
come tanti in Europa con negozi dai marchi internazionali, soprattutto di
abbigliamento.
Molto
rilassante è stato invece il giro in battello sulla Moscowa. Il percorso
completo, della durata di oltre un’ora, ci ha mostrato alcune vedute dei
luoghi più belli della città, da Gorkij Park al campanile di Ivan il Terribile
che svetta sul Cremlino, da San Basilio all'imponente Cattedrale del Cristo
Salvatore per terminare infine davanti al monastero Novospassky Most da dove
siamo ritornati a piedi fino alla più vicina stazione della metro.
La
mattina del 17 luglio, abbiamo raggiunto in taxi (30 euro) l’aeroporto
Domodedovo (ma abbiamo constatato che vi si può arrivare anche in metropolitana
+ autobus, spendendo molto meno) da dove ci siamo imbarcati sull’aereo (Krass
Air) per Falconara-Ancona dove siamo giunti dopo tre ore circa di volo, accolti
dagli amici e dalle… tagliatelle della mamma.
Concludendo,
la capitale della Russia moderna ci è sembrata piuttosto ordinata e pulita,
anche se le molte bottiglie e lattine di birra vuote che trovavamo il mattino
nelle piazze e nei parchi, indicano che l’abuso di alcol è abituale
speciamente tra i giovani (cosa che avevamo notato anche precedentemente) e
questo non è sicuramente un segnale positivo sullo stato della società russa.
La
presenza della polizia si percepisce, ma è discreta e nonostante la costante
minaccia del terrorismo ceceno purtroppo messa più volte in pratica, non ci si
sente in stato d'assedio.
I
mercati sono pieni di merci di ogni genere, le famose file davanti ai negozi per
approvvigionarsi di qualunque cosa fosse disponibile, sono ormai ricordi del
passato.
Pur avendo avuto complessivamente un’impressione positiva, Mosca non ci ha emozionato, forse perché nel mondo globalizzato le metropoli si assomigliano tutte, forse perché eravamo ormai alla fine del nostro viaggio o forse perché avevamo ancora le immagini di grandi spazi negli occhi…
E
alla fine… diamo i numeri!
Durata
del viaggio: |
25
giorni, dal 23 giugno al 17 luglio |
Totale
Km percorsi in treno: |
8.173 |
Durata
complessiva del viaggio in treno: |
151
ore, più di 6 giorni |
Costo
totale dei biglietti aerei: * |
1.653,00
euro |
Costo
complessivo dei visti: |
536,00
euro |
Costo
totale dei biglietti ferroviari: * |
485,00
euro |
Costo
totale del viaggio: |
4.500,00
euro |
Russia,
rublo |
1
euro = 34 Rb |
Mongolia,
togrok |
1
euro = 1.400 T |
Cina,
yuan |
1
euro = 10 Y |
|
|
*
i biglietti per Tommaso hanno una riduzione del 30% (aereo) e del 40%
(treno) circa
|
Claudio Giacchetti