UNA
RIVOLESE A PANAMA
Articolo di viaggio
«Mi dico che in questo Paese non
invecchierò mai...»
Ciao,
sono Maria Grazia Gallana, in prendisole, e vi sto scrivendo da Panama. E’
appena venuto un acquazzone tropicale e dalla strada mi arriva il suono allegro
della musica latina. Siamo nella stagione invernale, come in Italia. Solo che
qui non c’é freddo né neve e gli alberi di Natale sembrano stonare in questa
estate perenne. Allora, da dove comincio?
Ieri,
io...
Rivolese
di nascita, non troppo vecchia né troppo giovane, sono sempre stata curiosa e
intraprendente. Liceo linguistico al Philadelphia School e poi Pedagogia con
indirizzo psicologico a Torino. Corrispondente in Lingue estere per pagarmi gli
studi all’Universitá e poi, dopo la Laurea, insegnante di Lettere in ruolo,
consulente psico-pedagogica e imprenditrice di attivitá varie tra cui uno
studio psico-pedagogico, attivitá commerciali (anche una galleria d’arte) e
infine un poliambulatorio medico. Della serie: di tutto e di piú.
Viaggiatrice
per vocazione ma turista per necessitá, mi sono poi avventurata in Paesi e
culture molto diversi. Il Nord-Africa, il Madagascar, Comore, Maldive,
Thailandia, ma anche Russia e Cina. Un Capodanno di due anni fa, dopo un viaggio
in Kenya e nell’Oceano Indiano, ho avvertito un forte senso d'inquietudine. Un
pomeriggio, nel mio studio medico, ho scritto la ‘lettera di dimissioni’. Ad
aprile sono andata con la mia amica Renata (hermana de corazón) in India: dal
Rajastan a Benares. È stato un viaggio diverso dagli altri: l’incredibile
spiritualitá che emana dalla gente, dai luoghi, le processioni all’alba nel
Gange. E’ stata la mia ‘illuminazione’: al ritorno avevo chiaro che dovevo
andarmene. Poteva essere in qualunque posto del mondo.
A
settembre, chiacchierando con Laura, amica-psicologa-collaboratrice del Centro,
scopro che suo zio, proprietario di una scuola italiana a Panama, é in vacanza
in Italia. Lo contatto e lo incontro con suo figlio (console di Panama a Torino)
nel mio studio.
Che
lingua si parla a Panama?
Lo
spagnolo
Qual
é la moneta?
Il
dollaro
E
il clima?
Caldo
tutto l’anno.
-
Le mando una e.mail per dirle quando arrivo.
Pensa
che scherzi. Guardandosi intorno mi chiede:
-
E lei lascerebbe tutto questo?
Gli
sorrido.
Ho
cercato subito di documentarmi un po’ su Panama. Confina con la Costa Rica e
con la Colombia, la popolazione globale non raggiunge i tre milioni. È una
Repubblica presidenziale. Neanche dieci anni fa Noriega, ex-dittatore, é stato
spodestato dalla ‘invasione’ statunitense. Ho pensato a Woody Allen e alla
sua ‘Repubblica libera di Bananas’. A ottobre ho cominciato a dire in giro
che mettevo in vendita lo studio. I ‘miei medici’ (collaboratori ma anche
amici) mi guardavano come fossi impazzita, amici e parenti anche. Ho fatto un
corso accelerato di spagnolo, che mancava nel mio ‘file-idiomi’, ho
svenduto, ho regalato, ho racimolato qualche soldo. Ho cambiato in dollari e a
metá gennaio '99 ho mandato una e-mail all’Istituto Enrico Fermi di Panama:
arrivo il 28 gennaio, volo Iberia via Miami. La notte prima non avevo dormito.
Era
un salto nel buio.
Panama
City
All’aeroporto
di Panama, verso mezzanotte, un caldo soffocante mi fa vacillare.
Dall’aeroporto al residence attraverso la cittá: luci ovunque, grattacieli
enormi sulla Avenida Balboa, la strada che costeggia la Bahía, macchine
lussuose ovunque. Tra fuso orario, emozioni, caldo e aria condizionata, mi sento
‘a pezzi’.
Mi
guardo allo specchio e mi chiedo cosa ci faccio lí.
I
primi giorni li passo cercando di capire chi e cosa mi circorda. Ci sono guardie
private dappertutto: nel residence, davanti ai negozi, per la strada, davanti
alle scuole. Non capisco perché. Quando cammino per la strada le macchine si
fermano e mi gridano: "Guapa! Mi amor! Reina!". Impareró che a
Panama tutte sono ‘guape’, che il panamense.doc adora le donne senza
distinzioni (giovani, vecchie, grasse, magre) e che lo sport nazionale é
‘pitar’ cioé suonare il clacson.
L’impronta
Usa é forte (retaggio di Noriega?) ma in stile panameño. Stefano e sua moglie
mi portano un po’ a spasso. Mangiamo il ceviche (pesce crudo marinato) e
mangiamo arroz con pollo, piatto tipico della cucina criolla. I trasporti
pubblici non esistono e l’unico mezzo sono i taxi (piú di ventimila!): la
corsa costa un dollaro ed é il cliente che deve dirgli quale strada deve
percorrere perché qui ‘nessuno sa niente’. Li fermi per la strada e se
hanno voglia di fermarsi, se non hanno la fidanzata a bordo, se non piove e se
ti va bene, ti caricano.
Anche
qui l’aria condizionata (come dappertutto) é violenta e il raffreddore é il
minimo che ti puó venire. Mi chiedo perché un Paese dal clima meraviglioso
abbia la fobia del caldo! Sará perché non conoscono il vero freddo o sará
perché i parassiti (siamo ai tropici) non attecchiscono al freddo? Comunque,
all’interno c’é di tutto: crocifissi, zampe di coniglio, immagini di santi,
di familiari, musica latina a tutto volume. E loro ridono sempre! Continuano a
chiamarmi ‘mi amor’ e io mi sento rassicurata.
Non
capisco quasi niente di quello che dicono: si mangiano le parole, le storpiano,
usano un gergo strano e scoppiano in risate fragorose. In giro razze e colori
diversi: dal bianco-latte al nero-fumo. Non c’é la minima discriminazione e
tutti convivono in allegria. Mi da’ l’impressione di un popolo-bambino,
pigro e molto ignorante. Mi chiedono se sono brasiliana, gringa, e i piú colti
se sono... giapponese. Quando rispondo che sono italiana mi dicono che hanno uno
zio, un nonno, un amico, insomma qualcuno di origine italiana. I veri taxisti,
scopriró, sono pochi. Spesso il proprietario subaffitta il mezzo a un altro che
lo subaffitta a un altro, in una catena che non si sa né dove inizia né dove
finisce. Ho visto taxisti con un braccio solo, altri che non sanno leggere,
altri che non sentono. Una gamma incredibile di varia umanitá che tenta di
sopravvivere. Molti fanno due o tre lavoretti: taxista, venditore di biancheria,
fotografo. Qualcuno mi fa vedere la copia di una laurea in economia (l’avrá
fatta stampare?).
Stefano
mi racconta che giá suo nonno aveva una piccola attivitá a Panama. Lui ha
creato la scuola italiana perché aveva due figli e non voleva mandarli in
scuole panameñe. Cosí, con un socio, ha aperto una piccola scuola che negli
anni si é ingrandita. Non é frequentata solo da oriundi italiani e segue il
‘calendario panameño’: apre a marzo e chiude a dicembre. I figli vivono in
Piemonte ma chissá, dice, che un giorno non si trasferiscano.
Mi
accompagna in un ristorante italiano e lí conosco Viviana e Valerio, emigrati
prima in Costa Rica e poi da un po’ di anni a Panama. Sono via dall’Italia
da piú di quindici anni e non hanno nostalgia. Le poche volte che sono tornati
in Italia si sono sentiti ‘stranieri’. É il mio primo contatto con la
‘comunitá italiana’ di Panama che, secondo l’ambasciata locale, comprende
circa tremila persone. Ma chissá quanti non sono i "registrati".
Molti parlano "itañol" (una via di mezzo tra l’italiano e lo
spagnolo). D'altronde si sa che la lingua esprime la nostra progressiva
integrazione all’ambiente.
Affitto,
vicino al ristorante, un piccolo alloggio: saranno 50 metri quadri suddivisi in
due stanze. Scopro che gli alloggi a Panama hanno giá gli armadietti del
cucinino e il lavello incorporati. A metá febbraio faccio il trasloco (sposto
insomma i valigioni in un altro posto). Il caldo mi fiacca, ma l’entusiasmo
perdura. Il proprietario mi chiede una caparra notevole "perché sono
straniera" e cosí comincio a vedere le cose da un’altra angolazione. Da
straniera, appunto.
A
fine febbraio incontro, al ristorante italiano, un gruppo di regatanti italiani
che stanno facendo il giro del mondo in barca a vela. La regata si chiama
Odissea del Millennio ed é abbastanza famosa tra gli addetti ai lavori. Sono
partiti (una trentina d'imbarcazioni di varia grandezza) da Israele a settembre
nel '98 e in circa due anni faranno il giro del globo. Avevano ricevuto
simbolicamente la ‘fiaccola’ della pace con l’impegno di portarla in tutti
i Paesi come segno di unione e di fratellanza tra i popoli. Sará, ma qualcuno
mi dice che per la sola iscrizione hanno versato trentamila dollari!
Comunque,
chiacchierando con uno di loro, Fabio, barba bianca e sguardo autorevole, vengo
a sapere che l’indomani partono per le Galápagos facendo tappa in Ecuador.
É
il sogno della mia vita! Da quando insegnavo Darwin e la sua teoria
evoluzionistica.
Perché
non vieni con noi? Abbiamo posto.
Penso
che a Rivoli questo non mi sarebbe successo.
La
regata nell'oceano
Di
barche non so niente e del gergo marinaro meno ancora. A bordo, mi sembra tutto
cosí ristretto, ma mi dicono che ci sono otto posti letto. Tra gli ‘ospiti’
una coppia milanese, un industriale in pensione e naturalmente i due marinai:
Carlos, uno spagnolo allampanato, e Claudio, un romano ‘verace’. Sono
abbronzati, carini e cordiali. Mi sembra di vivere in uno spot pubblicitario.
Capisco subito che Fabio, l’armatore, é il capo indiscusso e che quella é la
sua barca, la sua casa, il suo mondo. Ha maniere brusche e sembra un vero
‘lupo di mare’. E’ una bella barca a vela di quasi venti metri con due
alberi e lo scafo amaranto. Per racimolare un po’ di soldi fa
charter, cioé prende per delle tratte ‘gente a pagamento’. Scopro
che gli altri hanno pagato parecchio.
A
mezzogiorno la ‘bahía’ di Panama brulica di vele. Si stanno allinenando per
la partenza. Noto un grosso casco di banane verdi appeso a prua. Le mangeremo in
navigazione. Il mare é calmo e la partenza é tutto un gridare, un tirare e un
mollare. "Cazza! Lasca". Tutti fanno qualcosa e a me sembra di essere
solo d’impiccio. Ho paura di scivolare, di battere la testa su un albero. Mi
scappa di dire la parola ‘corda’ e tutti mi urlano: "Non ci sono corde
sulle barche, ma cime!". Oddìo,mi sembrano tutti matti! Fabio strilla
perché non ha capito bene gli ordini della radio ed é passato dalla parte
sbagliata. Un meraviglioso catamarano ci sorpassa... Lui, al timone, ordina,
dirige, impreca. Fa issare lo spinnaker e, come d’incanto, un enorme lenzuolo
rosso si erge maestoso vicino alle vele bianche. La baia si allontana. Intorno
mare, solo mare. Il sole del primo pomeriggio é implacabile. Le altre barche
diventano puntini lontani e io mi pizzico da sola: sto sognando?
Come
per incanto tutti si calmano. Chi prende il sole, chi legge, chi guarda il
mare...
Fabio
mi fa vedere la strumentazione di bordo: capisco solo che ha strumenti
super-sofisticati, che via Francia riceve informazioni costanti sullo stato del
vento e del mare in qualunque porzione d’oceano si trovi. Dice che dobbiamo
‘cercarci il vento’ se vogliamo arrivare primi e che non vuole usare il
motore perché le ore-motore vengono penalizzate dal regolamento della regata.
Claudio mi dice che per una che non é mai stata in barca é come salire
direttamente su una Formula Uno. Mi rassicuro, ma mi sento ondeggiare
tremendamente. Andiamo di bolina, mi spiegano.
Mi
offro come aiutante di cucina. Fabio dà disposizione per i turni: a coppie, sei
ore di giorno e quattro ore di notte. Mi chiedo quando dormono e che bioritmi
bisogna avere per stare sul mare. Al tramonto, il sole sembra frantumarsi in una
miriade di colori e il cielo sembra infuocarsi. Per la prima volta vedo il mare
dal mare, dentro il mare, sento le onde, sento il vento, vedo gabbiani e delfini
che ci accompagnano festosi. E poi, all’improvviso, come per incanto, é
notte. I rumori scompaiono e si sente solo il fruscio della barca che fende le
onde. Non c’é luna e l’oscuritá é cosí fitta che sembra palpabile.
Scendo in cuccetta. Mi sento strana, ho nausea. E’ normale, mi spiegano, devi
adattarti al rollío. Ma io, inquieta, mi dico: e se patissi il mal di mare?
Scopro
che in barca si mangia e si beve a tutte le ore, anche se si fanno riunioni
congiunte nella dinette nei tre pasti principali. Gli spazi sono minimi e stai
mezzo nudo a fianco di persone che non hai mai visto prima, ti corichi in
costume e ti svegli in costume, poche docce perché l’acqua é preziosa. Il
sapore del mare é ovunque: sulla pelle, sulle cose, oserei dire sui pensieri.
Mi
insegnano come si lavano i piatti (per risparmiare acqua, appunto), come si va
in bagno, cosa non si deve fare. Mi sembra gente un po’ spostata: miliardari
con l’hobby dell’autolesionismo. Gli spazi angusti mettono a dura prova la
convivenza: assisto a litigi inspiegabili, a pettegolezzi, a piccole meschinitá...
Mi spiegano che la forzosa convivenza puó distruggere amicizie ventennali. Non
fatico a crederlo. La tappa Panama-Salinas in Ecuador durerá circa cinque
giorni. Io do una mano a Fabio a tenere la corrispondenza con una scuola
francese che lo sta "seguendo" via e-mail. Mi sembra un bel modo di
fare didattica. I ragazzi, con i loro insegnanti, imparano e approfondiscono i
molteplici aspetti di questa avventura: la geografia, la biologia, la zoologia,
la meteorologia. Penso al concetto di interdisciplinarietá, finalmente
applicato.
Le
notti sono ancora prive di luna, ma le onde sbattono in coperta una miriade di
lucine fosforescenti, il plancton. La barca sembra illuminarsi ‘a giorno’
per un attimo e poi tutto scompare e ripiomba la notte. Guardo incantata questa
‘magia’ e comincio anch’io a sentire il ‘canto delle sirene’, la
grande malía del mare...
Salinas,
Ecuador
L’arrivo
a Salinas vede Fabio primo nella sua categoria. Sono tutti euforici e si stappa
champagne. Sbarchiamo allo Yacht Club, un posto per super-ricchi dove
l’organizzazione della regata ha il suo quartier generale. Sul molo ho un
attacco di ‘mal di terra’: ondeggio, vacillo, non riesco a stare in piedi.
Mi spiegano che é normale e che il corpo si deve riadattare. L’ufficio della
regata é una Babele: si parlano tutte le lingue e si respira un’aria ‘di
mondialitá’. Io familiarizzo, simpatizzo, socializzo... Imparo che la grande
famiglia del mare accoglie tutti e non discrimina. Tutti si aiutano e sembra di
conoscersi da sempre, si allacciano rapporti forti, intensi. Ma impareró che
gli arrivederci sono quasi sempre degli addii.
Salinas,
fuori del dorato mondo dello Yacht Club, sembra una cittá in assedio... Forze
armate ovunque, tensione e poca gente per le strade. Veniamo a sapere che la
situazione economica é precipitata, che il dollaro ha raggiunto quotazioni
iperboliche sul sucre, la moneta locale, che le banche sono chiuse e che tutti
si aspettano il peggio. Ci consigliano di non avventurarci troppo fuori dello
Yacht Club, ben protetto da guardie armate. Il giorno dopo viene imposto il
coprifuoco su tutto il Paese. Nello Yacht Club si vive davvero ‘fuori dal
mondo’: c’é perfino un torneo internazionale di tennis. Intorno, baracche,
povertá e sporcizia.
Fabio
vola a Quito perché Patrizia, sua moglie, é in arrivo da Milano. Il suo arrivo
e la vicina partenza, mettono tutti in agitazione. I giochi e le dinamiche della
barca devono essere ristrutturati. Lei é la moglie del capo... Affabile, sempre
col sorriso sulle labbra, fa rivoltare la barca in un ‘raptus’ di pulizia
domestica. Si fanno provviste per la cambusa e scopro che ovunque, proprio
ovunque, ci sono piccoli orifizi, ripostigli, buchi, dove si schiaccia, si
stipa, si rintana. Finalmente, domenica 14 marzo si parte con destinazione Galápagos.
Verso
le Galapagos
La
tappa Salinas-San Cristobal dura pochi giorni, ma metterá a dura prova la
pazienza di tutti. L’oceano Pacifico, troppo pacifico, l’uso forzato del
motore, le nuove dinamiche di bordo, esacerbano animi e situazioni. Fabio
diventa insopportabile: strilla, si agita, impreca contro tutto e tutti! A me
pare che ‘gareggiare’ nell’oceano, tra un ozio e l’altro, non abbia
neppure tanto senso. Tengo per me i miei pensieri.
Balene,
balene! Un grido concitato richiama tutti in coperta: vedo in lontananza lo
sbuffo di una balena e intravedo una enorme macchia scura. Mi pare piú
popolato, questo tratto di mare. Pesci ‘saltanti’, piccoli, grossi, a
sciami, sembrano brulicare tutt’ intorno. Vengono lanciati degli ami e poco
dopo un bel tonnetto abbocca. Claudio lo prepara in listarelle e a pranzo
mangiamo un sushi con soia da far invidia ai giapponesi. Al tramonto, tra il
rosso e il nero del cielo, si scorge la luna. Non l’avevo ancora vista, in
mezzo a tutto quel blu. La notte, cosí rapida e fonda, viene rischiarata da
questa grande palla bianca. Intorno, miriadi di stelle. Qualcuno mi indica -
lassú, la vedi? - la Croce del Sud.
Il
pomeriggio seguente avvistiamo una grossa tartaruga che pare ferita: sopra, un
uccello la sta beccando. Fabio, prima ancora di pensare, si butta in acqua.
"E’ pericoloso! Ci sono gli squali!" Gli gridano. Risalirá a bordo
con la tartaruga, il guscio crepato in alcuni punti e un occhio devastato dalle
beccate. Tentiamo di curarla, ma non ce la fará.
All’alba
avvistiamo Isla San Cristobal, la prima di una serie di isole delle Galápagos.
Nel porticciolo campeggia, sopra una piccola costruzione, un'enorme balena di
pietra. Uno striscione della Regata sventola un po’ piú in lá, dove hanno
posto il quartier generale. Saluti, abbracci di rito, scambi di mappe. Girovago
un po’ per l’isola. Penso che devo acquistare il biglietto aereo per Panama.
Qualcuno mi dice: perché non vieni fino a Tahiti con noi? Mi piacerebbe, ma
penso che se vado con loro non torneró né da Tahiti, né dall’Australia.
Le
isole di Darwin
Le
Galápagos sono considerate ‘patrimonio dell’umanitá’ e come tale ‘protette’.
Per questo si paga un pedaggio di 100 dollari a persona. Il turismo é ecologico
ed elitario. Questo enorme parco naturale é formato da una quindicina di isole,
di cui solo quattro sono abitate dall’uomo. Nelle altre, solo flora e fauna
endemiche. Mi dicono che la corrente calda del Niño ha provocato anche lí
spostamenti climatici e per questo molte specie sono migrate e altre rischiano
l’estinzione.
Il
giorno dopo, con battelli locali, andiamo a Floreana: ci accoglie una spiaggia
vulcanica verdescuro brulicante di iguana di terra e di mare: le prime hanno
sviluppato caratteristiche terrestri, mentre le seconde hanno una grossa coda
natatoria e zampe palmate. Penso a Darwin.
A
piedi imbocchiamo un sentiero e finiamo in una spiaggia di sabbia corallina
bianchissima. Tra le due spiagge, ci imbattiamo in una laguna salata, circondata
da mangrovie. Qui vediamo un gruppo di flamingo rosa (fenicotteri) e altri
uccelli acquatici. Andiamo a fare snorkeling a Punta Cormorano dove si trova la
cosiddetta Corona del Diablo, un piccolo cono vulcanico corroso dall’azione
dei venti e del mare. I fondali sono incredibili: pesci tropicali multicolori,
mante, coralli, spugne e una varietá incredibile di fauna marina.
Mentre
raggiungo un’altra incrostazione corallina mi sento toccare una pinna: quattro
o cinque foche mi stanno seguendo, mi imitano, mi toccano incuriosite. Superato
il primo attimo di smarrimento, mi metto anch’io a giocare con loro, fingo di
rincorrerle, faccio giravolte. Loro mi circondano, burlone e festanti. Mi sembra
di essere Alice nel Paese delle Meraviglie. Prima di lasciare Floreana passiamo
per il Barril del Correo (Barile della posta), installato a fine Settecento
dagli inglesi per facilitare le comunicazioni con la madrepatria: chi passa,
apre il barile e raccoglie la posta del proprio Paese. Si occuperá poi, in
patria, di recapitarla ai destinatari.
Tornando,
ci fermiamo a Isla Española, una delle piú antiche. Studi geologici la datano
tra i tre e i cinque milioni di anni. Ospita un'incredibile colonia di fregate,
uccelli che ‘in amore’ gonfiano una specie di borsa rossa nel collo, e di
pajaros pata-azúl e pata-rojo, cioé uccelli dalle zampe azzurre e dalle zampe
rosse. Tutti convivono armoniosamente, mentre le iguane e le foche marine si
dividono gli spazi territoriali. Un maschio di foca non ci vuole fare passare:
é geloso del territorio e della sua ‘hembra’. Interviene la guida, un omino
piccolo e antico che pare comunicare meglio con la fauna locale che con i
turisti.
Il
giorno dopo ci spostiamo a Puerto Ayora de Santa Cruz, dove la regata ha posto
l’altra sua sede. L’isola é meravigliosa: pulita, organizzata, con servizi
di ogni tipo. E poi tanti fiori rossi ovunque. Qui c’é la sede del Servizio
Parco nazionale Galápagos e della Stazione scientifica "Charles
Darwin" dove é possibile informarsi su progetti di conservazione
in-progress e, naturalmente, visitare le meravigliose galápagos (testuggini
giganti che danno appunto il nome a tutto l’arcipelago). Sono enormi, veri
fossili viventi che possono raggiungere i 300 kg di peso e i 200 anni di etá!
La
regata, mi spiegano, prosegue: Isole Marchesi, Polinesia, Tonga, Australia. La
mia voglia di mondo li seguirebbe. Quel po’ di razionale che ancora conservo
mi fará prendere l’aereo. La sera ceno con l’equipaggio di Jancriss, barca
italiana, proprietá di una simpatica coppia di padovani: mi spiegano che il
Comune di Padova, loro cittá natale, li ha sponsorizzati e che i costi di una
regata che dura due anni e tocca tutti i Paesi del mondo sono proibitivi. Al mio
fianco siede David, scenografo di fama mondiale. Con lui viaggia Dimitri, di
circa vent’anni, con problemi di dipendenza dall’alcool, dalle droghe. Il
padre mi dice che ha voluto ‘portarlo via’ dall’ambiente londinese. Mi
chiede di parlargli. Lo faró, ma so giá che sono parole inutili: Dimitri é
dolce, Dimitri é sensibile, Dimitri é debole e in tasca ha una carta di
credito Gold, con uso illimitato di denaro...
Sull’aereo
che da Guayaquil mi porta a Panama guardo le fotografie e ripercorro le tante
emozioni degli occhi e del cuore che ho vissuto
Panama,
istruzioni per l'uso
Panama
é sicuramente un Paese bendito por Dios: la sua posizione geografica, ad
ansa, lo protegge da uragani,cicloni e altre calamitá naturali che affliggono
ciclicamente il centro-America. Mi spiegano che anche per questo il famoso
Canale é stato costruito proprio qui! E i panameñi, tutti, vanno giustamente
orgogliosi di questa immane ‘via di transito interoceanica’. E l’orgoglio
patriottico é diffuso. "Orgullosamente hecho en Panama". "Un
Canal, un solo nombre: Panamá". Questi alcuni degli slogan che
campeggiano nei titoli dei giornali, che risuonano dai canali tv pubblici e che
si vedono un po’ ovunque: sulle facciate degli edifici e sulle bandiere che i
panameñi fanno sventolare dalle loro case.
Ad
un europeo, queste espressioni cosí nazionaliste paiono strane, come pare
strano l’inno nazionale il lunedí nelle scuole e i molti ‘desfiles’ che
in varie occasioni (Día de la Patria, Día de la Liberación) si organizzano un
po’ in tutto il Paese. Parate della gioventú panameña, agghindata in
uniformi lucidate e armeggiante bandiere, gagliardetti, stendardi di tutti i
tipi mentre un rollío di tamburi accompagna il tutto. Nelle scuole, cartelloni
e inni alla Patria, benedizioni divine e altre invocazioni-preghiere e
ringraziamenti che le varie classi preparano sotto la guida, attenta, degli
insegnanti.
Il
Paese é considerato sacro e intangibile e ogni osservazione o critica é
considerata offesa ‘personale’. Parlando con la gente si nota una forte e
diffusa avversione per tutto ció che é ‘gringo’ e una rabbia, ancora
aperta e bruciante, per l’invasione statunitense di circa dieci anni fa.
-
Venire ad invadere un Paese di tre milioni di abitanti, ad ammazzare gente
innocente per prendere un narcotrafficante che loro stessi avevano messo.
-
Ricordo le bombe, ricordo i saccheggi dei magazzini, dei negozi. Il Paese era
senza controllo.
-
Ricordo che mi hanno portato in prigione e mi hanno dato un sacco di botte.
Qualcuno non é piú tornato a casa
-
Noriega? Adesso se la passa bene, dicono che sia in una villa super-confortevole
e protetta negli Stati Uniti. Da voi non é cosí. Vero? In Europa non comandano
gli Stati Uniti come qui!
Che
rispondere? Machiavelli non é un’opinione. Come giustificare peró che la
forza di Panama sta proprio - volenti o nolenti - nella forte influenza
statunitense? A malincuore, qualcuno ammette che il ritorno del Canale a Panamá
(31 dicembre 99) non ha rappresentato una vittoria e che forse sarebbe stato
meglio fare la fine di Puerto Rico, ‘colonia’ americana nel Caribe.
L’impressione che se ne ricava é che questo popolo-bambino sia facilmente
plagiabile e che la demagogia, qui piú che altrove, sia un facile terreno.
Qualcuno dice, ridendo, che durante l’invasione gli unici negozi non
saccheggiati sono stati le librerie. Non si fatica a crederlo. Pochi leggono o
viaggiano, ma quelli che possono mandano i figli a studiare in elitari colleges
europei o statunitensi.
I
ragazzi sotto i sedici anni non possono uscire alla sera dopo le otto ‘se non
accompagnati da un adulto’. Ma mi chiedo chi fará rispettare questo
‘coprifuoco minorile’. In un Paese che sembra autoritario, nessuno esercita
realmente alcuna autoritá. I giovani sembrano abbastanza rispettosi di regole,
norme, ruoli e trascorrono il tempo in inviti reciproci per ‘la festa dei 15
anni’, in bigliettini di invito, nella scelta del vestito per la festa del
diploma.
É
un Paese che adora le formalitá, i certificati, i pezzi di carta, le
dichiarazioni. Ma lo sfoggio é, come tutto, piú apparente che sostanziale. Non
fosse un popolo profondamente pacifico, la combinazione ignoranza-violenza
sarebbe davvero esplosiva.
In
occasione delle festivitá religiose viene vietata la vendita di alcool e
derivati. E tutti o quasi vanno alla Santa messa e si dichiarano fedeli alla
Chiesa cattolica romana. Anche la religione, come tutto il resto, é formale e
si benedice tutto con la stessa compunta serietá: la pizzeria, il bambino, la
banca. La famiglia é un valore in sé, ma molti hanno figli diversi da donne
diverse. Che li mettono al mondo... "cuando Dios quiera". E
tanti non vedranno mai una scuola!
L’unico
vero interesse sembra essere il Sesso (con la S maiuscola). Tutti ci pensano e
lo praticano con grande disinvoltura, ma tutto ció che riguarda la sessualitá
é censurato, proibito, nascosto. In molti luoghi di lavoro si vietano alle
donne i pantaloni perché potrebbero suscitare... desideri morbosi. Molte
sostengono che il ‘machismo’ é dilagante, peró poi ammiccano con gesti e
provocazioni sessuali in una perfetta complementarietá.
La
vendita, emblema e simbolo del capitalismo, é quasi sempre gestita in modo
casuale. Casuali gli ammassi di mercanzia nei negozi dove si vendono chitarre
con lenzuola, quadri con biciclette, e dove non capisci mai il dove e il come.
Se entri nessuno ti bada. Chi mangia, chi beve, chi si fa le unghie. Tutti
pagano tutto a rate e tutti scrivono assegni. Quasi nessuno usa i contanti e
tutti hanno paura dei ladri e delle rapine. Sará. Ma a me questo Paese appare
piú incasinato che violento.
L’esercito
regolare é stato sciolto dopo i "fatti di Noriega" ma ovunque ci sono
guardie private. La droga esiste, ma non é una ‘piaga sociale’ e non causa
violenze quotidiane come in Europa. Infatti la percentuale dei ‘consumatori’
é bassa e non esiste l’eroina. Qualcuno mi spiega che é una scelta ‘di
mercato’: i narcos preferiscono tenere tranquillo questo Paese dove possono
"lavare" denaro in quantitá. E Panama é sicuramente un luogo dove si
‘blanquea dinero’. E tanto.
Lo
vedi dalle molte societá di prestiti (a tassi irrisori), alla potenza e al
numero incredibile di banche, ai molti lussuosissimi hotel e ai grattacieli che
nascono come funghi. I conti bancari sono intestati a societá anonime ed é
successo che su un conto sia transitato, per errore, un milione di dollari
proveniente da chissá dove e diretto chissá dove. Con centomila dollari si
ottiene la residenza senza bisogno di tanti papiri. E' facile comprendere come
qui, piú che altrove, ci siano signori rispettabilissimi e sorridenti con
condanne pendenti per omicidio, rapine, sequestri... Mi spiegano che se
‘stanno tranquilli’ nessuno li tocca e che l’ordine di espulsione viene
dato solo se il governo d’origine fa forti pressioni, oppure se la DEA é
sulle loro tracce.
Tutto
si compra. La corruzione é capillare, diffusa, ma... allegra! "Tranquilo",
"Mañana", "No se preocupe" sono le ‘frasi topiche’.
Capisco come la corruzione abbia una sua forte ragione logica: gli stipendi sono
bassissimi e il costo della vita (e l’offerta di prodotti) é in proporzione
decisamente alto. La gente in genere non ha grandi aspirazioni e lo scopo non é
guadagnare, ma disfrutar, cioé godersela. Ho sentito di gente che,
appena ritirata la quinzena (quindicina), non ritorna a lavorare. E
quando finiscono i soldi, tornano, come se niente fosse, dal datore di lavoro.
Mi chiedo, in un sussulto sindacalista, da dove comincerebbe Cofferati...
Quantitá
enormi di birra circolano alla vigilia delle festivitá, che qui sono proprio
tante. La cittá, come per incanto, si svuota. Vanno all’Interior, cioé nei
territori interni di Panama (Las Tablas, Chiriquí) a trovare amici, parenti, in
una ubriacatura collettiva di birra, balli tipici e sesso a go-go. Panem et
circenses: i Romani hanno fatto scuola nel mondo. Quando si riprende, la locura
di sempre: code infinite, tranques (ingorghi) nelle poche strade
cittadine e confusione ovunque. Se hai un appuntamento, un impegno, un orario da
rispettare, devi pensarci per tempo. E se hai fretta... te la fai passare.
In
un Paese che ha la stagione delle piogge, nessuno sembra attrezzato né abituato
alla pioggia: l’escursione termica (giorno-notte ed estate-inverno) sará di
cinque gradi. Cioé tra i 25 e i 30 gradi tutto l’anno. Il calore non
raggiunge mai i picchi delle estati europee, ma qui nessuno pare sopportarlo,
anzi lo combatte con una feroce aria condizionata. Urlano e gridano con orrore
infantile se vedono un ragno, uno scarafaggio. Neanche vivessero in Svizzera...
Il
famoso Canale
Giá
Carlo I di Spagna, nel 1534, aveva ordinato il rilevamento di un tracciato che
trasformasse in realtá il sogno di unire l’Oceano Atlantico con l’oceano
Pacifico. Ci vorranno oltre tre secoli prima dell’inizio effettivo della sua
costruzione affidata agli Stati Uniti dopo che Panama, separatasi dalla Colombia
nel 1903, aveva ottenuto l’indipendenza.
Il
progetto, monumentale, richiederá circa dieci anni e comporterá investimenti
finanziari colossali e ardite soluzioni tecniche: dalla costruzione di una
enorme diga in terra, ad un imponente sistema di chiuse. Lungo circa 81 km,
richiede a una nave di media grandezza circa nove ore di transito. Dalla sua
inaugurazione, nel 1914, a oggi, sono transitate oltre 800 mila navi e senza
dubbio il Canale continua a rappresentare per il commercio mondiale un tramite
rapido ed economico mentre Colón, cittá all’imbocco dell’Atlantico, é
diventata una delle zone franche piú grandi del mondo. Il trattato
Torrijos-Carter del 1977 e la commissione di gestione del Canale prevedevano una
gestione congiunta fino al 31 dicembre del 1999, momento in cui il Canale e le
zone occupate dagli statunitensi sono diventati solo panameñi.
La
cerimonia, coincidente con le feste del Millennio, é stata anticipata al 14
dicembre e il Paese tutto si é unito alle interminabili e diffuse celebrazioni
per questo storico evento. Molte delegazioni straniere, dal Re di Spagna ai
presidenti di Colombia, Messico, Ecuador, Bolivia, hanno partecipato alla reversión.
Grande assente, ingiustificato, il Presidente amricano Bill Clinton, che ha
delegato Jimmy Carter, l’allora firmatario del trattato, a presenziare
l’atto della ‘consegna’.
In
un breve discorso l’ex presidente ha sottolineato che, nonostante
l’amministrazione del Canale sia passata ai panamensi, questa via appartiene a
tutta la comunitá internazionale. La nuova presidentessa in carica, Mireya
Moscoso, dopo aver ‘lamentato l’assenza del Presidente Clinton’, ha
smentito le voci secondo le quali il Canale cadrebbe sotto l’influenza della
Cina. Indubbiamente non sará facile gestire gli enormi interessi economici che
gravitano su questa via interoceanica e la endemica corruzione che da sempre
dilaga nel Paese.
Un
salto nel Caribe
Sí,
Panama é molto piú che un Canale e le sue bellezze naturalistiche sono tante,
variegate e molto poco pubblicizzate. Sede dell’istituto Smithsonian,
specializzato in investigazioni tropicali, l’istmo panameño viene studiato da
eminenti scienziati internazionali per l’incredibile bio-diversitá faunistica
e naturale. Più di 14 sono i parchi naturali nella sola cittá di Panama.
Nella
zona del Caribe ho trascorso qualche giorno a San Blas, vicino alla Colombia.
Definito ‘il paradiso perduto’ per la sua incredibile bellezza, questo
arcipelago é formato da quasi 400 atolli disseminati in acque cristalline, e
quasi tutti disabitati. Il viaggio viene effettuato in piccoli aeroplani da una
quindicina di posti ed é a dir poco avventuroso! Dura circa mezzora, ma la
precarietá del volo e la sua originalitá (si ferma come un taxi in varie
isole, scarica bagagli e passeggeri vicino alla capanna...) lo rendono
indimenticabile.
A
caso mi sono fermata a Porvenir, dopo un atterraggio alquanto fortunoso. Lo
spettacolo, appena scesi, ripaga di tutti i patemi. Tutt’intorno, disseminati
in un’acqua trasparente dai colori incredibili, isolotti di tutte le
dimensioni e colori circondati da una spiaggia bianca finissima. Sotto, coralli
e fondali mozzafiato!
Ovunque,
un silenzio irreale. Lo chiamano hotel ma é formato da varie capanne di bambú
e non ci sono quasi i servizi: un generatore dá qualche ora di luce, di notte
ci si muove con le lanterne. Una piccola comunitá kuna (gli indios del luogo)
dichiarata nel 1957 ‘riserva’, e dotata di autonomia amministrativa e
politica, lotta quotidianamente contro speculatori e affaristi di ogni tipo
proprio per preservare questi luoghi incontaminati.
La
mia capanna non ha pavimento e dalla sabbia finissima entrano dei piccoli
granchi a curiosare. Mi sembra un luogo cosí armonico! Parlo con il saila (l’autoritá
del luogo) e mi offro come insegnante di lingue. Gratis. Dice che ne parlerá al
Congresso Kuna: possono darmi in cambio un’isola, ce ne sono tante
disabitate...
I
kuna vengono studiati da antropologi di tutto il mondo: hanno una societá
matriarcale, credono negli spiriti e le donne dai tipici costumi colorati
fabbricano le famose ‘molas’ che giapponesi e americani rivendono nei loro
Paesi a prezzi proibitivi. Penso che se riuscissi a portarci internet
realizzerei il mio sogno: comunicare con il mondo, standone completamente fuori.
Sempre
nel Caribe, peró dalla parte del Costa Rica, si distende un altro incredibile
arcipelago, Bocas del Toro, famoso perché Cousteau veniva a farvi immersioni.
E' un crocevia di afro-caribeñi sin dal XVI secolo per il commercio lucroso
delle banane. Isole ricche di mangrovie e di selva tropicale, fanno da cornice
ad un luogo che conta migliaia di specie marine, molte protette dal Parco marino
Bastimentos. Mi sembra nell’insieme piú turistico e ‘sfruttato’. Scopro
che ci sono diversi italiani, dall’aria post-sessantottina, che hanno aperto
piccole attivitá: un ristorante, una pizzeria, un hotel. Alcune isole sono
abitate dai pacifici Guaymie, indigeni dagli usi e costumi ancestrali che sono
disseminati in tutta l’area della regione chiamata Chiriquí Grande. Molto
diversa é la Costa pacifica: le notevoli maree e le grandi onde la fanno
preferire dagli amanti del surf e degli sport acquatici.
L’Arcipelago
di Las Perlas, Coiba e altre piccole meraviglie hanno avuto un notevole sviluppo
turistico grazie alla presenza di Tedeschi e Americani. Se i due versanti
oceanici sono un paradiso per gli amanti del mare, l’interno lo é per gli
appassionati della ‘selva’. Una incredibile varietá di vallate e montagne
dai colori meravigliosi e dalle altezze vertiginose: il solo vulcano Barú
misura piú di tremila metri ed é meta di numerose escursioni. Intorno a
Boquete una vegetazione curata, ricca di fiori multicolori e lussureggiante:
banani maestosi crescono vicino agli abeti mentre le felci di montagna si
intrecciano con le piante di caffé. Insomma, flora alpina e flora tropicale si
mescolano in un habitat fresco, circondato da ruscelli e cascate. E’ come se
la valle di Susa venisse trasportata ai Tropici!
Qui
ho visitato i grandi cafetales, le piantagioni di caffé di montagna i
cui frutti vengono apprezzati in tutto il mondo e serre con prelibatezze di ogni
tipo: fragole, asparagi, zucchine, meloni. Intorno, tucani, pappagalli e molte
altre specie colorate.
Oggi,
io...
La
vita a Panama, nonostante (o proprio?) per i suoi aspetti é suave e
rassicurante. Mi piace questo scorrere lento delle stagioni - senza stagioni - e
questa dolce aria tiepida che ti accarezza sempre. Mi piace questo vivere la
vita senza dover correre chissá dove e questa totale mancanza della dimensione
tempo. Mi dico che in questo Paese non invecchieró mai e che, alla fine, vivere
con serenitá e con un sorriso sempre pronto é un buon modo di vivere.
Certo,
non ha la serenitá spirituale dell’India né la profonditá della sua
cultura. Qui tutto é piú superficiale, piú pagano, ma senti ovunque la gioia
di vivere. E questo a me sembra davvero tanto. Talvolta il mio spirito
pragmatico e organizzato va in tilt: mi arrabbio, grido, ma mi rendo conto che
sono io quella sbagliata, non loro.
Certo,
mi mancano le bellezze dell’Italia, dell’Europa, mi manca il gusto estetico
che qui non si sa cosa sia, mi manca una conversazione arguta o una riflessione
critica.
Quando
sono in crisi ‘estetica’ mi connetto a Internet e vado a vedermi gli Uffizi
a Firenze, i Musei Vaticani, il Louvre e tante altre meraviglie. Mi sintonizzo,
sempre via internet, con qualche stazione del mondo e ascolto buona musica
classica o un po’ di jazz.
Tutte
le mattine "accendo" la radio italiana (diverse hanno il sito
internet) e ascolto le ultime notizie. Scioperi, tasse, governi sempre sul punto
di cadere, sparatorie: cose che non mi fanno rimpiangere il Bel Paese.
Nonostante tutto, penso che l’Italia sia un Paese meraviglioso e che la sua
lingua sia una delle piú belle al mondo. Per questo insegno l’italiano e sto
scrivendo un manuale per hispano-hablantes. Tengo corsi di lingua e di cultura.
I miei allievi sono cantanti d’opera, business-men, figli o nipoti di
italiani, e molti vogliono impararlo solo perché ‘suona bene’!.
Se
mi fermeró, come credo, non é detto che non apra un centro di Cultura
Italiana, multidisciplinare (arte, cucina, moda, musica, lingua). Peró l’idea
di un impegno fisso, per il momento, mi spaventa. Non ho grandi ambizioni,
lavoro quando voglio, mi basta poco per vivere, descanso molto e ogni
tanto faccio un’escursione dentro le bellezze di questo incredibile Paese. Non
é la felicitá, ma le somiglia...
Nel
fondo, la voglia sempre e comunque di vedere, di esplorare, di conoscere. Per
questo sto partendo per un viaggio in Centro-America. E un domani, chissá,
altri viaggi verso il Nord-America, il Sud-America, la Polinesia....
Sono
consapevole peró che questo interminabile viaggio altro non é - e non sará -
che la ricerca inquieta e inesaustiva intorno e dentro me stessa.
Maria Grazia