“la terra più vergine che abbia mai visto al mondo, dove il silenzio e la natura regnano sovrane”
Diario di viaggio 2013
Giorno 0 e Giorno 1: partenza MILANO-MUSCAT-RAS AL HADD
Questo
viaggio è nato con un incubo, e nonostante finora lo avessi sempre scongiurato,
stavolta è successo: Mi sono ammalata una settimana fa e, nonostante
antibiotici di ogni tipo e quantità, nonostante froben, zerinol, actigrip,
benagol e aspirine varie, passando per spremute d'arancia fino alle più moderne
tecniche di respirazione di Roberto Re, mi sono presentata alla vigilia del
viaggio senza voce, con una gola rossa così e con un raffreddore da paura. Al
giramento di coglioni per la condizione di salute si è aggiunto quel senso di
smarrimento e di rintronateaggine che lascia il raffreddore. Tralasciando che
avevo lavorato organizzando eventi fino al giorno prima, non ultimo l'aperitivo
benefico per i bambini in Thailandia fatto la domenica sera. Ho iniziato lo
zaino la sera prima e finito il minuto prima che partisse il treno.
Quando mia mamma mi ha lasciata alla stazione di Firenze mi sentivo come
Armstrong che sbarca sulla luna. Non sentivo odori e rumori. E quando sono
salita sul treno per Milano centrale ero in uno strano stato confusionale. Credo
anche che mi abbiano offerto la cena su trentitalia.. devo essere proprio
impazzita. Ho preso con largo anticipo la coincidenza per Malpensa, al solito
binario 3. Ho conosciuto una coppia di brasiliani cinquantenni. Lei grassa e
bionda, lui grasso e moro. Parlavamo uno spagnolo italiano-brasilianeggiante. Mi
hanno detto che il Brasile è lo stato più pericoloso dell'America Latina e
che, solo l'anno scorso, alla loro famiglia hanno rubato 8 carros (macchine). E
poi hanno riconfermato ciò che sapevo: che in Italia i voli costano molto meno
che nel resto del mondo.
Dopo una ricca conversazione il treno si è trascinato sonnolento verso Malpensa,
e loro si sono dileguati in un secondo senza salutare. Sono uscita
dall'aeroporto alla ricerca di un taxi. Una nebbia fitta mi ha invasa. Talmente
fisica che mi veniva da accarezzarla. Tre tassisti chiacchieravano animatamente
davanti a un taxi enorme, sembrava una navicella spaziale. Il conducente mi ha
detto "il suo hotel è vicino, ma purtroppo dovrà pagare 18€". Solo
in Italia. Sono arrivata al First Hotel Malpensa con un freddo addosso
incredibile. Stanza 409, mi sono sistemata subito, ed erano già le 1:00.
Cercavo una presa vicino al letto per il telefono, quando ho trovato una strana
presa nera, con uno sportellino. Ho aperto lo sportellino e... Qualcosa ha
soffiato forte da dentro! Come un gatto... Ho ritirato velocemente la mano e son
rimasta col cuore in gola per un minuto abbondante. Un po' sconvolta ho deciso
che fosse il caso di andare a letto. Dopo mezz'ora mi sono svegliata pensando
che fosse già mattina. Poi mi sono rimessa a dormire.
Mi son svegliata alle 7:30 sulle note di Draw The Stars. Avevo sognato di andare
in Brasile e quando mi son svegliata e mi son ricordata che sarei andata in
Oman, ci son rimasta quasi male :)
La navetta gratuita mi aspettava già davanti all'albergo. L'autista, un
pakistano bassino, era molto curioso e mi ha chiesto un sacco di informazioni
sul mio viaggio. Dietro una barcata di attempati americani musoni. Con il
diluvio ho smontato il mio zaino e sono entrata nel terminal 1. Ho fatto un
rapidissimo check-in, e il mio zaino è stato spedito ai bagagli fuori misura
(come successe in Nepal), dicono che lo fanno per evitare che i lacci si
impiglino nei rulli. Ho fatto colazione, un giro dell'aeroporto e poi son andata
nell'area B10 dove, dopo un po' di attesa, ci hanno imbarcati. L'aereo pullulava
di coppie italiane di media età, tutte rivestite decatlon, acide e spocchiose.
Ognuna ne sapeva più dell'altra, con mille guide, foulard dei vari viaggi
precedenti, scarpe tecniche e occhialino da vista Gucci. Fortunatamente in aereo
si è seduto accanto a me un simpaticissimo cingalese che lavora come artigiano
a Milano. Mi ha rivolto un sorriso grande così e mi fa "parli
italiano?", e quando gli ho detto di sì ha iniziato a parlare a manetta di
tutto. Sapeva di spezie ed aglio, ma era gentilissimo, mi prendeva da mangiare,
da bere, ogni volta che lamentavo qualche bisogno si alzava di corsa per
aiutarmi. È stato un ottimo compagno di viaggio. La compagnia Oman Air si è
scoperta a dir poco ottima, a parte i film non in italiano (vabbè, è una
cagata lo so) è stato il miglior volo mai preso. Il cibo ottimo! Io che odio
tutti i pasti aerei... Ho mangiato montone al sugo, piselli e patate arrosto, e
poi un dolcino tipo pan di Spagna ai frutti di bosco con crema di vaniglia. Mi
hanno anche regalato una pochette con calze di lana, mascherina, tappini e altre
robe per il viaggio. Oltre all'asciugamano di panno per lavarsi le mani e
centinaia di stuzzichini di vario genere. Il sole ha iniziato a tramontare verso
fine viaggio, era una tavola rossa che divideva uno sfondo blu. Il sipario del
mondo stava calando sulla scena.
Si è fatto buio in pochi istanti, poiché andavamo incontro al tempo. Due
musoni italiani, che non ho capito se erano madre e figlio o due fidanzati
davvero sproporzionati, si erano seppelliti dentro felpe di lana e dormivano in
uno strano letargo. Io morivo dal caldo, dato che il sole aveva battuto tutto il
tempo dalla mia parte. Siamo atterrati perfettamente su Muscat. Io e il
simpatico cingalese ci siamo salutati con una stretta di mano. Uscita dall'aereo
ho sentito un caldo abbastanza pesante che prendeva alla gola. Non troppo, non
umidissimo, ma decisamente caldo. Siamo arrivati con la navetta in aeroporto
dove, ad una struttura blu proprio davanti alle porte scorrevoli, ho fatto il
visto sotto i 10 giorni, pagandolo 15€. Dopodiché sono andata sulla destra al
controllo visti turistici. Il ragazzetto, vestito con una lunga tunica bianca
come ho visto agghindati tutti gli omaniti, mi ha riempita di domande. Era tra
il curioso e il premuroso e parlava a voce bassissima. Mi ha chiesto che fossi
venuta a fare, come mai viaggiavo tanto, se ero sola, se ero Veramente sola, se
avevo amici in Oman, se qualcuno mi aspettava in aeroporto, se sapevo dove
dormire, se lavoravo qua, dove sarei andata dopo, da dove venivo, quale era la
mia città di origine, cosa facevo nella vita, se sapevo dove cenare, se mi ero
divertita in aereo... Una roba allucinante. Agli altri non chiedevano Niente!
Dopo l'interrogatorio dove alla fine ho spudoratamente mentito dicendo che mio
marito mi aspettava in Oman, e che non portavo la fede perché ero allergica
all'oro, sono uscita e ho trovato Iapo e Silvia ad aspettarmi. Iapo è il
proprietario della guesthouse Casa Oman, che conoscevo già da un bel po' su
Facebook e con cui intrattenevo una corrispondenza epistolare, prima ancora di
sapere di venire in Oman. È stato proprio lui a propormi uno scalo lungo in
Oman con la Oman air, che era la compagnia più economica per il volo in
Thailandia. Mi ha accolto con la sua parlata romagnola e Silvia, la guida molto
dolce, è stata subito gentilissima ed accogliente. La notte omanita mi ha
accolto con un caldo più umido di quel che pensassi. Il pick up bianco ci
aspettava poco oltre l'uscita, ho caricato lo zaino e ho subito saldato il
conto. Dopodiché ci siamo sparati tre ore circa di strada. Casette bianche, con
merletti e finestrelle da mille e una notte, incorniciavano Muscat. Io e Iapo ci
siamo messi a parlare di Italia, di crisi economica, della sua avventura in
Oman. Ogni tanto spuntava un minareto, la moschea, casette. In mezzo al cielo
una mezza palla rossa, bassa e dai bordi incerti. Ho chiesto cosa fosse e Silvia
ha risposto che era la luna! Che quando spunta è così, poi sale e diventa
gialla, e quando è ancora più alta è piccola e bianca. Una precisa e lunga
autostrada di asfalto portava a Sur. Prima all'interno, circondata da deserto
roccioso, poi sul mare. È un'autostrada costruita da poco da turchi e cinesi.
Iapo raccontava quando, nel 1997, non ci fosse elettricità, acqua, strade. Era
più romantico, una sorta di Africa, ma sicuramente si viveva un po'
diversamente, senza comfort di ogni genere. Ogni tanto qualche raggruppamento di
persone spuntava sul lungo mare. Tutti in tuniche bianche lunghe, solo pochi
senza. Mi ha spiegato Iapo che quelli con le tuniche sono omaniti, gli altri
sono indiani. Gli indiani sono tantissimi, vengono soprattutto dal Kerala (sud)
e sono i veri lavoratori dell'Oman. Gli omaniti sono invece contadini, pastori e
pescatori. Quando vedevamo i raggruppamenti io chiedevo "cosa fanno?"
e Iapo "discutono su come possono arrivare fino a domani al prossimo
tramonto, cioè come oggi!". La donna, mi spiegava Iapo, è la padrona
incontrastata della casa. Là domina sovrana, spesso con tantissimi figli al
seguito. Ecco perché spesso gli uomini stanno fuori dalle mura, anche perché i
matrimoni son tutti combinati, contratti di non-amore basati sulla garanzia di
vita agiata per la donna e figli per l'uomo. Ma, nonostante questa grossa
differenza con la nostra cultura, l'Oman è l'unico paese della penisola arabica
dove la donna vota, ci sono ministri donne e le donne possono chiedere il
divorzio per adulterio conclamato e percosse. Mentre viaggiavamo mi sono accorta
del profondo silenzio di questo paese. Silenzioso, pacato, in sordina. Poca
gente, macchine zitte, nessuna musica o chiasso. Abituata al casino di Asia e
America Latina mi son sentita quasi perduta. Siamo arrivati a Sur, ad una sorta
di kebabbaro in mezzo al quasi nulla, un indiano che conosceva Iapo. Hanno
iniziato a parlare in arabo e questo ci ha portato, ad un tavolaccio rustico
all'esterno, un kebab col chapati fatto di curry, spezie indiane e montone. Dopo
questo pasto siamo rimontati sul pick up e in 40 minuti siamo arrivati a Ras al
Hadd, la punta più a est di tutta la penisola arabica, nonché la casa di Iapo.
Davanti alla casa alcune tartarughine erano state decapitate da un cane o da un
gatto, con grande dolore di Iapo che invece le salva: le tartarughine confondono
le luci della guesthouse con la luna e le seguono, perdendosi. Iapo scava delle
fosse dove le tartarughe cadono, e la sera tardi le porta al mare, che è a 200
metri dalla sua residenza. La casa di Iapo è una delizia araba: un giardino in
ghiaia con degli alberi fioriti, arredamento basso in gusto mediorientale. Le
stanze sono semplici ed essenziali ma perfette, in linea con ciò che stavo
cercando. Un materasso in terra, bagno alla turca e via, ma pulitissime. Qua c'è
anche una wifi spettacolare, anche se Skype e FaceTime non sono attivi in tutto
il paese. Ho conosciuto gli altri due membri dello staff: Totti (l’altra
guida) e Chicca (la cuoca), tutti rigorosamente romagnoli. Son stata un po' in
cortile, appena sentivo uno scricchiolio della ghiaia sapevo che era una
tartarughina e andavo subito a salvarla. Penso che anche quando me ne andrò
assocerò al rumore della ghiaia la piccola tartarughina smarrita. Dopo essermi
sistemata e aver chiamato con viber qualche amico per i saluti ho deciso di
provare a dormire nonostante le due ore di fuso mi abbiano scombussolata più
delle sei/sette solite.
Giorno 2, RAS AL HADD 24 Ottobre 2013
Da
ragazzina ho cominciato a scrivermi i sogni che facevo la notte.Spesso sognavo
di viaggi lontani e posti da favola. Immaginate il più bel sogno mai
fatto: un’esplorazione alla Indiana Jones, arrivare in un luogo unico, con
solo silenzio ai lati, nessuna persona nei dintorni, natura dai colori
brillanti, una strana pace intorno. Ecco non esiste sogno che possa essere
paragonato a quel che ho visto oggi. Posti che nemmeno nella fantasia si
possono immaginare. E non ho paura a dire che, per i miei gusti personali,
probabilmente ho visto i più bei luoghi del mondo. La
mattinata è cominciata ben prima della sveglia, puntata alle 7.30. E’
cominciata alle 4:30 quando, nel bel mezzo del sonno, ho sentito qualcosa che
credevo essere la sveglia. Essendo la prima mattina, emozionata e con la
voglia di esplorare l’Oman, mi son subito alzata sul letto, mi son girata
verso la sveglia per spegnerla, e mi son accorta che non era la sveglia a
suonare! Allora ho aguzzato l’udito e ho capito che era il muezzin che
cantava la preghiera dell’alba, alla moschea. Mi ha ricordato il risveglio a
Siem Reap in Cambogia quando, dato che soggiornavamo accanto alla moschea,
questi canti esotici e profondi, ci davano il buongiorno. Sicché mi son
riaddormentata quelle tre ore che mi hanno divisa dalla vera sveglia, a cui
son arrivata distrutta. In totale avevo dormito 5 ore, perché la sera prima
mi ero addormentata molto tardi. La Kikka, cioè la cuoca, mi ha
preparato due uova strapazzate e un po’ di pane da toast (tra l’altro
buonissimo). Dopo la colazione sono partita insieme a Toti (Tiziano) e a
Silvia (l’altra guida, lei novella, che mi era venuta a prendere con iapo
all’aeroporto). Un caldo torrido ci ha invasi mentre salivamo sul pick-up
bianco. Mi sono guardata intorno e, fuori dalla guesthouse-casa di iapo, non
c’è niente. Solo due baracche, che ho scoperto essere la casetta delle
capre, e due abitazioni fatte uguali, alla mille e una notte. Per il resto:
deserto. A 250 metri il mare, ma non si vede. Nel lungo tragitto per la prima
tappa i due ragazzi mi hanno spiegato un po’ di cose sull’Oman. Per
esempio ho capito un po’ meglio la situazione femminile in Oman. Le donne,
quasi per la totalità, vestono il burqa integrale, con anche gli occhi
coperti. Possono parlare e frequentare solo donne o maschi che siano marito o
membri della famiglia. Un uomo sconosciuto non può rivolgere parola o sguardo
ad una donna. Toti mi spiegava che gli omaniti si danno spesso la mano, anche
tra maschi (l’ho visto fare anche in India e in Nepal) e se una donna che
passa è bella (…come fanno a capirlo Allah solo lo sa) danno una
strizzatina alla mano dell’amico, perché non possono guardarla troppo o
fare commenti ad alta voce. Le donne ricevono in casa, nelle loro stanze, solo
donne. Silvia aveva assistito ad un evento di questo tipo e ricordava con
piacere la dolcezza delle donne che, in quell’occasione, peraltro vestono
solo un normale velo sulla testa (chador). La interminabile strada per la
prima meta è essenzialmente sempre uguale: un enorme lungomare (con mare
chiarissimo e spiaggia/deserto giallo) e il resto deserto roccioso o deserto
fino, con qualche rialzo ogni tanto, tipo montagnole. In giro non c’è
nessuno! 2 milioni e mezzo di omaniti (che vestono il dishdasha, una lunga
tunica chiara) e 2 milioni di indiani, quasi tutti del Kerala, i veri
lavoratori del paese. Per il resto DESERTO. Non c’è un turista o un
abitante a pagarli oro. Mi fa impressione questo Silenzio maestoso che c’è
in Oman. Questo assordante silenzio che riempie ogni spazio. Natura, spazi,
silenzio. Paesaggi da sogno e nessuno intorno. Sembra un sogno. La magia che
compare solo nei sogni. Perché oggigiorno, e in tutti i viaggi che ho fatto
ho avuto solo conferme, il turismo c’è ovunque. E se non c’è turismo
c’è un’orda umana, c’è il mostro che respira della popolazione. Qua lo
spazio fa da re. E per la strada non ci sono il chiasso e l’ammontare di
baracche e negozi che mi aspettavo. Nel resto del mondo la strada maestra è
il centro di tutto. La gente vive, nasce e muore sulla strada maestra. Qua non
c’è niente sulla strada. Il turista non esiste, la popolazione è poca e
fatta prevalentemente di contadini e pescatori, che stanno all’interno o nel
mare. Non si vive sulla strada. Incontrare persone è una rarità. Gli uomini,
avvolti nei loro dishdasha, sono nelle città. Le donne, nei loro bourqa neri,
in casa. Quindi immaginate quel silenzio fatto solo di terra, aria e acqua.
Quella primordialità che avvolge tutto. Qualcosa di MAI visto e sentito in
nessun luogo al mondo. Perfino in Amazzonia, nella natura più vera, c’è il
chiasso degli animali. Qua sembra il mondo di “After Heart”, dopo che
l’umanità ha lasciato la Terra. Poteva essere così anche cinquantamila
anni fa, eccezion fatta per l’asfalto della strada principale, fatto da
turchi e cinesi, e dai pick up e suv che vi sfrecciano sopra ogni tanto. Siamo
arrivati alla dolina di Bimmah con me completamente disidratata, ho bevuto 2
litri d’acqua in dieci minuti. Un cancello con un casotto di legno, e dentro
un guardiano con la solita tunica lunga. Gli abbiamo detto un Salam Aleikum (è
il saluto dei musulmani) e siamo entrati in questi pochi metri di asfalto
rosso (unica cosa “moderna” vista) e, dopo 150 metri, è apparsa come un
miraggio una gola che sembrava fatta solo di rocce gialle. Ma più ti
avvicinavi più capivi che in fondo ci sarebbe stato qualcosa di magnifico. Ed
eccola là, la dolina. Una pozza turchese, con varie sfumature di blu,
circondata da rocce a picco, come un preziosissimo gioiello incastonato in una
struttura d’oro. Sembrava qualcosa di davvero prezioso, cullato da queste
rocce dorate. Uno spettacolo da brividi. Toti mi ha spiegato che la dolina è
una pozza sotterranea, a questa è crollato il tetto ed ha scoperto questo
posto incredibile. Son state messe delle scale artificiali per scendere
dentro. Mi immaginavo fiumi di turisti. E invece c’era solo una famigliola
di omaniti. Due donne con il bourqa (rigorosamente sedute sulle scale e non
nell’acqua), sei uomini in maglietta della salute e pantaloncini che
facevano il bagno, alcuni bambini piccoli. Erano abbastanza caciaroni perché
si lanciavano dalla roccia nell’acqua. Ma alla fine sembravano parte
integrante dello scenario, con quei vestiti tipici e le loro parole arabe,
facevano contorno. Ci siamo messi nel versante opposto della dolina e,
immediatamente, ci siamo spogliati senza dir niente e ci siamo fiondati
nell’acqua. Un brodo… calda e avvolgente, di un colore da lacrime.
Trasparente, sfumata, tersa. Sembrava davvero un sogno. Quelli che da bambina
facevo sognando l’Australia (ero fissata) che per me era acqua trasparente e
placida con pesci che ci nuotavano, tutto lento e senza rumori e persone.
Eccolo il mio sogno: ho solo sbagliato continente! Anche in questa dolina
c’erano i pesci… i famosi pesciolini che fanno la pedicure ai piedi. Nei
paesi asiatici (Thai, Cambogia etc) li usano come attrazione per i turisti: li
buttano in una vasca trasparente e chiedono ai turisti di mettersi a sedere. I
pesci mangiano la pelle morta, e così fanno una sorta di massaggio-pedicure.
Questi pesciolini pullulano nella dolina. Quindi se metti i piedi
nell’acqua, e stai ferma, vengono a mangiarti le pellicine. Forti… ma dopo
un po’ fanno il solletico e se hai una ferita aperta fanno sanguinare. Mi
son messa a pancia in su a guardare la roccia mentre nuotavo nella mia pozza
turchese. Penso di non aver mai provato tanta pace, e assoluta tranquillità,
come qua. Siamo rimasti un po’ dentro, poi siamo usciti faticosamente. Un
po’ di foto e siamo andati via alla volta della White Beach. Ci abbiamo
messo relativamente poco (le distanze in Oman sono davvero late). E’ una
spiaggia di sabbia soffice e bianca come la farina, questo crea un’acqua
azzurrissima. Senza considerare la meravigliosa roccia gialla che delimita la
spiaggia. Anche questo: un sogno. Mi ha ricordato Inception (il mio film
preferito), la scena in cui Leonardo di Caprio è nel suo sogno e si sveglia
nel mare. Il silenzio e la pace dei sogni, ancora una volta. Nemmeno una
persona nel raggio di chilometri, e nessuna macchina sulla strada. Tirava un
po’ di vento e il mare era grosso. Io e Silvia non ci siamo addentrate, Toti
invece si è spogliato subito e si è fiondato in acqua. Abbiamo pranzato al
sacco a suon di chapati e uova (diventerò un pulcino). Dopo pranzo, e dopo un
po’ di relax sulla sabbia, siamo andati al primo Wadi della mia vita: Wadi
Shab. Anche qua Niente di turistico. C’è un grosso ponte bianco che
sovrasta la scena, una specie di cavalcavia in mezzo al nulla, sotto il quale
ci sono due-tre persone che sonnecchiano all’ombra. Intravedi già lo Wadi,
il fiume verdaceo che scorre dentro il canyon. Qualche capra e un barcarolo
che per qualche centesimo ti porta aldilà del fiume, cioè la parte
percorribile. Wadi, in arabo, significa fiume. Un tempo i fiumi
erano dei colossi incredibili, e riempivano interamente quelle che oggi sono
gole e canyon, enormi montagne intorno al fiume. Il fiume di oggi è
piccolissimo, basso, placidissimo, e con un flusso di una lentezza paurosa. I
colori del fiume variano ma sono sempre sul verde-turchese. Le montagne
intorno sono uno spettacolo della natura. Oltre al fiume, alle gole e a
qualche palma di passaggio, si son create delle piscine naturali di acqua dai
colori uno più bello dell’altro. Abbiamo camminato un’ora nello wadi. Un
caldo assassino, appena potevamo si mettevano le scarpe da ginnastica
nell’acqua. Ma subito ci si asciugava per il clima super-secco. Avremo
incontrato in tutto una decina di turisti. Il percorso era un po’ pericoloso
e un po’ faticoso. Oltre al caldo asfissiante, e ai quasi quaranta gradi con
sole a picco sulla testa, si doveva attraversare zone di sassi enormi e
scivolosi, oppure piccolissimi passaggi a picco su un crepaccio. Non è un
percorso per tutti. Arrivare alle ultime pozze è uno spettacolo
indescrivibile. Devi lasciare lo zaino e i vestiti e prosegui a nuoto. In
queste pozzanghere basse, piccole, caldissime, con il canyon che si fa sempre
più piccolo e avvolgente. Sei là che nuoti in questo colore irresistibile.
Quell’acqua dolce e bellissima, ti verrebbe da berla, da mangiarla, da
accarezzarla. È un capolavoro. Arrivi all’ultima, straordinaria, pozza, e
c’è un minuscolo passaggio (davvero piccolo, tanto che alcuni devono
passare sott’acqua per attraversarlo) che da accesso a una caverna. La
grotta è piccolina e non ha punti d’appoggio. Ha una cascata al suo interno
e la luce arriva da uno spazio in alto. E’ un luogo che ha una sacralità
mai percepita prima. Quello che io chiamo: animus loci, l’anima del luogo.
Qua c’è, è fortissima, è penetrante, è in tutto ciò che esiste. Ho
trovato una pace mai sentita. Mi fa ridere chi dice di andare in India o in
Nepal a trovare se stesso. Il Nepal è meraviglioso e, in un certo senso, ho
trovato in parte me stessa in quelle terre. L’India ed io non abbiamo molte
affinità. Ma in entrambi i posti non c’è assolutamente quella pace di cui
la gente si riempie la bocca. C’è caos, disordine, casino, colori accesi,
bim bum bam, turismo, difficoltà, voci. In Oman ho trovato quella pace e
quella vicinanza alla perfezione, alla natura, forse anche a un dio, se ne
esiste uno. Qua davvero la gente può venire a sentire le proprie viscere.
Spogliarsi di tutto e stare nella natura, solo lui e lei. Dopo
l’esperienza caverna siamo stati a prendere il sole e riposarci un’oretta
abbondante, nella pozza e nei massi prima della grotta. Pensavamo che un
turista fosse morto perché abbiamo sentito un urlo provenire da dentro, e così
Silvia e Toti si sono cimentati in una profondissima conversazione sui
cadaveri che galleggiano. Siamo tornati a nuoto nella prima pozza, quella
dove abbiamo lasciato gli zaini e i vestiti. La cosa assurda è che Tutti
lasciano qua beni come reflex, tanti soldi, avere di qualsiasi tipo e MAI
hanno rubato. Detto da Toti e da Iapo, che hanno una certa esperienza. Questa
è una piccola dimostrazione sull’onestà di questo popolo. C’era una
donna tedesca alla pozza, che aspettava il marito andato in avanscoperta.
Abbiamo un po’ parlato, era stata molte volte in Italia, mi parlava della
Germania. Nel frammetre è arrivato un plotone di romanacci da vergognarsi.
Io, Toti e Silvia abbiamo fatto finta di non essere italiani. Ci siamo messi,
silenziosi e impietriti, a fissarli, mentre questi caciaroneggiavano facendosi
riconoscere subito. Uno in romano sbiascicato mi fa (pensando non fossi
italiana) “Ao te sto a fa na foto!” e con la digitalina mi mirava. Io
impassibile. Quando son passati è partita la super polemica contro gli
italiani in viaggio. Abbiamo salutato la tedeschina e siamo tornati a piedi
all’ingresso dello wadi, decisamente stanchi ma col sole un po’ calato. Il
pezzo di ritorno in macchina è stato traumatico. Tutti avevamo l’abbiocco.
Siamo arrivati a Sur, la città più vicina alla guesthouse, e Toti ha preso
il pick-up per raggiungere Iapo, per una questione loro. Io e Silvia siamo
andate al kebabbaro in cui eravamo state la prima sera arrivata
dall’aeroporto. Ai tavoli alcuni uomini, la maggior parte indiani, ci
puntavano curiosi. Io ho mimato, molto grezzamente, un chapati e di buttarci
il montone dentro, senza spezie. Immaginatevi la scena di me a gambe larghe e
ben piantate che mimo a gesti eclatanti un montone che finisce in un chapati…
Hanno capito (il mimo non sbaglia mai) e finalmente ho mangiato qualcosa di
non inzuppato nelle schifose spezie indiane. Ora… qualcosa c’era comunque.
La carne viene spennellata di qualche pepe e unzione loro. Ma almeno non ci
sono cardamomo, coriandolo, cumino, curry e quegli schifi là, che io odio
profondamente. Dopo il kebab di montone per me, e di pollo per Silvia, siamo
finite nel “centro” di Sur. Strada di polvere, case bianche e basse. Molto
ma molto diverso da Asia (dove tutto è colorato, incasinato, rumoroso, denso,
senza un centimetro libero) o da America Latina (piazza principale con la
iglesia e poi verde e natura, fontana magari al centro). Qua è tutto chiaro,
bianco, desertico. Sembra un funerale in bianco, Tutti bianchi. Siamo entrate
in questo spiazzo, che sarebbe la piazzetta centrale, e tutti, dico TUTTI gli
uomini si son girati a guardarci. Silvia mi ha detto di essersi
sentita un po’ a disagio. Io sono un più abituata, dato il colore e la
lunghezza dei miei capelli, in giro per il mondo (specie in Asia) mi guardano
come un’aliena. Quindi ero più scafata agli sguardi della gente. Lei meno,
era alla sua prima esperienza da sola con una donna tra uomini mediorientali.
Ma anche qua ho percepito una serenità e un rispetto unici… un po’ come
ho trovato in Sudest asiatico. Guardano ma non rompono le scatole, e tantomeno
si avvicinano o toccano. Stanno là e guardano. Siamo entrate in un negozio di
tessuti che, per Iapo, è il migliore della zona. Ho comprato due kefie loro a
un prezzo irriorio contrattando duro (tipo 4 euro). Sono i turbanti degli
uomini omaniti, ma li usano anche come parei, asciugaroba, tovaglie. Sono un
qualcosa di meraviglioso… Finito il giro nella piazza, seguite dagli
sguardi degli uomini, siamo andate nella via delle donne. Una via solo ed
esclusivamente fatta per le donne, con negozi di abbigliamento (rigorosamente
vestiti coprenti ma da colori sgargiantissimi e brillanti ovunque), alimentari
vari e profumerie. Un sacco di donne col bourqa passavano dalla strada, spesso
a coppie. Il muezzin ha cantato la sua preghiera. Molto suggestivo camminare
per queste strade di polvere, bianche e pulite, piene di donne col bourqa, e
le preghiere nel vento. Alla fine siamo spuntate davanti alla piccola moschea
e poi siamo tornate al kebabbaro dove ci hanno raggiunto gli altri due e siamo
tornati in guesthouse. Kikka ha preso la macchina ed è andata subito a
far la spesa. A cena abbiamo mangiato un buonissimo riso di verdure e pesce
alla brace. Si è fermato a cena anche Faiz, un amico omanita di Iapo, nonché
ranger delle tartarughe marine della zona. L’Oman è uno dei pochi paesi al
mondo ad ospitare le tartarughe verdi. Sono una specie rara. Le tartarughine,
quando nascono sulla spiaggia, seguono istintualmente la luce della luna.
Purtroppo, da quando esistono abitazioni vicino al mare, le tartarughine
seguono i neon e si perdono. Ecco che Iapo ha formato delle fosse con dei neon
vicini, cosicché le tarta, già arrivate là perché confuse, vadano verso
quella direzione anziché sulla strada o verso altre case, cadendo nella
fossa. Ogni sera poi, o la mattina, prende tutte le tartarughine e le va a
restituire al mare. Ne salva a migliaia. Faiz quindi tutela le tartarughe.
Dopo aver mangiato con le mani, all’omanita, Faiz mi ha proposto un giro
sulla spiaggia, insieme anche al suo amico Alì, per mostrarmi le tartarughe
giganti. Un’occasione unica dato il loro ruolo nella tutela delle
tartarughe. Una sola visita con loro costerebbe chissà quanto. E’ stato uno
dei momenti più belli mai avuti in viaggio. Salire sulla loro macchina, io e
loro due spiaccicati. Tutti vicini eppure lontani. Io bionda e occidentale.
Loro con la loro tunica e i loro turbanti, come predoni del deserto, le pelli
scure e la lingua diversa. Ci sorridevamo, e bastava per capirci. Avevano un
faro in macchina enorme, neanche a San Siro. Io ho riso dicendo che da noi le
macchine hanno solo una lucina minuscola. Siamo arrivati alla spiaggia e
abbiamo liberato le tartarughine nel mare: un’emozione unica. Ti senti parte
di un tutto. Finita l’operazione, a luci rigorosamente spente, abbiamo
camminato per trovare le tartarughe. La luna, quasi piena, e rovesciata (qua
è da un’altra prospettiva, non come da noi) illuminava leggermente i nostri
corpi. Una leggerissima brezza, i loro dishdasha candidi, i turbanti
meravigliosi, il nostro camminare il silenzio sotto la luna, sulla spiaggia. E
in alto, su nel cielo, quante stelle ho contato… nella notte più scura,
brillavano come gli occhi dei bambini la mattina di Natale. Mi
sentivo a casa, come in Asia. Una sensazione di pace e di sacralità. Questo
paese ha qualcosa di magico.
Nessuna tartaruga. Alì è andato a recuperare il pick up ma si è insabbiato.
Io e Faiz abbiamo aspettato dove ci trovavamo, seduti sulla sabbia. Lui ha
tirato fuori prima una pipetta omanita, antica e liscia, mai vista, da un
odore unico. Poi un Android, e mi fa “ce l’hai facebook?”. Mi ha fatto
troppo ridere! Per ammazzare il tempo ha guardato tutte le mie foto del
profilo, volendo che le commentassi una ad una. Ad un tratto è arrivato Alì
e siamo andati ad un’altra spiaggia. Nel tragitto abbiamo trovato un
gruppetto di indiani in vacanza, erano stati truffati da una guida che non gli
aveva fatto vedere nemmeno una tartaruga. Faiz ha acconsentito che loro gli
facessero da guida. Mentre andavamo alla spiaggia successiva abbiamo trovato
una strage di tartarughine in una curva, ma ne abbiamo salvate circa 200.
Abbiamo preso questa moltitudine di tarta e le abbiamo portate nel mare. Io e
Faiz ci siamo divisi e siamo andati a destra, dove abbiamo visto ben 4
tartarughe! Due stavano deponedo le uova, una aveva appena finito e una stava
scavando. Le tarta sono enormi! Lentamente si spingono nella sabbia e scavano
enormi fosse. Poi, dopo la deposizione, le coprono tutte. Infatti la terra è
smossa in alcuni punti. Le uova ci mettono 60 giorni per schiudersi e i
piccoli risalgono il metro di sabbia che li divide dall’aria aperta e,
anziché andare nel mare, spesso purtroppo seguono le luci delle case. Faiz ha
fatto uno strappo alla regola e mi ha fatto anche una foto con una tartaruga,
anche se il flash non si potrebbe usare. Le impronte che lasciano le tarta al
loro passaggio sono fenomenali: sembra un trattore, invece sono le loro zampe
e il loro guscio. Si era fatta una certa ora, era mezzanotte e un quarto,
e Faiz mi ha riportata a casa. Sono crollata a letto istantaneamente nel
momento in cui ho toccato il materasso.
Giorno 3 RAS AL HADD, 25 Ottobre 2013
Mi sono svegliata un po' più tardi stamani, e non ho nemmeno sentito il canto
del muezin dal minareto. Erano tutti svegli tranne la Silvia, giorno libero.
Essendo più tardi c'era molto più caldo di ieri. La casetta di Iapo
ribolliva come non mai. La Kikka mi ha fatto le solite uova strapazzate. Ho
mangiato con calma, godendo la bellezza del risveglio in Oman. Siamo partite
io e la Kikka oggi, con Toti come autista fino alla spiaggia. Siamo arrivati a
Ras al Jinz in pochi minuti. In una struttura stile casermone molto strana (a
detta anche di Iapo, una sorta di truffa turistica) dove non fanno ricerca
come millantano, e affittano camere a turisti per 160€ a notte con bagno
alla turca come abbiamo noi, e un materasso a terra. La struttura è ariosa e
adibita al turismo, dentro però solo due indiani e un occidentale
sessantenne. Abbiamo pagato 1 real a testa e poi il tipo ci accompagna alla
porta e fa, puntando il deserto: 500 mt far away from here. Ecco, non c'ha
proprio capito nulla. L'ho supplicato, usando le tecniche da "fai-desistere-il-poliziotto-dalla
malsana-idea-di-farti-una-multa" e alla fine ci ha accompagnato in
macchina. Un suv sudicio, ma sudicio!! Un puzzo e uno sporco mai sentiti e
visti. Alla fine mi son tappata il naso e via. Ci ha portati fino alla
spiaggia e ha puntualizzato che lui non era l'autista. L'ho ringraziato tanto
e siamo andate a piedi nella spiagge tra di Ras al Jinz, completamente deserta
come tutto l'Oman. Di una bellezza mozzafiato. Rocce enormi a picco sul mare,
con forme particolarissime, quasi pinnacoli stondati, di un ocra bellissimo.
In tutto l'Oman c'è il colore opaco. Come se la sabbia rivestisse ogni cosa.
E ciò che non è opaco è proprio bianco. L'acqua è chiara e pulita. Io e la
Kikka ci siamo messe subito in acqua e, per un paio d'ore abbiamo
chiacchierato in acqua, sulla battigia, poi di nuovo in acqua. L'argomento
principe sono state le storie d'amore... C'era una discreta corrente, perché
saliva la marea, quindi ho usato molta forza per restare sempre nello stesso
punto con le gambe. Infatti la sera avevo i muscoli stabilizzatori a pezzi.
Siamo state da dieci.. Poi è arrivato Iapo. Mi ha raccontato di quando
lavorava come archeologo in Oman, i giorni liberi venivano qua a ras al Jinz.
Dall'acqua i massi enormi sono ancora più incredibili, sembrano lá da
sempre. Dopo il bagno, e una leggera asciugatura in battigia, io e Iapo siamo
andati a fare un giro sulla spiaggia, cercando altre calette. Ma l'alta marea
stava incombendo e dovevamo aspettare che l'onda si ritirasse e poi correre
forte per evitare di essere sbattuti contro i sassi. Mentre camminavamo
abbiamo incontrato una famiglia di omaniti di Muscat fermi con la macchina
nella spiaggia. Iapo ha spiegato loro, in arabo, di sgonfiare le ruote, che è
la tecnica che usa nel deserto. Mi raccontava che alcune famiglie si
avventurano con i loro suv nel deserto o in spiagge così e poi si perdono o
non riescono più a uscire dalla sabbia. Una famiglia è morta nel deserto al
confine con l'Arabia saudita.
Tornati alla spiaggetta abbiamo fatto pacchi e pacchetti e siamo andati via.
Fortunatamente ci siamo risparmiati i 500 mt a piedi sotto il sole cocente!
Perché Iapo aveva passato la sbarra con la macchina ed era arrivato
indisturbato fino alla spiaggia. In poco tempo di macchina siamo tornati a
casa. Ci siamo presi il pomeriggio in totale relax, godendo della calma di
Casa Oman. Alle 16:30 sono uscita di casa da sola per fare un giro nel
villaggio di Ras al Hadd. Il caldo era un po' calato, ma sempre forte.
Svoltata la casa di Iapo mi sono trovata di fronte uno scenario simile all'Afghanistsn
degli anni 80. Le strade fatte di polvere, poche anime, case basse e bianche.
Vedo subito un gruppettino di bambini, sedevano con gli adulti alla base di
una fossa in cui veniva tolta sabbia da una ruspetta. Sono arrivata lá con
gran sorriso al quale non hanno ricambiato troppo dolcemente, ma con sguardi
dubbi. Ho detto però il salutato e hanno ricambiato. Allora, con la
delicatezza con cui si avvicinano gli animali tra loro la prima volta, ho
tirato fuori dallo zaino la cover del cellulare di stitch. Loro si sono
incuriositi molto. Così abbiamo cominciato a farci qualche autoscatto. Come
prima reazione, quando hanno visto se stessi nell'iPhone durante l'autoscatto,
sono scappati. Il contrario dei bambini degli altri paesi del mondo che
accorrono incuriositi. Le bambine in particolare erano un mix tra curiosità e
spavento. Ricordo in certi posti del mondo, citano le lonely planet, le
persone temono che la macchina fotografica rubi l'anima. Mi è sembrato di
percepire la stessa paura. Ma, dopo un primo inizio di rifiuto, i bambini sono
accorsi e non hanno più mollato l'obiettivo! Ho percorso le strade di Ras al
Hadd in lungo e in largo, non c'è una piazza centrale ma solo una strada
principe e poi piccolissime stradine di lato, minuscole. Tutto senza un minimo
di strada. Ma le casette sono stupende. Perfino i container dell'acqua, posti
sui tetti come in tutti i posti del mondo, qua hanno i merletti e sembrano
opere d'arte. I colori chiari: bianco, ocra, beige, fanno da padroni. I
bambini sono a migliaia. Sono a giocare sulla strada, nelle stradine laterali,
nell'unico "bar" del paese, sui pick up. Quando mi vedevano passare
avevano reazioni diverse. Non ho trovato i bambini dolci e rispettosi del sud
est asiatico. Ho trovato molti bambini-ragazzini più aggressivotti. Uno mi
stava strappando l'iPhone di mano perché voleva vedere le foto. Un altro
faceva il gesto di venirmi contro con la bici, e si scansava all'ultimo. Uno
in particolare mi ha fatto riflettere. Era un ragazzino di circa 9 anni. Mi è
venuto contro e ha fatto il gesto dei capelli coperti e mi mimava col dito
sulla bocca "zitta e vattene", urlando cose in arabo. Lo ha fatto
per qualche metro, seguendomi. Inizialmente cercavo di capire e sorridevo, poi
ho smesso e ho tirato dritto. Finché una donna lo ha sgridato forte, lui lì
per lì ha smesso, poi ha continuato qualche metro fin quando un uomo gli ha
dato il colpo di grazia urlandogli cose in arabo, e ha smesso. Le bambine
molto più timide ma anche più rispettose. Loro, spesso, non vogliono foto.
Stanno quasi sempre divisi maschi e femmine. E alcuni maschi più grandi sono
davvero molto aggressivi, tanto che picchiavano le femmine se si avvicinavano
troppo a me, o se si facevano fotografare. I piccoli hanno meno seghe mentali,
sono i grandi ad essere più incasellati, sia maschi che femmine. Ad un tratto
una bambina, estasiata, si tocca i suoi capelli guardando i miei. In testa
avevo la kefia bianca e rossa comprata a Sur, me la tolgo e le mostro i
capelli. Intorno a me si è formato un gruppetto di venti bambini. Alla bimba
ho fatto il gesto di toccarmi i capelli. Lei me li ha toccati ed era
scioccata, me li guardava estasiata. Allora gli altri, in un istante, si sono
fiondati sui miei capelli per toccarli. Me li son trovati tutti addosso e i
capelli che tiravano. Dopo, poco più avanti, ho trovato un altro gruppetto di
una trentina di bambini. Qua c'era anche un cospicuo gruppo di bambine sui
10-13 anni. Tutte velate e vestite di scuro. Quando hanno visto la macchina
fotografica hanno sgranato gli occhi spaventate e son scappate dicendo
"camera camera!". Poi son tornare e una di loro ha iniziato a
parlare con me in quelle tre parole che conosceva. Mi ha chiesto quanti anni
avessi, di dove fossi, il mio nome e poi mi ha chiesto se le mostravo le foto.
Ha allungato le sue manine di giovane donna e ha nutrito il suo sguardo delle
mie immagini sull'Oman. Una potenziale fotografa, con le stelle negli occhi, e
un velo pesante così sulla testa. La condizione della donna fa riflettere.
Iapo mi diceva che è molto diversa da ciò che viene raccontato. Ma fino a
pochi anni fa c'era l'infibulazione, le donne portano il burqa e non stanno
nei posti degli uomini, non escono con loro, non lavorano, non parlano con
altri uomini che non siano familiari. Comunque la piccola bambina velata che
parlava inglese è stata una bella perlina di questo viaggio. Le strade di
polvere, trenta bambini estasiati, e questa creaturina che non si sentiva
all'altezza di ricevere foto, solo di guardarle, che traduceva le cose che
dicevo ai suoi amici-bambini. Prima di andar via è passato un tipo omanita in
un suv costosissimo. Indossava il solito dishdasha bianco e il turbante. Mi ha
chiesto, in un inglese stento, chi fossi e dove stessi. Dopo un po' di
domande, quasi insistenti, mi ha chiesto il numero di telefono e io gli ho
dato una mail. Sono tornata a Casa Oman col tramonto. Ho aspettato cena e
abbiamo mangiato tutti insieme un ottimo pesce cucinato dalla Kikka. Dopo cena
mi hanno proposto di rivedere la tartarughe ma ho gentilmente declinato.
Giorno 4 RAS AL HADD, 26 Ottobre 2013
Finita l'opera siamo andati ad una famiglia di beduini che vive alle porte del deserto. Ci hanno accolto tre donne: due sorelle e la madre. Molto svelate, tranne la sorella maggiore che aveva solo gli occhi scoperti. Ma tutte avevano dei teli e vestiti dai colori accesissimi (giallo, fuxia, verde smeraldo). La più giovane e carina ha iniziato subito a scherzare con Iapo schizzandogli anche l’acqua del the addosso. Questo è impensabile per le donne di città. Iapo mi aveva raccontato che loro sono donne molto più avanti e aperte, paradossalmente. Nelle città (a parte la moderna Muscat) le donne non parlano con uomini. Loro fanno alcuni prodotti di artigianato e ti offrano il tchai (the) e datteri, gratis. Io ho comprato una cavigliera e due braccialetti di lana di pecora. Sono arrivati poi due beduini, uno fratello delle due ragazze e uno che Iapo non conosceva bene. Tutti e due bellissimi e sexy, mori e pelle di bronzo in quei dishdasha bianchi e turbante latte, da predoni del deserto. La donna giovane aveva uno scorpione bianco vivo in una bottiglietta vuota. A Iapo glielo aveva tirato in faccia la volta prima. Menomale era senza pungiglione, ma lui ha perso 10 anni di vita. Poi siamo entrati nelle dune, da una stradina secondaria, ormai tutta sbiadita nella sabbia, non lo "stradone per turisti” che è una strada maestra più battuta e slargata. Iapo ha fatto un parcheggio in verticale su una duna e siamo andati sulla cima alla duna più alta delle Wahiba Sands. Stava iniziando la decadenza del sole, bellissimo. Un tramonto pauroso. Il sole, quando è sceso appoggiandosi al deserto, era una palla arancione mai vista prima. Le foto non rendono giustizia. Poi é cominciato a tirare il vento dal basso. Sabbia in ogni dove. Addirittura Iapo e Kikka lamentavano di averla ovunque, anche nelle gengive. Io nei capelli, intimo, addirittura negli occhi! Siamo tornati verso casa facendoci 30 km di deserto. Io ho chiesto a Iapo dove potevo fare pipì. Lui si è fermato nel deserto, si è guardato intorno, e ha detto: trova una duna e faccela dietro. Siamo arrivati al paesino più vicino alle Wahiba dove ci hanno rigonfiato le ruote. Io e Kikka abbiamo un po' dormito. Iapo bravissimo, ha guidato tutto il tempo senza avere mai uno svarione. A Sur abbiamo ritirato i coltelli e poi siamo tornati a casa a Ras al Hadd davvero stanchissimi. Io ero a pezzi. Ci ha preparato cena Silvia, tornati era già tutto pronto. Rigatoni con gamberetti e zucchine, buonissimi. Finita cena siamo rimasti un po' a chiacchiera e a cercare cose sconce su internet, erano partite delle sfide di cultura sul porno tra me Silvia e Toti. Kikka stava malissimo, mal di testa forte, non ha neanche finito di cenare. Poi Silvia e Toti sono andati a portare le tartarughine in mare, mentre io sono rimasta sull’amaca in giardino, e hanno detto che il mare era in amore (il fenomeno del plancton nell'acqua che rilascia luci come neon), li ho odiati, avrei voluto tantissimo vederlo! La notte un po' sonnambula.
Giorno 5 RAS AL HADD - MUSCAT, 27 Ottobre 2013
Mi sono svegliata e sono rimasta un po' ad ascoltare i silenziosi suoni di
Casa Oman. La finestrella azzurra mezza aperta, il calore della stanza al
risveglio, il materasso a terra, il suono di qualche voce in lontananza. Ho
pensato a tante cose. Alla dolcezza di questa terra. Alla fortuna di averla
conosciuta. E mi sono sentita felice, viva.
Avevamo organizzato un'ultima escursione prima della mia partenza: un giro
sulla barca di Grezzolo (pescatore amico di Iapo) con anche Toti e Silvia.
Iapo mi aveva detto che sarebbe stata una bellissima giornata dato che ogni dì
avvistano decine e centinaia di delfini. Ho consumato la mia ultima colazione
omanita, ho fatto lo zaino (la stanza era diventata un magazzino) e sono
partita per il giro in barca. Abbiamo preso il pick up per 6km per arrivare al
mare e, da là, c'era Grezzolo senza maglietta ad aspettarci. Come ha detto
Iapo "loro quello che dovevano vedere lo hanno già visto", e così
anche noi ci siamo parzialmente spogliate. Purtroppo, in un'ora di viaggio,
nessun delfino. Solo qualche pesce volante e un banco di sardine che salivano
in superficie, spaventate da qualche predatore in profondità. Questo ha
confermato la mia sfiga in fatto di avvistamento animali (al Chitwan in Nepal
niente, in Amazzonia quasi niente, in Borneo idem, così ovunque) tanto
quanto, al contrario, sono fortunata per il clima.
Abbiamo fatto un ultimo bagno in laguna, davvero super relax. Silvia ha anche
trovato un pesce-scatoletta (buffissimo). Sono tornata a casa e ho terminato
lo zainetto, dopodiché siamo partiti, verso le 13, per Muscat. È stato un
lungo viaggio piuttosto faticoso, circa 3 ore e qualcosa sotto un bel caldo,
ma senza aircon e, a volte, dovevamo anche chiudere i finestrini per la
velocità. Ha guidato Silvia e abbiamo ascoltato musica italiana e successi
rock dal mio iPhone. Alla fine siamo arrivati a Muscat e abbiamo parcheggiato
in centro. Abbiamo passeggiato sul lungomare, davvero carino, e siamo andati
al suk. Il mercato al chiuso è simile al gran bazar di Istanbul. La
differenza sono le dimensioni ridotte e più carino, soprattutto meno turisti.
Ho comprato una kefia bianca a un prezzo stracciato e un anello omanita in
argento, che mettono le donne all'indice della mano (mi è stato spiegato che
ogni dito della mano ha un anello diverso con un particolare significato).
Iapo ci ha comprato anche delle mandorle buonissime che abbiamo divorato
ferocemente. Dopo la visita al suk siamo andati nuovamente alla macchina e
Iapo mi ha fatto vedere il vecchio centro storico dal finestrino. Poi siamo
andati a fare un giro davanti alla residenza del sultano. Iapo ci ha aspettate
in auto, io e Silvia invece siamo andate fino al cancello principale.
Bellissimo palazzo, illuminato come un elegante albero di Natale. Ho notato
con stupore la pulizia dell'Oman, e l'ordine. Solitamente, nella maggior parte
del mondo, i posti sono belli in quanto poetici, ma oggettivamente spesso
brutti (come molte città asiatiche o latino americane), qua invece sono
oggettivamente belli. Al cancello abbiamo fatto brevemente amicizia con una
giovane guardia che parlava perfettamente inglese. Ci ha detto che dentro è
tutto oro e che, in quei giorni, il sultano era all'estero. Tornate alla
macchina ci siamo avviate verso il ristorante turco dove Iapo usa spendere
l'ultima cena prima della partenza degli ospiti. Era l'ora di punta, un
traffico folle, e Silvia si é impaurita tantissimo perché non conosceva
ancora le strade e non la facevano passare. Alla fine siamo arrivati al
ristorante dove ci stava aspettando Faiz, che era a Muscat per un corso di
aggiornamento di qualche giorno come ranger. Iapo si era ricordato di non aver
prenotato e allora ha fatto la scenetta di prenotare al telefono mentre aveva
davanti il proprietario del ristorante, con cui poi ha scambiato grossi
abbracci data la conoscenza che li lega. La cena è stata molto carina, ed era
buffo vedere la diversità dei personaggi al nostro tavolo: dall'abbronzatissimo
e parlante arabo Iapo, alla biondissima me, a Faiz che indossava un lungo
dishdasha giallognolo, fino a Silvia con i capelli corti e le ciabatte da
mare. Davvero buffi. Faiz ci ha raccontato un po' di cose buffe. Tipo che lui
ha una cinquantina di dishdasha nell'armadio, li compra perché gli piace il
colore (come noi con le scarpe!), ma poi spesso non li mette nemmeno. Ci
raccontava che una volta ne ha comprato uno verde brillante, ma poi non lo
mette perché non gli piace essere osservato. Poi Iapo e Faiz ci hanno
raccontato che gli omaniti mangiano solo pesce freschissimo, anche quello
della mattina stessa, se congelato in frigo, è immangiabile. Iapo ci raccontó
che (mi pare Grezzolo) una volta fu invitato da un'italiana a Muscat con Iapo
e lo staff. La tipa, sapendo che fosse un pescatore e intuendo che gli
piacesse il pesce, aveva fatto la pasta col tonno Rio mare. Grezzolo ha messo
in bocca due forchettate e, alla terza, ha vomitato nel piatto. Dicevano che
gli omaniti non conoscevano malattie fino a poco tempo fa, solo ora inizia il
cancro.
Finita la buona cena a base di cose turche, schiacciate, pesce e gamberoni,
siamo andati in aeroporto. Ho salutato calorosamente Iapo e Silvia,
promettendo un ritorno a breve termine, e mi sono tutta bardata per entrare
nel gelo dell'aeroporto. Al check-in c'erano famiglie intere di indiani che
partivano con la Oman air. Avevano carichi enormi come scatoloni (fino a 8 per
persona), e file interminabili che non finivano mai. Arrivato il mio turno ho
presentato alla signorina il mio biglietto elettronico e lei mi fa
"guardi che il suo volo è appena partito, è arrivata troppo
tardi!". Io, colta da un attacco d'ansia pesante, le dico che sono
arrivata due ore e mezza prima, che il mio volo sarebbe stato a mezzanotte e
venti, che avevo ricevuto anche un sms di conferma, che ero disperata, che non
potevo restare là, che il mio amico aveva la guesthouse nel deserto (l'ho
drammatizzata). Lei fa "si calmi signorina, controllo" e, tutta
tranquilla, dopo qualche secondo mi fa "ah si aveva ragione". Ahhhh!
Stramaledetta!! Volevo connettermi a tutti i costi alla wifi dell'aeroporto
perché dovevo avere alcune comunicazioni, ma il modo di accedervi era davvero
macchinoso. Così ho fatto amicizia con una guardia che mi ha dato la sua
password wifi. Sono entrata nella zona degli imbarchi e ho caricato il
telefono seduta per terra. Poi son salita sul volo, ero seduta accanto a un
crucco frigido che andava dalla fidanzata a Bangkok, la quale lavorava là. Ho
dormito tutto il volo.