Oman

“la terra più vergine che abbia mai visto al mondo, dove il silenzio e la natura regnano sovrane”

Diario di viaggio 2013

di Federica Orzati

 

 

           

 

Giorno 0 e Giorno 1: partenza  MILANO-MUSCAT-RAS AL HADD

Questo viaggio è nato con un incubo, e nonostante finora lo avessi sempre scongiurato, stavolta è successo: Mi sono ammalata una settimana fa e, nonostante antibiotici di ogni tipo e quantità, nonostante froben, zerinol, actigrip, benagol e aspirine varie, passando per spremute d'arancia fino alle più moderne tecniche di respirazione di Roberto Re, mi sono presentata alla vigilia del viaggio senza voce, con una gola rossa così e con un raffreddore da paura. Al giramento di coglioni per la condizione di salute si è aggiunto quel senso di smarrimento e di rintronateaggine che lascia il raffreddore. Tralasciando che avevo lavorato organizzando eventi fino al giorno prima, non ultimo l'aperitivo benefico per i bambini in Thailandia fatto la domenica sera. Ho iniziato lo zaino la sera prima e finito il minuto prima che partisse il treno.
Quando mia mamma mi ha lasciata alla stazione di Firenze mi sentivo come Armstrong che sbarca sulla luna. Non sentivo odori e rumori. E quando sono salita sul treno per Milano centrale ero in uno strano stato confusionale. Credo anche che mi abbiano offerto la cena su trentitalia.. devo essere proprio impazzita. Ho preso con largo anticipo la coincidenza per Malpensa, al solito binario 3. Ho conosciuto una coppia di brasiliani cinquantenni. Lei grassa e bionda, lui grasso e moro. Parlavamo uno spagnolo italiano-brasilianeggiante. Mi hanno detto che il Brasile è lo stato più pericoloso dell'America Latina e che, solo l'anno scorso, alla loro famiglia hanno rubato 8 carros (macchine). E poi hanno riconfermato ciò che sapevo: che in Italia i voli costano molto meno che nel resto del mondo.
Dopo una ricca conversazione il treno si è trascinato sonnolento verso Malpensa, e loro si sono dileguati in un secondo senza salutare. Sono uscita dall'aeroporto alla ricerca di un taxi. Una nebbia fitta mi ha invasa. Talmente fisica che mi veniva da accarezzarla. Tre tassisti chiacchieravano animatamente davanti a un taxi enorme, sembrava una navicella spaziale. Il conducente mi ha detto "il suo hotel è vicino, ma purtroppo dovrà pagare 18€". Solo in Italia. Sono arrivata al First Hotel Malpensa con un freddo addosso incredibile. Stanza 409, mi sono sistemata subito, ed erano già le 1:00. Cercavo una presa vicino al letto per il telefono, quando ho trovato una strana presa nera, con uno sportellino. Ho aperto lo sportellino e... Qualcosa ha soffiato forte da dentro! Come un gatto... Ho ritirato velocemente la mano e son rimasta col cuore in gola per un minuto abbondante. Un po' sconvolta ho deciso che fosse il caso di andare a letto. Dopo mezz'ora mi sono svegliata pensando che fosse già mattina. Poi mi sono rimessa a dormire.
Mi son svegliata alle 7:30 sulle note di Draw The Stars. Avevo sognato di andare in Brasile e quando mi son svegliata e mi son ricordata che sarei andata in Oman, ci son rimasta quasi male :)
La navetta gratuita mi aspettava già davanti all'albergo. L'autista, un pakistano bassino, era molto curioso e mi ha chiesto un sacco di informazioni sul mio viaggio. Dietro una barcata di attempati americani musoni. Con il diluvio ho smontato il mio zaino e sono entrata nel terminal 1. Ho fatto un rapidissimo check-in, e il mio zaino è stato spedito ai bagagli fuori misura (come successe in Nepal), dicono che lo fanno per evitare che i lacci si impiglino nei rulli. Ho fatto colazione, un giro dell'aeroporto e poi son andata nell'area B10 dove, dopo un po' di attesa, ci hanno imbarcati. L'aereo pullulava di coppie italiane di media età, tutte rivestite decatlon, acide e spocchiose. Ognuna ne sapeva più dell'altra, con mille guide, foulard dei vari viaggi precedenti, scarpe tecniche e occhialino da vista Gucci. Fortunatamente in aereo si è seduto accanto a me un simpaticissimo cingalese che lavora come artigiano a Milano. Mi ha rivolto un sorriso grande così e mi fa "parli italiano?", e quando gli ho detto di sì ha iniziato a parlare a manetta di tutto. Sapeva di spezie ed aglio, ma era gentilissimo, mi prendeva da mangiare, da bere, ogni volta che lamentavo qualche bisogno si alzava di corsa per aiutarmi. È stato un ottimo compagno di viaggio. La compagnia Oman Air si è scoperta a dir poco ottima, a parte i film non in italiano (vabbè, è una cagata lo so) è stato il miglior volo mai preso. Il cibo ottimo! Io che odio tutti i pasti aerei... Ho mangiato montone al sugo, piselli e patate arrosto, e poi un dolcino tipo pan di Spagna ai frutti di bosco con crema di vaniglia. Mi hanno anche regalato una pochette con calze di lana, mascherina, tappini e altre robe per il viaggio. Oltre all'asciugamano di panno per lavarsi le mani e centinaia di stuzzichini di vario genere. Il sole ha iniziato a tramontare verso fine viaggio, era una tavola rossa che divideva uno sfondo blu. Il sipario del mondo stava calando sulla scena.
Si è fatto buio in pochi istanti, poiché andavamo incontro al tempo. Due musoni italiani, che non ho capito se erano madre e figlio o due fidanzati davvero sproporzionati, si erano seppelliti dentro felpe di lana e dormivano in uno strano letargo. Io morivo dal caldo, dato che il sole aveva battuto tutto il tempo dalla mia parte. Siamo atterrati perfettamente su Muscat. Io e il simpatico cingalese ci siamo salutati con una stretta di mano. Uscita dall'aereo ho sentito un caldo abbastanza pesante che prendeva alla gola. Non troppo, non umidissimo, ma decisamente caldo. Siamo arrivati con la navetta in aeroporto dove, ad una struttura blu proprio davanti alle porte scorrevoli, ho fatto il visto sotto i 10 giorni, pagandolo 15€. Dopodiché sono andata sulla destra al controllo visti turistici. Il ragazzetto, vestito con una lunga tunica bianca come ho visto agghindati tutti gli omaniti, mi ha riempita di domande. Era tra il curioso e il premuroso e parlava a voce bassissima. Mi ha chiesto che fossi venuta a fare, come mai viaggiavo tanto, se ero sola, se ero Veramente sola, se avevo amici in Oman, se qualcuno mi aspettava in aeroporto, se sapevo dove dormire, se lavoravo qua, dove sarei andata dopo, da dove venivo, quale era la mia città di origine, cosa facevo nella vita, se sapevo dove cenare, se mi ero divertita in aereo... Una roba allucinante. Agli altri non chiedevano Niente! Dopo l'interrogatorio dove alla fine ho spudoratamente mentito dicendo che mio marito mi aspettava in Oman, e che non portavo la fede perché ero allergica all'oro, sono uscita e ho trovato Iapo e Silvia ad aspettarmi. Iapo è il proprietario della guesthouse Casa Oman, che conoscevo già da un bel po' su Facebook e con cui intrattenevo una corrispondenza epistolare, prima ancora di sapere di venire in Oman. È stato proprio lui a propormi uno scalo lungo in Oman con la Oman air, che era la compagnia più economica per il volo in Thailandia. Mi ha accolto con la sua parlata romagnola e Silvia, la guida molto dolce, è stata subito gentilissima ed accogliente. La notte omanita mi ha accolto con un caldo più umido di quel che pensassi. Il pick up bianco ci aspettava poco oltre l'uscita, ho caricato lo zaino e ho subito saldato il conto. Dopodiché ci siamo sparati tre ore circa di strada. Casette bianche, con merletti e finestrelle da mille e una notte, incorniciavano Muscat. Io e Iapo ci siamo messi a parlare di Italia, di crisi economica, della sua avventura in Oman. Ogni tanto spuntava un minareto, la moschea, casette. In mezzo al cielo una mezza palla rossa, bassa e dai bordi incerti. Ho chiesto cosa fosse e Silvia ha risposto che era la luna! Che quando spunta è così, poi sale e diventa gialla, e quando è ancora più alta è piccola e bianca. Una precisa e lunga autostrada di asfalto portava a Sur. Prima all'interno, circondata da deserto roccioso, poi sul mare. È un'autostrada costruita da poco da turchi e cinesi. Iapo raccontava quando, nel 1997, non ci fosse elettricità, acqua, strade. Era più romantico, una sorta di Africa, ma sicuramente si viveva un po' diversamente, senza comfort di ogni genere. Ogni tanto qualche raggruppamento di persone spuntava sul lungo mare. Tutti in tuniche bianche lunghe, solo pochi senza. Mi ha spiegato Iapo che quelli con le tuniche sono omaniti, gli altri sono indiani. Gli indiani sono tantissimi, vengono soprattutto dal Kerala (sud) e sono i veri lavoratori dell'Oman. Gli omaniti sono invece contadini, pastori e pescatori. Quando vedevamo i raggruppamenti io chiedevo "cosa fanno?" e Iapo "discutono su come possono arrivare fino a domani al prossimo tramonto, cioè come oggi!". La donna, mi spiegava Iapo, è la padrona incontrastata della casa. Là domina sovrana, spesso con tantissimi figli al seguito. Ecco perché spesso gli uomini stanno fuori dalle mura, anche perché i matrimoni son tutti combinati, contratti di non-amore basati sulla garanzia di vita agiata per la donna e figli per l'uomo. Ma, nonostante questa grossa differenza con la nostra cultura, l'Oman è l'unico paese della penisola arabica dove la donna vota, ci sono ministri donne e le donne possono chiedere il divorzio per adulterio conclamato e percosse. Mentre viaggiavamo mi sono accorta del profondo silenzio di questo paese. Silenzioso, pacato, in sordina. Poca gente, macchine zitte, nessuna musica o chiasso. Abituata al casino di Asia e America Latina mi son sentita quasi perduta. Siamo arrivati a Sur, ad una sorta di kebabbaro in mezzo al quasi nulla, un indiano che conosceva Iapo. Hanno iniziato a parlare in arabo e questo ci ha portato, ad un tavolaccio rustico all'esterno, un kebab col chapati fatto di curry, spezie indiane e montone. Dopo questo pasto siamo rimontati sul pick up e in 40 minuti siamo arrivati a Ras al Hadd, la punta più a est di tutta la penisola arabica, nonché la casa di Iapo. Davanti alla casa alcune tartarughine erano state decapitate da un cane o da un gatto, con grande dolore di Iapo che invece le salva: le tartarughine confondono le luci della guesthouse con la luna e le seguono, perdendosi. Iapo scava delle fosse dove le tartarughe cadono, e la sera tardi le porta al mare, che è a 200 metri dalla sua residenza. La casa di Iapo è una delizia araba: un giardino in ghiaia con degli alberi fioriti, arredamento basso in gusto mediorientale. Le stanze sono semplici ed essenziali ma perfette, in linea con ciò che stavo cercando. Un materasso in terra, bagno alla turca e via, ma pulitissime. Qua c'è anche una wifi spettacolare, anche se Skype e FaceTime non sono attivi in tutto il paese. Ho conosciuto gli altri due membri dello staff: Totti (l’altra guida) e Chicca (la cuoca), tutti rigorosamente romagnoli. Son stata un po' in cortile, appena sentivo uno scricchiolio della ghiaia sapevo che era una tartarughina e andavo subito a salvarla. Penso che anche quando me ne andrò assocerò al rumore della ghiaia la piccola tartarughina smarrita. Dopo essermi sistemata e aver chiamato con viber qualche amico per i saluti ho deciso di provare a dormire nonostante le due ore di fuso mi abbiano scombussolata più delle sei/sette solite.  


               

 

Giorno 2,  RAS AL HADD  24 Ottobre 2013

Da ragazzina ho cominciato a scrivermi i sogni che facevo la notte.Spesso sognavo di viaggi lontani e posti da favola. Immaginate il più bel sogno mai fatto: un’esplorazione alla Indiana Jones, arrivare in un luogo unico, con solo silenzio ai lati, nessuna persona nei dintorni, natura dai colori brillanti, una strana pace intorno. Ecco non esiste sogno che possa essere paragonato a quel che ho visto oggi. Posti che nemmeno nella fantasia si possono immaginare. E non ho paura a dire che, per i miei gusti personali, probabilmente ho visto i più bei luoghi del mondo. La mattinata è cominciata ben prima della sveglia, puntata alle 7.30. E’ cominciata alle 4:30 quando, nel bel mezzo del sonno, ho sentito qualcosa che credevo essere la sveglia. Essendo la prima mattina, emozionata e con la voglia di esplorare l’Oman, mi son subito alzata sul letto, mi son girata verso la sveglia per spegnerla, e mi son accorta che non era la sveglia a suonare! Allora ho aguzzato l’udito e ho capito che era il muezzin che cantava la preghiera dell’alba, alla moschea. Mi ha ricordato il risveglio a Siem Reap in Cambogia quando, dato che soggiornavamo accanto alla moschea, questi canti esotici e profondi, ci davano il buongiorno. Sicché mi son riaddormentata quelle tre ore che mi hanno divisa dalla vera sveglia, a cui son arrivata distrutta. In totale avevo dormito 5 ore, perché la sera prima mi ero addormentata molto tardi.  La Kikka, cioè la cuoca, mi ha preparato due uova strapazzate e un po’ di pane da toast (tra l’altro buonissimo). Dopo la colazione sono partita insieme a Toti (Tiziano) e a Silvia (l’altra guida, lei novella, che mi era venuta a prendere con iapo all’aeroporto). Un caldo torrido ci ha invasi mentre salivamo sul pick-up bianco. Mi sono guardata intorno e, fuori dalla guesthouse-casa di iapo, non c’è niente. Solo due baracche, che ho scoperto essere la casetta delle capre, e due abitazioni fatte uguali, alla mille e una notte. Per il resto: deserto. A 250 metri il mare, ma non si vede. Nel lungo tragitto per la prima tappa i due ragazzi mi hanno spiegato un po’ di cose sull’Oman. Per esempio ho capito un po’ meglio la situazione femminile in Oman. Le donne, quasi per la totalità, vestono il burqa integrale, con anche gli occhi coperti. Possono parlare e frequentare solo donne o maschi che siano marito o membri della famiglia. Un uomo sconosciuto non può rivolgere parola o sguardo ad una donna. Toti mi spiegava che gli omaniti si danno spesso la mano, anche tra maschi (l’ho visto fare anche in India e in Nepal) e se una donna che passa è bella (…come fanno a capirlo Allah solo lo sa) danno una strizzatina alla mano dell’amico, perché non possono guardarla troppo o fare commenti ad alta voce. Le donne ricevono in casa, nelle loro stanze, solo donne. Silvia aveva assistito ad un evento di questo tipo e ricordava con piacere la dolcezza delle donne che, in quell’occasione, peraltro vestono solo un normale velo sulla testa (chador). La interminabile strada per la prima meta è essenzialmente sempre uguale: un enorme lungomare (con mare chiarissimo e spiaggia/deserto giallo) e il resto deserto roccioso o deserto fino, con qualche rialzo ogni tanto, tipo montagnole. In giro non c’è nessuno! 2 milioni e mezzo di omaniti (che vestono il dishdasha, una lunga tunica chiara) e 2 milioni di indiani, quasi tutti del Kerala, i veri lavoratori del paese. Per il resto DESERTO. Non c’è un turista o un abitante a pagarli oro. Mi fa impressione questo Silenzio maestoso che c’è in Oman. Questo assordante silenzio che riempie ogni spazio. Natura, spazi, silenzio. Paesaggi da sogno e nessuno intorno. Sembra un sogno. La magia che compare solo nei sogni. Perché oggigiorno, e in tutti i viaggi che ho fatto ho avuto solo conferme, il turismo c’è ovunque. E se non c’è turismo c’è un’orda umana, c’è il mostro che respira della popolazione. Qua lo spazio fa da re. E per la strada non ci sono il chiasso e l’ammontare di baracche e negozi che mi aspettavo. Nel resto del mondo la strada maestra è il centro di tutto. La gente vive, nasce e muore sulla strada maestra. Qua non c’è niente sulla strada. Il turista non esiste, la popolazione è poca e fatta prevalentemente di contadini e pescatori, che stanno all’interno o nel mare. Non si vive sulla strada. Incontrare persone è una rarità. Gli uomini, avvolti nei loro dishdasha, sono nelle città. Le donne, nei loro bourqa neri, in casa. Quindi immaginate quel silenzio fatto solo di terra, aria e acqua. Quella primordialità che avvolge tutto. Qualcosa di MAI visto e sentito in nessun luogo al mondo. Perfino in Amazzonia, nella natura più vera, c’è il chiasso degli animali. Qua sembra il mondo di “After Heart”, dopo che l’umanità ha lasciato la Terra. Poteva essere così anche cinquantamila anni fa, eccezion fatta per l’asfalto della strada principale, fatto da turchi e cinesi, e dai pick up e suv che vi sfrecciano sopra ogni tanto. Siamo arrivati alla dolina di Bimmah con me completamente disidratata, ho bevuto 2 litri d’acqua in dieci minuti. Un cancello con un casotto di legno, e dentro un guardiano con la solita tunica lunga. Gli abbiamo detto un Salam Aleikum (è il saluto dei musulmani) e siamo entrati in questi pochi metri di asfalto rosso (unica cosa “moderna” vista) e, dopo 150 metri, è apparsa come un miraggio una gola che sembrava fatta solo di rocce gialle. Ma più ti avvicinavi più capivi che in fondo ci sarebbe stato qualcosa di magnifico. Ed eccola là, la dolina. Una pozza turchese, con varie sfumature di blu, circondata da rocce a picco, come un preziosissimo gioiello incastonato in una struttura d’oro. Sembrava qualcosa di davvero prezioso, cullato da queste rocce dorate. Uno spettacolo da brividi. Toti mi ha spiegato che la dolina è una pozza sotterranea, a questa è crollato il tetto ed ha scoperto questo posto incredibile. Son state messe delle scale artificiali per scendere dentro. Mi immaginavo fiumi di turisti. E invece c’era solo una famigliola di omaniti. Due donne con il bourqa (rigorosamente sedute sulle scale e non nell’acqua), sei uomini in maglietta della salute e pantaloncini che facevano il bagno, alcuni bambini piccoli. Erano abbastanza caciaroni perché si lanciavano dalla roccia nell’acqua. Ma alla fine sembravano parte integrante dello scenario, con quei vestiti tipici e le loro parole arabe, facevano contorno. Ci siamo messi nel versante opposto della dolina e, immediatamente, ci siamo spogliati senza dir niente e ci siamo fiondati nell’acqua. Un brodo… calda e avvolgente, di un colore da lacrime. Trasparente, sfumata, tersa. Sembrava davvero un sogno. Quelli che da bambina facevo sognando l’Australia (ero fissata) che per me era acqua trasparente e placida con pesci che ci nuotavano, tutto lento e senza rumori e persone. Eccolo il mio sogno: ho solo sbagliato continente! Anche in questa dolina c’erano i pesci… i famosi pesciolini che fanno la pedicure ai piedi. Nei paesi asiatici (Thai, Cambogia etc) li usano come attrazione per i turisti: li buttano in una vasca trasparente e chiedono ai turisti di mettersi a sedere. I pesci mangiano la pelle morta, e così fanno una sorta di massaggio-pedicure. Questi pesciolini pullulano nella dolina. Quindi se metti i piedi nell’acqua, e stai ferma, vengono a mangiarti le pellicine. Forti… ma dopo un po’ fanno il solletico e se hai una ferita aperta fanno sanguinare. Mi son messa a pancia in su a guardare la roccia mentre nuotavo nella mia pozza turchese. Penso di non aver mai provato tanta pace, e assoluta tranquillità, come qua. Siamo rimasti un po’ dentro, poi siamo usciti faticosamente. Un po’ di foto e siamo andati via alla volta della White Beach. Ci abbiamo messo relativamente poco (le distanze in Oman sono davvero late). E’ una spiaggia di sabbia soffice e bianca come la farina, questo crea un’acqua azzurrissima. Senza considerare la meravigliosa roccia gialla che delimita la spiaggia. Anche questo: un sogno. Mi ha ricordato Inception (il mio film preferito), la scena in cui Leonardo di Caprio è nel suo sogno e si sveglia nel mare. Il silenzio e la pace dei sogni, ancora una volta. Nemmeno una persona nel raggio di chilometri, e nessuna macchina sulla strada. Tirava un po’ di vento e il mare era grosso. Io e Silvia non ci siamo addentrate, Toti invece si è spogliato subito e si è fiondato in acqua. Abbiamo pranzato al sacco a suon di chapati e uova (diventerò un pulcino). Dopo pranzo, e dopo un po’ di relax sulla sabbia, siamo andati al primo Wadi della mia vita: Wadi Shab. Anche qua Niente di turistico. C’è un grosso ponte bianco che sovrasta la scena, una specie di cavalcavia in mezzo al nulla, sotto il quale ci sono due-tre persone che sonnecchiano all’ombra. Intravedi già lo Wadi, il fiume verdaceo che scorre dentro il canyon. Qualche capra e un barcarolo che per qualche centesimo ti porta aldilà del fiume, cioè la parte percorribile. Wadi, in arabo, significa fiume. Un tempo i fiumi erano dei colossi incredibili, e riempivano interamente quelle che oggi sono gole e canyon, enormi montagne intorno al fiume. Il fiume di oggi è piccolissimo, basso, placidissimo, e con un flusso di una lentezza paurosa. I colori del fiume variano ma sono sempre sul verde-turchese. Le montagne intorno sono uno spettacolo della natura. Oltre al fiume, alle gole e a qualche palma di passaggio, si son create delle piscine naturali di acqua dai colori uno più bello dell’altro. Abbiamo camminato un’ora nello wadi. Un caldo assassino, appena potevamo si mettevano le scarpe da ginnastica nell’acqua. Ma subito ci si asciugava per il clima super-secco. Avremo incontrato in tutto una decina di turisti. Il percorso era un po’ pericoloso e un po’ faticoso. Oltre al caldo asfissiante, e ai quasi quaranta gradi con sole a picco sulla testa, si doveva attraversare zone di sassi enormi e scivolosi, oppure piccolissimi passaggi a picco su un crepaccio. Non è un percorso per tutti. Arrivare alle ultime pozze è uno spettacolo indescrivibile. Devi lasciare lo zaino e i vestiti e prosegui a nuoto. In queste pozzanghere basse, piccole, caldissime, con il canyon che si fa sempre più piccolo e avvolgente. Sei là che nuoti in questo colore irresistibile. Quell’acqua dolce e bellissima, ti verrebbe da berla, da mangiarla, da accarezzarla. È un capolavoro. Arrivi all’ultima, straordinaria, pozza, e c’è un minuscolo passaggio (davvero piccolo, tanto che alcuni devono passare sott’acqua per attraversarlo) che da accesso a una caverna. La grotta è piccolina e non ha punti d’appoggio. Ha una cascata al suo interno e la luce arriva da uno spazio in alto. E’ un luogo che ha una sacralità mai percepita prima. Quello che io chiamo: animus loci, l’anima del luogo. Qua c’è, è fortissima, è penetrante, è in tutto ciò che esiste. Ho trovato una pace mai sentita. Mi fa ridere chi dice di andare in India o in Nepal a trovare se stesso. Il Nepal è meraviglioso e, in un certo senso, ho trovato in parte me stessa in quelle terre. L’India ed io non abbiamo molte affinità. Ma in entrambi i posti non c’è assolutamente quella pace di cui la gente si riempie la bocca. C’è caos, disordine, casino, colori accesi, bim bum bam, turismo, difficoltà, voci. In Oman ho trovato quella pace e quella vicinanza alla perfezione, alla natura, forse anche a un dio, se ne esiste uno. Qua davvero la gente può venire a sentire le proprie viscere. Spogliarsi di tutto e stare nella natura, solo lui e lei. Dopo l’esperienza caverna siamo stati a prendere il sole e riposarci un’oretta abbondante, nella pozza e nei massi prima della grotta. Pensavamo che un turista fosse morto perché abbiamo sentito un urlo provenire da dentro, e così Silvia e Toti si sono cimentati in una profondissima conversazione sui cadaveri che galleggiano. Siamo tornati a nuoto nella prima pozza, quella dove abbiamo lasciato gli zaini e i vestiti. La cosa assurda è che Tutti lasciano qua beni come reflex, tanti soldi, avere di qualsiasi tipo e MAI hanno rubato. Detto da Toti e da Iapo, che hanno una certa esperienza. Questa è una piccola dimostrazione sull’onestà di questo popolo. C’era una donna tedesca alla pozza, che aspettava il marito andato in avanscoperta. Abbiamo un po’ parlato, era stata molte volte in Italia, mi parlava della Germania. Nel frammetre è arrivato un plotone di romanacci da vergognarsi. Io, Toti e Silvia abbiamo fatto finta di non essere italiani. Ci siamo messi, silenziosi e impietriti, a fissarli, mentre questi caciaroneggiavano facendosi riconoscere subito. Uno in romano sbiascicato mi fa (pensando non fossi italiana) “Ao te sto a fa na foto!” e con la digitalina mi mirava. Io impassibile. Quando son passati è partita la super polemica contro gli italiani in viaggio. Abbiamo salutato la tedeschina e siamo tornati a piedi all’ingresso dello wadi, decisamente stanchi ma col sole un po’ calato. Il pezzo di ritorno in macchina è stato traumatico. Tutti avevamo l’abbiocco. Siamo arrivati a Sur, la città più vicina alla guesthouse, e Toti ha preso il pick-up per raggiungere Iapo, per una questione loro. Io e Silvia siamo andate al kebabbaro in cui eravamo state la prima sera arrivata dall’aeroporto. Ai tavoli alcuni uomini, la maggior parte indiani, ci puntavano curiosi. Io ho mimato, molto grezzamente, un chapati e di buttarci il montone dentro, senza spezie. Immaginatevi la scena di me a gambe larghe e ben piantate che mimo a gesti eclatanti un montone che finisce in un chapati… Hanno capito (il mimo non sbaglia mai) e finalmente ho mangiato qualcosa di non inzuppato nelle schifose spezie indiane. Ora… qualcosa c’era comunque. La carne viene spennellata di qualche pepe e unzione loro. Ma almeno non ci sono cardamomo, coriandolo, cumino, curry e quegli schifi là, che io odio profondamente. Dopo il kebab di montone per me, e di pollo per Silvia, siamo finite nel “centro” di Sur. Strada di polvere, case bianche e basse. Molto ma molto diverso da Asia (dove tutto è colorato, incasinato, rumoroso, denso, senza un centimetro libero) o da America Latina (piazza principale con la iglesia e poi verde e natura, fontana magari al centro). Qua è tutto chiaro, bianco, desertico. Sembra un funerale in bianco, Tutti bianchi. Siamo entrate in questo spiazzo, che sarebbe la piazzetta centrale, e tutti, dico TUTTI gli uomini si son girati a guardarci.  Silvia mi ha detto di essersi sentita un po’ a disagio. Io sono un più abituata, dato il colore e la lunghezza dei miei capelli, in giro per il mondo (specie in Asia) mi guardano come un’aliena. Quindi ero più scafata agli sguardi della gente. Lei meno, era alla sua prima esperienza da sola con una donna tra uomini mediorientali. Ma anche qua ho percepito una serenità e un rispetto unici… un po’ come ho trovato in Sudest asiatico. Guardano ma non rompono le scatole, e tantomeno si avvicinano o toccano. Stanno là e guardano. Siamo entrate in un negozio di tessuti che, per Iapo, è il migliore della zona. Ho comprato due kefie loro a un prezzo irriorio contrattando duro (tipo 4 euro). Sono i turbanti degli uomini omaniti, ma li usano anche come parei, asciugaroba, tovaglie. Sono un qualcosa di meraviglioso… Finito il giro nella piazza, seguite dagli sguardi degli uomini, siamo andate nella via delle donne. Una via solo ed esclusivamente fatta per le donne, con negozi di abbigliamento (rigorosamente vestiti coprenti ma da colori sgargiantissimi e brillanti ovunque), alimentari vari e profumerie. Un sacco di donne col bourqa passavano dalla strada, spesso a coppie. Il muezzin ha cantato la sua preghiera. Molto suggestivo camminare per queste strade di polvere, bianche e pulite, piene di donne col bourqa, e le preghiere nel vento. Alla fine siamo spuntate davanti alla piccola moschea e poi siamo tornate al kebabbaro dove ci hanno raggiunto gli altri due e siamo tornati in guesthouse. Kikka ha preso la macchina ed è andata subito a far la spesa. A cena abbiamo mangiato un buonissimo riso di verdure e pesce alla brace. Si è fermato a cena anche Faiz, un amico omanita di Iapo, nonché ranger delle tartarughe marine della zona. L’Oman è uno dei pochi paesi al mondo ad ospitare le tartarughe verdi. Sono una specie rara. Le tartarughine, quando nascono sulla spiaggia, seguono istintualmente la luce della luna. Purtroppo, da quando esistono abitazioni vicino al mare, le tartarughine seguono i neon e si perdono. Ecco che Iapo ha formato delle fosse con dei neon vicini, cosicché le tarta, già arrivate là perché confuse, vadano verso quella direzione anziché sulla strada o verso altre case, cadendo nella fossa. Ogni sera poi, o la mattina, prende tutte le tartarughine e le va a restituire al mare. Ne salva a migliaia. Faiz quindi tutela le tartarughe. Dopo aver mangiato con le mani, all’omanita, Faiz mi ha proposto un giro sulla spiaggia, insieme anche al suo amico Alì, per mostrarmi le tartarughe giganti. Un’occasione unica dato il loro ruolo nella tutela delle tartarughe. Una sola visita con loro costerebbe chissà quanto. E’ stato uno dei momenti più belli mai avuti in viaggio. Salire sulla loro macchina, io e loro due spiaccicati. Tutti vicini eppure lontani. Io bionda e occidentale. Loro con la loro tunica e i loro turbanti, come predoni del deserto, le pelli scure e la lingua diversa. Ci sorridevamo, e bastava per capirci. Avevano un faro in macchina enorme, neanche a San Siro. Io ho riso dicendo che da noi le macchine hanno solo una lucina minuscola. Siamo arrivati alla spiaggia e abbiamo liberato le tartarughine nel mare: un’emozione unica. Ti senti parte di un tutto. Finita l’operazione, a luci rigorosamente spente, abbiamo camminato per trovare le tartarughe. La luna, quasi piena, e rovesciata (qua è da un’altra prospettiva, non come da noi) illuminava leggermente i nostri corpi. Una leggerissima brezza, i loro dishdasha candidi, i turbanti meravigliosi, il nostro camminare il silenzio sotto la luna, sulla spiaggia. E in alto, su nel cielo, quante stelle ho contato… nella notte più scura, brillavano come gli occhi dei bambini la mattina di Natale. Mi sentivo a casa, come in Asia. Una sensazione di pace e di sacralità. Questo paese ha qualcosa di magico.
Nessuna tartaruga. Alì è andato a recuperare il pick up ma si è insabbiato. Io e Faiz abbiamo aspettato dove ci trovavamo, seduti sulla sabbia. Lui ha tirato fuori prima una pipetta omanita, antica e liscia, mai vista, da un odore unico. Poi un Android, e mi fa “ce l’hai facebook?”. Mi ha fatto troppo ridere! Per ammazzare il tempo ha guardato tutte le mie foto del profilo, volendo che le commentassi una ad una. Ad un tratto è arrivato Alì e siamo andati ad un’altra spiaggia. Nel tragitto abbiamo trovato un gruppetto di indiani in vacanza, erano stati truffati da una guida che non gli aveva fatto vedere nemmeno una tartaruga. Faiz ha acconsentito che loro gli facessero da guida. Mentre andavamo alla spiaggia successiva abbiamo trovato una strage di tartarughine in una curva, ma ne abbiamo salvate circa 200. Abbiamo preso questa moltitudine di tarta e le abbiamo portate nel mare. Io e Faiz ci siamo divisi e siamo andati a destra, dove abbiamo visto ben 4 tartarughe! Due stavano deponedo le uova, una aveva appena finito e una stava scavando. Le tarta sono enormi! Lentamente si spingono nella sabbia e scavano enormi fosse. Poi, dopo la deposizione, le coprono tutte. Infatti la terra è smossa in alcuni punti. Le uova ci mettono 60 giorni per schiudersi e i piccoli risalgono il metro di sabbia che li divide dall’aria aperta e, anziché andare nel mare, spesso purtroppo seguono le luci delle case. Faiz ha fatto uno strappo alla regola e mi ha fatto anche una foto con una tartaruga, anche se il flash non si potrebbe usare. Le impronte che lasciano le tarta al loro passaggio sono fenomenali: sembra un trattore, invece sono le loro zampe e il loro guscio. Si era fatta una certa ora, era mezzanotte e un quarto, e Faiz mi ha riportata a casa. Sono crollata a letto istantaneamente nel momento in cui ho toccato il materasso. 

 

               


Giorno 3 RAS AL HADD, 25 Ottobre 2013

Mi sono svegliata un po' più tardi stamani, e non ho nemmeno sentito il canto del muezin dal minareto. Erano tutti svegli tranne la Silvia, giorno libero. Essendo più tardi c'era molto più caldo di ieri. La casetta di Iapo ribolliva come non mai. La Kikka mi ha fatto le solite uova strapazzate. Ho mangiato con calma, godendo la bellezza del risveglio in Oman. Siamo partite io e la Kikka oggi, con Toti come autista fino alla spiaggia. Siamo arrivati a Ras al Jinz in pochi minuti. In una struttura stile casermone molto strana (a detta anche di Iapo, una sorta di truffa turistica) dove non fanno ricerca come millantano, e affittano camere a turisti per 160€ a notte con bagno alla turca come abbiamo noi, e un materasso a terra. La struttura è ariosa e adibita al turismo, dentro però solo due indiani e un occidentale sessantenne. Abbiamo pagato 1 real a testa e poi il tipo ci accompagna alla porta e fa, puntando il deserto: 500 mt far away from here. Ecco, non c'ha proprio capito nulla. L'ho supplicato, usando le tecniche da "fai-desistere-il-poliziotto-dalla malsana-idea-di-farti-una-multa" e alla fine ci ha accompagnato in macchina. Un suv sudicio, ma sudicio!! Un puzzo e uno sporco mai sentiti e visti. Alla fine mi son tappata il naso e via. Ci ha portati fino alla spiaggia e ha puntualizzato che lui non era l'autista. L'ho ringraziato tanto e siamo andate a piedi nella spiagge tra di Ras al Jinz, completamente deserta come tutto l'Oman. Di una bellezza mozzafiato. Rocce enormi a picco sul mare, con forme particolarissime, quasi pinnacoli stondati, di un ocra bellissimo. In tutto l'Oman c'è il colore opaco. Come se la sabbia rivestisse ogni cosa. E ciò che non è opaco è proprio bianco. L'acqua è chiara e pulita. Io e la Kikka ci siamo messe subito in acqua e, per un paio d'ore abbiamo chiacchierato in acqua, sulla battigia, poi di nuovo in acqua. L'argomento principe sono state le storie d'amore... C'era una discreta corrente, perché saliva la marea, quindi ho usato molta forza per restare sempre nello stesso punto con le gambe. Infatti la sera avevo i muscoli stabilizzatori a pezzi. Siamo state da dieci.. Poi è arrivato Iapo. Mi ha raccontato di quando lavorava come archeologo in Oman, i giorni liberi venivano qua a ras al Jinz. Dall'acqua i massi enormi sono ancora più incredibili, sembrano lá da sempre. Dopo il bagno, e una leggera asciugatura in battigia, io e Iapo siamo andati a fare un giro sulla spiaggia, cercando altre calette. Ma l'alta marea stava incombendo e dovevamo aspettare che l'onda si ritirasse e poi correre forte per evitare di essere sbattuti contro i sassi. Mentre camminavamo abbiamo incontrato una famiglia di omaniti di Muscat fermi con la macchina nella spiaggia. Iapo ha spiegato loro, in arabo, di sgonfiare le ruote, che è la tecnica che usa nel deserto. Mi raccontava che alcune famiglie si avventurano con i loro suv nel deserto o in spiagge così e poi si perdono o non riescono più a uscire dalla sabbia. Una famiglia è morta nel deserto al confine con l'Arabia saudita. 
Tornati alla spiaggetta abbiamo fatto pacchi e pacchetti e siamo andati via. Fortunatamente ci siamo risparmiati i 500 mt a piedi sotto il sole cocente! Perché Iapo aveva passato la sbarra con la macchina ed era arrivato indisturbato fino alla spiaggia. In poco tempo di macchina siamo tornati a casa. Ci siamo presi il pomeriggio in totale relax, godendo della calma di Casa Oman. Alle 16:30 sono uscita di casa da sola per fare un giro nel villaggio di Ras al Hadd. Il caldo era un po' calato, ma sempre forte. Svoltata la casa di Iapo mi sono trovata di fronte uno scenario simile all'Afghanistsn degli anni 80. Le strade fatte di polvere, poche anime, case basse e bianche. Vedo subito un gruppettino di bambini, sedevano con gli adulti alla base di una fossa in cui veniva tolta sabbia da una ruspetta. Sono arrivata lá con gran sorriso al quale non hanno ricambiato troppo dolcemente, ma con sguardi dubbi. Ho detto però il salutato e hanno ricambiato. Allora, con la delicatezza con cui si avvicinano gli animali tra loro la prima volta, ho tirato fuori dallo zaino la cover del cellulare di stitch. Loro si sono incuriositi molto. Così abbiamo cominciato a farci qualche autoscatto. Come prima reazione, quando hanno visto se stessi nell'iPhone durante l'autoscatto, sono scappati. Il contrario dei bambini degli altri paesi del mondo che accorrono incuriositi. Le bambine in particolare erano un mix tra curiosità e spavento. Ricordo in certi posti del mondo, citano le lonely planet, le persone temono che la macchina fotografica rubi l'anima. Mi è sembrato di percepire la stessa paura. Ma, dopo un primo inizio di rifiuto, i bambini sono accorsi e non hanno più mollato l'obiettivo! Ho percorso le strade di Ras al Hadd in lungo e in largo, non c'è una piazza centrale ma solo una strada principe e poi piccolissime stradine di lato, minuscole. Tutto senza un minimo di strada. Ma le casette sono stupende. Perfino i container dell'acqua, posti sui tetti come in tutti i posti del mondo, qua hanno i merletti e sembrano opere d'arte. I colori chiari: bianco, ocra, beige, fanno da padroni. I bambini sono a migliaia. Sono a giocare sulla strada, nelle stradine laterali, nell'unico "bar" del paese, sui pick up. Quando mi vedevano passare avevano reazioni diverse. Non ho trovato i bambini dolci e rispettosi del sud est asiatico. Ho trovato molti bambini-ragazzini più aggressivotti. Uno mi stava strappando l'iPhone di mano perché voleva vedere le foto. Un altro faceva il gesto di venirmi contro con la bici, e si scansava all'ultimo. Uno in particolare mi ha fatto riflettere. Era un ragazzino di circa 9 anni. Mi è venuto contro e ha fatto il gesto dei capelli coperti e mi mimava col dito sulla bocca "zitta e vattene", urlando cose in arabo. Lo ha fatto per qualche metro, seguendomi. Inizialmente cercavo di capire e sorridevo, poi ho smesso e ho tirato dritto. Finché una donna lo ha sgridato forte, lui lì per lì ha smesso, poi ha continuato qualche metro fin quando un uomo gli ha dato il colpo di grazia urlandogli cose in arabo, e ha smesso. Le bambine molto più timide ma anche più rispettose. Loro, spesso, non vogliono foto. Stanno quasi sempre divisi maschi e femmine. E alcuni maschi più grandi sono davvero molto aggressivi, tanto che picchiavano le femmine se si avvicinavano troppo a me, o se si facevano fotografare. I piccoli hanno meno seghe mentali, sono i grandi ad essere più incasellati, sia maschi che femmine. Ad un tratto una bambina, estasiata, si tocca i suoi capelli guardando i miei. In testa avevo la kefia bianca e rossa comprata a Sur, me la tolgo e le mostro i capelli. Intorno a me si è formato un gruppetto di venti bambini. Alla bimba ho fatto il gesto di toccarmi i capelli. Lei me li ha toccati ed era scioccata, me li guardava estasiata. Allora gli altri, in un istante, si sono fiondati sui miei capelli per toccarli. Me li son trovati tutti addosso e i capelli che tiravano. Dopo, poco più avanti, ho trovato un altro gruppetto di una trentina di bambini. Qua c'era anche un cospicuo gruppo di bambine sui 10-13 anni. Tutte velate e vestite di scuro. Quando hanno visto la macchina fotografica hanno sgranato gli occhi spaventate e son scappate dicendo "camera camera!". Poi son tornare e una di loro ha iniziato a parlare con me in quelle tre parole che conosceva. Mi ha chiesto quanti anni avessi, di dove fossi, il mio nome e poi mi ha chiesto se le mostravo le foto. Ha allungato le sue manine di giovane donna e ha nutrito il suo sguardo delle mie immagini sull'Oman. Una potenziale fotografa, con le stelle negli occhi, e un velo pesante così sulla testa. La condizione della donna fa riflettere. Iapo mi diceva che è molto diversa da ciò che viene raccontato. Ma fino a pochi anni fa c'era l'infibulazione, le donne portano il burqa e non stanno nei posti degli uomini, non escono con loro, non lavorano, non parlano con altri uomini che non siano familiari. Comunque la piccola bambina velata che parlava inglese è stata una bella perlina di questo viaggio. Le strade di polvere, trenta bambini estasiati, e questa creaturina che non si sentiva all'altezza di ricevere foto, solo di guardarle, che traduceva le cose che dicevo ai suoi amici-bambini. Prima di andar via è passato un tipo omanita in un suv costosissimo. Indossava il solito dishdasha bianco e il turbante. Mi ha chiesto, in un inglese stento, chi fossi e dove stessi. Dopo un po' di domande, quasi insistenti, mi ha chiesto il numero di telefono e io gli ho dato una mail. Sono tornata a Casa Oman col tramonto. Ho aspettato cena e abbiamo mangiato tutti insieme un ottimo pesce cucinato dalla Kikka. Dopo cena mi hanno proposto di rivedere la tartarughe ma ho gentilmente declinato. 

 

                   

 

Giorno 4 RAS AL HADD, 26 Ottobre 2013

Stamani sveglia di buon ora per andare a vedere Wadi Bani Khalid con Iapo e la Kikka. Colazione veloce perché Iapo è andato a prendermi gentilmente le uova che mangiavo, quindi tutto di corsa. Ho indossato un paio di pantaloncini bianchi, una maglietta arancione e un turbante fatto della kefia loro, color prugna e vinaccia. Siamo partiti per la lunghissima giornata e ha guidato Iapo. Per arrivare a Wadi Bani Khalid ci vuole un bel pezzo, Kikka aveva molto caldo perché dietro si respira poco. Ci siamo fermati velocemente a Sur per far arrotare i coltelli della guesthouse e poi siamo subito ripartiti. Siamo arrivati allo wadi passando un paesaggio montanaro, con queste rocce secche, aride, opache. Se immagino l'Afghanistan, le terre dove hanno catturato Bin Laden arroccato sulle rocce più sperdute, immagino un posto così. E anche Iapo me lo ha confermato. Abbiamo intavolato un'interessantissima discussione sulla varietà geografica dei paesi del Medio Oriente, fino ad arrivare allo wadi. Questo posto ha due strade: quella turistica, dove vanno anche persone anziane o che hanno alcuni impedimenti fisici o non sono allenate (wadi shab ad esempio prevede una passeggiata bella tosta e anche un po' pericolosina) perché arrivi alla gola direttamente con l'auto. L'altro percorso è quello meno conosciuto, scoperto solo recentemente da Iapo. Il canyon è impressionante. Più alto, più spettacoloso e più estremo di Wadi Shab. Per terra sassi riarsi, di varie dimensioni, spesso super taglienti e instabili. Una bella camminata per arrivare alle prime pozze. Addirittura arrampicarsi su una palma (UNICO passaggio per continuare il percorso, poi non chiedetevi perché trovo l'Oman un posto non turistico..), fare salti tra i sassi, scalare una parete rocciosa. Iapo ad un tratto è passato in una pozza bagnandosi fino al petto.. Lui.. Figurarsi io e la Kikka, saremmo state sommerse. Menomale è accorso un omanita che ci ha spiegato un passaggio alternativo tra le rocce. Così ci siamo evitate il diving nello wadi. Però muschio ed erbette scivolose non mancano affatto, rendendo il tutto ancora più difficile. Rispetto a wadi shab è più corto ma sembra lungo il doppio per la difficoltà. Siamo arrivati, dopo una discesa a dir poco a picco, alla cascata/pozza finale. C'era un gruppo di 15 francesi con anche bambini preadolescenti. Erano abbastanza scafati e si erano portati gli zainoni fino a là, ma comunque c'erano e hanno distrutto il bello del posto: l'arrivo all'Indiana Jones. Abbiamo aspettato che se ne andassero, ad un certo punto eravamo completamente soli. L'acqua era freschina, rispetto al solito brodo. Sicché mi sono ficcata in una pozza naturale e, da quanto stavo bene, mi sono addormentata in acqua: mai successo in vita mia. Finita la mattinata ci siamo avviati nella strada di ritorno, affaticati per il sole a picco dell'ora di pranzo. Siamo arrivati al pick up e abbiamo pranzato in una zona d'ombra poco oltre il parcheggio, parlando di cani e di violenza domestica. Abbiamo proseguito subito dopo alla volta del deserto. Appena abbiamo iniziato a trovare deserto, e ci siamo immessi dentro, Iapo ha sgonfiato un po' tutte e quattro le ruote: unico modo per sopravvivere nel deserto. Mi ha chiesto aiuto dicendo di trovare un oggetto appuntito per sgonfiare la gomma. Mi sono girata intorno e ho trovato un legnetto nero carbonizzato. Ho fatto a Iapo “Questo va bene?” e Iapo “ Fede…. questa è merda di cammello”.

Finita l'opera siamo andati ad una famiglia di beduini che vive alle porte del deserto. Ci hanno accolto tre donne: due sorelle e la madre. Molto svelate, tranne la sorella maggiore che aveva solo gli occhi scoperti. Ma tutte avevano dei teli e vestiti dai colori accesissimi (giallo, fuxia, verde smeraldo). La più giovane e carina ha iniziato subito a scherzare con Iapo schizzandogli anche l’acqua del the addosso. Questo è impensabile per le donne di città. Iapo mi aveva raccontato che loro sono donne molto più avanti e aperte, paradossalmente. Nelle città (a parte la moderna Muscat) le donne non parlano con uomini. Loro fanno alcuni prodotti di artigianato e ti offrano il tchai (the) e datteri, gratis. Io ho comprato una cavigliera e due braccialetti di lana di pecora. Sono arrivati poi due beduini, uno fratello delle due ragazze e uno che Iapo non conosceva bene. Tutti e due bellissimi e sexy, mori e pelle di bronzo in quei dishdasha bianchi e turbante latte, da predoni del deserto. La donna giovane aveva uno scorpione bianco vivo in una bottiglietta vuota. A Iapo glielo aveva tirato in faccia la volta prima. Menomale era senza pungiglione, ma lui ha perso 10 anni di vita. Poi siamo entrati nelle dune, da una stradina secondaria, ormai tutta sbiadita nella sabbia, non lo "stradone per turisti” che è una strada maestra più battuta e slargata. Iapo ha fatto un parcheggio in verticale su una duna e siamo andati sulla cima alla duna più alta delle Wahiba Sands. Stava iniziando la decadenza del sole, bellissimo. Un tramonto pauroso. Il sole, quando è sceso appoggiandosi al deserto, era una palla arancione mai vista prima. Le foto non rendono giustizia. Poi é cominciato a tirare il vento dal basso. Sabbia in ogni dove. Addirittura Iapo e Kikka lamentavano di averla ovunque, anche nelle gengive. Io nei capelli, intimo, addirittura negli occhi! Siamo tornati verso casa facendoci 30 km di deserto. Io ho chiesto a Iapo dove potevo fare pipì. Lui si è fermato nel deserto, si è guardato intorno, e ha detto: trova una duna e faccela dietro. Siamo arrivati al paesino più vicino alle Wahiba dove ci hanno rigonfiato le ruote. Io e Kikka abbiamo un po' dormito. Iapo bravissimo, ha guidato tutto il tempo senza avere mai uno svarione. A Sur abbiamo ritirato i coltelli e poi siamo tornati a casa a Ras al Hadd davvero stanchissimi. Io ero a pezzi. Ci ha preparato cena Silvia, tornati era già tutto pronto. Rigatoni con gamberetti e zucchine, buonissimi. Finita cena siamo rimasti un po' a chiacchiera e a cercare cose sconce su internet, erano partite delle sfide di cultura sul porno tra me Silvia e Toti. Kikka stava malissimo, mal di testa forte, non ha neanche finito di cenare. Poi Silvia e Toti sono andati a portare le tartarughine in mare, mentre io sono rimasta sull’amaca in giardino, e hanno detto che il mare era in amore (il fenomeno del plancton nell'acqua che rilascia luci come neon), li ho odiati, avrei voluto tantissimo vederlo! La notte un po' sonnambula. 


Giorno 5 RAS AL HADD - MUSCAT, 27 Ottobre 2013

Mi sono svegliata e sono rimasta un po' ad ascoltare i silenziosi suoni di Casa Oman. La finestrella azzurra mezza aperta, il calore della stanza al risveglio, il materasso a terra, il suono di qualche voce in lontananza. Ho pensato a tante cose. Alla dolcezza di questa terra. Alla fortuna di averla conosciuta. E mi sono sentita felice, viva. 
Avevamo organizzato un'ultima escursione prima della mia partenza: un giro sulla barca di Grezzolo (pescatore amico di Iapo) con anche Toti e Silvia. Iapo mi aveva detto che sarebbe stata una bellissima giornata dato che ogni dì avvistano decine e centinaia di delfini. Ho consumato la mia ultima colazione omanita, ho fatto lo zaino (la stanza era diventata un magazzino) e sono partita per il giro in barca. Abbiamo preso il pick up per 6km per arrivare al mare e, da là, c'era Grezzolo senza maglietta ad aspettarci. Come ha detto Iapo "loro quello che dovevano vedere lo hanno già visto", e così anche noi ci siamo parzialmente spogliate. Purtroppo, in un'ora di viaggio, nessun delfino. Solo qualche pesce volante e un banco di sardine che salivano in superficie, spaventate da qualche predatore in profondità. Questo ha confermato la mia sfiga in fatto di avvistamento animali (al Chitwan in Nepal niente, in Amazzonia quasi niente, in Borneo idem, così ovunque) tanto quanto, al contrario, sono fortunata per il clima. 
Abbiamo fatto un ultimo bagno in laguna, davvero super relax. Silvia ha anche trovato un pesce-scatoletta (buffissimo). Sono tornata a casa e ho terminato lo zainetto, dopodiché siamo partiti, verso le 13, per Muscat. È stato un lungo viaggio piuttosto faticoso, circa 3 ore e qualcosa sotto un bel caldo, ma senza aircon e, a volte, dovevamo anche chiudere i finestrini per la velocità. Ha guidato Silvia e abbiamo ascoltato musica italiana e successi rock dal mio iPhone. Alla fine siamo arrivati a Muscat e abbiamo parcheggiato in centro. Abbiamo passeggiato sul lungomare, davvero carino, e siamo andati al suk.  Il mercato al chiuso è simile al gran bazar di Istanbul. La differenza sono le dimensioni ridotte e più carino, soprattutto meno turisti. Ho comprato una kefia bianca a un prezzo stracciato e un anello omanita in argento, che mettono le donne all'indice della mano (mi è stato spiegato che ogni dito della mano ha un anello diverso con un particolare significato). Iapo ci ha comprato anche delle mandorle buonissime che abbiamo divorato ferocemente. Dopo la visita al suk siamo andati nuovamente alla macchina e Iapo mi ha fatto vedere il vecchio centro storico dal finestrino. Poi siamo andati a fare un giro davanti alla residenza del sultano. Iapo ci ha aspettate in auto, io e Silvia invece siamo andate fino al cancello principale. Bellissimo palazzo, illuminato come un elegante albero di Natale. Ho notato con stupore la pulizia dell'Oman, e l'ordine. Solitamente, nella maggior parte del mondo, i posti sono belli in quanto poetici, ma oggettivamente spesso brutti (come molte città asiatiche o latino americane), qua invece sono oggettivamente belli. Al cancello abbiamo fatto brevemente amicizia con una giovane guardia che parlava perfettamente inglese. Ci ha detto che dentro è tutto oro e che, in quei giorni, il sultano era all'estero. Tornate alla macchina ci siamo avviate verso il ristorante turco dove Iapo usa spendere l'ultima cena prima della partenza degli ospiti. Era l'ora di punta, un traffico folle, e Silvia si é impaurita tantissimo perché non conosceva ancora le strade e non la facevano passare. Alla fine siamo arrivati al ristorante dove ci stava aspettando Faiz, che era a Muscat per un corso di aggiornamento di qualche giorno come ranger. Iapo si era ricordato di non aver prenotato e allora ha fatto la scenetta di prenotare al telefono mentre aveva davanti il proprietario del ristorante, con cui poi ha scambiato grossi abbracci data la conoscenza che li lega. La cena è stata molto carina, ed era buffo vedere la diversità dei personaggi al nostro tavolo: dall'abbronzatissimo e parlante arabo Iapo, alla biondissima me, a Faiz che indossava un lungo dishdasha giallognolo, fino a Silvia con i capelli corti e le ciabatte da mare. Davvero buffi. Faiz ci ha raccontato un po' di cose buffe. Tipo che lui ha una cinquantina di dishdasha nell'armadio, li compra perché gli piace il colore (come noi con le scarpe!), ma poi spesso non li mette nemmeno. Ci raccontava che una volta ne ha comprato uno verde brillante, ma poi non lo mette perché non gli piace essere osservato. Poi Iapo e Faiz ci hanno raccontato che gli omaniti mangiano solo pesce freschissimo, anche quello della mattina stessa, se congelato in frigo, è immangiabile. Iapo ci raccontó che (mi pare Grezzolo) una volta fu invitato da un'italiana a Muscat con Iapo e lo staff. La tipa, sapendo che fosse un pescatore e intuendo che gli piacesse il pesce, aveva fatto la pasta col tonno Rio mare. Grezzolo ha messo in bocca due forchettate e, alla terza, ha vomitato nel piatto. Dicevano che gli omaniti non conoscevano malattie fino a poco tempo fa, solo ora inizia il cancro. 
Finita la buona cena a base di cose turche, schiacciate, pesce e gamberoni, siamo andati in aeroporto. Ho salutato calorosamente Iapo e Silvia, promettendo un ritorno a breve termine, e mi sono tutta bardata per entrare nel gelo dell'aeroporto. Al check-in c'erano famiglie intere di indiani che partivano con la Oman air. Avevano carichi enormi come scatoloni (fino a 8 per persona), e file interminabili che non finivano mai. Arrivato il mio turno ho presentato alla signorina il mio biglietto elettronico e lei mi fa "guardi che il suo volo è appena partito, è arrivata troppo tardi!". Io, colta da un attacco d'ansia pesante, le dico che sono arrivata due ore e mezza prima, che il mio volo sarebbe stato a mezzanotte e venti, che avevo ricevuto anche un sms di conferma, che ero disperata, che non potevo restare là, che il mio amico aveva la guesthouse nel deserto (l'ho drammatizzata). Lei fa "si calmi signorina, controllo" e, tutta tranquilla, dopo qualche secondo mi fa "ah si aveva ragione". Ahhhh! Stramaledetta!! Volevo connettermi a tutti i costi alla wifi dell'aeroporto perché dovevo avere alcune comunicazioni, ma il modo di accedervi era davvero macchinoso. Così ho fatto amicizia con una guardia che mi ha dato la sua password wifi. Sono entrata nella zona degli imbarchi e ho caricato il telefono seduta per terra. Poi son salita sul volo, ero seduta accanto a un crucco frigido che andava dalla fidanzata a Bangkok, la quale lavorava là. Ho dormito tutto il volo. 

 

 


Federica Orzati

federica.orzati@gmail.com

 

 

 

 

 

 

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