Norvegia
Racconto di viaggio 2008
“Figlio di pu**ana! Devi lasciarmi in pace!” mi grida continuamente in spagnolo il tizio seduto accanto a me sull’aereo per Oslo, mentre sto sfogliando tranquillamente le pagine della mia guida. Sinceramente non capisco da dove prenda, diciamo così, l’ispirazione, visto che non gli ho mai rivolto nemmeno la parola, ma basta guardarlo in faccia per capire che è un tipo losco da cui stare lontani, e noto che tiene stretta tra le braccia una valigetta a cui non vuole che nessuno si avvicini. Chissà cosa contiene… meglio non cercare di scoprirlo.
Così imparo a salire sull’aereo per ultimo per evitare la ressa: mi toccano sempre i posti peggiori…
Conosco gli attaccabrighe, e so come trattarli, quindi non gli rivolgo più nemmeno uno sguardo a differenza degli stewart che gli servono continuamente lattine di birra senza battere ciglio; salvo poi litigare con lo stesso quando questi continua a volersi alzare per andare in bagno mentre l’aereo è in fase di atterraggio…
Così comincia il mio in viaggio verso la Norvegia, tanto per ricordarmi che non bisogna mai abbassare la guardia, ma sempre guardarsi intorno, pronto a sorridere a chi mi sorride e a difendermi da chi mi vuole male.
Salgo sul pullman che per la modica cifra di
ventitre euro mi porterà in città, sperando di non ritrovarmi di nuovo accanto
il mio amico, ma sarà difficile. E’ stato fermato alla dogana e portato in
uno stanzino secondario dal quale non l’ho più visto uscire.
E così eccomi nella capitale, che molti chiamano ancora Christiania, l’antico nome che fa molto tendenza. Divido la camera dell’ostello con Gianni e MariaRita, due pugliesi in giro con l’interrail, con cui ci scambiamo subito le classiche informazioni da backpackers: dove sei stato, dove hai dormito, quanto hai pagato, era bello o brutto… loro hanno davanti l’Europa orientale, mia vecchia conoscenza, io questo paese il cui nome, Nor-Way, indica un punto cardinale ed una direzione ben precisi. Anche se non fa freddo, anzi, mi sorprendo a girare in pantaloni corti e maglietta quando mi aspettavo ben altro clima… ormai il riscaldamento globale non fa sconti a nessuno.
La cosa che colpisce subito è l’assenza di traffico. Ci sono più biciclette che auto in questa città in cui si può tranquillamente attraversare la strada senza guardare. E poi, chiudere gli occhi è piacevole, gli altri sensi si attivano subito: vieni colpito dall’odore di pesce delle cucine, dall’aria fresca che ti solletica la pelle, dal tipico verso dei gabbiani che, nel mio immaginario, hanno sempre annunciato la presenza del mare ancora prima di vederne le bianche creste delle onde o di percepirne il profumo di salsedine.
Mare che qui non manca: Oslo si trova su un ampio golfo del Mare del Nord, e in lontananza, dall’alto della collina dove si trova la fortezza di Akershus, si possono vedere isole lontane, barche a vela, navi da crociera che arrivano e partono in continuazione. Sull’Aker Brygge, il molo dove sono noleggiate tante barchette/ristornate, c’è un fila infinita di bar, caffetterie, localini… la tentazione di sedersi è forte, ma basta buttare un occhio al listino dei prezzi e subito la mia espressione si tramuta in quella del famoso quadro di Munch (indovinate dove era nato…)
"Se di notte senti dei rumori, non
farci caso. E' soltanto un fantasma, non c'è da preoccuparsi".
Così mi dice la ragazzona che gestisce
l'ostello a Trondheim, terza città del paese e grosso polo universitario. Nel
resto dell'anno questo edificio è un dormitorio per studenti, e si narra che
qui, negli anni 30, un certo S. Moller sia misteriosamente scomparso, e che il
suo spirito aleggi ancora per i corridoi a infastidire gli ignari viandanti. Ma
io ho troppo sonno, dopo otto ore di treno, per badare a queste cose, e nemmeno
l'incessante cicaleccio di due ragazze nel mio dormitorio riesce a distogliermi
da una sana pennichella.
Questa città, che si legge come si scrive
(e non Trond-haim come dicono molti turisti, non siamo in Inghilterra...), è
molto verde; ovunque ci si imbatte in parchi, giardini, panchine e beata gioventù
che si gode la breve stagione estiva. C'è anche una collina, dominata
dall'immancabile fortezza, da cui si gode un bel panorama della città. E, nel
caso foste uno dei tantissimi ciclisti, potete usufruire persino di un impianto
di risalita per biciclette. E' una specie di binario da cui, inserendo poche
monete in una fessura, escono dei ganci che bloccano la vostra bici e la
trasportano fino in cima alla salita, in modo che voi possiate salire
tranquillamente a piedi. Si può trovare anche questo in un paese il cui governo
ha dichiarato guerra alle auto e a tutto ciò che possa vagamente inquinare...
In centro c'è anche una gara ciclistica, i
cui protagonisti sono dei bambini agghindati con tanto di divisa e pettorale.
Divisi per fasce di età, si accalcano al nastro di partenza sgomitandosi in
attesa del via, mentre, fuori dalle transenne, i genitori gridano e li
incoraggiano. Alla partenza scattano decisi e spariscono dietro una curva, per
ricomparire trafelati dopo alcuni minuti, vidimare il primo giro e ripartire
verso la vittoria. Ma qui lo scopo è partecipare; alla fine tutti si
abbracciano e si scambiano i premi, sembra che non esista il tifo contro, ma
solo quello a favore, dei propri figli, o degli amichetti (e amichette) meno
forti.
E così un'altra giornata passa, mente al
bar dell'ostello, tra una birra e una pizza, attacca a suonare dal vivo una
delle tante bande rock del Nord Europa. E il basso è così forte che fa tremare
i muri (o forse è il fantasma...?)
Aggettivi come "piatta",
"noiosa", "insignificante", sono fin troppo esuberanti per
descrivere Bodo, che sembra una di quelle città fantasma che si vedono nei film
western, con le porte dei saloon che sbattono a vuoto mentre il vento solleva la
polvere dalle strade deserte. Secondo la guida ci dovrebbero essere 40.000
abitanti; ma dopo aver incontrato la ragazza dell'ufficio turistico e l'allegro
marocchino alla reception della mia guesthouse, mi domando dove siano gli altri
39.998. Le strade sono deserte; dietro i banconi, i negozianti guardano annoiati
i loro esercizi vuoti; perfino il centro commerciale sembra abbandonato a se
stesso. In fondo questo è solo un luogo di passaggio, ultimo avamposto della
ferrovia da cui partono i traghetti per le isole Lofoten, la principale
attrattiva della zona, e forse di tutta la Norvegia. Ma dopo altre dieci ore di
treno ho bisogno di fare due passi, così cammino pigramente lungo la banchina
del porto, scambiando reciproci sguardi di saluto con gli altri passanti, tutti
turisti alcuni dei quali indossano magliette con le maniche corte. Anche se a
quest'ora tira una bella arietta: siamo sopra il Circolo Polare Artico, e il
vento gelido si fa sentire con forza. Stringendomi nella giacca a vento, mi
domando come sia questo posto d'inverno, quando il sole non sorge mai, la neve
scende abbondante, e fa così freddo da far ghiacciare perfino i fiumi. Se
d'estate Bodo è così allegra e vivace, chissà nel resto dell'anno...
Questo posto è così triste che non c'è
nemmeno un Burger King. Il Kebab è chiuso, la pizzeria è chiusa, mi ritrovo a
curiosare di fronte alle vetrine di un sexy shop in bella mostra sulla strada
centrale prive anche delle solite tende (tanto non ci sono passanti...). Alla
fine mi infilo da Subway, dove devo quasi destare dal suo torpore una grassoccia
cameriera che appare seccata di dover mettersi a lavorare.
E poi c'è la luce, tanta luce, forse
troppa. Il fenomeno del sole di mezzanotte è gia finito, ma anche dopo il
tramonto il cielo non diventa mai buio, è sempre illuminato a giorno, ed è
impossibile distinguere le due di notte dalle due del pomeriggio senza guardare
l'orologio. Sicuramente è un fenomeno affascinante, sconosciuto dalle nostre
parti, e che ti permette di girare fino a tardi senza perderti i panorami; ma è
anche fastidioso almeno per chi, come me, è abituato a dormire al buio. Penso
che l'organismo abbia bisogno dell'alternanza luce/buio per svolgere le sue
funzioni, e la luce perenne, a lungo andare, sballa i bioritmi. In Norvegia,
poi, non si usano tapparelle nè persiane, ma semplici tendine a fiori che certo
non aiutano; forse gli abitanti se la godono, sapendo che dopo pochi mesi li
aspetta la notte polare, ma io ne farei volentieri a meno. Per fortuna non
viaggio mai senza la mascherina per gli occhi, così la notte passa veloce ed è
di nuovo ora di muoversi, di salire sul traghetto per le Lofoten.
Le isole Lofoten... se avessi saputo cosa mi aspettava laggiù, non avrei aspettato tanti anni per andarci.
La A è la prima lettera dell'alfabeto.
Metteteci un pallino sopra, leggetela "o" come in Roma, e avrete
l'ultima lettera dell'alfabeto norvegese. Ma Å è anche il nome dell'ultimo
paese delle Lofoten; ultimo nel senso che dopo non c'è più niente, la strada
finisce lì, poi il muro delle montagne si alza del mare e non si può andare
oltre. Å è un villaggio incredibile, con le sue casettine rosse costruite su
palafitte in quelle ancguste strisce di terra tra le montagne ed il mare che gli
abitanti sono riusciti a sfruttare. Le costruzioni si riflettono sull'acqua con
spettacolari giochi di luce, mentre i gabbiani fanno a gara per accaparrarsi le
briciole di pane che i turisti lanciano loro... sembra di essere nel paese delle
favole. Non girano auto, e le strade non hanno nome; ogni casa ha un cartello a
forma di pesce con scritto il nome del proprietario, e tutte le cassette della
posta si trovano in una specie di cappella centrale dove gli abitanti si recano
a ritirare la corrispondenza.
Si narra che il paese sia conteso tra due
famiglie rivali; e già mi rivedo in "Per un pugno di dollari",
novello Clint Eastwood deciso a riportare l'ordine a modo mio, aggirandomi per
le stradine con fare guardingo, pronto a schierarmi per il clan che si rivelerà
più danaroso (e con la figlia più carina), quando vengo riportato alla realtà
dalle caciare delle comitive di turisti italiani che si richiamano a vicenda
alla ricerca di un posto per mangiare...
Anch'io ho fame: causa traghetto non ho
mangiato ancora niente oggi, e l'unico negozio del villaggio è ancora chiuso;
così non mi resta che entrare nell'unica taverna, dove un piatto di pesce a
buffet e una bottiglia d'acqua mi costano appena trenta euro, ma i languidi
occhioni blu della cassiera fanno volare le ali della mia fantasia verso alti
lidi, scordandomi ben presto della vile pecunia.
La giornata è bella, caso molto raro per
questi luoghi, così ne approfitto per salire sulla collina e osservare il
panorama: in lontananza si scorge il possente maelstrom, un insieme di gorghi
causati dal dislivello dei fondali dei diversi fiordi, che crea un specie di
cascata dentro il mare stesso. L'acqua ribolle, si alza e si abbassa creando
vortici minacciosi che nei millenni hanno sempre tenuto lontani i navigatori,
nelle cui mappe questa zona era indicata col disegno di un terribile mostro
marino.
Sei chilometri più a nord si trova il
villaggio di Reine, che secondo i depliant turisitici rappresenta il panorama più
bello di tutta la Norvegia. E in effetti è un luogo davvero incantevole:
incastonato tra alte vette che lo circondano come una corona, il paese occupa
una posizione straordinaria, ed è perfino difficile trovare il punto migliore
per fotografare, perchè ad ogni angolo si apre una nuova, incantevole veduta di
questo spettacolo creato dalla natura con l'aiuto dell'uomo. Purtroppo il tempo
è peggiorato, è diventato molto nuvoloso, e mi chiedo come sarebbe se il sole
accendesse tutti i colori... ma forse è meglio così. La realtà non è mai
bella quanto l'immaginazione, e sono comunque contento di aver pedalato fino a
qui per osservare questo luogo magico, dove cielo, terra e mare si fondono nel
grande disegno di Madre Natura.
Il termine "Venezia del Nord" è
un po' abusato, e ricordo di aver visitato almeno quattro o cinque città che
fruivano di tale appellativo senza meritarselo particolarmente. Lo stesso si può
dire del villaggio di Henningsvaer, costruito intorno ad un canale privo di
ponti, sui cui due lati si affacciano le solite casettine di legno rosso delle
quali, pur abituandosi a guardarle, non ci si stanca mai. Sono dette rorbu,
termine che in origine indicava una modesta abitazione di pescatori costruita su
palafitte in riva al mare, ma che oggi viene usato per attirare i turisti in
qualsiasi costruzione di colore rosso dall'aria vagamente pittoresca. Forse più
che il paese è interessante la strada che lo raggiunge, un susseguirsi di
tornanti e ponti a schiena d'asino che collegano tra loro le miriadi di isolette
dell'arcipelago. Il mare è costellato di isolotti, e all'orizzonte si vede la
terraferma; o forse sono altre isole: qui il territorio è talmente frastagliato
che è impossibile distinguere le due cose. Fuori dal villaggio si vedono le
caratteristiche rastrelliere di legno su cui gli abitanti, in autunno, appendono
i merluzzi ad essiccare per trasformarli in stoccafissi. La pesca è ancora la
principale attività di queste isole, e ovunque ci si giri, si vedono famiglie
armate di canna che si aggirano alla ricerca dei posti migliori per appostarsi.
Ogni paese ha almeno un negozio specializzato in aritcoli da pesca, e chiunque
non sia capace di catturare pesci qui è considerato alla stregua di un paria.
Nonostante il clima sia come al solito
grigio, trovo la voglia di salire ancora su un altro autobus, questa volta
diretto a Svolvaer, il capoluogo delle Lofoten. Questa città pittoresca con i
suoi quattromila abitanti sembra quasi una metropoli in confronto agli sperduti
villaggi di cui queste isole sono costellate. Qui c'è addirittura una banca
(!), ed un negozio di souvenir, dai prezzi ovviamente proibitivi. Dopo aver
curiosato tra le tante scuole di arrampicata e sport estremi (le montagne a
picco sul mare offrono molte possibilità agli apassionati del genere) raggiungo
il piccolo porto, dove un maestoso fischio mi annuncia l'arrivo dell'
Hurtigruten. Questa nave da crociera rappresenta un mezzo di comunicazione
vitale per la Norvegia, e il suo arrivo è sempre accompagnato da grande
curiosità e trambusto. In origine la nave fungeva da battello postale, e
partendo da Bergen, risaliva tutta la costa oltrepassando Capo Nord e arrivando
dopo una settimana a Kirkenes, ultimo avamposto della taiga norvegese al confine
con la Russia. Oggi la flotta dispone di undici navi, per cui ogni giorno c'è
una partenza dai due capi opposti; naturalmente l'Hurtigruten è molto gradito
anche ai turisti, ma non ha perso la sua funzione originale e tutto l'anno
trasporta merci, combustibili, pezzi di ricambio verso trentaquattro porti:
alcuni molto grandi e importanti, altri sperduti tra isole remote e baie
nascoste. Io cerco sempre di andarne a vedere almeno uno in ogni località che
tocco, perchè l'arrivo della grande nave mi ricorda molto le diligenze del
far-west, che col loro arrivo nei vilaggi sperduti creavano sempre un grande
trambusto tra merci da caricare, scaricare, nuovi passeggeri, posta da
distribuire, e il paese si risvegliava dal consueto torpore come se sbocciasse,
per poi appassire subito dopo la partenza della vettura, e tutto tornava ad una
calma piatta. Come piatto, e grigio, è il cielo eternamente nuvoloso di questi
luoghi.
"Se la Norvegia fosse il Nepal, ci
sarebbe una strada che va sull'Everest". Così scrive la LP, ed in effetti
l'ingegneria civile in questo paese non ha eguali. Non ci sono catene montuose,
canyon, bracci di mare che non siano superati da un nastro d'asfalto. Le
montagne sono aggirate da strade tortuosissime con decine di tornanti
vertiginosi, oppure bucate da modernissime gallerie (ce n'è persino una di 24
chilometri!). Le isole sono collegate tra loro da spettacolari viadotti, o, dove
i ponti non arrivano, da chilometrici tunnel sottomarini, alcuni dei quali
scendono anche a centocinquanta metri sotto il livello del mare. E poi,
naturalmente, ci sono i traghetti. E' impossibile guidare per più di due/tre
ore senza arrivare ad un porto dove file interminabili di moto, auto, camper,
camion aspettano pazientemente il loro turno, che può arrivare anche dopo
diverse ore se non ci si organizza bene con gli orari. Io non ho questo
problema, perchè gli autobus sono sicnronizzati con i traghetti, e hanno la
loro corsia preferenziale ed un posto sempre garantitio. Così posso scendere e
respirare un po' d'aria, che cura la mia chinetosi. Buffo che uno che soffra il
mal di mare, d'auto e d'aria cerchi sempre di viaggiare così tanto; dev'essere
come per quei claustrofobici che vanno a visitare le grotte, cercando di
superare i propri limiti per evitare di restarne prigionieri. Dobbiamo sempre
fare le cose che ci fanno paura.
Lasciata Fiskebol, ultimo avamposto delle
Lofoten, il traghetto arriva nel piccolo porto di Melbu nelle Vesteralen, altre
isole molto meno conosciute al turismo di massa (per fortuna) ma altrettanto
spettacolari. E spettacolare è l'incredibile muro di pietra che si vede
dall'altra parte del braccio di mare che separa i due arcipelaghi: è il muro
occidentale delle Lofoten, blocchi verticali di roccia di cinque-seciento metri
che escono dal mare formando una barriera immensa. Uno spettacolo lungo molti
chilometri, che si può ammirare lungo tutta la strada da Melbu fino a
Stokmarknes. Io, con la mia solita fortuna, sono seduto sul lato sbagliato del
pullmann, e accanto a me si è seduto un ciccione dalla mole impressionante, che
dopo due secondi ha cominciato a dormire della grossa, così devo piegare la
testa come un contorsionista per osservare quel panorama e cercare di scattare
qualche foto. Qui, in effetti, sarebbe utile avere un'auto per potersi muovere
liberamente, ma quando, arrivato nella città di Sortland, mi informo sui costi
di un noleggio, mi dico che, in fondo, le auto sono troppo inquinanti: meglio
usare i cari, vecchi, mezzi pubblici per il bene dell'ambiente...
Ho fame. Ho freddo. E' tardi. Ho camminato
tutto il giorno su e giù per colline e boschi, e stasera voglio mangiare come
si deve. Sono stufo di cucinare le solite paste insipidi nelle solite tristi
cucine dei soliti pensionati studenteschi adattati ad ostello. Stasera intendo
mangiare del cibo vero, così eccomi di fronte alla vetrina di Peppe's Pizza,
una catena di pizzerie diffusa in tutta la Norvegia, le cui allegre insegne
spiccano nelle strade di ogni città. Così, ho trotterellato bel bello fino
all'ingresso della filiale di Harstad, capoluogo delle Vesteralen, e mi accingo
ad entrare quando uno sguardo al menu mi lascia perplesso; forse non ho letto
bene. Invece sì: la pizza più economica, senza bevande nè coperto, solo la
pizza insomma, in questo locale per teen-ager nella triste periferia di una
sperduta cittadina di cui molti norvegesi non sanno nemmeno l'esistenza, costa
200 corone. Ora, poichè servono otto corone per mettere insieme un euro, non è
difficile capire che il prezzo è di venticinque euro. Ed è pure in offerta
speciale! Ora, io sicuramente sono un tipo dalle braccine corte, e qualche volta
eccedo nel voler risparmiare a tutti i costi, ma in tutta onestà non ho nessuna
intenzione di tirar fuori venticinque euro per una pizza, fosse anche in
formatio gigiante. E così, imbacuccato nella mia giacca a vento, mi calco la
berretta di lana sulla testa e vago per le strade deserte, finchè trovo una
specie di edicola multi-uso che vende anche cibo take-away, dove con otto euro
arrivo a permettermi un hot-dog e una bottiglietta di coca. La Norvegia è così,
un posto dove è impossibile spendere poco. Qui tutto è caro; ho imparato, però,
a distinguere le cose che sono ragionevolmente care da quelle che lo sono in
modo esagerato, oserei dire "senza vergogna". Così, non mi sorprendo
più se, al bar della stazione, una bottiglia di acqua naturale piccola (da
mezzo litro, per intendersi) costa tre euro. Finita quella, la si riempie dieci
volte al rubinetto finchè non è da buttare. Un biglietto dell'autobus per fare
due chilometri? Sei euro, oppure fai la salita a piedi con le borse della spesa
sottobraccio. Di sicuro i norvegesi hanno stipendi proporzionati, perchè non ho
visto nemmeno un mendicante in giro; ma per me questa situazione sta diventando
irritante. Capisco quelli che spendono tanto per fare vacanze lussuose, ma io
qui mi sto rovinando per fare la vita da barbone...
Così, non mi rimane che tornare mestamente
in ostello, far scaldare il thè e metterci lo zucchero che ho preso di nascosto
dalla cucina di un altro ostello, sognando il sapore di una birra fresca mentre
cerco di vedere il tramonto. Ma resto nuovamente deluso perchè qui, a
sessantanove gradi e rotti di latitudine nord (punto più settentrionale del mio
viaggio), il sole non tramonta mai, e il cielo resta sempre luminoso al punto da
non dover nemmeno accendere la luce. E' bello, certo, molto affascinante, ma
prendere sonno può rivelarsi un'impresa, specie senza la classica birretta
della sera...
Mi piace il treno. E' il mezzo di trasporto
che preferisco, perchè mi permette di prendermela comoda, mangiare, dormire,
chiacchierare con la gente. E' uno spaccato della società, dove puoi osservare
i veri abitanti di una nazione nella loro vita quotidiana. Intanto, fuori scorre
lentamente il paesaggio, e ogni piccola stazione, ogni villaggio, rappresenta un
traguardo, un punto sulla cartina che ti da l'idea del progredire, dell'andare
avanti, sensazione che, su un aereo, è del tutto sconosciuta. Ci vogliono dieci
ore per ritonare a Tronhdeim, verso sud, dove avrà inizio la seconda parte del
mio viaggio. Ma il treno è comodo: le Norges Statsbaner forniscono ad ogni
passeggero un kit formato da plaid, mascherina per gli occhi e tappi per le
orecchie. Un altoparlante annuncia ogni fermata, ti dice da quale lato dovrai
scendere, e ti informa sulle eventuali coincidenze. Un display elettronico
visualizza l'altitudine della stazione, l'orario attuale e l'ora del previsto
arrivo. Per il cibo, c'è l'elegante vagone ristorante. Cosa si può chiedere di
più?
Arrivo a Trondheim, dove prendo il treno per
Oslo. Salgono dei ragazzi in tuta, dev'essere una squadra di calcio che va ad
una partita. Sale anche la loro accompagnatrice, una donna tanto grassa da
occupare da sola due posti (quelli accanto a me, naturalmente). Spero di
riuscire a scendere a Dombas, dove mi aspetta un'altra coincidenza, stavolta per
Andalsnes. Questa tratta si chiama Raumaline, ed è una delle tante linee nate
per trasportare le merci dai villaggi dell'interno verso i porti marittimi, oggi
usate soprattutto dai turisti per la loro spettacolare scenografia. Un
altoparlante annuncia in diverse lingue ciò che stiamo per vedere: di volta in
volta una cascata, un ponte a precipizio su un canyon, una montagna che svetta
imperiosa a picco sui binari. Il treno effettua appositamente delle fermate per
permettere ai passeggeri di fotografare, ma bisogna essere veloci a mettersi
davanti al finestrino prima degli altri e resistere alle gomitate e agli
spintoni della calca.
Altro pullmann, altri chilometri. Finalmente
arrivo ad Alesund, graziosa località con le palazzine in stile liberty e i
magazzini multicolore che si riflettono sui canali interni. In teoria, questo
dovrebbe essere un vivace centro culturale della Norvegia; in pratica, è la
solita città fantasma, che pare abbandonata a sè stessa. Meglio così: ho
sempre odiato i luoghi affollati, mi fanno venir voglia di scappare via di
corsa.
Sono in viaggio da ventisei ore ma non posso
riposarmi: è sabato pomeriggio e devo affrettarrmi a fare la spesa. Ho notato
due cose strane nei supermercati norvegesi. Primo: le cassiere sono sempre
brutte; forse è una regola delle assunzioni, perchè le norvegesi brutte
bisogna proprio andarle a cercare bene. Secondo: non c'è la carne in scatola.
Ci sono tantissime varietà di pesce (ovviamente), ma la carne si trova solo al
banco della macelleria; e io non posso mica comprarmi dei filetti e metterli
nello zaino (oltre al fatto che dovrei accendere un mutuo...). Così la cena si
compone della solita pasta condita con la solita scatoletta di sardine al
pomodoro (ma almeno nella cucina di questo ostello c'è il sale...), e il solito
pezzo di formaggio con l'insalata. Mangio in compagnia di una coppia spagnola
che, come la maggior parte dei turisti, fa un itinerario inverso al mio, da sud
verso nord. Così, avviene il solito prezioso scambio di informazioni: dove sei
stato, cos'hai visto, dove hai dormito, quanto hai pagato... nessuna fonte di
notizie può essere più aggiornata e affidabile di un backpacker che è stato
nella tua prossima tappa il giorno prima. I due ragazzi mi dicono di essere
stati anche alla base del Preikestolen, ma di aver trovato due giorni di pioggia
ininterrotta e di aver rinunciatio alla salita. Questa è una brutta notizia: il
Preikestolen è la meta principale del mio viaggio, il vero motivo per cui sono
venuto fin qui, e l'ho lasciato per utlimo proprio per fare un percorso in
crescendo. Sono venuto in Norvegia appositamente per salirci e, se dovessi
trovare anch'io la pioggia, questo sarebbe stato un viaggio solo a metà.
Tra l'altro, sto cominciando a pensare che
la sfortuna mi abbia raggiunto: non appena arrivato in ostello mi si sono rotti
gli occhiali, che ho riparato alla bell'e meglio usando una forbicina come
cacciavite e un lembo di una maglietta per tenere insieme lenti e montatura. E,
quando finalmente un timido raggio di sole ha fatto capolino tra le nuvole, e ho
salito di corsa i quattrocentodiciotto gradini che portano in cima al belvedere
appena in tempo per vedere l'Hurtigruten che partiva, mi sono finite le pile
della maccchina fotografica...
Non ho mai capito perchè la gente dia
sempre da mangiare agli animali selvatici. Secondo me è una cosa sbagliatissima.
Mi trovo a Hellesylt, il classico paesino da trecento abitanti che, durante
l'alta stagione, diventano trentamila. Questo succede perchè da qui parte il
traghetto che va a Geiranger, altra località sperduta tra le montagne, che non
sarebbe di nessun interesse se il Geirangerfjord, la sottilissima striscia
d'acqua che collega i due villaggi, non costituisse uno dei luoghi più
panoramici della Norvegia, tanto che i traghetti che lo percorrono sono sempre
stipati all'inverosimile. Sul mio c'è un gruppo di turisti giapponesi che,
invece di osservare le ripide montagne, le cascate, i villlaggi abbarbiccati
sulle rocce, passano tutto il tempo a lanciare pezzetti di pane ai gabbiani, che
a decine svolazzano sopra la nave formando quasi una cortina impenetrabile. Mi
vengono in mente almeno sei buone ragioni per condannare questa pratica: non
ultima quella per cui i volatiili, una volta satolli, continuano a scagazzare
sulle nostre teste. Ma credo mi sarebbe difficile spiegarle agli orientali che
si sporgono perfino dalla balaustra, rischiando di cadere in acqua, per il solo
gusto di fotografarsi a vicenda mentre lanciano in aria le briciole (quando
anche non sono panini interi...) sperando che qualche gabbiano scenda in
picchiata per prenderle al volo. Mi domando se, per loro, sia valsa la pena di
farsi tante ore di aereo solo per questo.
Anche l'Hurtigruten fa una lunga deviazione
dal suo percorso lungo la costa per attraversare il fiordo, a puro beneficio dei
turisti. Qui, vette imponenti si alzano altissime sopra l'acqua, e immagino che
gli esperti di arrampicata si divertano un mondo a risalire queste pareti che,
di per loro, non sono molto alte, ma per la loro posizione a picco sul mare sono
davvero impressionanti. E poi ci sono le cascate, che precipitano altissime
dalle vette, grazie ai nevai che si formano durante l'inverno. Da una montagna
in particolare ne scendono sette, tutte ravvicinate, che sono state chiamate
"le sette sorelle". Dall'altro lato del mare (che qui è largo solo
pochi metri e sembra davvero un fiume), si nota una roccia dalla forma strana,
simile ad una bottiglia. Si narra che un gigante, innamoratosi delle sorelle, le
corteggiò ma venne respinto da tutte quante; così, per consolarsi si attaccò
alla bottiglia e rimase lì ad osservarle, finchè divenne parte della montagna
stessa. In questa terra dalla cultura ancestrale, moltissime sono le leggende
legate ai troll, alle fate, ai miti che si perdono nella notte dei tempi; e per
ogni lago, montagna, o sasso dalla forma strana, c'è una storia che ne racconta
l'origine.
Arrivo a Geiranger, dove il mare finisce
formando una baia che viene usata come immagine da copertina per tutti i
depliant della Norvegia, con la classica nave da crociera ancorata al largo. Il
luogo, in effetti è molto scenografico, e mi domando come apparirebbe col sole
ad illuminarlo; invece il cielo è grigio (stranamente...) e le nuvole sono così
basse da coprire le cime delle montagne. Questo villaggio si trova a quasi cento
chilometri dalla costa atlantica, tanto il mare è penetrato all'interno. I
fiordi in origine erano dei ghiacciai, che col passare dei secoli hanno scavato
le montagne creando prima delle valli, e formando poi dei fiumi che sono
arrivati fino al mare aperto, allargandosi man mano. Queste baie così nascoste
nell'entroterra venivano usate dai vichinghi come basi per le loro scorrerie; e
infatti questi villaggi praticamente inespugnabili sono tutti di origine
vichinga. Fino a pochi anni fa nessuna strada li raggiungeva, e l'unico modo per
arrivarci era via acqua; ma oggi, con l'avvento del turismo, si vedono decine di
autopullmann parcheggiati nei grandi piazzali, coi turisti entusiasti di
scattare foto dalle strade impervie che, grazie a infiniti tornanti, scavalcano
le montagne e raggiungono questi villaggi che ormai non hanno più niente di
genuino.
"Mi dà un panino col salmone?"
"Certo! Ne vuole anche uno coi
gamberetti?"
"Va bene, grazie. Si può avere un po'
di maionese?"
"Ecco qua. Sono dodici euro"
Questo è un dialogo tipico che si può
ascoltare nel mercato del pesce di Bergen, che ogni giorno viene allestito nella
piazza centrale e dove venditori e compratori sono quasi tutti italiani. E'
forse l'unico posto in tutta la Norvegia dove si riesce a mangiare spendendo
poco, e anche bene, poichè tutto è base di pesce. Si possono acquistare
polipi, granchi, salmoni; qualsiasi cosa viva nell'acqua è presente sui banconi
delle decine di bancarelle che vengono prese d'assalto all'ora di pranzo; molti
chioschi, infatti, vendono panini in cui, invece dei classici salame o
prosciutto, si trovano salmone, gamberi, merluzzi, e persino carne di balena,
scura e dall'aspetto simile al roast-beef. La Norvegia è uno dei pochi paesi al
mondo che pratica ancora la caccia alla balena, retaggio del periodo in cui i
pescatori degli sperduti villaggi settentrionali non avevano altro mezzo di
sostentamento. Oggi anche molti norvegesi di città guardano di cattivo occhio
questa pratica, ma i pescatori ribattono di farlo per puro sostentamento, e non
a livello industriale, e che i bigotti di città dovrebbero provare a vivere
loro in un posto dove per sei mesi all'anno ci sono due metri di neve ed è
piuttosto difficile fare arrivare il cibo dall'entroterra. Io non l'ho mangiata,
ma ho visto molte persone ordinarla, anche solo per curiosità. In effetti la
tentazione esiste, ma penso che se ogni turista che va a Bergen ne ordinasse un
panino, le scorte finirebbero in fretta.
Questa città è infatti la principale meta
turistica del paese, oltre che la seconda in ordine di grandezza, e le sue
strade sono affollate di persone giorno e notte. Questa è la principale
differenza che si percepisce tra Bergen e il resto della Norvegia: qui c'è
vita. gente, rumore. Le strade e le piazze sono gremite, oltre che di turisti,
anche da gente del posto, soprattutto giovani, che passeggiano, siedono ai
tavolini dei bar, affollano i concerti all'aperto. Questa è una città viva,
pulsante, dai mille angoli nascosti, che per molti vale da sola un viaggio in
Norvegia. I pittoreschi edifici del Bryggen, l'antico porto, sono il simbolo
della città, ed è molto piacevole passeggiare tra le casette multicolori
curiosando tra i negozietti e le botteghe che hanno sostituito i magazzini. Per
quattrocento anni Bergen ha fatto parte della Lega Anseatica, e ne ha
rappresentato il principale porto del nord Europa. Nei suoi edifici di legno si
faceva girare l'economia, scambiando pesce essiccato e minerali con grano e
verdure.
Mentre mi aggiro tra le stradine e le piazze
acciottolate, mi guardo intorno sperando di incontrare Ina, la fidanzata di
Eirik dei Kings of Convenience, che qui a Bergen hanno girato quasi tutti i loro
video. Peccato solo che qui le ragazze le assomigliano un po' tutte (e non mi
dispiace affatto...) Tra l'altro, in Toxic Girl, dove Ina ha il ruolo della
protagonista, si vede anche la funicolare che sale in cime al monte Fløyen, da
cui si gode un panorama eccezionale. Vado alla stazione di partenza, dove
impiego cinque minuti solo per raggiungere la fine della coda di persone in
attesa di salire; meglio tornare in serata, quando il solito diluvio ha lasciato
il posto ad un pallido sole e sono riuscito finalmente a trovare un pub
economico, dove una birra piccola costa soltanto otto euro...
"Norway in a Nutshell" è il nome
del pacchetto di viggio più popolare da queste parti. "La Norvegia in un
guscio di noce", così chiamato perchè in un giorno riesci a vedere tutte
i luoghi più interessanti di questa parte del paese che è certamente le più
ricca di attrattive naturali. E tutto con mezzi pubblici: treni, pullman,
traghetti, percorrendo un giro completo con partenza e ritorno a Bergen. In
realtà non è un vero e proprio viaggio organizzato, ma solo un carnet di
biglietti che assicurano il posto sui vari mezzi. Di solito non uso queste
soluzioni ma temo che, comprando i singoli biglietti, rischierei di restare a
piedi causa l'altissima affluenza di persone: all'ufficio turistico ho fatto
un'ora di coda solo per prenotare...
Oggi è la prima vera giornata di sole che
ho trovato (e sono già al mio quindicesimo giorno di viaggio), ed è l'ideale
per apprezzare a pieno i paesaggi ed i colori. Da Bergen andiamo in treno fino a
Voss, la capitale degli sport estremi, poi da qui in pullman fino a Gudvangen.
Sull'autobus cerco di abbordare due olandesine sedute dietro di me, ma le nostre
chiacchiere si interrompono quando percorriamo la Naerøydalen, una strada di
montagna tortuosissima, con tornanti così stretti che il pullman deve compiere
molte manovre per riuscire a superarli. Sotto di noi si apre uno spaventoso
precipizio, e in lontananza fanno capolino le casette dei villaggi costruiti tra
due pareti di roccia dove sembra impossibile che siano riusciti a costruire una
strada.
Segue il traghetto per Flåm, un paesino
sconosciuto prima dell'avvento del tursimo di massa, ma che oggi pullula di
alberghi, negozi, guide turistiche. Per raggiungerlo si naviga infatti sul
mitico Sognefjorden, che non è il fiordo dei sogni (come molti pensano), ma il
re dei fiordi: una vera fenditura che risalta anche sulle cartine. Lungo 204 km
e profondo oltre 1300 metri, questo fiordo è meta di ogni turista che arrivi in
Norvegia, e questo tratto specifico è assolutamente spettacolare. Nella sua
parte iniziale, il fiordo è strettissimo: appena dieci metri separano le due
rive, dove piccolissimi villaggi, di poche decine di abitanti, sono abbarbicati
su scogliere che raggiungono anche i mille metri di altezza. L'altoparlante
annuncia in cinque lingue tutte le cose che stiamo per vedere, mentre i turisti
si spostano freneticamente da una parte all'altra della nave per osservare il
panorama. Molto caratteristico è il villaggio di Undredal, popolazione 120,
costruito in uno spazio angusto tra le montagne ed il mare. Questo paese è
famoso grazie alla sua chiesa in legno, quasi millenaria, che con i suoi
quaranta posti è la più piccola di tutta la Scandinavia. Ciò che mi colpisce
è soprattutto l'isolamento del posto: qui la strada, infatti, è stata
realizzata solo nel 1989; prima il villaggio era raggiungibile solo via mare,
tramite un traghetto che non passava più di due volte al giorno. Con il mio
carattere posato e malinconico, rifletto su quanto mi piacerebbe vivere in un
luogo così isolato dal mondo, dal caos, dal frastuono sonoro e morale che oggi
sembrano essere i tratti più significativi del mondo moderno. Starmene sul mio
terrazzo a innaffiare i gerani, salutando le persone che passano per strada;
fare la spesa nel piccolo emporio; respirare l'aria frizzante osservando da
lontano l'arrivo del traghetto che porta i giornali, le notizie, le poche
persone che salgono e scendono; infine osservare la sua partenza al tramonto,
tra le montagne che si specchiano nell'acqua, e pensare: "Anche per oggi
abbiamo chiuso col mondo".
Ma non c'è tempo per riflettere. Da Flåm
riparte un altro treno che, attraversando venti gallerie e risalendo per 867
metri con una pendenza media del 5%, è anch'esso affollato di persone. I
turisti scendo a centinaia dai pullman dei viaggi organizzati per salire sul
treno, mentre noi poveri viaggiatori normali dobbiamo aspettare il nostro turno
per più di un'ora in piedi sotto il sole cocente (e oggi c'erano 35 gradi...).
Il treno si ferma per osservare la cascata
di Kjosfossen, che precipita per 94 metri a due passi dai binari. Una
piattaforma è stata costruita per permettere ai viaggiatori di scendere e fare
foto, ma bisogna essere molto veloci prima che la calca selvaggia occupi ogni
singolo centimetro quadrato ostacolando la visuale.
Arriviamo a Myrdal, dove un altro treno ci deve riportare a Bergen. Qui, però succede un imprevisto: un guasto lungo la linea costringe il convoglio a fermarsi in mezzo alla campagna, e arriveremo a destinazione con due ore di ritardo. E pensare che la Norvegia sembrava un paese tanto organizzato e preciso; ma in certe cose, in fondo, tutto il mondo è paese...
Preikestolhytta Vandrerhjem è un luogo tanto magico quanto il suo nome è impronunciabile. Significa “Ostello della Gioventù Capanna del Preikestolen” ed un vero rifugio di montagna, costruito tra i rilievi che circondano la baia di Stavanger. Si trova sulle rive di un lago che, al tramonto, si dipinge di colori malinconici, mentre le montagne circostanti proiettano la loro ombra sulle acque che, a poco a poco, scompaiono nel buio della notte. Il Preikestolhytta rivaleggia davvero con quello di Schaan, nel Lichtenstein, come ostello dalla posizione più spettacolare. La sera, poi, i gestori organizzano una grigliata all’aperto, dove i clienti possono mangiare sui tavoli di pietra costruiti tra gli alberi, chiacchierando e sentendosi veramente rilassati, lontano dai rumori e dalla frenesia della città.
Rebekka, poi, la receptionist, è davvero incantevole, con quei suoi occhioni azzurri che ti passano da parte e parte e quel sorriso disarmante che ti scoglie il cuore… così io vado in continuazione da lei per qualsiasi cosa: comprare un pacco di biscotti, informarmi sugli orari dell’autobus, farmi dare una cartina della zona… tutte le scuse sono buone per stare vicino a quella ragazza dolcissima che sembra appena uscita da un libro di favole.
Ma bando alle ciance. Non sono venuto qui per questo, ma perché da questo ostello partono moltissimi sentieri per escursionisti, tra cui quello diretto al Preikestolen, la mia ultima meta. Si tratta di una sporgenza di roccia che si protende dalla montagna formando una specie di pianerottolo naturale a picco sul Lysefjord, il fiordo più spettacolare di tutta la Norvegia. La LP lo definisce il posto più panoramico del mondo, e penso sia veramente difficile trovare un altro luogo che rivaleggi con questo. La roccia si trova a 604 metri di strapiombo sul mare, e non c’è nessuna barriera protettiva, nemmeno sulla parte più esposta del sentiero che la raggiunge; pare che nessuno sia mai precipitato di sotto, ma i pochi coraggiosi che si avvicinano al bordo lo fanno strisciando, e riescono appena a sporgere la testa sul precipizio prima di tornare indietro. Tra l’altro il vento è fortissimo, fa quasi perdere l’equilibrio e io, che già soffro di vertigini di mio, mi avvicino abbastanza per fare qualche foto, poi mi allontano subito dal bordo e mi siedo più all’interno, vicino al dorso della montagna. Alcuni si arrampicano sulle rocce alle spalle della pietra per godersi il panorama dall’alto; io, costringendomi a non aver paura e a non guardare in basso, riesco a salire solo per un paio di metri, ma sono già contento: anche questa volta sono riuscito ad andare oltre i miei limiti anche se di un pochino, e mi va bene così.
Resto seduto sulla sporgenza per un tempo che mi sembra interminabile, lasciando che i miei pensieri vaghino liberi come il mare che scorre lontanissimo sotto di me; poi, quando la folla comincia ad aumentare troppo, decido di ritornare al rifugio. Tra l’altro, il turno di Rebekka finisce alle tre e io non posso certo mancare di salutarla…
(foto: Preikestolhytta Vandrerhjem)
Ho voluto lasciare questo posto come mia ultima meta, in modo che il viaggio fosse un continuo crescendo di aspettative e di meraviglie. Sono anche stato fortunato: negli ultimi giorni il tempo è sempre stato bello, anche troppo caldo, e ho potuto godere appieno di questo posto assolutamente spettacolare, fantastico, indescrivibile (anche se purtroppo, molto affollato). Se avessi trovato brutto tempo, senza poter salire sulla pietra, la mia vacanza norvegese sarebbe stata assolutamente incompleta, priva di una meta che da sola vale l’intero viaggio.
Voglio ringraziare tutte le persone che hanno avuto la costanza di leggermi, apprezzando questo mio semplice lavoro. Essendo io un viaggiatore solitario, cerco sempre di condividere con gli altri le emozioni, le immagini, le disavventure che ho vissuto in prima persona e che ho portato a casa nel mio cuore, nei miei occhi, nella mia mente, cercando di farli sentire partecipi essi stessi. Spero di aver trasmesso qualcosa, poiché non voglio tenere solo per me le cose belle che incontro nel cammino della vita. Credo che non mi appartengano affatto.
FINE
Massimiliano