India: Rajasthan Luglio 2004

Diario di viaggio

 di Francesca

 

 

Durata del viaggio: 16 giorni

Partenza 15/07/04 – ritorno  31/07/04

 

Itinerario percorso:

Delhi - Jodhpur - Pushkar - Jaipur - Agra - Khajuraho - Varanasi- Delhi

     aereo         bus          bus       bus      bus            treno        aereo

 

Sono ancora a chiedermi quali sono le ragioni che mi portano in India per la terza volta…quando ecco che l’hostess avvisa di allacciare le cinture di sicurezza; siamo prossimi all’atterraggio a Delhi.

E’ la prima volta che visito il nord e mi piace molto l’idea di fare questo viaggio da sola.

L’aereo atterra ed in breve mi trovo a sbrigare le pratiche di ingresso all'ufficio  immigrazione, pervasa dal pungente odore del disinfettante per pavimenti indiano, un misto tra canfora e alcool; anche a Bombay e negli aeroporti dei voli “domestici” è molto utilizzato, quell’odore è davvero inconfondibile!

Come previsto, per il controllo del visto e la compilazione di tutte le carte impiego un’oretta circa, immersa in una delirante coda fra telefonini che suonano, bambini che piangono, gente che discute animatamente...

Esco infine dall’aeroporto, dove un taxista mi sta attendendo con un cartello sul quale sta scritto "Welcome Francesca !", a caratteri cubitali…sono a Delhi!

Il mio driver, raccontandomi lungo il tragitto tutto sulla sua vita dai tre anni in poi, mi conduce all’albergo in zona Paharganj. Sono ormai le undici e mezza di sera e decido di andare a dormire presto, nella stanzetta delle bambole che mi hanno assegnato: le pareti sono di colore rosa antico laccato, mentre gli infissi di porte e finestre sono rifiniti con stravaganti lavorazioni di gesso bianco. Che stanza bizzarra!

 

Per il mattino successivo non c’è bisogno di mettere alcuna sveglia, non appena fa giorno, infatti, tutte le attività ripartono e dalla strada giunge il rumore frenetico della vita risvegliata; questa è la sveglia naturale, anche se non la vuoi.

Prima di prendere il volo per Jodhpur ho a disposizione circa una mezza giornata, e decido di trascorrerla in visita al “ Red Fort”.

Sono le undici del mattino e c’è un caldo veramente soffocante, accentuato dall'elevato tasso di umidità. Sono prossima al collasso per da calura, sorrido divertita osservando alcuni indiani che si asciugano la fronte grondante di sudore, altri che mettono la testa sotto il rubinetto dell'acqua dei bagni ed altri ancora che, fradici come appena usciti da una doccia, si sono messi una bandana sulla fronte per impedire che il sudore scenda sul viso. Mi sembra di essere dentro una sauna più che nei giardini reali!

Il forte merita una visita di almeno un paio di ore, necessarie per farsi un'idea dello splendore che fu; durante la visita colpisce molto come “clamoroso fuori contesto” la caserma dei coloni Inglesi, posizionata strategicamente a ridosso delle mura del forte, per averne il massimo controllo. 

Le mura del forte sono davvero impressionanti viste dall’esterno, soprattutto in lontananza, sono di colore rosso mattone, da cui il nome del forte,  e decisamente imponenti.

 

-Jodhpur-

Sono arrivata a Jodhpur all’imbrunire, e scesa dall’aereo, mi è sembrato di arrostire sulla pista di atterraggio rovente.

Una volta uscita dall’aeroporto mi attendevo il consueto assalto di tassisti e di risciò-men, ma con mio enorme stupore, nessuno era accalcato in cerca di clienti, così mi sono avvicinata all’ufficio esterno dei taxi prepagati e da lì mi sono fatta condurre al centro della città vecchia, all'interno delle mura.

Nella città vecchia c’è una vastissima gamma di alberghi, quasi tutti con il ristorante sul tetto, dai quali si può apprezzare il magnifico paesaggio del forte di Meherangarh e gli scorci delle originalissime case azzurre tipiche di Jodhpur.

Il mio albergo era proprio era ai piedi della collina rocciosa del forte; uno dei gestori, avendo terminate tutte le stanze per i clienti, all’ultimo momento mi ha trovato una sistemazione nella stanza del proprietario, senza preoccuparsi eccessivamente di farmela trovare almeno pulita!

La vista del forte da qualsiasi punto della città è davvero gratificante, sia di giorno sia di notte. Meherangarh è indubbiamente una delle fortezze più belle del Rajasthan, e per questo merita di essere visitata accuratamente, almeno una mezza giornata.

La mattina seguente, dopo aver consumato la colazione sul terrazzo dell’hotel, mi incammino lungo la salita che conduce al forte, sotto il sole cocente, con i vestiti appiccicati alla pelle, letteralmente in un bagno di sudore. Più tardi mi confermano che c'erano almeno una quarantina di gradi, e un tasso di umidità oltre il novanta per cento.

Lungo la gradinata per il forte incontro ragazzini di tutte le età e delle donne che mi invitano ad entrare nelle loro abitazioni per bere un tè…ma decido di non trattenermi oltre, e proseguo fino ad arrivare all’ingresso.

In prossimità del portone del palazzo, una piccola banda musicale con costumi locali mi da il benvenuto suonando trombette e cantando “welcome madam”.

E’divertente quest’accoglienza un po’ fuori tempo, lascia spazio alla fantasia e porta ad immaginare come dovesse essere nei tempi che furono, quando il forte era nel periodo del suo massimo splendore, intorno al 1840.

Pochi metri dopo l’ingresso, costruito a dimensione di elefante, noto appeso al muro un calco sul quale sono impresse delle piccole manine di donna, appartenenti alle 15 mogli del maharaja Man Singh, sacrificatesi tramite la pratica del “sati”, in altre parole buttandosi sulla pira funeraria in fiamme del marito venuto a mancare.

Ora questa pratica è assolutamente illegale, ma a quei tempi era prassi che la donna si gettasse sulla pira funeraria del marito, perché secondo la tradizione indiana non era un sacrificio bensì era considerata una morte degna di onore e memoria.

Devo riconoscere che la vista di quelle manine e della storia che a queste sta dietro mi ha lasciato qualche minuto sospesa. Mi fa molto pensare questa  pratica per fortuna ormai dismessa.. un infinito amore anche nella morte, o semplicemente una considerazione delle donne prossima allo zero  Probabilmente, vista come era strutturata la società di allora, semplicemente l'ipotesi due; ma meglio non entrare nel merito con l’occhio dell’occidentale.

Il forte è immenso e vi sono numerosi punti panoramici dai quali si gode di una vista meravigliosa; dal versante ovest si vedono le antiche mura di recinzione della città vecchia e le case azzurrissime dei bramini, le prime che furono costruite. Dall’altra, invece, si osserva la città di Jodhpur, si scorgono le particolarissime abitazioni azzurre in cui vive la gente comune ed in lontananza si vede la linea dell’orizzonte.

Il palazzo dentro il forte è ricco di stanze ed è un’anticipazione, per alcuni aspetti, dell'architettura del palazzo dei venti di Jaipur.

 

Sul muro perimetrale, dove alloggiano i cannoni, si ha la vista migliore sulla città; qui numerosi bambini vestiti con colorati costumi indiani danzano per i turisti, accompagnati dal citar e dal canto melodico dei genitori…è molto piacevole come sottofondo e accresce ancora di più la suggestione e l’atmosfera del paesaggio.

 

In prossimità del forte, a circa cinque minuti di cammino, c’è il mausoleo bianco di Jaswant Thada, molto bello, da visitare possibilmente non nelle  ore più calde del pomeriggio perché essendo esposto al sole tutto il giorno, diventa una specie di forno.

C’è un piccolo laghetto prima di giungere al mausoleo, con pochissima acqua molto verde perché sovraffollato di alghe; immagino che in periodi migliori, quando non c’è carenza di acqua, lo spettacolo sia mozzafiato. L’estate è difficile quest’anno, mi raccontano, perché la stagione monsonica tarda ad arrivare e l’acqua inizia a scarseggiare un po’ ovunque.

Ad un certo punto, pensando di essere colta da delirio per il troppo caldo, ho creduto di vedere la testa di un cane nel lago. In effetti, non era una visione, bensì uno scheletrito cane nero che cercava un po’ di refrigerio nelle acque putride della torrida giornata estiva.

 

Le mie condizioni fisiche non erano molto diverse da chi sta attraversando un deserto, il caldo stava diventando insopportabile, il vento che muoveva l’aria era come un asciugacapelli sul viso e, più che essere un sollievo, scottava la pelle. Nonostante tutto, non comprendo neanche oggi per quali folli motivazioni, io adoro queste condizioni climatiche.

Immagino che il periodo migliore per visitare questa zona siano comunque le mezze stagioni.

 

Il mausoleo di Jaswant Thada, è di marmo bianco, mentre il basamento è costruito con arenaria rossa.

Non si poteva scegliere posto migliore per un luogo di riposo, in cima ad un monte, con il vento leggero che soffia, la vista stupenda sulla città colorata, la pace e la tranquillità del posto, dove ogni rumore di Jodhpur giunge ovattato.

Mi siedo all’ombra per godermi l’atmosfera e vicino a me trovo un piccolo dinosauretto, non so se un camaleonte o un’anomala lucertola, che condivide l’ombra del mio albero.

 

Il mausoleo è meraviglioso, è un esempio di architettura e arte scultorea sublime, ed io mi perdo nel dettagli delle finestrelle e della porta d’ingresso, dettagli per cui io ho un’attenzione particolare; sono rapidamente riportata alla realtà dalle domande del guardiano, che inizia il classico divertente terzo grado sulla mia vita e sulle zone visitate dell’India. E' piacevole questo scambio due battute, anche se sarà la ventesima volte che racconto le stesse cose, perché il discorso finisce con grandissimi sorrisi, come sempre in India.

 

Dopo la visita al mausoleo decido di tornare a piedi in città, assaporandomi quella meravigliosa sensazione di essere completamente e assolutamente libera, in un paese sconosciuto, di sentirmi a mio agio sempre, comunque e con chiunque, insomma di muovermi in India come se fossi a casa mia.

 

Mi inoltro quindi per il paese, adoro camminare nelle viuzze di Jodhpur, dove si vedono scene di vita quotidiana, mi fermo a parlare con le persone delle cose più banali che in quel contesto assumono un significato particolare. Mi accolgono solo sorrisi ad una grandissima cortesia, con alcuni scambio anche della sottile ironia. Si ride sempre.

Veramente particolari sono le case, che  sembrano quelle descritte con estrema fantasia nelle fiabe dei bambini.

Porte, porticine e finestrelle, sono spesso colorate di colori sgargianti e con lavorazioni originali e stravaganti, sono lì proprio per essere guardate!

Le case sono di un colore azzurrissimo, con le porte e le finestre di legno verde sgargiante; pare che il colorante azzurro utilizzato come intonaco esterno, serva anche per proteggere sia dal caldo sia dagli insetti.

Molte altre case a dire il vero sono abbandonate a se stesse, ed è un vero peccato,  ma….

 

 

-Pushkar-

Inizialmente non avevo neppure preso in considerazione l’idea di passare per Pushkar, a pochi km da Ajmer, ma grazie al consiglio di un caro amico che era stato qualche anno prima, ho deciso di  ripensarci.

Il paesino è in prossimità di Ajmer, ma da lì ci sono circa una ventina di km da percorrere con un tuc tuc, prima di arrivare al paese del lago sacro. Lungo la strada è facile incontrare delle persone in processione vestite di arancione, sono i vari praticanti che stanno andando o tornando a piedi da Pushkar; sono spesso ragazzi o sadu che stanno compiendo qualche cammino di purificazione.

A Pushkar c’è il lago sacro, che è il fulcro del pease, sulle cui rive ci sono numerosi ghat ed intorno a questo tutto il resto; è un piccolo paese disperso tra le colline, finito il quale c’è solo un meraviglioso paesaggio. Anche per questo è un posto magico.

Il mio albergo, questa volta scelto con cura, è sulle rive del lago e dalla terrazza ristorante del tetto posso osservare tutto il paesaggio;  la stanzetta è molto carina, semplice come piace a me, con le pareti colorate di azzurro-violetto e due finestre che danno sul lago dalle quali entra una fresca brezza.

Nella stanza oltre al letto non c’è niente altro…ma in fondo cos’altro serve?

In questo paesino si sta davvero bene, assorti in un  clima di serenità e semplicità estrema; sto riflettendo molto sullo stile di vita che sto conducendo da quando sono partita, molto essenziale e ridotto a poche cose, ma non per questo meno coinvolgente ed intrigante.

La sera è molto bello trascorrere il tempo su qualche tetto, ascoltando il mantra che accompagna sempre come sottofondo l’atmosfera di Pushkar; c’è infatti un altoparlante collegato con il tempio principale che trasmette continuamente, giorno e notte, le preghiere, recitate a turno durante la notte dagli uomini e lungo il giorno dalle donne.

E’ anche piacevole stare qualche ora, nella parte più calda della giornata, a godersi il paesaggio del lago ed i bambini che impazziscono a giocare nell’acqua, facendo capriole spettacolari e spruzzi incredibili.

Vengo a  conoscenza, parlando con diversi indiani nel bazar, del tempietto di Savitri, posizionato in cima ad una collina in prossimità di Pushkar, raggiungibile tramite un sentiero a scale (molto simbolico!) in una mezz’oretta di cammino.

Mi avvio quindi verso il tempietto, lungo questo percorso sassoso che si inerpica sul monte; meno che in altre zone ma fa caldo anche qui e sotto il sole di mezzogiorno inizio la mia ascesa.

Qualcuno mi accompagna sempre nel mio cammino, questa volta uno studente di Ajmer che, anche lui per turismo (così mi ha racconta, ma in realtà il suo interesse ero io!) sta salendo a visitare il tempietto di Savitri, e continua a farmi domande come se già la salita di per sé non fosse sufficiente a togliermi il respiro.

Il sentiero passa proprio sul crinale della montagna, a destra e a sinistra si scorge lo strapiombo; ci sono alcune piante sul bordo, sulle quali saltellano delle scimmie bianche con una coda molto lunga, e con un ciuffetto di peli neri irtissimi sulla fronte.

Il tempietto di per sè non è nulla di particolare, ma è importante per il suo significato religioso, ed è dedicato a Savitri.

Il panorama è notevole anche da questa postazione, e la giornata di sole e cielo azzurro non fa altro che amplificare la sensazione di pace e libertà che si assapora da lassù.

Mentre sono completamente assorta nel paesaggio, dispettosi strilli e rumori di rami mossi mi riportano alla realtà, e vedo che il guardiano del tempio sta allontanando le scimmie in malo modo, chissà che gli hanno combinato….

Sto circa un’ora in cima alla collina e poi ridiscendo al lago, anche perché nel pomeriggio ho un appuntamento con Ana, una ragazza olandese conosciuta in  mattinata, che viaggia come me da sola.

Sono a circa a metà sentiero quando una di quelle scimmie spettinate, balza improvvisamente davanti a me sbarrandomi la strada, probabilmente incuriosita dalla mia borsa, e mi mostra i denti con chiaro atteggiamento di attacco.

Ci sono io soltanto sul sentiero (l'unico momento in cui mi trovo davvero sola in India!), sconcertata, con la scimmia, che, vista sugli alberi prima non sembrava così grossa !

In pochi secondi ricordo a me stessa che, se avesse rubato la mia borsa, tutto il mio viaggio sarebbe finito in quell’esatto istante.

Dall’iniziale sensazione di timore ecco una reazione inaspettata, di attacco da parte mia; emetto un urlo disumano ed insieme digrigno i denti, terrorizzando  non solo la scimmia ma me per prima !?

La scimmia fugge ed io, di nuovo, ribadisco la mia performance animalesca fino a quando scompare dalla mia vista saltellando tra i radi alberi; poi trascorro l’intero pomeriggio ridendo da sola, come sono soliti fare i malati mentali, ricordando l’episodio ma soprattutto la mia reazione!

 

 

-Jaipur -

Il primo pomeriggio trascorso a Jaipur lo dedico alla visita del complesso del City Palace, dove si trova anche il palazzo dei venti o Hawa Mahal, meraviglioso palazzo simbolo della città di Jaipur.

La facciata migliore del palazzo dei venti si apprezza sul lato della strada opposto rispetto all'ingresso; questa era un tempo la via principale dove si svolgeva la normale vita della città. Le donne del palazzo, che non potevano essere viste, tramite le tipiche finestrelle costruite e nido d'ape, avevano così la possibilità di osservare lo svolgersi delle vita al di fuori del palazzo. 

 

La mattinata del giorno successivo inizia con un’estenuante contrattazione per andare a visitare il Forte di Amber.

E’ a circa 5 km fuori Jaihpur, ma sembra che si debba andare sulla luna! "E’ lontano!" dicono tutti i driver di tuc tuc e sparano sul prezzo. Io racconto loro che con un autobus pubblico servono cinque rupie per arrivarci, in soli 15 minuti.

Può anche essere divertente contrattare, la mattina quando si è ben riposati, ma in altri momenti diventa estenuante, anche perché gli indiani non mollano e alle volte portano all'esasperazione.

Quella mattina, infatti, sono particolarmente maldisposta a causa della discussione con il mio driver, che, una volta condottami al forte, insiste per aspettarmi….vincolando quindi il mio tempo dedicato alla visita; noto inoltre che mi sta dedicando delle attenzioni un po’ particolari; viaggiando da sola me lo potevo anche aspettare prima o poi.

In brevissimo tempo me ne libero e, fuori di me per la discussione,  mi avvio decisa verso la collina del forte, senza bene sapere dove fossi diretta.

Lungo la salita, che, per il sole cocente e per il ciottolato sembrava più un percorso di auto-punizione per martiri che una passeggiata di un giorno di ferie, incontro anche altre persone stremate che fanno a gara per accaparrarsi l’ombra della prima pianta.

Nella mia salita sono accompagnata da una mucca, o meglio, da qualcosa che vagamente le assomiglia, visto l’aspetto consumato dalla fame, e le costole prominenti; lentamente sale al forte, seguendomi. Provo una grandissima compassione per questi animali così malmessi e denutriti, lasciati a se stessi in tutti i sensi.

Sono spesso accusata di essere troppo sensibile al mondo animale, ed ogni volta mi viene ricordato che molti bambini, visti anche con i miei stessi occhi, stanno spesso peggio degli animali; provo un grandissimo dispiacere  vedendo sia le persone sofferenti sia gli animali…che sono comunque esseri viventi degni di rispetto anche loro.

Se ne ho la possibilità aiuto sia gli uni sia gli altri.

 

Il forte, localizzato alla sommità della collina, è immensamente grande ed è possibile visitarne solo una parte. La parte est, dove c’era la residenza  del re e dove sono stati costruiti anche dei magnifici giardini, è la più interessante, con porte ed archi che si aprono sul panorama della vallata sottostante.

Il panorama che si gode dalle torrette laterali, ai bordi dei giardini, è notevole! si vede benissimo anche il palazzo del Maharaja, un po’ più sotto nella valle.

Di quest’ala è particolarmente interessante la stanza della regina, con le tipiche finestre a nido d'ape, che si ritrovano nel palazzo dei venti, ovvero quelle aperture che permettono di vedere a chi sta dentro l'esterno ma non viceversa.

Dalla collina del forte, verso ovest, si scorge in lontananza anche il Jal Mahal (water palace), o palazzo sul lago.

Di acqua del lago, considerata la stagione particolarmente secca, ne è rimasta veramente poca, solamente in prossimità del palazzo; anche quel poco però è comunque suggestivo da vedere e di più ancora da immaginare, soprattutto quando il palazzo si riflette nelle acque del lago.

 

Come se non ne avessi abbastanza, prossima al cedimento fisico, verso le 18.00 decido di andare a visitare anche il Tiger Fort, caldamente raccomandato dalla guida lonely, in particolar modo all’ora del tramonto.

Richiamo a me tutte le energie e ricomincio nuovamente le trattative per andare al Tiger Fort; se quello di Amber per la distanze era sulla luna questo addirittura sembrava appartenere ad un'altra galassia!

Concordato faticosamente il prezzo della corsa, partiamo ed iniziamo un percorso tortuoso lungo il versante di una collina, come se stessimo salendo ad un passo e, dopo circa 30 minuti di percorso, ecco finalmente il forte della tigre!

Sono piuttosto di fretta e non ho troppa voglia di trattenermi a lungo, in fin dei conti oggi ho già trascorso più di cinque ore al forte di Amber.

Appena arrivata incontro alcuni indiani seduti sopra dei grossi sassi che mi consigliano di avvicinarmi al muro perimetrale ovest del forte e di ascoltare….non capisco bene che cosa…ma eseguo alla lettera quello che mi viene suggerito.

A parte il panorama della città di Jaipur nell'ora del crepuscolo, che da solo vale il viaggio al forte, si sentono dei particolarissimi giochi di acustica; sedendo in ascolto sul muro del forte si sentono tutti mischiati i rumori della città a formare un unico sottofondo ma nel contempo si riesce a distinguere in modo nitido ciascuno di essi, separatamente. E' difficile da spiegare perché è una sensazione da provare. Si sentivano infatti gli schiamazzi dei bimbi che giocavano per le strade, i latrati dei mille cani randagi che girano abbandonati, il tutto in un’atmosfera veramente surreale.

Il cielo è diventato bianco di una luce lattiginosa diffusa, non so se fosse umidità oppure foschia, la realtà sembrava immobile, sospesa nel tempo…

Ora sono davvero stanca e non ho intenzione di aspettare il momento in cui il sole scompare perché, mi dico, di tramonti ne ho visti mille più uno, sarà come gli altri.

Non avevo ancora finito il mio pensiero che, come spesso succede in India, mi  trattengo a conversare con due ragazzi indiani  arrivati da poco in moto, e da lì a breve l’ora del tramonto è giunta… Credo di non avere mai visto nulla di simile!

Il cielo bianco, il sole bianco, la luce bianca….un piccolo puntino nero dentro il sole…tutto sospeso...silenzio...

I miei nuovi amici indiani mi chiedono se vedo quel puntino nero nel sole bianco, che io credevo un mio difetto ottico od un delirio da stanchezza, e mi raccontano che in India c’è un detto, che anche la cosa più bella pulita e luminosa ha una piccola macchiolina nera al suo interno, così come nel nero più assoluto c’è una piccola parte di bianco.

Rifletto quindi sulla apparente casualità dei miei incontri, e sul significato del Tao, dove bianco e nero si abbracciano vicendevolmente e ciascuno di essi racchiude una parte dell'altro...

 

 

-Agra-

Ad Agra si incontra la faccia peggiore dell’India, quella dove il viaggiatore è visto come una piccola banca ambulante straboccante di soldi che dev'essere spennata a tutti i costi. Ad ogni passo ed ogni secondo qualcuno vuole qualcosa da te, tutti ti offrono qualche cosa e se li ignori si rispondono pure da soli! Fanno tutto loro, domande, risposte! Sono un ottimo esercizio zen per la pazienza, per chi ne ha così tanta!

C'è chi insistentemente ti vuole vendere un’amaca (preziosissimo oggetto per chi dorme sempre in albergo!) o un palloncino gonfiabile con occhi e bocca di dimensioni giganti (indispensabile per il viaggio ed estremamente comoda o da portarsi appresso!); in base alle loro pressioni devi mangiare in un buon ristorante anche se non hai fame o se hai già mangiato, devi prendere immediatamente un risciò anche se sei appena sceso, devi acquistare gli oggetti più inutili e stravaganti ecc.…

In certi momenti questa insistenza rende aggressivi ed intolleranti, e devo dire che come ad Agra non mi è mai successo di non poterne davvero più!

La visita del Taj Mahal è probabilmente l'unica occasione per soggiornare ad Agra; probabilmente proprio l'enorme flusso di turisti provenienti da ogni nazione, che vi passa ogni anno, ha alimentato e continua ad alimentare il comportamento così invasivo degli indiani di quella città.

La visita al meraviglioso mausoleo bianco è ricca di emozioni e, a seconda dell'ora della giornata, è possibile vedere giochi di luce e colori di notevole bellezza. Personalmente ho ritenuto di visitare il mausoleo alle sette di mattina, quando ancora poche persone erano entrate ed ho potuto sedermi sulla piattaforma di marmo dove giace il mausoleo e gustarmi da vicino la raffinatezza delle lavorazioni e l'atmosfera particolare.

Il Taj Mahal è il mausoleo che l'imperatore Shah Jahan fece costruire in ricordo della sua seconda moglie morta durante il parto, intorno al 1650; in realtà è quindi un monumento eretto per amore, oltre ad essere il simbolo per eccellenza dell'India.

 

 

 

-Kajuraho-

Per raggiungere Kajuraho bisogna predisporsi a peripezie di ogni natura e sorta, ovvero necessita entrare nell'ordine di idee di spostamenti stremanti  in condizioni di viaggio simili a quelle di un carro bestiame.

Infatti, per raggiungere il paesino famoso per i suoi tempietti erotici, sono partita da Agra alle otto del mattino e, dopo due ore di treno sono salita su un autobus scarcassato, con non poche perplessità, per raggiungere in  cinque ore di viaggio Kajuraho.

L’autobus era uno di quelli tipici dei paesi del terzo mondo, uno dei peggiori che abbia mai visto, con sedili strappati e divelti, senza vetri ai finestrini (come tutti gli autobus in India!), con vari pezzi di ferro che sbucavano dai sedili e naturalmente sovraffollato.

Durante la tratta per arrivare a Kajuraho si passa attraverso le campagne, visibilmente provate dalla carenza di acqua di questo periodo (notare che il mese di luglio è già periodo monsonico!); passando si vedono dal finestrino le misere coltivazioni che disegnano la terra, i paesini essenziali e poveri ma anche delle divertenti scene di bufali completamente sprofondati nelle pozze di acqua fangosa; alle volte dalle pozze di acqua e fango spuntano fuori solo le orecchie e gli occhi, tanto fa caldo e tanto non ne possono più…

Non so quante volte l'autobus si sia fermato per fare salire e scendere i passeggeri, so che un nostro treno locale in confronto non regge il paragone!

Ad una sosta a circa metà viaggio sale un uomo di mezza età, e porta con se un pacchetto avvolto in carta da giornale e legato in qualche maniera con lo spago; le dimensioni del suo bagaglio non sono eccessive così, il nuovo passeggero sistema il suo pacco nell'apposito spazio sopra i sedili, assolutamente vuoto. L'operazione non è stata né breve né semplice, poiché l'autobus era strapieno ed arrivare in fondo al corridoio, dove l'uomo ha collocato il suo bagaglio, ha richiesto la collaborazione di parecchi passeggeri. Poco dopo inizia una discussione tra il mio vicino di sedile e l'uomo appena salito, che in breve tempo diventa piuttosto animata; viene interpellato pure l'autista e in meno che non si dica tutto l'autobus è in subbuglio; non capisco davvero per quale ragione.

L'autobus si ferma in mezzo alla strada, dieci persone si spostano dal corridoio dell'autobus per fare passare l'uomo appena salito, il quale, preso il pacchetto avvolto nel giornale, scende dal bus e lo deposita nello scomparto bagagli di grosse dimensioni sul retro; a questo punto l'uomo risale al suo posto, le solite dieci persone si spostano di nuovo per farlo passare e tutti sembrano felici; questi sono i misteri dell'India!

Che cosa sarebbe cambiato se il pacco fosse rimasto nel suo posto iniziale, sopra i sedili dentro la cabina dell'autobus? Probabilmente non avremmo perso 25 minuti di tempo per spostarlo nel retro dell’autobus e non ci sarebbero stati 50 minuti di inutile conversazione! Ah..! L'India è anche questo!!

Durante la strada per Kajuraho è finalmente piovuto per la prima volta da quando sono partita, e considerato che non c’erano i vetri dei finestrini,  ho anche provato la "gioia" di una doccia  piovana dl vivo rimanendo seduta sul mio sedile. Alcuni turisti spagnoli qualche posto dietro il mio hanno utilizzato addirittura l’ombrello per proteggersi, ma io dentro l'autobus non avrei mai pensato potesse servire!

Kajuraho è un posto molto tranquillo, immerso nel verde della campagna, decisamente a misura d’uomo; quello che mi serviva arrivando da Agra che, al contrario è la città dell’assillo perpetuo.

Arrivo e deposito immediatamente la mia borsa in albergo, il primo che ho trovato in prossimità dei templi del gruppo occidentale.

La scelta dell’albergo è stata fatta anche per la meravigliosa vista sul lago, a dire della guida LP, che in questa stagione aveva l’aspetto più di un acquitrino che di un lago vero e proprio, come si poteva immaginare; nelle acque putride c’erano però dei meravigliosi fiori di loto nel mezzo e qualche ninfea bianca.

Sono ormai le quattro del pomeriggio ed inizio a visitare immediatamente il gruppo orientale, composto da pochi templi, in modo da lasciarmi l'intera giornata di domani  per il gruppo occidentale, con molti più templi e  più ricchi di storia.

I templi del gruppo est sono 4 o 5, finemente istoriati, ed una volta ultimata la visita proseguo verso i templi della zona sud, dispersi qua e là nella campagna…

Mi muovo con un risciò, ed il mio driver è uno di quei classici personaggi indiani perfettamente adatto ad impersonare un ruolo nel film “Il nome della rosa”…vestito di stracci, sporco e sdentato, ma tanto disponibile e gentile; una decina di bimbi mi segue insistentemente di corsa, cercando penne e caramelle o qualche spicciolo.

Portare le penne o la cancelleria da dare ai bambini è buona cosa, anche perché si ricevono in cambio dei sorrisi meravigliosi, ma mi accorgo che devo essere più accorta nella distribuzione delle matite colorate, e scopro che neppure “dare” è facile.

Dare le penne solo ad alcuni infatti è fonte di litigi, perché se dieci bimbi ti stanno attorno chiedendo qualcosa almeno altri venti  ti stanno guardando e nel giro di pochi minuti almeno quaranta sanno che hai delle cose da dare…

Per questo fatto, il mio risciò è stato scortato da un seguito di venti bambini che mi ronzavano intorno con curiosità ed interesse…

Nel gruppo sud ci sono già delle sculture erotiche, che il ragazzo che sta in prossimità del tempio è molto felice di descrivere e di spiegare dal punto di vista storico-culturale.

I templi di Kajuraho appartengono al periodo tantrico, nel quale si riteneva che il sesso fosse il mezzo per raggiungere la spiritualità; le figure rappresentate infatti sono uomini e donne yogi, che con acrobatiche posizioni e spettacolari scenette rappresentano l’atto dell’accoppiamento.

I templi di solito sono decorati con tre lunghi fregi; il primo in basso rappresenta la vita di tutti i giorni, il secondo è quello tantrico e l’ultimo in alto è quello della spiritualità; il fregio tantrico è nella posizione intermedia anche perché attraverso il rapporto sessuale si origina la vita, senza la quale nulla del resto ha più senso di essere.

Il gruppo occidentale è composto da undici templi, di pari interesse e valore; ognuno di questi è costruito su un basamento e secondo le caratteristiche tipiche di quel periodo. L’area dei templi è molto ben curata, con giardini e piante ombrose, comodo ricovero per i momenti di massima calura.

Intorno all’area occidentale ci sono molti ristoranti che offrono la piena vista sulla parte archeologica dei templi, uno di questi addirittura ha collocato una scaletta per raggiungere un tavolo e delle sedie poggiate su un ripiano sopra un albero!

Per questioni di tempo la mia visita a Kajuraho è stata davvero veloce, con mio dispiacere, perché credo che qualche giorno in più avrebbe reso più rilassante e piacevole il mio soggiorno.

Se il viaggio di andata per Kajuraho è stato indescrivibile, non parliamo del viaggio di ritorno, che è stato al limite dell’umana sopportazione!!

Una volta lasciato Kajuraho, all’agenzia di viaggi mi consigliano di non tornare a Janshi bensì di fermarmi a Mahoba, a soli 65 km di distanza; mi sembra un’ottima idea e raccolgo il suggerimento, in fin dei conti 65 km di strada nella peggiore delle ipotesi e considerato che sono in India, non possono che essere percorsi in poco più di due ore. Questo è quello che io credevo fino a quel momento. Ho imparato a non fare più questo tipo di previsioni, come dire…molto ottimistiche…soprattutto in India .

Infatti parto alle 16.30 da Kajuraho, con il più scassato autobus mai visto sulla madre terra (probabilmente lo stesso con cui sono arrivata), ovviamente stipata tra mille indiani e pure con la mia valigia tra i piedi (in tutti i sensi!) dal momento che non c’era più spazio da nessuna altra parte.

L’autobus parte, per quello che ho creduto essere il viaggio più lungo della mia vita; si fermava ovunque in mezzo alla campagna, tra polli, pecore, bufali, mucche, cani, capre, maiali, …ogni 4-5 minuti circa. L’autista continuava a suonare per fare spostare dalla carreggiata tutte le bestie che, a quanto ho potuto vedere, adorano particolarmente stare in mezzo alla strada.

In queste condizioni anche l’agognato sonno che sarebbe stato il miglior modo di affrontare quel viaggio, non è stato possibile.

Insomma, per percorrere 65 km abbiamo impiegato 4.15 ore, e credo di essere sopravvissuta al viaggio solo perché ero seduta al finestrino e c’era aria fresca, visto che nell’autobus non vi era più lo spazio neanche per introdurre uno spillo. Per me quello è stato un viaggio occasionale ma per gli indiani quel livello di viaggio è lo standard !? Meglio non pensarci.

A mantenere vivo nella memoria quella tratta di viaggio non è stato tanto il disagio delle condizioni, quanto lo scenario di estrema povertà che ho visto passando, che ha contribuito in modo significativo ad abbassarmi l’umore.

Se mai avessi un’idea di povertà estrema, non era minimamente paragonabile a quello che ho visto passando in quella parte di India, le condizioni in cui la gente vive, le case, le strade…mi sono davvero sentita il vuoto dentro ed una opprimente sensazione di tristezza. 

Essendo l’unica viaggiatrice bianca di quell’autobus, mi sono anche chiesta cosa sarebbe successo se l’autobus avesse bucato o fosse successa qualsiasi altra emergenza, in un posto senza telefoni, in mezzo al nulla più assoluto, tra gente locale che parlava solo strettamente la lingua indi ….ma poi la mente è fuggita altrove.

Arrivata a Mahoba, esausta e disidratata, mi chiedo di condurmi immediatamente alla stazione ferroviaria…che più che una stazione sembrava letteralmente un campo nomadi. In India si usa molto viaggiare la notte, per via delle lunghe distanze e per il caldo, così nelle stazioni c’è sempre una gran viavai a tutte le ore.

Il treno per Varanasi delle 22.30 ha subito un ritardo e passerà, probabilmente, a mezzanotte. Questo è quanto mi dicono appena arrivata in stazione e quanto vedo scritto con un gessetto bianco su una lavagna di grafite, che deduco essere il corrispettivo del nostro tabellone ferroviario delle partenze.

Quando finalmente giunge il treno mi accingo a salire velocemente tra la gente che spinge (gli indiani in coda spingono come dei matti!), ho prenotato la cuccetta  e già inizio a sorridere immaginandomi la notte che mi aspetta…

Salgo sul treno e mi trovo a passare nel corridoio del vagone che io ho chiamato dei “piedi nudi”: tutta la gente sta infatti dormendo, straiata  con i piedi rivolti verso il corridoio, quindi in faccia a chi lo attraversa.

Il vagone è di colore grigio-carta da zucchero, con delle inferiate di ferro sui finestrini che ovviamente sono senza vetri; questa visione mi ricorda il reparto di un ospedale psichiatrico visto in qualche film. Naturalmente, come mi aspettavo, il mio posto con prenotazione è occupato da un indianino che sta beatamente russando.

Chiamo quindi uno dei poliziotti responsabili del vagone per avere la mia cuccetta; in India sui vagoni notturni ci sono sempre dei poliziotti di guardia.

Il poliziotto con un lungo bastone e con modi molto discutibili, punta la torcia in faccia al signore che sta dormendo al mio posto e gli da qualche insistente colpetto sulla spalla; lo fa quindi allontanare molto velocemente ed in modo rude. Alla faccia della cortesia!

Mi corico sul mio lettuccio, un sedile a tre posti di plastica dura e scomoda, e inizio a ridere tra me e me… quest’India così piena di scomodità e di contraddizioni, mi fa proprio impazzire!

Il sonno è stato piuttosto disturbato, non sapevo che ore fossero e neanche dove fosse la stazione di Varanasi, così ad un certo punto chiedendo informazione alla polizia, scopro che il treno ha 5.30 ore di ritardo. Fantastica la mia reazione!! … appresa la notizia, sono ritornata subito a dormire come avrebbe fatto un indiano, senza domandare di più, senza commenti ulteriori. Sono infatti stordita dalla stanchezza.

Lungo la mattinata scopro che l’omino davanti a me, scende a Varanasi, così non mi resta altro che tenerlo d’occhio e scendere quando scende lui; è un vecchiettino che assomiglia molto a Gandhi, con numerose borse di plastica come valige, che ha sparpagliato un po’ ovunque nel vagone, con un vestito di color bianco azzurro. E’ la veste che indossa un uomo rimasto vedovo.

Intanto il treno viaggia, non si soffre il caldo perché non ci sono i finestrini e l’aria entra continuamente; la giornata è stupenda e comunque fa caldo anche oggi…mi sembra di sapere come andrà ogni cosa e sono di una serenità impagabile.

 

 

-Varanasi-

La guida ne parla in modo molto allarmistico, come di una città nella quale prestare particolare attenzione, ma io personalmente non ho riscontrato nulla di diverso rispetto ad altre città del resto dell’India.

I tre giorni che ho trascorso nella più antica città indiana sono stati di sole e di caldo torrido, ma con un cielo quasi primaverile per il colore azzurro cobalto e le nuvole di panna montata.

La prima giornata è stata talmente bella, da far rendere priva di significato qualsiasi attività svolta..…troppo azzurro e terso il cielo per essere vero, infinitamente piacevole la fresca brezza che proveniva dal fiume, dolcissima l’atmosfera spirituale che si respirava, tra mille colori e profumi, deliziosa la gentilezza e la cordialità degli indiani.

Per il periodo trascorso a Varanasi ho trovato decisamente fuori luogo l’allarmismo della guida L.P, che ricorda a tutti i viaggiatori che ogni due mesi un numero imprecisato di turisti scompare. Questo non significa che non bisogna prestare attenzione, ma non ci si deve privare di una serena e piacevole visita alla città più sacra dell’India.

Per questioni di tempo io sono rimasta soltanto tre giorni, ma mi sarebbe piaciuto trascorrervi anche una settimana…non tanto per quello che c’è da visitare quanto per l’atmosfera che si respira sui ghat e sul Gange.

Arrivata alla stazione di Varanasi alle 11.30 di mattino, dopo circa 5 ore abbondanti di ritardo del treno notturno, decido di iniziare subito la mia visita alla città; sono stravolta ma andare a riposare proprio ora è assolutamente improponibile.

Sono finalmente a Varanasi e non sto più nella pelle dalla voglia di vedere con i miei occhi il fiume più sacro del mondo, dopo averne letto mille descrizioni nei libri, dopo avere visto le più svariate e colorite immagini, dopo aver sentito i racconti di amici e conoscenti e di chi è stato lì prima di me…

Una mezz’ora circa dopo il mio arrivo in hotel, eccomi di nuovo in partenza pronta per visitare la città…ricaricata di nuovo entusiasmo e scalpitante, proprio come una persona che ha trascorso la notte dormendo (chi ha dormito quella notte non ero io!).

E’ proprio vero che quando l’interesse è forte e la passione trascinante, la stanchezza si allontana…ed il viaggio continua.

Da lì a breve mi ritrovo in giro sulla moto del proprietario dell’albergo (un motorone da centauro di colore azzurro metallizzato), con lui come driver e tutte le dita di mani e piedi incrociate per la sua guida spericolata e quella degli indiani in genere, che zigzagano con nonchalanche tra camion, biciclette, persone e bestie varie….

Visito il tempio delle scimmie, per l’occasione riempito di fedeli che pregano perché arrivi finalmente la pioggia, visto che la stagione è quella monsonica ma i mutamenti climatici avvenuti realmente fanno sì che la pioggia arrivi scarsa ed in ritardo e, se e quando arriva.

Nel tempio decido di assaggiare  dei dolcetti molto zuccherosi, marrone scuro, grandi come biscotti, con un profumo simile a quello delle castagne; per avere il privilegio di assaggiarli devo prima difenderli da vespe golosissime che, impazzite letteralmente, stanno sciamando sul mio pacchetto, li vogliono a tutti i costi!!

Visito anche un secondo tempio, privo di nota, nel quale stanno allestendo un teatrino per il compleanno di KRISNA e all’interno del quale vi sono almeno 50 persone all’opera con cartapesta, luci, ecc.      

Chiedo poi al mio driver di poter visitare un ghat di quelli utilizzati per la cremazione, e mi conduce finalmente sul Gange…

Lo scenario mi lascia sorpresa, mi aspettavo un fiume del tutto simile ad uno scarico fognario, con rifiuti, resti umani, e qualsiasi cosa galleggiante in balia della corrente….invece davanti a me c’è un fiume verde, con le acque ad un primo colpo d’occhio pulite (non ho visto l'analisi chimica!) senza nessuna "cosa strana" che galleggia.

Ad un primo sguardo mi ricorda l'Africa, con i bufali accaldati che si trastullano nelle pozze di fango sulla riva e dentro il fiume, che passeggiano e brucano qualche residuo di erba sulle sponde …

Rimango sorpresa, molto sorpresa…non mi aspettavo di assistere ad uno spettacolo del genere…avevo preparato un bel pacchetto di pregiudizi...che non hanno trovato riscontro nella realtà.

Ritorno con lo sguardo vicino a me, e trovo un posticino da dove posso osservare, con rispetto e discrezione, tutto il cerimoniale della cremazione…

I quel momento arriva il corpo di un uomo ricco, mi dicono, ed infatti la pira funerea è molto alta e consiste di molto legno; inoltre il posto scelto per la cremazione sembra un altare, ed il cerimoniale si svolge al centro di un cerchio rialzato.

Inizialmente il corpo viene bagnato nel fiume, per l’ultima abluzione. I parenti ed i partecipanti al funerale donano un telo color oro, quale ultimo dono per la persona cara.

Il corpo, avvolto in un drappo bianco, viene quindi trasferito dalla barella di legno sopra la pira funeraria; qui tutti insieme i parenti, rigorosamente uomini perché le donne ed i bambini non possono partecipare alla cerimonia, cospargono il cadavere di burro giallo per facilitare la combustione e di una polverina colore zafferano, utilizzata per ridurre le emissioni moleste.

Il corpo brucia per circa tre ore fino alla totale estinzione di tutte le parti organiche ed inorganiche; poi un ossicino del bacino per le donne ed un ossicino del petto per gli uomini viene rimosso dalla pira, prima che la combustione finisca, e gettato nel fiume sacro.

Gli induisti credono che chi muore nella sacra città di Varanasi, può finalmente porre termine al ciclo delle reincarnazioni su questa terra; in prossimità di uno dei famosi ghat di cremazione ci sono addirittura delle persone anziane, che vivono in una sorta di ricovero, in attesa che la morte se le porti via nell’altro mondo. Queste sono spesso persone rimaste sole, senza figli e senza soldi.

Persone che attendono la morte!? Persone che anelano la morte, che stanno in passiva attesa che il loro momento giunga….pazzesco!

Eppure quanti momenti di completa staticità emozionale-fisico-spirituale nella vita di tutti assumono un significato del tutto simile, se non l’attesa che il tempo scorra, immersi in un atteggiamento di assoluta passività, in attesa che qualche cosa cambi….

Il mio driver, stupito per il mio vivo interesse per il cerimoniale di cremazione, mi fa notare che sto osservando da un’ora e mezza gli aiutanti della morte al lavoro. Non mi ero proprio accorta che fosse trascorso così tanto tempo…

Congedo dunque il mio driver, chiedendo di lasciarmi del tempo per me, e mi avvio risalendo la riva sacra del fiume; è curioso che il lato occidentale del Gange, quello dei ghat, è  sacro mentre quello orientale è solamente una distesa di sabbia, vuota e senza nulla.

Si può scorgere semmai, sul lungofiume est, qualche barcone carico di legna da ardere destinata ai ghat di cremazione, che sta aspettando di trovare lo spazio libero per attraccare sull’altro lato del fiume.

E’ l’ora del tramonto e l’atmosfera è molto particolare; la giornata sta ormai volgendo al termine ed i pellegrini si preparano per i cerimoniali e per il mantra serale.

C’è calma e quiete, mi siedo sui gradini di un ghat, mi godo l’atmosfera mentre le ultime luci del giorno si colorano di arancio.

 

Dopo qualche minuto mi accorgo di essere parte di un pubblico, in attesa di qualche cerimoniale che si terrà di fronte a me su tre palchi. Compare dal nulla un bambino, molto sveglio, che in perfetto inglese mi raccolta del “puja”, ovvero del mantra che si recita tutte le sere, tra le sette e le otto, sulle rive del Gange.

I sacerdoti sono tre ragazzi tra i 14-18 anni, vestiti di bianco, che, seguendo una sequenza precisa e con una danza offrono alla divinità prima il fuoco, poi l’acqua, la terra e infine l’aria simboleggiati da particolari oggetti di culto, mentre recitano il mantra.

Il pubblico replica sottovoce, in alternanza, in un'armonia di scampanellii e voci.

Ora si spengono tutti i lampioni, si vedono solamente le luci tremolanti delle candeline sui palchi e di quelle della preghiera.

Una fresca brezza proviene dal Gange…la luna è in cielo e si vede nella notte anche qualche stella….

Profumi e aromi si disperdono nell'aria...

Mi sento strana, sono seduta in mezzo agli indiani, in un’atmosfera così carica di serenità che la potrebbe percepire anche un sasso…

Sarà induismo, saranno credenze così fantasiose ed ancestrali per noi occidentali, ma l'armonia e la pace di quel momento erano percettibili da chiunque... indiani… europei… esseri umani.

 

 

 

Francesca Turcatti

 

fra.life@virgilio.it

life_2@libero.it

 

 

Il senso del viaggio è quello di vivere le esperienze che accadono fuori e dentro noi stessi, pienamente e consapevolmente, così da migliorarsi, ed una volta tornati nulla sarà più come prima …

 

 

Home ] AFRICA ] AMERICA ] ASIA ] EUROPA ] OCEANIA ]