Thailandia: Continuare a sognare
Diario di viaggio 2015
La
mia avventura è nata diversi anni fa, dopo essermi licenziata da una vita
ordinaria per inseguire il richiamo della mia anima e ho viaggiato alcuni mesi
in Thailandia.
Sono
passati diversi anni, ho fatto tanti viaggi, ma ogni tanto, spesso, sento il
bisogno di tornare in Thailandia, per ricordarmi chi ero, quali erano i miei
sogni e che, se anche alle volte ho avuto l’impressione di essermi allontanata
un po’ da quella strada, non ho mai perso di vista la meta e ancora oggi
continuo a cercare il gusto della mia anima, ancora oggi continuo a inseguire il
mio sogno.
Sono
ripartita per un nuovo viaggio da sola, zaino in spalla, due mesi in giro per il
paradiso.
Koh Phangan, 2
Marzo 2015
Arrivare
in Thailandia questa volta non è stato facile, la gioia di partire con un volo
serale e quindi scampare la consueta notte in aeroporto a Malpensa, è stata
sostituita da un’inquietante curiosità per il volo Air India in ritardo di
tre ore.
La
Signorina al controllo biglietti, evidentemente in una favolosa fase di pensiero
positivo, è convinta che questo non significherà perdere la coincidenza che da
Delhi mi porterà a Bangkok, nonostante la durata del transito sia proprio di 3
ore… ovviamente ha torto.
Dopo
una lunga attesa nell’aeroporto Indiano e dopo averci proposto lo stesso volo
di quello perso, ma 24 ore dopo (What??? Quasi quasi preferivo l’ottimismo
dell’hostess new age) finalmente ci riproteggono su un volo Delhi-Mumbai, in
business class…!
Salgo
sul volo, mi sembra di essere una bambina che esce di casa per la prima volta, i
sedili sono ampi e si allungano come letti, la coperta e il cuscino non mi fanno
venire i capelli elettrici e nell’aria c’è qualcosa che… profumo?!
L’assistente
che sembra il Capitano Stubing del telefilm “Love Boat” ci porta subito un
panno umido per rinfrescarci e un succo che mi ridona vita dopo le assetate ore
di attesa.
Mi
sistemo comodamente, iniziando a schiacciare tutti i tasti del poggiabraccia per
vedere cosa muovono, e rido da sola.
... Poi
noto alla mia destra una signora che mi guarda con faccia inorridita e si copre
il volto con un velo (avrò sbagliato destinazione?).
...E
alla mia sinistra quello che immagino essere un pilota della linea aerea che
torna a casa, vestito tutto lindo e profumato con la sua bella uniforme bianca
che fa spiccare ancora di più gli scuri tratti indiani… anche lui mi fissa
come se avesse visto un alieno.
Al
chè finalmente prendo coscienza del fatto che sono in una costosissima business
class, vestita con gli stessi ormai non più profumati (oh my god!) vestiti da
più di due giorni, che definirei abbigliamento da battaglia (Jeans consumati,
scarpe da ginnastica, felpa legata in vita, t-shirt) e comprendo gli sguardi
straniti degli altri passeggeri. Che ridere.
Altra
sosta in india a Mumbai, e poi, con 12 ore di ritardo (per fortuna in ottima
compagnia di una coppietta davvero deliziosa, miei compagni di sventura da Delhi
in poi), alle 7.30 di mattina arrivo a Bangkok. Ben due ore nel traffico per
arrivare a Kao San Road, la via che di solito uso come base quando arrivo in
città.
Ma
cosa faccio ora?
La
notte ormai è persa, non voglio restare troppo perché è una città
estremamente pesante per me. Prendo una stanza per qualche ora per riposare e
fare una doccia, e alle 18:00 eccomi di nuovo in viaggio con il bus notturno da
Bangkok a Chumphon per prendere, all’alba, il traghetto che mi porterà alla
mia prima destinazione. Koh Phangan.
Viaggio
da incubo, bus vecchissimo addobbato come un albero di natale, aria condizionata
a palla, un’orribile puzza proveniente dal piccolo WC che con il passare delle
ore aumentava. Tutto regolare come i tanti spostamenti già fatti in Thailandia
in passato.
Arriviamo
al piccolo porto di Thong Sala a Koh Phangan, io fiera del mio bagaglio a spalla
di soli 10kg scendo per prima senza dover passare nella ressa delle valige
ammassate, tranquilla come se stessi entrando nel salotto di casa mia, e un po'
così mi sento.
Un
omino thai mi viene incontro offrendomi il suo taxi, che viene fuori essere una
moto, e mai come ora sono felice di poterne approfittare grazie ad uno zaino così
poco ingombrante. Così nel giro di pochi minuti eccomi sfrecciare con il mio
amico centauro (faremo si e no i 30 km orari) verso la mia meta dove, sono
sicura, troverò la salvezza dell’anima.?.
Ed
eccomi finalmente vicino al villagio di Sri Tanu, all’Orion
Healing Center, dove resterò
per i prossimi 10 giorni per digiunare e ripulirmi dal grigiore della città
e di ricordi non più utili.
Come
ricordavo dall’ultimo viaggio qui di due anni fa, è un luogo bellissimo in
riva ad un mare così cristallino da sembrare una piscina, circondato da una
natura verde e ancora selvaggia a pochi minuti dal paese semi deserto.
Una
struttura centrale dove si trova il piccolo ristorante con cuscini ed amache su
cui impigrirsi nei caldi pomeriggi Thailandesi, palme, graziosi bungalows
perfettamente integrati nel paesaggio, una pagoda per lo yoga. Magnifico.
Inizio
il digiuno, che è meno difficile e meno pesante di quanto uno possa aspettarsi,
sarà che lo fanno quasi tutti e come si dice: mal comune...
Le
giornate trascorrono serene, intervallate dagli appuntamenti per il latte di
cocco, o il brodo, o gli integratori, o la pulizia del colon… che gioia… e
nell’aria si ascolta sempre una lieve musica che arriva dai momenti di
meditazione o dalle lezioni di yoga.
E
tutto si muove così, lento, tranquillo, cullato dal vento e dal rumore delle
leggerissime onde, dal volo degli insetti, dal canto degli uccelli. L’italia,
la città, la realtà degli ultimi 38 anni, sono ancora una volta molto lontane,
e ancora una volta mi sembra impossibile essere la persona che vive quella vita
che conosco ed anche la persona che vive questa strana vita parallela.
Anche
questa volta, come spesso mi è successo con la Thailandia, non so con chiarezza
perché sono qui, sapevo solo che dovevo venire, cosa porterà lo scoprirò
nelle prossime settimane, ma un giorno alla volta.
Del
resto come ogni cosa nella vita.
Koh
Phangan, 15 Marzo
Perché
Thailandia?
È
la quarta volta che vengo in Thailandia. Ogni volta che posso, che ho dei soldi,
che ho delle settimane, vengo qui. Ma spiegare il perché non è facile.
La
prima volta è stata nel 2007 ed è stata la linea di confine rispetto ad una
vita che non sentivo più mia. Lasciata quella vita, girato la Thailandia per
quasi tre mesi, a quella vecchia vita fatta di ufficio, routine, treno di
pendolari, non sono più riuscita a tornare.
Questo
paese mi ha fatto qualcosa, un incantesimo… O forse una maledizione… non lo
so, so solo che ogni volta che torno a casa, dopo un certo periodo, a volte
mesi, a volte anni, ad un certo punto la Thailandia diventa una malattia. I
ricordi iniziano a diventare dolorosi, e l’unica cosa che posso e riesco a
fare è tornare.
Ma
che cos’è la thailandia per me?
Rappresenta
quel luogo dentro di me in cui tutto è possibile, in cui vive la magia, in cui
avvengono i miracoli, solo che lo vivo all’esterno, posso interagire con le
cose, con le persone, posso partecipare al miracolo, posso essere il miracolo.
Tutti
hanno dentro di sé un luogo del genere e tutti hanno nel mondo un luogo che
corrisponde esattamente a quello spazio interiore, uno spazio in cui
potersi guarire, conoscere, amare. Tutti hanno quel luogo speciale, solo che non
lo sanno perché magari non ci sono mai arrivati.
Ma
io si.
Come
si può vivere una vita sapendo che quel luogo esiste e non fare di tutto per
tornarci, almeno di quando in quando?
Ma
ancora di più, come si può vivere senza trovare quel luogo?
Come
si può vivere senza conoscere mai quel se stesso felice, rilassato, sano, nel
massimo potenziale, nel massimo della fiducia?…
Come
si fa?
O
forse è meglio non scoprirlo mai e continuare a credere di essere quello che ci
hanno insegnato che siamo?...
Quello
che è certo è che a me non è più concesso rimanere nel dubbio, quella
pagina, in quel libro, l’ho già girata, l’ho già letta e non posso più
far finta che non esista.
Non
so se è il luogo, o l’alchimia del luogo con la mia energia, ma dopo qualche
settimana, spesso addirittura dopo qualche giorno, il mio corpo inizia a
cambiare. Il mio viso, la mia salute, tutto sembra tornare ad una sua ancestrale
armonia, tutto inizia a muoversi come secondo un’antica danza perfetta,
semplice, fatta di piccole cose dolci, pulite, sentite, che mi nutrono. E non è
perché qui le preoccupazioni sembrano appartenere ad un altro universo, ma
perché qui nessuno ha bisogno di essere niente di diverso da ciò che è, qui
nessuno ha bisogno di cercare di conquistare niente, di conquistarsi il diritto
di vivere.
Eppure
questa Thailandia è sempre diversa, e così io.
Spesso
mi trovo a confrontare i ricordi di quella prima incredibile esperienza, con la
realtà di una Thailandia che è tutto tranne che perfetta, piena di fortissimi
contrasti, di giochi continui tra la luce e l’ombra dei thailandesi e della
loro cultura.
Ogni
volta l’illusione di aver trovato un paradiso si diluisce un po’, come quel
vestito che da ragazzina amavi tanto, ti calzava perfetto e ti faceva sentire
una principessa. Gli anni passano, quel vestito pian piano invecchia, come te,
non ti sta più così bene, ma non te lo dice il cuore di chiuderlo in un
cassetto. Non ancora. Non sei pronta. E così ogni tanto lo indossi, ti specchi,
non capisci se a cambiare sei stata tu o lui, eppure ha ancora quella magia che
nessun altro vestito ha mai avuto.
Anche
qui in Thailandia c’è qualcosa che ogni volta sembra cambiare tutto
completamente anche se è magari un unico particolare, ma è quel particolare
che improvvisamente riempie tutto, oppure svuota tutto.
Come
il thai coffee con il latte condensato, che 8 anni fa trovavo ovunque e poi è
scomparso, come se non fosse mai esistito.
O
i branchi di cani selvatici che alle volte diventavano addirittura pericolosi,
questa volta, almeno qui a Koh phangan sono scomparsi e sono invece comparsi
diversi ristoranti vegani e scuole di yoga.
O
ancora i fisherman pants, i pantaloni thai che tradizionalmente vengono
utilizzati dai pescatori (da qui il nome), molto larghi che si adattano ad ogni
taglia e ad ogni statura, che prima erano esposti ovunque e quasi non si poteva
acquistare altro, e che ora sono stati sostituiti da pantaloni così variopinti
da sembrare quasi ipnotici.
E
io sono qui immersa in una natura da cartolina, la tranquillità delle spiagge
semi deserte, le sere tranquille con il sonno che arriva in fretta, il rumore
del mare. L’isola di Koh Phangan è veramente un piccolo paradiso, come
tante altre isole in questa terra meravigliosa. Famosa per il full moon party
che si svolge nel sud dell’isola, regala anche angoli dedicati ad un altro
spirito, non quello dei secchielli stra colmi di cocktail, ma quello divino,
quello dell’integrità di corpo, mente e anima.
E
poi spiagge mozzafiato, snorkeling in una barriera corallina non eccezionale,
almeno quella che ho potuto vedere io nel nord, ma sfondo di gradevolissimi tour
in barchette così piccole che quando ti ci fanno sistemare in 20, ti danno
tante di quelle raccomandazioni (non alzarti, non muoverti, non fumare…
respirare?) da desiderare di farti il segno della croce, ma ops, vietato anche
quello sennò affonda.
…
Bellissimo, un sogno, un paradiso. Ma questa non è la Thailandia che conoscevo,
che sono venuta a ritrovare. Il nord, ecco quello che cerco, il verde della
giungla, la pace dei templi, l’odore dei fritti.
Questo
ritroverò da domani, lasciando quest’isola e risalendo verso Bangkok e poi
Chiang Mai, e poi chissà. Ora so che non sono fatta per il paradiso, non mi ci
riconosco.
Ma
ci ho messo un po’ a capirlo… ci sono luoghi, energie, tempi, in cui è
facile perdersi, fermarsi, dimenticare che stavi viaggiando, che ti stavi
muovendo verso qualcosa. Questo mi è accaduto nelle ultime settimane, dovevo
restare qui nel piccolo paese di Sri Tanu al massimo dieci giorni, per fare il
digiuno, recuperare le forze e poi ripartire. Sola, come in tutti i viaggi che
più ho amato. Ma poi qualcosa è successo.
Le
persone.
Ecco
cosa mi è successo.
Di
solito sono molto gelosa dei miei spazi, del mio tempo, dei miei luoghi
“sacri” in cui meditare e ritrovare me stessa, per questo viaggio da sola,
ma questa volta l’unica disponibilità per dormire all’Orion
Center era il dormitorio,
e mi sono detta:
<<Perché
no? Devo rimanere solo pochi giorni>>.
E
addirittura per giorni eravamo solo due in uno stanzone per 14.
<<Che
fortuna mi dicevo>>. Come sbagliavo.
Pian
piano il digiuno finiva e i letti si riempivano. E così il mio cuore, che
svuotandosi da vecchi ricordi ha iniziato a fare spazio a nuovi visi, nuove
parole, nuovi abbracci.
E
così queste persone sconosciute, nel dormitorio come nei luoghi comuni in cui
il cibo e la mancanza di cibo sembravano essere gli unici discorsi di
“peso”, sono diventate la cosa importante.
Prima
l’osservare le stranezze e le singolari inclinazioni di ognuna, con curiosità
mista a fastidio, imparare pian piano ad apprezzarle e poi addirittura ad
amarle… per vedere che quelle stesse stranezze potevo accettarle in me
stessa… sentirmi libera e autorizzata ad esprimermi senza la sensazione di
invadere gli spazi degli altri, con il piacere di avvertire che l’invasione
altrui nei miei momenti, era in verità un enorme dono.
Ora
so che uno dei motivi per cui amo così tanto la Thailandia è che quando sono
qui l’unica cosa importante sono gli altri. Tutti quegli altri che mi
circondano. Il tempo è speso non tanto nell’osservare e vivere i luoghi, per
quanto meravigliosi, quanto ad ascoltare le persone, a condividere esperienze,
emozioni, paure e sogni. Ecco cosa manca nella vita di ogni giorno, questo
contatto vero, semplice, spontaneo. Il tempo di parlare per parlare, per
ascoltare, per conoscere davvero. E se è vero che nessun uomo è un’isola, a
volte è proprio un’isola che può aiutare a ricordare che cosa questo
significhi.
E
così, dopo alcune settimane comprendo che quello che ogni volta torno a cercare
qui in Thailandia, non è il luogo che anni fa ho visitato e lasciato, ma una
persona che qui ho conosciuto, che mi ha sorpresa, che ho amato. Ed è quella
persona che ogni volta torno a cercare perché spesso a casa mi dimentico che
volto abbia. Qui, lasciando andare tutto ciò che credo di dover trattenere per
non sentire mancanze ma che in realtà crea solo eco nel vuoto, qui ritrovo
quella persona, ne ricordo il nome, ne rivedo il volto, ed è il mio.
BANGKOK,
Thailandia, 17 Marzo 2015
Qualche
giorno fa ho lasciato Koh Phangan, in parte dispiaciuta, ma non vedevo l’ora
di risalire verso il nord.
Il
taxi mi porta al porto internazionale di Thong Sala, che non si può definire
proprio moderno… la biglietteria è un gabbiotto che sta in piedi per
miracolo, la zona ristoranti una riga di carretti ambulanti di fritti, succhi e
inquietanti cose che non posso credere siano commestibili, piazzati al sole
lungo la banchina di attracco.
La
sala di aspetto una tettoia senza pareti, con le sedie più sporche che io abbia
mai visto, ovviamente insufficienti per i tanti viaggiatori in attesa che pian
piano si accumulano ed iniziano a sedersi per terra.
Faccio
il check in, mi appiccicano addosso due adesivi colorati che indicano la mia
destinazione e sembro appena uscita dalla discoteca.
Tra
la folla di persone in infradito e abitini inesistenti che già so,
vedrò tremare nella terrificante aria condizionata del Ferry e del bus, vedo
una ragazza vestita esattamente come me, secondo la sapiente e antica saggezza
europea:
jeans
leggeri, canotta, felpa in vita e scarpe da ginnastica. Solita tenuta da
battaglia insomma.
Siamo
le uniche abbigliate così. Le cose sono due, o è italiana o…
...
Maria, di Madrid, e certo! Prima o poi tutti conoscono una Maria di Madrid e
oggi è arrivato il mio momento, è quasi un passo iniziatico che, sono certa,
mi stia consacrando a cittadina del mondo, sono pronta!.
Ovviamente
facciamo subito comunella, saliamo sulla nave, che invece di 3 ore ne impiega 5,
invece che portarci sulla terra ferma a Surat Thani come scritto nel biglietto,
ci porta a Chumphon. E il bus notturno (allestito più assurdo che mai con tende
verdi da letto a baldacchino e un’intera fioriera che prende tutto il vetro
davanti, ma perché???) invece di farci arrivare a Bangkok alle 6.30 del mattino
ci scarica nel pieno della notte, alle 3.30.
Tutto
regolare.
Non
sai come, non sai che strada farai, sai solo che prima o poi arrivi.
Troviamo
una stanza che, non si capisce come, decidiamo di dividere, si vede che la mia
anima proprio non è pronta a lasciare andare gli altri.
Dopo
una breve notte di sonno, iniziamo a girare per la zona di Kao San Road e
Rambuttri village e, forse per il meraviglioso e tranquillissimo effetto sedante
di Koh Phangan, (non ne potevo più), o forse come conseguenza del digiuno non
lo so, guardo queste incasinatissime, sporchissime e puzzolenti strade... e me
ne innamoro.
Così.
A
tradimento.
Improvvisamente
non mi sembrano così brutte, così sporche, così rumorose. L’odore dei
fritti, le urla dei venditori, le bancarelle che vendono insetti, la musica dei
bar per turisti, i massaggiatori che cercano di buttarti sulle poltrone per i
massaggi ai piedi che spuntano ovunque come aiuole… amo tutto, tutto mi
mancava e non lo sapevo. Ora si mi sento davvero sazia, non era dal cibo che
stavo digiunando, ma dalla vita.
Maria
è una compagna davvero piacevole per le poche ore che passiamo insieme prima
della sua partenza per tornare a casa.
Cambiamo
guest house (che sono le pensioni economiche di cui la Thailandia è
piena). Andiamo a chiedere nel luogo dove solitamente mi appoggio e per fortuna
hanno una stanza.
New
Joe Guest house, in un piccolo
vicolo parallelo a Kao San Road, lontano dal rumore ma vicinissima alla vita.
Questo è stato il primo luogo in cui ho dormito 8 anni fa nel mio primo viaggio
in Thailandia e l'ho adorato subito.
Non
si può dire che le stanze siano accoglienti, anzi, veramente basiche, letto, un
comodino, nessun armadio, un bagno piccolissimo senza piatto per la doccia
quindi la doccia diventa il bagno intero (qui è normale così).
Tutta
la struttura è vecchia, la manutenzione sembra essere un concetto astratto, ma
ha all’ingresso un delizioso ristorante tranquillo, immerso nelle piante,
molto fresco, con ottimi piatti e quel gusto del viaggio che, come in ogni luogo
magico non ti sai spiegare, ma ti si appiccica addosso e da quel momento non te
lo togli più.
Quindi,
nonostante sia veramente spartana, non posso che consigliarla con il cuore.
Maria
è partita, ma visto questo rinnovato e inaspettato amore per la città,
avendola sempre usata come luogo di transito ma mai visitata, decido di fare la
turista e restare per qualche giorno.
Voglio
visitare il Tempio Wat Po, non è lontano dalla zona in cui mi trovo quindi
decido di andare a piedi. Sotto il già cocente sole delle 10.00, ho la
terribile leggerezza di chiedere la direzione ad un taxista…
...
Mai mai mai! Mai chiedere info ai thailandesi a Bangkok, nemmeno a quelli che
sembrano ingenui passanti, ti manderanno di sicuro nella direzione sbagliata,
oppure ti diranno che il luogo in cui vuoi andare è chiuso per qualche strana
ricorrenza, ma aprirà nel pomeriggio, e tutto questo per costringerti ad
affidarti ai taxi o ai tuk tuk. Li odio. Giuro! Questa cosa proprio non riuscirò
mai ad ingoiarla.
Comunque,
dopo aver sbagliato strada un po’ di volte a causa delle fantasiose
informazioni che ricevo, finalmente arrivo al tempio aggregandomi ad una coppia
italiana, Dio ti ringrazio, buon sangue non mente! E in questo caso non è solo
un modo di dire!
Wat
Po è un famosissimo tempio e la scuola di massaggi più antica della
Thailandia. All’interno si trova il Buddha sdraiato, prende tutta la lunghezza
del tempio per 48 m e 15 di altezza. Devo dire che toglie il fiato talmente è
maestoso.
Come
sempre entrare nei templi mi riempie l’anima di pace, il fresco che c’è
all’interno con tutte le pareti spalancate, i piedi scalzi a contatto con il
pavimento e i tappeti, l’odore di incenso, le preghiere dei monaci in
sottofondo e il vociferare leggero dei turisti.
Qui
c'è l'usanza che una donazione di 20 baht (circa 50 centesimi di Euro) te la
cambiano con decine di monetine, ci si mette in fila e una monetina alla volta
viene inserita in una riga di ciotole, immagino recitando preghiere o richieste.
Io nel dubbio ripeto un grazie per ogni monetina, che non guasta mai.
Vorrei
vedere altro, ma fa davvero un caldo insopportabile.
Alla
sera giro un po’ per le vie e di nuovo rimango sorpresa da come la mia
percezione dell’ambiente sia cambiata. Mi sembra tutto così interessante,
piacevole, accogliente. I ristoranti sono semplici e pieni di lucine che
sembrano addobbi di natale, locali un po’ più moderni si affiancano a
tavolini improvvisati intorno ai carretti degli ambulanti, che fanno i cibi più
invitanti e più buoni. Almeno quelli che riesco ad identificare e che non
sembrano essere "cose" che saltano o strisciano...
Ma
come si fa a descrivere quello che si percepisce nell’aria, quello che si vede
e quello che invece, trasparente, ti attraversa come la carezza di un angelo?
No
non si può.
Se
uno non viene qui a vedere con i suoi occhi, ad annusare, ad ascoltare, non saprà
mai quanto pieni possano essere i sensi, quanto nutrita può essere l’anima.
Mi
siedo in un piccolo ristorante, il menù è così logoro che quasi non riesco a
leggere, il tavolo si muove così tanto che devo restare immobile sennò cado
con lui. Ordino un meraviglioso curry, perchè dopo il digiuno l'altra novità
è che improvvisamente amo la cucina thai che prima detestavo.
E
osservo…
Le
persone che passeggiano lente.
I
turisti con le gambe ancora bianche.
I
thai che passano a piedi o in bicicletta.
Le
lucine.
Le
bancarelle.
Il tempo sembra quasi rallentare.
I
gestori del ristorante giocano con i loro bimbi, perché qui tutta la vita si
svolge insieme, non esiste separazione tra casa, ristorante e famiglia. Stanno
tutti insieme sempre, quindi mentre mangi è normale vedere la famigliola che fa
le sue cose domestiche, vestiti in pigiama, con le moto parcheggiate dentro al
ristorante, la figlia che si fa la tinta ai capelli, i bimbi che giocano o
guardano la tv, gli animali domestici e non, che girano in cucina e sotto la tua
sedia.
Ed
è normale così. E’ perfetto così. Tutta la vita in un istante.
Tutta
la realtà che normalmente uno tiene per sé nell’intimità delle mura
domestiche, qui ti viene sbattuta in faccia.
Guardo
i bimbi del ristorante, piccolissimi, di pochi mesi o anni ciascuno, che giocano
e ridono e cadono. I genitori un po’ guardano loro, un po’ il gatto, un
po’ la cottura del mio curry.
Poi con l’occhio della mente guardo me stessa, lontana dalla vita che chiamo
realtà e che conosco da sempre, da sola, immersa in questo strano, stravagante,
inebriante momento e
Mi
sento commossa.
Grazie
Dio.
Grazie
Geo.
Sorrido.
BANGKOK,
18 MARZO 2015, mercato galleggiante e tempio delle tigri
Parto
per questa escursione di una giornata, e sono piuttosto curiosa.
Nei
miei precedenti viaggi in Thailandia non sono mai stata una grande turista, ho
sempre preferito godermi il luogo e le persone piuttosto che visitare i posti
turistici.
Ma
questa volta non so perché ho questa smania di vedere, di conoscere.
È
sempre molto facile organizzare escursioni qui, basta andare in un’agenzia di
viaggio, o spesso addirittura nel proprio albergo o nella propria guest house,
dire dove si vuole andare che di sicuro c’è già un tour preconfezionato, e
di solito più che abbordabile economicamente.
Gli
addetti dell’agenzia ti vengono a chiamare addirittura dove alloggi, alle
volte ti portano con un mini van nel luogo in cui l’escursione vera e propria
parte, riunendoti con altri che faranno il tuo stesso giro.
Alle
volte ti vengono a chiamare e ti fanno fare diversi giri a piedi, per radunare
gli altri partecipanti.
Tutto
regolare.
Ti
appiccicano addosso un adesivo colorato che indicata la tua destinazione, e a
quel punto sei completamente nelle loro mani. In generale molto comodo, in
particolare non sai mai cosa succederà.
Arriviamo
dopo un paio d’ore al fiume che porta al mercato galleggiante, ci fanno salire
su una longtale boat, barche sottili con un timone molte lungo che sembra una
coda, da qui il nome, e ci portano fino al mercato.
Qui
passiamo sulle piccole barche spinte con una canna di bambù, perché i piccoli
rivoli del mercato sono sempre intasati, è impossibile muoversi con marche a
motore.
Ma
che meraviglia!! Che mondo incredibile si apre ai miei occhi. I più bei colori
della merce Thailandese, dalle stoffe, ai Buddha, ai soprammobili, al cibo,
tutti esposti lungo le sponde del fiume, che si riflettono sull’acqua creando
dei mondi paralleli di specchi ondulati. Non solo, la merce e il cibo viaggiano
anche sulle piccole barche.
E
ti sembra che tutta la vita ti entri direttamente nel cuore.
Hai
tutto a portato di mano, e di vista e di olfatto. Tutto così vicino da
sembrarti quasi una seconda pelle. Le persone, le cose , gli oggetti.
Che
emozione indescrivibile. sembra di assistere ad uno spettacolo teatrale, di cui
tu stesso entri a far parte.
Che
immersione totale nell’umanità.
Se
desideri acquistare o vedere qualcosa, basta toccarla, e il venditore sulla
sponda aggancia la tua barchetta con un lungo bastone ad uncino e ti avvicina
per contrattare.
Oppure
nel momento in cui le barche si bloccano perché ce ne sono troppe per passare
tutte insieme, e succede di continuo, hai il tempo di comprare, di contrattare,
di farti fare uno street food al momento, anzi, in questo caso un river food.
Incredibile. Ne vale più che la pena!
Lasciamo,
a mio malincuore, questo meraviglioso mercato, per andare a visitare il ponte
sul fiume Kwai, diventato famoso per un film.
La
sua macabra storia racconta degli uomini (militari degli eserciti olandese e
americano) che nel giro di poche settimane hanno costruito il ponte, durante la
seconda guerra mondiale, e che sono poi stati tragicamente uccisi insieme ad
altre decine di migliaia di civili della zona.
La
storia è terribile ed affasciante, il ponte è… un ponte. Sarà stato il
caldo torrido, ma non posso dire di aver gioito della visita, dopo due
fotografie sono dovuta scappare all’ombra.
Ma
visita molto più particolare, e ultima tappa del nostro tour, è stato il
Tempio delle Tigri.
In
teoria queste tigri vivono serenamente e pacificamente nel tempio, addomesticate
e coccolate dall’amorevole cura dei monaci. Quindi mi aspettavo di trovarle
libere, a gironzolare per il tempio, ovviamente sotto la sorveglianza degli
addetti.
Ma
aimè le cose non stanno così, questi animali magnifici vengono tenuti
incatenati e sicuramente drogati, come se fossero dei fenomeni da baraccone.
Tutte, e sono parecchie, in un recinto, come se ce ne fosse bisogno con le
spesse catene che le tengono bloccate.
Gli
addetti, che non sono monaci, e di monaco ce n’era uno solo, fanno entrare i
turisti uno alla volta, o in piccoli gruppi.
Ti
prendono per mano, ti fanno avvicinare alla tigre di turno, ti scattano loro la
fotografia, e di nuovo ti prendono per mano per condurti alla tigre successiva.
E
questi gattoni, perché dell’istinto del predatore non hanno più nulla, sono
li, quieti, quasi non si muovono, alle volte si mettono a pancia in su, proprio
come un animale domestico.
E
tu sei talmente spostato velocemente da un felino all’altro, con questa
persona che ti tiene la mano come se fossi un bambino al parco, che quasi non ti
rendi conto di quello che avviene.
Certo,
all’idea di toccare una tigre, che magari proprio in quel momento non si sa
perché potrebbe avere l’unico scatto felino della sua vita e scaricarlo su di
te… un po’ di brividini te li mette. E anche la prima che tocchi, anche se
è mezza addormentata, è talmente grossa che non ti permette tanto di
dimenticare che se solo volesse, tu saresti solo un ciuffo di capelli e un
lontano ricordo.
Ma
il fatto è che non vogliono, non possono volere nulla, perché della loro
natura probabilmente non sanno nemmeno più dell’esistenza, e questo fa
veramente tristezza. Fa pena. Fa infuriare.
Ma
noi uomini siamo esperti nel togliere la libertà e la dignità agli altri, lo
facciamo con i nostri simili, figuriamoci con gli animali.
Anzi,
guardando queste tigri, mi sembra di vedere come spesso viviamo noi, che
crediamo di essere chissà cosa, i più furbi di tutti, e poi ce ne restiamo ben
bene incatenati alla nostra routine, alle nostre certezze, alle nostre paure.
L'unica
differenza è che le tigri anche volendo non potrebbero liberarsi perchè c'è
l'uomo a tenerle prigioniere.
Noi
invece potremmo trovare la libertà, eppure c'è anche lì un uomo che ci tiene
prigionieri e quell'uomo siamo sempre noi.
Quindi
onestamente non so se tornerei, non posso dire a nessuno cosa fare, e non voglio
essere ipocrita nel dire che una parte di me non è stata curiosa, e anche
emozionata… ma nella mia anima è restata una ferita… e forse, non ne vale
la pena…
Chiang
Mai, Thailandia, 22 Marzo 2015
Dopo
Bangkok sono arrivata a Chiang Mai, solito bus notturno, solita notte in bianco.
Arrivo alle 7 di mattina e mi butto alla ricerca di un posto per dormire.
Ma
cos’è successo alla Chiang Mai che ricordavo?
Le
guest house in cui dormivo in passato hanno raddoppiato i prezzi, che adesso, un
po’ per l’aumento un po’ per il cambio sfavorevole della moneta, costano
intorno ai 12-14 €uro, che non è tanto in generale, se non fosse che in
passato sono riuscita anche a pagare 3 €uro a notte in una guest house con
piscina.
Per
fortuna trovo una pensioncina molto economica e comoda, (D. N. House, 2 Soi 1
Ratchadamnoen Rd. Tel. 053-213153) non è tra le migliori che ho visto, ma ha un
bell’ingresso fiorito e la stanza è freschissima, cosa da non sottovalutare
con il caldo assurdo che c’è già alle 8.00 di mattina.
Sono
delusa. Non riconosco più il mio paradiso.
Sembra
un posto modaiolo, con bar e ristoranti occidentali, anche questi “costosi”,
con le cameriere thai vestite da cameriere… cosa assolutamente mai vista in
Thailandia, di solito sono vestite come capita, alle volte sembrano quasi in
pigiama, alle volte lo sono veramente!
Mi
sento persa, questo è il luogo di cui mi sono innamorata la prima volta in cui
sono stata in questo paese. E' il luogo che per me era davvero un paradiso,
certo, con tutte le contraddizioni dei paradisi “umani” e non divini, ma mi
sentivo a casa, felice, nel mio posto speciale.
Volevo spostarmi subito a Chiang Rai e tornare poi per restare alcuni giorni
prima di partire, ma non me lo dice il cuore di lasciare la mia Chiang Mai con
questa terribile sensazione, con questa delusione.
…
E
ho fatto bene, dopo qualche ora di sonno vado a fare un giro per i templi… ed
eccola di nuovo, la rosa del nord come la città viene chiamata, riecco tutta la
sua bellezza che sembrava nascosta sotto strati di trucco.
Come
quell’amica che conosci da sempre, con la quale andavi a bere, a ballare, a
divertirti e che improvvisamente sembra aver fatto fortuna.
Arriva
tutta imbellettata, ti guarda dall’alto in basso come se non fossi quasi più
degna di lei e non la riconosci più. Ma poi basta una birra e un po’ di
musica, ed eccola lì, di nuovo lei, di nuovo a far casino insieme… certo
parlando di templi magari l’immagine non calza… ma eccola qui.
La
mia amica.
Il
mio paradiso.
È
cambiato, ma è ancora il mio luogo speciale.
Per
chi ama i templi, o l’immagine del Buddha, come me, Chiang Mai è il posto
ideale, ne è letteralmente invasa. In mezzo al nulla o a palazzi grigi,
sporchi e fatiscenti, compaiono queste perle di bellezza, piene di colori,
intarsi, immagini dell’illuminato. In questa zona ce ne sono a decine,
alcuni semplici, alcuni più elaborati.
A
colpo d’occhio possono apparire tutti simili tra loro, ma ogni tempio ha la
sua particolare energia, alcuni sembra che ti accolgano, altri che ti
respingano, altri ancora che ti osservino.
Oltre
al tempio centrale, girovagando per il giardino, si trovano sempre altre
costruzioni minori, piccoli altari, statue di Lord Buddha, come lo chiamano
loro, giardini ormai lasciati incolti, oppure meravigliosamente curati. Ed è
questa la parte che amo di più, quella dei segreti, della storia, di
quell'immagine che non è perfetta per le fotografie.
Mi
piace anche cercare di andare dietro all'altare principale all'interno dei
templi. Spesso si trovano vecchi oggetti pieni di polvere, libretti di
preghiere, offerte all'illuminato. Mi sembra quasi di poter respirare momenti
persi nel tempo, come se venissi catapultata in qualche vecchia cerimonia e
riuscissi a vederne le immagini…
...
i monaci, il tempio al massimo del suo splendore, i mantra ripetuti in
sottofondo.
E
io mi sento così appagata, mi basta varcare l’ingresso del giardino, ancora
prima di entrare nel tempio di turno, per sentirmi quieta, in pace, protetta,
piena d’amore. Forse è per questo che Chiang Mai è un luogo così magico per
me.
Di
questa mia decisione di restare qualche giorno, ne è causa anche la voglia di
vedere il Sunday Market, il mercato che viene fatto ogni domenica.
Nella
zona vicino al Tha Pae gate (una delle porte delle antiche mura che circondavano
la città) vengono chiuse molte strade per allestire questo mercato
meraviglioso.
Per
me è uno dei mercati più belli mai visti, forse il più bello in assoluto. È
enorme, e bellissimo, è vivo.
I
colori delle stoffe delle tribù del nord, il profumo dei cibi, le poltrone per
i massaggi ai piedi, le piccole orchestre di bambini che suonano in mezzo alla
strada. Le bancarelle piene di luci. La musica Thai nell’aria. Anche i
giardini dei templi vengono riempiti di bancarelle e ristorantini improvvisati.
E’
incredibile come la parte spirituale dei templi e quella più materiale della
vita, sia così intensamente mescolata, senza separazione. Lo spirito e il
corpo, tutto un’unica cosa, come sempre dovrebbe essere.
E
per chi ricorda il “freeze” che andava di moda in televisione qualche mese
fa, qui ne hanno uno totale, pazzesco.
Alle
18:00 viene suonato un inno al Re, e tutti immediatamente si bloccano, sul
posto, così com’erano.
Vi
immaginate durante l'immenso sunday market, un’intera città, forse
un’intera nazione, di thailandesi e turisti, immobile per un minuto, come se
fosse un gioco? Eppure è la loro realtà.
La
thailandia, nonostante sia molto cambiata, nonostante stia sempre di più
indossando una maschera occidentale, vive ancora delle sue tradizioni, delle sue
piccole cose, delle sue superstizioni, delle sue immagini sacre, del suo passato
al quale, in fondo, rimane profondamente attaccata.
Si
è valsa la pena restare qualche giorno di più, per ritrovarmi di nuovo e
finalmente a “Casa”.
CHIANG
RAI, 25 Marzo 2015
Vado
alla stazione dei bus, meta Chiang Rai.
Biglietto
da pochi Euro, poco più di tre ore di strada. Rimango sempre affascinata dai
paesaggi che vedo mentre viaggio in questi luoghi.
Verde
incredibilmente rigoglioso, paesini di palafitte che sembrano stare in piedi per
miracolo.
Ogni
tanto dal niente spunta un tempio, o imponenti statue del Buddha o di qualche
monaco, così, in cima ad una montagna, o in mezzo a campi deserti. Ed io ogni
volta resto a bocca aperta per lo stupore e la meraviglia.
Arriviamo
senza intoppi a Chiang Rai, e la troviamo… deserta?
Non
so come mai, se è sempre così o se è il periodo particolare, prima del
Songkran (capodanno Thailandese che si svolge a metà aprile e che attira molti
turisti per il festival dell’acqua), ma non c’è quasi nessuno in giro, e
questo non mi da una sensazione particolarmente gradevole, arrivando dal bagno
di folla del Sunday market di Chiang Mai.
La
guest house che ho prenotato, Baan Bua è molto graziosa. La
proprietaria non mi fa impazzire perché sembra volermi vendere a tutti i costi
delle escursioni, ma alla fine facendo il giro delle altre guest house in zona
è la più economica, è vicino a tutto, ha un bel giardino, come piace a me, e
un bellissimo tempio ad un paio di minuti, quindi alla fine mi conquista.
Ma
sembra non esserci davvero quasi nulla da fare o da vedere, a parte qualche bel
tempio.
Finalmente
vado a visitare il Tempio Bianco, che fin dal principio è stato il motivo che
mi ha spinto a venire qui. Con 20 baht di biglietto (circa 50 centesimi di
€uro), prendo un piccolo bus alla stazione locale, e arrivo al tempio poco
prima delle 12:00 (dalle 12:00 alle 13:00 il tempio viene chiuso per la pausa
pranzo. ???. ).
È
meraviglioso, rimango abbagliata dalla sua maestosità. Sembra un palazzo di
ghiaccio, un castello delle fiabe, è stupendo, non ho mai visto niente di così
magico. Velocemente attraverso la passerella che porta al suo interno. Sembra un
sentiero incantato, ogni intarsio, ogni decorazione, bianche come il latte,
risplendono sotto i raggi del sole che vanno e vengono tra le scure nubi e lo
rendono ancora più surreale.
L’interno
è molto semplice, essenziale, molto diverso da tutti gli altri templi che ho
visto, piccolo, con pareti gialle spoglie, non è possibile fotografare e
rimango un po’ delusa.
Ma
quando scoccano le 12:00 e il perimetro viene chiuso al pubblico, il tempio
emerge, deserto e immacolato, ancora più maestoso e magico.
È
valsa la pena venire a Chiang Rai anche solo per passare pochi minuti in questo
luogo sospeso tra la realtà e il regno delle favole, il regno dei sogni.
Vorrei
andare a visitare altro, ma ormai da un paio di giorni piove molto, e Chiang Rai
sembra ancora più deserta e noiosa.
No,
proprio questo posto non fa per me, anche se ha un bel Night Bazar, mercato
notturno che sembra una copia in piccolo di quello di Chiang Mai, ed io
ovviamente preferisco l’originale. Sono felice di aver portato a termine la
mia missione “White Temple” ma me ne vado altrettanto felice…
...
di tornare nella mia Chiang Mai...
CHIANG
MAI, 31 Marzo 2015
Chiang
Mai riesce a stupire sempre, anche quando credi di aver già visto tutto.
Questa
mattina sono uscita con l’idea di andare a vedere qualche altro tempio, e
appena fuori mi sono imbattuta nel corteo per la cerimonia dell’ingresso dei
nuovi monaci nel tempio.
Non
sapevo nemmeno io cosa fosse, ho seguito la coda di gente, e mi sono trovata
davanti ad un tempio bellissimo che non avevo mai visto.
Davanti
all’ingresso, delle ragazzine Thai vestite con abiti tradizionali erano in
sella a piccoli pony che sembravano danzare al tempo della musica della banda.
Ogni
tanto lanciavano coriandoli o monetine e visto che tutte le persone, monaci
compresi, si accalcavano per raccoglierne il più possibile, immagino che
portino fortuna, denaro probabilmente.
E
poi pian piano i monaci più anziani hanno scortato i nuovi monaci vestiti di
bianco all’interno delle mura del tempio.
Erano
così giovani, così piccoli, quasi dei bambini. Mi si è stretto il cuore
all’idea della vita di rinunce alla quale si stanno apprestando.
Qui
in Thailandia le famiglie più povere con tanti figli, spesso mandano i più
piccoli al tempio per farli diventare monaci, certo possono poi uscirne in
qualunque momento, ma gli anni dei bambini? Quelli delle coccole, dei giochi
spensierati? Quelli chi glieli ridarà?
Noi
spesso cresciamo con delle ferite da abbandono perché magari i nostri genitori
ci lasciavano dai nonni, o all’asilo… e loro allora? Come cresceranno??
Piccole creature.
Sempre
per caso mi imbatto nel funerale di un monaco molto anziano e venerato. I
festeggiamenti durano giorni con tanto di bancarelle e spettacoli in piazza, e
la sera del funerale e il giorno seguente, cerimonie nel tempio con cibo
gratuito per tutti.
Mi
sono trovata nel tempio alla sera ed ero l’unica turista, è stato così
emozionante. Mi sono sentita onorata perché ero sull’ingresso del giardino
del tempio e mi hanno invitata ad entrare, ma dopo un po’ mi sono sentita di
troppo, un'intrusa, nonostante i loro sorrisi e i loro inchini.
Il
popolo thai è davvero enigmatico, sempre disponibile e pronto a sorridere, ma
allo stesso tempo così propenso al business e ai soldi.
I
thailandesi non mostrano mai le loro emozioni in pubblico, quindi spesso mi
chiedo quanto di vero ci sia dietro a quel sorriso…
E'
meglio qualcuno con un sorriso falso o qualcuno più sincero ma che ti urla
in faccia?
E'
meglio una dura verità o una bella finzione?
Spesso
è strana questa sensazione di avere a che fare con una maschera, anzi, con
tante maschere, di far parte di una recita…
...
ma poi mi chiedo, a casa, è davvero tanto diverso in fondo?
BANGKOK,
Thailandia, 9 Aprile 2015
Eccomi
alla fine del mio viaggio.
Lascio
il centro della città per avvicinarmi all’aeroporto perché il mio volo sarà
molto presto domani mattina.
Ho
trovato un albergo piuttosto economico, considerata la comodità rispetto
all’aeroporto che dista solo 10 minuti di macchina. Si chiama Nest
Boutique Resort.
Ero
un po' prevenuta perché le recensioni su internet non erano il massimo. Chi
diceva che è troppo misero, chi che le stanze sono piccole, chi che vicino non
c’è nulla e che quindi sei costretto a stare solo lì.
"Dopo
tutto sono le ultime ore", mi dico, "Sopravviverò".
Ma
già dal taxi ho capito che davvero il mondo è bello perché è vario. Non solo
ho trovato la camera sontuosa rispetto a quelle a cui sono abituata, sotto tutti
i punti di vista, ma a 5 minuti a piedi c’è un quartiere, o un piccolo
villaggio (qui non capisco mai la differenza), con alcuni negozi, un paio di
ristorantini e un centro benessere. Tutto incredibilmente thai, molto più di
tutti i luoghi in cui sono stata in questi due mesi.
Alla
fine del mio viaggio, quasi per errore o forse perchè davanti all'idea di
trovarmi nella scomodità mi sono arresa, ho trovato la Thailandia che cercavo.
Sono
l’unica turista in giro, i bambini mi chiamano e ridono curiosi, le persone mi
salutano sorridendomi e fissandomi come se fossi uno spettacolo inconsueto.
Ma
com’è possibile?
Eppure
ci sono diversi alberghi... i clienti, tutti chiusi nelle stanze “strette”,
sono troppo presi a lamentarsi per avventurarsi fuori dal viaggio organizzato?
Mentre
passeggio curiosando qua e la, vedo un piccolo ristorante all’aperto come
piace a me, con pochi tavoli e tante piante. Mi avvicino e una ragazza thai
sorridente ed espansiva mi fa accomodare.
Pranzo
con uno splendido pa nang curry, mentre un merlo in gabbia mi osserva emettendo
urletti striduli e le poche persone della zona passano lente in bicicletta, come
se non ci fosse alcun posto in cui devono arrivare.
Nel
pomeriggio la stessa ragazza che mi ha preparato il pranzo, mi fa un incredibile
massaggio thailandese, da vera maestra, ed io mi chiedo:
Ma
com’è possibile che qualcuno con un dono così speciale, viva in un posto
sperduto dove quasi nessuno può beneficiare della sua sapienza?!
È
possibile che un fiore faccia risplendere il mondo anche se nessuno lo vede?
Di
sicuro ha reso luminosa la mia giornata...
e
il resto del mondo, beh, forse un giorno imparerà ad uscire fuori da quelle
stanze strette…
C’è
un grande tempio dal quale posso sentire i canti dei monaci alzarsi a gran voce,
con statue del Buddha e di divinità indù accostate le une alle altre. E come
sempre, a respirare incenso e pace mi sento accolta, mi sento a casa.
Questa
Thailandia, questo viaggio, come ogni volta mi hanno profondamente cambiata.
Magari
non in cose troppo evidenti, a parte l’improvviso amore per i cibi piccanti,
ma vedo nei miei occhi degli sguardi nuovi, nella mia mente dei pensieri nuovi,
nei miei movimenti dei gesti nuovi.
Tutti
i viaggi sono così, tutti i luoghi, tutta la vita.
Puoi
avvicinarti e basta, difendendo quello che sai di te, quello che credi di essere
e che non sei disposto a cambiare, quello che credi di avere e non sei disposto
a lasciare andare.
Ti
avvicini e basta, ai luoghi, alle persone, alla vita, sperando che non ti
portino via niente, che ti scalfiscano appena un po’, che restino fuori dalla
porta.
Oppure
puoi spalancarla quella porta per far entrare luce, persone e vita.
Puoi
lasciarti travolgere fino a non sapere più che sapore avesse la tua storia di
prima, mentre la vivevi pensando ad altro. Che volto avessi tu mentre ti
osservavi allo specchio pieno di pensieri che non volevi avere.
Lasci
che tutto entri, in quella stanza che stretta in fondo non era, e può contenere
l’universo intero e cambiarlo e rovesciarlo e ripulirlo, fino a restituirti un
te stesso diverso.
Un
te stesso nuovo che forse sopravviverà in quello specchio giusto il tempo del
ritorno a casa, ma che per anche un solo sguardo così vero, spensierato e
felice che ti fissa attraverso lo specchio ora, è valsa la pena prenderlo 1,
10, 1000 volte quel volo di andata.
Faccio
ancora qualche passo fino a raggiungere il ponte che avevo intravisto dal taxi.
Sugli argini del fiume ci sono piccole abitazioni su palafitte, una fermata per
le lunghe e sottili barche che fungono da bus, bambini che giocano e vendono
pane secco da buttare agli enormi pesci e farli saltare fuori dall’acqua.
Ferma
sul ponte osservo l’acqua che scorre lenta, il sole inizia a tramontare
colorando il cielo e il fiume, il vento muove delle bandiere accanto a me. Poco
più in là vedo il tempio e le persone in bicicletta, i piccoli negozi pieni di
oggetti indecifrabili, i sorrisi dei ragazzini thai che tornano da scuola.
Seguo
con lo sguardo l’unica strada che porta al villaggio, al ristorante pieno di
piante con il merlo che ti osserva mentre mangi, al centro massaggi, ai pochi
metri in cui terminano i negozi e ci sono piccoli chioschi di venditori
ambulanti e muretti pieni di bouganville che conducono fino al mio albergo.
Ripenso
alla recensione su internet che diceva, stizzita, che vicino all’albergo non
c’è niente.
Riguardo
tutto ciò che mi circonda e tra me e me penso:
Caro
amico ognuno la pensa come crede, tu questo lo chiami niente, ma io questo
NIENTE lo chiamo Thailandia.
Questo NIENTE io lo chiamo VITA.
Georgia Briata