VIAGGIO IN TANZANIA: Parchi Sud e Ovest
Diario di viaggio 2010
Da
“malati” quali siamo, tutte le scuse sono buone per tornare in Africa, ma in
quest’ultima occasione è molto più di una “scusa” la motivazione che ci
riporta nel Continente a noi tanto caro.
La
vita, il destino, il succedersi degli eventi, fanno sì che, dopo le bastonate,
la necessità di un porto sicuro, della dolcezza che solo l’Africa regala
senza riserve, sia urgente, ed eccoci quindi a progettare un nuovo viaggio alla
scoperta dei parchi più remoti del Sud e dell’Ovest della Tanzania.
Contrariamente
alle nostre abitudini, da quando nasce l’idea alla presunta data di partenza,
il tempo a disposizione per organizzare il viaggio non è molto, ma –
trattandosi della Tanzania – non è un problema. In passato abbiamo dedicato
al Paese ben due viaggi rivolgendoci in entrambi i casi allo stesso operatore
locale; non occorre pertanto spendere tempo nella ricerca e selezione
dell’agenzia migliore e nella valutazione di proposte, programmi e preventivi
che comportano sempre lunghe contrattazioni.
Pienamente
soddisfatti dei servizi resi in precedenza, ricontattiamo Hillary ed il suo
efficiente staff.
In
poco tempo, via e-mail, concordiamo l’itinerario e, pagato un acconto per
confermare la prenotazione, non dobbiamo far altro che dare avvio al conto alla
rovescia.
Il
destino, però, ha in serbo per noi altri colpi di bastone. Improvvisamente c’è
un’unica priorità, tutto il resto, viaggio compreso, viene accantonato.
E’
andata com’è andata, ma questa è un’altra storia e desidero tenerla per
me.
Questa
premessa ha lo scopo di evidenziare la grande sensibilità ed il ruolo
fondamentale di Hillary nel salvataggio del nostro viaggio e, successivamente,
nella concretizzazione della partenza “last minute”. Dubito che, con altri
operatori, saremmo riusciti a “salvare capra e cavoli”, come si suol dire.
La cronaca di questo viaggio inizia dunque con un GRAZIE immenso e sentito a Hillary, Stefania ed al personale della sede milanese della compagnia aerea Ethiopian Airlines.
L’itinerario,
in breve, prevede le seguenti tappe:
-
Zanzibar – 5 notti
-
Ruaha National Park – 4 notti
-
Katavi National Park – 4 notti
-
Mahale Mountains National Park – 3 notti
-
Arusha – 1 notte, prima del rientro in Italia
Per tutti gli
spostamenti tra una località e l’altra l’aereo fa al caso nostro,
permettendoci di sfruttare al meglio il tempo a disposizione.
La scelta di
anteporre il soggiorno balneare alla visita dei parchi non è casuale. Certi che
dopo l’immersione nella natura più incontaminata nulla possa reggere il
confronto e desiderando gustare anche le atmosfere dell’isola di Zanzibar
abbiamo deliberatamente deciso di iniziare il tour proprio da lì.
Perché i parchi
del Sud e dell’Ovest?
Perché, dopo
tanti viaggi e parchi africani, crescono le esigenze, si è alla ricerca di
qualche cosa di “nuovo e di speciale”, di remoto e lontano dalle vie più
battute, di esclusivo.
Leggere che il
Katavi riceve, in un anno, poche centinaia di visitatori contro le oltre 300 e
più auto che in un solo giorno d’agosto affollano il Cratere di Ngorongoro è
una tentazione irresistibile.
14
giugno 2010
I bagagli sono chiusi, il
frigorifero vuoto, la casa pulita e in ordine, l’attesa di un volo serale è,
per noi, snervante. Alle 14, stanchi di guardare l’orologio, senza avere più
nulla da fare, ci chiudiamo la porta alle spalle e raggiungiamo l’aeroporto di
Linate: un viaggio nel viaggio poiché il trasferimento richiede un tragitto in
auto, uno spostamento in treno ed infine una tratta in bus.
Alitalia anticipa la nostra
partenza imbarcandoci sul volo delle 18, guadagniamo così un paio d’ore da
spendere a Fiumicino.
Mentre siamo in attesa di volare
in Africa, in Sudafrica l’Italia è impegnata nella partita d’esordio e, con
grande delusione generale, colleziona il primo pareggio giocando contro il
Paraguay…
15
giugno 2010
Con un po’ di ritardo rispetto
all’orario tabellare (0,55), su un aereo non proprio nuovissimo della
compagnia Ethiopian Airlines, si parte alla volta di Addis Abeba (Etiopia).
Dopo uno scalo notturno, un cambio
di aeromobile, altre ore di volo, ci appare la Tanzania, si atterra, infine,
sulla costa, a Dar es Salaam.
Per una serie di circostanze
favorevoli raggiungiamo Zanzibar/Stone Town con circa 4 ore di anticipo, ci
troviamo così, già nel primo pomeriggio, a bordo di un’auto, con un driver
dalla guida rilassata, ad osservare - attraverso i finestrini - una moltitudine
di persone, mandrie di buoi con la gobba che pascolano nei campi ed i colori
delle botteghe e bancarelle, degli abiti e della vegetazione lussureggiante.
Lasciata la città, che si estende
per diversi chilometri, la folla dirada, la strada, ora meno
trafficata, corre diritta attraverso rigogliosi palmeti, bananeti, boschi di
manghi e alberi fioriti.
Dopo circa un’ora di viaggio,
per raggiungere la costa orientale, svoltiamo imboccando una laterale sterrata e
piena di buche che termina esattamente dove sorge Kichanga lodge: piccolo resort
immerso nella vegetazione, con una fila di bungalow affacciata su una lunga
spiaggia candida, lambita dall’oceano.
Dopo 26 ore in totale tra voli,
attese e trasferimenti di vario tipo, siamo decisamente stanchi, ma la superba
vista panoramica e l’accogliente sistemazione lasciano presagire un rapido
recupero.
16
- 19 giugno 2010
Trascorriamo 4 giornate immersi
nella quiete più assoluta di questo bel lodge, isolato, in compagnia di pochi
altri turisti (da 0 a 4 ospiti nel giorno di massima affluenza).
Le nostre “attività”
principali si alternano tra un tuffo in piscina e il poltrire su un lettino in
spiaggia o sull’amaca in veranda, leggendo un buon libro, con in sottofondo il
rumore del mare che ritiratosi per effetto della bassa marea ricorda il rombo di
un aereo lontano, mentre la brezza muove i rami delle palme che ci fanno ombra.
I soli suoni che si sovrappongono sono il gracchiare di alcune cornacchie ed il
ragliare di un asino che pare un lamento triste.
Abbiamo altresì modo di
apprezzare l’ottima cucina di un cuoco che ci vizia e ci rimpinza di polipi e
gamberoni alla brace, carpacci di pesce freschissimo conditi con frutti della
passione, pesce in tutte le sue varianti, patate, verdure, riso, squisiti dolci
e tanta frutta.
Durante la bassa marea camminiamo
per ore percorrendo il tratto di costa che, scoprendosi, mette in mostra calette
di sabbia, grotte scavate nella roccia ed il fondale dai bellissimi strati di
colore che mutano con il passaggio delle nuvole e con le diverse condizioni di
luce e ombra, sfumando dal grigio piombo al turchese, passando per il blu cupo.
Il clima varia con estrema rapidità
regalandoci di tutto un po’: dalle giornate ventilate e soleggiate all’afa
diurna quasi insopportabile che di notte si trasforma in umidità penetrante
tanto da farci raggomitolare sotto le coperte, dagli scrosci d’acqua brevi ma
intensi che smorzano la calura, portando refrigerio, al muro di pioggia battente
ed incessante dell’ultimo giorno di permanenza.
Non avevamo grandi aspettative da
quest’isola molto frequentata, con decine di villaggi turistici dove “all
inclusive”, “animazione” e “buffet” sono requisiti irrinunciabili per
la maggioranza dei visitatori. Il nostro angolo solitario si è, tuttavia,
rivelato un’oasi di pace che abbiamo molto apprezzato e che ci ha permesso di
rigenerarci.
Tra le tante cose non ci è
mancato un vero momento di brivido africano, quando un serpente lungo e sottile
ha attraversato un vialetto per poi sparire, con quella caratteristica andatura
sinuosa, nel prato del giardino.
20
giugno 2010
L’ultima premura dello staff di
Kichanga lodge è la colazione in camera alle 5 del mattino. Alle 6 – salutati
tutti – ci avviamo verso l’aeroporto, un paio d’ore più tardi lasciamo
Zanzibar, senza rimpianti, certi che da qui in avanti si andrà in crescendo.
Breve scalo a Dar, dal clima più
asciutto. Veniamo a sapere che le piogge delle ultime 24 ore hanno investito
solo la costa orientale dell’isola… esattamente dove stavamo noi…
“Quando piove, diluvia!”
(settima variante di Zymurgy alla
Legge di Murphy)
Il cambio di aereo si traduce in
una scenetta comica che ci vede impegnati, pur seguendo le istruzioni del
personale che ci riceve direttamente sulla pista d’atterraggio, in una sorta
di caccia al velivolo su quello che sembra un plastico con tanti modellini
disposti disordinatamente.
Dopo diversi “di là”, “no,
da questa parte”, “laggiù”, “là dietro”… troviamo finalmente il
nostro piccolo aereo (10 posti a sedere). Ci accomodiamo, allacciamo le cinture,
decolliamo e sorvoliamo per un paio d’ore - a bassa quota - la Tanzania
meridionale. La veduta panoramica è formidabile, va tutto benissimo e, ancora
una volta, apprezziamo questo mezzo di trasporto tranne che nel tratto finale,
quando per una turbolenza si balla e non poco.
Proviamo sollievo nel scorgere la
pista di terra rossa, ma dobbiamo pagare ancora pegno. Due virate in rapida
sequenza, con inclinazione incredibile, un’ala rivolta al suolo, l’altra
verso il cielo, ci “centrifugano”, ma nonostante lo stordimento non ci
sfuggono la giraffa ed alcune zebre a bordo pista che sembrano messe lì apposta
per darci il benvenuto nel Ruaha National
Park.
“Secondo
parco in ordine di grandezza, istituito nel 1964, con i suoi 10.300 kmq è oggi
uno dei segreti meglio mantenuti della Tanzania: la difficoltà di accesso,
soprattutto in passato, ha infatti fatto sì che la regione sia rimasta
praticamente intoccata per vari secoli.
Il
Great Ruaha River che, per un buon tratto, segna il confine meridionale del
parco, è l’elemento principale attorno a cui ruota l’intera popolazione
faunistica presente.
Molti
animali, tra cui grandi branchi di elefanti, si concentrano infatti lungo le sue
rive, in particolare durante la stagione secca, quando molte zone del parco
rivelano un drastico inaridimento con il prosciugamento di molte pozze.
Oltre
al Great Ruaha, che scorre perennemente, anche se in questi ultimi anni il
prelievo d’acqua per la coltivazione del riso tende a interrompere il flusso
della corrente nei mesi più secchi lasciando solo grandi pozze, altri due fiumi
attraversano il parco: lo Mdonya ed il Mwagusi. Qui però l’acqua vi scorre
solo per pochi giorni all’anno, subito dopo le grandi piogge; durante il resto
dell’anno si presentano come grandi distese sabbiose con solo alcune pozze
residue. Anche se non è visibile l’acqua è comunque presente sotto il letto
del fiume, ed è facile vedere gli elefanti rimuovere la sabbia per abbeverarsi
dalle fresche e pulite acque sotterranee piuttosto che dalle pozze di
superficie.
Il
paesaggio del Parco Nazionale Ruaha è estremamente vario: si passa dalle
foreste che costeggiano il Great Ruaha alle aree aride della Rift Valley, dalla
savana dominata dall’acacia alle foreste montane. Il parco è situato in
un’area di convergenza tra ecosistemi diversi della Tanzania, quello
settentrionale e quello meridionale, tanto che se qui si contano 1.400 specie
vegetali, nel Selous e nel Serengeti se ne contano solo 600.
Oltre
ai fiumi già descritti, il Parco Nazionale Ruaha presenta diverse colline con
massi di granito isolati, praterie, boschi di miombo, acacie, euforbie a
candelabro e baobab, oltre a palme e sicomori in prossimità dei corsi
d’acqua.
Notevole
è anche la presenza dei ficus detti “strangolatori”, una pianta parassita
che si avvolge attorno ai tronchi degli altri alberi soffocandoli. La ricca
varietà di piante porta nel parco una conseguente ricchezza di fauna con la
presenza in gran quantità di quasi tutte le specie di mammiferi che si
incontrano nei parchi del nord ad eccezione dei rinoceronti.
Molto
numerosi sono i leoni che si incontrano quasi giornalmente in ogni escursione,
anche se non esistono progetti di monitoraggio degli animali per saperne il
numero esatto. Una chicca del parco è sicuramente la presenza di gruppi di
licaoni, introvabili in quasi tutti gli altri parchi della Tanzania ad eccezione
del Selous. Altre rarità presenti nel parco sono le antilopi nere, le antilopi
roane ed il kudu minore (si tratta dell’unico parco dell’Africa orientale ad
avere sia il kudu minore che quello maggiore), in verità abbastanza difficili
da avvicinare a causa della loro timidezza; più facilmente avvicinabili sono i
kudu maggiori e le grandi antilopi eland, la più grande antilope esistente che
può raggiungere il peso di 700 kg pur dimostrando una straordinaria agilità
che la porta a compiere salti assai alti per la sua mole.
Eccezionale
è il numero di uccelli presenti nel parco, che ammonta a 480 diverse specie
registrate. Oltre alle specie residenti ed ai rapaci, migliaia di uccelli
migratori giungono a Ruaha dall’Asia e dall’Europa tutti gli anni.”
Ci sentiamo di nuovo a “casa”,
nella “nostra” Africa con il cielo azzurro, l’aria tersa, i colori
brillanti ed il caldo secco che fa evaporare gli ultimi residui di umidità.
Il trasferimento dall’airstrip a
Ruaha River lodge avviene a bordo di una jeep scoperta e richiede circa 45
minuti. Fin da subito il paesaggio collinare si rivela spettacolare, così come
il fiume disseminato di massi di granito.
Il lodge sorge in una splendida
vallata, a ridosso del fiume, ed è composto da una fila di “palafitte”
(spaziosi cottage in pietra e legno, tetto di paglia, veranda ombreggiata e
bagno circolare). L’interno di ogni abitazione è molto luminoso e arioso, vi
sono grandi finestre, senza vetri, protette da zanzariere e tende di cotone
bianco. Dalla veranda possiamo osservare la processione di animali che raggiunge
il fiume per abbeverarsi: un solo “canale televisivo” che trasmette un
documentario senza soluzione di continuità.
Difficile stabilire se siamo più
estasiati per la bellezza del panorama o per la vicinanza degli animali, di
certo non è un’esagerazione considerare tutto questo ben di Dio una
meraviglia dentro la meraviglia.
Nel pomeriggio usciamo per il
primo di una serie di game drive.
Ci spostiamo, in cerca di animali,
vedendo sfilare ambienti collinari, vaste zone di bush, immense piane dove si
ergono kopje (piccoli rilievi, formazioni di granito), letti di fiumi asciutti,
boschi di acacie, insiemi di baobab, palme, euforbie, kigelie africane,
tamarindi e molte altre bellezze paesaggistiche.
La prima giornata di safari si
conclude con l’avvistamento di elefanti, zebre, impala, kudu, giraffe, una
graziosa genetta ed un gruppo di leoni che colonizza il letto sabbioso di un
fiume in secca. Quasi tutti dormono e sono sparpagliati un po’ ovunque, ne
contiamo 25, ma tra i cespugli e dietro i massi che delimitano gli argini
potrebbero nascondersi altri esemplari. Abbiamo un solo rammarico, non riusciamo
ad avvicinarci più di tanto ai leoni, ma questo è solo il primo game drive, ci
rifaremo sicuramente nei prossimi giorni.
L’entusiasmo per la bellezza e
ricchezza di questo parco e l’assenza di un televisore smorzano abbastanza la
delusione del secondo pareggio della Nazionale contro la Nuova Zelanda…
Mondiale fiacco per i Campioni uscenti!
21
giugno 2010
Come avviene in altri parchi, le
attività giornaliere sono gestite dalla direzione del lodge che dispone di
mezzi propri e guide qualificate.
I game drive ci impegnano per
circa 7/8 ore ogni giorno:
dalle 8 alle 13 del mattino e, nel
pomeriggio, dalle 16,30 per un paio d’ore,
o in alternativa, optando per la
variante “full day”, dalle 8 alle 16, con pranzo pic-nic.
Per oggi scegliamo di effettuare
due safari distinti, preferendo consumare il pranzo presso il ristorante del
lodge e per godere di una pausa schiacciando un pisolino o per osservare, seduti
in veranda, ciò che accade sulle rive del fiume.
Alle 8 in punto, dopo una ricca
colazione, prendiamo posto sull’ultima fila di sedili di una silenziosa jeep
scoperta, insieme ad Anita e Robert, coppia di anziani olandesi con le fattezze
e gli stessi modi di fare di Wilma e Fred Flintstone (“Gli Antenati” dei
vecchi cartoni animati).
Ci sorridiamo titubanti ed
imbarazzati, come spesso accade in situazioni simili, ma ben presto, osservando
due leoni che sonnecchiano sul ciglio della strada, stabiliamo un buon feeling.
Ci fermiamo, poco dopo, in una
vasta prateria frequentata da moltissime giraffe, la nostra attenzione è
catturata da due maschi che, impegnati nel “necking” (sorta di combattimento
per la determinazione del ruolo gerarchico), si esibiscono in un singolare show.
I due esemplari incrociano,
piegano, strofinano i lunghi colli, si muovono in modo flessuoso e si arrestano
assumendo le medesime pose, talvolta si percuotono a suon di colpi di testa
producendo un rumore secco.
La sequenza dura a lungo e le
movenze aggraziate fanno pensare ad una danza piuttosto che ad una lotta.
Alle due giraffe se ne unisce una
terza e nell’assistere alla stupenda coreografia del sincronizzato trio
“danzante” la nostra ammirazione raggiunge l’apice.
La guida chiede se vogliamo
spostarci altrove, ma, nel vedere le giraffe ancora impegnate nel bellissimo
rituale, Anita ed io pronunciamo nello stesso momento un “NOOOO!” risoluto.
Sorrido compiaciuta per la spontanea complicità e per il legame che va
rafforzandosi.
Nonostante la differenza d’età
e di condizioni fisiche, diciamo pure che i Flintstones in passato hanno visto
tempi migliori, ci accomuna l’entusiasmo per la bellezza del paesaggio, la
passione per la ricerca degli animali ed il piacere nell’osservarli a lungo.
Terminata l’esibizione, le
giraffe si allontanano, solo a quel punto ci riteniamo soddisfatti e possiamo
proseguire il safari.
Attraversiamo zone
paesaggisticamente splendide popolate da tanti animali, impala soprattutto che,
in gran numero ed in processione, si dirigono verso il fiume e poi, sparsi qua e
là, elefanti, zebre, kudu, bushbuck.
Rientriamo al lodge in tempo per
il pranzo. Lo staff ci indirizza sulla splendida terrazza costruita in cima ad
un alto kopje. La vista sul sottostante fiume e su tutta la vallata è
straordinaria, stiamo contemplando uno dei più bei paesaggi che ci sia mai
capitato di vedere sino ad ora.
Il cielo azzurro, una luce
particolare, bianche e soffici nuvolette “spruzzate” a caso e gli enormi
sassi rotolati su tutta la valle sono solo piccole gemme che conferiscono al
panorama un tocco ancor più prezioso.
Ipnotizzati, osserviamo alcuni
ippopotami, con diversi piccoli, che disinvolti escono dall’acqua, poco più
in là gli impala si avvicinano timidamente al fiume e bevono guardinghi, pronti
a scappare al più piccolo segnale d’allarme. Gli elefanti, invece, più
determinati, si immergono, si spruzzano con le proboscidi, bevono rumorosamente
e si allontanano solo quando hanno soddisfatto tutte le loro necessità.
Al contrario, le giraffe, non riescono a portare a compimento
l’abbeverata.
Costrette a piegarsi sulle lunghe
zampe anteriori ed essendo pertanto molto vulnerabili, dopo lunga indecisione
optano per una ritirata.
Vita dura per le specie più a
rischio, la sete è un tormento e nonostante l’acqua sia a disposizione e
vicina, per eludere possibili predatori, a volte è necessario rinunciarvi.
Il safari pomeridiano si può
riassumere in una serie di soste lungo il fiume. Attraversato un ponte che
scavalca un’ampia laguna osserviamo la pacifica convivenza di enormi
coccodrilli e ippopotami ritrosi che emergono a sorpresa per immergersi subito
dopo senza concederci il tempo di uno scatto fotografico, riusciamo infatti a
immortalare solo una serie di spruzzi d’acqua.
Per il resto incrociamo la
“solita” fauna: impala, kudu, elefanti, giraffe e volatili di varie specie.
La novità di oggi è
rappresentata da minuscoli dik dik, sempre in coppia.
Proviamo tenerezza per queste
graziose creaturine immaginando quanto sia difficile la loro sopravvivenza,
considerate le ridotte dimensioni.
E poi ancora antilopi e impala in
ogni dove che procedono in fila indiana per recarsi a bere o che, numerosi,
bloccano il passaggio, affollando la pista unitamente ad altrettanti babbuini o
radunati in cerchi compatti per beneficiare dell’ombra di grandi alberi o
immobili ai margini della pista che, senza scomporsi, sembrano seguire con lo
sguardo il nostro passaggio.
Tante scene deliziose, non ci si
stanca davvero mai di osservare gli animali nei loro differenti habitat e nei
loro molteplici comportamenti.
Ha torto chi pensa che a lungo ci
si possa annoiare o chi paragona un safari ad una visita allo zoo.
22
giugno 2010
E’ risaputo, e ormai abbiamo
anche una discreta esperienza, che nelle ore centrali della giornata gli animali
sono meno attivi, cercano riparo all’ombra e sono meno visibili, optiamo
quindi nuovamente per un game drive mattutino ed uno pomeridiano. Oltretutto la
collocazione del lodge ci permette di beneficiare, nelle ore di pausa, del
“documentario” che si svolge
attorno al fiume.
Oggi ci abbinano ad una coppia di
parigini:
lui, stropicciato, capelli
piuttosto lunghi e coppola indossata al contrario, ricorda un caratteristico
pittore di Montmartre,
lei, gonna lunga color cachi,
anfibi di tela in tinta, cappello a tesa larga, sembra un personaggio uscito da
un romanzo di Wilbur Smith,
entrambi, in passato, hanno
visitato Kenyà, Bostwanà e Namibì…
(esatto, con gli accenti sulle
“a” e sulla “i”!)
insomma non ci vuol molto a
sintonizzarci ed a condividere lo stesso “mal d’Africa”.
Et
voilà, alors, nous allons…
Alle 8 precise, come da copione e
dopo il tradizionale breakfast, si parte, ma la “solita solfa” termina entro
pochi minuti e con i saluti a tutta dentiera della manager. Lasciato il
“parcheggio” ci attendono nuovi percorsi, differenti panorami, scene con gli
animali sempre diverse e molto emozionanti.
Tanto per cominciare con le
sorprese, ecco apparire le gazzelle di Grant, che noi non vedevamo da anni.
A seguire, una coppia di sciacalli
si contende una zampa di impala, ora serrata tra le fauci di uno dei due.
Ci esaltiamo, subito dopo, per una
serie di incontri ravvicinati con gli elefanti che, oltre ad inscenare cariche
di avvertimento, emettono poderosi barriti.
E poi sosta prolungata per
osservare una famiglia di leoni, ne contiamo 12, ma non è escluso che tra i
cespugli ve ne siano altri.
I felini dormono, indifferenti a
tutto e tutti, solo il passaggio in lontananza di un piccolo aereo provoca
qualche reazione che non esitiamo a fotografare. Passato l’aereo e tornato il
silenzio, la scena riacquista immobilità.
Incrociamo altri elefanti: un bel
branco di adulti con un piccoletto di circa 3 settimane che dorme adagiato a
terra. I grossi elefanti, con le lunghe proboscidi, stimolano il cucciolo ad
alzarsi e quando, infine, dopo vari e goffi tentativi, lo vediamo ritto sulle
zampe, riusciamo a fotografarlo giusto un attimo prima che l’intero gruppo
dall’innato istinto protettivo lo circondi per celarlo completamente.
Mamma zebra con un piccolo di soli
2 giorni insieme all’elefantino sono la dimostrazione concreta che per
assaporare la stessa dolcezza di una poesia non è necessario leggere versi e
rime, anche la natura, senza parole e con le sole immagini, trasmette le
medesime sensazioni.
Prima di rientrare al lodge
sostiamo accanto ad alcune zebre che rotolano nella sabbia producendo un gran
polverone…
Très
bien, les jeux sont fait!
Pranziamo ancora una volta in cima
all’alto kopje, dimenticando spesso il piatto ed il suo contenuto per guardare
ora gli ippopotami, ora gli elefanti e tutte le creature che raggiungono il
corso d’acqua che scorre nella vallata sottostante.
Trascorriamo il resto del
pomeriggio in totale relax, leggendo un libro, abbozzando appunti per questa
cronaca di viaggio e, naturalmente, tenendo d’occhio un paio di waterbuck che
hanno trovato collocazione proprio di fronte alla nostra postazione in veranda,
non trascuriamo altresì un gruppo di giraffe incerte sul da farsi. Ci
immedesimiamo a tal punto che sembra di percepire a fior di pelle il loro
dramma…
bere? o non bere?... morire per
una sorsata d’acqua? o vivere con l’arsura della sete?
Alle 16,30, lasciate le giraffe al
loro amletico dilemma, si esce per il secondo game drive.
Complessivamente vediamo pochi
animali, nulla è mai scontato in natura e non incontrarne è una possibilità
che ogni tanto si concretizza.
In compenso costeggiamo un tratto
del fiume particolarmente bello e suggestivo, punteggiato da “isole”
di sabbia dall’intenso colore ocra che crea un bel contrasto con l’indaco
dell’acqua.
Il territorio che attraversiamo è
ricco di boschetti di acacie e di enormi baobab, vere e proprie “sculture” i
cui tronchi vengono spesso “segati” e “rimodellati” dagli elefanti.
Attendiamo il tramonto spostandoci
da un baobab all’altro in cerca di quello più fotogenico da abbinare allo
sfondo rosso/arancio del cielo ed alla palla di fuoco del sole che sta
velocemente calando all’orizzonte.
23
giugno 2010
Full day safari per noi ed anche
per i parigini. Soliti colazione, saluti, jeep e via alla scoperta di una
diversa porzione di questo immenso parco.
Percorriamo un’estesa area
ricoperta di bush, incontrando pochi animali. In un simile habitat è difficile
trovarli sulla stretta pista che taglia in due la vegetazione alta e fitta,
tuttavia un piccolo elefante compare all’improvviso sbarrando il passaggio.
Per ovvie ragioni ha diritto di precedenza, attendiamo sino a che decide di
ritirarsi nella boscaglia dopo aver emesso un assordante barrito che più che
spaventarci, considerate le ridotte dimensioni dell’elefantino, ci diverte.
Riconosciamo comunque che il
giovanotto ha già un bel temperamento.
Il lungo trasferimento attraverso
il bush è un percorso obbligato per raggiungere una zona spettacolare dove
facciamo una sosta prolungata.
Ci troviamo sull’argine,
affacciati su un fiume secco, il cui letto sabbioso è molto ampio e ospita
alcune pozze residue. Qui sopraggiungono numerosi impala, zebre e giraffe che,
dall’alto di alcune rupi, seguiamo avidamente con lo sguardo. Finalmente
vediamo le giraffe che, a turno, si piegano a bere. Anche gli elefanti si
radunano qui, ma, alle pozze di superficie, preferiscono l’acqua che scorre
nel sottosuolo. E’ un privilegio osservarli mentre, con le proboscidi, scavano
nel terreno per raggiungere la preziosa risorsa che soddisferà una necessità
primaria e che li costringe a lunghissimi spostamenti.
Lasciato a malincuore questo eden,
risaliamo in macchina dirigendoci nel luogo dove consumeremo il pasto. Lungo il
tragitto si materializzano ovunque giraffe, osservandole è evidente che tutte
convergono nella stessa direzione. Siamo testimoni di uno spettacolo senza
eguali, anche l’argine sabbioso che vediamo di fronte ospita una schiera di
giraffe che da lontano ricordano le gru di un molo di carico e scarico merci.
Pranziamo all’ombra di un gazebo
con un elefante che allunga la proboscide attraverso un cespuglio sin quasi a
sfiorarci.
Ripartiamo attraversando
differenti ambienti, con la terra che muta di colore sfoggiando il classico
rosso argilloso, tutte le tonalità comprese tra il marrone scuro e quello
chiaro, l’ocra ed infine il bianco. Il paesaggio varia da boschi di baobab a
zone verdeggianti con erba alta, da colline
ricoperte di bush a piatte savane dal bel color dorato che contrasta con il
rosso del terreno e l’azzurro intenso del cielo.
La vista spazia a 360°, il suolo
è eccezionalmente vasto ed esteso ed i dettagli di qualsiasi elemento si
perdono sino a sfumare nel nulla di un orizzonte tanto lontano e inusuale per
chi, come noi, vive in città, circondato da edifici e racchiuso in spazi
decisamente più modesti.
Assaporo a lungo il senso di
libertà trasmesso da tale vastità, ammirando incantata l’immenso
“plastico” che si srotola davanti ai nostri occhi e tutto attorno a noi,
dove un elefante, un baobab o un kopje, perdendo le loro reali dimensioni,
sembrano miniature, poco più che punti lontani o macchie scure.
Scendiamo nel letto di un fiume
asciutto avvicinandoci ad un gruppo di elefanti, una ventina circa, che, dopo
aver scavato nella sabbia e bevuto, si radunano all’ombra di un boschetto di
frondosi alberi, avendo cura di circondare i piccoli. Il gruppo si sposta poi
compatto e silenzioso ed ancora una volta ci domandiamo come facciano, animali
così massicci, a non produrre alcun rumore. Sono incredibili, sembra di
assistere alla proiezione di un film muto.
Attraversiamo l’ampia spianata
fino a raggiungere l’argine opposto lasciando alle nostre spalle 2 profondi
solchi nella sabbia soffice.
Poco dopo, a ridosso della pista,
troviamo una coppia di leoni. Non c’è traccia di resti di cibo e neppure di
altri esemplari, quasi certamente – trattandosi di maschio e femmina - sono
nella fase di accoppiamento. Sostiamo diverso tempo, ma non accade nulla. La
leonessa che è solita dare il via alle “danze” si limita a stiracchiarsi, a
rigirarsi appena, socchiudendo gli occhi ed a dimenare la coda per scacciare le
mosche. Forse è già scoccato lo scadere dei tre giorni: tanto dura il periodo
degli amori.
Lasciati i leoni alla loro apatia,
in lontananza e tra l’erba alta, quasi indistinto, un branco di bufali si
muove dapprima lentamente e poi, man mano che ci avviciniamo, sempre più
velocemente fino a sparire del tutto lasciando solo una spessa nuvola di
polvere.
Transitando nei pressi della pista
d’atterraggio vediamo alcune giraffe che allungano il collo per cibarsi
scegliendo con cura ogni boccone tra i rami più alti delle acacie spinose.
Insieme alle giraffe diverse zebre con un piccolo che ispira una gran tenerezza.
Sorridiamo pensando che il caso, a volte, dà l’impressione di essere
tutt’altro che casuale e che questi splendidi animali sembrano essere stati
ingaggiati apposta per dare il benvenuto ai pochi visitatori che atterrano sulla
corta striscia di terra, esattamente quel che è accaduto a noi, giorni fa.
Ripercorriamo la pista che riporta
al lodge incontrando ancora tanti animali, in particolare elefanti che bevono
immersi nell’acqua del fiume e kudu dalle bellissime corna ritorte che saltano
sui massi.
Con un tramonto dalle tinte
delicate termina la nostra permanenza in questo splendido parco, notevole anche
e soprattutto paesaggisticamente.
Domani, insieme ai Flintstones, ci
sposteremo nel Katavi dove – si dice – gli animali abbondano.
L’entusiasmo e la mimica della
manager che accompagnano le descrizioni del parco che stiamo per raggiungere ci
fanno presupporre che non si tratta di un’esagerazione.
Con questa prospettiva ci
addormentiamo trepidanti come bimbi in attesa di Babbo Natale con il sacco dei
doni.
24
giugno 2010
Sveglia prestissimo, è ancora
buio pesto ed il cielo stellato è meraviglioso.
Raggiungiamo l’airstrip in circa
un’ora. La jeep aperta non ci risparmia il freddo pungente, ma ci permette di
ammirare l’alba. Uno dei tanti fenomeni che a casa ci sfuggono e che diamo per
scontati.
In poco tempo il cielo nero si
squarcia ed una macchia rosata si estende, come un velo, rapidamente.
In fondo il sole sorge e tramonta
ogni giorno, motivo per cui non ci soffermiamo mai a pensare alla perfezione e
alla complessità dell’universo, ma qui in Africa, in un contesto naturale e
selvaggio come quello attuale, il ciclo giorno/notte/stagioni è accentuato da
tramonti che incendiano di colori ogni cosa, da notti nere come la pece accese
da milioni di stelle, dal chiarore della luna piena, da albe repentine, dal
calore dei raggi del sole che con il passare delle ore aumenta progressivamente,
da piogge torrenziali che ridonano vita alla terra riarsa. Fenomeni tanto
“violenti” da indurre inevitabilmente alla meditazione, andando oltre quel
che si vede.
Tacitamente ringrazio l’Africa
per questo ed altri spunti di riflessione, nonchè per lo stato di benessere che
si prova ammirando un cielo dipinto di tutte le sfumature del rosa.
Recuperiamo, da sotto una tettoia,
un piccolo Cessna (C206) che il pilota sottopone ad accurato controllo, poi,
stipati insieme ai bagagli, alle provviste ed ai Flintstones, prendiamo posto
adattandoci un po’.
“Fred”, omone grande e grosso,
viene spinto da tutti noi a fatica dentro l’angusto abitacolo e occupa più
spazio di quello previsto per un qualsiasi passeggero di taglia normale, io mi
sistemo in coda insieme a 2 borse frigo, Sandro siede al posto del secondo
pilota e “Wilma” si rannicchia nel mezzo, a fianco del suo “antenato”.
Ce la faremo?
Con i finestrini spalancati ci
spostiamo per un lungo tratto in mezzo alla savana. Immaginando di essere
impegnati in un safari ci divertiamo con una serie di battute. Raggiunta la
pista di terra, e chiusi gli sportelli, il motore ruggisce spingendo l’aereo
in una corsa veloce, infine si decolla. Sotto di noi si snoda il fiume, da un
sottile strato di nebbia fanno capolino le colline ed i rilievi. Un paesaggio
dalla bellezza struggente che mi cattura.
Nonostante le dimensioni ridotte,
lo “scatolino” è robusto, non ci sono forti correnti d’aria, si vola
senza scossoni sopra il bush e su una estesissima zona verde ricca di alberi.
Dopo un paio d’ore atterriamo su
una pista di terra rossa:
benvenuti nel Katavi National Park!
“Eccezionalmente
remoto e poco frequentato è il terzo più grande parco della Tanzania con
un’estensione di 4.471 kmq.
Incastonato
nel cuore di una regione selvaggia e con una fauna impressionante, questo parco
generalmente è visitato con collegamenti via aerea dalle maggiori città del
Paese. Tuttavia è abbastanza semplice raggiungerlo anche via terra con un buon
fuoristrada.
Inaugurato
nel 1974 ed ampliato nel 1997 fino al confine con la Rukwa Game Riserve. Prima
di allora ha vissuto periodi di bracconaggio e caccia che hanno messo in
ginocchio la fauna, ma ad oggi con l’inurbamento e con l’afflusso di turisti
il parco sta riacquistando interamente il fascino di un tempo.
Pare
che la popolazione di bufali abbia raggiunto i 20.000 capi, gli elefanti vantano
un numero ragguardevole di 4.000 e la presenza di predatori e grandi mandrie di
ungulati fanno di questo parco un’attrattiva impedibile.
Le
pianure alluvionali, i laghetti stagionali, i boschi di miombo, e le scarpate
della Rift Valley offrono scenari mozzafiato per osservare gli animali in uno
degli ultimi paradisi del pianeta.
L’avifauna
è presente con oltre 400 specie di uccelli.”
Una guida, Apollo, ci accoglie
sorridente e ci informa che il trasferimento da qui al Katavi Wildlife camp
richiederà un paio d’ore. Ci avverte, inoltre, di prepararci
psicologicamente, e non solo, all’assalto delle mosche tse-tse. Recepiamo con
incosciente leggerezza quest’ultimo avvertimento… non è la prima volta che
visitiamo l’Africa… le tse-tse sono un incontro quasi obbligato… sappiamo
come tenerle a bada…
e altre sciocche considerazioni
che sforano nella presunzione. Ci limitiamo, pertanto, ad una spruzzata di
repellente, neanche tanto abbondante.
Neppure gli “scopini” infilati
in ciascuna tasca dei sedili della jeep generano in noi il benché minimo
sospetto. Pensiamo anzi… ma come se la tirano in questo lodge, addirittura la
scopetta per spolverare il sedile.
Vabbè, peggio per noi, ignari!
Si parte, mi concentro sul
paesaggio, ma ricordo molto poco del lungo tragitto, giusto i primi
“fotogrammi”: il verde dei campi, alcuni piccoli villaggi di capanne, il
bush… forse...perché tempo pochi chilometri e, come profetizzato, le tse-tse
arrivano a sciami. Rimediamo subito diverse punture anche attraverso il tessuto
dei pantaloni, persino delle mutande e delle t-shirt, realizzando così,
drammaticamente, che lo scopino non è un “complemento d’arredo”, bensì
uno strumento indispensabile per allontanare le mosche.
In un assalto senza tregua, i
famelici insetti si impigliano nei capelli, pungendoci pure il cuoio capelluto.
Trascorse un paio d’ore, il bush
dirada aprendosi su una sconfinata piana attraversata da un fiume e frequentata
da una moltitudine di animali: branchi di zebre, topi, impala, elefanti e
giraffe che affollano i boschetti di acacie. Finalmente e quasi per incanto
cessa l’assedio delle tse-tse.
Le premesse di questo parco sono
ottime, ma le due interminabili ore di tormento ci hanno messo a dura prova,
arriviamo al lodge devastati da decine di bubboni e doloranti in ogni parte del
corpo.
Non è esattamente quel che ci
aspettavamo dal Katavi, tuttavia – se non altro – proviamo sollievo nel
venire a conoscenza che l’area nelle vicinanze del lodge è relativamente poco
infestata.
Non manca molto all’ora di
pranzo, ma, prima di sederci a tavola sotto l’ampia struttura con il tetto di
paglia, c’è tempo per prendere possesso dei nostri alloggi: enormi tende
montate su piattaforme di legno con veranda che si affaccia sulla sterminata
spianata e su un tratto del fiume Katuma. All’orizzonte, lontanissimo, si
intuisce una serie di alture, non esattamente montagne, dal colore blu violaceo,
a far da “corona” alla savana dorata il bush e alti alberi, in poche
parole… un paradiso pieno di animali!
Le tende, al posto delle pareti,
hanno solo zanzariere, sappiamo che questa peculiarità ci consentirà di
osservare, anche durante la notte e in tutta sicurezza, il passaggio dei tanti
animali che frequentano quest’area. Non essendoci barriere, recinzioni o
confini, il campo, di poche tende, è semplicemente posizionato nel cuore del
parco, all’ombra di alberi di tamarindo, in un contesto remoto e selvaggio, a
un paio d’ore di strada dal più vicino villaggio.
Siamo gli unici ospiti del campo
e, non solo, anche dell’intero Katavi National Park.
La rivelazione ci fa sentire
privilegiati e pronti a godere di questa forma di “lusso”… oltre 4.000 kmq
tutti a nostra esclusiva disposizione sono quanto di meglio si possa desiderare.
Purtroppo il timore delle tse-tse
frena un po’ il nostro entusiasmo e la nostra urgenza di “uscire” dal
campo, ma aboliti maniche e pantaloni corti, con un cappello calato sulla testa,
abbondantemente spalmati di repellente e sventolando i frustini scacciamosche si
parte per il game drive pomeridiano.
Costeggiamo il fiume attraversando
scenari incredibilmente belli resi preziosi da palme, alberi salsiccia, boschi
di acacie. Sui rami degli alberi tanti nidi appesi come palle di Natale.
Osserviamo ippopotami che,
immobili e con i dorsi scuri emergenti dall’acqua bassa, sembrano macigni ed
altri ancora che escono dalle pozze totalmente ricoperti di fango. Il fiume e le
sue rive sono anche il regno di enormi coccodrilli, lunghi non meno di 4/5
metri.
Tantissimi animali ovunque si giri
lo sguardo. Come per effetto di un incantesimo appaiono dal nulla giraffe,
uccelli, elefanti, bufali, manguste, gru coronate.
Per lunghi momenti siamo
imbarazzati, non sappiamo dove guardare esattamente temendo di perdere scene
preziose.
Grandi branchi di antilopi (impala
e waterbuck) si avviano a bere o corrono liberi nella savana mentre il colore
rossiccio del manto dei reedbuck, specie che vediamo per la prima volta, si
accentua per effetto del tramonto.
Apollo si dimostra paziente e
abilissimo nel riconoscere da lontano ogni singolo animale che noi neppure
vediamo o che ci appare indefinito, come – ad esempio – le iene che
individua con sicurezza e che, per noi, si rivelano tali solo dopo averle
inquadrate con il binocolo.
Il sole che scompare
all’orizzonte piatto come inghiottito dalla savana ed il cielo dalle tinte
forti chiudono questa lunga, intesa e ricca giornata.
Siamo grati all’isolamento del
parco ed alla TV inesistente anche qui, non avremmo retto le immagini
dell’Italia sconfitta dalla Slovacchia ovvero il ritorno a casa. Per le
cattive notizie un SMS è già fin troppo insidioso e stendiamo un pietoso velo
sulle battute sarcastiche dei qui presenti olandesi (i Flintstones) e africani
(lo staff)… la sconfitta brucia, ma incassiamo le frecciate con una scrollata
di spalle. Del resto – detto tra noi - non è che, in questo mondiale, si sia
fatta una gran bella figura.
25
giugno 2010
Durante la colazione c’è
qualche altra allusione al risultato catastrofico della partita di ieri sera, ma
– saliti sulla jeep e partiti – dimentichiamo ben presto il mondo del calcio
per immergerci nel regno animale.
Apollo guida lentamente scrutando
lontano alla ricerca di animali, con passione e scrupolo.
Branchi di impala corrono,
saltando agili e veloci; le giraffe sfoltiscono le chiome delle acacie.
Sul ciglio della pista sabbiosa
che stiamo percorrendo, alcuni leoni, 6 in totale, si dividono in due gruppi e,
nascosti al riparo di alcuni cespugli, presidiano una vicina pozza d’acqua.
E’ evidente che sono affamati e
pronti a sferrare un attacco ai danni di un insieme di zebre e topi che,
cautamente, si stanno avvicinando per bere.
Gli erbivori sono però molto
diffidenti. Il vento soffia nella loro direzione e, fiutando l’odore dei
felini, compiono un ampio giro attorno alla pozza, senza mai avvicinarsi.
I leoni mantengono l’immobilità.
Nonostante non stia succedendo
nulla di sostanzialmente diverso dal nostro arrivo, siamo fermi da un paio
d’ore, senza perdere mai la concentrazione, affascinati nello studiare il
comportamento estremamente titubante delle prede nonché l’atteggiamento
vigile dei predatori.
Secondo Apollo non ci sono i
presupposti perché la caccia avvenga nel giro di poco, a suo dire zebre e topi
se ne andranno entro breve e senza bere, cediamo quindi per primi allontanandoci
dalla scena e dirigendoci altrove.
La mancata predazione viene
compensata da altre belle immagini di elefanti, ippopotami, coccodrilli, impala,
bufali, ma, in particolare, proprio mentre stiamo facendo ritorno al lodge per
pranzare, da uno splendido leopardo che sonnecchia sul ramo di un albero.
Ce lo godiamo per alcuni minuti,
poi quando insistiamo per avvicinarci un poco lo vediamo destarsi, scendere a
terra furtivo e infilarsi rapido nel bush, perdendolo così di vista.
Ci riteniamo molto soddisfatti di
questo parco remoto e ricco di animali dove, non incontrando altri veicoli e
persone, il safari è una questione intima.
Pranziamo scambiandoci le
impressioni della mattinata, ci ritiriamo in seguito ciascuno nella propria
tenda per un paio d’ore di pausa prima del secondo game drive. Tempo che
spendiamo in veranda o seduti sui due lettoni gemelli scrivendo appunti,
leggendo un libro o impugnando il binocolo per seguire gli animali che
affluiscono nella piana che si estende al di là del fiume.
Terminata la “siesta” ci
avviamo verso la zona comune, ma appena fuori dalla nostra tenda, a meno di
mezzo metro da Sandro che mi precede di un passo, un grosso serpente nero si
muove veloce, attraversa lo stretto vialetto pedonale scavato nella sabbia, si
infila tra l’intrico di rami secchi, nascondendosi infine sotto il tronco di
un albero caduto.
Sandro lo vede distintamente e si
blocca davanti a me che, invece, ne intuisco solamente la presenza.
Da sempre, a causa della mia
fobia, quando sento il fruscio di foglie secche provocato da una lucertola o un
piccolo rettile mi immobilizzo. In questo caso il rumore è ben più forte e
dura molto più a lungo, capisco che si tratta di un grosso serpente prima
ancora di vedere il suo guizzo nero tra i rami secchi. Mi paralizzo spaventata
ed il pensiero che siamo soli e lontani dalla zona comune e dalla tenda dei
nostri compagni di viaggio si tramuta in panico.
A Sandro occorrono diversi minuti
per convincermi a sbloccarmi dalla “paralisi” ed a raggiungere il “centro
abitato”. Quando finalmente, con le gambe ancora tremanti, mi incammino, pochi
metri più avanti, un altro serpente nero ci attraversa la strada. E’ più
piccolo del precedente, ma della stessa specie, lo vedo benissimo e, assalita da
una nuova ondata di terrore, non riesco a trattenere né le grida né il pianto.
Non so come, raggiungiamo il
manager ed il personale dello staff che ingaggiano subito una battuta di caccia
ai rettili, ma senza risultato.
Dopo una lenta e progressiva
“abitudine” ai serpenti, con questo episodio se ne vanno in fumo anni di
“training autogeno”, regredisco ai tempi del primo viaggio in terra
africana, quando per timore di incontrarne rinunciai ad un walking safari e di
conseguenza alla possibilità di vedere il Kilimanjaro nei pochi minuti in cui,
la mattina presto, non è coperto dalle nubi.
Ancora frastornata dallo
spaventoso incontro ravvicinato, lascio il campo con sollievo per il safari
pomeridiano. Le tse-tse ora mi sembrano nulla in confronto ad un “faccia a
faccia” con un serpente velenoso.
Ritroviamo i leoni esattamente
dove li abbiamo lasciati. Al gruppo s’è aggiunto un maschio, salgono quindi a
quota 7. Alcuni dormicchiano, ma sappiamo che basta poco, un qualsiasi animale
che si avvicini alla pozza d’acqua, per rivederli tutti immediatamente desti.
Attendiamo a lungo osservando una
scena che, anziché reale, sembra una fotografia, tanto è statica.
In primo piano abbiamo i 7 leoni,
alcuni cespugli forniscono loro un ottimo riparo, poco oltre c’è la pozza
d’acqua, più in là alcune giraffe (ne contiamo 9) che, in fila indiana,
stanno per raggiungerla, ma – molto guardinghe
- si arrestano puntando lo sguardo nella nostra direzione. Alcuni metri più
avanti, due zebre, le prede più papabili, si bloccano allarmate guardando nel
medesimo punto.
Nessuno si scompone, noi siamo
immobili, in attesa di un qualsiasi sviluppo; leoni, giraffe e zebre lo stesso.
E’ in corso un gioco di forza,
basato sul controllo dei nervi.
Tempo un’ora o forse più, le
giraffe si allontanano lentamente, seguite dalle zebre.
A questo punto, sfumata la
possibilità di assistere ad una scena di caccia, abbandoniamo la postazione.
I leoni, per sfamarsi, dovranno
attendere un’altra occasione o, più probabilmente, cambieranno zona.
Concludiamo il game drive
costeggiando un tratto del fiume ammirando la leggiadria di diversi branchi di
antilopi che si incrociano, c’è chi va a bere e chi invece torna, muovendosi
con eleganza.
Sulla via del ritorno le gru
coronate sembrano un crocchio di comari mentre le faraone si rincorrono
sollevando sbuffi di polvere che, al tramonto, si accendono come tanti piccoli
falò.
Ecco un’altra suggestiva
immagine, dolce quanto una poesia.
26
giugno 2010
Accogliamo con entusiasmo la
proposta di tentare – all’alba – una nuova sortita con la speranza di
rivedere il gruppo di leoni.
Sveglia alle 6, è ancora buio e
la luna piena si riflette in uno specchio d’acqua.
A oriente l’orizzonte nero
schiarisce, la macchia di luce, dai colori sempre più intensi, si espande a
vista d’occhio, il sole fa capolino e sale velocemente, le stelle si spengono
e, di fronte, la luna - tinta di rosa - tramonta.
Penso che tale spettacolo abbia,
da solo, reso speciale questa nuova giornata e se, per oggi, non succedesse
altro o non dovessimo avvistare animali, ci sentiremmo ugualmente molto
appagati.
I leoni si sono spostati altrove,
li cerchiamo nei dintorni, ma le loro tracce si perdono nel bush. Senza
indugiare oltre raggiungiamo il fiume.
In lontananza, sulla riva opposta,
vediamo centinaia di bufali, sopra la massa scura del branco compatto volano
stormi di aironi bianchi.
Tra le tante belle scene, quella
che più ci colpisce e ci diverte riguarda un bufalo che sulla schiena reca una
dozzina di uccelletti e che – guadando un corso d’acqua – sembra
traghettare i propri “passeggeri” da una riva per scaricarli poi su quella
opposta.
Il paesaggio è costituito da
savana dal bel colore ambrato, attorno crescono boschetti di acacie, palme,
Kigelie africane, tamarindi e alberi dall’insolito tronco bianco oltre
a diverse altre piante che non siamo in grado di identificare.
Molte le specie animali che
popolano questo stupendo parco, particolarmente numerosi gli impala.
Grandi branchi di elefanti
attraversano la spianata, il gruppo più consistente che tentiamo di avvicinare
conta non meno di 80 esemplari.
E poi il fiume che in tutto il suo
corso e nelle pozze fangose ospita ippopotami sbadiglianti
ed un’esagerazione di enormi coccodrilli.
Alcuni dormono con la bocca spalancata dove non è raro intravedere un
uccellino.
Pur non avendo rivisto i leoni
torniamo al campo molto soddisfatti e, “ciliegina sulla torta”, un bushbuck
femmina ed un cucciolino vengono a farci visita in veranda. Il manto di questa
specie di antilope è rossiccio con macchie bianche. Viene spontaneo ricordare
Bambi, le fiabe e la tenerezza di quel passato.
Con le tse-tse e gli accorgimenti
adottati sta andando più o meno bene, abbiamo imparato a nostre spese che se
soffia un filo di brezza e nelle zone aperte, prive di boscaglia, se ne
incontrano poche, mentre invece abbondano nel bush o in assenza di aria.
Il safari pomeridiano è
disastroso da questo punto di vista. Non c’è un alito di vento, siamo quindi
sottoposti ad un assalto incessante, sventoliamo il frustino per inerzia, la
mano che lo impugna sembra muoversi indipendentemente dalla nostra volontà,
come un automa.
Ma il tedio è ripagato
dall’incontro molto ravvicinato di un branco di elefanti e da una delle più
belle immagini dell’intero viaggio: una fila compatta di un migliaio di bufali
il cui fronte, molto vicino a noi, sembra un muro, mentre la coda dell’immenso
branco si perde in lontananza e sfuma tra la polvere ed in controluce. Surreale
effetto, difficile da fotografare, che immagazziniamo nella memoria.
Siamo così presi da questa sorta
di apparizione, di miraggio che, dimentichi delle mosche, posiamo il frustino.
In pochi minuti collezioniamo diverse nuove e fastidiose punture che, come un
brusco risveglio, interrompono un bel sogno.
Ammiriamo la palla infuocata del
sole tramontare dietro un boschetto di alberi spogli, nere sagome stilizzate che
si stagliano, creando un bellissimo contrasto, sullo sfondo cremisi del cielo.
Tornati al campo, la nostra tenda
è visitata da molto vicino (non più di 2/3 metri) da un elefante solitario che
allunga la proboscide verso di noi.
E’ bellissimo con quel suo
faccione rugoso e le orecchie pigramente sventolanti.
Cerchiamo di scattare un paio di
foto giusto perché abbiamo la macchina fotografica tra le mani, l’elefante
però è troppo vicino, impossibile fissarlo rilassati attraverso il mirino.
Le foto risultano mosse, ma
l’emozione per questa visita inaspettata è davvero tanta.
Mentre ceniamo, una genetta si
rivela molto interessata al tavolo del buffet. E’ uno spasso osservare come si
intrufola e si aggira furtiva, ma anche spavalda, tra i vassoi che conservano
ancora qualche razione di cibo. Con agili balzi salta da terra al tavolo, da
quest’ultimo alle travi che reggono il tetto di paglia e così via, offrendoci
una simpatica e del tutto spontanea esibizione.
La serata è piuttosto fresca e
durante la notte la temperatura si abbassa ancor più, dalle zanzariere spira
aria fredda, si sta meravigliosamente bene sotto i piumini.
Amo dormire all’aperto, perché
è esattamente tale la sensazione che si avverte con una tenda di questo tipo
che garantisce, inoltre, la massima sicurezza e comodità. Provo lo stesso
infantile piacere di quando, bambina, adoravo i temporali notturni gustandoli
rannicchiata nell’accogliente rifugio del mio lettino.
Mi addormento così, senza far
ritorno al presente, crogiolandomi nel ricordo delle perone care e delle cose
che appartengono a quel tempo, “dimenticando” – anche solo per poco – il
dolore di un presente ancora troppo recente.
27
giugno 2010
Il sole sorge e cancella le
tenebre, portando calore e colore, siamo – come ogni mattina - pronti ed
eccitati per il primo game drive della giornata iniziato con l’avvistamento di
moltissimi elefanti che, dopo essere sfilati davanti al muso della jeep, si
dirigono verso la piana.
Sono bellissimi così schierati su
un ampio fronte, con i piccoli al centro, mentre si allontanano silenziosi
rivolgendoci il posteriore, sollevando solo qualche sbuffo di polvere.
Superato un ponte, ci spostiamo
per la prima volta sull’altra riva del fiume costeggiandolo sino a
riconoscere, anche se ben mimetizzato, il nostro campo che vediamo di fronte e
molto lontano.
Anche in questa zona abbondano
coccodrilli, bufali, elefanti, impala, giraffe, ippopotami, uccelli di
differenti specie tra cui spiccano i trampolieri e le immancabili faraone.
Ci fermiamo ad osservare un nido
che ospita vocianti piccoli gufi e, poco distante, un’aquila pescatrice che
reca tra gli artigli un grosso pesce, bottino di una fruttuosa pesca.
Assaporiamo, graziati dalla quasi
totale assenza delle tse-tse, la quiete e la bellezza del paesaggio che
caratterizza questa porzione di parco.
Facciamo una lunga sosta nei
pressi di un boschetto che si specchia in un’ansa del fiume, abbastanza estesa
da sembrare un laghetto, dove una coppia di waterbuck ed i trampolieri sembrano
assorti in contemplazione del placido scorrere dell’acqua e dei caldi colori
del bosco che ricordano quelli autunnali, mentre il sottobosco, con chiazze di
erba verde, macchie scure di muschio e gialli fazzoletti di arbusti secchi, ci
fa immaginare che qualcuno abbia gettato a caso una manciata di tessere di un
puzzle ancora da comporre.
Il percorso lungo il fiume ci
premia anche con lo spettacolo di 7 leoni ben svegli che bivaccano all’ombra
dei cespugli. Riusciamo ad osservarli e a fotografarli da molto vicino.
Si allontanano, solo di poco,
offrendoci nuove pose per altri scatti, quando Mister Fred Flinstone non riesce
a trattenere un poderoso starnuto.
Ridacchio senza farmi notare
pensando a quanto questo omone grande e grosso riesca a “pesare” in natura
poiché sino ad ora ho visto i leoni, generalmente indifferenti a tutto e tutti,
scomporsi solo dopo il passaggio di un aereo.
Siamo grati al nostro amico
“antenato” per averci offerto,
anche se involontariamente, l’occasione per qualche buono scatto fotografico.
Prima di rientrare al campo per il
pranzo attraversiamo il ponte a piedi, provando a tener conto dei coccodrilli,
davvero giganteschi, che colonizzano gli isolotti di sabbia emergenti o che
nuotano nelle torbide acque del fiume insieme alle tante famiglie di ippopotami.
Ci domandiamo se, cadendo di
sotto, il tempo di sopravvivenza - prima di essere divorati dai coccodrilli -
potrebbe essere superiore o inferiore al minuto… scegliamo la seconda ipotesi,
riconoscendo – ancora una volta – la nostra piccolezza e inadeguatezza in
questa natura straordinariamente bella, ma crudele allo stesso tempo, che non
perdona imprudenze o errori.
In previsione, per domani, di una
lunghissima giornata di trasferimento, Signora e Signor Flintstones rinunciano
al safari pomeridiano, optando per una mezza giornata di totale relax. Per noi
il pomeriggio si rivelerà un tormento senza tregua, le tse-tse sono più
fastidiose che mai, vediamo pochi animali e le sole immagini degne di essere
annotate si riferiscono ad una lunghissima linea scura in lontananza che
corrisponde ad un’altra enorme mandria di bufali e a un branco di elefanti che
incrociamo prima di far ritorno al campo. Un piccolo curioso si stacca dal
gruppo e si avvicina a noi che non disdegniamo l’iniziativa, poi però bisogna
fare i conti con mamma elefante che ci mostra il lato peggiore del suo
carattere. Bellissima sequenza!
Lasciati gli elefanti, scorgiamo
in lontananza un “gregge” di umani… proviamo un’ondata di gelosia nel
vederli seduti nella “nostra” savana, di fronte al “nostro” sole che sta
per tramontare… da dove sbuca questa comitiva?
Solo avvicinandoci riconosciamo i
nostri compagni di viaggio, il manager ed un paio di ragazzi dello staff.
Ci uniamo alla combriccola e brindiamo allegramente, ma anche con un velo
di malinconia, a quest’ultima giornata nel “nostro” Katavi.
Il sole scende rapidamente
all’orizzonte mentre il rosso del cielo si riflette nelle tante ramificazioni
e pozze che il fiume ha creato in questo punto. Non ci sono parole adatte per
descrivere la magia di tale esplosione di rosso su fondo scuro: fuoco liquido,
è l’associazione elaborata dal mio cervello.
28
giugno 2010
Mi sveglio nel cuore della notte,
forse per istinto, attraverso le zanzariere e grazie al chiarore della luna
piena noto una grossa sagoma scura, guardo meglio e metto a fuoco un elefante,
poi un altro e ancora…
fino a contarne sei. Sono
vicinissimi, si stanno cibando strappando i rami degli alberi che circondano la
nostra tenda.
Avendo la visuale libera su tre
lati, li osserviamo incantati senza neppure uscire dal letto. Sandro ed io ci
scambiamo taciti sguardi che esprimono emozione e felicità per questo nuovo
omaggio africano.
Il Katavi ci saluta così,
gettandoci un seme di nostalgia che – ne siamo certi – germoglierà e
crescerà tanto da farci desiderare di tornare tra qualche tempo.
Ci riaddormentiamo, ma il nostro
sonno non dura tanto a lungo, alle 6 ci aspettano al tavolo della colazione.
Siamo in partenza, tuttavia non proviamo ancora quel senso di distacco ormai ben
noto perché il viaggio continua.
Qui, al campo, per diversi giorni,
non ci saranno altri ospiti. Il Katavi tornerà ad esclusivo beneficio dei soli
animali. Incontenibile la soddisfazione mista a commozione per essere stata
parte integrante, anche se minuscola, di questo luogo e del documentario che vi
si svolge continuo.
Coperti sino ai denti per
prevenire il freddo, ma anche e soprattutto per far fronte all’assalto delle
tse-tse,
partiamo alla volta dell’airstrip.
Mentre viaggiamo al buio
rabbrividisco, non solo a causa dell’aria pungente, bensì per la rivelazione
del manager che, prima dei saluti,
ci ha raccontato d’aver stanato, ieri, in “ufficio” (struttura aperta con
copertura di paglia), il serpente che giorni fa ci ha tagliato la strada.
Ebbene il mio terrore non era del
tutto immotivato poiché si trattava di un cobra nero sputatore della lunghezza
di circa 2,5 metri… un nuovo brivido mi percorre la schiena ripensando
all’affermazione “non s’era mai visto prima un esemplare così grosso e
lungo!”… non riesco proprio a compiacermi di tale onore!
Nonostante 2 ore di viaggio, delle
tse-tse non si vede traccia, non ci par vero d’essere scampati ad una nuova
raffica di punture. Grazie e ancora
grazie, Katavi, per questo abbuono.
Salutiamo il pilota che già
conosciamo per averci condotto sin qui, anche l’aereino è lo stesso, ma, non
imbarcando altro che i nostri bagagli, viaggeremo un po’ più comodi.
Apollo lancia il fuoristrada a
velocità sostenuta, percorrendo la pista in un senso e nell’altro più volte.
Non è impazzito come si potrebbe pensare, sta solo allontanando gli impala che
innumerevoli affollano la rossa striscia di terra battuta.
Come non provare già una punta di
nostalgia di questo straordinario parco?
Dopo 40’ di volo piuttosto
turbolento e un atterraggio da brivido su una corta pista, incastonata tra le
montagne e che termina sulla riva del lago Tanganyika, eccoci giunti
all’ultima tappa del nostro viaggio:
Mahale
Mountains National Park
“Probabilmente
il parco meno visitato e accessibile della Tanzania. Si trova 120 km a Sud di
Kigoma, su una penisola che si protende nel lago Tanganyika e vanta una
straordinaria varietà di habitat, culminanti nei Monti Mahale che raggiungono
un’altitudine di 2.462 m.
Su
una superficie di 1.613 kmq si trovano foreste, montagne, savane e ambienti
lacustri. La fauna è estremamente ricca di specie ornitologiche, mentre tra i
mammiferi si trovano elefanti, bufali, leoni, giraffe, kudu e alcelafi anche se
non è facile poterli avvistare perché qui l’unica possibilità di visitare
il parco è muovendosi a piedi. Anche qui la principale attrazione del parco
sono gli scimpanzé di cui alcune famiglie sono state abituate ad accettare la
presenza di visitatori, ma, a differenza di Gombe, non è per niente scontato
che si riescano ad avvistare, a causa dell’estensione del parco e della
difficoltà degli spostamenti.”
ARRIVEDERCI, Anita e Robert!
E’ stato un piacere immenso
condividere tante esperienze ed emozioni, buon proseguimento verso la Selous
Game Riserve, speriamo di incontrarci nuovamente in Africa, nel frattempo
teniamoci in contatto via e-mail e, per finire, in bocca al lupo per la vostra
nazionale (Olanda) ancora in gioco per l’aggiudicazione della World Cup 2010.
Con una vecchia imbarcazione a
motore scivoliamo sull’acqua trasparente del lago, vedendo sfilare piccoli
villaggi di pescatori, massi di granito modellati dal vento come sculture,
spiagge di sabbia chiara e le pendici di montagne verdissime.
Entro i limiti del parco non vi
sono insediamenti umani, fatta eccezione per un paio di lodge, il quartier
generale dei ranger ed una stazione di ricercatori giapponesi che da decenni
studiano i primati, endemici, di questa area naturalistica.
In circa un’ora raggiungiamo
Kungwe beach lodge, lo staff al completo è allineato sulla spiaggia pronto a
riceverci. Il comitato di accoglienza ci imbarazza non poco, ancor di più la
notizia che siamo gli unici ospiti.
Come di rito, dopo le
presentazioni (ricordassimo un solo nome!), ci accompagnano al nostro alloggio:
una spaziosa tenda montata su palafitta di legno, con magnifica vista
sull’intera spiaggia, di sabbia bianca, a forma di mezzaluna.
Pranziamo insieme alla giovane
coppia che gestisce questo bellissimo campo tendato. La nostra soggezione si
scioglie in poco tempo discorrendo del perché ritirarsi a lavorare qui,
nell’isolamento più totale, per tre anni consecutivi, di scimpanzè e di
molto altro. Apprezziamo, inoltre, la disponibilità al dialogo di entrambi pur
con i limiti del nostro inglese, non esattamente da “college” e, non ultimo,
condividiamo la passione africana beandoci dei racconti di un passato trascorso
quasi esclusivamente in Africa, scambiandoci impressioni sui luoghi che anche
noi abbiamo visitato e amato.
Nel pomeriggio, con una facile
passeggiata di un paio d’ore, prendiamo confidenza con la foresta circostante.
Ci accompagnano un ranger ed una
guida che ci mostrano piante, semi, fiori, impronte ed escrementi degli scimpanzè
e di altri animali, illustrandoci, di volta in volta, le abitudini di ciascuna
specie.
La lezione didattica è molto
interessante e ci introduce, per oggi solo teoricamente, nel regno degli
scimpanzè che vedremo domani e dopo, nel frattempo ci “accontentiamo” di
seguire una femmina di facocero con piccolo e diverse scimmie.
La prima giornata in questo remoto
parco, incastonato nel cuore dell’Africa, termina con una serie di eventi che
non hanno nulla di sensazionale, ma che ci infondono un senso di pace ed un
appagamento assoluti. Si tratta, nell’ordine, di quanto segue: una velvet
monkey che mi osserva e mi tiene compagnia mentre annoto alcuni appunti, un
tramonto che in Africa non è mai scontato, la squisita cena seguita da
amichevoli chiacchiere attorno al fuoco che ci scalda, sotto un cielo nero dove
brillano milioni di stelle e dove, tra le tante costellazioni, sono facilmente
riconoscibili la Croce del Sud e Scorpione e, per finire, il velo del sonno che
si sovrappone al rumore dello sciabordio delle onde ed al coro delle cicale fino
a spegnere tutto avvolgendoci nelle ombre e nel silenzio.
29
e 30 giugno 2010
Trascorriamo questo speciale
finale di viaggio, che potremmo considerare una seconda (o terza, quarta,
quinta… ogni nostro viaggio in fondo lo è) luna di miele, impegnati, durante
il giorno, a cercare gli scimpanzè o in barca a pescare e, la sera, a gustare
la cena a lume di candela e sotto le stelle o il barbecue con il pesce che noi
stessi abbiamo pescato, il calore del falò ed il sonno cullati dalla brezza e
dai suoni delle creature notturne che vivono nella foresta e che, talvolta, si
spingono fin sulla spiaggia.
Prima d’ogni altra cosa ci
dedichiamo alla ricerca degli scimpanzè, attività più impegnativa di quel che
immaginavamo.
Il gruppo più vicino da
raggiungere e seguire si trova sull’altro versante della montagna. Occorre un
trasferimento in barca di un’ora per arrivare all’imbocco di un sentiero che
risaliamo a piedi e che, seguendo le indicazioni trasmesse via radio dai ranger,
abbandoniamo inoltrandoci nella boscaglia con la vegetazione a tratti talmente
fitta da rendere necessario l’uso di un macete per aprire un passaggio.
Siamo abbastanza fortunati da
individuare una famigliola di scimpanzè dopo poco più di un’ora di cammino,
purtroppo non è facile fotografarli in quanto stanno accovacciati sui rami più
alti degli alberi, si muovono veloci, si nascondono tra il fogliame, girano il
muso mostrandoci spesso solo il “lato B”.
Pensiamo di avvicinarli e di
osservarli con più agio quando, scendendo lungo il tronco degli alberi, toccano
terra, ma non si fermano che pochi secondi. Se ne vanno, infilandosi rapidi in
una galleria di rami e arbusti secchi, lasciandoci con un palmo di naso. Li
seguiamo, strisciando dapprima sotto il basso intrico e poi issandoci su un alto
terrapieno non senza l’aiuto dei nostri accompagnatori.
Una gola stretta e profonda ci
impedisce di proseguire, nel vedere gli scimpanzè risalire sul versante opposto
è chiaro che per oggi la “caccia” finisce qui. Sudati fino
all’inverosimile non ci resta che tornare in riva al lago ad aspettare la
barca che ci riporterà al lodge.
Possiamo trarre la conclusione che
l’esperienza è analoga a quella che, qualche anno fa, ci vide impegnati nella
ricerca dei gorilla di montagna che vivono nell’area dei vulcani a cavallo tra
Uganda, Rwanda e Congo.
Fatica e difficoltà
nell’avvicinare gorilla e scimpanzè sono pressoché simili, c’è, tuttavia,
una sostanziale differenza: stabilire il contatto visivo con i gorilla, che può
avvenire dopo diverse ore di duro cammino, equivale anche alla fine della fatica
fisica. Ci si ferma, infatti, ad osservarli per un’ora, con buone opportunità
fotografiche. Ciò è possibile in quanto i gorilla sono generalmente molto
vicini, immobili o quasi e indifferenti all’uomo, nel senso che alcune
famiglie sono state gradualmente “abituate” e tollerano la presenza di
piccoli gruppi di osservatori, continuando indisturbati a svolgere le loro
abituali attività.
Al contrario, trovare gli scimpanzè
corrisponde all’inizio delle fatiche poiché si rende necessario rincorrerli,
avanzare nella vegetazione intricata, scivolare, graffiarsi, impigliarsi nei
rami spinosi, scendere o risalire su terreni niente affatto agevoli. Il tutto a
passo sostenuto, altrimenti se ne perdono le tracce.
Il tempo a disposizione anche in
questa occasione è pari ad un’ora e decorre dal primo avvistamento, ma non si
spende tale tempo in sola e totale osservazione e, soprattutto, non è garantito
il risultato fotografico.
Nonostante
il mancato “tête-à-tête” con gli scimpanzè, siamo contenti
dell’esperienza, ma anche determinati a non ripeterla nei prossimi giorni.
Decidiamo quindi di goderci questo parco da un’altra prospettiva: il
lago Tanganyika!
“Il
lago Tanganyika ha una superficie di 32.900 kmq, è lungo 677 km e profondo
1.436 m. Tutte queste cifre lo rendono il secondo lago più grande d’Africa
dopo il lago Vittoria, il lago d’acqua dolce più lungo al mondo ed il secondo
lago più profondo del pianeta superato solo dal lago Baikal.
A
renderlo particolarmente interessante sono però la sua straordinaria ricchezza
ittica dove si distinguono più di 200 tipi di ciclidi di cui molti endemici, e
la bellezza del paesaggio circostante con catene montuose ricoperte da foreste
abitate da grandi gruppi di primati, tra cui spiccano gli scimpanzè, che
abitano i parchi nazionali di Gombe e dei monti Mahale.
Con
oltre 1.500 specie animali e vegetali, di cui la metà si trovano solo in questo
ecosistema, il lago Tanganyika ha un’altissima biodiversità. Quattro sono i
parchi nazionali che si affacciano al lago: oltre ai tanzaniani Mahale Mountains
National Park e Gombe Stream National Park, vi è il Rusizi National Park in
territorio del Burundi ed il Sumbu National Park in territorio zambiano. La
pesca su piccola scala è permessa in quasi tutti questi parchi.”
Le uscite in barca offrono
l’opportunità di vedere tantissimi uccelli e regalano plurimi incontri con
gli ippopotami. Grazie alla eccezionale trasparenza dell’acqua, possiamo per
la prima volta osservarli mentre nuotano o camminano sul fondale sabbioso.
Proviamo, inoltre, a pescare, con
la sola lenza, un piombo appeso nella parte finale e 5 o 6 ami... i pesci
abboccano presto e, cosa incredibile, senza esche.
Attratti da questa nuova e
proficua “attività” decidiamo di dedicarci alla pesca a tempo pieno,
uscendo in barca mattina e pomeriggio per il resto della vacanza, tornando ogni
volta soddisfatti e con un bel bottino, oltre che con le immagini di splendidi
tramonti.
La tecnica di pesca è
semplicissima: si srotola il filo (lungo circa un centinaio di metri) sino a che
il piombo tocca il fondale, badando a tenerlo teso e soppesandolo. Si solleva e
si abbassa il filo, con movimenti lenti, quando si avverte un peso maggiore
significa che i pesci hanno abboccato. A quel punto si recupera la lenza e quasi
sempre ad ogni amo è attaccato un pesce, vale a dire 5 o 6 per ogni recupero.
Ci divertiamo per ore insieme al
timoniere ed all’”equipaggio”, non abbiamo una lingua in comune, ma i
gesti, le risate e la buca che si riempie di pesci ci uniscono più delle
parole.
L’Africa, quale ultimo dono, ci
omaggia di una fila di babbuini che a turno, uno per volta, vengono a bere alla
spiaggia, sono molto guardinghi, è quindi verosimile che la zona sia
frequentata anche da predatori, come il leopardo.
Anche gli africani hanno una
sorpresa per noi…
è l’ultima sera, stiamo cenando
sotto le stelle, da molto lontano sentiamo un canto, o meglio ci pare di
sentirlo, il buio totale cela le figure, ma il coro di voci si avvicina sempre
più, poi – come un’apparizione
– sfilano uno ad uno tutti i componenti dello staff sorprendendoci e
salutandoci con le dolci note di un inno locale… melodia che arriva al cuore e
ci commuove.
1
luglio 2010
Trascorriamo la mattinata in
spiaggia, sforzandoci di non lasciarci travolgere dalla malinconia per
l’imminente distacco da questa porzione d’Africa che ci ha regalato tante
emozioni ed il privilegio di assaporarle in solitaria.
Facciamo provvista dei colori,
della bellezza e della quiete che qui abbondano, a casa avremo sicuramente
bisogno di attingervi per rifugiarci, anche se solo mentalmente, nel magico
caleidoscopio africano.
All’incirca verso mezzogiorno
lasciamo il “nostro” lago, la “nostra” romantica capanna ed i compagni
di tante avventure (non più genericamente “lo staff”!) schierati sulla
spiaggia a salutarci.
Saliamo sulla barca con gli occhi
lucidi, ci allontaniamo sempre più, ma gli amici africani restano là, ci
sbracciamo scambiandoci saluti sino a che l’imbarcazione svolta, seguendo il
profilo della costa. Sandro ed io non ci parliamo per non scoppiare in lacrime.
Quanto rivediamo scorrere – le
montagne, i villaggi, le casine ordinate, i bimbi sorridenti, i pescatori, le
barchette colorate, le reti stese al sole, le ceste ricolme di panni lavati,
etc. – ora è ancora più dolorosamente bello rispetto a qualche giorno fa.
Facciamo il pieno delle ultime immagini con ingordigia, esattamente come chi sa
di non potersene “cibare” per molto tempo.
Un pilota donna, con un aereo un
po’ più grandicello (12 posti), in sole tre ore ci riporta ad Arusha.
Di quest’ultimo volo ricordo
solamente la bellezza e la trasparenza del Tanganyika e, poco prima di
atterrare, il bacino del lago Manyara. Tutto ciò che è passato sotto di noi
nel mezzo me lo sono perso facendo l’inventario dei tanti ricordi, sensazioni,
emozioni.
Temevamo di mal sopportare il
passaggio dall’isolamento dei parchi che abbiamo appena lasciato al traffico
vivace di Arusha, alla moltitudine di persone che ne affolla le vie, ai colori
delle botteghe, delle piantagioni di banane e caffè. Ci facciamo, invece,
catturare da tanta vitalità ed il nostro umore ne é contagiato positivamente
tanto che fantastichiamo di ricominciare il tour visitando i Parchi del Nord.
In città abbiamo appuntamento con
Hillary, che rivediamo con rinnovato piacere.
Possiamo, così, a caldo,
esprimere la nostra totale soddisfazione ed i nostri ringraziamenti per
l’accuratezza dell’organizzazione del viaggio, ma soprattutto per l’aiuto
spontaneo reso in un momento drammatico.
Lasciata Arusha, raggiungiamo Kia
lodge che dista poco meno di due chilometri
da Kilimanjaro Airport. E’
tuttora una struttura accogliente, le “capanne” circolari sparse nel
giardino lussureggiante sono sempre molto curate. Il ristorante, invece, ci
delude un po’, ricordiamo d’aver cenato meglio qualche anno fa, ma poco
male, quest’ultima è soltanto una tappa obbligata, in attesa del volo di
rientro in Italia.
2
luglio 2010
Spendiamo il poco tempo che ormai
ci resta bighellonando in giardino, sottoponendoci ad una serie di massaggi e
saggiando la comodità dei lettini a bordo piscina.
Alle 13,30 il trasferimento in
aeroporto, poi i controlli, l’attesa, il decollo in orario e l’Africa che,
sotto di noi, ci saluta con una visione eccezionalmente nitida del Monte
Kilimanjaro.
Durante lo scalo ad Addis Abeba un
boato festoso annuncia che il Ghana ha segnato il primo gol contro l’Uruguay e
ci fa ben sperare che l’ultima squadra africana rimasta in gioco acceda alle
semifinali.
Siamo certi che, in questo
momento, anche l’intera Africa sta esultando, ma il secondo gol, segnato dall’Uruguay, riporta tutti con i
piedi per terra. Il calcio di rigore assegnato al Ghana alla fine del secondo
tempo supplementare crea un silenzio irreale e l’unanime grido di dolore
quando il pallone colpisce la traversa è una pugnalata. Si va ai rigori, ma
vince l’Uruguay e l’intera Africa si affloscia nell’amarezza della
sconfitta.
Pur non vedendo le immagini
riusciamo a seguire, attraverso le radioline e gli umori delle persone che
affollano l’aeroporto, le varie fasi di questa interminabile e sofferta
partita. Felicità e sconforto sono collettivi, coinvolgono tutti,
indistintamente, ed il dolore per la disfatta è palpabile.
Insieme alla speranza di una
finale africana termina anche il nostro viaggio: uno splendido arcobaleno
comparso dopo il passaggio della tempesta!
FINE
Daniela