Gli
Dei del Movimento
Messico
Diario di viaggio 2010
Ammetto di aver subito da sempre un notevole fascino da
tutte le culture mesoamericane che va dal remoto passato fino ai giorni nostri.
In pariticolare cio’ che piu’ mi attira e’ tutto cio’ che si conosce
poco di un popolo e della sua storia, quando la conoscenza e’ legata agli
eventi passati solo da quella sottile e spesso debole connessione che va sotto
il nome di ipotesi.
Inutile rammaricarsi di quanto si sarebbe potuto conoscere
senza la furia devastatrice spagnola e senza tutti quei genocidi perpetrati
sotto il nome di Dio, resta in piedi non molto di quello che un tempo era una
delle zone piu’ evolute del pianeta.
Spesso tendiamo a considerare inferiori culture che
avevano conoscenze astronomiche incredibili, come il concetto di precessione o i
moti rivoluzionari della Luna o di Venere, calendari cosi’ complessi da
essere, per molti secoli, piu’ precisi dei nostri, il concetto di zero e un
sistema di scrittura molto evoluto.
Tutto questo era basato sull’osservazione del movimento
celeste, anzi tutto era movimento, dal calendario alla religione, dalle
rappresentazioni metaforiche di figure geometriche sinuose, alla divinizzazione
degli eventi atmosferici come la pioggia e il vento. Il Kukulkan e’ il
serpente piumato la cui ombra scende dalla piramide di Chichen Itza’ durante
l’equinozio di primavera e d’autunno, ancora una volta qualcosa di
strisciante, ancora una volta tutti gli edifici sembrano costruiti per dare quel
senso armonico di movimento. Insomma tutto cio’ che generava movimento era in
qualche modo, secondo me, considerato sacro.
Pochi anni fa mi e’ capitato di leggere un diario di
viaggio in Messico di E.V. una ragazza che non conosco personalmente ma che ho
solo incontrato sporadicamente in qualche ritrovo di viaggiatori organizzati dal
mio amico Michele, sono rimasto quasi incredulo, quando lessi una parte delle
sue considerazioni che riporto di seguito:
“L’unica
cosa che vi posso dire (e che mi sembra di avere capito) é che queste antiche
popolazioni avessero il culto del movimento. Il Dio movimento? Si, forse è così.
Tutto ció che scorre, che striscia, e che soffia sembra essere sacro: acqua,
sangue, serpenti, vento, il corso del sole , della luna e degli astri. Quindi,
anche il sito é tutto un movimento:
Le piramidi sorgono e spariscono dietro ad effetti prospettici inaspettati.
Camminando lungo la “avenida de los muertos” tutto cambia e si muove con te
ad ogni tuo passo. Si passa da un luogo dove tutto si raccoglie attorno ad un
altare sacrificale a un luogo dove tutto accelera e si libera verso l'orizzonte.
Sembra un luogo immobile ed eterno; invece è un ballo senza sosta; un tango
sensuale tra i volumi costruiti ed i vuoti scavati nella campagna.”
Io
non sono certo ne’ uno studioso ne’ un esperto ma e’ stato cosi’ curioso
trovare una persona diversa da me che faceva le mie stesse considerazioni
evidentemente sono li’ ben visibili.
Mi
e’ venuta voglia di Messico, per la terza volta ci sono tornato, questa volta
con Paola, mia moglie e questo e’ il
racconto di quel viaggio.
26 Dicembre:
Mi preparo al peggio quando il semaforo rosso mi blocca in uscita
dall’aeroporto e Paola non ha miglior sorte. Sono stanco del lungo viaggio
aereo e il solo pensiero di perdere qui un sacco di tempo per il controllo
minuzioso dello zaino mi disorienta. Fortunatamente il cupo pessimismo svanisce
alla svelta visto che il controllo e’ molto sommario e veloce e possiamo
cosi’ allontanarci in poco tempo
dall’Immigration Point.
Sono troppo stanco per scrivere, sono praticamente 24 ore che
siamo in piedi e stasera cerchiamo di tirare tardi solo per adeguarci al nuovo
fuso.
Difficile anche valutare il mio entusiasmo per essere tornato
in uno dei luoghi che piu’ amo al mondo e questa volta non sono da solo.
Cercheremo di ripercorrere strade e luoghi gia’ visti ma anche nuovi per me;
per Paola sara’ ovviamente tutto una scoperta come lo fu per me la bellezza di
ormai 12 anni fa, quando venni per la prima volta in queste latitudini.
Sorrido, mentre passiamo vicino agli hotel dove alloggiai nei
miei precedenti viaggi: il Juarez e il Washington, adesso rinnovati (ma non ho
visto le camere), allora poco piu’ che topaie, soprattutto il secondo.
5 De Mayo resta sempre una strada affollatissima,
specialmente oggi che e’ Santo Stefano, ma noi abbiamo scelto di alloggiare in
una via leggermente piu’ decentrata all’Hotel Azores (360Pesos la doppia) in
Repubblica Do Brasil.
Dondoliamo un po’ tra le mille luci di Natale e la folla
che si accalca sulle strade festaiole, probabilmente domani riusciremo a goderci
di piu’ questa atmosfera natalizia in una delle citta’ piu’ popolose del
pianeta.
I tacos mangiati per cena non mi hanno lasciato un ricordo
particolarmente gustoso, anche se non erano pessimi, ne’ infamia ne’ lode
come si usa dire; sara’ che forse pensavamo piu’ ad andare a dormire che
provare a gustarsi qualcosa da mangiare e cosi’ ripercorriamo la strada con il
miraggio del letto in testa senza badare troppo ai mille colori, alla folla
incredibile e al freddo che si fa sentire durante la sera.
Scrivo gli ultimi appunti guardandomi attorno nella nostra
camera, ripenso ancora ad anni fa alla fila di scarafaggi che usciva dal bagno
dell’hotel Washington e mi addormento chiedendomi come mai alcuni particolari
restano cosi’ impressi nella memoria delle persone, del resto della camera,
infatti, non ricordo proprio nulla.
27 Dicembre:
Ho passato una notte a svegliarmi ad intervalli regolari, ma comunque ho
riposato e stamane il mio entusiasmo e’ ripreso a mille.
Riordino velocemente lo zaino visto che ieri, durante i
controlli in aeroporto, me lo hanno un po’ scompaginato e nel mentre faccio
l’errore di passare davanti allo specchio tanto da poter ‘ammirare’ la mia
faccia ancora sbattuta dal lungo viaggio … ho bisogno di una doccia
rigenerativa per combattere quello che sembra il mio alter ego fra una decina di
anni, o forse sono proprio cosi’ ??
Bando alle considerazioni estetiche partiamo abbastanza
presto con la metropolitana dallo Zocalo che, a quest’ora della mattina e’
vuoto e privo dell’anima festaiola di ieri sera. Fa anche piuttosto fresco a
queste altitudini l’escursione termica si fa sentire, al mattino e alla sera
non si puo’ certo girare in maglietta, ci saranno poco piu’ di 10 gradi. Una
veloce occhiata alla cattedrale e imbocchiamo la scalinata che conduce alla
metro senza badar troppo a cio’ che al momento ci circonda, quasi rapiti dalla
frenesia del vedere il piu’ possibile che
spesso ci attanaglia durante ogni viaggio.
Spendiamo quei pochi spiccioli per il biglietto e scendiamo
alla stazione Norte dove, con 32 Pesos, prendiamo il solito autobus scassato che
da tempo immemore porta a Teotihuacan, stessi sedili malandati, stesse crepe nel
vetro, stesse porte a soffietto che si inceppano una volta ogni due.
Ci vuole piu’ di un’ora e mezza per uscire
dall’infinita periferia di Citta’ del Messico e quando finalmente lo
sterminata distesa di case lascia il posto ai cactus, e’ gia’ ora di
scendere per visitare il primo dei numerosi siti archeologici previsti nel
nostro percorso.
L’aria fresca e frizzante del mattino lascia il posto al
cielo terso e azzurrissimo messicano peremettendo cosi’ alle temperature di
alzarsi notevolmente tanto da costringerci in maglietta.
Teotihuacan (51 Pesos l’ingresso) resta per me un posto da
sogno un luogo che rivedo dopo molto tempo e che mantiene immutato il suo
fascino antico. Un breve percorso separa l’ingresso dall’ Avenida de los
Muertos lungo il quale l’occhio si perde nell’infinita’ delle costruzioni
di pietra, fino a raggiungere da una parte l’immensa piramide del Sole e alla
fine del suo percorso la piramide della Luna. Non si sa chi costrui’ questo
luogo, come non si sa come fini’ abbandonato; resta il fatto che nell’arco
di centinaia di anni qui fiori’ una cultura che influenzo’ tutto il
mesoamerica.
Incredibile pensare come una citta’ di 150000 persone sia
apparsa e poi svanita senza che il tempo lasciasse una traccia indelebile del
suo passaggio; o meglio la traccia c’e’ ed e’ visibile in tutti i suoi
edifici, ma sono abbastanza vuoti della presenza umana come una bellissima
cornice senza quadro.
Serpenti striscianti, figure geometriche sinuose
rappresentazioni di acqua (o di sangue ?), il tempio del serpente piumato e il
suo allineamento astrale come le piramidi, tutto qui sembra predeterminato dal
senso di movimento dell’universo.
Il posto e’ colmo di messicani, di stranieri come noi
neanche l’ombra, strano ho sempre pensato che questo fosse il periodo di punta
e invece incrociamo solo volti locali. Ci sono diverse scolaresche e molte
famiglie i cui bambini spesso obesi all’inverosimile trangugiano merendine e
coca cola, salvo poi rischiare di vomitare l’universo dopo appena due gradini
della piramide, cerco di stare un passo davanti si sa mai, vorrei evitare di
cambiare completamente calzoni e maglietta. Eppure, la maggior parte delle
famiglie, si trascinano i figli per i capelli, quando e’ evidente che il loro
maggiore interesse e’ verso il banchetto dei churros o verso le decine di
venditori di ocarine che emettono un suono tipo il ruggito di un giaguaro. La
salita verso la cima della piramide e’ piu’ curiosa per cio’ che incontri
rispetto alla bellezza del paesaggio circostante seppur imperdibile, dalle
ragazzine con i tacchi che inciampano in ogni buca a improbabili sacerdoti che
sulla cima della piramide del sole alzano le mani al cielo come se potessero
catturare le energie dell’universo con un solo gesto. La folla ci trascina
prima su verso la cima e poi giu’ verso il regno dei mortali, dove anche gli
dei spalancano gli occhi di fronte a questa incredibile varieta’ umana.
“No gracias, No gracias, No gracias, No gracias” …
sapete quante volte l’ho pronunciato ? Arrivato a cinquanta ho smesso di
contare, statue, statuette, archi, frecce, ocarine, teli, tappeti, vasi,
vasetti, vasini, insomma ognuno ti offre qualcosa di imperdibile e ognuno vede
in te un’opportunita’ in quanto straniero, alla fine pero’ non e’
neanche cosi’ stressante e usciamo dal sito con un paio di maschere da
aggiungere alla collezione casalinga.
Mangiamo un triste panino alla stazione Norte prima di
avviarci al museo Nacional de Antropologia.
Si, si, lo so ci ero gia’ stato” “ E come mai ci siamo
persi ??” Bhe’ questo bosco del Chapultepec e’ davvero grande in piu’ la
carenza di segnali precisi e l’infinita’ di bancarelle colorate ti fa
perdere un po’ la testa. Sembra che l’intera Citta’ del Messico passi qui
il week end e ancora una volta veniamo un po’ trascinati dal flusso della
folla fino a quando troviamo i cartelli che indicano il museo … “ma di la’
dove ??” E’ un segnale che indica a destra ma a destra o partono tantissimi
cammini oppure c’e’ il nulla assoluto.
“Mah, questi messicani !!”
“Disculpa,
donde esta’ el museo”
E da qui partono una serie di indicazioni come a dover
raggiungere Concorezzo da Trezzano sul Naviglio, ma …alla fine ci arriviamo
per grazia ricevuta.
Avete mai letto i libri di Peter Kolosimo ??
Bhe’ io si, anzi li ho letteralmente divorati tutti quando
ero un ragazzino, viene definito uno dei primi astroarcheologi forse insieme a
Erich Von Daniken per le sue tesi rivoluzionarie sull’origine extraterrestre
di alcune civilta’.
A parte gli argomenti, mi e’ sempre rimasta impressa la
copertina del suo libro piu’ famoso “Non e’ terrestre” sulla quale si
vede la famosa Cabeza Olmeca.
E’ una testa gigantesca sagomata nella roccia dalla piu’
antica cultura messicana: quella Olmeca appunto, considerata la madre le
civilta’ mesoamericane nonche’ inventrice di scrittura, astronomia, dotata
di tecniche di costruzione all’avanguardia, la cui eredita’ ha influenzato
tutte le popolazioni che ne seguirono, Maya inclusi.
Queste enormi teste hanno una caratteristica fondamentale: il
volto ritratto ha caratteri inequivocabilmente negroidi come se gli Olmechi
conoscessero le popolazioni africane distanti migliaia di miglia, oppure come se
qualcuno gli avesse passato questa conoscenza.
“E allora penserete e cosa c’entra con il museo di
Antropologia ??”
A me questa cosa ha sempre affascinato, piu’ che altro
condivido molto il concetto di univocita’ di una cultura madre e l’unico
modo per vedere queste teste e’ nel museo. Non ho mai avuto occasione di
vederne altre al parco archeologico di La Venta nello stato del Tabasco e
neanche questa volta ce ne sara’ una perche’ il nostro itinerario prevede
altro.
Resta il fatto che mi fermo a fissarla per diversi minuti e
devo constatare come le fantasie di un ragazzino restano ancora molto ben
radicate in me e, probabilmente, non ho mai smesso di subirne il terribile
fascino.
28 Dicembre: La
zuppa o il pollo di ieri sera (300 Pesos in due) sono stati veramente abbondanti
e quindi stamattina non mi sono svegliato con il solito buco nello stomaco,
senza contare che, come al solito, siamo troppo di corsa per fermarci a fare una
colazione decente … ma perche’ mai poi !?!
Solita metropolitana verso la solita stazione Norte questa
volta pero’ la meta e’ Tula. Aspettiamo un autobus che sembra non partire
mai (64 Pesos), a volte i ritardi, soprattutto in Messico, sono dovuti ad eventi
astrali ma non ci lamentiamo comunque e aspettiamo sul marciapiede della
stazione, in fondo il viaggio e’ spesso definito come una meta tra un’attesa
e l’altra.
L’autobus sembra un pochino migliore di quello di ieri o
almeno non ha crepe evidenti sul vetro, ma il crocefisso, quello si e’
immancabile e sproporzionato rispetto a dove sta appeso circondato, incoronato,
avvolto tra fiori, collane e bracciali tanto da distinguere a malapena il viso
sofferente.
Un’ora e mezza e’ sufficiente ad arrivare alla Central
Camionera di Tula e da qui con un taxi (30 Pesos) arriviamo al sito archeologico
che dista circa 5 Km.
Difficile credere che in un periodo di punta per il turismo
come quello natalizio siamo da soli e invece e’ proprio cosi’, io e Paola ci
guardiamo in faccia pensando di aver sbagliato ma il cartello di benvenuto e’
inequivocabile.
In realta’ e’ una tale rarita’ essere da soli che
riusciamo a goderci pienamente il giardino di cactus, agave e Yucca creato
appositamente lungo la stradina polverosa che conduce al centro cerimoniale di
Tula, la capitale tolteca degli altipiani centrali.
Non ero mai stato qui e sinceramente e’ un’emozione la
vista della piramide tronca con in cima le gigantesche statue degli atlanti,
guerrieri di pietra alti fino a cinque metri, per me erano solo foto e immagini
di altri stampate verso il cielo blu messicano …fino ad oggi, adesso sono
anche mie.
Il resto del sito non offre un granche’ se non una
posizione panoramica sulla valle sottostante e qualche rara incisione, insomma
dopo un’ora torniamo sui nostri passi proprio mentre qualche sporadica
comitiva messicana inizia ad affacciarsi tra le rovine. Siamo i soli turisti
stranieri e la cosa non mi dispiace affatto.
“E adesso ??” “ Ci faremo mica 5Km a piedi ??”
Non si vede nessun taxi, nessun autobus all’uscita e non ci
resta che incamminarci sperando che qualche buona anima passi presto e, infatti,
e’ cosi’ i taxi in Messico non si fanno certo attendere o cercare troppo,
anzi sembra che ti vengano quasi a cercare.
Il viaggio in autobus di ritorno scorre veloce cosi’ come
il nostro pranzo a base di tacos in un localino nei pressi dello zocalo. Sono
solo due giorni che siamo qui e ne abbiamo gia’ quasi abbastanza di tacos,
enchiladas, burritos, tortillas sembrano un po’ tutti uguali e nonostante non
disdegniamo la cucina messicana abbiamo gia’ voglia di qualcosa di diverso, in
piu’ la carne la fa da padrone e il resto e’ poco piu’ di un optional.
Forse e’ per questo che questa sera abbiamo deciso di andare in metropolitana
al quartiere Condesa (fermata Patriotismo), dove abbiamo la speranza di una
maggiore varieta’ culinaria e di non diventare autentici tacos ambulanti.
Passiamo dalla Catedral metropolitana, un po’ inclinata su
se stessa, ai poveri resti del templo Major, cio’ che resta di una delle
piu’ grandi citta’ preconquista: Tenochitlan, capitale azteca dove si narra
che il primo pilastro fu piantato dove un’aquila fu vista ghermire un serpente
del deserto e dove pochi scacciagalline distrussero una civilta’.
Al Palacio Nacional controllano il passaporto, chissa’ poi
perche’ ?? Di cosa hanno paura, di un attentato ? Non credo, visto che non
fanno dei controlli alla persona, gli basta che hai il passaporto e puoi entrare
ad ammirare i murales di Diego Rivera. Colorati, magnifici e strazianti come il
Messico e la sua storia fatta di continue contrapposizioni e guerre di pochi e
per pochi, il resto e’ sempre passato sotto silenzio fino a che Rivera non
lo ha immortalato qui.
29 Dicembre:
Secondo un’antica leggenda mesoamericana, di cui esistono numerose versioni,
Popocatépetl era un valente guerriero che si innamorò, riamato, di una giovane
principessa chiamata Iztacsíhuatl. I popoli cui appartenevano erano in guerra
fra loro, cosicché al signore di Tlaxcala, padre della principessa, il
possibile genero stava proprio sullo stomaco, tanto da chiedergli come prova per
ottenere la mano di sua figlia quella di combattere una bellicosissima
popolazione vicina. La scommessa era che il povero Popo ci avrebbe lasciato la
pelle, ma il vecchio re se la prese in saccoccia perché il guerriero sbaraglia
tutti i nemici e prende la via del ritorno per potersi finalmente unire alla sua
amata Iztac. Alla donzella però viene fatto credere con uno stratagemma che il
suo promesso sposo è stato ucciso in battaglia, al che lei muore per il gran
dolore e la
disperazione.
Quando Popocatépetl trova il corpo dell’amata vestita a nozze la prende fra
le braccia e la porta sulla cima di un monte, la depone dolcemente al suolo e si
accoccola su un’altura vicina, in attesa che si risvegli. Cade la neve e i
corpi dei due
amanti
sotto il suo manto si trasformano in vulcani.
Oggi il Popocatépetl (che significa “montagna che fuma”)
e l’Iztacsíhuatl (“la giovane bianca”, ma tutti la chiamano la mujer
dormida, la donna dormiente) incorniciano a sudest la valle dell’Anáhuac,
occupata dalla dilagante megalopoli di Città del Messico ma e’ da Puebla che
se ne ha la visione piu’ bella.
Lasciamo Citta’ del Messico e lo facciamo alla solita
maniera: con la metropolitana. Dal terminal TAPO dove compriamo un biglietto con
la compagnia ADO (114 Pesos) ci vogliono circa due ore per arrivare a Puebla, ma
il paesaggio e’ molto vario e il tempo vola come al solito.
Scegliamo di alloggiare in un hotel che definire magnifico
e’ poco , il Provincia Express (450Pesos la doppia). Maioliche ovunque,
interni in stile moresco e una camera superlativa, che pretendere di piu’ ?
Nulla, avrei solo voluto non rompere una delle maschere che abbiamo comprato a
Teotihuacan, la piu’ bella ovviamente come le leggi di Murphy insegnano …cerchero’
di incollarla una volta a casa.
Lasciamo gli zaini e ci avviamo per le strade di questa
citta’ cosi’ bella e accogliente come lo e’ la sua cattedrale ai lati del
solito zocalo messicano che piu’ messicano non si puo’ !!
E per pranzo cosa facciamo ?? Indovinate un po’ ... ma
tacos naturalmente ! Ma che possiamo farci e’ un pasto veloce e che trovi
ovunque senza perdere troppo tempo a cercare altro (inizio a pensare che
“l’altro” non esista !). In realta’ ci sono anche numerosi banchetti di
churros zuccherosi, con marmellata, con cioccolato, alcoolico, insomma chi
piu’ ne ha piu’ ne metta e qualche raro banchetto di frutta gia’ tagliata
e confezionata in bicchieri di plastica con i suoi mille colori, una golosita’
con ‘sto caldo ! Per il resto la fanno da padrone piccoli rivenditori di cibo
‘trash’ per il quale i messicani impazziscono letteralmente, patatine,
merendine, dolcetti, caramelle color criptonite, biscottini salati e dolci,
mangiano sempre ad ogni ora, in ogni luogo. Il Messico non e’ un’eccezione
ma la regola visto che in Thailandia e sud-est asiatico trovi tutto il santo
giorno pentolone per strada che friggono continuamente qualcosa cosi’ come in
India, in Turchia, in Peru’ … insomma ovunque.
La stazione di Puebla sembra poco piu’ che un garage e ci
infiliamo in un autobus al solito piuttosto scassato con direzione Cholula (60
Pesos), non prima di aver fatto qualche piccola scorta alimentare nella vicina
panaderia.
Ci impieghiamo piu’ di un’ora per fare una dozzina di Km,
ma questo, se vogliamo, e’ anche il bello del viaggio e nel frattempo le
fermate si susseguono numerose ad ogni incrocio, ad ogni panchina ad ogni
persona che fa gesti diversi dal solito come il grattarsi la testa, insomma sai
quando parti ma l’ora d’arrivo e’ sempre dipendente dal numero di soste
che qui in Messico si susseguono numerose.
Cholula e’ proprio una cittadina graziosissima con il suo
bello zocalo, le sue chiesette colorate di giallo le sue vie tranquille e mai
troppo affollate, probabilmente preferibile a Puebla anche per alloggiarci.
La sua piramide e’ famosa in tutto il mondo per essre la
piu’ grande (non di altezza) mai costruita dall’uomo tanto che gli spagnoli
sulla sua cima costruirono la cattedrale di Nuestra Senora de Los Remedios, non
rendendosi conto che cio’ che c’era di sotto non era una collina.
In realta’ le descrizioni del luogo e le aspettative
superano di gran lunga la visione diretta che ho trovato un po’ deludente, la
piramide e’ parzialmente ricoperta dalla vegetazione e la prospettiva che crea
con la chiesa in cima non crea quel senso di grandezza immaginabile dalle
descrizioni.
L’arrampicata sulla sua cima e’ veloce e anche da qui la
visione sulla valle di Puebla e’ suggestiva ma non certo quella che alcune
foto riportano dove si vede la chiesa incorniciata dall’enorme vulcano fumante
…nella realta’ il Popocatepetl si vede bene ma lontano senza quell’effetto
ottico di vicinanza presente in molte foto. Il Iztacsíhuatl e’ laggiu’
lontano nell’orizzonte.
Tutte le volte che sono venuto in Messico ho sempre avuto la
tentazione di provarne una, ma poi non l’ho mai fatto; e’ giunta l’ora
oggi proverò le chapulines …croccanti, amarognole, mi si incastra pure una
zampetta tra i denti, nulla di che, dicono che gli insetti saranno le fonti di
proteine del futuro, sara’ ma adesso Paola mi guarda disgustata anche se non
resiste alla tentazione di farmi una foto del primo assaggio …”adesso non mi
baciare eh !?!”
Ritorniamo a Puebla in bus (60 Pesos) e dedichiamo il
pomeriggio ad un sacrosanto cazzeggio, una birra e un churros nella piazza
principale.
In serata andiamo anche in un tipico ristorante dove i tavoli
sono allestiti nel cortile di una vecchia casa colonica, per assaggiare le
specialita’ locali come il mole pueblano (250 Pesos in due); non lo trovo un
granche’ anche se oggi, dopo le chapulines, tutto sembra meglio … o peggio
???
30 Dicembre: Abbiamo
passato parte del pomeriggio di ieri per cercare di capire come arrivare a
Cantona.
E dov’e’ direte voi ??
Bhe’ diciamo una specie di scoperta di mia moglie su una
pagina dimenticata della Lonely Planet, anche se in realta’ sembra essere uno
dei siti archeologici piu’ importanti della regione di Puebla.
Abbiamo una giornata intera a disposizione e gozzovigliare in
giro per la citta’ non ci va troppo, la mia idea iniziale era quella di andare
a vedere Cacaxtla e i suoi famosi dipinti ma poi la descrizione di Cantona ha
conquistato un po’ tutti. Una delle piu’ grandi citta’ mesoamericane con
ben 24 campi per il gioco della palla le cui rovine sono sparse su un’area
vastissima e completamente immerse in foreste di cactus e yucca.
Gia’, ma come arrivarci ...
Non sembra cosi’ semplice visto che non esistono mezzi
diretti e la Lonely resta molto vaga sul tragitto da percorrere.
“Iniziamo ad avvicinarci e poi vedremo” …
questa incognita e’ stimolante perche’ piu’ un posto e’ difficile
da raggiungere piu’ c’e’ soddisfazione nell’arrivarci e probabilmente il
premio e’ un luogo isolato tutto per noi.
Prendiamo un taxi fino alla stazione poi un autobus VIA (e
chi l’aveva mai sentito ?? 78 Pesos) per la citta’ di Oriental.
In realta’ i paesi da queste parti si somigliano un po’
tutti e dopo piu’ di due ore ci accorgiamo che siamo andati un po’ troppo
avanti e quindi a Libre scendiamo e torniamo con un altro bus sui nostri passi.
Oriental e’ un pueblo anonimo tutto costruito lungo
un’unica via di passaggio, polvere e terra desertica ovunque, pochi locali e
tante case, ci guardiamo attorno …
“E adesso ??”
Dopo qualche minuto di sconforto chiediamo in giro e ci
indicano un combi che trasporta le persone nei piccoli villaggi vicini e puo’
arrivare fino a Cantona.
Bhe’ il combi non e’ altro che una specie di vecchio
pickup la cui parte posteriore e’ composta da un cassone chiuso con una
porticina di accesso. Ci infiliamo li’ dentro assieme a delle famiglie
messicane e concordiamo il prezzo per il trasporto (solo 25 pesos !!).
Le buche non fanno certo bene al mio fondoschiena e
soprattutto alla mia cabeza che continua a sbattere contro la parte alta del
cassone, per i messicani … per loro non c’e’ problema vista l’altezza.
Ci impieghiamo ben 45 minuti per percorrere una trentina di km, ma le tappe sono
tante come tanti sono i piccoli villaggi attraversati dove anche una strada
asfaltata sembra un lontano miraggio.
Finalmente ecco il piccolo premio, un luogo magnifico sotto
il classico cielo blu messicano, una distesa infinita di cactus e yucca tra le
rovine di un luogo che un tempo doveva essere immenso e poi nessuno a parte noi
solo il silenzio e il rumore dei nostri passi.
Nessuna iscrizione, nessun bassorilievo ma tanti edifici,
piramidi e campi di pelota, le strutture si susseguono l’una con l’altra in
maniera ordinata, mai oppressiva e mentre cammini hai l’impressione di seguire
un flusso prestabilito come un fiume che scorre li’ in mezzo come se questo
movimento creasse l’armonia giusta per l’osservazione …gia’ il
movimento, ci risiamo.
31
Dicembre: Ieri
sera abbiamo trovato delle viuzze veramente carine per comprare qualche souvenir
a buon prezzo, praticamente si snodano tutte attorno alla 2 d’oriente e in
zona ci sono anche dei localini niente male per cenare. Alla fine ci spiace
lasciare Puebla e questo bellissimo albergo ma oggi siamo di nuovo in strada con
lo zaino in spalla in attesa di un autobus per Oaxaca (350 Pesos con ADO).
A
dire la verita’ l’attesa non e’ molto lunga, cosi’ come le 4 ore di
viaggio, sempre costellate da un susseguirsi di paesaggi davvero belli con le
solite sterminate foreste di cactus e l’Ipod nelle orecchie che continua a
pompare melodie malinconiche del tango quasi a ricordarci che per similarita’
potremmo essere anche nella pampa argentina.
Terra
tropicale, terra montuosa in cui si incrociano la Sierra Madre Orientale, la
Sierra Madre del Sur. Terra del caffè, del cacao, dell'artigianato, delle
sculture in legno e delle terrecotte nere. Terra di turismo, è anche la
terra di Puerto Escondido e degli Zapotechi. Terra di contrasti e di rivolte
sociali come l’ultima degli insegnanti nel 2006 che rivendicavano un salario
piu’ dignitoso e che il governa affronta da sempre nello stesso modo, inviando
militari e polizia.
Che
fine ha fatto quella rivolta ??? Gli insegnanti hanno ottenuto qualcosa? Oppure
tutto e’ stato spazzato via come polvere sotto il tappeto ?
Bhoooo
… come sempre la tv fa vedere quello che vuole e dopo qualche vaga notizia, di
questo non si sa piu’ nulla, come sempre.
Ad
Oaxaca c’e’ l’unico hotel che abbiamo prenotato prima di partire, piu’
cha altro per la paura di trovare il pienone ovunque nell’ultima notte
dell’anno; in realta’ ancora una volta rimaniamo stupiti dallo scarso numero
di turisti in giro nonostante il periodo e nonostante il luogo sia uno dei
piu’ visitati del Messico.
La
Posada Escudero (450 Pesos) e’ proprio carina con le sue tinte rosse e gialle
vivaci, con le sue piante che abbelliscono un patio sul quale si affacciano le
balconate delle camere, peccato che sia un po’ lontano dal centro, una
traversa della Ninos Eroes De Chapultepec e dobbiamo prendere un autobus (4
Pesos) per arrivarci dalla stazione principale.
Acquistiamo gia’ anche i biglietti per l’autobus notturno di domani che in
11 ore ci portera’ a San Cristobal de Las Casas, ci concediamo un piccolo
lusso visto che i viaggi notturni sono parecchio stancanti e prenotiamo con la
ADO Premium (640 Pesos contro i 540 della classe normale).
Che
aggiungere di Oaxaca ??
Passiamo
la giornata quasi in attesa del capodanno e dopo il solito pasto a base di tacos
(ma non avevo detto che non li avrei piu’ mangiati ?? Alcune volte penso di
essere un campionario di contraddizioni), visitiamo la cattedrale e la
bellissima chiesa di Santo Domingo con il suo sagrato ricoperto di agave.
I
mercati di Oaxaca sono una gioia per gli occhi, gli infiniti colori e le mille
sfumature della frutta, dei vestiti e dell’artigianato in legno: draghi,
draghetti, colibri’, catus, animali di vario genere di ogni forma e
dimensione, vasi, ceramiche, maschere… ovunque ti giri c’e’ qualcosa che
attira attenzione, c’e’ qualcosa che compreresti ma poi ti rinsavisci
pensando al carico sulla tua schiena. Non ne usciamo indenni, anzi, ma alla fine
e’ difficile resistere a simili tentazioni e vivere con il rammarico … Oddio
che parola esagerata !
E
pensare che dissi “rimandiamo gli acquisti al Chapas” …credo che adesso la
frase piu’ ricorrente sia “ facciamo gli ultimi acquisti in Chapas !”.
Detto
questo siamo costretti a comprare anche un borsone aggiuntivo perche’ stipare
il tutto negli zaini e’ impossibile ci sta a malapena cio’ che ci siamo
portati dall’Italia, sacco a pelo incluso.
Sinceramente
e’ uno dei capodanni piu’ tristi della nostra vita; pensavo alla “fiesta
mexicana” con fuochi d’artificio, balli in piazza, birra
a fiumi, ero addirittura preoccupato per le armi da fuoco tanto diffuse e
di uso comune qui e invece …
Invece
cena tristissima in un locale squalliduccio con un mole pueblano e carne di
infimo ordine, qualche razzetto e qualche miccetta da non
far spaventare neanche le galline, festa in piazza nessuna e bar
strapieni tanto da non poter entrare a consumare neanche una birra; dulcis in
fundo ?? bhe’ eravamo nello zocalo quando e’ iniziato il conto alla
rovescia, chi diceva che mancavano dieci secondi, chi 20, chi 5 minuti, insomma
il nuovo anno veniva festeggiato separatamente a seconda del lato della piazza
dove ti trovavi e poi via di corsa verso casa tanto che un quarto d’ora dopo
la mezzanotte parte dello zocalo era vuoto.
Andiamo
a dormire che e’ meglio !
01
Gennaio: Buon
anno !
E’
la prima volta che a Capodanno siamo in un luogo cosi’ lontano dall’Italia,
nei nostri viaggi passati avevamo privilegiato altri periodi, sicuramente piu’
economici.
Sia
io che Paola non siamo troppo legati a questa festa, anzi non e’ mai motivo di
grosso sbattimento; ieri sera pero’ ammetto che ci siamo rimasti piuttosto
male, l’aspettativa era alta …Ahh !! L’aspettativa! Lo dico sempre e’
una brutta bestia da gestire soprattutto perche’ genera spesso illusioni e
colma gli animi di promesse mancate; e che cos’e’ il Messico senza la’
fiesta’ ??
E’
come il loro cibo senza la cipolla, diventa vuoto, inespressivo privo di anima,
anche se il mio stomaco la pensa diversamente e manderebbe volentieri al diavolo
l’espressivita’ dei piatti messicani.
A
Monte Alban ci ero gia’ stato qualche anno fa con l’autobus che si prende
vicino all’hotel Meson del Angel ma, questa volta siamo in due e quindi
conviene, anche se economicamente leggermente piu’ dispendioso, un taxi che
per 150Pesos ci porta velocemente, ci aspetta il tempo necessario e ci riporta
indietro.
La
giornata e’ bella come al solito, sole cielo azzurro anche se qualche nuvola
incombe e c’e un po’ di vento fastidioso.
Monte
Alban mi ha sempre ricordato molto Teotihuacan, i suoi terrazzamenti, le
piramidi, le bizzarre incisioni e le numerose steli; la posizione dominante su
una collina rende una visione superba della valle circostante cosi’ come e’
meraviglioso passeggiare tra le varie costruzioni senza darsi una meta precisa.
Al solito poca gente, pochi turisti a vedere quella che fu la capitale degli
zapotechi e una delle piu’ antiche citta’ del mesoamerica.
Va
via il sole, fa piu’ fresco e’ un continuo “metti-togli” della felpa,
anche se la temperatura resta sempre piacevole.
Ci
riavviamo dopo un paio di ore verso l’uscita e ci facciamo portare al solito
in qualche mercato lasciando che poi che il tempo scorra su di noi con calma tra
le vie colorate di Oaxaca e le sue belle case coloniali. Non ho contato le volte
che abbiamo attraversato lo zocalo, le volte che ci siamo fermati su una
panchina o a qualche banchetto; il nostro bus partira’ poco dopo le 21 e
dobbiamo tenerci solo il margine per recuperare gli zaini in albergo.
Davanti
alla stazione dei bus ADO ci sono dei baracchini che sfrigolano tutto il santo
giorno e visto che e’ ancora presto ci concediamo la cena piu’ lussuosa del
viaggio: 25 pesos a testa per un kebab e dell’acqua; bhe’ insomma non si
puo’ dire che non ci stiamo trattando da signori appollaiati come siamo su uno
sgabello unticcio e malfermo con la prospettiva di finire a gambe all’aria
proprio in mezzo alla strada.
Eppure
per i messicani questi posti sono un “must” sempre pieni di gente a tutte le
ore della giornata, anche al mattino presto quando l’odore di soffritto ti
penetra nelle narici e ti rimane finche’ non ti ci abitui e pensi di non
sentirlo piu’ … e invece e’ li’ e riappare quando meno te lo aspetti o
nei momenti meno propizi mentre magari stai mangiando un dolce e pensi “ ma
come cazzo e’ che sa di cipolla”…
Di
fianco avevo un signore che si e’ fatto riempire il panino di ogni
possibilita’ commestibile (o meno !?!), quando e’ andato via ha lasciato una
scia tale da creare un tutt’uno con la griglia che ancora sfrigolava
nell’olio la cipolla, in pratica lui e la griglia erano la stessa cosa.
Con
questi bei pensieri in testa abbiamo affrontato il primo tratto in autobus fatto
di una serie infinita di curve tale da provocare il voltastomaco ma c’e’ da
ammettere che la sistemazione e’ proprio lussuosa come non ne avevo mai viste:
poltrona personalizzata con consolle per film, musica e videogiochi, in pratica
ne ho fino a domattina vista la mia risaputa avversione ai riposi notturni su
tutto cio’ che non e’ un letto.
02
Gennaio:
Arriviamo con buon anticipo, ben prima delle 11 ore previste, forse merito della
strada nuova costruita tra Tuxtla Gutierrez e San Cristobal De Las Casas o forse
dell’imponderabilita’ degli orari in Messico troppo legati a fattori diversi
che i semplici chilometri da percorrere.
Resta
il fatto che alle 7 usciamo, zaino in spalla dalla stazione, fa freddo e ci sono
pozzanghere ovunque e il cielo non promette nulla di buono, menomale che abbiamo
i piumini visto che siamo partiti dall’Italia con il freddo … passiamo un
paio di posade prima di trovare posto nella bellissima “Casa Margarita” per
520 Pesos a camera, un po’ piu’ caro del nostro standard, ma sicuramente li
vale tutti.
Ricordavo
la cattedrale gialla, come ricordavo la bellezza delle vie di questa citta’
che alterna colori sgargianti a quelli piu’ semplici, tra case coloniali e
baracche di legno , il tutto in un incrocio di vie perfettamente parallele o
perpendicolari tra loro che vanno a costituire le quadre di San Cristobal.
Paola
adocchia sulla guida che esiste un museo della cultura maya che per 20 Pesos
illustra meglio quelle che sono le usanze di un popolo antico che risiede in
questa terra da sempre.
Le
medicine naturali, gli alimenti, il parto e la magia, e’ tutto un alternarsi
di stanze dove gli usi e costumi maya vengono in qualche modo mostrati e
spiegati cercando di dipanare quell’idea di arretratezza che ognuno di noi si
e’ fatto rispetto a delle popolazioni che qui hanno sviluppato una civilta’
cosi’ progredita.
I
maya esistono ancora o meglio resistono ancora, mescolando credenze pagane con
quelle religiose assorbite dai conquistadores mostrando una fierezza culturale
che altrove e’ andata perduta per sempre.
Inutile
illudersi, comunque la contaminazione c’e’ ed e’ forte e i maya sono stati
capaci di prendere tutto il peggio che la cultura occidentale ha portato e non
mi riferisco solo al Dio denaro ma anche ai grandi problemi di alcolismo e
disinformazione che qui sono una consuetudine. E’ d’altronde ovvio che il
governo centrale voglia tenere nell’arretratezza la popolazione maya del
Chapas perche’ cosi’ e’ piu’ facile sfruttarla facendole solo annusare
il miraggio di uno stile di vita occidentale, questo crea solo bramosia e non un
vero spirito di cambiamento.
Forse
neanche Marcos crede piu’ ad un cambiamento forse si e’ arreso anche lui,
e’ come sparito nelle foreste che da queste parti sono ancora numerose.
Di
lui esistono pupazzetti, magliette e qualche slogan sembra ormai solo folklore.
Usciamo
e Paola mi guarda, magari ha avuto i miei stessi pensieri e sembra volermeli
comunicare, ha questa grande capacita’ di parlare con gli occhi, anche se io
non ho sempre la capacita’ di leggere cio’ che esprime e magari anche adesso
mi sbaglio, forse pensa solo che ha freddo o forse che ha voglia di pensieri
diversi, di distrarsi dai mali del mondo e, infatti, ...
ben
presto finiamo nell’incredibile e coloratissimo mercato di San Cristobal tra
stoffe, tovaglie, vestiti, borse, coperte di una tale varieta’ cromatica che
forse ogni tentativo di descrizione sarebbe inutile o quantomeno non gli
renderebbe giustizia.
Donne
con abbigliamento tipico indios, bambini avvolti come salami, odore di cibo
ovunque e a tutte le ore, tutta l’umanita’ sembra essersi concentrata qui e
tu devi solo farti portare dal fiume in piena che attraversa ogni vicolo del
mercato.
“Ma
sai che questo ci potrebbe servire ??”, “ E cosa portiamo a mia sorella ?”
“ E se vediamo per un’altra borsa ?” insomma siamo preda di questo vortice
cromatico e solo la fame ci fa deviare verso il Gato Gordo.
San
Juan Chamula e’ un esempio di quanto detto prima, nella chiesetta di questo
paese sulle alture di San Cristobal si svolgono riti a meta’ tra il pagano e
il religioso cattolico.
Le
numerose statue dei santi sono adorate con lunghe preghiere incomprensibili, il
pavimento e’ completamente cosparso di aghi di pino cosi’ come da una
infinita distesa di candele. A volte si scorgono bottiglie di Coca o di Pepsi
che aiutano nel rutto finale e 5 anni fa vidi anche galline sgozzate in diretta.
Non so quanto questa tradizione resista solo per fare da spettacolino ai
turisti, resta il fatto che rappresenta l’esempio tangibile del modo in cui
questa gente ha mantenuto antichi riti inserendosi tra le maglie
dell’inquisizione spagnola.
Usciamo,
il tempo e’ pessimo le nuvole sono talmente basse da poterle tagliare a fette
e le gocce di umidita’ ti penetrano nei vestiti lasciandoti solo il desiderio
di un posto caldo dove sorseggiare un the’. Prendiamo un taxi per tornare a
San Cristobal (60 Pesos) sotto un cielo plumbeo e un freddo cane.
“Ma
non dovevamo andare al caldo ??”.
Gia’
effettivamente fino a ieri eravamo stati abbastanza fortunati con il tempo, ma
oggi bhe’ lasciamo perdere …
Ho
il rifiuto di indossare il piumino che invece Paola sfrutta in pieno, soffro
stupidamente e in silenzio nella mia felpa ma … cavolo, questo e’ il Messico
e non la bassa pianura milanese, gli altri anni non faceva cosi’ freddo nello
stesso periodo, neanche a queste alture !
No,
proprio il piumino no !!
Mi
sembrerebbe di tornare a casa.
La
sera ci infiliamo in un ristorante uruguagio per gustarci una parillada,
onestamente alquanto scarna, in compenso ci godiamo un piccolo spettacolo di
tango argentino cosi’ da allontanare i pensieri dai problemi del mondo, dai
maya, dagli zapatisti e soprattutto … dal freddo !
03
Gennaio:
Mettiamo fuori il naso dalla camera, finalmente sole e cielo azzurro … i
contorni di San Cristobal sembrano completamente diversi oggi . I colori del
mercato sembrano piu’ incisi come del resto quelli dei banchetti di frutta, il
via vai continuo di gente che sembrano tante formichine uscite dalla tana dopo
la tempesta, la bellezza delle vie e il piacere che si prova semplicemente
camminando, tutto sembra diverso, anche se nella realta’ non e’ cambiato
assolutamente nulla, cambia solo la nostra prospettiva, il nostro modo di vedere
le stesse cose.
Gironzoliamo
senza una meta precisa, finalmente un po’ di sano cazzeggio in attesa del
nostro bus OCC (146 Pesos) delle 12:15 per Palenque. La famigerata Cristobal
Colon, nei miei viaggi passati ho imparato a starne alla larga, oggi sembrano
autobus piu’ moderni, meno carrette della strada, resta il fatto che ieri
quando abbiamo comprato i biglietti ero dubbioso ma, che farci … qui hanno un
po’ il monopolio e soprattutto dei prezzi/orari molto favorevoli.
E’
la prima volta durante questo viaggio che non penso a cosa devo vedere o cosa
voglio fare, anzi un pensiero in realta’ ce l’ho: colazione messicana !
Avete
presente quei piatti ricchissimi di uova, fagioli, prosciutto e qualche strano
tipo di formaggio ??
Ecco
questo condensa bene il concetto di ‘breakfast’ da queste parti, e a me fa
impazzire visto che da sempre faccio una colazione salata anche a casa. Certo,
non proprio leggerina ma comunque piu’ sana di qualunque brioches e
soprattutto tiene a bada la fame molto piu’ a lungo.
Entriamo
in un locale che sembra deserto, sfiga vuole che prima di noi si accomodi una
numerosissima famiglia messicana e subito ci rendiamo conto che ci sara’ da
aspettare … parecchio!
I
messicani generalmente quando mangiano ordinano una tale quantita’ di portate
che il tavolo viene completamente sommerso di pietanze, stoviglie, posate e
tovaglioli; se sono in due ordinano per sei, se sono in quattro ordinano per
dodici, se sono in otto ordinano per ventiquattro, insomma avete capito la
proporzione …c’e’ solo una povera cameriera che corre come una matta e
loro sono in sei percio’ a voi il conto di quanta roba hanno ordinato, a noi
tocca l’attesa.
Recuperiamo
velocemente gli zaini nella posada e ci avviamo verso la stazione degli autobus,
guardo di sbieco il cielo, sta cambiano, nuove nuvole all’orizzonte.
Il
percorso verso Palenque e’ una serie infinita di curve, piccoli villaggi e
topas ogni 500 metri, questo si traduce in una velocita’ media di 40Km/h.
Facciamo
una sosta ad Ocosingo, sinceramente avevo la forte tentazione di fermarmi una
giornata per vedere le rovine di Tonina’, ma poi il tempo che abbiamo a
disposizione e soprattutto la bruttezza del paese mi fanno cambiare velocemente
idea. Sara’ per un’altra volta o forse mai piu’ .
E
ci risiamo, nuvole basse, pioggerellina continua, foschia, sembra la pianura
padana di inverno altro che Messico; menomale che doveva essere la stagione
secca a questo punto forse e’ preferibile la stagione delle piogge, ti becchi
l’acquazzone pomeridiano e poi torna il sole. Qui invece e’ costantemente
coperto da nubi con quel cielo bianco che non lascia trasparire il benche’
minimo raggio di sole.
Arriviamo
a Palenque dopo 6 ore e prenotiamo al volo il bus notturno che fra due giorni ci
portera’ a Tulum (650 Pesos con ADO).
Ricordavo
che questo paese fosse brutto ma sinceramente adesso che lo rivedo e’ anche
peggio. La solita strada verso il centro mai asfaltata, case ed alberghi
ammassati alla rinfusa un luogo completamente anonimo nato solo dallo
sfruttamento turistico di quella meraviglia dell’ umanita’ che e’ Palenque.
Prima
di dedicarci alla ricerca di un hotel ci fermiamo in un’agenzia per prenotare
l’ escursione di domani a Yaxchilan e Bonampak (650 Pesos).
Facciamo
un tentativo al Lacandonia, ma il costo ci fa desistere, ci fermiamo al vicino
Nikte-Ha che per 300 Pesos ci lascia una camera doppia all’ultimo piano.
L’albergo
e’ nuovo ma terribilmente anonimo e con un arredamento cosi’ triste da far
pensare ad un ospedale, diciamo che rappresenta bene quello che e’ il resto
del paese.
04
Gennaio: Alle
5:30 veniamo svegliati di soprassalto dal bussare nervoso sulla porta della
camera.
“Ehi
ma non dovevi passare alle 6? In agenzia ieri sera ci avevano detto che saresti
passato …”
“Vamonos,
vamonos se está haciendo tarde !!”
“Ok,
Ok, ci prepariamo non ti arrabbiare troppo, aspettaci giu’”.
Solita
manfrina, un minivan passa a prendere noi, poi altre persone in altri alberghi,
abbiamo avuto la sola sfortuna di essere i primi della lista.
Il
cielo al solito e’ bianco uniforme e alterna una pioggia leggera a momenti di
pausa.
Ci
fermiamo per colazione lungo la strada in una capanna appositamente posizionata
per ospitare i turisti in gita Aiazzone verso Yaxchilan, infatti poco dopo di
noi si fermano anche altri gruppi; in compenso la colazione e’ molto buona.
Arriviamo
all’imbarcadero sul Rio Usumacinta che piove e ci imbarchiamo su una lancia
che risalira’ il corso del fiume per ¾ d’ora, l’altra sponda e’ gia’
Guatemala.
Inutile
dire che ci laviamo da capo a piedi.
Inutili
anche i tentativi di ripararsi con il giubbotto salvagente, con una sacchetto di
plastica legato in testa con un foulard, mi do dello stupido per aver portato di
tutto tranne un K-way, chissa’ cosa hanno pensato gli altri vedendomi con il
sacchetto di plastica, anche se Paola era eloquente … almeno le ho rallegrato
il tempo durante questa doccia collettiva.
La
natura, la foresta intorno a noi e’ magnifica, superba e’ un intrico
infinito di alberi e di rami che si bagnano nelle acque del fiume, e’ una
distesa di verde impenetrabile e la nebbia che avvolge la chioma degli alberi
rende il paesaggio suggestivo, magico.
Non
ho mai navigato sul Rio delle Amazzoni ma credo sia esattamente cosi’ e
chissa’ quanti e quali animali si nascondono in questo mondo, tapiri,
serpenti, giaguari (pochi mi sa), coccodrilli e una grande quantita’ di
uccelli, pappagalli, insetti insomma una natura ai suoi primordi che mi fa
dimenticare tutto, riesco solo ad ammirare cio’ che ci circonda. Non ce
n’e’, questo luogo ti fa riconciliare con il mondo, con il lento movimento
del fiume e le infinite angolazioni dalle quali questa natura esplosiva si fa
ammirare; capisco, anche se solo lontanamente, il rapporto che le popolazioni
precolombiane avevano con la natura alla quale erano cosi’ legate le loro
divinita’ a quel senso di dualismo e movimento che ognuno di loro esprimeva,
il sole, la luna, la pioggia, l’incedere delle stagioni e delle eta’
dell’essere umano, il giorno e la notte, la vita e la morte, l’uomo e la
donna plasmati dagli dei a partire da una palla fatta di acqua e mais.
Arriviamo
a Yaxchilan che spiove (quando parlo delle leggi di Murphy …), al momento
vediamo solo qualche rovina aggrovigliata dagli alberi e i sentieri sono paltano
allo stato puro. Siamo i primi e ci avviamo seguendo le poche indicazioni
presenti. Ad un certo punto si presenta davanti a noi uno spettacolo mozzafiato,
rovine, labirinti di pietra, corridoi, resti di piramidi, templi parzialmente
recuperati e spesso avvolti tra le radici di alberi giganteschi, non sappiamo
neanche se non piove piu’ o la foresta ci sta facendo da riparo verso un cielo
che da qui sotto non si vede, come svanito.
Questo
luogo mi ricorda molto Angkor Wat in Cambogia, anche se e’ piu’ antico di
qualche secolo, girovaghiamo per un paio di ore, anche se nel frattempo la
nostra solitudine e’ interrotta dall’arrivo di altri turisti sicuramente
meno lavati di noi perche’ partiti piu’ tardi. Inizio a pensare che tutta la
fretta del nostro conducente ci abbia solo portato una lavata galattica …bhe’
almeno ci siamo goduti questo luogo magnifico da soli.
Il
ritorno e’ meno problematico, il cielo e’ sempre grigio, completamente
coperto, ma almeno non piove.
Ci
fermiamo per pranzo in un ristorante vicino all’attracco delle lance e
sinceramente, quando per primo ci portano una zuppa di verdure calda, ci
brillano gli occhi, siamo ancora umidi dalla testa ai piedi e il calore del cibo
e’ un toccasana … mai avrei immaginato in Messico di desiderare un pasto
bollente !
L’autista
ci dice che ci sara’ da aspettare una ventina di minuti prima di ripartire
perche’ ci aggregheremo ad altri gruppi che sono appena arrivati. Meglio, ci
rilassiamo sui divanetti del posto e stendiamo le felpe umidicce.
Adesso,
capisco che il tempo e’ un concetto relativo, ma in Messico la relativita’
si trasforma in casualita’ e la cosa non mi fa certo piacere.
Vado
a cercarlo …
Ma
come ?? Stamattina ci sei venuto a prendere con piu’ di mezz’ora di
anticipo, incazzato e con una fretta terribile, per colpa della tua fretta ci
siamo presi secchiate di acqua in faccia e adesso dopo due ore che siamo qui
manco ti fai vedere ?
Altro
che venti minuti ? E quando ci andiamo a Bonampak, stanotte ?
Gli
dico dietro di tutto nel mio italo-spagnolo alquanto traballante, ma il metodo
e’ efficace e cosi’ schioda il suo grosso sedere dalla tavola su cui stava
per arrivare la ventesima portata; ricordate la proporzione tra numero di
persone e numero di pasti ordinati dai Messicani ? Bhe’ per lui bisogna
moltiplicare il tutto per due.
Arriviamo
a Bonampak, quando molti iniziano ad uscirne.
Il
luogo non e’ all’altezza di Yaxchilan, ma e’ uno dei rari siti dove si
possono ammirare ancora degli affreschi Maya i cui magnifici colori
rappresentano scene di battaglie o religiose, ma anche scene di vita di tutti i
giorni, incredibile pensare a come siano sopravvissuti all’incedere dei
secoli.
Ricomincia
a piovere e attorno alle 19:30 siamo di nuovo a Palenque.
Finalmente
una doccia rigenerante che lava via anche qualche scoria di troppo di questa
giornata, resta solo il ricordo di luoghi quasi incontaminati dove vivono ancora
pochi individui nella selva Lacandona discendenti diretti dei maya e dove ancora
si puo’ apprezzare o almeno intuire il senso del vivere di un tempo cosi’
legato alla natura e al suo lento e costante movimento.
05
Gennaio: Diluvio !!
Ci
svegliamo stamattina sotto una pioggia battente !
Proprio
il giorno del mio ritorno al sito di Palenque dopo 11 anni.
Non
ci resta che aspettare e gironzolare per la citta’ nell’attesa che passi,
compriamo un paio di mantelle, facciamo colazione, mi faccio lucidare le scarpe,
prepariamo gli zaini, insomma inganniamo il tempo come possiamo, la citta’ di
Palenque non offre null’altro.
Verso
le 12:30 la pioggia si fa sempre piu’ debole anche se il cielo come al solito
e’ bianco, completamente coperto.
Prendiamo
un taxi per la zona archeologica (50 Pesos) e … sorpresa!! Neanche la Lonely
Planet segnala che da quest’anno, prima di arrivare a “las ruinas”, si
entra in un parco naturale e quindi bisogna pagare un ulteriore biglietto di
ingresso di 25 pesos in aggiunta ai 41 del costo di accesso al sito. A me sembra
la solita gabella per i turisti, resta il fatto che ci tocca mangiare la
minestra per non saltare dalla finestra come si usa dire.
Arriviamo
giusto in tempo al capanno di ingresso che si scatena un’autentica doccia
tropicale, menomale che abbiamo le mantelle ma, meglio attendere !
I
gradini di accesso sono autentiche cascate di acqua, la natura e’ rigogliosa
come al solito e il sito e’ spettacolare nonostante la pioggia e questo
continuo e fastidioso cielo bianco.
Il
tempio delle iscrizioni non e’ piu’ scalabile, anche se si accede da
un’apertura laterale alla tomba di re pacal. A casa ho diverse
rappresentazioni dell’incisione della sua lastra tombale che gli archeologi
interpretano come il re intento a scalare l’albero della vita o qualcosa del
genere, in realta’ sembra invece una persona seduta ai comandi di una
navicella spaziale con tanto di inalatori per il naso e il fuoco che esce dai
motori posteriori; e’ cosi’ realistica questa raffigurazione da essere stata
ribattezzata “l’astronauta di Palenque”.
Da
qui al complesso chiamato “el Palacio”con la sua torre di osservazione, la
distanza e’ breve e le due costruzioni si possono ammirare a vicenda
descrivendo un angolo di quasi 90 gradi.
Riprendiamo
il cammino verso il “Templo de la Cruz” dalla cui cima si ha una
meravigliosa visione di insieme del luogo.
Le
nuvole basse avvolgono la cima delle piramidi cosi’ come la parte di foresta
che abbiamo di fronte e’ completamente avvolta nella foschia …brutto
presentimento.
E,
infatti, ricomincia a piovere.
Restiamo
inchiodati in cima al tempio per un po’, faccia a faccia con delle bellissime
steli riparati sotto le nostre mantelle colorate, quando, stufi, decidiamo di
rincamminarci verso l’uscita, al diavolo le cascate e il resto dei percorsi
nella foresta, con questo tempo non riusciremmo nemmeno a godercele.
E’
tardo pomeriggio, quando mangiamo qualcosa al ***** .
Mangiamo
benissimo !! A saperlo prima !
Le
minestre e il pesce poi sono una delizia e non lesinano certo sulla quantità.
Ci
rechiamo in stazione con i nostri zainoni con buon anticipo e uno studente
locale attacca un bottone pazzesco con Paola che se da una parte esercita il suo
spagnolo dall’altra subisce delle manfrine pazzesche sulla religione e sulla
salvezza eterna dell’anima, sfiga vuole poi che il bus parta con un’ora e
mezza di ritardo. Alle 22:30 lasciamo Palenque, il Chapas e tutta la sua
pioggia.
06
Gennaio: L’avrei ammazzato
!!!!!!
Che
rabbia !! In autobus questa notte c’era un ciccione pazzesco che ha russato
continuamente; faceva un verso tipo Alien quando si sta per avventare sulla sua
vittima.
Era
pure vicino a noi, ma in realta’ pochi sull’autobus hanno dormito anzi, mi
sa nessuno tranne lui, ad un certo punto pensavo ad una rivolta generale per poi
abbandonarlo in un angolo buio della strada e invece ce lo siamo portati fino a
Tulum.
Arriviamo
verso le 9 di mattina, stanchi e indolenziti e dopo qualche tentativo a vuoto
troviamo posto in una posada molto carina la “Addy” in Calle Polar de
Oriente per 350 Pesos a notte con ventilatore.
Il
tempo e’ buono, anche se onestamente la temperatura non e’ alta quanto mi
aspettavo, ci saranno non piu’ di 27 gradi con un leggero vento. Nei miei
viaggi passati ero venuto da queste parti ai primi di dicembre e c’erano quasi
35 gradi, questo giro invece con la sola differenza di un mese ci sono quasi
dieci gradi di differenza. Colpa del freddo polare che ha investito gli Stati
Uniti e si e’ spostato parzialmente anche sul Golfo del Messico, ma che culo
direi !
Dopo
4 giorni di pioggia nel Chapas anche la zona caraibica risente di condizioni
piu’ invernali del solito.
In
taxi (40 pesos) andiamo in spiaggia nella zona piu’ vicina alle rovine dove ci
sono le cabanas Zazil Khin per intenderci.
Tulum
e’ la classica cartolina, tutto cio’ che nei sogni di paradisi tropicali si
puo’ immaginare; sabbia bianchissima come la farina, palme ovunque e un mare
turchese che degrada verso il blu cobalto. Paola sgrana gli occhi sapevo che
questo luogo avrebbe fatto colpo e l’effetto che fa e’ sicuramente quello di
credere di sognare.
Stendiamo
i teli e facciamo un bagno veloce perche’ la temperatura non e’ proprio
ideale, si sente che mancano quei quattro, cinque gradi che ti permettono di
stare tranquillamente a rosolarti al sole; in piu’ il vento e’ piuttosto
fastidioso.
Passiamo
qualche ora di nullafacenza prima di decidere nel tardo pomeriggio di visitare
le rovine di Tulum, unico sito maya sul mare, molto suggestivo ma di scarso
interesse tanto da costituire una meta visitabile in pochi minuti.
Chi
viaggia zaino in spalla sa benissimo la quantita’ di biancheria sporca che man
mano si accumula e spesso tocca fare un bucato generale a forza di braccia e
sapone di Marsiglia. Oggi esistono delle varianti molto piu’ efficaci: le
lavanderie a gettoni. Fortunatamente ne abbiamo una vicino alla posada e prima
di cena porto un sacco tipo spazzatura ricolmo di biancheria che finalmente
trovera’ pace nell’acqua profumata di una lavatrice per poi passare a
rosolarsi allegramente nell’asciugatrice.
Non
vi dico il profumo appena finite le varie operazioni, mi sentivo cosi’
soddisfatto, anche se non ho mai capito di cosa poi! Va bhe’ poco importa …
Se
non che stavo per rovinare il tutto inciampando in un cavo elettrico al ritorno,
in quell’istante mi e’ passata davanti l’immagine terribile di tutta la
biancheria per terra aggrovigliata alla monnezza dei marciapiedi; fortunatamente
qualcuno ha voluto che restassi in piedi e portassi a termine la mia impresa
giornaliera.
E
che c’entra direte voi ?
Bho’
non so, lo avevo annotato sul diario e non ho fatto altro che riportarlo, e’
comunque vero che anche questi dettagli contribuiscono a comporre il quadro di
un viaggio.
Ceniamo
velocemente e poi a nanna presto sperando di non avere il ciccione come vicino
di camera !
07
Gennaio: E
ci risiamo !! Indovinate un po’ ?? Cielo coperto.
Niente
mare, almeno per il momento.
Decidiamo
di andare in taxi fino a Coba’ visto che gli orari dei bus sono abbastanza
generici; non ci fermiamo molto, solo il tempo di aggirarci tra le pietre che un
tempo dovevano costituire una citta’ enorme con i suoi campi di pelota e
diverse piramidi adesso diroccate. Ne avevo sentito parlare sempre in maniera
molto positiva da chi ci era stato, personalmente lo ritengo un luogo con uno
scarso impatto visivo e di poco interesse.
Al
solito il giudizio su un posto dipende dai termini di paragone che uno ha. Ad
esempio puo’ essere un bel sito archeologico
se paragonato a cio’ che si vede in questa parte del Quintana Roo, ma
dopo aver visto Palenque, Teotihuacan, Yatchilan o Cantona il paragone non
regge.
Ci
spillano pure 10 Pesos per vedere dal pontile i coccodrilli nel vicino laghetto,
si avvicinano solo perche’ gli viene buttato del cibo, in realta’ sembrano
con la panza bella piena e non mi sembra che abbiano troppa voglia di fare
piroette o esibizioni varie per accaparrarsi un po’ di carne in piu’. Buon
per loro e anche per noi …
Finalmente
uno spiraglio di sole.
Sulla
strada del ritorno ci fermiamo al Gran Cenote (100 Pesos l’ingresso). La
penisola dello Yucatan non ha fiumi e tutta l’acqua dolce si accumula,
attraverso la pioggia, in buche o caverne sotterranee detti cenotes appunto, con
fenomeni di tipo carsico. Gia’ i Maya usavano l’acqua di queste enormi pozze
e in alcuni casi erano ritenuti sacri e usati perlopiù per rituali religiosi.
Adesso
invece sono la gioia dei turisti e anche la nostra o almeno la mia, visto che
Paola non entra perche’ l’acqua per lei e’ troppo fredda. Resta comunque
un’esperienza piacevole nuotare in acque cristalline tra le mille sfumature di
colore, immersi in caverne ricche di stalagmiti e stalattiti e ... qualche
pipistrello!
Tempo
di asciugarsi e siamo di nuovo al mare dove lasciamo il taxi (600 Pesos per
tutto il giro … mica poco !!).
Ancora
una volta l’alternarsi di nuvole, sole e un po’ di vento ci fa desistere dal
piano di fermarci tutto il giorno in spiaggia e dopo due ore siamo di nuovo a
zonzo per il pueblo dove pranziamo con un buonissimo piatto di nachos e
formaggio.
Tiriamo
tardi, nulla piu’.
Serata
al ristorante argentino ma qui devo aprire per forza una parentesi.
In
Messico l’ingrediente fondamentale della cucina e’ la cipolla, cruda, cotta,
in umido, scottata, insomma qualunque piatto tu decida di prendere la cipolla
e’ quasi sempre presente (a parte nei nachos fortunatamente).
Questo
e’ vero, anche se non vai espressamente in un ristorante messicano ma anche in
qualunque altro, argentino, spagnolo, francese, italiano, viene fatto cioe’
l’adattamento dei piatti al luogo dove sei. Questo succede anche in Italia
quasi sempre. Se andate in un ristorante giapponese spesso il cibo viene un
po’ adattato a quelli che sono i gusti italiani, cosi’ come al cinese o al
messicano.
Ho
visto spesso i miei colleghi di lavoro indiani appena usciti da un ristorante
indiano a Milano definire il cibo con una parola: “Light”.
Sti
cazzi !! Per me era tremendo!
Ma
torniamo alla cipolla.
Non
la amo moltissimo, soprattutto cruda. Quando in Messico chiedi “Por favor,
poca cebolla”, ti guardano in una maniera che non saprei neanche definire,
anzi un modo ce l’ho per definire quello sguardo e ve lo racconto.
Tempo
fa lessi un racconto di un ragazzo che aveva piu’ o meno lo stesso ‘problema
cipolla’ da affrontare e lui defini’ in questa maniera lo sbigottimento
creato da tale assurda richiesta:
“In
Messico quando chiedi di togliere la cipolla dal cibo ti guardano con la stessa
faccia che farei io se scoprissi che sotto il passamontagna di Marcos si
nascondesse Platinette”.
Ecco,
l’espressione e’ proprio quella li’.
08
Gennaio: Tappa
di avvicinamento a Cancun o meglio al suo aeroporto visto che il 10 abbiamo il
volo interno verso Citta’ del Messico e poi quello di ritorno in Italia.
Prendiamo
un minivan che per 35 Pesos ci porta a Playa del Carmen dove troviamo un
bellissimo alloggio al Hul-Ku (500 Pesos) in Avenida 20.
Potevamo
anche restare a Tulum ma sono curioso di far conoscere alla mia dolce meta’
Playa .
Sono
in particolare curioso di farle vedere, alla fine di questo percorso itinerante,
anche tutto cio’ che non e’ Messico o meglio tutto cio’ che il Messico
e’ diventato ad uso e consumo del solo turismo degli happy hour .
Alcune
volte mi capita di scrivere diari di viaggio dopo mesi raccogliendo nella mia
testa idee e impressioni di un luogo a distanza di tempo. Mi appoggio
semplicemente ai ricordi e a degli appunti scarabocchiati velocemente su
un’agenda al momento del viaggio guardando il tutto dall’esterno, quasi come
un estraneo, quasi come se qualcun altro avesse visto quei luoghi con i miei
occhi.
Questa volta ho deciso di non lasciar passare troppo tempo,
forse per non far affievolire troppo il ricordo di un mondo che ho sempre
considerato come una specie di seconda casa, un posto dal quale sono sempre
tornato colmo di ricordi meravigliosi: il Messico.
Il senso che ho sempre attribuito ad ogni viaggio risiede
principalmente nel contatto, per quanto superficiale, con altre culture e che
considero un momento di crescita personale.
E’ proprio per questo che spesso faccio cosi’ fatica a
capire chi si isola in un luogo e, senza mai mettere il naso fuori, dice di aver
visto un paese.
Non e’ solo questioni di villaggi, questi possono essere
utili per rilassarsi e farsi una vacanza … appunto, una vacanza, ma non un
viaggio. Lo stesso vale per chi si rinchiude in citta’ completamente edificate
su misura del turista e trova in questo la massima espressione della bellezza
del luogo; un esempio ?? Playa del Carmen; insomma e’ come venire in Italia,
fermarsi a Riccione e dire di aver visto l’Italia.
Ma cosa conosci di quel paese ?? L’aperitivo la sera ? Il
bar alla moda ? La spiaggia attrezzata ? Lo struscio sul viale principale ?
Conosci solo l’immagine che quella citta’ vuol dare di se’ e questa si
adatta camaleonticamente secondo le esigenze di chi si ferma, senza far
trapelare nulla di cio’ che un tempo era.
Questo non vuol assolutamente dire che esiste un solo modo di
viaggiare e di conoscere, perche’ entrambe queste parole racchiudono un
significato ben piu’ ampio, ma almeno … mettete il naso fuori dalla gabbia
!!
“Un
giorno le scimmie dello zoo decisero di fare
un viaggio d’istruzione. Cammina, cammina, si
fermarono e una domandò:
- Cosa si vede?
- La gabbia del leone, la vasca delle foche e la casa
della giraffa.
- Come è grande il mondo, e come è istruttivo
viaggiare.
Ripresero il cammino e si fermarono soltanto a
mezzogiorno.
- Cosa si vede adesso?
- La casa della giraffa, la vasca delle foche e la gabbia
del leone.
- Come è strano il mondo e come è istruttivo viaggiare.
Si rimisero in viaggio e si fermarono solo al tramonto
del sole.
- Che c’è da vedere?
- La gabbia del leone, la casa della giraffa e la vasca
delle foche.
- Come è noioso il mondo: si vedono sempre le stesse
cose. E viaggiare non serve proprio a niente.
Per forza: viaggiavano, viaggiavano, ma non erano
uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo
come i cavalli di una giostra.”
Tratto da ‘Favole al telefono’ di Gianni Rodari
09 Gennaio: Incredibile!
Il solo bus ADO per Chichén Itzá costa di piu’ che fare un’escursione
organizzata con tanto di guida nel sito, pranzo e visita di Valladolid (470
Pesos il bus contro 450 Pesos il tour). Qualcosa mi dice che c’e’ sotto un
qualche tipo di accordo visto che quella cifra l’ abbiamo pagata per tratti in
autobus lunghi ben piu’ del doppio.
Decidiamo ovviamente per il tour tanto in questa giornata di
pioggia (ma che novita’ !!!) di mare non se ne parla; e il maltempo non e’
neanche l’unica nota negativa di questo inizio di giornata visto che
stamattina una colica renale mi ha fatto penare parecchio.
Di Chichén Itzá si puo’ dire di tutto, iperturistico,
inflazionato, ipersfruttato, quello che si vuole ma resta il sito di maggior
interesse e probabilmente il piu’ affascinante di tutto lo Yucatan.
Citta’ Maya e poi Toltecha e’ indubbiamente un luogo che
fonde culture diverse, dalla piramide “El Castillo” fino agli spettacolari
campi di gioco con la pelota, dal caracol a forma di osservatorio astronomico ai
numerosi bassorilievi intrisi del dualismo tipico di queste religioni: morte e
rinascita.
Tutto qui sembra avere un senso, forse solo perche’ e’
uno dei luoghi meglio conservati, o forse per l’armonia delle sue costruzioni
e per la grande attenzione dedicata alla sua disposizione rispetto agli eventi
celesti e al calendario. Una perfetta sintonia tra pietra e natura, tra
inclinazione e suono, dove gli echi si ripetono all’ infinito.
Ogni cosa sembra studiata nel dettaglio, come il numero di
gradini della piramide, che coincide con il numero di giorni dell’anno o come
l’eco creato dal battito di mani sulla sua sommita’, che sembra il verso
dell’uccello sacro Quetzalcoatl o come l’ombra del serpente che scende dai
gradini ad ogni equinozio, che sembra sprofondare nella terra.
Ogni costruzione ha una sua collocazione, probabilmente un
millimetro piu’ in la’ avrebbe stonato, sarebbe sembrata cosi’ fuori
posto.
Ogni pietra sembra viva, ogni raffigurazione determina il significato di tutto cio’ che gli sta attorno, ogni cosa qui sembra in continuo movimento.
Andrea