MERAVIGLIOSO
MYANMAR
Diario del viaggio in due (io e mio figlio Michele), di 17 giorni in Myanmar in maggio/giugno 2011
attenzione attenzione! notizie fresche (calde) dal
Myanmar!
stiamo benissimo, il clima è buono, fa MOLTO caldo
"solamente" nelle ore centrali della giornata (10-16), se no si sta
abbastanza bene, e poi alla sera viene una pioggia di mezz'ora o un oretta e si
rinfresca e a volte si alza un venticello. Zanzare non ce ne sono
in questa stagione nemmeno sul lago (solo qualcuna a Mandalay ma basta
uno zampirone sotto il tavolo).. Il paese è bellissimo, e il viaggio stupendo.
Proprio una terra favolosa. La gente è gentile, ordinata e pulita. I rapporti
cordiali, e la parola data la ricordano, sono precisi. Sempre sorridenti si
preoccupano molto di venirti incontro e farti sentire a tuo agio. Ci sono posti
fantastici ed eccitanti. Abbiamo usato molti svariati mezzi di trasporto, il che
è anche interessante e a volte divertente. Turisti quasi non ce ne sono, tutto
è molto autentico, calmo e gradevole. Si mangia molto bene, cose strane ma
tutte buone (a parte la cavalletta fritta che Michele ha voluto assaggiare, e
che dice che era croccante e sapeva vagamente di pesce...).
Ma ora incomincio da principio. Prima di partire ci informiamo su
come fare un viaggio “etico” come si suol dire, e in questo c’è l’aiuto
di internet (wikivoyage.org; oppure
imondonauti.it) con i suggerimenti di altri viaggiatori (viaggiareliberi.it;
oppure turistipercaso.it; o anche community.viaggiatori.net), e la guida Lonely
Planet (ma anche la Routard) che è molto attenta a darti indicazioni su come
favorire il meno possibile gli enti statali e governativi (evitando alberghi e
locali e mezzi di trasporto, dello Stato). Poi facciamo varie vaccinazioni in
anticipo, o richiami. Quindi ci procuriamo il visto presso l’ambasciata a
Roma. Poi contatto via internet una piccola agenzia locale di Yangon (vedi www.teoguidabirmania.it
) in cui c'è il titolare (Teo) che sa l'italiano e
chiedo a lui di organizzarci i trasporti per un viaggio individuale indipendente
e personalizzato come piace a noi. E poi anche cambiamo in banca gli euro in
dollari (in Birmania accettano solo dollari perfetti, nuovi,
sono un po’ noiosi), e ne cambiamo 1770€ perché non si possono inviare
soldi in anticipo nemmeno con vaglia internazionale!, e quindi certe
prenotazioni di alberghi, fatte via internet, andranno pagate al primo giorno a
Yangon in contanti, dato che non si possono fare pagamenti con carta di credito
neanche in loco!. Teo chiede 530€ a testa per l'organizzazione del viaggio,
che cioè comprende la disponibilità di un'auto in ogni luogo in cui andremo,
quindi la benzina, i pedaggi stradali (che saranno molto frequenti), un autista
che parla inglese, il suo vitto e il suo alloggio durante il viaggio, la
prenotazione e l'acquisto dei biglietti aerei per i voli interni (e noi ne
facciamo due), le barche, i traghetti, e altri mezzi di trasporto. La cifra
dunque contempera il fatto che da un lato è bassa stagione, con il fatto che
però siamo solo in due a condividere le spese dell'auto (ma non ci sono, come
ci accadeva in India, supplementi per l'aria condizionata...).
Il
24 maggio dunque passa tutto in viaggio, da casa alla stazione di Ferrara, poi
col treno a Bologna, e quindi alla stazione di Milano, lì prendiamo il pullman
per l'aereoporto della Malpensa, e una volta fatto il check-in col dovuto
anticipo, ci imbarchiamo sul volo Thai per Bangkok. Il giorno seguente arriviamo
presto, e gironzoliamo un po' per l' aereoporto in attesa della coincidenza,
Michele compra al duty free una card da 4 giga per la fotocamera, quindi
prendiamo il volo per Yangon (la ex Rangoon) dove dopo un paio d'ore atterriamo
circa alle 9 del mattino locali.
25
maggio
Dopo
essere passati attraverso il filtro dell'ambiente di quel non-luogo che sono i
grandi aereoporti internazionali, con la vetrina del Mondo che ti passa davanti
agli occhi, eccoci ora atterrati nel Paese tropicale del buddhismo theravada e
del "dispotismo asiatico", ma che è anche Suvanna Bhumi, the golden
land, la Terra Dorata. E' un paese grande il doppio del nostro, con una
cinquantina di milioni di abitanti, e decine di etnie grandi e piccole, e dunque
non possiamo immaginare di vederlo e conoscerlo tutto, ma solo in piccola parte.
La
differenza di fuso orario è di quattro ore e mezza (quindi adesso alle 9 del
mattino di qui, in Italia sono ancora appena le quattro e mezza della notte per
noi appena trascorsa).
Teo
(cioè Htay Aung che si pronuncia ti-o) è già lì che ci aspetta all'uscita e
si fa riconoscere con un cartello. L'accoglienza è cordiale e amichevole.
Saliamo nella monovolume, alla guida c'è Thant zin, simpatico. Tolta la cifra
per Teo, ci restano l'equivalente di settecento euro in dollari, e quindi
andiamo subito a cambiarne un po' in valuta locale il kyat (pronuncia giàt ).
Prendiamo 200 mila kyats, cioè 180 €uro (sono circa 1150 kyats per un
€uro), che ci dovrebbero bastare più o meno per il resto del viaggio
(considerando che gli alberghi si pagano in dollari) e per il mangiare (se non
spenderemo poi troppo in acquisti, ed in extra).
Il
cambio avviene in un certo posto davanti a dei bar lì sul marciapiedi, in
pubblico sotto lo sguardo di tutti, ma nessuno se ne interessa dato che si sa
che questo è il posto dei cambiavalute. Nessuna ricevuta, solo un accordo orale
e una stretta di mano. Contiamo i duecento biglietti da mille kyats lì sui due
piedi all' aperto. Poi andiamo altrove ad un altro angolo di strada per
comperare una phone-card, l'auto solo accosta, scende michele e l'acquisto
avviene proprio nel bel mezzo del traffico: una scheda da 50 dollari. Teo ci
impresta un cellulare locale con il suo caricatore, che gli restituiremo al
ritorno. Così abbiamo risolto il problema delle comunicazioni con casa, che ci
premeva molto e per il quale eravamo un po' preoccupati dato che tutti i nostri
cellulari in Myanmar non funzionano, e telefonare dagli alberghi costa molto.
Poi
andiamo in un ufficio di una ditta in un grande condominio, il Blazon Building,
dove paghiamo la notte che passeremo al Mountain Top Hotel, un bell’albergo
vicino al sito di visita, che avevo combinato via internet con il signor Yinn
Mar in 26€ per due, colazione inclusa (special internet rate). Ci apre una
impiegata di questo che mi pare sia un ufficio di un avvocato che cura gli
interessi di questa società e di altre. Lasciamo i sandali fuori dalla porta,
ed entriamo io, Michele e Teo a piedi nudi, così come sono a piedi nudi tutte
le impiegate dell' ufficio, e anche un signore che entra e viene in sala
d'aspetto dove ci hanno fatto accomodare. Regolato il pagamento con la
segretaria scalza, Teo telefona all'altra organizzazione con cui avevo prenotato
due altri hotel e ci dice che verrà la responsabile da noi al nostro albergo a
ritirare i soldi, la signora Nawe Nawe.
Intanto
così, sia per il lungo percorso dall'areoporto al centro, sia per queste
incombenze iniziali, cominciamo a vedere un po' la città e a girare anche per
vie "comuni" e non di itinerari turistici. Quindi si vede una città
con vari parchi, e comunque con molto verde (ci dicono subito, passando sul lato
del Inya Lake, che dall'altra sponda c'è la casa "della premio
Nobel", cioè Aung San Suu Kyi).
Una
metropoli moderna con tanti monaci in giro, con tonache color giallone o
bordeaux, o marroni, o viola, o rosate, che vanno in giro di mattina a chiedere
un'offerta. Si mettono in fila e il primo, che di solito è un bambino-novizio,
suona un gong, e poi attendono di ricevere un'offerta (di solito un po' di
riso). I monaci più anziani hanno un grande ventaglio a forma di foglia, rosso,
con cui anche si riparano dalla pioggia.
Dopo
l'indipendenza nel gennaio del 1948 il Myanmar (che dunque ha esattamente la mia
età) è divenuto sempre più fortemente nazionalista ed è finito sotto un
regime di militari; ora ci sono state delle cosiddette elezioni nel novembre
scorso e il governo è misto di civili e militari (un quarto), e nel parlamento
c'è pure qualche deputato (9%) non appartenente alla fazione al potere, e Aung
San Suu Kyi non è più agli arresti domiciliari; quindi le redini si sono
rilassate e c'è una certa maggior propensione a lasciar fare e dire, pur che
non ci siano manifestazioni organizzate pubbliche di tipo politico, e non si
stampino testi antigovernativi. La bandiera nazionale è cambiata qualche tempo
fa ed è di tre strisce gialla-verde-rossa con una stella bianca al centro. Si
riconoscono maggiori autonomie culturali alle varie etnie minoritarie, che, in
molti casi dopo aspri scontri e guerriglie, hanno ottenuto degli stati autonomi
propri (i birmani, o bamar, infatti sono solo circa il 65%). La nuova capitale,
al posto di Yangon, è una città di recente costruzione nel centro del Paese,
Nay Pyi Taw che significa la città-gemma.
Dunque
a questo punto andiamo all'albergo che avevo prenotato in centro per due notti,
la camera doppia con prima colazione, è in offerta per 22 dollari ovvero 15
€uro, essendo bassa stagione. Si tratta del "Three Seasons" guest
house, una pensioncina a gestione famigliare nel centro storico della vecchia
Rangoon del periodo coloniale britannico, nella 52esima, una laterale tra le
centralissime Mahabandoola st. e Anawratha st. Ci accoglie molto cordialmente la
signora Hla-hlà, che ha una espressione strana del volto ma sarà sempre
gentile e premurosa; ci sono anche il marito e altri membri della famiglia, ma
è lei che gestisce e si occupa della ricezione e di tutto. Entriamo togliendoci
i sandali che si ripongono in una scaffalatura vicino all' entrata. L'ingresso
è tutto rivestito in legno, saliamo a piedi nudi con le nostre valigie su per
delle scale di legno e ci troviamo al piano rialzato dove si fa la prima
colazione e c'è un balconcino; la nostra camera è pure rivestita in legno,
pulita, con condizionatore, ventilatore, bagno, con doccia e acqua calda. Siamo
contenti. Poi ci sediamo nel mini cortiletto esterno che da sulla cancellata
sulla strada. Ci sono delle panche e delle poltrone in vimini e dei vasi con
piante e fiori. Lì paghiamo Teo, che ci dice che Thant zin ci passerà a
prendere più tardi in modo che ora ci facciamo una doccia, ci cambiamo e ci
riposiamo.
Tutto
mi pare un po' più tranquillo e ordinato rispetto all'India, e per un altro
verso mi rimanda ricordi del nostro viaggio di trent'anni fa in Thailandia,
oramai così lontano nel tempo, ma anche a certi contesti dell'India di
trentacinque anni or sono... Ma sono confronti del tutto soggettivi e di fatto
depistanti.
La
gente mi pare tutto sommato tranquilla anche nel traffico di questa che è la
grande città moderna, e in generale il traffico mi appare più rilassato e
scorrevole di quanto accade nel caos nervoso di molte altre grandi città del
"terzo mondo". Qui davanti alla nostra pensione passano ambulanti con
i loro caratteristici "gridi" e richiami, che d'ora in poi sentiremo
ogni giorno a cominciare dal mattino presto. La gente ascolta la radio, dai
negozi o locali proviene musica. In città, persino nel centro storico con le
sue vie a reticolo e ad angolo retto, c'è molto verde, nonostante quelli che ci
dicono essere stati i disastri dell'uragano Nargis del 2008, che aveva estirpato
o rotto molti grandi alberi.
Viene
la signora Nawe-Nawe Myint Oo, la paghiamo in dollari, e ci da la ricevuta del
pagamento per due notti al lago Inle a 34 dollari per camera doppia (pari a 24
€uro in due) a notte; e tre notti a Bagan per 43 dollari a notte in due (30
€uro), sempre con prima colazione, totale 137€, e anche questa era una
offerta per prenotazioni su internet, in bassa stagione. Sono dei bellissimi
hotel, che ho pensato di provare, uno per la zona del lago e uno per gli ultimi
giorni come gran finale. Il resto del viaggio invece lo faremo in pensioni
famigliari, come questa a Yangon, o in alberghi diciamo “medi”.
Poi
Thant zin ci viene a prendere e andiamo a girare un po’ Yangon (che significa
“fine della guerra”, cioè città della pace) e innanzi tutto a vedere il
bel parco sul Lago Reale, il Kandawgyi, dove c'è anche una finta grande
imbarcazione (tipo il Bucintoro, la galea dogale veneziana) ma in muratura,
chiamata Karaweik, che rende l'idea di che cosa doveva essere la grande galea
regale, ed è ora la sede di un ristorante con spettacoli di anyeint,
combinazione di musica, canti, e danze tradizionali (con la famosa arpa birmana
e lo xilofono di bambù), e dove si svolgono manifestazioni culturali. Ci
sono poi molti bar e ristorantini lungo il bordo del lago, molto carini.
Quindi
su uno spiazzo assistiamo allo spettacolino di un finto elefante ballerino, che
è tipico della regione di Mandalay, che è simpatico e buffo con le sue
mossette al ritmo di una musica incalzante e allegra. Bravi i due tizi che lo
muovono dall'interno (chissà che caldo là sotto…).
Poi
andiamo a vedere il reclining Buddha, il grande Buddha sdraiato su un fianco,
lo Chaukhtagyi, dove incrociamo un gruppo di monacelle rapate vestite di rosa e
azzurrino.
Andiamo
a pranzo in una "trattoria" tipica di cucina birmana, “Aung Thuka”,
molto popolare, che è infatti piena di gente che fa l'intervallo-pranzo. E' tra
i viali Inya e Dhamma Zedi (=stupa del Dharma), e Shwegondine, ma un po'
rientrata in uno spiazzo di terra, nascosta dagli alberi. E’ un locale
che ci è piaciuto moltissimo. Si va in fondo dove si vedono i pentoloni con i
vari mangiari, e si ordina indicando col dito, poi le cameriere ti porteranno al
tavolo il riso bollito bianco che fa da base, una soup calda di verdure, una
insalata fresca, e tutta una serie di scodelline con i vari condimenti che hai
richiesto, di verdure, di carne, o di pesce, che chiamano genericamente curry.
Poi dal tavolo puoi chiedere del thé o/e dell'acqua in bottiglia, e altri
curry. Ne assaggiamo vari per provare, e sono quasi tutti buoni. Alla fine ci
sono dei semini da srgranocchiare, e poi dei dolcini molto zuccherati. Paghiamo
circa 5 €uro in due avendo mangiato bene e a sazietà. Facciamo due
chiacchiere con un giovane indonesiano e con un signore di Yangon molto gentile.
Ritorniamo
in albergo per riposarci, perché ci sono 34° gradi di caldo umido e c’è
soffoco.
Quindi
nel pomeriggio andiamo alla collina di 50 metri su cui sorge la grande pagoda
dorata, che è il simbolo della città e della Birmania, ed uno dei più grandi
luoghi sacri del buddhismo (sorge su una piattaforma di ben 5 ettari), e saliamo
con l'ascensore (già a piedi nudi) anziché fare tutto il percorso coperto
della grande scalinata, tanto più che comunque gli stranieri debbono passare di
qui per pagare un biglietto d'ingresso di 5$. Lo spettacolo della Shwe Dagon
paya è strabiliante. Entriamo proprio dove c'è un banyano che si dice tragga
origine dall'albero stesso sotto cui Gautama raggiunse l'illuminazione nel
villaggio di Bodhgaya, e qui, sotto questo alberone c'è anche una statua che
ricorda l'evento. Facciamo tutto il giro del grandioso stupa in parte dorato
(ricoperto da 8700 lastre d’oro) e in parte proprio d'oro. Vediamo il museo
storico fotografico dei restauri dopo il terremoto, e del ripristino della punta
con il suo ombrello reale hti, la cui sommità è a 98 metri, sostenuto da sette
supporti d’oro e 420 d’argento, ha in cima un enorme smeraldo, ed assistiamo
ai continui cambiamenti di colore dello stupa e della pavimentazione in marmo
con il calare del sole. Vediamo la gente che viene a portare offerte
suddividendosi per nati in ciascuno degli otto giorni tradizionali della
settimana (si contano separatamente il mercoledì antimerdiano e pomeridiano).
Ma intorno, lungo tutto il percorso lastricato di marmo, ci sono ben 64 tra
templi vari e 4 padiglioni. Accanto allo stupa degli otto giorni, con guglia in
oro, c'è una grande campana di 23 tonnellate che gli inglesi, conquistata
Yangon nel 1825, vollero portarsi a Londra, ma la campana sfuggì di mano mentre
stava venendo caricata su un vascello e cadde sul fondo del fiume; solo dopo
l'indipendenza si riuscì a recuperarla, e comunque nel 1841 se ne costruì
un’altra di 42 tonnellate alta 15 metri. La Shwedagon paya è uno dei primi
luoghi di pellegrinaggio buddhista dato che custodiva otto capelli che Siddharta
Gautama il Buddha diede a due mercanti provenienti dal Myan-mar, dalla località
su cui poi verrà fondata la città di Yangon. Dal 14 sec. i monarchi birmani la
ricostruirono e impreziosirono con le più di tremila campanelle d'oro sul
cosiddetto ombrello sopra la punta, e in totale lo stupa è decorato con quasi
5500 diamanti e altre pietre preziose (2317), che conferiscono quella luminosità
particolare del grande stupa che cambia di tonalità a seconda delle ore del
giorno (e soprattutto durante il tramonto). Luogo magico e stupefacente!
Poi
scendiamo e andiamo a cena con Thant zin all' “Oriental house” appena lì
sotto, un ristorante cinese (ci dicono che i birmani mangiano fuori solo a
pranzo, e che quindi per cena è più consigliabile andare ad un cinese)
dove cucinano bene e a buon prezzo. Siamo contenti e però stanchi per il caldo
umido, per il cambiamento di fuso orario, e insomma un po' per tutto, cambio di
clima, alimentazione, ecc., per cui andiamo a dormire subito.
Il
nome della nostra guest house è dovuto al fatto che qui ci sono effettivamente
tre stagioni, la calda-secca, quella delle piogge tropicali, e quella fresca.
Sono sconosciute in senso stretto le nostre primavera, autunno e inverno. Questo
periodo attuale è per il turismo bassa stagione perché sta tra la fine della
stagione torrida e l'inizio dei monsoni; mentre la stagione più alta di
visitatori è tra novembre e febbraio.
Il
primo mese del calendario lunare birmano inizia con la festa dell’acqua (Thingyan
= cambiamento) che quest’anno cadeva col plenilunio del 17 aprile, in cui
oltre a fare grandi pulizie in casa e nel negozio, più che altro ci si getta
dell’acqua addosso a vicenda, per festeggiare la fine della stagione secca, e
termina con il plenilunio di primavera, del 17 maggio, in cui si celebra il
Vesak, l’anniversario del Buddha; quindi l’anno nuovo è iniziato da poco…
26
maggio
Mi
alzo prestissimo e vado fuori sulla panchina nel cortiletto davanti, a guardare
chi passa per strada, i vari venditori ambulanti, i bimbi e i ragazzi che vanno
a scuola, la gente. Intanto mi godo la frescura mattutina e ascolto gli
uccellini.
Lasciamo
i bagagli in consegna alla signora Hla-hla, dicendole che ritorneremo l'indomani
sera, e così non paghiamo questa notte di intermezzo. Subito dopo la colazione
fatta al tavolo vicino al balconcino, viene Thant zin a prenderci e partiamo un
po’ prima delle otto. C'è con lui anche la moglie Thant Su, che lo
accompagna e sta attenta ai sorpassi (perché l'auto ha il volante sul lato
destro...).
Andiamo
dunque a fare una "gita" da Yangon a Kyaikhtiyo, in campagna,
dormiremo su un monte a 1100 metri di altezza, dove c'è un grande masso in
bilico su una sporgenza della roccia, che è da tempi immemorabili meta di
pellegrinaggi.
Riattraversiamo
Yangon, che è più grande di quel che ci era sembrato (l' agglomerato urbano ha
4 milioni di abitanti), intravediamo altre pagode, e infine usciamo in campagna.
Vediamo dei bei villaggi con capanne a palafitta, con le pareti fatte di stuoie
intrecciate.
Ci
fermiamo per riposarci e pranzare dopo quattro ore di viaggio (per un totale di
160 km.), in un bel resort con ristorante all'aperto, piscina, giardino e
addirittura un piccolo zoo. Vediamo un piccolo cagnetto tipo chow-chow, dei
gatti, altri cani, delle galline, un lemure, delle aquile, degli uccellacci che
pretendono cibo facendo un versaccio volgare a tutto volume, e poi un pellicano
libero, che pure chiede cibo spalancando il grande becco, un povero orso
accaldato, che sta seduto in posa umana disperata, un leopardo, uno struzzo, dei
daini, scimmiette, macachi, una specie di gibbone e un orango buono, un paio di
cuccioli di elefante asiatico addestrati a suonare l' armonica, e a ballare,
delle lontre, eccetera. Insomma ci rilassiamo e ci distraiamo. A tavola portano
tutti i piatti su una scaffalatura in vimini e poi ce li dispongono tutti
assieme sul tavolo. Mangiamo bene, abbondante e a buon prezzo.
A
Kyaikhtiyo si arriva nei pressi con l' auto, entrando nello Stato dei Mon, con
tanto di confine e richiesta di passaporto (è uno dei membri dell'Unione di
Myanmar), poi da questo villaggio che si chiama Kin Pun c'è una stradina
apposita in salita ripidissima che riescono (e che possono) fare solo dei camion
potenti. Mettono nel cassone del camion delle assi di legno strette e ci fanno
stipare il maggior numero possibile di persone (o un po' di più), e poi vanno a
gran velocità su in prima. Noi eravamo per cosi dire seduti con tra le gambe e
sotto ai piedi dei grossi sacchi di patate e altre verdure, e con davanti degli
scatoloni. Ci si doveva reggere molto ma molto molto forte per circa tre quarti
d' ora (ma senza appigli) .... ma ogni tanto il sedere mi cadeva all' indietro
giù dalla stretta panca (per via della pendenza della salita, e delle frenate e
accellerate) e mi ritrovavo in braccio ad un tizio della fila dietro. La salita
a mio avviso deve essere del 25 %, il camion va su in prima velocissimo; insomma
un' avventura arrivare su fino a quel paesino in collina, in mezzo ad un
paesaggio tropicale favoloso, con un sole spacca-cranio. Più a lungo di quei
tre quarti d' ora, aggrappato stretto stretto al sedile davanti, con quel caldo,
non so se avrei potuto farcela...
Poi
là c'è una salita abbastanza ripida che si può fare solo proseguendo a piedi
e ci si mette circa un' oretta. Ma io ero spossato, e mi sono fatto venire a
prendere dai portatori che mi hanno fatto salire su una "portantina"
che reggevano in quattro giovani sulle spalle (praticamente stando seduto su una
sdraio di legno attaccata a due grandi bamboo). I portantini poveretti sudavano
e sbanfavano per il caldo umido, eravamo oramai dentro una nuvola, quindi c'era
soffoco e afa. Si sono fermati per tre volte a riposare ed ho offerto loro delle
bibite fresche da bere. E così ho fatto come i nobili signori di una volta, e
sono arrivato in cima come un pascià....
Bello
l'hotel Mountain Top, dove c'era un solo altro cliente oltre a noi. Andiamo
subito verso la golden rock, fermandoci al posto di blocco per pagare la tassa
turistica e ricevere un cartellino verde di riconoscimento. Poi una volta là si
fa una camminata leggermente in salita, ma quasi in piano, già a piedi scalzi,
e si arriva ad uno spiazzo lastricato, da dove c'è un panorama da favola, si
vedono tra il verde vari monasteri, stupa, pagode, tutti coloratissimi, e si
sentono salmodiare canti e preghiere buddhiste dai monasteri. Stupendo, c'è
un'atmosfera molto particolare. Molti pregano, o fanno meditazione nelle sale
dei monasteri, o portano scaglie d'oro alla roccia. Le nuvole intanto cominciano
a dileguarsi un poco e si riesce a godere meglio del panorama.
Qui
c'e' la Golden Rock, che è semplicemente un masso che sta in bilico "per
miracolo" (qui dicono che se si facesse passare dalle due parti un capello,
questo non si spezzerebbe), e che era meta di pellegrinaggi già prima del
buddhismo, interamente dorato perché ricoperto appunto da sottili foglietti
d'oro appiccicati sul masso dai fedeli nel corso del tempo.
Poi
ci fermiamo ad ammirare dalla balaustra il vasto panorama della valle boscosa
sottostante. Ci raggiungono Thant zin e Su. Ci sediamo sotto un grande ombrello
di cemento e ci accorgiamo che vicino c'è un grande insettone con lunghe
antenne. Poi inizia a diluviare, aspettiamo ma non accenna a diminuire, anzi
diventa una cascata. Mi tolgo la camicia e torniamo all'hotel, arrivando fradici
dopo tutta la camminata, ma con la prospettiva di farci una bella doccia calda.
Ci fermiamo a cenare al nostro hotel, che con il "Kyaikhtiyo hotel" è
uno dei soli due hotel vicini alla Golden Rock (al di là dei nomi promettenti
di altri alberghi che invece sono in realtà tutti lontani dal sito), e
mangiamo bene. Ad un altro tavolo ci sono anche Thant zin e sua moglie Su,
che è una giovane deliziosa, e insieme erano simpatici e scherzosi, così ci
siamo conosciuti meglio. Quando si aprono le nuvole si vede in lontananza la
golden rock illuminata che è proprio splendente nel buio fitto.
27
maggio
Al
mattino alle sei, Michele va a fare un giro per approfittare che spunta un po'
di sole. Poi io lo raggiungo e ci godiamo lo spettacolo. Dopo colazione arrivano
poco prima delle otto i portantini a prendermi per il percorso di discesa fino
al piazzale dei camion. All’arrivo pago ottomila kyats (quasi sette euro) per
l’andata e ottomila per il ritorno, per tutti e quattro i portatori, con la
mancia che do loro, spendo un totale di 15 €uro.
Mentre
sono giù al piazzale che aspetto Michele e la coppia Thant, mi parla e mi segue
un bambino di circa nove/undici anni, è carino e dopo un po’ gli regalo un
pallone da calcio che vedo in un negozietto. E' addirittura felice, e comincia
subito a giocare con un suo amico, per farmi vedere quanto lui è bravo col
pallone.
Essendo
ancora mattino presto ci sono i monacelli che vanno a chiedere una donazione per
il loro monastero e si mettono in fila, ognuno con la sua pentola, il più
piccolo sta in testa, e si fermano ad ogni negozio o punto ristoro, il piccolo
suona un gong che tiene sospeso dinnanzi a sé, e poi aspettano che il
proprietario venga e dia loro delle porzioni di riso bollito in ciascuna
pentola.
Arrivano
Michele e i Thant e commento con Thant zin che mi pare assurdo che io abbia
speso la stessa cifra che ho dato a loro per andata e ritorno con inclusa la
mancia, solo per le bibite che ho offerto da bere, e mi spiega che quelle (cocacola,
fanta) sono marche di importazione, e quindi molto care, così scopriamo la
“Star Cola” e una aranciata che sono imitazioni birmane e costano molto
molto meno.
Appena
arrivati loro, saliamo su un camion che ha appena posteggiato ed è ancora
vuoto. Ma siccome la regola è che i camion partono solo quando sono pieni
(ovvero strapieni zeppi), per questo chissà quanto tempo ci sarà da aspettare.
Comunque prendiamo i posti sulla panca in fondo, dove non ci saranno pacchi,
sacchi o scatoloni, che vengono sempre accumulati sul davanti. Intanto giunge un
intero clan familiare da un villaggio mon (hanno gli stessi cappelli col
ciuffetto rosso in cima). Ma intanto la previdente Su scende avendo avvistato un
gruppo di turisti thai. Questi in effetti, come a volte accade, hanno affittato
un camion tutto per loro, che quindi partirà subito appena tutto il
gruppo è salito, allora lei chiede se pagando potremmo aggregarci anche noi, e
accettano. Così partiamo e attraversiamo a ritroso la valle boscosa con il
sole, e arriviamo dopo 11 kilometri a Kin Pun dove i thai hanno l'albergo, e
dove noi avevamo posteggiato l'auto.
Ripartiamo
e attraversiamo di nuovo paesini e cittadine interessanti, e dei bei panorami,
come quelli lungo il fiume Sittaung.
Al
ritorno ci siamo poi fermati in una antica capitale del X / XII secolo,
rifiorita nel XVI sec., Bago (o Pegu), e visitata all’inizio del Quattrocento
da Niccolò de’Conti, e poi a metà del Cinquecento descritta da Cesare
Fedrici. Entriamo pagando un ticket turistico di 10$ a testa. Ma è un luogo
magico... Visitiamo la grande pagoda dorata e là, dietro ad un immenso stupa
splendente, c' era un baracchino di un indovino..., e così sono andato da
questo diviner, o veggente (seer, o soothsayer), chiromante, astrologo o
parapsicologo, come pure si autodefinisce, in questa famosa antica pagoda al
momento deserta.... e silenziosa: la bella e mistica Shwe Maw Daw.
Entriamo
nella sua casetta o baracchino di legno. Ci riceve a petto nudo, con i lunghi
capelli arrotolati in uno chignon in cima al capo di lato, e accende un
ventilatore, e degli sticks profumati. Intorno ci sono foto dei suoi maestri, e
varie statuette. Ci accucciamo a gambe incrociate in modo da starci tutti e
cinque, e Thant zin mi fa da interprete coadiuvato dalla moglie. Innanzi tutto
devi sapergli dire in che giorno della settimana sei nato, e la data precisa, e
così poi mi sono fatto leggere la mano, fare i "tarocchi" e calcolare
la numerologia della data di nascita, con previsione del futuro... Io, come
quasi tutti noi, non sapevo che giorno della settimana fosse quando sono nato,
quindi lui è andato a vedere su un libro che riporta tutti questi dati per gli
scorsi cent'anni e per i decenni prossimi. Sono nato di martedì e quindi come
per tutti i nati di martedì il Leone è il mio simbolo sotto la cui egida debbo
muovermi. In sostanza l'indovino mi ha detto che aspiro a cambiamenti, ma per il
2011 devo portare ancora pazienza perché non è l'anno per me propizio, ci sono
problemi finanziari e di salute che riguardano me e/o chi mi è vicino, ma
intanto devo progettare, e poi dopo il mio compleanno prossimo, il '12 e il '13
saranno anni molto belli pieni di realizzazioni e tutto andrà bene, mentre per
quest'anno e per il '14 ci saranno possibili interferenze negative da parte di
nati il mercoledì o il sabato, ma comunque mi diceva di non preoccuparmi perché
leggendomi la mano vede che avrò una vita lunga, oltre gli ottant'anni...
Questo in breve sintesi il responso di Saya (titolo reverenziale) Ze Ya Tu.
Anche l'oroscopo trimestrale che trovo su una rivista locale in inglese –e che
va per giorni del mese-, mi pone sotto il segno delle coppe, proprio perché si
dice che nei prossimi anni si realizzeranno buone cose per quelli come me nati
il giorno 20 di qualsiasi mese (si parte dai nati nell’1, 10, 19, e 28, e si
prosegue per i nove segni previsti).
Nel
1930 lo straordinario stupa d'oro fu danneggiato da uno dei frequenti terremoti,
e parte cadde a terra, poi fu ricostruito, e ora con i suoi 113 metri di altezza
è il più alto del Myanmar. Visitiamo l’antico palazzo reale
anch’esso recentemente ricostruito, e un Buddha sdraiato di 54 metri, cui è
legata una antica leggenda, e che dopo il saccheggio della città a metà del
settecento, rimase abbandonato per 120 anni e fu letteralmente sommerso dalla
giungla, dopo la sua riscoperta nel 1880 venne riportato alla luce e restaurato.
Poi andiamo a mangiare in un buon “ristorante” popolare che Thant zin
conosce, e che ci piace molto per l’atmosfera che c’è, oltre che per il
buon cibo. Poi ci fermiamo a comperare i primi souvenirs e regalini che avevamo
addocchiato in un negozietto vicino. Un bambino di dieci anni insiste molto che
io comperi delle vecchie monete, anche se gli dico che non mi interessano,
allora alla fine gli do dei soldini per comprarsi qualcosa, ma lui li rifiuta e
li lascia cadere per terra, dove rimangono senza che nessuno li raccolga, e dopo
un po’ io me li riprendo. E dopo andiamo a vedere i quattro Buddha rivolti ai
4 punti cardinali, anch'essi restaurati dopo il terremoto. Ci sarebbero molti
altri luoghi degni di essere visitati con calma, ma noi non abbiamo tempo
purtroppo. Comunque è una città gradevole, molto caratteristica, piena di
magnifici luoghi, e non turisticizzata (almeno per ora).
Dopo
siamo stati in un piccolo villaggio campagnolo della etnia Mon dove fanno
tessuti a mano con i telai di legno, e dove confezionano i famosi sigari birmani
(in inglese cheroots) che oltre a un po’ di tabacco tritato aromatizzato con
tamarindo, contengono dentro alla foglia arrotolata, erbe e paglie varie,
persino midollo di piante. Sono o spuntati, o con le due punte, di cui una
contiene un filtro di buccia di granturco secco arrotolata. Questi sigaroni
casalinghi li fumano tradizionalmente sia gli uomini che soprattutto le donne.
Io
chiedo di poter andare in un bagno (che si rivela correttissimo e pulito), e
allora intanto che ci soffermiamo, anche qui comperiamo, in particolare un
longyi (ampio tubo di stoffa che si piega e allaccia con un nodo, e fa da
panta-gonna agli uomini) che Michele vuole incominciare ad indossare e che
porterà per gran parte del viaggio.
Ritornati
a Yangon, acquistiamo già un'altra schedina per foto, e rientriamo al “Three
Seasons” accolti cordialmente dalla signora Hla-hla.
Siamo
un po’ stanchini e dunque non andiamo a vedere la Kaba Aye paya, la pagoda
della pace nel mondo, che fu costruita a seguito del grande sinodo buddista (Chatta
Sanga yana) del 1954-56, che si svolse in una grande grotta, Maha Pasana Guda,
radunando in occasione del 2500esimo anniversario della illuminazione del Buddha
Gautama, rappresentanti di ogni paese del mondo. Così come nel 1980 fu
costruita la Maha Wizaya (o Vijaya) in occasione del concilio di riunificazione
del buddismo theravada (=”la via antica”) in Myanmar.
E
anche non abbiamo visitato il Bogyoke market, il cui ingresso avevamo visto
dalla macchina, e che è il più grande mercato del Myanmar. Peccato, però
magari sarà per il nostro ultimo giorno prima di partire, quando ritorneremo a
Yangon…
Un’altra
cosa che non abbiamo fatto: ho letto su una rivista locale in inglese che ci
sono dei corsi di meditazione, aperti anche agli stranieri, in inglese, a 15
min. a piedi dall’entrata est della Shwe Dagon, presso il monastero Wingabar
Yele, ma che durano dieci o venti giorni… (vedi www.joti.dhamma.org/ ).
Seguono la famosa scuola birmana di U Ba Khin, che fu maestro di S.N.
Goenka, di madre Mya Thwin, e di John Coleman (e poi anche di T. Terzani), e fu
uno degli organizzatori del famoso sinodo mondiale del 1954.
Alla
sera andiamo a piedi alla vicina Botataung paya, una delle tre maggiori di
Yangon, che è al di là dei binari ferroviari, e vicino alla riva del fiume.
Stupenda!. Dentro allo stupa c'è un labirinto di teche dorate e intarsiate. C'è
anche, in un altare esterno, un grande Buddha dorato che è in una posizione
fuori dalle solite stereotipate, molto bello artisticamente. Mentre la statua
dorata del Buddha più venerata è della metà dell'Ottocento, fatta sotto re
Mindon, ed è divenuta un simbolo. Questa statua si trovava nel palazzo reale
ancora all’epoca dell'ultimo re Thibaw (su cui sto leggendo un romanzo storico
di A.Ghosh) a Mandalay, e fu portata a Londra con la conquista britannica; poi
dopo l'indipendenza il Myanmar riuscì ad ottenere che fosse restituita, e venne
collocata qui, come risarcimento perché nel novembre del 1943 i britannici
bombardarono Yangon occupata dai giapponesi e la Botataung fu gravemente
distrutta. C'è pure un piccolo giardino tropicale, con uno stagno con centinaia
di tartarughe, e un grande piazzale pavimentato. E un tempietto ai Nats, gli
spiriti della natura con una immagine della "Saraswathi locale" che è
la dea dell'apprendimento. Intanto comincia ad imbrunire e presto viene buio,
per cui lo stupa dorato viene illuminato e risplende. Usciamo mentre stanno
liberando tanti uccellini dalle gabbie (come si usa per capodanno, cioè a
inizio maggio) forse per acquisire buoni meriti (da verranno registrati in un
apposito libricino). Sbirciamo nella casa delle offerte e donazioni. Intanto
c’è tanta gente che sta arrivando al fiume per prendere gli ultimi traghetti
nel buio fitto della notte.
Poi
gironzoliamo nei dintorni sulla riva, e infine andiamo a piedi nel buio più
totale per cercare di trovare il ristorante Monsoon per stranieri, in Thein Byu,
dove mangiamo delle squisite soup (io ne prendo una dolce-salata molto
particolare). Rientriamo, anche se ci siamo dimenticati di prendere con noi la
pila che avevo appositamente portato, e abbastanza facilmente ritroviamo la
strada anche se le scritte e i numeri sono quasi solo in alfabeto birmano.
sabato
28 maggio
eccoci
di nuovo in auto con Thant zin e Teo verso l'aereoporto. Teo ci ha lavorato per
quindici anni, poi ha avuto l'idea di provare a metter su una agenzia, e ha
scelto di occuparsi principalmente di italiani perché aveva constatato che sono
i più simpatici, alla mano, e flessibili, e che ci tengono a stringere subito
un rapporto più personale e umano, E poi perché proprio per questo aveva
cominciato a studiare la nostra lingua. L'iniziativa ebbe successo e lui e altri
suoi amici in altri aereoporti nazionali si sono licenziati e hanno messo
assieme la liquidazione, creando una rete di autisti e di guide.
Restiamo
in attesa davanti all'unica porta del settore voli interni (gate domestic
flights) per andare a Heho. Una signora italiana ci attacca bottone, e ci dice
che lei sta da anni per una parte dell'anno a Kuala Lumpur in Malesia, mentre
ora sta andando in una cittadina dove da poco è stato aperto un casinò. Ci
torna in mente quell'italiano che inizialmente era seduto vicino a noi
sull'aereo per Bangkok, il quale pure lavora solo metà anno e il resto lo passa
in Thailandia al mare a fare niente assieme ad altri suoi amici fancazzisti di
cui alcuni vivono lì stabilmente (o forse lì lui ha una compagnia
particolare?), perché qui si può vivere con poco grazie al cambio favorevole.
Tipi strani su cui ci piace fantasticare immaginando le loro vite.
Proprio
all’ultimo istante, prima di passare il metal detector, Teo ci aveva chiesto
di portare per lui un gran pacco di soldi, e noi abbiamo accettato solo per
fiducia nei suoi confronti. Quindi abbiamo in borsa come bagaglio a mano 650
banconote da mille kyats, il che forma un bel pacco! Lo consegneremo al suo
collega che verrà a prenderci all'arrivo. Teo ce lo ha chiesto come fosse la
cosa più naturale del mondo.
Si
parte e apprendiamo solo ora che il nostro aereo farà diverse fermate in un
lungo tragitto. Per fortuna Heho è la prima, e ci arriveremo dopo poco più di
un'ora.
Oggi
dunque siamo nel centro del Myanmar. All'aereoporto ci vengono a prendere Than e
un giovane autista, anziché come ci aveva preannunciato Teo un certo Myo.
Mister Than ci dice che anche lui è amico ed ex collega di Teo, di non
preoccuparci, che Myo oggi è occupato ma da domani sarà con noi. E dall'aereoporto
in poco più di mezz'ora si giunge in questa cittadina dove siamo ora, Nyaung
Shwe, nello Stato dei Shan (che è lo stato dell' Unione più grande e
importante, dopo la Birmania naturalmente).
Lungo
il percorso però siamo passati a pagare la tassa di soggiorno per stranieri di
5$ a testa e poi dopo poco ci siamo fermati e siamo stati a visitare un antico
monastero di legno dove insegnano ai bambini a diventare novizi monaci. E' un
luogo stupendo! All'improvviso mi ricordo che la foto che da tempo ho messo
sugli scaffali della libreria nel mio studio a casa, ancor prima di pensare a
fare questo viaggio, è proprio di questo posto! Ritrae dei giovani monaci
affacciati ad un paio di finestre. Ci facciamo dunque delle foto proprio
affacciati a quella stessa finestra ovale...
Il
monastero è aperto, gironzoliamo dentro, è tutto in legno, e vediamo un angolo
che sembra come una biblioteca in cui c'è un monaco che sembra un maestro, che
sta chino, leggendo con molta attenzione e non si fa distrarre, poi arrivano dei
novizi e cominciano come a fare dei compiti sdraiandosi sul parquet con i loro
quaderni, vicino ad un angolo dove c’è una lavagna alla parete; la cucina è
molto incasinata, in altre stanze non entriamo perché ci sembrano dei dormitori
con stuoie sul pavimenti. C'è silenzio, e si resta incantati in questo ambiente
in cui pare di essere sbalzati indietro nel tempo in un qualche secolo del
medioevo.
Con
Than andiamo poi ad un ristorantino-bar cinese "Daw Nyunt Yee", di
suoi amici, dove mangiamo un piatto di noodles con verdure, e lasciamo lì i
bagagli perché la barca che ci porterà all'albergo arriverà più tardi fra
tre ore almeno, per cui Than ci dice che potremmo intanto girare un po’ qui
intorno.
Quindi
siamo andati in giro per Nyaung Shwe e per la campagna circostante, affittando
per il pomeriggio una bicicletta (di quelle un po' robuste) per un euro
ciascuna, e così abbiamo poi fatto un bellissimo giro, prima per le strade
della cittadina, e poi andando verso fuori lungo la riva del fiume, sino ad un
grande monumento al Buddha che si vede emergere tra il verde. Poi tra le risaie,
e in mezzo a vari piccoli villaggi di contadini shan, per viottoli di terra
battuta. con le mucche.
Infine
ritorniamo dal cinese a ritirare i nostri bagagli, e viene un ragazzo a
prenderci per portarci in barca all'albergo e intanto farci vedere un po' il
lago con i pescatori.
Qui
ora siamo in effetti sul lago Inle (o Inlay), che è a 900 metri di altitudine
(ma fa caldo, ci sono anche qui 34° gradi circa), ed è veramente grande (22 km
di lunghezza e 10 di larghezza), tanto che per venire nel nostro albergo abbiamo
fatto un percorso di tre quarti d' ora su una piroga, che è come una lancia a
motore stretta e lunga che va piuttosto veloce, e abbiamo visto i pescatori che
remano con un piede in un modo molto particolare che è tipico della etnia
locale Inthas. Ora scrivo da un albergo su palafitte sul lago (il Paramount),
dove hanno la connessione internet (ma la tastiera è doppia anglo-birmana e non
ha gli accenti).
domenica
29 maggio
Stiamo
in camera a riposare e a dormire molto, chiacchieriamo un po' in spagnolo con
l'unica altra cliente che è una giovane donna argentina di nome Maria, che sta
a Manhattan per specializzarsi in studi aziendali e finanziari, e che è
simpatica e cordiale. E’ la prima volta che viaggia da sola, ma ha visto che
qui non c’è nessun problema al riguardo. Intanto mi telefona al cellulare Teo
per sapere come stiamo e come sta andando il viaggio. Allora commento la cosa
con Maria che rimane meravigliata da come Teo ci segua e ci accompagni lungo il
percorso, e dice che se prima di partire avesse saputo di una soluzione simile
sarebbe partita più tranquilla. Qui dunque passiamo un po’ di tempo su
internet. Michele sale su una torre panoramica e fa foto. Diamo un'occhiata alla
tv locale e a riviste. Mangiamo nel ristorante dell'hotel (meat ball soup; cream
corn soup; vegetable steamed rice; e fried banana with honey, per dieci euro in
due). La responsabile della reception è gentile e parla abbastanza benino
inglese (ma con una pronuncia….), mentre le altre sono molto servizievoli ma
faticano a capirci quando ci esprimiamo in inglese, proprio come noi fatichiamo
a capire loro.
lunedì
30 maggio
Facciamo
colazione e impacchettiamo le nostre due valige. Tutto lo staff si presenta per
salutarci, do una mancia a una cameriera, ma non l’accetta, mentre un’altra
(che non sa spiccicare una parola in inglese) è ben contenta di prenderla.
Quella della reception ci fa varie raccomandazioni (tipo di non mangiare mai
carne di maiale con questo caldo, né mango né papaya). Viene a prenderci alle
8 il ragazzo con la barca a motore, e partiamo per dei giri nell'intrico dei
canali. . .
Scendiamo
in un villaggio di palafitte sul lago, dove ci sono dei Padaung (o palaung), in
particolare ci sono due donne che tessono a mano senza un vero e proprio telaio,
ma con la tela agganciata al muro e tenuta tirata, e anche due ragazze, pure
loro con il collo inanellato, delle quali ora non ricordo più il nome (una mi
pare si chiamasse Kwy-kwy). Il popolo dei Padaung costituisce una minoranza
etnica nello Stato Shan e nel vicino Stato dei Kayah. Si ripartiscono in
"colli corti" (i Lahta) e "colli lunghi" a seconda se le
donne portano o meno gli anelli che allungano il collo. I secondi mettono alle
bambine a cominciare dai cinque-sei anni degli anelli al collo per
allungarglielo, aggiungendone uno ogni quattro anni sino a nove volte. Questi
anelli di bronzo luccicante, sono delle spirali e più se ne aggiungono e più
il collo può allungarsi e le spalle abbassarsi (sino al massimo all'età di 45
anni). Nei casi maggiori gli anelli possono raggiungere un peso complessivo di 5
kg., e ve ne sono altri alle gambe.
Un
tempo queste donne erano ridicolizzate e chiamate dagli inglesi spregiativamente
“donne-giraffa”, e venivano portate in Europa ed esibite come fenomeni da
baraccone. Ora invece si comprende che si tratta di una cultura ricca e
interessante e l'atteggiamento è rispettoso.
I
padaung sono cacciatori oppure contadini, e coltivatori di cotone; le donne sono
abili tessitrici. Vi è una interessantissima descrizione dei loro moduli di
vita nel bel diario autobiografico di Pascal Khoo Thwe, From the land of green
ghosts, del 2002 (tradotto in it. nel 2008 col titolo: Il ragazzo che parlava
col vento), in cui racconta anche delle sue nonne e delle sue zie con gli anelli
al collo, con grande affetto e tenerezza indicandole come le uniche depositarie
del patrimonio di leggende e tradizioni specifiche della loro cultura.
Poi
andiamo in un'altra cittadina tutta di palafitte sull'acqua, dove visitiamo un
laboratorio artigianale di fusione dei metalli, in cui fanno gioielli in
argento, rame, silver-plated, e incastonano pietre dure. Molto interessante, si
vede un mondo e un modo di produzione da noi oramai scomparso. Prendiamo due
orecchini argentati rappresentanti due palline, di quelle tipiche birmane del
gioco del chinlone, in cui ci si mette in circolo in quattro o sei e ci si
lancia una sfera fatta di canne ripiegate, che non deve mai toccare terra e non
può essere colpita con le mani ma solo con altre parti del corpo.
Ogni
volta che si riprende la barca e si riparte si viene prima affiancati da barche
che fanno il mercato galleggiante (floating market), offrendo gli stessi
prodotti, o prodotti di minore qualità, ad un prezzo un pochino più basso dei
negozi su palafitte. In effetti qui ci sono alcuni mercati su barche anche per i
prodotti degli orti e dei giardini galleggianti, cui si aggiungono quelle con i
prodotti artigianali e anche i souvenirs per turisti.
Le
popolazioni del lago non hanno solo costruito case palafitte, ma hanno portato
la terra dove c’è palude. La costa del lago, che non è molto ben definita
essendo tutta paludosa, è piena di ingegnose coltivazioni galleggianti:
la terra su cui coltivare è stata depositata su “letti” di alghe e piante
lacustri, che la tengono abbastanza ferma, e le radici ramificandosi rinforzano
il sostegno di base. Queste coltivazioni in acqua vengono tenute in efficienza
con continui lavori di manutenzione, togliendo o aggiungendo fango e erba, e
canne di protezione. A fianco ci sono i villaggi palafitticoli, che sono più di
una decina; poi in tutto il bordo paludoso del lago ci sono canali grandi,
canaletti secondari stretti, canaloni di grande scorrimento e traffico di barche
e barconi, come in una città con le sue strade, vie e viottoli. Insomma bisogna
essere dei gran conoscitori del posto, come doveva essere prima delle bonifiche
nelle nostre "valli" nella provincia di Ferrara, cioè nelle paludi
comacchiesi del Delta. Solo gli abitanti, i pescatori e i coltivatori locali si
sanno districare. Arrivando in questi centri abitati su palafitte ci pare di
essere andati indietro nel tempo e poter vedere coi nostri occhi come erano
all'origine Venezia o Chioggia nella laguna tra i canneti, nell'Alto Medioevo...
Dicono che qui l’aria sia più fresca essendo più ventilato, e –al
contrario di quanto si possa pensare- nei villaggi non esiste la malaria. Poi ci
sono i pescatori, essendo il lago molto pescoso, che come dicevo remano in un
modo tutto particolare tenendo il remo con una gamba. Il lago è pieno di
paletti appena affioranti a cui attaccano le loro ceste-trappola e le reti.
Andiamo
in un altro villaggio di palafitte dove entriamo in un negozio di tessuti, e lì
ci fanno vedere una specialità esclusiva del lago Inle. I magnifici fiori di
loto, che qui si chiamano padonmar kyar, pur essendo delicati si innalzano dalla
melma del fondo con un gambo che si slancia in alto sino a raggiungere la
superficie e fiorire sopra al pelo dell'acqua. E' perciò anche un simbolo della
aspirazione alla illuminazione nel buddhismo, ed è presente in ogni pagoda.
Dato che in un testo antico, lo Zi-natta Pakar Thani si narra che al principe
Siddhartha venne offerta una tunica monacale da un essere celestiale che disse
di averla presa dal bocciolo di un fior di loto, allora qualcuno cercò di
imitare quello straordinario dono. Durante la festa della luna piena di
Thandingyut si usa rivestire le statue dei Buddha con drappi, e così una donna
del Lago Inle volendo offrire qualcosa di speciale, realizzò con i filamenti
sottili e bianchi che si trovano nello stelo, tessendo queste delicatissime
fibre, un drappo morbido e soffice. Nacque così l'attuale tradizione del "lotus
fibre weaving", che è unica al mondo. Un altro gioiello straordinario del
Myanmar.
Poi
ripartiamo e corriamo in velocità per vari canali e canaletti, e superiamo vari
sbarramenti tipo chiuse di bamboo per regolare i dislivelli d'acqua. Bisogna
centrare alla perfezione i passaggi che sono tra due paletti larghi proprio come
una di queste lance a motore e fare il saltino all'insu o all'ingiù per
superare i dislivelli. Ad un certo punto c'è un porticciolo in un villaggio
sulla terra ferma (degli Intha?), dove scendiamo, e di qui camminando per un
sentiero di terra si giunge ad uno spiazzo e si entra nel mercato contadino
(detto zei), di questa zona. Questi mercati paesani che si spostano con un ciclo
di rotazione di cinque giorni sono anche più interessanti di quelli sull'acqua.
Molto bello e variopinto, ordinato e pulito (sempre relativamente al contesto) e
colorato. Assistiamo anche, in due tende, allo svolgimento di giochi d'azzardo,
forse non legali dato che qualcuno si avvicina a Michele dicendogli che non può
fare foto. Sul terreno ci sono dei disegni colorati e in fondo ci sono due
paletti che fermano una stanga storta tenuta con un cordino che trattiene dal
cadere tre grossi dadoni colorati con quei disegni sui lati al posto dei numeri:
un elefante, una tigre, un pavone, un granchio, una aragosta, e un pesce,
tirando il cordino solo un dadone per volta può cadere e loro puntano
sull'uscita di queste triplette in combinazione. Oppure in un altro tendone
anch'esso circondato da un gran affollamento di persone accalcate per vedere, si
punta su certi numeri o lettere, e viene per questo fatta girare una trottolina
con su attaccato un dado (tipo il dreidel yiddish), e si punta gettando i soldi
su un tappeto nero con i vari simboli in bianco. La gente è silenziosa e tesa,
ed alcuni puntano molte banconote. Il più delle volte sono biglietti sporchi e
consunti, di quelli vecchi di piccolo taglio, comunque si tratta sempre di
rischiare dei soldi.
Dal
mercato, che è così ricco di cose da vedere e di gente con costumi diversi, ci
dirigiamo a piedi (in questa area non esistono altri mezzi data la ristrettezza
dei sentierini) verso un tempio che visitiamo. Dopo aver regalato delle
caramelle di tamarindo e degli shampoo a un gruppetto di bambini e bambine, io
mi attardo lungo il percorso sotto un bell’ alberone perché fa molto caldo.
Ma poi da lì giriamo verso una zona piena zeppa di centinaia di antichi piccoli
stupa abbandonati e in rovina nella jungla. Si tratta della collina di Kekku. E'
emozionante girare essendo soli alla scoperta di questi resti ricchi di fregi e
bassorilievi a volte bellissimi, e ci si perde un po'. Poi al ritorno scendiamo
invece per il percorso con scalinate coperto da un colonnato con tetto, che è
pieno di bancarelle, ma siamo gli unici che lo percorrono.
Infine
torniamo a malincuore alla barca perché è già l'ora dell'appuntamento che il
barcaiolo ci ha dato sul sentiero lungo il fiume. Riprendiamo la barca ed
andiamo in un altro villaggio dove visitiamo un antico monastero tutto in legno,
pieno di gatti, famosi per gli spettacoli di salti che i monaci li hanno
addestrati a fare, ma che ora non si svolgono perché il monaco sta dormendo
sulla sua sdraio di vimini, e i gatti pure. Il monastero è molto bello e ricco
di scorci, angoli, chiaroscuri e giochi di luce, in cui in silenzio vari monaci
passano. Il monastero si chiama Nga Hpe Kyaung cioè monastero dei gatti
saltatori (jumping cats).
Torniamo
a Nyaung Shwe all'imbarcadero principale e andiamo al solito ristorantino-bar
cinese da dove partiamo con Myo in macchina verso l'altopiano Shan.
Arriviamo
dopo un paio d'ore a Kalaw (pronuncia Kalò) in montagna, a 1330 metri. Andiamo
a sistemarci nel bel "Dream Villa" Motel, tutto con interni rivestiti
in legno, con belle decorazioni, molto pulito e ordinato, prendiamo una bella
stanza in alto con finestre d'angolo panoramiche e un bagno impeccabile con le
solite pedule da bagno a disposizione, venti dollari (14 €uro) per la camera
doppia con prima colazione inclusa.
Giriamo
per la cittadina, guardiamo i negozi e il mercato comunale, c'è pure un bello
stupa, o zedi, ricoperto di ceramiche e piastrelle lucide. Il mercato fisso è
ordinato e pulito, con bancarelle e negozietti (dove compriamo biscotti, un
cake, acqua), mentre il mercato contadi-no esterno è periodico, e si svolge
prevalentemente per terra. Si vedono varie etnie con i loro costumi, ma è più
caotico e anche più sporco. In vari "punti-ristoro" fanno delle
frittelline, e dei pancakes ripieni di verdure e/o carne trita, o a pezzettini
con cipolle e aglio, ma l’olio di palma della frittura lascia un po' a
desiderare.
Alla
sera in albergo sentiamo il sonoro di un film e poi una interminabile
conferenza-lezione con l'altoparlante a tutto volume che proviene dal vicino
monastero dove c'è una cerimonia molto affollata. Sapremo poi che erano
convenute migliaia di persone (a saperlo prima…).
L’impero
della coca e dell’oppio che sino a pochi anni fa dominava la scena su questi
monti, ora pare che sia stato in gran parte debellato.
martedì
31 maggio
Fatta
abbondante colazione, viene a prenderci Myo e partiamo alle 8 in punto per
attraversare le montagne Shan e poi scendere in pianura verso Mandalay.
Per
tutto il percorso sulla High Land Road nello Stato Shan la strada statale è in
pessime condizioni, e infatti è iniziato il suo rifacimento (che chissà quanto
durerà) il che comporta se possibile ulteriori difficoltà. Sembra più una
strada provinciale o meglio comunale di un qualche paesino di montagna che non
la via nazionale di collegamento tra il Lago Inle e Mandalay ... In effetti è
piuttosto trafficata a causa del trasporto del legname dalle piantagioni di tek
(o teak), o di altri legnami pregiati come il pyinkadoe (il cosiddetto “legno
di ferro”), dei vastissimi boschi montani, giù in pianura fino al grande
fiume Irrawaddy (o Ayeyarwady).
Attraversiamo
molti villaggi e molta giungla fitta, il panorama è vasto. Incontriamo un
elefante-operaio forestale, vari cavalli, mucche sia con la gobba che senza,
bufali, capre, maiali, eccetera. Un serpente ci attraversa la strada davanti a
noi. Le palafitte dei villaggi dei montanari sono ben curate, con pareti in
stuoia belle, e con decorazioni di legno traforato.
Il
traffico è prevalentemente di grossi trucks ed altri veicoli pesanti con o
senza rimorchio, pullman, camion, camioncini, camionette per il trasporto delle
persone, vari tipi di veicoli, e alcune auto, ma molte moto, motorette e
ciclomotori. Il fatto che praticamente tutti abbiano il volante a destra crea
ulteriori difficoltà, oltre alle cunette, pozze, buche, rotture del bordo
dell'asfalto, sassoni sui lati di emergenza, eccetera. Viaggio molto lento,
faticoso, sballonzolante, e pericoloso. Poi giù in pianura c'è il grande caldo
torrido da 40°. Dopo Thika e in particolare dopo la rovente Thazi junction,
siamo oramai usciti dal territorio shan, e inizia una "autostrada":
siamo rientrati in Birmania.
Mandalay,
la vecchia capitale del regno sino alla conquista britannica (la “città
dorata del mandala” divenne capitale poco più di due secoli fa), è città
cosmopolita, in cui vivono molte delle etnie del Myanmar, e convivono
molte religioni, e inoltre ci sono molti cinesi yün, indiani di varie origini,
singalesi e nepalesi. Ha 900 mila abitanti ed è la seconda città del paese.
Giunti al “Peacock Lodge” verso le 2 o 2 e mezza, dopo 180 km di quella
strada e sei ore di auto, ci sentiamo meglio. Il proprietario di questa pensione
famigliare, è il giovane Nyein Win Tun junior, molto gentile e premuroso, che
parla finalmente benissimo un corretto inglese fluente; come pure sua moglie che
lo aiuta nella gestione. Do subito da lavare le nostre cose. Dopo che ci siamo
riposati, fatti una doccia, rinfrescati, Tun jr ci offre il solito thé verde
ben accetto, e non solo in quanto simbolo della ospitalità birmana, e poi ci da
due biciclette per andare a vedere la città. Poi alla sera conoscerò anche
Mister Tun senior, suo padre, U Tun Kyaw, un vecchio signore molto simpatico,
che aveva studiato in una scuola alberghiera in Georgia, Usa, nel 1960, dove poi
è tornato nel 1978, e che infine prese il diploma alberghiero in un corso
presso l'università di Roma nell'81, e quindi ricorda anche alcune parole di
italiano e ha un bel ricordo di Roma e una grande simpatia per gli italiani, che
dice essere diffusa da quando all'inizio del novecento un italiano, il conte
Caldari, fu il primo a ricoprire la carica di segretario del municipio di
Mandalay (anche a proposito di re Thibaw si dice che avrebbe gradito affidare o
alla Francia, o se no all'Italia il protettorato del suo regno, pur di non
cadere sotto gli inglesi, ma forse ci pensò troppo tardi…).
Leggo
in effetti in un vecchio libro fotografico sull’Asia di C.Canali, edito da
Bertarelli nel 1936, che sotto re Mindun venne nominato direttore della
tessitura reale di broccati e velluti per ammodernarla, un certo Moroni, che
sposò una birmana ed ebbe una figlia chiamata Fanny; morti i genitori e il
marito, comandante di una flotta fluviale, venne presa a corte come dama di
compagnia, sotto il suo successore Thibaw. Innamoratasi dell’agente del
governo francese Bonvoisin e da questi poi tradita e abbandonata, si rivolse al
signor Sandreino, che dirigeva la Bombay-Burma Corporation, consegnandogli
documenti che provavano la disponibilità del monarca a trattare con la Francia
(che aveva conquistato tutta l’Indocina). L’italiano li fece pervenire al
governo britannico, che si mosse lanciando un ultimatum al re birmano. Così
racconta F.Teennyson Tesse nel suo libro The Lacquer Lady (La Dama di Lacca),
soprannome sotto cui si riferiva a Fanny … Inoltre altrove leggo che il
naturalista genovese Leonardo Fea girò in esplorazione per tutta la Birmania e
raccolse una rara collezione etnografica che perse durante l’invasione
britannica, e conseguente insurrezione e saccheggio di Mandalay nel 1885; spedì
da Rangoon quel che gli era rimasto, e rifece tutto il viaggio per raccogliere
reperti e scrivere la più dettagliata descrizione geografica, naturalistica,
etnografica e storica del regno birmano oramai vinto.
Dunque
andiamo in bici verso il centro! Che bello! e in effetti il nostro Lodge è
nella 60esima strada, un po' lontano, ma in bici è una questione di neanche un
quarto d'ora. Tun ci da il biglietto da visita che è da un lato in inglese e
dall'altro in birmano con sotto la scritta in birmano di “indicare o
accompagnare per favore all'indirizzo dell'albergo”, per sicurezza.
Giriamo
un po' in bici, che è una bella sensazione di libertà. Le stradine laterali
sono un po' campagnole, ma in quelle principali, come la vicina 26esima c'è un
traffico notevolissimo soprattutto di moto e motorini, e anche di biciclette, ma
pure di auto, camion, camioncini, trishaw a pedali o motorizzati (a Mandalay ce
ne sono 13 mila di questi tut-tut a motore), eccetera.
Ma
subito ci dirigiamo verso l'entrata est del palazzo reale che è l'unica
accessibile agli stranieri. Comunque quando giungiamo in vista del palazzo
restiamo sbalorditi. Lo spettacolo è impressionante: è un quadrato di 2 km per
lato con un muro alto 8 metri e con torrette agli angoli e una grande porta ad
ogni lato, contornato da un fossato con acqua di 70 metri di larghezza... Sembra
di fiancheggiare la città imperiale cinese, e così mi sembra che noi due qui
in bicicletta, unici bianchi che si vedano nei paraggi, siamo un po' come
Tiziano Terzani e il figlio Fosco a Pechino...
Ma
purtroppo l'entrata est è già chiusa agli stranieri, essendo oramai passate le
quattro p.m.. Scherzo un po' con i soldati di guardia, e dico che noi siamo
sfortunati, ma stentano a capirmi, nonostante io faccia tutta una scenetta con
descrizione del viaggio aereo mimato dalle dita della mano, e poi il tragitto in
auto e ora in bici...per trovare infine che è appena chiuso.
Gironzoliamo
sotto un sole cocente (forse sono davvero 40° gradi....), e siccome sbagliamo
due volte strada a causa dei sensi unici, alla fine sostiamo alla “Royal Guest
House”, che era l'alberghetto consigliato sulla guida LP, per prenderci un po'
di aria condizionata, due bibite, e rinfrescarci. Chiacchieriamo con quello al
banco che parla bene inglese (c'è anche un giovane turista) e ci distraiamo.
Al
ritorno faticheremo un po' a districarci tra strade vere e proprie e vicoli, e
non riusciamo a localizzare la 60esima, anche perché i numeri non sono quelli
nostri ma con la grafia birmana, ma un paio di persone ci indicano infine la
direzione giusta. Intanto vediamo donne, bambini, e uomini che si fanno la
doccia a secchiate, o che si lavano nei lavatoi pubblici, pur restando sempre
vestiti. Tornati al “Peacock” troviamo che ci sono anche due ragazze, e
mangiamo dei noodles che ci prepara Shee Sue, che però ancora non mi ha
restituito la roba lavata che è certamente già asciutta, sarà per domani. Ora
saliamo in camera per farci una doccia e subito andare a nanna. Ma sotto la
nostra stanza, cioè sotto il balconcino davanti alla nostra porta, stanno dando
lezioni di un'arte marziale e restiamo lì un po' a guardare.
Sto
recuperando quella leggerezza d'animo che mi apportano di solito i viaggi di
questo tipo, diciamo i viaggi di conoscenza. Si percepisce che la realtà
dell'umanità è grande, varia e complessa, che le civiltà sono molteplici, e
così le etnie, i costumi, le lingua, le espressioni del pensiero, i volti.... E
questa grande varietà mi consola, e mi interessa.
E
poi ci sono i viaggiatori, i curiosi impenitenti, che girano, che vanno in giro,
che vanno a vedere, a constatare, che si decontestualizzano, Mi piace questo, mi
da un senso di libertà e anche di liberazione da schemi, consuetudini, ruoli
rigidi, routines.... Ci si incontra e si trova subito che c'è qualcosa di
comune interesse di cui poter parlare.
1°
giugno, mercoledì
Scendo
presto giù in giardino ai tavolini per fare colazione. Chiedo a Shee Sue, la
cameriera, se hanno per il breakfast un po' di yoghurt, ma non mi capisce, e
gira la domanda al monaco giovane che sta seduto al tavolo dove poi arriverà
una ragazza occidentale che sta qui e che lui conosce; effettivamente il monaco
conosce meglio l'inglese della camerierina, ma non capisce proprio, anche se
glielo scrivo, allora uso il termine lassi, ma senza esito migliore. Solo Mr Tun
senior capisce che cosa sto chiedendo e mi risponde che i birmani non usano
mangiarne, e poi loro pronunciano "yoga", e quindi da qui è nata una
ulteriore confusione. Mr Tun è sempre in giardino al mattino dopo la colazione
e se ne sta in silenzio su una panchina più in là per conto suo. Quindi non
conoscono lo yoghurt né il lassi ..., ma pensa che strano ! ma non ce n'è
effettivamente bisogno (intendo per lo meno per raggiungere gli effetti che di
solito ci si aspetta da loro), anzi invece è proprio una buona cosa che ci sia
sempre una bowl (tazza) piccola o grande di riso bollito al vapore, sticky cioé
appiccicoso (per l' amido condensato e perché è un riso con molto glutine), e
una bella tazza di thé verde (che a volte invece è color ambra pallida)... che
sono un po’ astringenti.
Alle
sette e mezza partiamo con l'auto per andare ad Amarapura, appena fuori Mandalay,
dove si trovava in precedenza la capitale (conformemente alla tradizione la
capitale veniva cambiata ad ogni dinastia). E' una tipica cittadina campagnola,
dove c'è un grande quartiere, il Maha Ganayon Kyaung, detto anche il distretto
monacale. Qui ci sono vari "collegi" per novizi (e non), molto vicini
l'uno all'altro, proprio fitti e densamente abitati da migliaia di monaci e
monacelli, tutti stipati in grandi camerate comuni. In effetti tutti i birmani
passano un periodo dai tre ai sei mesi in un monastero a fare apprendistato
religioso; e in totale monaci /che ammontano a più di un milione e mezzo!. Alle
10 e mezza vanno a pranzo (essendosi alzati alle 5), e quello è lo spettacolo
da osservare: cioè il vederli convergere e mettersi ordinatamente in fila
indiana, in quattro file, per sedersi alla mensa comune per il loro pasto
silenzioso in un vecchio edificio in legno che contiene tantissimi tavoloni e
panche. Sbirciamo anche nei dormitori, ci sono monaci di tutte le età, anche se
prevalgono i giovani e i ragazzini, e ci sono pure dei bambini. Poi andiamo
verso il fiume Ayeyarwady che scorre potente, è un bel posto sulla riva,
ci sono tanti alberoni ombrosi e un sentiero lungofiume. Torniamo indietro e
vediamo dei monacelli che si lavano con l'acqua del lavatoio, e altri che
studiano.
Dopo
di ché andiamo verso la collina retrostante, la Sagaing Hill. Saliamo lungo la
scalinata coperta. Si gode di un panorama ampio molto bello delle paya e degli
stupa disseminati dovunque a centinaia (sarebbero più di 500). Saliamo alle
Trenta “grotte” con altrettante statue del Buddha allineate a semicerchio; e
poi su in cima ad uno stupa del 1300. Scendiamo ad uno stupa a semisfera (un
po’ fantascientifico), e ad un tempio con sale tutte di specchi, che mi
ricorda il palazzo dei cristalli descritto nel romanzo di Gosh.
Torniamo
giù a Sagaing e visitiamo una fabbrica artigianale di arazzi molto belli. Ma
nei capannoni c'è troppo soffoco... e io esco. Poi andiamo a vedere la
lavorazione a cielo aperto del marmo di una cava vicina. Poi entriamo in un
laboratorio artigianale di lamelle e foglietti d'oro. Dove, anche qui, ci viene
illustrata la procedura di lavorazione tradizionale. Impressionante! alla fine
di un complesso e lunghissimo procedimento si ha un foglietto d’oro di 2 - 3
micron....
Andiamo
poi a vedere la pagoda Mahamuni dove c'è un Buddha dorato molto popolare e
venerato, che ha acquistato a furia di quelle foglioline e foglietti d'oro uno
spessore di 15 cm. di oro puro... In questa paya le donne devono limitarsi ad
uno spazio che sta di fronte alla statua e non possono (o non potrebbero)
girargli intorno.
Poi
ci dirigiamo verso la visita di Ava (o Awa, o Inwa), una antica capitale.
Attraversiamo il fiume con una barchetta (il nostro biglietto è già pagato) e
di là ci sono una serie di carretti tirati da cavallini, e con uno di questi
attraversiamo vari villaggi di contadini lungo una via di terra battuta tutta
sconnessa che fa traballare moltissimo il carretto. Anche queste capanne hanno
la struttura di pali di legno e sono su palafitte in modo che sotto possono
stare all'ombra, oppure usare quello spazio come deposito di cose, o come
ricovero per animali domestici, o stendere ad asciugare i panni. Le pareti sono
anche qui di stuoie con intrecci che formano dei disegni geometrici. Per
pavimento usano stuoie più grosse e spesse con sopra stuoie più sottili e
lisce. Ci sono tavolinetti bassi, pentolame, eccetera... Le scale sono spesso
decorate con fregi di legno sottile intarsiato. Le porte e le finestre sono
fatte delle stesse stuoie e “ritagliate”. Ci sono maiali, cavalli, capre,
pecore, cani, gatti, e anche altri animali come buoi, mucche, bufali, anche
oche, anatre, papere, ecc.
Dopo
aver pagato un ticket per stranieri di 3$, visitiamo un vecchio monastero tutto
in tek (che qui pronunciano tik) con pali e colonne poderosi, neri a causa di un
incendio, che nella penombra hanno un che di potente e misterioso. Il resto
tutt'attorno sembra come al solito abbandonato: aveva queste stesse impressioni
anche Alberto Arbasino nel suo viaggio del 1996 (cfr. in "Passeggiando tra
i draghi addormentati", Adelphi), durante il "visit Myanmar year"
che fu lanciato dal governo per aprire il paese al turismo estero.
Il
carretto a cavallo traballa vistosamente anzi un po' troppo, a causa della
strada di terra che dopo essersi bagnata per le piogge torrenziali, si è poi
seccata e indurita in modo difforme e ha mantenuto i solchi profondi e le
increspature del fango su cui erano passate le ruote di legno dei carri.
Ci
ferma un pittore di quadretti dall'aspetto più cinese che shan, il quale
ripeteva e ripeteva continuamente quest'unica frase: "I make it, I make it",
ossessivamente, non sapeva dire altro in inglese. Alla fine Miki gli compera un
suo quadretto, di scarsa qualità estetica peraltro, e si azzittisce.
Dopo
la visita ai vari monumenti e resti archeologici, e il bel giro in campagna,
andiamo fin sotto il famoso ponte di tek U Pain, o U Bein, molto suggestivo e
romantico. Ci facciamo i 2 km e mezzo avanti e poi indietro, con alcune pause
all'ombra dei casotti di sosta (ci sono 41° gradi e umidità). Come si sa, è
il ponte in legno di tek più lungo al mondo, ed è pure molto vecchio, essendo
del 1849, e comunque è uno dei ponti pedonali di legno non solo più lunghi ma
anche più suggestivi e scenografici. E' piuttosto alto con i suoi più di mille
grossi piloni in tek, e ha questa forma in curva che lo rende particolarmente
bello, In più ci sono sopra tutti i suoi pedoni con i vari costumi, con le
ceste, con i vasi e le brocche in testa, e quelli che lo attraversano in
bicicletta (pur essendo un po' strettino per farci stare anche dei mezzi...).
Dal basso è molto suggestivo, sono innumerevoli le foto o i filmati che
ritraggono da terra il suo traffico controluce lassù. Arrivati al villaggio
dall'altra parte, restiamo un po' nel bar della spiaggia a guardare questo
bellissimo panorama; è bello anche dal ponte guardare giù il fiume, le paludi,
le barche, i pescatori, i canneti, gli animali che brucano, le papere e le
anatre, o altri uccelli, i bimbi che giocano in acqua, ecc.
Al
tramonto lo spettacolo è effettivamente molto pittoresco, e il traffico di
gente aumenta parecchio, per i monaci che fanno la passeggiata verso il paese o
per i paesani che vanno a passare la sera dall'altra riva. Ci accompagna per un
bel po' Inthe, una ragazzina di 13 anni un po' handicappata ad una gamba ma
agile, che viene dal villaggio di Same-same, è bruttina ma è molto carina,
dolce e gentile, le do un aiutino in kyats senza comprare nulla, e a differenza
di altri, accetta e ringrazia.
Rientrati
al nostro "Peacock" chiediamo se c'è un posto per cenare, e andiamo a
piedi (con la pila) in un ristorante cinese dello Yünnan. Qui anche gli orologi
hanno i loro numeri in birmano, e la scrittura è troppo difficile da imparare,
perché sono in pratica tanti cerchietti con interruzioni o gambette e cosi
sembra davvero tutto eguale (la scrittura birmana fu studiata da Carpano da Lodi
alla fine del settecento, e poi da padre Mantegazza, e da padre Sangermano,
giunto qui nel 1783, che pubblicò poi a Roma una relazione sul regno birmano).
Per fortuna per tornare di sera abbiamo avuto l' aiuto (anche se assai raro) di
alcune rare traslitterazioni, oppure semplicemente chiediamo a qualcuno, e sono
sempre molto gentili e pronti a dare una mano. Ed eccoci di nuovo al "Peacock"
(ma la roba lavata non è ancora pronta, e allora mi faccio dare lo stesso da
Shee Su qualcosa anche se non stirato, perché oramai ne abbiamo proprio
bisogno).
2
giugno, giovedì
Al
solito faccio una chiacchieratina con il vecchio Mr Tun, che mi racconta che la
casa dove stanno loro lì accanto era la casa di suo padre, il quale fu anche
l'ultimo sindaco di Mandalay prima della seconda guerra mondiale. Mi dice che
lui ha 84 anni e che si ricorda di quando loro avevano varie terre e
coltivazioni, poi il regime militare socialista gliele ha requisite, e ora a
parte un campicello con orto, hanno solo la vecchia casa e la guest house, che
è l'unica fonte di reddito rimasta. Lui si ricorda i tempi di Aung San, è un
"nostalgico" di U Nu e di U Thant, ed è stato un acerrimo avversario
di Ne Win e del Partito del Programma Socialista Birmano, e dunque è
sostenitore di Daw (=zia, affettuoso epiteto di rispetto) Suu Kyi, la premio
nobel per la pace, figlia di Aung San.
Stamane
andiamo presto all'imbarcadero commerciale sul fiume, che è un grande e caotico
e polveroso approdo di imbarcazioni più o meno grandi, con via vai di camion, e
un gran lavorare a scaricare e caricare merci. Saliamo su un battello che fa
anche servizi per passeggeri, che ci porta al di là, sull'altra riva, ma un bel
po' in diagonale, a Mingun (anche questa una antica capitale). Il trasporto è
già pagato. Ci siamo solo noi sulla barca. All'inizio c'è un po' di aria e poi
viene sempre più caldo (di nuovo 41°), per cui ci mettiamo all'ombra del
casotto di guida.
Il
più giovane battelliere mi avvicina con la scusa di mostrarmi collezioni di
foto, cartoline e libri illustrati su Mingun, e intanto ci prova, mi palpeggia
leggermente, ma io resto indifferente, sinché il palpeggio diviene del tutto
esplicito e pesante, e di fronte alla mia imperturbabilità mi sussurra "you
dont?", io dico tranquillamente "not" e allora semplicemente se
ne va, proprio come se nulla fosse stato, lo osservo ma mi pare che non commenti
la cosa con nessuno.
All'arrivo
ci attendono ben tre carri campagnoli tirati da mucche, ma noi andiamo a piedi,
perché abbiamo voglia di camminare e prendere un po' d'aria che ora si è di
nuovo sollevata.
Si
aggregano subito a noi il giovane Chow Mi, e poi varie ragazzine come Phyo
(leggi Più), detta più-più (che vuol dire bianca), e altre di cui non ricordo
il nome.
Ritorna
il grande caldo torrido. Michele sale sulla imponente e impressionante pagoda
rimasta incompiuta (per la morte del re all'inizio dell'Ottocento), mentre io
resto sotto al bar accanto a due grandi e bellissimi alberoni frondosi,
all'ombra anche delle frasche del bar, e mi godo lo spettacolo del luogo, con
dal lato della riva due enormi statue incompiute di leoni–grifoni guardiani
della pagoda, e dall'altro lato il via vai della gente del villaggio vicino, e
intanto bevo una Star Cola fresca. Poi riprendiamo il cammino e giriamo a
vedere gli altri monumenti pagando il ticket di 3$ a testa, come la campana
enorme (forse la più grande del mondo, sospesa e integra, più grande di quella
russa e di altre famose, il cui solo batacchio pesa 7 tonnellate), il monastero,
la favolosa pagoda bianca tutta contornata da sette spirali di onde bianche in
muratura, e da simbolici rilievi montani stilizzati. Ma sempre più cercando
disperatamente il riparo degli alberi perché ora è proprio montato il caldo
rovente.
Al
ritorno attraversiamo il villaggio, che è pure bellino e interessante da
vedere, e poi raggiungiamo la barca camminando lungo la spiaggia.
Riattraversiamo il fiume e torniamo a terra, ci salutano (senza che il giovane
dica nulla o faccia cenno in qualche modo a delle scuse) cordialmente, e
rientriamo in auto al nostro Lodge dove ci addormentiamo subito.
Scendo
a mangiare del riso in bianco glutinato, e intanto in camera a Miki viene un po'
di sangue dal naso. Dunque lui non esce nel pomeriggio, resta in camera con
l'aria condizionata e il ventilatore, e io vado a visitare il palazzo reale.
Ritornato alla porta est i militari mi riconoscono e mi salutano, e anche
l'ufficiale sorride; pago i 10$ del biglietto per stranieri per tutta l'area di
città e dintorni. Il grande complesso di palazzi che compone la cittadella
reale è tutto ricostruito nel 1990 essendo andato anch'esso distrutto, dato che
fu bombardato durante i combattimenti finali tra britannici e i giapponesi
assediati e lì asserragliati. Il palazzo reale dunque in realtà è una
città a parte, una cosa immensa e impressionante, in origine era quasi
altrettanto grande della intera città intorno. La sala delle udienze era
vastissima, con il trono d'oro del re e della regina, detto “dei gigli”.
Loro avevano una propria area privata che era tutta di specchi, the glass palace
(che è anche il titolo del romanzo che sto leggendo e che è divenuto un
compagno di viaggio complementare) dove pure il letto era di vetro... E così
finalmente vedo il "divano" (o trono) dell'ultimo re Thibaw e
della regina Supyayalatt, intagliato in legno di mango, e anche la camera e il
letto della regina. Ci tenevo perchè di questi luoghi si parla appunto nel
romanzo di Ghosh, che inizia proprio con la invasione dei britannici al termine
della terza guerra anglo-birmana, e la cacciata in esilio dei due regnanti come
prigionieri, per cui il cosiddetto "centro del mondo" divenne una
cittadina secondaria dell'impero britannico delle Indie. Poi vedo il bel
monastero Shwe Nandaw in tek antico, che è l'unica costruzione rimasta intatta
nella cittadella reale dopo la distruzione bellica, il Golden Palace Monastery,
dove re Thibaw visse per il periodo in cui fece il monaco lasciando il governo
alla regina (ma facendo costruire una sala di ricevimento lì adiacente,
semplicemente sontuosa e grandissima, ora ricostruita). I pannelli raffigurano
gli episodi delle vite precedenti del Buddha Gautama, e sono veramente belli.
Poi
vado a visitare il cosiddetto "libro più grande del mondo" (di cui
avevo letto in Arbasino), ovvero la Kuthodaw paya, che fu il risultato di un
grande sinodo di 2400 monaci ed esperti chiamati da re Mindon nel 1857 per
stabilire il canone definitivo del testo originale più antico dei 15 libri
sacri buddhisti, o Tripitaka. il testo fu scolpito in lingua pali su 729 lastre
di marmo, ciascuna protetta da un piccolo stupa. Per cui si vede questa selva di
stupa allineati, in cui guardando ogni fila si possono vedere come in un gioco
di specchi un gran numero di lastre (o pagine) affiancate (nell'anno 1900 si
fece una edizione a stampa e ne risultarono 38 volumi da 400 pagine). Poi visito
anche la pagoda Sandamuni (che significa: immagine graziosa come la luna piena),
che è come il complemento della vicina precedente paya, dove ci sono 1772
lastre di marmo con gli antichi commenti ai Tripitaka. Un po' più in giù c'è
la ricostruzione del monastero (kyaung) che custodiva una molto venerata statua
del Buddha con un grande diamante sul capo, che fu trafugata quando i britannici
occuparono la città, e poi cinque anni dopo il monastero rimase distrutto da un
incendio forse doloso, e andò bruciata anche la biblioteca con quattro raccolte
complete su antico "papiro" di banano dei Tripitaka custodite in
scatole di tek.
Infine
saliamo in auto sulla Mandalay Hill, molto bella per i boschi e per l'aria più
fresca che c'è in cima, e il vasto panorama in cui si vede dall'alto la città
e il quadrato della fortezza reale. Nel scendere non mi accorgo della scala
giusta, e così per ritornare al parcheggio dove Myo mi aspetta, debbo fare un
bel po' di footing nel bosco caldo...(ci sono comunque 42° gradi).
Poi
mi dice Myo che Teo, avendo saputo che questo pomeriggio Michele era restato in
camera, ha telefonato chiedendo informazioni di noi, di come stiamo, e se tutto
andava bene. Che carino e premuroso! Rientrato al “Peacock”, Michele mi dice
che Shee Sue è venuta a chiedergli se era tutto a posto, e dopo un paio d’ore
anche la moglie di Tun jr, davvero carini.
Domani
partiamo, e anche qui non c’è stato tempo per visitare i corsi di meditazione
aperti anche agli stranieri, e dunque bilingui, dai seguaci di Sayagyi (titolo
reverenziale) U Ba Khin, presso il monastero Bhamaw (vedi:
www.mandala.dhamma.org/ ), peccato… comunque sono sempre corsi o di dieci o di
venti giorni al minimo (ma ci sono anche in Italia…).
3
giugno venerdì
Pago
i 15€ a notte, ed eccoci di nuovo in viaggio. Belle strade alberate e con
fiori, soprattutto tamarindi. Ci sono le solite difficoltà nella guida: non ha
lo specchietto retrovisore centrale, il tachimetro e gli altri indicatori del
quadro sono rotti, non usa mai le frecce per segnalare che sta per svoltare, non
si mette mai la cintura di sicurezza, lungo la strada ci sono come al solito
lavori stradali in corso non segnalati, inoltre ci sono varie sconnessioni del
manto stradale, il traffico è composto soprattutto da moto, motorini,
ciclomotori, piccoli pullmini per trasporto persone, bici, camion, grossi mezzi
pesanti, eccetera. Fatti 120/130 km., arriviamo in meno di quattro ore (ed è il
caldo che fa sembrare tutto più difficile e lungo) a Monywa (leggi mognuà). Ci
sistemiamo in un bel hotel di categoria media (il Monywa hotel), in una bella
ampia camera di livello superior, che ci viene data in offerta al prezzo di una
standard a 25$ (cioè 17 €uro) con prima colazione. Abbiamo anche un terrazzo
con tavolino e sedie.
Una
cosa che mi ha colpito molto attraversando in auto questa città, è che ho
visto ad un angolo di strada una pensione chiamata Pancherra Guest House....
Al
di là della città c'è il bel fiume Chindwin ed è tutta circondata da belle
colline e vallate. Per via fiume arrivano qui i legni pregiati, e grazie al
nuovo ponte vengono indirizzati in questa direzione tutti i traffici e i
commerci con l'India, il che ha fatto rifiorire questa area, che per diversi
anni era stata isolata dato che era una "roccaforte" del partito
comunista BCP.
Nei
dintorni (soprattutto nella vicina Shwebo) si produce la thanaka, una pastella
ottenuta macinando su una apposita pietra arrotondata la corteccia di una pianta
tipo sandalo, e che tutte le donne di ogni età e condizione sociale (e
anche non pochi bimbi) si mettono in vari modi sulle guance tutto il giorno.
E’ profumata perché dopo averla ben macinata si strofina con fiori di
gelsomino bagnati, ed è di colore giallino. Dicono che protegga dal sole, dia
una sensazione di freschezza, e faccia diventar più bella la pelle... ma
secondo me (dato che non si vede nessuna che stia senza alla sera quando
non c'è il sole, oppure quando vogliono andare a qualche ricevimento e
potrebbero far vedere che bella pelle hanno) è un po' come i tatuaggi in certe
culture (anche qui ci sono moltissimi coi tatuaggi, ma oramai è solo una scelta
individuale), o le fogge o i colori dell' abbigliamento tradizionale, o i tipi
di cappelli, ecc., un segno distintivo che fa parte della loro cultura, e che
quindi loro non considerano come qualcosa di speciale, di particolare, che si
usa per una ragione o scopo preciso, ma piuttosto come qualcosa che è del tutto
normale, comune, e di fatto è un segno dell'essere del Myanmar. Michele dice
che come da noi c'è lo eye-liner o la cipria, o il fondo-tinta, qui c'è la
thanaka. Ma in realtà non ci sono che rarissime occasioni in cui non la
mettono. E' un po' come da noi per i bigodini, deve pur esserci una occasione in
cui sfoggi che bei capelli ondulati hai... Avevo detto a Thant Su (che non lo
mette perché lei è moderna, ha un taglio di capelli e il colore, come nella
moda occidentale) che non capisco perché non si astengano dal mettersela quando
vogliono sfoggiare la loro bella pelle liscia, e lei si metteva a ridere. E' un
po' come il longyi per gli uomini, l'uomo birmano comune non si rende conto che
questa specie di gonna-pantalone è un abbigliamento specifico birmano, che lo
portano solo loro, quindi non vede come un segno distintivo il fatto di
portarlo, bensì come una cosa comune e scontata. E di fatto il longyi è un
capo di abbigliamento tipico degli uomini del Myanmar. Così la cipria gialla
thanaka sul volto è una abitudine tipica delle donne del Myanmar. Certe se la
mettono su tutto il viso.
Mangiamo
in una "trattoria" bamar: io prendo chicken lime sauce, e michele
mushroom with baby corn & sweet pea, e riso bianco stracotto, e per finire
canditi di palma (totale quattro €uro).
Fa
molto caldo e sembra di poter vivere solo grazie alla A/C; anche oggi è sui 41°,
ma si attendono temporaloni in serata.
Attraversato
il ponte sullo Chindwin, usciamo dalla città e ci inoltriamo per un'ora d'auto
in una pianura, o altopiano, disabitata, tutta fitta di palme altissime (le
toddy palms dal cui frutto si ricava un estratto leggermente alcolico), con
pozze di fango, che sono i posti da cui si estrae il rame, e miniere varie con
le montagnette di detriti che producono. In fondo in fondo, alla fine, c'è un
paesello che porta il nome di un famoso alchimista, U Hpo Win, e qui sono state
scavate le rocce con percorsi ricavati da fenditure sotto il livello del
terreno. Come già altre volte, ci sembrava un po’ di essere in un vecchio
film alla Indiana Jones, nel senso che in certi siti che visitiamo non c'è
nessuno, i monumenti sono abbandonati e in rovina tra la giungla, e vanno in
disfacimento. E così ogni tanto da un cespuglio spunta un bellissimo
bassorilievo o un fregio del 1200, con quelle figurine o quelle faccette molto
orientali con i loro sorrisi enigmatici... E magari viene fuori una scimmietta,
come quelle dell'altro giorno....
Siamo
stati dunque in un posto, chiamato “Hpo Win” Daung Caves, che era un po'
come quello famoso nella gola di Petra in Giordania, tutto ricavato appunto
dalla pietra in un canyon; ebbene anche qui c'erano delle fenditure in una
roccia e sfruttando quelle, sono andati a scavare sotto il livello del suolo,
scale e passaggi con ai lati tempietti e santuari tutti conquistati alla roccia
con gli scalpelli.. una cosa incredibile. Ma poi in un posto un pochino più in
là (Salingyi) ci si doveva invece arrampicare in alto sopra il roccione, tra la
vegetazione.
Ci
sono templi scavati nella roccia, corridoi stretti, e varie (492) grotte
tabernacoli. Anche qui è appunto un po' come nei film o in certi fumetti: tutto
è un po' diroccato, trasandato, ricoperto da vegetazione o muffe, aggredito dal
tempo e dall'incuria, con attorno sentieri di terra battuta di contadini,
bancarelle di cianfrusaglie, o di articoli devozionali, ecc.... Anche qui non c'è
nessun altro visitatore, e i luoghi sono deserti e abbandonati, ma ci sono fregi
stupendi sulle entrate di certe grotte e sui piccoli tempietti, che ci sembra di
scoprire noi ora.
Le
scimmiette (bertucce? piccoli macachi?) scorrazzano ovunque e chiedono delle
noccioline, sanno ben aprire e scartare i pacchetti confezionati.
Come
al solito ci accompagnavano delle ragazzine e dei ragazzini che oltre a cercare
con insistenza di vendere i loro oggettini a caro prezzo, sono anche carini e
sorridenti e ti fanno strada negli intricati passaggi. Le bimbe di circa 10-12
anni che ci accompagnano nelle fenditure sotterranee si chiamano una Daw-daw (=Do-dò),
e un'altra Aye-aye (che si pronuncia E'-é). Invece quelle più grandi che ci
accompagnavano su per la salita sulla roccia, non ricordo più come si
chiamassero. Ma il caldo è cocente e la roccia infuocata, e dunque io non salgo
verso la Shwe Hill, pur avendo appena pagato altri 2$ per la foreigner entrance
fee, e aspetto nello spiazzo giù, sotto un bell'alberone, assieme alle
venditrici di noccioline e arachidi e a un paio di uomini del villaggio.
Al
rientro al nostro albergo, subito scroscia un monsone intenso. Quando poi cessa
andiamo fuori coni nostri impermeabilini (presto intollerabili per il caldo) e
ombrelli (dell'albergo) a fare un giro, e siamo andati a cercare un mercatino
serale che ci avevano consigliato. Si va per le strade in quasi totale oscurità
per la solita carenza di lampioni (ma abbiamo la nostra pila). Compriamo acqua e
biscotti in un negozietto lungo la strada, e poi si incontra questo insieme di
vivaci bancarelle alimentari. Il mercatino si svolge tra il monumento a Aung
San, la clock tower e la pagoda. Tutti o quasi hanno un loro mini generatore che
consente di far rimanere accese le piccole lampadine colorate della loro
bancarella. Ogni tanto ancora pioviggina, e intanto assaggiamo delle buonissime
ovine di quaglia fritte in una pastella, e delle frittelline dolci, anch'esse
cucinate in una piastra, un grande padellone, che ha tanti incavi rotondi in cui
mettono l'impasto e le ovine. L’olio è quello di arachidi, e non è rifritto.
La ragazza che le faceva era sorridente e molto gentile, e così abbiamo preso
anche delle fittelline, e nell'attesa ci ha offerto da assaggiare tre o quattro
frutti del jack fruit appena colto freschissimo (spesa totale quaranta €urocents).
Riprende a piovere abbondantemente, e rientriamo in albergo contenti di
mangiarci in camera questa cenetta.
Invece
l'altroieri avevamo mangiato benissimo in un posto di cucina bamar (birmana)
dove io ho preso del pesce tipo sgombro, e Miki degli intingoli vegetariani,
naturalmente come condimenti di riso al vapore agglutinato. Ho assaggiato
solo una volta quello che è il piatto più comune che vale sia come prima
colazione che come pietanza, chiamato mo-hi-nga, ovvero spaghettini di riso in
un brodo di pesce un po’ piccante, con banane, scalogno, e pezzetti di uova
sode di anatra, con su del coriandolo tritato, e ci si spreme sopra uno spicchio
di lime. Mentre l’alto piatto comune è il laphet, l’insalata di
foglie di thé conservate sott’olio, che assomiglia vagamente a delle biete
amarognole, e lo danno anche come merenda (ci sono anche le foglie di thé in
salamoia e zenzero). …ooops e andata via di nuovo la corrente...! mi sa che
ora smetto di scrivere, e riprenderò forse più tardi (se non dormiamo subito,
come è probabilissimo). Ta tà =ciao ciao.
4
giugno
Ci
alziamo un po' prima, e fatta la colazione partiamo alle sette verso Pakakku.
Come prima sosta visitiamo la Thanboddhay pagoda, che ha uno stile unico nel
Myanmar, certi dicono che assomigli un po' a quello di Borobudur a Giava. Anche
i colori sono particolari, arancione, giallone, con tanti pinnacolini sul tetto.
E la torre dell'orologio anche lei è a strisce orizzontali colorate e con una
curiosa forma. Ci sono anche vasche con tartarughine e con pesci rossi, o anche
pescioni grossi. Molti bassorilievi o statuette in gruppo, molto colorati un po'
kitsch, come ne avevamo già visti alle caves. inoltre ci sono molti affreschi
coloratissimi, con sequenze sulle leggende sopra il Buddha, a scopo didascalico.
E poi numerose figure umane, o anche solo busti, con sottostanti scritte
esplicative.
Abbiamo
poi anche visto lì a fianco i cosiddetti mille Buddha (Boddhi-Tataung), si
tratta di un esercito di più di un migliaio di statue del Buddha mentre sta
meditando sotto l' albero di bodhi, e tutte queste statue identiche tra loro in
una foresta di alberelli giovani di banyano sotto cui stanno in file ordinate,
ha un effetto scioccante e non riesci a distogliere gli occhi da quel bosco
abitato da immagini replicate...
Poi
andiamo al grande Buddha in piedi su una collina, che domina su una intera
vallata. E' alto 130 metri e si può salire da dentro, Michele ci prova ma dopo
il 18° piano c'è un fermo che non consente di proseguire. Proprio davanti allo
spiazzo e al parcheggio c'è un Buddha sdraiato di circa cento metri.
Ripartiamo,
quindi attraversiamo una piana infinita con palme toddy molto alte,
assolatissima. C'è poco traffico, comunque a parte tratti di particolare
addensamento, ad esempio qui nel corso di cinque minuti cronometrati abbiamo
incrociato, come mezzi che venivano dall'altra direzione: due grossi camion e
quattro motorette, provate a fare lo stesso conteggio, orologio alla mano, su
una nostra strada provinciale...
Finalmente
arriviamo nella calura a Pakakku all'imbarcadero sul fiume Ayeyarwady,
aspettiamo un po' seduti all'ombra in una capanna-"bar" di paglia e
stuoie. Mi aggiro fiaccamente a fare qualche foto, in cerca di un bagno che non
c'è. Chiedo e mi indirizzano verso una paratia di paglia dietro a cui si usa
sgravarsi, ma tra le chiazze per terra non si sa dove mettersi e l’odore col
caldo è forte. Intanto arrivano e si accumulano grossi camion.
Il
grande ponte oramai è quasi pronto e renderà inutile tutto questo
affaccendarsi all' imbarcadero. Il nostro ferry-boat è in realtà un ferro
vecchio arrugginito che viene stracaricato di camion, auto e ogni altra cosa, e
si muove lentissimo e ci fa proprio penare. C'è un’aria torrido-rovente
(forse 43°): terra, aria e acqua sono calde ed emanano calore, sono le 13.30 /
14 e il sole è spacca-cranio, l'umidità in mezzo al grande fiume di melma
certo non manca di dare il suo contributo. Ci chiudiamo tutti e tre in macchina
dato che fuori sul ferry non c'è alcun riparo, alcuna ombra, e stiamo seduti
dentro con l'aria condizionata che va al massimo. Ma manca l'ossigeno, per cui
nella lentezza del lungo percorso fluviale ogni tanto ci casca un po’ la testa
e ci si chiudono gli occhi per dei piccoli colpi di sonno. . . Prendo un
Supradyn (un multivitaminico) per tenermi su... e beviamo acqua, ma finisce la
bottiglia. Per un tempo infinito stiamo barricati dentro l'auto scassata di Myo
accesa con l' A/C, anche se in effetti dopo un po' mi pare che manchi l'aria, e
l'oppressione è palpabile, ma se non altro almeno dai bocchettoni esce del
"fresco". Sembriamo dei pesci tropicali in un vaso di vetro.
Ogni tanto mi pare di confondermi tra sogno e non. Intanto che goccioliamo e i
rivoli di sudore scorrono, mi rannicchio sulla sinistra per non beccarmi i raggi
solari che entrano dal vetro del finestrino destro. Mi proteggo la pelle delle
gambe con una camicia sudata. Finalmente si raggiunge l'altra riva:
l'improbabile si avvera!
Dopo
solo una mezz'ora di strada eccoci arrivati a Nyaung U, e poi al nostro hotel.
Eccoci
dunque finalmente a Bagan nel bellissimo resort che avevo riservato per il gran
finale degli ultimi giorni, arriviamo e troviamo che ci sono i nostri nomi su
una lavagna fuori dal portone di ingresso....!
Qui
tutto il mondo cambia: ci ricevono dandoci asciugamanini bagnati freddi, ci
offrono una coppa di tamarindo fresco da bere, e con tutti questi sorrisi che ci
vengono incontro, entriamo in una bella hall con aria condizionata.....
Subito
una buona doccia ristoratrice in camera. E inoltre qui c'è internet, dunque
provo a scrivere qualcosa a casa approfittando che tanto fuori piove forte (ma
già è andata via due volte la corrente e ho perso due volte tutto quel che
avevo scritto....uffa). Questa la mail :
"Innanzitutto
come vedete, non uso gli apostrofi e gli accenti e le altre stramberie italiche
perché anche qui c'è la tastiera doppia: latino-birmana (quindi con meno tasti
per noi). Anche oggi c'era moltissimo caldo umido sui 42° gradi, ed è così già
da alcuni giorni, per fortuna che alla sera piove (ora ad esempio c'è il
diluvio). Per questo (ma non solo) questo tipo di viaggi sono un po' stancanti,
non da vacanza, perché le strade sono quello che sono, le auto, gli alberghi,
le "trattorie" eccetera anche.... il pancino dolente spesso non manca
di farsi sentire, e quindi non ci sono solo difficoltà linguistiche, e di
pronuncia, e di mentalità, e di cultura..... (come comunque ben sapete), e di
tastiera. Ma ciò non ostante, è un paese straordinario!"
Alla
sera restiamo qui a cenare, e ci sono persino dei musicisti che suonano dal vivo
e cantano allietandoci (siamo gli unici due clienti al ristorante) con belle
vecchie canzoni americane anni '70, che si potrebbe pretendere di più?
domenica
5 giugno
Stamattina
presto prima colazione a base di frutta freschissima e succosa, con brioches. C'è
un uomo d'affari francese che invece è già qui per lavoro, e infatti sta
lavorando e non vuole essere seccato dalle strane domande sulla colazione che
gli fanno le cameriere; si è fatto apparecchiare un tavolo fuori nel terrazzo
con un grande ombrellone, ed è intento sul suo computer portatile, ogni tanto
si alza e va a chiedere come mai è caduta la linea.
Il
romanzo di Gosh si sta sovrapponendo al viaggio ed è un buon compagno,
oltretutto mi spiega varie cose che altrimenti non saprei, ed è proprio un
libro sulle incomprensioni tra culture pur compresenti, e sulla incomunicabilità
(un po' alla Antonioni...), tra inglesi e inglesi, tra birmani, tra birmani e
indiani, tra cinesi e tutti gli altri, ecc….
Intanto
ora è saltata di nuovo la luce... Aung Ma mi aiuta a riaccendere il computer e
rifare la connessione internet.
Bagan
(o Pagan) è stata dal IX sec. sino al 1287 (quando fu conquistata da Kublai
Khan) un centro politico-religioso e artistico di grandissimo rilievo e fama.
Tiziano Terzani disse che è uno di quei rari luoghi che “ti rende fiero di
appartenere alla specie umana”. La visita di Bagan è molto particolare,
innanzitutto perché tra i tanti templi e monumenti e monasteri eccetera
disseminati sul suo territorio (circa diecimila), “solo” 2270 sono
sopravvissuti alla inclemenza del clima, del tempo, e delle guerre, e tra questi
alcune centinaia sono di straordinario interesse storico artistico e religioso.
Quindi il primo problema è di sceglierne una ventina non di più che si
vogliono visitare. Il secondo è il caldo che opprime questo altipiano, e quindi
si va in visita al mattino presto in macchina e poi si fa la sosta (e siesta) e
si riprende nel tardo pomeriggio. Il terzo è che bisognerebbe informarsi un po'
prima su quel che si sta per andare a vedere. Il quarto è che bisogna essere
"svestiti" adeguatamente, avere con sè un cappello, una bottiglia di
acqua, dei soldi, una merendina tipo biscotti secchi, il passaporto, la guida,
...
Detto
ciò, stiamo girando per posti di straordinaria bellezza e interesse. Anche
alcuni che magari in un primo momento non sembrerebbero tanto attraenti, poi si
rivelano di rara bellezza. Ma questo ci è capitato già in altre occasioni.
Per
esempio stamane abbiamo visitato un grande tempio del 1090, lo strabiliante
Ananda (=infinita beatitudine), dal nome di uno dei più amati discepoli diretti
del Buddha Gautama, con quattro Buddha dorati rivolti in piedi verso i quattro
punti cardinali con dei mudra (posizioni particolari delle mani e delle dita)
differenti e delle espressioni differenti del volto (uno in particolare appare
serio se lo guardi da lontano, mentre appare sorridente e gioioso se guardato da
vicino, grazie ad un artificio scultoreo ingegnoso). Detto così forse potrebbe
sembrare qualcosa di non particolarmente strabiliante, e invece è stata una
visita ad un luogo magico e stupendo… Oppure durante il percorso che abbiamo
fatto in auto nel tragitto di trasferimento verso Bagan, ci siamo fermati a
vedere un semplicissimo e antico "monumento" -per così dire- dorato e
a forma di grande seme di zucca, che sta sul bordo dell' ansa di un grande fiume
affluente qui vicino, che è straordinariamente moderno nella sua essenzialità...
Iniziamo
la visita ai templi disseminati per l'area di Bagan dalla bella Shwe Zigon Zedi,
uno dei primi grandi templi, della metà dell’XI sec., edificato su un sito
indicato pare da un raro esemplare di elefante bianco. E’ magnifico e
impossibile da descrivere a parole (vedi ad es. in: http://cultorweb.com/Bagan/B.html).
Anche
qui veniamo subito attorniati da ragazzine e bambini. Oltre al saluto, un
iniziale strascicato e cantilenato mingalabar... altre espressioni che abbiamo
imparato perché molto utili nel confrontarsi con queste piccole venditrici,
sono: to bi, ce zubeh cioè no grazie; e ma we do bu = io questo non lo prendo;
ma loro certo non si rassegnano solo per queste frasi... così alla fine dopo
aver cercato di spiegare in inglese che non abbiamo più soldi disponibili per
acquisti perché siamo oramai alla fine del nostro viaggio, dico loro taw ma
mare, mi dispiace. Spesso poi quando te ne stai davvero andando via senza
comperare nulla, allora accettano il tuo prezzo. Ora qui c'è We-we che insiste
molto, e dice e ridice la frase che forse ci hanno detto più di frequente in
questo viaggio: "lucky money - lucky money!", che vorrebbe significare
che se spendi quella cifra che ti ha detto, quelli sono soldi spesi bene, un
buon prezzo, per cui sei fortunato ad avere questa opportunità. In un esperanto
maccheronico un'altra continuava ossessivamente a proporre: "Très for mile!
Très for mile!" cioé si offriva di dartene tre pezzi per "soli"
mille kyats. Altre espressioni utili che ho imparato sono: ma sar par bu, per
chiedere che il piatto cucinato sia senza funghi (sono allergico), oppure shin
mai per chiedere il conto.
Ieri
sera a cena ho mangiato del pesce ottimo, con patate, passato alla griglia, e
una zuppetta di verdure varie, dolce e cremosa, dell’insalata di tofu, per 7$
nel bel ristorante dell'hotel.
Oggi
al mercato di Nyaung U non siamo riusciti a fotografare una povera vecchia con
gli occhialini, l'ombrello, magrississima, che fumava un grosso sigaro fatto
palesemente a mano con paglie varie. Era -come si sul dire-
"bellissima". Le ho dato dei soldi per sedersi ad uno di quei punti
ristoro di bancarella a mangiare.
C'era
in effetti stamattina presto un mercato bellissimo colorato e vivace. Ho dato
dei biscotti a un bimbo e a una ragazzina, e i soldi per comprare le uova a una
donnina piccola piccola minuta che me li ha chiesti. E ho dato dei biscotti a
una bambina, e poi a un bambino. All'ingresso in un tempio una donna con un
bimbo per mano, mi appunta una spilletta fatta a mano da lei con dei pezzetti di
carta colorati, che imita una farfallina, per buon augurio.
E'
veramente sconcertante come persino il messaggio sublime del Buddha sia stato a
volte distorto, piegato, usato, adattato alle esigenze storiche e sociali. Sono
indubbiamente più forti l'usanza, i costumi, le credenze popolari,
l'istituzione, le regole, i ruoli, la casta sacerdotale degli uomini
amministratori dei riti, delle cerimonie, dei beni dei templi, ecc. che non il
contenuto profondo, il senso del messaggio offerto da una grande anima...
Ha
la prevalenza la devozione, cioé gli atti devozionali del popolo, l'esplicitazione
a livello religioso delle necessità psicologiche popolari delle larghe masse
povere di mezzi materiali e intellettuali, e anche di spirito.
Nella
sentimentalità popolare è forte la necessità di una protezione, da parte di
un essere, un eroe, un santo, un re, un mago, un essere percepito come superiore
al comune, che si percepisce che ha raggiunto livelli superiori e che si
considera dunque più potente dei comuni mortali; questa sua superiorità la si
vede come garante della protezione che si chiede.
In
questo contesto si spiegano anche le statue colossali, come il “san Carlone”
vicino al Lago Maggiore, o il Cristo del Pan de Azucar (Rio de Janeiro), o il
“buddhone” di 75 metri o quello di 130 che abbiamo visitato ieri, queste
grandi e impressionanti statuone, per dare l'impressione di una potenza
immensamente superiore, gigantesca, quasi appartenesse ad un'altra razza di
super esseri. Ma la potenza in questi casi va accompagnata dalla infinita
misericordia; è il guerriero buono, il superman che si batte per il bene,
quello che a vantaggio di tutti salva il mondo dalla catastrofe come in certi
filmoni hollywoodiani, o in certi fumettoni pop. Deve poter essere schiacciante
e sicuramente vincitore come la Verità unica e assoluta che egli possiede e che
difende. Deve essere una vera e propria forza della natura (come gli antichi
dei), o di più, deve darci la certezza incrollabile di avere dei grandi poteri.
Così
è a volte, anzi spesso, ridotto lo stesso Buddha (!), a immagine e somiglianza
delle misere psicologie umane e delle ansie che producono, una statua cui ci si
rivolge con fiducia assoluta implorando il suo aiuto. E ci si inchina, ci si
prostra al suolo, gli si dice che può star certo della nostra incrollabile,
indeflettibile sottomissione e fiducia totale in lui (e cioè in quella nostra
immagine umana che ci siamo costruiti e che abbiamo materializzato di fronte ai
nostri stessi occhi). E la gente stravede ipnotizzata da queste immagini che
tratta come fossero reali
In
queste pagode, o paya (o pheya), con le loro statue dorate, con i raggi luminosi
colorati che escono dalla testa, i loro fumetti con didascalie, le loro pitture
illustrative, ovviamente manca il concetto di restauro storico artistico, anche
perché anziché far la fatica di essere conservativi di questi antichi beni
artistici, basta ricostruire ex novo qualcosa di eguale. Quindi caso mai il
restauro è concepito come ricostruzione del pezzo difettoso, o mancante, se non
dell'insieme.
D'altronde
la replica, la ripetizione dell'identico, è la regola, sia nei riti e
cerimonie, che in molte situazioni della vita. Si impara sin da piccoli a rifare
sempre tutto eguale e conforme alla regola atemporale e assoluta.
La
cerimonia, il rito, i mantra, i mudra, non sono che rispetto della regola data,
e sua ossessiva (e compulsiva) ripetizione. E così pure è nelle statue, nelle
immagini: è vera quell'immagine che riproduce fedelmente identico l'originale,
originario, anzi il modello paradigmatico. La stessa visita agli ateliers dei
marmorini di Mandalay o di Sagaing, è stata esemplare, producono solo repliche.
Così come pure quelle agli artigiani (abbiamo visto gli orafi, le botteghe
degli intarsi in legno, di quelli che fanno gli arazzi, eccetera) che lavorano
nel rispetto dei moduli tradizionali, che ripetono le arti, i saperi, le
tecniche da sempre in modo conforme alle origini, per avere la certezza della
buona riuscita dei risultati prodotti, danno luogo a oggetti di pregevole
fattura ma con scarse aperture creative a nuovi moduli, a nuove interpretazioni,
possibili solo con una analisi critica che stimoli l’inventiva e il
rinnovamento.
Comunque
senza dimenticare che proprio in Birmania il messaggio buddhista più puro è
stato ripreso oggi in modo creativo per dare vita ad una visione anche sociale,
oltre che naturalmente spirituale, moderna, basta leggere U Pandita, o U Ba Khin,
o nella bella intervista di Alan Clements a daw Aung San Suu Kyi (La mia
Birmania, 1996, traduz. it. TEA edizioni) le pagine su quello che la premio
Nobel per la pace, chiama un buddhismo moderno “impegnato”, fondato sulla
pratica di tenera amorevolezza, sulla buona intenzione, e sulla compassione, la
consapevolezza, la saggezza, la fiducia nell’automiglioramento, la sincerità,
e la nonviolenza.
Anche oggi fa caldo (circa 40°), ma almeno abbiamo dormito bene, su un ottimo
letto, il condizionatore di A/C non era rumoroso, né c'era bisogno di un
ventilatore (che pure lui ha il suo motorino, come anche il piccolo frigo-bar),
e il geco, immancabile in ogni stanza, non faceva il suo caratteristico e
rumoroso schiocco troppo spesso. Al mattino presto però in quella camera
sigillata non si sentivano né gli uccelli, né tantomeno i gridi e i richiami
degli ambulanti (e questo invece mi è mancato…).
Siamo
andati a visitare durante la giornata una dozzina, o più, di siti. Paya sono i
templi, le pagode, stupa quelli a campana o similari in cui non si entra, e
infine zedi sono un po' tutti i luoghi sacri inclusi anche i monasteri (kyaung).
Quindi quel monumento a forma di seme di zucca, come anche quei santuari con gli
affreschi, sono tutti zedi.
La
figlia del pittore di dipinti su sabbia, che si chiamava Min Min, ci regala un
suo disegnino fatto rapidissimamente al momento, a me (guarda caso...!) fa un
leone-grifo (che è il segno di quelli del martedì...), e a Miki un elefante
(il simbolo del mercoledì).... Sono linee e forme che fa oramai quasi
automaticamente con una sorta di stilografica rudimentale.
E'
stato bello sentire la voce squillante di Ghila al telefonino, ma il cellulare
ha suonato proprio mentre eravamo davanti al Buddha nel tabernacolo!... e sono
uscito di corsa.
Poi
siamo saliti su in cima all’ultima terrazza della Gaw Daw Palin (un grande
tempio del 1230 con una base di 65m. per 52m, alto 60 m., con uno stile
particolare) per ammirare il panorama dall'alto, di questa distesa di templi
impressionante, con una scalinata ripidissima che aveva dei gradoni alti e
stretti, aggrappandoci al mancorrente e tirandoci su. Da lassù il panorama era
davvero come si dice mozzafiato... tutta la pianura costellata di centinaia di
templi, e si vedeva sino all'orizzonte in una serata limpida e ventilata (ma
comunque calda).
Stupendo,
veramente incredibile, ci sono solo solo templi, solo un territorio consacrato,
di 42 km quadrati! Stupendo, incredibile, eccezionale, credo siano le parole che
ci diciamo di più in questo viaggio, oltre a: ma guarda là! (si vedano
ad es. le foto su: http://www.cultor.org/Orient/Photos/Burma/index.html
).
Poi
c'era il problemino di scendere per quegli scalini ripidissimi e molto alti, ma
mi è bastato non guardare giù ma solo i gradini, tenendo voltata la schiena
come in salita.
Ora
nell'albergo sono arrivati due pullman pieni di ragazzi, in gita da un liceo di
Yangon. Tutto è cambiato, c'è animazione... Uno dei loro accompagnatori se ne
sta tranquillamente seduto su una bellissima poltrona in vimini, ma con le gambe
incrociate. Anche Thant Su quando era in macchina stava con le gambe incrociate
sul sedile.
Invece
qua molte delle ragazzine che vendono la loro roba hanno imparato un pochino di
parole in italiano dai rarissimi turisti, ... e se le ricordano e le sanno
pronunciare abbastanza bene, una volta sentite dire le memorizzano, e così si
arrangiano a vendere. Spesso dicono a Michele in italiano: "tu sei
bellissimo", cosi sperano di ingraziarselo.
Ma
anche chi sa solo un po' di inglese imparato a scuola, anche se la pronuncia
rende quasi incomprensibile quel che dicono, alla fine si fa intendere, anche se
poi scappano dei risolini di imbarazzo. Ricorderò il sorriso della premurosa
Shee Su al Peacock di Mandalay dove siamo stati tre notti, che si sentiva in
colpa per le sue incomprensioni (e continue dimanticanze) e faceva i suoi
risolini sommessi di vergogna, quando le chiedevo la mia biancheria lavata, o
qualcosa relativo alla colazione.
Testo
della mia ultima mail: “Ce zu beh (=grazie) per la telefonata graditissima, ma
come ti dicevo la connessione del cellulare e' discontinua ( cosi come la
connessione per internet che sto usando ora, va via Hong Kong....! e per le mail
devo usare la versione html di base), e poi molte volte la voce arriva in
differita di cinque-dieci secondi. . .”
Il
nostro autista (che ci ha portato dal Lago Inle fino a qui a Bagan), che si
chiama Myo (leggi: miù) e' proprio originario di Bagan e qui conosce tutto e
tutti. Lo invitiamo a fermarsi a pranzo con noi, ma lui qui va a casa della sua
famiglia. Domattina ci fara' la conferma dei voli in agenzia aerea. Abbiamo
quasi finito i soldi ma caso mai cambieremo degli euro che avevo in tasca alla
partenza.
Stasera
a cena ho mangiato chicken fingers, una soup di tomato con verdurine e spezie
varie, e un riso all'ananas (non fried rice!) con pollo in un sughetto di certe
bietole strane, molto buono. Ora ci tuffiamo a letto, ho provato molte volte a
chiamare a casa sia sul fisso che sul cell ma senza risultati, è la linea che
è sempre piena.”
Lunedì
6 giugno
Stamane
andiamo in "gita" al monte Popa, una di quelle colline che si vedono
in certi acquarelli orientali, che sporgono all'improvviso come una bolla e si
ergono come una torre arrotondata (740 metri di alt.) e sono di chiara origine
vulcanica. Questo monte è la sede dei Nats, gli spiriti della natura, anzi dei
37 Nats principali.
Lungo
la strada ci fermiamo a vedere la lavorazione della palma e di come estraggono
lo "zucchero", il "vino" (un liquido dolce fermentato un po'
alcoolico), e il "whisky" (ovvero la grappa) tratto dalla alta palma
toddy. Il luogo è un "bar" all'aperto lungo il bordo della statale,
vicino ad un villaggio. Il bar è molto bello e molto ben curato, pulito,
arredato con gusto. Tutto è fatto o derivato dalla palma, le sedie, le sdraio,
i tavolini, le stuoie, le decorazioni, tutto. Ci mostrano le varie fasi della
lavorazione artigianale, dalla raccolta alla spremitura e macinatura, dalla
bollitura in forni a legna scavati appena sotto il suolo, sino all'estratto con
cannucce che passano il distillato in vari raccoglitori, e infine ai prodotti
finali. Ci regalano delle figurine di grilli fatte con le foglie, e poi una
borsettina di paglia con dei dolcetti di melassa. Infine comperiamo una
bottiglia di liquido fermentato in una custodia di paglia. Devo andare in bagno
e la latrina un po' più in là fatta di stuoie, è come tutto il resto,
pulitissima.
Il
monte Popa, è a un paio d'ore da Nyaung U, c'era traffico ma e' andato tutto
liscio. Ci sono spesso lavori in corso per manutenzione; le operaie stradali
mettono piccoli mucchietti di asfalto per volta a mano!!!! Il problema del
traffico, oltre alla strada troppo stretta e maltenuta, tutta ondulata, con
avvallamenti, buche eccetera (il bordo e' spaccato, le parti laterali per
spostarsi e poter passare quando ci si incontra sono di sassoni o ghiaietta
scivolosa, eccetera) e' anche dovuto al fatto che come già ho raccontato, quasi
tutti hanno la guida a destra perché comperano auto usate da Singapore che
avendo il volante a destra costano molto meno, e perciò il Myammar è il più
grande mercato di importazione di queste vecchie auto; quindi gli autisti non
vedono bene quando devono sorpassare....! Per esempio Thant zin, l'autista che
ci ha portati a Kyaikhtiyo, aveva preso con se' sua moglie anche in modo che gli
facesse da navigator, e gli dicesse quando poteva superare. Inoltre per
es. nel difficilissimo viaggio da Kalaw fino a Mandalay abbiamo visto che i
camion mettono la freccia a destra per dirti: stai lì, e a sinistra per dirti:
passa pure adesso. Ma in certi tratti gli addensamenti sono tremendamente
caotici, comunque loro restano sempre abbastanza calmi e non si arrabbia mai
nessuno ne' borbotta o commenta o bestemmia o fa gesti per sfogarsi...
Ogni
tanto bisogna pagare un pedaggio, e allora si scambiano tra autista e addetto ai
pedaggi, delle stravecchie banconote ormai schifose di piccolo taglio, per fare
i pagamenti o per dare il resto. Cioè siccome fare stampare le banconote costa,
le autorità hanno deciso di non ristampare più biglietti di piccole cifre, ma
solo biglietti da mille. C'erano negli anni scorsi i biglietti più fantasiosi,
tipo da 35 o da 45 o 75 kyats, che ora non sono più in corso, però servono
ancora, eccome!. Allora la gente li conserva tenendoli assieme con lo skotch,
oppure mettendo questi vecchi brandelli rattoppati in bustine di plastica, e così
se li scambiano lo stesso. Quindi accade che questi frequenti posti di blocco,
diventino in effetti punti di scambio di questi che io e miki chiamiamo
straccetti sporchi. D'altronde il valore di una valuta è dato solo dal
reciproco riconoscimento, non è sempre così? anche in molte altre cose? è una
convenzione, si assume che quel biglietto sia equivalente al valore di.. tot; e
dunque ognuno si regola se accettare o non accettare certi biglietti malconci.
Se no, ti danno di resto delle caramelle o qualche altra cosa, oppure
arrotondano. Certo che è paradossale che proprio in un paese così le banche, e
quindi la gente, non accettino dollari usati, cioè non li riesci ad utilizzare
se non sono banconote nuove perfette… (credo che sia l’unico paese al mondo
in cui non prendono dollari validi e in corso, solo perché non nuovi…).
Dunque
questa mattina siamo andati al monte Popa. Quando arriviamo sotto il monte,
piove e tutto quanto è dentro una nuvola. I gradini della scalinata per salire
in cima sono scivolosi e sporchi (e si deve andare a piedi nudi). Il monte è
una collina ripida con su una rocca e un santuario, e si va in pellegrinaggio in
cima facendo 777 (settecentosettantasette) gradini anche a volte molto ripidi.
La guida dice che ci vuole mezz'ora, ma stamane il tempo era nuvolo e dunque
afoso, quindi la salita pesante e penosa. Ma vedo che mi basta andare pianino
pianino e faccio di tutto, anche se arrivato su sono un po’ stanchino e
sudatissimo.
Qui
ci sono dei santuari dedicati ai Nat che sono gli spiriti (benigni e maligni)
presenti in ogni dove e in ogni cosa. E' stato molto interessante e anche bello.
Al solito non c'era quasi nessun turista e, a parte una coppia di olandesi che
abbiamo incrociato, eravamo come sempre gli unici bianchi.
Solo
che gli scalini erano tutti bagnati dalla pioggia, e c'erano moltissime
scimmiette (che ovviamente scagazzano e spisciottano) e andare su a piedi nudi
non era proprio un vero "piacere", ma anche se scivoloso, e afoso,
come dicevo basta andare molto pian piano, facendo semplicemente un passo alla
volta. Vediamo questi strani templi dedicati ai vari spiriti, che sono molto
interessanti, ma alcuni sono dedicati anche a venerabili sant'uomini (o donne)
che in pratica erano dei guaritori, degli sciamani.
Ma
poi, conquistata la vetta, da lassù il decantato panorama è... molto
coperto...
Poi
siamo stati a visitare una cosiddetta fabbrica artigianale di lavorazione della
lacca, e Miki si è lasciato affascinare e ha comperato (credo per un regalo) un
bicchiere o tazza di quelle laccate morbide. Sono fatte con una sorta di tessuto
molto fitto di crine di cavallo, quello sottilissimo (ma molto forte e
resistente)...! e poi una volta fatto un cilindro, lo laccano piu' volte sinché
non diventa liscio e lucido, ma rimane malleabile, elastico e pieghevole....
Sono
incredibili... ci vuole una pazienza... e tanto di quel tempo...
Poi
ci siamo fermati li a prendere il thé che ci offrivano, che è segno di
ospitalità, e viene dato con spuntini di semi di sesamo, noccioline tostate, e
dolci di palma, e a fare due chiacchiere con Myo e con il proprietario del
laboratorio, in terrazza con tantissima vegetazione fitta fitta tutt'intorno,
una bella arietta, era proprio gradevole. E’ una usanza quella di invitare
degli ospiti a prendere del thé verde, masticare betel, e fumarsi un sigarone
di paglie, facendo due chiacchiere. In quell’occasione è tradizione che si
tiri fuori la scatolina laccata per il betel in cui si tengono delle porzioni
fatte secondo la mistura di proprio gusto. Intanto che si scambiavano poche
semplici parole infatti i due uomini birmani chewingavano il betel e cosi non si
capiva bene quel che dicevano con quella noce dentro la guancia, e poi avevano i
denti e la bocca rossi, il che non era molto estetico!. Però sono stati
simpatici e il thé era davvero molto buono, e c' erano tanti uccellini che
facevano i loro diversi cinguettii. La strada era di terra battuta e ogni tanto
passava un carretto con cavallo, o un bue bianco con la gobba. Era il
laboratorio artigianale di lavorazione della lacca "Golden Cuckoo"
Lacquerware Workshop, al Myin Ka Par Village presso Bagan, di U Tin Htun e Daw
Aye Aye.
Rientriamo
infine in hotel e ci rilassiamo.
Stupendo
pomeriggio e serata. Quasi quasi non avrei voluto più saperne di visitare
pagode, e invece anche queste ultime erano particolari, e molto belle. C'era una
luminosità speciale che creava bei colori e bei rapporti luce-ombra. Saliamo su
una pagoda e il panorama è dolcemente calmo e vasto; l'arietta è ora piacevole
e il cielo "alto". Ancora siamo i soli bianchi, oppure proprio soli in
assoluto, gli unici visitatori. Ci addentriamo in edifici deserti e oscuri, ci
facciamo aprire i cancelli che li proteggono dai cosiddetti Key Masters che a
volte bisogna andare a cercare e a far chiamare, e allora dopo un po' pigramente
arrivano e ci aprono i lockers. Ci aggiriamo per luoghi bui, in cui siamo
entrati perché ci sarebbero dei dipinti antichi, o dei bassorilievi, o altro di
particolare da vedere, ma non si intravede che ben poco, quel che la penombra e
dei raggi obliqui consentono. In altri casi per terra c'è una lampadina con un
lunghissimo filo elettrico, basta non schiacciarla e trovare l'interruttore e si
possono ammirare pitture murali a secco del 1100/1200 di squisita bellezza o
statue, statuette di squisita fattura.
Anche
oggi ci è capitato di visitare un villaggio di contadini, che si chiama Me Nan
Du. Ci accompagnava una donna del posto, di nome Ma Sue. E' un villaggio
"bellissimo" tutto di capanne di stuoie e frasche. Loro fanno tutto
con le palme, la struttura portante delle capanne, i tetti di paglia (ora spesso
sostituiti da caldissimi tetti in lamiera ondulata che presto si
arrugginiscono), l'arredamento: tavoli, tavolini (tutto è basso), seggioline,
sdraio (con bamboo "elastico", e con poggiatesta e braccioli), grandi
sdraio per due, i telai, i vari macchinari per tritare, per filare, ecc, e poi
prendono il cuore di palma per i condimenti, eccetera eccetera, perciò quasi
tutto non gli costa nulla in termini di denaro (ma "solo" di tempo,
pazienza e lavoro, ma quello ce lo mettono loro stessi). Quindi i villaggi sono
fuori dal circuito del mercato monetario, non guadagnano soldi. Hanno l'orto,
hanno la frutta, hanno gli animali, hanno i campi da coltivare, eccetera. Nei
mercati si baratta, e si scambia, e cosi si combinano affari. Ma ora anche loro
hanno bisogno di un pochino di soldi per fare certi acquisti, quindi vendono i
tessuti che fanno con i loro telai di legno ai negozi, oppure anche vendono pure
qualcosa direttamente al minuto ai turisti ( e io ho comprato una bella
camicia).
Riprendo
il discorso di prima: era tutto pulito e ordinato, e c'era silenzio. Si
sentivano i vari bambini che facevano i compiti ad alta voce nelle rispettive
capanne, e qualche donna che canticchiava. Anche le stalle sono tenute bene.
Insomma ci è piaciuto molto. Poi le decorazioni che fanno per esempio sulle
scalette (le capanne sono sempre tutte sopraelevate) intarsiando il legno, sono
carine. E le stuoie che usano per fare le pareti sono fatte con dei begli
intrecci geometrici di toni differenti di paglia.
Mi
ha sempre seguito una bambina di nome We-we, mentre Miki era presissimo con un
cagnetto cucciolino birichino che voleva giocare.
Poi
proprio quando ci ha presentato alla nonna (anche lei con il suo grosso sigaro
di paglia) siamo dovuti scappare via per non perdere il tramonto dall'alto di
una pagoda.
Arrivati,
saliamo per un cunicolo stretto con scalini piccoli e ripidi e arriviamo sul
tetto dell'ultima pagoda in tempo per il tramonto, che però poi non c'è a
causa delle nuvole addensate sull'orizzonte, ma restiamo e ci attardiamo beati a
goderci il silenzio assoluto, l'arietta che soffia come una brezza leggera e
gentile, e la vista che spazia libera per una gran vastità di panorami. E lassù
c'era una atmosfera magica, di sospensione, con l'aria tersa e i colori sino a
quell'orizzonte vastissimo erano molto nitidi. E restiamo lì anche al
crepuscolo ad osservare dall'alto le mandrie delle mucche bianche con la gobba
che si radunano e attraversano prati e rovine archeologiche per tornare al
villaggio e poi rientrare ciascuna a casa sua.
Riscendiamo
per quel corridoietto stretto (Arbasino diceva: “bui meandri e cunicoli
claustrofobici”) e ci facciamo ombra da noi stessi dando le spalle alla
apertura esterna e non si vedevano bene le scale interne della pagoda. Ma basta
fare un solo passo alla volta, pianpiano (oltretutto nei luoghi sacri, ma non
solo, si deve essere scalzi) e cosi ci abbiamo messo tantissimo tempo a uscire,
ma c'era con noi un pittore che dipinge quei quadretti che fanno in molti qui:
pressano su una telina a rettangolo con trama fine, della sabbia e poi pitturano
su quello straterello di sabbia...
Rientriamo
in hotel e andiamo su internet a vedere se c'è posta e a spedire mail. Ma non
risulta semplicissimo, per l'intanto il leggere, lo scrivere e il mandare mail
è moooolto leeeento, e devo fare tutto con la visualizzazione HTML di base
altrimenti non va o si impasticcia, e la tastiera non ha tutti i nostri tasti...
Chiudiamo
la bella serata cenando a Nyaung U in un ristorantino turistico all'aperto,
"A little bit of Bagan", dove prendiamo lime juice, banana juice,
yoghurt (!!), fried rice malaysian style, boiled noodles with chicken, potato
soup, e bottiglie d’acqua. Totale 6 €uro e 40 (caruccio).
7
giugno, martedì
Ora
mi annoto in ordine casuale alcune piccole cose che mi sono sempre dimenticato
di menzionare:
-Mettono
sempre dei cuscinetti sottili per sedersi in auto.
-Per
fare i conti si scrivono sul palmo della mano.
-Contano
con le dita a partire dal mignolo.
-Masticano
la foglia di betel assieme ad un po' di calce, una nocciola di areca, anice, e
un po' di tabacco da pipa, e poi sputano di frequente lasciando chiazze rosse
ogni dove. Una “cicca” di betel già preconfezionata si compra in appositi
baracchini (dove si trovano anche i sigari, i fiammiferi, e dei dolcetti), e se
uno vuole poi ci spreme sopra una goccia di lime.
-Si
toccano il gomito destro con la mano sinistra per rispetto. Quindi quando ti
porgono qualcosa, o ti danno dei soldi, o ti servono a tavola, o ti salutano con
stretta di mano, si toccano il gomito o il braccio con l'altra mano. Con gli
stranieri a volte non lo fanno perché sanno che loro ignorano la cosa e non
l'apprezzano, e comunque vedono che gli stranieri non lo fanno con loro, ma
capiscono che non è per mancanza di cortesia. E’ in ogni modo consigliabile
adottare questo semplice gesto gentile e beneducato.
-Hanno
vicino ai water un tubetto dell'acqua per farsi il bidet. Hanno spesso lo
scarico con dei buchi a terra, e spesso le piastrelle non vanno sino alla parete
del bagno proprio in modo da far colare l'acqua in direzione di un buco verso
l'esterno. Ma questo non accade nei begli alberghi moderni.
-C'è
sempre l'acqua tiepida, e molte volte anche l'acqua calda, ma mai quella bella
fredda....!
-Sui
tavoli da pranzo nei posti per mangiare c'è sempre una scatolina con della
carta igienica, serve per pulirsi la bocca o pulire il tavolo.
-Tante
volte non è solo che non si capisce quel che dicono per via dell'accento, e
della pronuncia (il che vale pure per loro all'inverso), ma proprio quel che non
si capisce è se hanno capito oppure no, perché se ne stanno lì e non sai se
hanno colto quel che gli dicevi. Cioè non funziona bene quella comunicazione
(fatta di impercettibili movimenti degli occhi o dei muscoli del volto, o di
gesti e atteggiamenti) che permette di capire il grado di comprensione del
proprio discorso da parte dell'altro. E naturalmente questo vale per entrambi
gli “interlocutori”.
-Le
ragazze chiedono spesso se hai dei profumini o dei piccoli shampoo da dare loro.
Gli studenti chiedono quaderni, penne, matite, gomme... Mentre tanti chiedono se
gli puoi cambiare delle monete (di dollari o di euro) che qualcuno ha regalato
loro, in banconote, oppure cambiare dei biglietti vecchi e molto usati di
dollari, che hanno ricevuto da stranieri, con biglietti nuovi.
-Bisogna
contrattare sempre su tutto, anche i prezzi degli alberghi.
-Nell’area
tra Mandalay e Monywa abbiamo visto tantissimi camion e camioncini senza cofano,
probabilmente a causa del caldo, ma, così scarrozzati, assumono un aspetto
molto rudimentale e un po’ buffo.
-Soprattutto
in montagna e in collina notavo che molti tengono l’ombrello con il manico
infilato nel colletto della camicia dietro la nuca. L’ombrello comunque è
molto usato, oltre che come parapioggia, proprio come parasole.
-Il
portafogli, o qualsiasi altra cosa, dato che il lungyi non ha tasche, lo
infilano nel giro vita dietro alla schiena, e lo si può vedere benissimo.
-Non
si deve “indicare” qualcuno con le dita dei piedi (p. es. stando accucciati
o in ginocchio).
Dopo
aver mangiato in hotel patatine fritte (french fries), che di solito sono molto
buone e non precotte surgelate, un sandwich, e un pancake di ananas (pineapple),
ci avviamo purtroppo al vicinissimo aereoporto di Bagan. Salutiamo Myo, che ci
chiede con una scusa di dargli una mancia (20 €uro). Poi oltretutto al
check-in viene fuori che dobbiamo pagare mille kyats per ogni bagaglio, e noi
siamo davvero agli sgoccioli coi soldi, per fortuna ci bastano proprio gli
ultimissimi tre biglietti da mille. Inizia un po' a piovere, e proprio quando
arriva da Mandalay il nostro turboelica, inizia a scrosciare un monsone sempre
più forte, sempre più forte. Siccome bisogna andare a piedi dal gate alla
scaletta dell'aereo attraversando il piazzale esterno, siamo tutti un po'
titubanti. Ci portano dei grandi e robusti ombrelli, e corriamo, e ce la caviamo
con scarpe fradice a causa dei ruscelli di acqua piovana sul terreno, ma resta
il fatto che il nostro ombrello era molto bucato (ma con squarci proprio
grossi)...
Dall'aereo
a turboelica che vola piano e basso, si vede bene l'immensità della estensione
di pura foresta vergine tra Mandalay e il nord di Yangon: si vede solo foresta a
perdita d'occhio, senza paesi, senza strade... (il territorio ricoperto di
foreste è ancor oggi il 50% del Myanmar).
Viene
a prenderci Teo con Thant zin e ci risolve i problemi dei soldi anticipandoci
qualcosa. Poi per non farci spendere ci porta in una pensioncina famigliare nel
quartiere musulmano, che è in pieno centro storico, e costa 15$ (cioè 10
€uro) in due ovvero in camera doppia con bagno. E' tutto pulito e a posto. Si
chiama "May Fair Inn" e sta nella 38esima tra Merchant street e la
Strand road. La padrona è sul divano in pigiama e coi bigodini. Ci mette in
mano asciugamani, saponino e carta igienica, e con quelli andiamo su in camera;
ridipinta di fresco, corretta. Le chiediamo il posto più vicino per cenare, e
ci andiamo subito. "Kyaing Tone" (o Phai Lin) è un ristorante hallal,
del che non ci importa, ma soprattutto ciò che ci colpisce è che il cibo è
infuocato; Michele prende un piatto di riso in stile malese, e dopo i primi
bocconi sembra quei personaggi dei cartoni che sputano fuoco e strabuzzano gli
occhi! too hot! mancavano solo le trombe a tutto volume. Michele che ama il
piccante e che ora ha anche fame, lascia tutto lì. C'è del peperoncino
micidiale di grande potenza! Lui è diventato tutto rosso, lacrima e suda, e gli
viene un po' di sangue da naso. Hanno anche lo yoghurt, che in realtà è un
lassi che sembra diluito con acqua, ma pensiamo che ci possa fare bene; io
prendo anche un succo di lime. Solo che entrambi ci vengono serviti con molti
cubetti di ghiaccio dentro; riesco velocemente a toglierli tutti quasi subito
con la forchetta. Poi vado in bagno, ma è degno dei cessi di certi squallidi
alberghetti del nord dell'India di molti molti anni fa.... c'è pure il suo
scarafaggio rosso che sgambetta veloce, e non mancano i miasmi che tolgono
l'appetito. Paghiamo e usciamo praticamente senza aver mangiato, e filiamo in
camera, dove scopriamo che non c'è il lenzuolo di sopra, ma noi ce ne andiamo
subito a letto, mettiamo al solito il condizionatore sui 28° e ci addormentiamo
all'istante verso le nove e mezza. I birmani chiamano così i vari momenti della
giornata: quando “il sole è alto come una palma toddy”, cioè al mattino
tra le 7 e le 8, “l’ora in cui i monaci rientrano dalla questua”, cioè
verso le 9; poi la sera, quando “persino i brutti sembrano bellissimi”, e
poi quando viene buio, cioè dopo le 6, “l’ora in cui due fratelli non si
riconoscono”, a alle dieci, “quando gli scapoli tornano a casa”. Quindi
noi siamo oramai ben in sintonia con i cicli orari birmani…
mercoledì
8 giugno (ultimo giorno, sob!)
Andiamo
a fare la prima colazione in una Tea House, una "casa", o sala da thé,
o Tea Shop. Quella in cui entriamo è di stile indiano. Ti servono dei piattini
con una varietà di dolcetti fritti, involtini, dolci al cocco, dolci di riso, e
delle brioches e dei pani, e snacks vari, e dell'ottimo thé al latte dolce
(credo sia con latte condensato in scatola, e infatti ne vedo in cucina molti
barattoli), che è di un marroncino rosato. Si sta lì a far colazione e a
chiacchierare anche lungo tempo. I tea shops sono luoghi di intrattenimento e di
slow relax, più che posti da break-fast. Poi però ci hanno fatto pagare tutti
i piattini che avevano portato e non solo il numero di dolci che abbiamo
effettivamente mangiato... comunque il totale in kyats risulta essere di meno di
un €uro e mezzo. Perciò per dire “il resto mancia” dicono “i soldi per
un thé”.
Yangon
ora che la rivediamo dopo aver un po' girato il paese, è veramente la grande
metropoli moderna. Ed è veramente anche multietnica, c'è proprio di tutto.
Nazionalità diverse, religioni diverse, facce, abiti. Certo ha delle parti più
sporche delle cittadine o di certi villaggi, però è come si suol dire più
"civile", più "avanzata", ci sono delle librerie vere anche
grandi, internet café e internet points, negozi di elettronica, ristoranti di
tutte le cucine, bar di tanti tipi, negozi dove si trova di tutto, ...
La
Sule paya è bella nonostante ora per noi sia l'ennesima pagoda vista. Andiamo a
vedere pure la vecchia sinagoga, che era frequentata una volta da ebrei indiani
e ebrei mediterranei ed europei, oggi raccoglie solo venticinque iscritti.
Tutto
il centro ricorda i tempi coloniali nelle case, nella presenza di chiese, nella
struttura urbana a reticoli rettangolari regolari, ...
Torniamo
in albergo perché oramai sta montando il caldo, ci facciamo una doccia e ci
riposiamo. Poi mentre Michele finisce di leggere il suo romanzo di Flaubert, io
vado ad un internet point che sta a solo un blocco di distanza, dove rimango più
di un'ora al fresco a leggere e scrivere mail dato che qui la connessione è a
una velocità normale e non va mai via la luce, alla fine sono 300 kyats, cioè
circa 25 €urocents. Più tardi usciamo di nuovo e andiamo a pranzo in una
"trattoria" cinese (cucina dello Yünnan forse) all'aperto, ma sotto
una tettoia, proprio di fronte a Mahabandoola Garden. Io prendo dell'ottimo chop
suey di verdure cotte, e Michele riprova il malayan style rice chiedendo che sia
not hot e not spicy. Beviamo Star Cola, ed è tutto buono. Intanto guardiamo la
televisione cinese dove c'è un incontro di box. Poi gironzoliamo un po', ora c'è
nuvolo e parecchio vento, e si sta proprio bene. Curiosiamo di qua e di là, in
pratica si guarda un po' tutto, dai negozi alla gente, all'atmosfera, e c'è un
grande via vai continuo. Ci sarebbero da riportare migliaia di osservazioni su
come sono fatti i vari negozi e negozietti, e bancarelle, su come sono i
marciapiedi, il traffico, le viuzze laterali, eccetera. E' tutto un insieme che
ti colpisce l'occhio, l'orecchio, il naso, e che ti circonda e ti avvolge,
ma.... sarebbe una scrittura infinita, ... e poi bisognerebbe essere un bravo e
capace scrittore.
Entriamo
in una libreria e io compero dei libri di racconti e di storie tradizionali
birmane.
Alle
quattro arriva Thant zin a prenderci e andiamo ad una tea house vicino all'
aereoporto, fatta di frasche, all'aperto, dove ci aspetta Teo per accompagnarci
e salutarci. Sempre gentilissimo, ci offre un thé con dei buoni e strani
pasticcini (sono i primi prodotti proprio di pasticceria birmana che
assaggiamo). Gli ridò il suo cellulare e caricatore, ma non vuole niente per il
noleggio. Poi mi chiede se ci è avanzato qualche kyat e mi da i corrispettivi
dollari
Poi
ci accompagna dentro l'aereoporto, dove conosce tutti, così non paghiamo nulla
per i bagagli (diversamente da quel che accadde a Bagan). Ci dice che se c'è
qualcosa che non abbiamo potuto comperare perché ci mancavano i soldi, lui può
acquistarla e farcela pervenire tramite qualche suo cliente italiano che la
potrebbe mettere nella propria valigia. Infine ci salutiamo con calorosi saluti
da parte sua e di Thant zin. Al di là del metal detector c’è un’ area duty
free in cui si possono fare buoni acquisti e la qualità dovrebbe essere
garantita, si possono così spendere gli ultimi dollari per souvenirs, regalini,
oppure appunto per comprare qualcosa cui avevamo rinunciato durante il percorso.
E'
stato il nostro ultimo momento birmano quello delle chiacchiere al bar con Teo
in quella tea house di frasche, immersa nel verde, lungo una strada di terra
color argilla...
Ciao
Terra Dorata, mingalabar a te meraviglioso Myanmar !
Reportage fotografico
http://utenti.unife.it/carlo.pancera/Myanmar/mywebalbum/index.html
Bibliografia :
Gorge Orwell, Giorni
in Birmania, 1934, tr.it. Mondadori,
romanzo storico e autobiografico (Orwell fece in Birmania il poliziotto
dell’amministrazione coloniale britannica per cinque anni)
M.Andrew, Burma
Football Club, tr.it. edizioni Instar, ricostruzione storica di un famoso
personaggio
Aldo Pavan, Birmania,
Sui sentieri dell’oppio, Feltrinelli, 2007, reportage di viaggio sul
paese, la sua gente, la sua storia, la radici del potere politico
Marco Buemi, Birmania,
Infinito edizioni, 2011, reportage fotografico di viaggio
Massimo Schiavon, Birmania.
Luci e ombre in Myanmar, ed. Arco di Bologna, reportage di viaggio
CarmenLasorella, Verde
e zafferano- a voce alta per la Birmania, Bompiani,2008,giornalistico-politico
Cecilia Brighi, Il
pavone e i generali, Dalai editore, 2006, inchiesta politica
Aung San Suu Kyi, A.Clements, La mia Birmania, 1996, tr.it. Corbaccio, TEA, intervista
culturale
Aung San Suu Kyi, Lettere
dalla mia Birmania, 1995, tr.it.
edizioni Sperling&Kupfer, 1997, 2007, considerazioni diaristiche sul paese,
il suo popolo e la sua cultura, e sulla lotta per la democrazia
Aung San Suu Kyi, Liberi
dalla paura, tr.it. Sperling&Kupfer, 2003, riflessioni di critica politica
Amitav Ghosh, Il
palazzo degli specchi, 2000, tr.it. Neri-Pozza, 2007, romanzo storico
ambientato nel periodo del colonialismo britannico
Pascal Khoo
Thwe, Il ragazzo che parlava
col vento, 2002, tr.it. Piemme,2008, autobiografico sul popolo Padaung e sulle
vicende del Myanmar soprattutto dal 1988 in poi
Alberto Arbasino, “Obiettivo
Burma e oltre”,1996,in: Passeggiando tra i draghi addormentati,
Adelphi
Khin Myo Chit, Colourful
Myanmar, Yangon, 1976, 2005, sugli usi e costumi birmani
Khin Myo Chit, Stories
and Sketches of Myanmar, Yangon, 2005, antologia di riflessioni
culturali
Aa.Vv., Selected
Myanmar Short Stories, a c.di Ma Thanegi, Yangon,2009, antologia di
racconti brevi
Maung Htin Aung, Burmese
Folk-tales, 1948, 1954, reprint, antologia di fiabe e favole popolari
Shway Yoe (in effetti J.G.
Scott), The Burman, His Life and Notions, 1882, 1963, reprint, testo
classico di antropologia culturale sulle usanze e credenze popolari birmane
H. Fielding-Hall, The
Soul of a People, 1898, White Orchid paperback, Bangkok, 1995,
classico
Theophilus Enriquez, Beautiful
Burma, 1935, paperback, classico testo di geografia umana
C. Skinner, “Le genti della
Birmania”, Ch. Derrick, “I Padaung”, P.Kennedy Skipton,“Gli Shan”, in:
I popoli della Terra
– Asia sudorientale, a c. di E, Evans-Pritchard, e A. Turton, tr.it.
Mondadori, 1973
R.Reid, J.Bindloss, S.Butler, Myanmar, 1979, decima ediz. 2009 della guida Lonely
Planet tr.it EDT
Guide du Routard, Birmanie
(Myanmar), Hachette, édition 2010/11 (Fnac.com)
Alcuni
siti internet :
http://www.viaggiareliberi.it/
http://www.viaggiatori.net/turismoestero/Birmania/
http://turistipercaso.it/myanmar/
http://turistipercaso.it/a/magazine/diario/Myanmar/
http://kotartravel.com/index.htm
http://www.traveltomyanmar.com/it/index.htm
http://www.tripadvisor.it/SmartDeals-g294190-Myanmar-Hotel-Deals.html
http://www.lonelyplanetitalia.it/destinazioni/asia/myanmar/#.TgdMKJtN_A0
http://www.routard.com/hotel/birmanie
http://www.sonny-myanmar-travelguide.com/
http://www.guideformyanmar.com
http://www.hotelsinmyanmar.com
http://www.myanmartraveltour.net
http://www.travel-myanmar.net/
http://www.myanmarelitetours.com/
http://www.letsgo-myanmar.com/
http://www.journeysmyanmar.com/myanmar_tour_operator.htm
Alcuni video su You Tube :
Valpard, Myanmar
(Birmanie)
Valpard, Temples and Roads of
Myanmar
Valpard, Boat cruise on the
Inle Lake
imageplayer, Myanmar: Time to
say hallo (1 – 7)
KinnariTravels, Myanmar/Burma
Badauk, Myanmar Saing Waing (Pat
Waing performance)
nino72708, Birmania 2011.wmv
cultorweb, I 13000 templi di
Bagan
popcatepetl2, Burma – On the
Road to Mandalay
popcatepetl2, Bagan Ancient
Heart of Burma
boobootoo2, A Trip to Burma
visiono, Inle Lake
taisamyone, Burma Life 2006
Jenyk68, Market in Burma
Questo mio diario è presente
anche in internet su :
http://utenti.unife.it/carlo.pancera/testi/MERAVIGLIOSO_MYANMAR.pdf
http://community.viaggiatori.net/diari-di-viaggio/meraviglioso-myanmar
http://www.viaggiareliberi.it/Myanmar_2011_Carlo.htm
http://turistipercaso.it/myanmar/62347/magnifico-myanmar.html
Carlo Pancera