India:
Rajasthan Luglio 2004 |
Diario di viaggio
di
Francesca
Durata
del viaggio: 16 giorni
Partenza
15/07/04 – ritorno 31/07/04
Itinerario
percorso:
Delhi
- Jodhpur - Pushkar - Jaipur - Agra - Khajuraho - Varanasi- Delhi
aereo
bus bus
bus bus
treno
aereo
Sono
ancora a chiedermi quali sono le ragioni che mi portano in India per la terza
volta…quando ecco che l’hostess avvisa di allacciare le cinture di
sicurezza; siamo prossimi all’atterraggio a Delhi.
E’
la prima volta che visito il nord e mi piace molto l’idea di fare questo
viaggio da sola.
L’aereo atterra ed in breve mi trovo a sbrigare le pratiche di ingresso all'ufficio immigrazione, pervasa dal pungente odore del disinfettante per pavimenti indiano, un misto tra canfora e alcool; anche a Bombay e negli aeroporti dei voli “domestici” è molto utilizzato, quell’odore è davvero inconfondibile!
Come
previsto, per il controllo del visto e la compilazione di tutte le carte impiego
un’oretta circa, immersa in una delirante coda fra telefonini che suonano,
bambini che piangono, gente che discute animatamente...
Esco
infine dall’aeroporto, dove un taxista mi sta attendendo con un cartello sul
quale sta scritto "Welcome Francesca !", a caratteri cubitali…sono a
Delhi!
Il
mio driver, raccontandomi lungo il tragitto tutto sulla sua vita dai tre anni in
poi, mi conduce all’albergo in zona Paharganj. Sono ormai le undici e mezza di
sera e decido di andare a dormire presto, nella stanzetta delle bambole che mi
hanno assegnato: le pareti sono di colore rosa antico laccato, mentre gli
infissi di porte e finestre sono rifiniti con stravaganti lavorazioni di gesso
bianco. Che stanza bizzarra!
Per
il mattino successivo non c’è bisogno di mettere alcuna sveglia, non appena
fa giorno, infatti, tutte le attività ripartono e dalla strada giunge il rumore
frenetico della vita risvegliata; questa è la sveglia naturale, anche se non la
vuoi.
Prima
di prendere il volo per Jodhpur ho a disposizione circa una mezza giornata, e
decido di trascorrerla in visita al “ Red Fort”.
Sono
le undici del mattino e c’è un caldo veramente soffocante, accentuato
dall'elevato tasso di umidità. Sono prossima al collasso per da calura, sorrido
divertita osservando alcuni indiani che si asciugano la fronte grondante di
sudore, altri che mettono la testa sotto il rubinetto dell'acqua dei bagni ed
altri ancora che, fradici come appena usciti da una doccia, si sono messi una
bandana sulla fronte per impedire che il sudore scenda sul viso. Mi sembra di
essere dentro una sauna più che nei giardini reali!
Il
forte merita una visita di almeno un paio di ore, necessarie per farsi un'idea
dello splendore che fu; durante la visita colpisce molto come “clamoroso fuori
contesto” la caserma dei coloni Inglesi, posizionata strategicamente a ridosso
delle mura del forte, per averne il massimo controllo.
Le
mura del forte sono davvero impressionanti viste dall’esterno, soprattutto in
lontananza, sono di colore rosso mattone, da cui il nome del forte,
e decisamente imponenti.
-Jodhpur-
Sono
arrivata a Jodhpur all’imbrunire, e scesa dall’aereo, mi è sembrato di
arrostire sulla pista di atterraggio rovente.
Una
volta uscita dall’aeroporto mi attendevo il consueto assalto di tassisti e di
risciò-men, ma con mio enorme stupore, nessuno era accalcato in cerca di
clienti, così mi sono avvicinata all’ufficio esterno dei taxi prepagati e da
lì mi sono fatta condurre al centro della città vecchia, all'interno delle
mura.
Nella
città vecchia c’è una vastissima gamma di alberghi, quasi tutti con il
ristorante sul tetto, dai quali si può apprezzare il magnifico paesaggio del forte
di Meherangarh
e
gli scorci delle originalissime case azzurre tipiche di Jodhpur.
Il
mio albergo era proprio era ai piedi della collina rocciosa del forte; uno dei
gestori, avendo terminate tutte le stanze per i clienti, all’ultimo momento mi
ha trovato una sistemazione nella stanza del proprietario, senza preoccuparsi
eccessivamente di farmela trovare almeno pulita!
La
vista del forte da qualsiasi punto della città è davvero gratificante, sia di
giorno sia di notte. Meherangarh è indubbiamente una delle fortezze più belle
del Rajasthan, e per questo merita di essere visitata accuratamente, almeno una
mezza giornata.
La
mattina seguente, dopo aver consumato la colazione sul terrazzo dell’hotel, mi
incammino lungo la salita che conduce al forte, sotto il sole cocente, con i
vestiti appiccicati alla pelle, letteralmente in un bagno di sudore. Più tardi
mi confermano che c'erano almeno una quarantina di gradi, e un tasso di umidità
oltre il novanta per cento.
Lungo
la gradinata per il forte incontro ragazzini di tutte le età e delle donne che
mi invitano ad entrare nelle loro abitazioni per bere un tè…ma decido di non
trattenermi oltre, e proseguo fino ad arrivare all’ingresso.
In
prossimità del portone del palazzo, una piccola banda musicale con costumi
locali mi da il benvenuto suonando trombette e cantando “welcome madam”.
E’divertente
quest’accoglienza un po’ fuori tempo, lascia spazio alla fantasia e porta ad
immaginare come dovesse essere nei tempi che furono, quando il forte era nel
periodo del suo massimo splendore, intorno al 1840.
Pochi
metri dopo l’ingresso, costruito a dimensione di elefante, noto appeso al muro
un calco sul quale sono impresse delle piccole manine di donna, appartenenti
alle 15 mogli del maharaja Man Singh, sacrificatesi tramite la pratica del “sati”,
in altre parole buttandosi sulla pira funeraria in fiamme del marito venuto a
mancare.
Ora
questa pratica è assolutamente illegale, ma a quei tempi era prassi che la
donna si gettasse sulla pira funeraria del marito, perché secondo la tradizione
indiana non era un sacrificio bensì era considerata una morte degna di onore e
memoria.
Devo
riconoscere che la vista di quelle manine e della storia che a queste sta dietro
mi ha lasciato qualche minuto sospesa. Mi fa molto pensare questa
pratica per fortuna ormai dismessa.. un infinito amore anche nella morte,
o semplicemente una considerazione delle donne prossima allo zero
Probabilmente, vista come era strutturata la società di allora,
semplicemente l'ipotesi due; ma meglio non entrare nel merito con l’occhio
dell’occidentale.
Il
forte è immenso e vi sono numerosi punti panoramici dai quali si gode di una
vista meravigliosa; dal versante ovest si vedono le antiche mura di recinzione
della città vecchia e le case azzurrissime dei bramini, le prime che furono
costruite. Dall’altra, invece, si osserva la città di Jodhpur, si scorgono le
particolarissime abitazioni azzurre in cui vive la gente comune ed in lontananza
si vede la linea dell’orizzonte.
Il
palazzo dentro il forte è ricco di stanze ed è un’anticipazione, per alcuni
aspetti, dell'architettura del palazzo dei venti di Jaipur.
Sul
muro perimetrale, dove alloggiano i cannoni, si ha la vista migliore sulla città;
qui numerosi bambini vestiti con colorati costumi indiani danzano per i turisti,
accompagnati dal citar e dal canto melodico dei genitori…è molto piacevole
come sottofondo e accresce ancora di più la suggestione e l’atmosfera del
paesaggio.
In
prossimità del forte, a circa cinque minuti di cammino, c’è il mausoleo
bianco di Jaswant Thada, molto bello,
da visitare possibilmente non nelle ore più calde del pomeriggio perché essendo esposto al sole
tutto il giorno, diventa una specie di forno.
C’è
un piccolo laghetto prima di giungere al mausoleo, con pochissima acqua molto
verde perché sovraffollato di alghe; immagino che in periodi migliori, quando
non c’è carenza di acqua, lo spettacolo sia mozzafiato. L’estate è
difficile quest’anno, mi raccontano, perché la stagione monsonica tarda ad
arrivare e l’acqua inizia a scarseggiare un po’ ovunque.
Ad
un certo punto, pensando di essere colta da delirio per il troppo caldo, ho
creduto di vedere la testa di un cane nel lago. In effetti, non era una visione,
bensì uno scheletrito cane nero che cercava un po’ di refrigerio nelle acque
putride della torrida giornata estiva.
Le
mie condizioni fisiche non erano molto diverse da chi sta attraversando un
deserto, il caldo stava diventando insopportabile, il vento che muoveva l’aria
era come un asciugacapelli sul viso e, più che essere un sollievo, scottava la
pelle. Nonostante tutto, non comprendo neanche oggi per quali folli motivazioni,
io adoro queste condizioni climatiche.
Immagino
che il periodo migliore per visitare questa zona siano comunque le mezze
stagioni.
Il
mausoleo di Jaswant Thada, è di marmo bianco, mentre il basamento è costruito
con arenaria rossa.
Non
si poteva scegliere posto migliore per un luogo di riposo, in cima ad un monte,
con il vento leggero che soffia, la vista stupenda sulla città colorata, la
pace e la tranquillità del posto, dove ogni rumore di Jodhpur giunge ovattato.
Mi
siedo all’ombra per godermi l’atmosfera e vicino a me trovo un piccolo
dinosauretto, non so se un camaleonte o un’anomala lucertola, che condivide
l’ombra del mio albero.
Il
mausoleo è meraviglioso, è un esempio di architettura e arte scultorea
sublime, ed io mi perdo nel dettagli delle finestrelle e della porta
d’ingresso, dettagli per cui io ho un’attenzione particolare; sono
rapidamente riportata alla realtà dalle domande del guardiano, che inizia il
classico divertente terzo grado sulla mia vita e sulle zone visitate
dell’India. E' piacevole questo scambio due battute, anche se sarà la
ventesima volte che racconto le stesse cose, perché il discorso finisce con
grandissimi sorrisi, come sempre in India.
Dopo
la visita al mausoleo decido di tornare a piedi in città, assaporandomi quella
meravigliosa sensazione di essere completamente e assolutamente libera, in un
paese sconosciuto, di sentirmi a mio agio sempre, comunque e con chiunque,
insomma di muovermi in India come se fossi a casa mia.
Mi
inoltro quindi per il paese, adoro camminare nelle viuzze di Jodhpur, dove si
vedono scene di vita quotidiana, mi fermo a parlare con le persone delle cose più
banali che in quel contesto assumono un significato particolare. Mi accolgono
solo sorrisi ad una grandissima cortesia, con alcuni scambio anche della sottile
ironia. Si ride sempre.
Veramente
particolari sono le case, che sembrano quelle descritte con estrema fantasia nelle fiabe
dei bambini.
Porte,
porticine e finestrelle, sono spesso colorate di colori sgargianti e con
lavorazioni originali e stravaganti, sono lì proprio per essere guardate!
Le
case sono di un colore azzurrissimo, con le porte e le finestre di legno verde
sgargiante; pare che il colorante azzurro utilizzato come intonaco esterno,
serva anche per proteggere sia dal caldo sia dagli insetti.
Molte altre case a dire il vero sono abbandonate a se stesse, ed è un vero peccato, ma….
-Pushkar-
Inizialmente
non avevo neppure preso in considerazione l’idea di passare per Pushkar, a
pochi km da Ajmer, ma grazie al consiglio di un caro amico che era stato qualche
anno prima, ho deciso di ripensarci.
Il
paesino è in prossimità di Ajmer, ma da lì ci sono circa una ventina di km da
percorrere con un tuc tuc, prima di arrivare al paese del lago sacro. Lungo la
strada è facile incontrare delle persone in processione vestite di arancione,
sono i vari praticanti che stanno andando o tornando a piedi da Pushkar; sono
spesso ragazzi o sadu che stanno compiendo qualche cammino di purificazione.
A
Pushkar c’è il lago sacro, che è il fulcro del pease, sulle cui rive ci sono
numerosi ghat ed intorno a questo tutto il resto; è un piccolo paese disperso
tra le colline, finito il quale c’è solo un meraviglioso paesaggio. Anche per
questo è un posto magico.
Il
mio albergo, questa volta scelto con cura, è sulle rive del lago e dalla
terrazza ristorante del tetto posso osservare tutto il paesaggio;
la stanzetta è molto carina, semplice come piace a me, con le pareti
colorate di azzurro-violetto e due finestre che danno sul lago dalle quali entra
una fresca brezza.
Nella
stanza oltre al letto non c’è niente altro…ma in fondo cos’altro serve?
In
questo paesino si sta davvero bene, assorti in un clima di serenità e semplicità estrema; sto riflettendo
molto sullo stile di vita che sto conducendo da quando sono partita, molto
essenziale e ridotto a poche cose, ma non per questo meno coinvolgente ed
intrigante.
La
sera è molto bello trascorrere il tempo su qualche tetto, ascoltando il mantra
che accompagna sempre come sottofondo l’atmosfera di Pushkar; c’è infatti
un altoparlante collegato con il tempio principale che trasmette continuamente,
giorno e notte, le preghiere, recitate a turno durante la notte dagli uomini e
lungo il giorno dalle donne.
E’
anche piacevole stare qualche ora, nella parte più calda della giornata, a
godersi il paesaggio del lago ed i bambini che impazziscono a giocare
nell’acqua, facendo capriole spettacolari e spruzzi incredibili.
Vengo
a conoscenza, parlando con diversi
indiani nel bazar, del tempietto di
Savitri, posizionato in cima ad una collina in prossimità di Pushkar,
raggiungibile tramite un sentiero a scale (molto simbolico!) in una
mezz’oretta di cammino.
Mi
avvio quindi verso il tempietto, lungo questo percorso sassoso che si inerpica
sul monte; meno che in altre zone ma fa caldo anche qui e sotto il sole di
mezzogiorno inizio la mia ascesa.
Qualcuno
mi accompagna sempre nel mio cammino, questa volta uno studente di Ajmer che,
anche lui per turismo (così mi ha racconta, ma in realtà il suo interesse ero
io!) sta salendo a visitare il tempietto di Savitri, e continua a farmi domande
come se già la salita di per sé non fosse sufficiente a togliermi il respiro.
Il
sentiero passa proprio sul crinale della montagna, a destra e a sinistra si
scorge lo strapiombo; ci sono alcune piante sul bordo, sulle quali saltellano
delle scimmie bianche con una coda molto lunga, e con un ciuffetto di peli neri
irtissimi sulla fronte.
Il
tempietto di per sè non è nulla di particolare, ma è importante per il suo
significato religioso, ed è dedicato a Savitri.
Il
panorama è notevole anche da questa postazione, e la giornata di sole e cielo
azzurro non fa altro che amplificare la sensazione di pace e libertà che si
assapora da lassù.
Mentre
sono completamente assorta nel paesaggio, dispettosi strilli e rumori di rami
mossi mi riportano alla realtà, e vedo che il guardiano del tempio sta
allontanando le scimmie in malo modo, chissà che gli hanno combinato….
Sto
circa un’ora in cima alla collina e poi ridiscendo al lago, anche perché nel
pomeriggio ho un appuntamento con Ana, una ragazza olandese conosciuta in
mattinata, che viaggia come me da sola.
Sono
a circa a metà sentiero quando una di quelle scimmie spettinate, balza
improvvisamente davanti a me sbarrandomi la strada, probabilmente incuriosita
dalla mia borsa, e mi mostra i denti con chiaro atteggiamento di attacco.
Ci
sono io soltanto sul sentiero (l'unico momento in cui mi trovo davvero sola in
India!), sconcertata, con la scimmia, che, vista sugli alberi prima non sembrava
così grossa !
In
pochi secondi ricordo a me stessa che, se avesse rubato la mia borsa, tutto il
mio viaggio sarebbe finito in quell’esatto istante.
Dall’iniziale
sensazione di timore ecco una reazione inaspettata, di attacco da parte mia;
emetto un urlo disumano ed insieme digrigno i denti, terrorizzando
non solo la scimmia ma me per prima !?
La
scimmia fugge ed io, di nuovo, ribadisco la mia performance animalesca fino a
quando scompare dalla mia vista saltellando tra i radi alberi; poi trascorro
l’intero pomeriggio ridendo da sola, come sono soliti fare i malati mentali,
ricordando l’episodio ma soprattutto la mia reazione!
-Jaipur
-
Il
primo pomeriggio trascorso a Jaipur lo dedico alla visita del complesso del City
Palace, dove si trova anche il palazzo dei venti o Hawa
Mahal, meraviglioso palazzo simbolo della città di Jaipur.
La
facciata migliore del palazzo dei venti si apprezza sul lato della strada
opposto rispetto all'ingresso; questa era un tempo la via principale dove si
svolgeva la normale vita della città. Le donne del palazzo, che non potevano
essere viste, tramite le tipiche finestrelle costruite e nido d'ape, avevano così
la possibilità di osservare lo svolgersi delle vita al di fuori del palazzo.
La
mattinata del giorno successivo inizia con un’estenuante contrattazione per
andare a visitare il Forte di Amber.
E’
a circa 5 km fuori Jaihpur, ma sembra che si debba andare sulla luna! "E’
lontano!" dicono tutti i driver di tuc tuc e sparano sul prezzo. Io
racconto loro che con un autobus pubblico servono cinque rupie per arrivarci, in
soli 15 minuti.
Può
anche essere divertente contrattare, la mattina quando si è ben riposati, ma in
altri momenti diventa estenuante, anche perché gli indiani non mollano e alle
volte portano all'esasperazione.
Quella
mattina, infatti, sono particolarmente maldisposta a causa della discussione con
il mio driver, che, una volta condottami al forte, insiste per
aspettarmi….vincolando quindi il mio tempo dedicato alla visita; noto inoltre
che mi sta dedicando delle attenzioni un po’ particolari; viaggiando da sola
me lo potevo anche aspettare prima o poi.
In
brevissimo tempo me ne libero e, fuori di me per la discussione,
mi avvio decisa verso la collina del forte, senza bene sapere dove fossi
diretta.
Lungo
la salita, che, per il sole cocente e per il ciottolato sembrava più un
percorso di auto-punizione per martiri che una passeggiata di un giorno di
ferie, incontro anche altre persone stremate che fanno a gara per accaparrarsi
l’ombra della prima pianta.
Nella
mia salita sono accompagnata da una mucca, o meglio, da qualcosa che vagamente
le assomiglia, visto l’aspetto consumato dalla fame, e le costole prominenti;
lentamente sale al forte, seguendomi. Provo una grandissima compassione per
questi animali così malmessi e denutriti, lasciati a se stessi in tutti i
sensi.
Sono
spesso accusata di essere troppo sensibile al mondo animale, ed ogni volta mi
viene ricordato che molti bambini, visti anche con i miei stessi occhi, stanno
spesso peggio degli animali; provo un grandissimo dispiacere
vedendo sia le persone sofferenti sia gli animali…che sono comunque
esseri viventi degni di rispetto anche loro.
Se
ne ho la possibilità aiuto sia gli uni sia gli altri.
Il
forte, localizzato alla sommità della collina, è immensamente grande ed è
possibile visitarne solo una parte. La parte est, dove c’era la residenza
del re e dove sono stati costruiti anche dei magnifici giardini, è la più
interessante, con porte ed archi che si aprono sul panorama della vallata
sottostante.
Il
panorama che si gode dalle torrette laterali, ai bordi dei giardini, è
notevole! si vede benissimo anche il palazzo del Maharaja, un po’ più sotto
nella valle.
Di
quest’ala è particolarmente interessante la stanza della regina, con le
tipiche finestre a nido d'ape, che si ritrovano nel palazzo dei venti, ovvero
quelle aperture che permettono di vedere a chi sta dentro l'esterno ma non
viceversa.
Dalla
collina del forte, verso ovest, si scorge in lontananza anche il Jal
Mahal (water palace), o palazzo sul lago.
Di
acqua del lago, considerata la stagione particolarmente secca, ne è rimasta
veramente poca, solamente in prossimità del palazzo; anche quel poco però è
comunque suggestivo da vedere e di più ancora da immaginare, soprattutto quando
il palazzo si riflette nelle acque del lago.
Come
se non ne avessi abbastanza, prossima al cedimento fisico, verso le 18.00 decido
di andare a visitare anche il Tiger Fort, caldamente raccomandato dalla guida lonely, in
particolar modo all’ora del tramonto.
Richiamo
a me tutte le energie e ricomincio nuovamente le trattative per andare al Tiger
Fort; se quello di Amber per la distanze era sulla luna questo addirittura
sembrava appartenere ad un'altra galassia!
Concordato
faticosamente il prezzo della corsa, partiamo ed iniziamo un percorso tortuoso
lungo il versante di una collina, come se stessimo salendo ad un passo e, dopo
circa 30 minuti di percorso, ecco finalmente il forte della tigre!
Sono
piuttosto di fretta e non ho troppa voglia di trattenermi a lungo, in fin dei
conti oggi ho già trascorso più di cinque ore al forte di Amber.
Appena
arrivata incontro alcuni indiani seduti sopra dei grossi sassi che mi
consigliano di avvicinarmi al muro perimetrale ovest del forte e di
ascoltare….non capisco bene che cosa…ma eseguo alla lettera quello che mi
viene suggerito.
A
parte il panorama della città di Jaipur nell'ora del crepuscolo, che da solo
vale il viaggio al forte, si sentono dei particolarissimi giochi di acustica;
sedendo in ascolto sul muro del forte si sentono tutti mischiati i rumori della
città a formare un unico sottofondo ma nel contempo si riesce a distinguere in
modo nitido ciascuno di essi, separatamente. E' difficile da spiegare perché è
una sensazione da provare. Si sentivano infatti gli schiamazzi dei bimbi che
giocavano per le strade, i latrati dei mille cani randagi che girano
abbandonati, il tutto in un’atmosfera veramente surreale.
Il
cielo è diventato bianco di una luce lattiginosa diffusa, non so se fosse
umidità oppure foschia, la realtà sembrava immobile, sospesa nel tempo…
Ora
sono davvero stanca e non ho intenzione di aspettare il momento in cui il sole
scompare perché, mi dico, di tramonti ne ho visti mille più uno, sarà come
gli altri.
Non
avevo ancora finito il mio pensiero che, come spesso succede in India, mi
trattengo a conversare con due ragazzi indiani
arrivati da poco in moto, e da lì a breve l’ora del tramonto è
giunta… Credo di non avere mai visto nulla di simile!
Il
cielo bianco, il sole bianco, la luce bianca….un piccolo puntino nero dentro
il sole…tutto sospeso...silenzio...
I
miei nuovi amici indiani mi chiedono se vedo quel puntino nero nel sole bianco,
che io credevo un mio difetto ottico od un delirio da stanchezza, e mi
raccontano che in India c’è un detto, che anche la cosa più bella pulita e
luminosa ha una piccola macchiolina nera al suo interno, così come nel nero più
assoluto c’è una piccola parte di bianco.
Rifletto
quindi sulla apparente casualità dei miei incontri, e sul significato del Tao,
dove bianco e nero si abbracciano vicendevolmente e ciascuno di essi racchiude
una parte dell'altro...
-Agra-
Ad
Agra si incontra la faccia peggiore dell’India, quella dove il viaggiatore è
visto come una piccola banca ambulante straboccante di soldi che dev'essere
spennata a tutti i costi. Ad ogni passo ed ogni secondo qualcuno vuole qualcosa
da te, tutti ti offrono qualche cosa e se li ignori si rispondono pure da soli!
Fanno tutto loro, domande, risposte! Sono un ottimo esercizio zen per la
pazienza, per chi ne ha così tanta!
C'è
chi insistentemente ti vuole vendere un’amaca (preziosissimo oggetto per chi
dorme sempre in albergo!) o un palloncino gonfiabile con occhi e bocca di
dimensioni giganti (indispensabile per il viaggio ed estremamente comoda o da
portarsi appresso!); in base alle loro pressioni devi mangiare in un buon
ristorante anche se non hai fame o se hai già mangiato, devi prendere
immediatamente un risciò anche se sei appena sceso, devi acquistare gli oggetti
più inutili e stravaganti ecc.…
In
certi momenti questa insistenza rende aggressivi ed intolleranti, e devo dire
che come ad Agra non mi è mai successo di non poterne davvero più!
La
visita del Taj Mahal è probabilmente l'unica occasione per soggiornare ad Agra;
probabilmente proprio l'enorme flusso di turisti provenienti da ogni nazione,
che vi passa ogni anno, ha alimentato e continua ad alimentare il comportamento
così invasivo degli indiani di quella città.
La
visita al meraviglioso mausoleo bianco è ricca di emozioni e, a seconda
dell'ora della giornata, è possibile vedere giochi di luce e colori di notevole
bellezza. Personalmente ho ritenuto di visitare il mausoleo alle sette di
mattina, quando ancora poche persone erano entrate ed ho potuto sedermi sulla
piattaforma di marmo dove giace il mausoleo e gustarmi da vicino la raffinatezza
delle lavorazioni e l'atmosfera particolare.
Il
Taj Mahal è il mausoleo che l'imperatore Shah Jahan fece costruire in ricordo
della sua seconda moglie morta durante il parto, intorno al 1650; in realtà è
quindi un monumento eretto per amore, oltre ad essere il simbolo per eccellenza
dell'India.
-Kajuraho-
Per
raggiungere Kajuraho bisogna predisporsi a peripezie di ogni natura e sorta,
ovvero necessita entrare nell'ordine di idee di spostamenti stremanti
in condizioni di viaggio simili a quelle di un carro bestiame.
Infatti,
per raggiungere il paesino famoso per i suoi tempietti erotici, sono partita da
Agra alle otto del mattino e, dopo due ore di treno sono salita su un autobus
scarcassato, con non poche perplessità, per raggiungere in
cinque ore di viaggio Kajuraho.
L’autobus
era uno di quelli tipici dei paesi del terzo mondo, uno dei peggiori che abbia
mai visto, con sedili strappati e divelti, senza vetri ai finestrini (come tutti
gli autobus in India!), con vari pezzi di ferro che sbucavano dai sedili e
naturalmente sovraffollato.
Durante
la tratta per arrivare a Kajuraho si passa attraverso le campagne, visibilmente
provate dalla carenza di acqua di questo periodo (notare che il mese di luglio
è già periodo monsonico!); passando si vedono dal finestrino le misere
coltivazioni che disegnano la terra, i paesini essenziali e poveri ma anche
delle divertenti scene di bufali completamente sprofondati nelle pozze di acqua
fangosa; alle volte dalle pozze di acqua e fango spuntano fuori solo le orecchie
e gli occhi, tanto fa caldo e tanto non ne possono più…
Non
so quante volte l'autobus si sia fermato per fare salire e scendere i
passeggeri, so che un nostro treno locale in confronto non regge il paragone!
Ad
una sosta a circa metà viaggio sale un uomo di mezza età, e porta con se un
pacchetto avvolto in carta da giornale e legato in qualche maniera con lo spago;
le dimensioni del suo bagaglio non sono eccessive così, il nuovo passeggero
sistema il suo pacco nell'apposito spazio sopra i sedili, assolutamente vuoto.
L'operazione non è stata né breve né semplice, poiché l'autobus era
strapieno ed arrivare in fondo al corridoio, dove l'uomo ha collocato il suo
bagaglio, ha richiesto la collaborazione di parecchi passeggeri. Poco dopo
inizia una discussione tra il mio vicino di sedile e l'uomo appena salito, che
in breve tempo diventa piuttosto animata; viene interpellato pure l'autista e in
meno che non si dica tutto l'autobus è in subbuglio; non capisco davvero per
quale ragione.
L'autobus
si ferma in mezzo alla strada, dieci persone si spostano dal corridoio
dell'autobus per fare passare l'uomo appena salito, il quale, preso il pacchetto
avvolto nel giornale, scende dal bus e lo deposita nello scomparto bagagli di
grosse dimensioni sul retro; a questo punto l'uomo risale al suo posto, le
solite dieci persone si spostano di nuovo per farlo passare e tutti sembrano
felici; questi sono i misteri dell'India!
Che
cosa sarebbe cambiato se il pacco fosse rimasto nel suo posto iniziale, sopra i
sedili dentro la cabina dell'autobus? Probabilmente non avremmo perso 25 minuti
di tempo per spostarlo nel retro dell’autobus e non ci sarebbero stati 50
minuti di inutile conversazione! Ah..! L'India è anche questo!!
Durante
la strada per Kajuraho è finalmente piovuto per la prima volta da quando sono
partita, e considerato che non c’erano i vetri dei finestrini,
ho anche provato la "gioia" di una doccia
piovana dl vivo rimanendo seduta sul mio sedile. Alcuni turisti spagnoli
qualche posto dietro il mio hanno utilizzato addirittura l’ombrello per
proteggersi, ma io dentro l'autobus non avrei mai pensato potesse servire!
Kajuraho
è un posto molto tranquillo, immerso nel verde della campagna, decisamente a
misura d’uomo; quello che mi serviva arrivando da Agra che, al contrario è la
città dell’assillo perpetuo.
Arrivo
e deposito immediatamente la mia borsa in albergo, il primo che ho trovato in
prossimità dei templi del gruppo occidentale.
La
scelta dell’albergo è stata fatta anche per la meravigliosa vista sul lago, a
dire della guida LP, che in questa stagione aveva l’aspetto più di un
acquitrino che di un lago vero e proprio, come si poteva immaginare; nelle acque
putride c’erano però dei meravigliosi fiori di loto nel mezzo e qualche
ninfea bianca.
Sono
ormai le quattro del pomeriggio ed inizio a visitare immediatamente il gruppo
orientale, composto da pochi templi, in modo da lasciarmi l'intera giornata di
domani per il gruppo occidentale,
con molti più templi e più ricchi
di storia.
I
templi del gruppo est sono 4 o 5, finemente istoriati, ed una volta ultimata la
visita proseguo verso i templi della zona sud, dispersi qua e là nella
campagna…
Mi
muovo con un risciò, ed il mio driver è uno di quei classici personaggi
indiani perfettamente adatto ad impersonare un ruolo nel film “Il nome della
rosa”…vestito di stracci, sporco e sdentato, ma tanto disponibile e gentile;
una decina di bimbi mi segue insistentemente di corsa, cercando penne e
caramelle o qualche spicciolo.
Portare
le penne o la cancelleria da dare ai bambini è buona cosa, anche perché si
ricevono in cambio dei sorrisi meravigliosi, ma mi accorgo che devo essere più
accorta nella distribuzione delle matite colorate, e scopro che neppure
“dare” è facile.
Dare
le penne solo ad alcuni infatti è fonte di litigi, perché se dieci bimbi ti
stanno attorno chiedendo qualcosa almeno altri venti ti stanno guardando e nel giro di pochi minuti almeno
quaranta sanno che hai delle cose da dare…
Per
questo fatto, il mio risciò è stato scortato da un seguito di venti bambini
che mi ronzavano intorno con curiosità ed interesse…
Nel
gruppo sud ci sono già delle sculture erotiche, che il ragazzo che sta in
prossimità del tempio è molto felice di descrivere e di spiegare dal punto di
vista storico-culturale.
I
templi di Kajuraho appartengono al periodo tantrico, nel quale si riteneva che
il sesso fosse il mezzo per raggiungere la spiritualità; le figure
rappresentate infatti sono uomini e donne yogi, che con acrobatiche posizioni e
spettacolari scenette rappresentano l’atto dell’accoppiamento.
I
templi di solito sono decorati con tre lunghi fregi; il primo in basso
rappresenta la vita di tutti i giorni, il secondo è quello tantrico e
l’ultimo in alto è quello della spiritualità; il fregio tantrico è nella
posizione intermedia anche perché attraverso il rapporto sessuale si origina la
vita, senza la quale nulla del resto ha più senso di essere.
Il
gruppo occidentale è composto da undici templi, di pari
interesse e valore; ognuno di questi è costruito su un basamento e secondo le
caratteristiche tipiche di quel periodo. L’area dei templi è molto ben
curata, con giardini e piante ombrose, comodo ricovero per i momenti di massima
calura.
Intorno
all’area occidentale ci sono molti ristoranti che offrono la piena vista sulla
parte archeologica dei templi, uno di questi addirittura ha collocato una
scaletta per raggiungere un tavolo e delle sedie poggiate su un ripiano sopra un
albero!
Per
questioni di tempo la mia visita a Kajuraho è stata davvero veloce, con mio
dispiacere, perché credo che qualche giorno in più avrebbe reso più
rilassante e piacevole il mio soggiorno.
Se
il viaggio di andata per Kajuraho è stato indescrivibile, non parliamo del
viaggio di ritorno, che è stato al limite dell’umana sopportazione!!
Una
volta lasciato Kajuraho, all’agenzia di viaggi mi consigliano di non tornare a
Janshi bensì di fermarmi a Mahoba, a soli 65
km di distanza; mi sembra un’ottima idea e raccolgo il suggerimento, in fin
dei conti 65 km di strada nella peggiore delle ipotesi e considerato che sono in
India, non possono che essere percorsi in poco più di due ore. Questo è quello
che io credevo fino a quel momento. Ho imparato a non fare più questo tipo di
previsioni, come dire…molto ottimistiche…soprattutto in India .
Infatti
parto alle 16.30 da Kajuraho, con il più scassato autobus mai visto sulla madre
terra (probabilmente lo stesso con cui sono arrivata), ovviamente stipata tra
mille indiani e pure con la mia valigia tra i piedi (in tutti i sensi!) dal
momento che non c’era più spazio da nessuna altra parte.
L’autobus
parte, per quello che ho creduto essere il viaggio più lungo della mia vita; si
fermava ovunque in mezzo alla campagna, tra polli, pecore, bufali, mucche, cani,
capre, maiali, …ogni 4-5 minuti circa. L’autista continuava a suonare per
fare spostare dalla carreggiata tutte le bestie che, a quanto ho potuto vedere,
adorano particolarmente stare in mezzo alla strada.
In
queste condizioni anche l’agognato sonno che sarebbe stato il miglior modo di
affrontare quel viaggio, non è stato possibile.
Insomma,
per percorrere 65 km abbiamo impiegato 4.15 ore, e credo di essere sopravvissuta
al viaggio solo perché ero seduta al finestrino e c’era aria fresca, visto
che nell’autobus non vi era più lo spazio neanche per introdurre uno spillo.
Per me quello è stato un viaggio occasionale ma per gli indiani quel livello di
viaggio è lo standard !? Meglio non pensarci.
A
mantenere vivo nella memoria quella tratta di viaggio non è stato tanto il
disagio delle condizioni, quanto lo scenario di estrema povertà che ho visto
passando, che ha contribuito in modo significativo ad abbassarmi l’umore.
Se
mai avessi un’idea di povertà estrema, non era minimamente paragonabile a
quello che ho visto passando in quella parte di India, le condizioni in cui la
gente vive, le case, le strade…mi sono davvero sentita il vuoto dentro ed una
opprimente sensazione di tristezza.
Essendo
l’unica viaggiatrice bianca di quell’autobus, mi sono anche chiesta cosa
sarebbe successo se l’autobus avesse bucato o fosse successa qualsiasi altra
emergenza, in un posto senza telefoni, in mezzo al nulla più assoluto, tra
gente locale che parlava solo strettamente la lingua indi ….ma poi la mente è
fuggita altrove.
Arrivata
a Mahoba, esausta e disidratata, mi chiedo di condurmi immediatamente alla
stazione ferroviaria…che più che una stazione sembrava letteralmente un campo
nomadi. In India si usa molto viaggiare la notte, per via delle lunghe distanze
e per il caldo, così nelle stazioni c’è sempre una gran viavai a tutte le
ore.
Il
treno per Varanasi delle 22.30 ha subito un ritardo e passerà, probabilmente, a
mezzanotte. Questo è quanto mi dicono appena arrivata in stazione e quanto vedo
scritto con un gessetto bianco su una lavagna di grafite, che deduco essere il
corrispettivo del nostro tabellone ferroviario delle partenze.
Quando
finalmente giunge il treno mi accingo a salire velocemente tra la gente che
spinge (gli indiani in coda spingono come dei matti!), ho prenotato la cuccetta
e già inizio a sorridere immaginandomi la notte che mi aspetta…
Salgo
sul treno e mi trovo a passare nel corridoio del vagone che io ho chiamato dei
“piedi nudi”: tutta la gente sta infatti dormendo, straiata
con i piedi rivolti verso il corridoio, quindi in faccia a chi lo
attraversa.
Il
vagone è di colore grigio-carta da zucchero, con delle inferiate di ferro sui
finestrini che ovviamente sono senza vetri; questa visione mi ricorda il reparto
di un ospedale psichiatrico visto in qualche film. Naturalmente, come mi
aspettavo, il mio posto con prenotazione è occupato da un indianino che sta
beatamente russando.
Chiamo
quindi uno dei poliziotti responsabili del vagone per avere la mia cuccetta; in
India sui vagoni notturni ci sono sempre dei poliziotti di guardia.
Il
poliziotto con un lungo bastone e con modi molto discutibili, punta la torcia in
faccia al signore che sta dormendo al mio posto e gli da qualche insistente
colpetto sulla spalla; lo fa quindi allontanare molto velocemente ed in modo
rude. Alla faccia della cortesia!
Mi
corico sul mio lettuccio, un sedile a tre posti di plastica dura e scomoda, e
inizio a ridere tra me e me… quest’India così piena di scomodità e di
contraddizioni, mi fa proprio impazzire!
Il
sonno è stato piuttosto disturbato, non sapevo che ore fossero e neanche dove
fosse la stazione di Varanasi, così ad un certo punto chiedendo informazione
alla polizia, scopro che il treno ha 5.30 ore di ritardo. Fantastica la mia
reazione!! … appresa la notizia, sono ritornata subito a dormire come avrebbe
fatto un indiano, senza domandare di più, senza commenti ulteriori. Sono
infatti stordita dalla stanchezza.
Lungo
la mattinata scopro che l’omino davanti a me, scende a Varanasi, così non mi
resta altro che tenerlo d’occhio e scendere quando scende lui; è un
vecchiettino che assomiglia molto a Gandhi, con numerose borse di plastica come
valige, che ha sparpagliato un po’ ovunque nel vagone, con un vestito di color
bianco azzurro. E’ la veste che indossa un uomo rimasto vedovo.
Intanto
il treno viaggia, non si soffre il caldo perché non ci sono i finestrini e
l’aria entra continuamente; la giornata è stupenda e comunque fa caldo anche
oggi…mi sembra di sapere come andrà ogni cosa e sono di una serenità
impagabile.
-Varanasi-
La
guida ne parla in modo molto allarmistico, come di una città nella quale
prestare particolare attenzione, ma io personalmente non ho riscontrato nulla di
diverso rispetto ad altre città del resto dell’India.
I
tre giorni che ho trascorso nella più antica città indiana sono stati di sole
e di caldo torrido, ma con un cielo quasi primaverile per il colore azzurro
cobalto e le nuvole di panna montata.
La
prima giornata è stata talmente bella, da far rendere priva di significato
qualsiasi attività svolta..…troppo azzurro e terso il cielo per essere vero,
infinitamente piacevole la fresca brezza che proveniva dal fiume, dolcissima
l’atmosfera spirituale che si respirava, tra mille colori e profumi, deliziosa
la gentilezza e la cordialità degli indiani.
Per
il periodo trascorso a Varanasi ho trovato decisamente fuori luogo
l’allarmismo della guida L.P, che ricorda a tutti i viaggiatori che ogni due
mesi un numero imprecisato di turisti scompare. Questo non significa che non
bisogna prestare attenzione, ma non ci si deve privare di una serena e piacevole
visita alla città più sacra dell’India.
Per
questioni di tempo io sono rimasta soltanto tre giorni, ma mi sarebbe piaciuto
trascorrervi anche una settimana…non tanto per quello che c’è da visitare
quanto per l’atmosfera che si respira sui ghat e sul Gange.
Arrivata
alla stazione di Varanasi alle 11.30 di mattino, dopo circa 5 ore abbondanti di
ritardo del treno notturno, decido di iniziare subito la mia visita alla città;
sono stravolta ma andare a riposare proprio ora è assolutamente improponibile.
Sono
finalmente a Varanasi e non sto più nella pelle dalla voglia di vedere con i
miei occhi il fiume più sacro del mondo, dopo averne letto mille descrizioni
nei libri, dopo avere visto le più svariate e colorite immagini, dopo aver
sentito i racconti di amici e conoscenti e di chi è stato lì prima di me…
Una
mezz’ora circa dopo il mio arrivo in hotel, eccomi di nuovo in partenza pronta
per visitare la città…ricaricata di nuovo entusiasmo e scalpitante, proprio
come una persona che ha trascorso la notte dormendo (chi ha dormito quella notte
non ero io!).
E’
proprio vero che quando l’interesse è forte e la passione trascinante, la
stanchezza si allontana…ed il viaggio continua.
Da
lì a breve mi ritrovo in giro sulla moto del proprietario dell’albergo (un
motorone da centauro di colore azzurro metallizzato), con lui come driver e
tutte le dita di mani e piedi incrociate per la sua guida spericolata e quella
degli indiani in genere, che zigzagano con nonchalanche tra camion, biciclette,
persone e bestie varie….
Visito
il tempio delle scimmie, per
l’occasione riempito di fedeli che pregano perché arrivi finalmente la
pioggia, visto che la stagione è quella monsonica ma i mutamenti climatici
avvenuti realmente fanno sì che la pioggia arrivi scarsa ed in ritardo e, se e
quando arriva.
Nel
tempio decido di assaggiare dei
dolcetti molto zuccherosi, marrone scuro, grandi come biscotti, con un profumo
simile a quello delle castagne; per avere il privilegio di assaggiarli devo
prima difenderli da vespe golosissime che, impazzite letteralmente, stanno
sciamando sul mio pacchetto, li vogliono a tutti i costi!!
Visito
anche un secondo tempio, privo di nota, nel quale stanno allestendo un teatrino
per il compleanno di KRISNA e all’interno del quale vi sono almeno 50 persone
all’opera con cartapesta, luci, ecc.
Chiedo
poi al mio driver di poter visitare un ghat di quelli utilizzati per la
cremazione, e mi conduce finalmente sul Gange…
Lo
scenario mi lascia sorpresa, mi aspettavo un fiume del tutto simile ad uno
scarico fognario, con rifiuti, resti umani, e qualsiasi cosa galleggiante in
balia della corrente….invece davanti a me c’è un fiume verde, con le acque
ad un primo colpo d’occhio pulite (non ho visto l'analisi chimica!) senza
nessuna "cosa strana" che galleggia.
Ad
un primo sguardo mi ricorda l'Africa, con i bufali accaldati che si trastullano
nelle pozze di fango sulla riva e dentro il fiume, che passeggiano e brucano
qualche residuo di erba sulle sponde …
Rimango
sorpresa, molto sorpresa…non mi aspettavo di assistere ad uno spettacolo del
genere…avevo preparato un bel pacchetto di pregiudizi...che non hanno trovato
riscontro nella realtà.
Ritorno
con lo sguardo vicino a me, e trovo un posticino da dove posso osservare, con
rispetto e discrezione, tutto il cerimoniale della cremazione…
I
quel momento arriva il corpo di un uomo ricco, mi dicono, ed infatti la pira
funerea è molto alta e consiste di molto legno; inoltre il posto scelto per la
cremazione sembra un altare, ed il cerimoniale si svolge al centro di un cerchio
rialzato.
Inizialmente
il corpo viene bagnato nel fiume, per l’ultima abluzione. I parenti ed i
partecipanti al funerale donano un telo color oro, quale ultimo dono per la
persona cara.
Il
corpo, avvolto in un drappo bianco, viene quindi trasferito dalla barella di
legno sopra la pira funeraria; qui tutti insieme i parenti, rigorosamente uomini
perché le donne ed i bambini non possono partecipare alla cerimonia, cospargono
il cadavere di burro giallo per facilitare la combustione e di una polverina
colore zafferano, utilizzata per ridurre le emissioni moleste.
Il
corpo brucia per circa tre ore fino alla totale estinzione di tutte le parti
organiche ed inorganiche; poi un ossicino del bacino per le donne ed un ossicino
del petto per gli uomini viene rimosso dalla pira, prima che la combustione
finisca, e gettato nel fiume sacro.
Gli
induisti credono che chi muore nella sacra città di Varanasi, può finalmente
porre termine al ciclo delle reincarnazioni su questa terra; in prossimità di
uno dei famosi ghat di cremazione ci sono addirittura delle persone anziane, che
vivono in una sorta di ricovero, in attesa che la morte se le porti via
nell’altro mondo. Queste sono spesso persone rimaste sole, senza figli e senza
soldi.
Persone
che attendono la morte!? Persone che anelano la morte, che stanno in passiva
attesa che il loro momento giunga….pazzesco!
Eppure
quanti momenti di completa staticità emozionale-fisico-spirituale nella vita di
tutti assumono un significato del tutto simile, se non l’attesa che il tempo
scorra, immersi in un atteggiamento di assoluta passività, in attesa che
qualche cosa cambi….
Il
mio driver, stupito per il mio vivo interesse per il cerimoniale di cremazione,
mi fa notare che sto osservando da un’ora e mezza gli aiutanti della morte al
lavoro. Non mi ero proprio accorta che fosse trascorso così tanto tempo…
Congedo
dunque il mio driver, chiedendo di lasciarmi del tempo per me, e mi avvio
risalendo la riva sacra del fiume; è curioso che il lato occidentale del Gange,
quello dei ghat, è sacro mentre
quello orientale è solamente una distesa di sabbia, vuota e senza nulla.
Si
può scorgere semmai, sul lungofiume est, qualche barcone carico di legna da
ardere destinata ai ghat di cremazione, che sta aspettando di trovare lo spazio
libero per attraccare sull’altro lato del fiume.
E’
l’ora del tramonto e l’atmosfera è molto particolare; la giornata sta ormai
volgendo al termine ed i pellegrini si preparano per i cerimoniali e per il
mantra serale.
C’è calma e quiete, mi siedo sui gradini di un ghat, mi godo l’atmosfera mentre le ultime luci del giorno si colorano di arancio.
Dopo
qualche minuto mi accorgo di essere parte di un pubblico, in attesa di qualche
cerimoniale che si terrà di fronte a me su tre palchi. Compare dal nulla un
bambino, molto sveglio, che in perfetto inglese mi raccolta del “puja”,
ovvero del mantra che si recita tutte le sere, tra le sette e le otto, sulle
rive del Gange.
I
sacerdoti sono tre ragazzi tra i 14-18 anni, vestiti di bianco, che, seguendo
una sequenza precisa e con una danza offrono alla divinità prima il fuoco, poi
l’acqua, la terra e infine l’aria simboleggiati da particolari oggetti di
culto, mentre recitano il mantra.
Il
pubblico replica sottovoce, in alternanza, in un'armonia di scampanellii e voci.
Ora
si spengono tutti i lampioni, si vedono solamente le luci tremolanti delle
candeline sui palchi e di quelle della preghiera.
Una
fresca brezza proviene dal Gange…la luna è in cielo e si vede nella notte
anche qualche stella….
Profumi
e aromi si disperdono nell'aria...
Mi
sento strana, sono seduta in mezzo agli indiani, in un’atmosfera così carica
di serenità che la potrebbe percepire anche un sasso…
Sarà
induismo, saranno credenze così fantasiose ed ancestrali per noi occidentali,
ma l'armonia e la pace di quel momento erano percettibili da chiunque...
indiani… europei… esseri umani.
Francesca
Turcatti
Il
senso del viaggio è quello di vivere le esperienze che accadono fuori e
dentro noi stessi, pienamente e consapevolmente, così da migliorarsi,
ed una volta tornati nulla sarà più come prima … |