Messico
Diario di viaggio 1996
1/2
Agosto – Roma – Madrid – Miami – Cancun – Mexico
3
Agosto – Mexico: visita al museo antropologico
4
Agosto – Mexico: Teotiuhacan
5
Agosto – Oaxaca
6
Agosto – Oaxaca e dintorni
7
Agosto – Oaxaca: Montalban
8
Agosto – San Cristobal
9
Agosto – San Cristobal: Gita a Chamula e Zinancantan
10
Agosto – San Cristobal – Canyon Sumidero – Palenque
11
Agosto – Palenque: sito archeologico
12
Agosto – Gita nella Jungla
13
Agosto – Gita nella Jungla
14
Agosto – Ritorno a San Cristobal
15
Agosto – Chichicastenango
16
Agosto – Lago Atitlan
17
Agosto – Lago Atitlan: gita a cavallo
18
Agosto – Lago Atitlan: gita al
vulcano San Pedro
19
Agosto – Antigua
20
Agosto – Tikal
21
Agosto – Belize
22
Agosto – Tulum
23
Agosto – Tulum
24
Agosto – Tulum: Gita alla spiaggia di Xca-cel
25
- 30 Agosto – Da Tulum a Roma (sigh!) via Chichen-Itza e Merida
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1/2
Agosto 1996 – Roma – Madrid – Miami – Cancun - Mexico
All’arrivo
a Città del Messico avevamo alle
spalle oltre alle numerosissime ore di volo, i diversi scali aerei, l’attesa
all’aeroporto di Fiumicino, una notte a Miami e alcuni attimi di panico e di
paura di essere stati truffati dall’agenzia e di non poter partire più.
Già,
perché appena arrivati Fiumicino
abbiamo scoperto che non risultavamo sull’aereo delle 8a.m. per Madrid, bensì,
come abbiamo poi (ma poi!) scoperto, su quello delle 12.40.
Sapete
cosa significa stare sei ore all’aeroporto di Fiumicino di cui quattro in
attesa per fare il check-in, quando c’è sciopero dei ristoratori e ti sei
svegliato alle 5 e mezza di mattina ed il tuo letto si trova a soli trenta
minuti di distanza?
Potevo
tornare a casa, lo so, ma ormai mi sentivo lanciata in una sola direzione, e poi
non avevo neanche più le mie chiavi di casa (prestate); avrei dovuto svegliare
mio fratello Michele, presentarmi con la cugina Raffaella e tre sconosciuti a
cui dare un giaciglio e sentirmi dire la solita frase fatta: “i soliti
idioti”.
Quindi
ho pensato che in fin dei conti l’aeroporto non era così male; dunque ho
tentato di dormire su quelle panche dure cercando di recuperare almeno un po' di
sonno perduto la notte a causa della alzataccia, che poi è risultata essere la
prima di tante, tante altre.
Oltretutto,
nonostante le rassicurazioni telefoniche della nostra agenzia di viaggio, che
abbiamo tartassato di telefonate, la preoccupazioni per le tratte aeree
successive (non poche) era tanta ed il collegamento telefonico è cessato solo
quando tutti i nostri nomi (i nostri non c’erano neanche sul tratto di volo
immediatamente successivo Madrid-Miami!)
sono stati confermati, perlomeno all’andata, per il ritorno pazienza, ci si
penserà dopo!
A
Miami abbiamo dormito all’Holiday Inn, uno dei peggiori alberghi di tutto il
viaggio, e la mattina di buonora (e sono due!) ci siamo imbarcati per la tratta Miami-Cancun-Mèxico.
A
Cancun siamo stati costretti a cambiare aereo, per quanto anche il nostro andava
a Mèxico ma non c’era posto per noi (dannata agenzia!).
Il
bagaglio, però, l’avevamo spedito direttamente a destinazione finale, eppure
lo vediamo lì, in bella mostra che ci passa sotto gli occhi, sulla passerella
mobile. Lo recuperiamo, ma non è tutto.
“Il
resto lo troverete certamente a Città del Messico” ci rassicurano, ma io
continuo a temere di non vedere mai più il mio zaino.
Poi
ci fanno uscire dall’aeroporto, alzare un piede, mettere un dito in testa,
chiudere gli occhi, fare una giravolta, percorrere un tunnel, fare tre giri su
se stessi, rifare il check-in, passare per la zona A1 dove poi siamo passati
senza renderci conto, fare tre salti, attendere un omino per un quarto d’ora
che poi ci viene incontro e se ne va senza neanche degnarci di uno sguardo, e
infine tornare al gate d’inizio.
Tutto
ciò con l’aereo che credevamo in partenza: “Ha detto di andare di qua! No,
di là! Dov’è sparito! Eccolo!”. Infine correndo e temendo di aver perso
l’aereo arriviamo al gate che invece non è ancora aperto, c’è un po’ di
ritardo! E allora si!!! sono proprio in Messico! ora ne ho la certezza!
Infine
il quarto decollo. Comincio a farmi un’opinione circa l’abilità dei piloti
nei decolli, negli atterraggi e nella stabilità in volo. All’atterraggio
tutti battono le mani.
Dall’altoparlante
si sente: “Qui è il comandante Marcos che vi parla”. Ho avuto un fremito.
Infine
sul volo Cancun-Mexico l’aereo era semivuoto ed ho simpatizzato con i ragazzi
della cabina di pilotaggio e con gli steward che per darmi il benvenuto in
Messico mi hanno offerto una e poi due tequilas che mi hanno, infine, dopo tante
fatiche, steso.
Considerando
poi anche il fuso orario di 7 ore sono totalmente ‘fuori’.
All’aeroporto
di Mexico
abbiamo cambiato i dollari a 7.45, il cambio più alto di tutto il viaggio
(sembra che poi il dollaro sia sceso). Ne ho cambiati
280 che mi sono bastati fino a San Cristobal, ovvero per quasi una
settimana.
Dall’aeroporto
alla città ci sarebbe la metropolitana che costa, abbiamo poi visto, in
generale, 1 o 2 pesos (1 pesos=200£) a
seconda della lunghezza del percorso ma, data la stanchezza e gli zaini pesanti,
prenderemo un taxi che ci caricherà tutti e cinque fino allo zòcalo di Città
del Messico.
Miguel,
amico messicano, ci ha poi informati che i taxi verdi costano un po' di più
perché sono ecologici. Dallo zòcalo andiamo a piedi all’albergo che Paolo,
il sesto componente del gruppo che ci aspettava già a Città del Messico, ci ha
prenotato: Hotel Avenida, Via Lazaro Cardenas. Costa 65 p la doppia, 110 la
tripla, 120 la quadrupla.
Si
trova vicino alla torre Latinoamericana, sulla quale, ahimè, non sono salita
perché una sera era troppo tardi (chiude alle 10,30 - l’entrata costa 18
pesos) e poi non c’è stato più il modo ne l’occasione.
In
albergo giusto il tempo di lasciare gli zaini (sono ormai le tre del pomeriggio,
circa) e poi via ci siamo subito lanciati nella città, allo zòcalo, al Palazzo
Nazionale dove abbiamo visto i murales di Rivera - non perdeteli - e poi a zonzo
sulla piazza, tra le bancarelle, i primi acquisti, le rovine del Templo Mayor
accanto al Palazzo Nazionale, i banchetti degli zapatisti ed alcuni
manifestanti.
Alcune
danze per i turisti, molti dei quali sono messicani, con indios in costumi di
pelle di cuoio e degli slip a rigoni che si intravedono sotto i gonnellini.
D’altronde che non possono portare le mutande come tutti gli altri!?
Personaggi
affascinanti, balli e danze, tamburi ed altri strani strumenti assordanti,
pentoloni di mais bollito che vendono come una zuppa da mangiare in grossi
bicchieroni di plastica; venditori di tortilla con salsa di frijoles, cheso e
chili. (Il 30 di agosto, nuovamente a Città del Messico mi sono lasciata
sfuggire un: “Diciamolo chiaramente, le tortillas fanno davvero schifo!”)
Per
le telefonate urbane si paga 1 pesos, ma il nostro albergo ce le offre gratis,
come anche al Grand Hotel Ciudad de Mèxico dove, pur non avendoci mai visto
prima non ci hanno fatto pagare. Questo albergo è bellissimo, vi consiglio di
entrarci anche solo per un momento e sedervi al bar ad ascoltare i mariaches,
tanto per entrare nell’atmosfera. Si trova praticamente quasi sullo zòcalo,
appena girato l’angolo (verso l’hotel Avenida). Le telefonate internazionali
si possono fare da qualsiasi telefono pubblico con la collect call (09) oppure utilizzando una targheta telefonica da acquistare nelle edicole, da 20 o da 50
pesos. Io con quella da 20 p sono riuscita a svegliare mia madre alle due di
notte e assicurarle che stavo benissimo. Ho calcolato male il fuso orario “Ora
è mattina, mi hanno detto” e invece di aggiungere 7 ore le ho (hanno) tolte.
Scusa.
A
cena siamo andati a Piazza Garibaldi dove i mariachis
suonano le serenate vestiti da mariachis
neri o bianchi, coi calzoni borchiati, i sombreri e le chitarre ed i violini.
Ogni gruppetto intona il suo canto da mariachi,
senza curarsi del fatto che ce ne è un altro a pochi metri, e tutta la piazza
diventa un lamentio di canzoni sdolcinate e ululati (certe stecche!). Lì
abbiamo cenato con 20 pesos a testa; c’è però, poco più giù, anche una
specie di mercato coperto con tanti ristorantini che abbiamo scoperto dopo.
Sembra buono. Miguel ci ha poi detto che ci siamo arrischiati in una zona peligrosa,
ma a me non è sembrato affatto.
Sabato
3 Agosto – Mexico: visita al
museo antropologico
Tanto
per cambiare ci siamo svegliati presto (alle 8) da un sonno ‘confuso dal
fuso’ e anche dall’impazienza di vedere. Davanti all’Hotel Avenida c’è
una fermata della metropolitana (Bellas Artes?), ma preferiamo fare due passi a
piedi ed attraversare il parco della Alameda Central di cui parla anche Cacucci,
che per alcuni (pochi – Raffaella ed io sostanzialmente) di noi è diventata
quasi una guida spirituale. Ma non troviamo nulla delle sue descrizioni e della
statua, della quale pure preguntiamo
ma senza avere alcuna risposta, solo visi e facce perplesse.
Complessivamente
a Città del Messico ci siamo mossi comodamente con la metro ed anche con gli
autobus che sono molto semplici da usare, ma in realtà non so spiegarvi
come, perché non avevamo cartine delle linee degli autobus, ma basta
chiedere e avrete sempre una risposta; alle volte anche più di una e
contrastanti, ma si arriva ovunque. Sugli autobus si paga direttamente
all’autista 1, 1.5 o 2 pesos, a seconda del tragitto. E’ meglio avere gli
spicci a portata di mano.
Infine
raggiungiamo il Polyforum Cultural Siqueiros dove si trova un enorme e
spettacolare murales dell’artista (entrata 5 pesos) - perché Siqueiros voleva
assassinare Trozsky? Entrate ed insistete per farvi accendere le luci. Insistete
ancora!!! Fa tutto un altro effetto.
Poi
s’è passeggiato per San Angel, al mercato. Ci sono diverse bancarelle, alcuni
parchi con esposizione di quadri. Bellino, ma non abbiamo preso nulla.
Verso
ora di pranzo siamo giunti al museo dove siamo stati fino alle 6 circa.
L’entrata costa 16 pesos (per fare le riprese si paga di più). Il guardaroba
impone di lasciare tutte le borse, gratis, al guardaroba ed in cambio vi danno
un enorme medaglione numerato che non saprete dove mettere perché non entra in
nessuna tasca.
Il
museo è aperto fino alle 19. Per una visita minimissima e velocissima
potrebbero bastare anche un paio d’ore, ma allora forse non ne vale quasi la
pena. Cercate di vederlo con calma e soprattutto con una guida altrimenti si
rischia di confondersi troppo con tutto il materiale che c’è!
Il
museo si trova nel bellissimo parco Bosque De Chapultepec dove è bello
passeggiare, ci sono diverse bancarelle. Davanti al museo degli acrobati volano
legati per i piedi ad un palo altissimo, in una specie di danza a suon di
tamburi.
A
cena siamo andati, guidati da Miguel, ad un ristorantino sulla piazza di
Coyoacan, dove c’è la casa di Cortes, ed abbiamo mangiato esclusivamente tacos
al pollo, al maiale, al formaggio. La piazza è molto bella e piena di gente e
di ragazzi che vendono cassette di musica, orecchini e
braccialetti. Un‘atmosfera ‘giovane e alternativa’.
Domenica
4 Agosto - Teotiuhacan
La
domenica non si paga nei musei e nei siti archeologici. Noi siamo andati a Teotiuhacan,
accompagnati da Miguel.
Abbiamo
preso un filobus (1 peso) sotto casa che porta al terminal oriente (?). Da lì i
bus partono ogni quarto d’ora e costano 16 pesos. Ci mette circa un’ora per
andare alle piramidi. In realtà al ritorno ne abbiamo pagati 9,5 e non ho
capito bene perché. Informatevi meglio al terminal se per caso esiste una
seconda compagnia di autobus più economica.
Per
visitare il sito siamo stati infine sei ore, una visita calma. Se proprio avete
ancora (ma perché) tantissima fretta potreste farcela in un paio d’ore,
limitandovi alle sole piramidi del sole e della luna. Andateci però molto
presto. Noi siamo arrivati alle undici, avendo preso il pullman delle dieci, e
già c’era parecchia gente. Più che altro si crea una fila per salire sulle
piramidi che dato il caldo e la fatica non facilita certo le cose. Portatevi
cappello, crema solare protettiva e acqua. Andate a visitare anche la Cittadella
poiché dietro la prima piramide che appare ce n’è un’altra, nascosta,
interessante da vedere perché ha le sculture del Dio dell’Acqua Tlaloc e di
Quetzacoatl, che è il Dio principale, il Serpente Piumato. Infine il museo.
In
cima alla piramide del sole si tendono le mani al cielo per cinque minuti, per
chiedere al Dio del Sole, alle dodici in punto, di darti l’energia necessaria
per tutto l’anno. In particolare il 21 di marzo che è il giorno in cui i
raggi del sole sono diretti, tutti si riuniscono a mezzogiorno per attendere
l’energia potente del Dio del Sole. Pare che parecchia gente si senta poi male
e la Croce Rossa è pronta ad intervenire.
Alla
base delle piramidi sei assalito dai venditori dei coltelli di oxidiana, la
pietra usata per i sacrifici, “per la suocera” come dicono loro.
Gli
autobus per tornare sono fino alle 8,30/9,00/10,30. Ci sono pareri discordi. Ci
siamo fermati a mangiare al paese vicino, non è niente di particolare ma
carino.
5
Agosto – Oaxaca
Abbiamo
preso il pullman di prima classe per Oaxaca.
Dall’albergo
siamo usciti alle sei di mattina (ancora!) per prendere la metropolitana per San
Lazaro (cambiare ad Agua Caliente) e di lì raggiungere la stazione dei bus, che
non è la stessa di ieri.
Alle
6,40 eravamo al pullman, abbiamo fatto il check-in bagagli un quarto d’ora
prima della partenza e cinque minuti prima siamo saliti e poi partiti.
Lascio
Città del Messico col rimpianto di non aver visitato le cantine descritte dal
mitico Cacucci, dove si beve la tequila e si mangiano le botanas. Col rimpianto di non aver visto tutti i murales esistenti
di Rivera e Siquerios (all’Università ed al palazzo delle Belle Arti, pure
vicino all’albergo), di non essere salita sulla torre Latinoamericana e di non
aver fatto la gita a Tula.........................continuo?
Come
uscite dalla stazione dei pullman di Oaxaca
andate verso sinistra finché non incrocerete un viale grande dove passano gli
autobus (1 pesos) che portano verso il centro (direzione sinistra, ancora).
Soprattutto sulla via 20 Novembre si trovano numerosissimi alberghi ed anche
nelle strade circostanti. Il nostro è il Pasaye, su via ..... che è abbastanza
carino, camere con bagno (senza porta) e costa 60/70/90 pesos la
singola/doppia/tripla.
Nel
pomeriggio abbiamo visitato i mercati coperti, tutti vicinissimi all’albergo;
al mercato dell’artigianato ci sono stati i primi segnali di acquisto
irrefrenabile di magliette e camicie e vestiti molto belli, bianchi e ricamati.
Per
il resto: tutine colorate, tappeti eccetera sono cose che troverete anche
altrove.
Il
secondo mercato è quello alimentare, sempre molto affascinante con banchi e
banchetti dove vendono il mole (20 pesos il chilo), la cioccolata, frutta e
verdura, cheso, chiapulines rosse di chili che vendono le vecchine in porzioni da 1,
2 o 3 pesos, secondo la grandezza della tazzina con la quale le prendono, come
un cucchiaio, dalla cesta. Se non siete del tutto impressionabili provate ad
assaggiarle (sono cavallette), ma non aspettatevi niente di che, sono amare e
non sanno di cavalletta (?). L’ho ingoiata ad occhi chiusi, senza guardare.
Infine il mercato dei ristorantini, con banconi con sgabelli e di mattonelle, ma
non arrischiatevi a mangiare lì, ne avrete a nausea una volta individuata la
fogna a cielo aperto che vi scorre, ma è molto divertente girarvi e guardare le
famiglie messicane che pranzano e scattargli qualche foto.
Loro,
ma in genere solo gli uomini, sono contentissimi e si mettono in posa, per poi
chiederti di spedirgli la foto e ti lasciano il loro indirizzo. Le donne invece
sono sempre più timide e timorose di quel che uno scatto può portarle via, ma
non mancano di chiederti qualche pesos per farsi fotografare, soprattutto nei
mercati e nei piccoli villaggi che abbiamo incontrato anche in seguito.
Talvolta
non resisti e ti lasci corrompere da questo meccanismo, tanto che sono arrivata
a pagare una foto ben 10 pesos. In particolare poi al mercato di San Cristobal
morivo dal desiderio di fotografare una venditrice di galline, che esponeva la
sua mercanzia (viva e scorrazzante) su di una pedana in legno, tutta seria (lei,
non le galline) con le figlie. Ho
pagato, dopo una lunga contrattazione, cinque pesos per scattare la foto, ma
come ci siamo messe d’accordo lei si è alzata dal suo seggiolino e se ne è
andata. Io ho protestato e lei ridendo si è negata, dicendomi che potevo
certamente fotografare le galline, ma non lei. Infine ho chiesto a Micol di fare
a me la foto sul banco delle galline, con le galline, in mancanza di altre
persone. Poi sono riuscita a convincere la vicina della venditrice di galline,
che ridacchiando è venuta vicino a me a posare per la foto e poi è venuta
anche la figlia della signora delle galline, con in braccio la sorellina piccola
che è scoppiata a piangere ed urlare. “Un momento solo! Fatto! Grazie”.
“Cinque pesos”. Che tragedia!
Ad
Oaxaca invece mi sono divertita a fotografare lo scrivano, un vecchietto che si
trova appena dentro questo mercato, con un tavolo di legno ed una vecchia
macchina da scrivere, contentissimo anche lui di essere fotografato, ed il suo
indirizzo ce l’ha voluto battere a macchina. Ci ha chiesto se in Italia ci
sono gli scrivani. “Qualcosa di simile” gli abbiamo risposto.
Lo
zòcalo di Oaxaca
è splendido, davanti alla cattedrale tantissimi bambini che giocano coi
palloncini colorati, non mancate di prendervi una cerveza
nei baretti sotto i portici e di passeggiare poi attraverso la bellissima via
............................, ricca di bellissimi
negozi di giocattoli, di gioielli e di vestiti e venditori ambulanti, fino alla
Chiesa di Santo Domingo. Oltre la chiesa c’è un piccolo mercatino.
Per
la serata concedetevi, senza riserva alcuna, una cena ad uno dei ristoranti
sullo zòcalo. Al ristorante d’angolo davanti alla Cattedrale abbiamo mangiato
un superbo pollo al mole; l’ambiente è raffinato e per mangiare questa
prelibata specialità della cucina messicana, che si compone di una coscia o un
petto di pollo, a scelta, da specificare, in questa salsa marrone a base di
cioccolata, ci hanno equipaggiato di un grosso bavaglio bianco. Considerando
anche il bere abbiamo speso 50 pesos a testa (10mila £!).
Dopo
cena abbiamo raggiunto la Chiesa di Nostra Signora della Soledad e stavolta il
mito di Cacucci non ci ha tradito. Si trova in una bellissima piazza e data
l’ora (le 11 di sera) vi era un’atmosfera particolarmente suggestiva, mentre
i chioschi dei gelati sulla piazza si dilungavano stancamente nelle operazioni
di chiusura. La chiesa chiude invece alle otto.
Nel
pomeriggio abbiamo ingaggiato un tassista per portarci domani a Mitla. Il prezzo
ufficiale del taxi è di 50 pesos l’ora. Per andare a Mitla ce ne ha chiesti
100. Abbiamo contrattato ed infine stabilito per 80 pesos.
6
Agosto – Oaxaca e dintorni
La
mattina, però, all’albergo si è presentato un altro taxista, che era
d’accordo col primo ma quando ci visto in sei (e sette con lui, ma l’amico
lo sapeva) ci ha chiesto nuovamente non meno di 100 pesos.
Non abbiamo accettato, dati gli accordi preesistenti, e siamo andati a
prendere l’autobus dal terminal di seconda, raggiungibile a piedi, che costa
4.50 pesos a testa. Sono le 9.30. Questo servizio di autobus dispone di vetture
alquanto sgangherate ma è estremamente efficiente, poiché ne partono
continuamente; è come un servizio di autobus locale urbano.
Ci
sarebbero anche quelli di prima classe ma non ci siamo informati. Inoltre è
estremamente divertente per via dei numerosissimi personaggi che salgono e
scendono dal pullman.
A
Mitla per raggiungere il sito
archeologico dalla fermata del pullman bisogna attraversare il paese, ovvero una
stradina assolata con basse casette colorate rosse, blu, bianche, tappeti
esposti, giacche e cappelli. Ma è deserta (è presto?).
I
venditori di Mezcal, il famoso alcolico della zona, ti offrono un assaggio delle
diverse qualità, quello col verme e gli altri. Volendo acquistarne una
bottiglia li ho assaggiati quasi tutti: uno all’andata e due al ritorno (12
pesos al litro!). Te li offrono in un piccolo bicchierino con anche un piattino
col sale rosso di chili e spicchi di limone.
Dopo
aver visitato i resti dell’antico palazzo circondato da splendidi cactus, il
mercatino dell’artigianato con tantissimi di quei famosi animaletti con la
testa che si muove, la chiesa di San............... siamo tornati alla fermata del bus per raggiungere Yagul.
Il bus per Yagul si ferma però al bivio e da lì, a piedi, sotto il sole, in
salita, si raggiunge il sito.
Lungo
questa strada c’è un grande ristorante in mezzo al prato, dove abbiamo fatto
una sosta. Lì ho avuto le prime avvisaglie della maledizione di Montezuma (vedi
i tre Mezcal che ho bevuto!) che poi si è scatenata con effetti devastanti
proprio sul sito archeologico nel quale, per fortuna, i turisti non erano
tantissimi perché è meno conosciuto ed ho potuto trovare un anfratto, tra
l’altro zeppo di ortiche, nel quale............
Nonostante
questa mia inquietante esperienza personale il sito l’ho trovato stupendo,
ancora in lavorazione, con gran daffare, sotto il sole, di omini con pale e
scalpelli nel tentativo di portare alla luce tutto quel (che è ancora la gran
parte) che si trova ancora ricoperto dalla vegetazione.
Salendo
per un sentiero si arriva poi in cima ad una roccia da dove si gode di una vista
e di un panorama sulle montagne circostanti davvero bellissimo e verdissimo.
Una
simpaticissima famiglia messicana che viaggia con un pulmino ci dà poi un
passaggio al bivio, nuovamente.
Di
lì riprendiamo l’autobus che ci porta la sito di Lambiteco, sempre lungo la
strada per tornare ad Oaxaca. L’autobus costa 1, 2 o al massimo 3 pesos per
tratta.
A
Lambiteco eravamo i soli turisti,
oltre al custode ed al suo simpatico cane, molto affettuoso e festaiolo, un po'
lercio però. L’entrata costa 7 pesos e non c’è moltissimo da vedere,
praticamente solo le tombe che però sono ancora a scavi aperti e non si può
andare a vederle. Ma, avendo noi simpatizzato col custode e soprattutto col
cane, egli ci ha concesso di accompagnarci personalmente a sbirciare, seppure
dall’alto, e si intravedono dei magnifici bassorilievi con le teste degli Dei.
Nuovamente
abbiamo ripreso l’autobus che, ripeto, passa in continuazione ed è pieno di
suggestivi personaggi messicani del posto: donnine che trasportano grandi ceste
e con i figli appesi e infagottati sulla schiena avvolti in questi teli rossi;
vecchi e giovani uomini con grandi cappelli.
Al
bivio per Titlan della Valle siamo
nuovamente scesi (tutti tratti da 10 minuti). Da lì un servizio di taxi, per 2
pesos, porta al paese, distante qualche chilometro (3 o 4 Km?), costituito
esclusivamente da botteghe di bellissimi tappeti che purtroppo non ho acquistato
per via del peso eccessivo che avrebbe avuto il mio zaino.
Dopo
una mezz’ora abbiamo ripreso il taxi per tornare al bivio dove abbiamo
rincontrato la famigliola messicana che ci ha riportati ad Oaxaca, con sosta
all’albero di 2.000 anni e di 50 metri di circonferenza, che merita una visita
per la sua magnificenza.
Non
ci sono mancate le forze per tornare alla Nostra Senora della Soledad, per
entrarvi (ma di sera l’atmosfera è più suggestiva!) e quindi siamo tornati a
cenare sullo zòcalo, in uno di quei ristorantini sotto i portici.
La
cena sembra buona ma io, dopo la trascorsa penosa esperienza del pomeriggio,
preferisco mantenermi a riso in bianco destando la preoccupazione del cameriere
sul mio stato di salute. Sembra realmente dispiaciuto!
Anche
la famigliola messicana è passata a porgerci un saluto e si è aggregata al
nostro tavolo. Lui è un professore di geologia sui 45 anni che parla italiano
poiché è stato in Italia più volte, la moglie non lavora, non parla italiano
ed è molto timida, si occupa solamente dei due figli di 10 e di 3 anni circa.
Se un messicano si siede al tuo tavolo è chiaro che devi pagargli la
consumazione, poiché per loro è una spesa consistente, per noi è niente. Loro
sono stati estremamente carini e hanno voluto ordinare solamente un paio di
dolci per i bimbi e poi sono scappati via con la scusa che avevano la macchina
al parcheggio orario.
Il
cameriere continua a preoccuparsi del mio caso quando io, in realtà, sto
benissimo e semplicemente ho voluto precauzionarmi da altri incidenti sì
fastidiosi ed imbarazzanti. Inoltre insiste affinché io attenda la chiusura del
ristorante per andare insieme a berci una tequila in qualche cantina. L’idea
mi alletta, per quanto il pensiero mi torna nuovamente a questo pomeriggio; ma
è da Città del Messico che desidero andare ad una cantina di sera; purtroppo
nessuno mi appoggia e certo da sola con costui non mi arrischio di andare. Ci
propone allora di accompagnarci domani a Montalban con la macchina di un suo
amico; ma il personaggio è particolarmente invadente e preferiamo gentilmente
rifiutare l’offerta. Insiste allora per avere un appuntamento per domattina al
pullman per andare tutti insieme (!).
Al
terminal di prima, nel pomeriggio, abbiamo prenotato il pullman di lusso per San
Cristobal per domani sera alle 20,00 (146 pesos). Ci sarebbe anche quello delle
19,30 di prima classe (126 pesos) ma temiamo sia troppo presto e comunque, poiché
dobbiamo passarci la notte, andiamo sul sicuro, con un viaggio un po' più
comodo.
Il
pullman di lusso ha, come quello di prima, l’aria condizionata ed il bagno; in
più si può aggiungere che è più pulito ma quel che fa la differenza è
certamente la proiezione di un simpatico film, che comincia alla partenza del
bus, a luci spente, e che certamente concilia il sonno.
7
Agosto 1996 - Montalban
A
pochi isolati dall’albergo, davanti all’Hotel de L’Angel, si prende il
pullman per Montalban (1 pesos). Il
pulmino, di seconda classe, dopo aver percorso alcuni tornanti, ci abbandona in
un piazzaletto sterrato in mezzo alle montagne dove si trova una fantomatica
stazione dei pullman, con nient’altro che un baretto diroccato.
Per
raggiungere Montalban, ci avvertono, possiamo continuare a piedi per tre quarti
d’ora sulla strada oppure in mezz’ora attraverso i monti. Sguardi perplessi.
Infine
s’è capito che sarebbe passato un altro autobus (e così è stato, altri 2
pesos) che porta direttamente al sito archeologico (altri 10 minuti di bus).
Certo
esistono altri modi più confortevoli per raggiungere Montalban, non ultimo il
taxi che costa 30 pesos totali, ma non è la stessa cosa.
A
Montalban siamo arrivati infine alle 10.30, e la visita -museo compreso- è
durata fino alle 13.
Anche
qui lasciatevi guidare da un esperto, cosa che continuo a consigliare ma che non
ho mai fatto poiché non ho trovato consenso da quasi tutti gli altri componenti
del mio gruppo che stanno un po’ sulle spese, per cui ho usato aggregarmi ad
altri gruppi di italiani però sempre numerosissimi e quindi piuttosto
dispersivi.
Quel
che più mi piace è il gioco della pelota. E’ incredibile pensare come
potessero realmente giocare a questa specie di calcio usando solamente i gomiti
ed i fianchi, tentando di fare punto nel cerchio avversario. La squadra vincente
viene sacrificata, ma la guida di Palenque ci ha poi corretto: “Ti pare che
quelli giocano per vincere per poi farsi ammazzare? E’ la squadra che perde
che viene sacrificata!”. Fatto sta che sulle pietra che circonda il campo sono
scolpite scene di sacrificio con gocce di sangue e uomini vestiti da giocatori
di pelota.
Il
sito è attrezzato di un piacevole bar ristorante con vista panoramica dove
abbiamo fatto uno spuntino a base di mollettes,
delle specie di bruschette con fagioli e cheso.
Gi
autobus per tornare sono ogni ora, fino alle 5. Noi lo prendiamo alle 2, quello
‘più bello’ che costa 5 pesos e che porta direttamente a Oaxaca.
Lungo
la strada del ritorno che porta al fantomatico parcheggio vedo alcuni turisti
che se la fanno a piedi. Mi rincuora sapere che non siamo stati gli unici a
sbagliare autobus. Ad Oaxaca siamo tornati alla chiesa di Santo Domingo vicino
alla quale si trova il museo che contiene gli splendidi tesori della famosa
tomba 104 di Montalban (entrata 14 pesos).
A
proposito, a Montalban non mancate di andarla a visitare, si scende una scaletta
e si arriva in un cunicolo buio ed un omino con uno specchio riflette i raggi
del sole proveniente dall’alto sui punti di maggiore interesse e spiega.
Nessuna
delle altre tombe indicate sulle guide è all’altezza di questa in quanto non
è possibile entrarvi ma solamente si può vederle dall’esterno; quindi a meno
che non abbiate particolare interesse, evitate di stressarvi a cercarle, tanto
più che sono un poco più isolate e purtroppo paiono utilizzate più come
gabinetti che come luoghi di visita archeologica.
8
Agosto – San Cristobal
Di
prima mattina, alle sette, dopo aver viaggiato tutta la notte, siamo arrivati a San
Cristobal.
La
nottata in pullman per me è stata dura, perché davvero non riesco a dormire
seduta, per quanto le poltrone siano reclinabili e comode. Il pullman ha fatto
una sola fermata intermedia, un paio d’ore prima dell’arrivo.
La
strada questa notte mi è parsa un poco dissestata, con questi topes
y vibratores che fanno rallentare continuamente; ma è difficile da
valutare, perché i vetri sono coperti da robuste tende nere e non si vede
nulla. Non prendete i posti troppo in fondo sul pullman altrimenti sarete
disturbati continuamente dal via vai e dalla luce del bagno.
Dalla
stazione dei pullman lo zòcalo è certamente raggiungibile a piedi, come si
esce a destra e sempre dritto per circa cinque quadri.
C’è
la corsa agli alberghi. Lungo la via che porta verso lo zòcalo ce ne sono diversi ed il nostro credo che sia tra i più
economici (Hotel Capri?). Altri che
abbiamo visto erano più cari oppure pieni. Le stanze non le danno prima di
mezzogiorno, ma abbiamo lasciato i bagagli alla reception; non tornate però troppo tardi per prendere possesso
delle vostre stanze altrimenti potrebbero darle via.
Sullo
zòcalo c’è una banca; per cambiare
i travel dovete portare anche una
fotocopia del passaporto che potete fare in una delle ‘cartolerie’ sulla
piazza o sulle vie circostanti. Non mi serve molto finché non arriviamo in
Guatemala ed ho cambiato solo 50$, in compenso -non in banca ma in uno di questi
changes che ci sono in città-
abbiamo acquistato alcuni quetzales
guatemaltechi, per sicurezza, che sono risultati poi molto utili;
acquistateli però in pesos e non in dollari poiché loro comunque trasformano
il valore dai quetzales ai pesos e quindi ai dollari al cambio che, almeno per noi
oggi, è più svantaggioso.
Proseguendo
oltre lo zòcalo, sempre nella stessa
direzione, si arriva alla chiesa di Santo Domingo intorno alla quale c’è un
magnifico mercatino con delle giacche e quelle bluse a righe di diversi colori
che tutti, turisti e messicani, portano a San Cristobal. San Cristobal
oltretutto è fredda, piove e la notte ci congeliamo, pur avendo una coperta,
quindi questi acquisti sono utilissimi per ripararci dal freddo.
Dietro
la chiesa le donne, organizzate in una cooperativa, vendono tovaglie e
tovagliette ricamate e coloratissime, molto belle. E poi ancora braccialetti, cinturones,
cinte, animaletti vari, il pupazzo zapatista di ogni dimensione e cassette di
musica ai banchetti zapatisti.
Proseguendo
poi ancora oltre la chiesa, sempre nella stessa direzione, si arriva al mercato
alimentare, quello della foto alle galline, immerso nel fango che aumenta dopo
ogni scroscio di pioggia che viene accolta con totale indifferenza.
Ci
sono molti turisti ma l’atmosfera è assolutamente intatta.
Al
museo etnografico Na Bolom organizzano delle visite guidate al museo della
fondazione, l’ultima alle 4.30. Siamo arrivati dopo naturalmente. Si trova in
un bellissimo edificio coloniale dove questa coppia di inglesi archeologi e
antropologi (ormai deceduti entrambi) hanno messo su questa associazione, lui
per studiare le rovine di Palenque, lei per studiare la popolazione india dei
lacandones.
Ci
sono esposte delle bellissime fotografie degli indios che abitano tutta la zona,
la bellissima biblioteca è ricca di volumi, un caminetto, un salottino, un
computer. Cercano volontari (semestrali) che sappiano informatizzarla.
Poi
una bellissima sala per desinare, con un lunghissimo tavolo di legno, ed il
giardino botanico creato dalla signora ‘Na Bolom’. E’ tutto molto bello,
ma così bello che quasi non ti piace più, con queste ragazze dall’accento
americanissimo e qualche computer ed alcune ragazze e bambine albine della
popolazione lacandona che sembra quasi abitino lì da loro e che sono trattate
con eccessivo zelo. Troppo. Sembra un po' falso, come se ti volessero dire
‘Guarda come siamo bravi noi!’.
La
mattina successiva, prima di partire per la gita che poi vi dirò,
nell’attesa, non avendo fatto colazione prima, abbiamo chiesto se era
possibile mangiare qualcosa lì da loro. Ci hanno fatto accomodare nella
bellissima sala da pranzo, in una tavolata numerosissima, con lo staff messicano
e straniero che lavora sul posto, alcuni altri ospiti stabili, le ragazze e le
bambine albine lacandone. Deliziosi i tamales
di due tipi: gialli e verdi, i dolci ed il caffè. Tutto servito in piatti
comuni dai quali ti puoi servire a sazietà. All’atto di pagare ci hanno detto
che in occasione dell’anniversario di... (il signor Na Bolom?) la colazione
era offerta da loro. Splendido.
Il
Na Bolom funge anche da albergo, ma a prezzi molto alti, intorno ai 23$ è
scritto nella mia guida. Considerate che una doppia in una albergo medio alto
costa intorno ai 100 pesos, ovvero 20mila lire. Noi in genere ci teniamo un po'
più bassi, con alberghi da 30/40 pesos a testa, che possiamo considerare
semplicemente medi. La differenza è ridicola, ma siamo a risparmio soprattutto
sugli alberghi dove stiamo davvero così poco che ci è sufficiente un letto ed
un bagno pulito. Volendo ulteriormente risparmiare è possibile prendere delle
camere comuni senza bagno che costano ancora meno.
Ogni
giorno alle 10 dal Na Bolom parte un pulmino per Chamula (mezz’ora di
collettivo) e Zinancatan, con una guida del Na Bolom. Non è necessario
prenotare, solo andare un quarto d’ora prima. Costa 50 pesos a persona.
9
Agosto – Gita a Chamula e Zinancantan
Abbiamo
aderito alla gita, accompagnati da Pepe, la guida del na’Bolom.
Nella
chiesa scomunicata di Chamula - al
Papa dicono sia caduto l’ultimo capello che aveva quando si è reso conto,
durante la sua visita in Messico, di questa ed altre simili realtà - brucia
l’incenso, il pavimento è cosparso di aghi di pino, candele e ceri sono
accesi, uomini e donne cantano cantilene e sul pavimento si trovano dei galli
morti, sacrificati.
Per
terra, vicino ai ceri al fianco dei fedeli inginocchiati, si trovano alcune
bottigliette di coca cola, cerveza y
sprite; i fedeli bevono e ruttano, per estirpare il male. Godetevi Chamula,
andateci con calma.
Pepe
parla in inglese ed è bene che sia qui, perché ci dice quel che si può e quel
che non si può fare in questo villaggio. Quel che certamente non puoi fare è
scattare fotografie all’interno della chiesa, e solo con molta discrezione al
di fuori di essa, sempre ampie vedute, mai primi piani. Come scatti una foto
fuori dalla chiesa i bambini pretendono di essere pagati; se mai la scatti
dentro la chiesa come minimo l’invisibile ‘servizio d’ordine’ accorre a
prenderti di mano la macchina fotografica, aprirla e strapparne il rullino. Ho
assistito a questa scena ed ho visto la faccia impaurita della turista
messicana.
Poi
Pepe ci narra di alcuni turisti che, non volendo consegnare il rullino, sono
stati presi a bastonate o addirittura chiusi in carcere per una notte dove le
celle, ci dice, sono sporche e piene di vomito. Poco piacevole.
Sembra
che non si possa neanche scrivere ma io innocentemente l’ho fatto senza alcuna
conseguenza.
A
Chamula sei assalito dalle bambine che vendono i cinturones
ed i braccialetti; ‘dopo la chiesa’ ti dicono. Dopo la chiesa lo compri,
intendono, e ti ‘regalano’ un braccialetto, mai poi pretendono un pesos in
cambio. Te li mettono di nascosto nelle tasche e poi vengono a chiederti i soldi
‘Regalo! Regalo!’. Certo, certo. Non puoi resistere però a comprargli
qualche cosa.
Anche
a Chamula c’è un piccolo mercatino dove vendono giacchette di lana, cinturones
e braccialetti di tutte le misure. E poi basta sedersi sulla piazza e parlare
coi bambini che ti vengono intorno incuriositi e sempre ti chiedono qualche
pesos oppure una pluma. Io ne ho
regalate tante, ma sempre ti dispiace di lasciarne qualcuno a mani vuote che,
offesissimo, non ti rivolge più la parola e spegne quel bellissimo sorriso
divertito che aveva un attimo prima. Come si fa? Sono sempre più di quel che
potevi prevedere, dovresti comprare una intera cartoleria.
Piove
a dirotto e fa freddo, ci ripariamo nel bar sulla piazza, dunque riprendiamo il collettivo
con destinazione Zinancantan. Il mio posto sul pulmino è accanto al guidatore,
un ‘Pedro’; oltre a me, davanti ci sono anche Raffaella e Micol e stiamo
molto stretti. Pedro mi fa mettere le gambe a cavalcioni sul cambio, in modo da
lasciarlo libero: una da una parte ed una dall’altra. La strada è piena di topes ed in continuazione è necessario rallentare: prima, seconda,
prima, seconda. E’ imbarazzante.
Zinancantan
è bellissima, piena di colori; tra l’altro siamo capitati in un giorno di
festa ed il paese è particolarmente vivace. Si svolge una partita di basket sul
campo davanti alla chiesa ed il pubblico è numerosissimo. Gli uomini sposati
sono quelli col cappello, mentre quelli che cercano moglie portano una specie di
gran foulard sulle spalle.
Pepe
ci porta in visita in una casa, dalla signora Pasqual, la quale ha divorziato
dal marito perché lui era troppo pigro. Questa casa si compone di una stanza
abbastanza grande nella quale vivono due famiglie, 15 persone in totale. Non
c’è molto: due letti matrimoniali, uno per famiglia, una specie di piccolo
santuario con tante candele accese e foto di santi vari, una televisione.
Pasqual ci fa vedere come si tesse la tela e si lascia fotografare, infine ci
offrono del puch in un bicchiere
comune per tutti e ci salutiamo. Forse speravano che noi comprassimo qualcosa.
Anche
a Zinancantan si deve fotografare con discrezione. Nella chiesa adorna di fiori,
famosi a Zinancantan poiché li esportano fino a Mèxico, i sacerdoti eseguono
una cantilena, tenendosi a braccetto, in un semicerchio, accennando dei passetti
laterali, come in una danza, al suono di una chitarra e due violini. Alcune
donne pregano, ceri accesi, aghi di pino.
Fuori
della chiesa c’è una specie di sagra, con bancarelle, biliardini (la pelota)
e venditrici di mais bollito, noccioline, pop-corn, tamales. Abbiamo scattato qualche foto, ma sempre da lontano, sulla
folla, altrimenti è consigliabile chiedere il permesso. Dopo la partita di
basket è cominciata la gara per arrampicarsi sul palo che si trova al centro
della piazza davanti alla chiesa, e poi la gara di ciclismo intorno al paese.
L’arrivo dei corridori viene annunciato dalla sirena dell’auto della polizia
e la folla fa largo sulla strada per farli passare. Se indugi vieni severamente
sgridato.
Questo
paese, ci dice Pepe, è più ricco di Chamula. Inoltre le donne amano adornare i
capelli con dei nastri colorati, e lavarsi spesso, aggiunge. Invece gli uomini
di Chamula sono sporchi pigri e ubriaconi e le donne di Zinancantan non li
sopportano.
A
Chamula se una famiglia non partecipa regolarmente ai riti religiosi i sacerdoti
si insospettiscono e vanno a parlare col capofamiglia. Se questi insiste a non
partecipare, tutta la famiglia viene cacciata dal villaggio e la loro casa viene
bruciata. A San Cristobal infatti, dice Pepe, molti di quei bimbi che si vedono
per strada sono rifugiati di Chamula.
Tornati
a San Cristobal abbiamo vagato un po' per la città e prenotato il pullman per
domani per Palenque, l’ultimo delle 17.30 (39 pesos), in modo tale da poter
anche andare al fantastico Canyon Sumidero.
Alle
otto ci siamo invece accordati con un taxista per tornare a Zinancantan, per
vedere la festa di sera. Il taxista ci ha portati lì in circa quaranta minuti,
è stato con noi per un’ora esatta, come d’accordo, quindi siamo tornati. I
bambini mascherati saltano e ballano sulla piazza, davanti alla chiesa
inseguendo un altro bimbo che porta sulle spalle una struttura in legno che
raffigura un montone carico di fuochi di artificio che sparano in continuazione.
‘Es peligroso?’ chiedo al taxista.
‘Sì, es peligroso’. Nel cielo
lanciano razzi e fanno volare dei ‘globi’ infuocati. Nella chiesa i
sacerdoti, vestiti di nero, ballano a cantilenano al suono dei violini. La
chiesa è piena di queste strutture in legno con i fuochi di artificio che a
turno verranno sparati. Improvvisamente dalla cima della chiesa, su di una corda
tesa fino al palo in mezzo alla piazza, parte un mucchio di fuochi d’artificio
che scorre sul filo fino a raggiungere la base del palo sulla quale sono state
appostate montagne di altri fuochi e cominciano scoppiare tutti insieme.
Fantastico e inquietante.
Poi
abbiamo girato per i tavolini della sagra. Gli uomini bevono cerveza,
altri gli si avvicinano e intonano dei cori, con la chitarra, come una specie di
serenata tra gli uomini. Un giro di pelota (un pesos per cinque palle), anche il
taxista partecipa ma perde contro due donne, quindi il tempo è scaduto, ci ha esperato a sufficienza, non facciamo in tempo ad andare alla
discoteca di cui sentiamo la musica (disco effettivamente) in lontananza.
10
Agosto - Canyon
Sumidero e Palenque
Alle
8.30 di mattina, per stare tranquilli e non perdere poi il bus delle 17.30 che
abbiamo prenotato, abbiamo preso il pullman per Chapa de Corso dove siamo
arrivati alle 9.30.
Dal
bivio, con un collettivo (se lo trovate) o con un passaggio, si arriva al paese.
Dietro
alla piazza, a non più di 50 metri di distanza, c’è l’imbarcadero. Le lancie
partono appena si forma un gruppo di dodici persone e costa 40 pesos a
testa, intrattabili. La signorina che è a capo di questa losca organizzazione
è molto sicura del fatto suo e sicuramente fa soldi a palate.
Siamo
arrivati fin troppo presto, perché su tutte le guide è scritto di essere nel Canyon
Sumidero per mezzogiorno, quando i coccodrilli si appostano sulla spiaggia a
prendere qualche raggio di sole.
La
giornata è molto coperta, le nubi sono basse e non riusciamo, nel canyon, a
vedere, sulle nostre teste, dove finisce la terra e dove comincia il cielo.
Temiamo, quindi, di non poterne avvistare neanche uno, ma non ci diamo per
vinti.
Decidiamo
di perdere tempo per una mezz’ora al bar dove ci rifocilliamo con una
colazione messicana a base di huevos
revueltos y frijoles e di prendere la lancia alle dieci e mezza (il giro
dura un’ora e mezza).
Lungo
il tragitto si incrociano alcune altre lance con altri turisti a bordo, ci si
saluta da lontano. Il lancero si ferma
nei punti significativi ci indica e ci spiega, in spagnolo, di dove una intera
popolazione si è lanciata nel vuoto suicidandosi per sfuggire al dominio
spagnolo, di dove usano andare i coccodrilli a prendere il sole quando ce n’è
(ne vediamo uno piccolo, immobile, appostato su una roccia in evidente attesa
del calore), del martin pescatore, dei pellicani, dei corvi che mangiano
carogne, delle grotte piene di pipistrelli, delle cascate ‘velo di sposa’ e
‘albero di Natale’ dietro la quale passiamo con la lancia bagnandoci un
poco, ed il punto più alto: 1.200 metri.
Sulla
strada del ritorno siamo ripassati alla baia dei coccodrilli ed il lancero
ce ne indica uno. Cerchiamo di distinguerlo tra i tronchi finché non
riusciamo a vederlo, è enorme, metà in acqua e metà fuori, ma in un attimo,
come si accorge della nostra presenza, si immerge scomparendo nell’acqua
torbida. Come tempi tecnici è stato perfetto.
A
San Cristobal siamo tornati in tempo per pranzare e prendere il pullman per Palenque
dove siamo infine giunti verso le undici di sera, poiché l’autista ha fatto
una lunghissima sosta ad un ristorante lungo la strada. Credo sia stato
pienamente a sua discrezione.
Il
paese è piccolo e non ha attrattive particolari; il centro si trova, come si
esce dalla stazione dei pullman, verso destra. Abbiamo avuto qualche difficoltà
per trovare da dormire, è una corsa agli ultimi posti e ci siamo dovuti
arrangiare in uno stanzone a sei letti.
Ma
io sono felice perché i ragazzi dell’albergo hanno catturato un piccolo
coccodrillo che abita nel cortile dell’albergo, vicino alla vasca delle
tartarughe e questo per me è una attrattiva eccezionale. I ragazzi mi dicono
che sperano di venderlo per 80 pesos (possibile?) e sono molto eccitati. Il
coccodrillo invece ha un’espressione molto inquieta e sembra stia meditando
una fuga.
Quando
la mattina successiva non l’ho trovato dove pensavo, ho avuto una sensazione
di forte delusione, ma poi l’ho riconosciuto nella vasca delle tartarughe dove
si era rifugiato per trovare un po’ di refrigerio. Fa effettivamente di nuovo
molto caldo e come si esce dalla doccia si è subito in un bagno di sudore, ma
le stanze sono provviste di forti ventilatori da lasciare accesi tutta la notte.
11
Agosto - Rovine di Palenque
Ci
siamo alzati di buonora, poiché la giornata prevede diverse attività.
Innanzitutto l’organizzazione della gita nella jungla, con pernottamento.
Accanto
al nostro albergo, il Regional, ci sono due agenzie che le organizzano, una a
sinistra che sembra più improvvisata, l’altra a destra che sembra un po’ più
‘affidabile’ ed è quella alla quale ci rivolgiamo, per quanto il prezzo
offerto è lo stesso: 50$ a testa (contrattati) che comprendono i trasporti, il
vitto e le tende.
Noi
dobbiamo portare solamente noi stessi, indumenti lunghi ma leggeri e il
deterrente per i mosquitos. Consiglio personalmente di portare anche il sacco
lenzuolo e un cambio asciutto.
Dopo
aver pagato ed esserci accordati per la partenza di domattina alle 6 (basta,
questo è troppo!) andiamo in taxi (20 pesos totali) alle rovine di Palenque che sono a circa otto chilometri dal paese. Ci
siamo uniti ad un gruppo di italiani che hanno una guida e con loro siamo andati
in cima al tempio e da lì siamo scesi nella tomba per delle scale buie e
scivolose, in un bagno di sudore; ci siamo poi aggirati per il tempio del sole
ed al palazzo reale.
Da
dietro al palazzo reale parte un sentiero che scende lungo un torrente con
alcune cascatelle dove diversa gente fa il bagno. Il sentiero arriva poi sulla
strada asfaltata che porta alle rovine, un chilometro prima dell’entrata, dove
c’è il museo che pure abbiamo visitato. Per tornare a Palenque dal museo non
ci sono taxi quindi abbiamo chiesto un passaggio alle numerosissime macchine che
passano.
Nuovamente
a Palenque abbiamo ingaggiato un altro taxi per quattro ore totali (50 pesos a
testa, siamo in 6, con l’autista 7 in una macchina normale)
per andare alle cascate di Agua
Azul che dista circa un’ora e mezza. Sono circa le tre e mezza del
pomeriggio e certo non è proprio il momento migliore per andare a bagnarsi alle
cascate, perché il pomeriggio, in genere arriva l’acquazzone.
Ad
Agua Azul (entrata 3.5 pesos) siamo stati circa un’ora ed il taxista ci ha esperato
mentre noi risalivamo le cascate fino ad un punto che abbiamo considerato adatto
per un bagno (a turno per controllare i portafogli, tutte le guide avvertono di
fare molta attenzione). Le cascate sono molto belle ma l’acqua non può certo
dirsi azzurra. Al contrario è marrone a causa delle forti piogge che sono
frequenti in questo periodo e che per l’appunto ci omaggiano in pieno bagno.
Tornando ci siamo fermati pure ad un’altra cascata (entrata 3.5 pesos) dove
però, vista l’ora, non ci siamo bagnati. E’ piuttosto alta e ci si può
passare dietro. Il taxista ci ha pazientemente esperato
e poi siamo tornati.
12
Agosto - Gita nella Jungla
Alle
6 della mattina si è presentato il pulmino sul quale abbiamo viaggiato per
diverse ore, forse quattro, lungo una strada sterrata.
Ad
un dato punto si è fermato ad un ristorantino sperduto nel nulla, dove ci hanno
offerto la colazione con huevos alla mexicana
(revueltos, con pomodoro) e caffè. C’è un altro gruppo numeroso,
italiani di avventure nel mondo alias viaggi meravigliosi.
Lungo
il secondo tratto il pulmino è costretto a fermarsi più volte ai posti di
blocco militari, dove gli uomini in divisa ci squadrano severamente e ci
controllano i passaporti. Un paio di volte siamo dovuti scendere per far
registrare i nostri nomi in un librone.
Non
si capisce bene chi sia esattamente la nostra guida; oltre all’autista ci sono
altri due che poi però non ripartono con noi dopo il ristorante.
Arrivati
al Rio Usumasinta che segna il confine tra il Messico ed il Guatemala,
l’autista ci affida a Pedro, dandogli disposizioni circa in nostri pasti e la
sistemazione per la notte.
Saliamo
sulla lancia di Pedro e navighiamo per circa un’ora e mezza sul rio
Usumasinta.
Alla
nostra sinistra è la jungla messicana, a destra quella guatemalteca. Anche nel
rio Usumasinta ci sono i coccodrilli ma non ne vediamo. Navighiamo finché non
vediamo sulla riva sinistra, nascoste nella giungla, le rovine di un tempio;
allora accostiamo e sbarchiamo al nostro campo base: una capanna, due casette
per gli archeologi, un grande prato verde.
Un
omino ci viene incontro, è la guida ufficiale del sito archeologico e visitiamo
le rovine con lui, mentre Pedro monta le tende. Le rovine sono davvero immerse
nella giungla, sugli alberi ci sono degli uccelli coloratissimi e tantissime
scimmie che ci seguono. Ad un tratto una scimmia spezza un ramo, che cade, ma
quelli del gruppo che sono proprio lì sotto non si rendono conto di cosa sia
successo realmente e nel fruscìo provocato dal ramo riconosce invece
l’aggressione di una scimmia e fugge terrorizzato!
Yaxchilan
è raggiungibile solo con la lancia o al limite col biplano da Palenque che
atterra sul pratone verde lungo forse cento metri dove tra l’altro ci sono le
nostre tende. Oltre a noi ed al gruppo di avventure ci sono altri due gruppi di
turisti giunti dall’acqua o dal cielo e ci incrociamo lungo i sentieri che
portano da un tempio ad un altro.
Fa
molto caldo ed a fatica scaliamo i templi dalla cui cima il panorama è solo di
jungla. La guida ci dà disposizioni su cosa andare a vedere in cima ai templi,
ma lui rimane sempre ad attenderci sotto l’ombra di un albero. Ci sono
moltissime zanzare, tanto da coprirsi con le magliette e i pantaloni lunghi
nonostante il caldo. Siamo colmi di autan, eppure riescono a pungerci. C’è
anche diverso fango.
Tornati
al campo base troviamo tutte le tende montate e Pedro ci offre una coca cola e
ci invita a seguirlo nella capanna per consumare la comida. Nella capanna abita Emanuel, un grosso messicano sulla
cinquantina, sua moglie (la cuoca) e la figlia di nove anni. Ci accomodiamo
sulle panche al tavolo di legno e la signora ci serve una minestrina, un piatto
di carne tipo pizzaiola, riso bianco, tortillas,
coca cola y marzanilla (succo di mela), ananas e melone. Ottimo e
abbondante.
Sono
le quattro, tutti gli altri turisti sono andati via, abbiamo tutto il pomeriggio
davanti a noi per rilassarci, ma non ci siamo portati nulla da leggere (mai
avremmo pensato di poter leggere qui!) e siamo impazienti di far qualcosa. La
signora ci chiede aiuto per sparecchiare e poi va al lavare i piatti nel rio
Usumasinta. Si sente uno sparo. ‘ Cos’è?’. ‘Un italiano in meno’
risponde Emanuel. Non capisco con che spirito ha fatto questa battuta. No,
scherza davvero, con simpatia.
Convinciamo
Pedro a fare un giro in barca, non sia mai che avvistiamo qualche coccodrillo!
Risaliamo il fiume controcorrente per un tratto, ma dei coccodrilli neanche
l’ombra. Il cielo è coperto.
Pedro
ci chiede se vogliamo sbarcare in Guatemala e visitare una fattoria. Claro
che si! Due capanne, galline, tacchini e cani magrissimi. Un campo di mais,
palme da cocco e banani. Due famiglie. Un uomo sulla quarantina, a torso nudo,
severissimo, ci segue con lo sguardo dalla porta della sua capanna. Vicino a lui
la moglie e due bimbe. E’ imbarazzante intromettersi così prepotentemente a
casa loro. Pedro va a parlargli e gli spiega chi siamo. Non cambia del tutto il
suo atteggiamento, sembra diffidente, ma anche curioso, sembra stia meditando
qualcosa. Le bimbe ci guardano ma come incrociano i nostri sguardi scappano via
dalla mamma ridendo oppure nascondono il viso nelle gambe del padre. Facciamo
per andar via e l’uomo ci offre di comprare alcuni denti di giaguaro che va a
prendere; ce ne mostra quattro, 50 pesos (l’uno?). Non li compriamo. Offriamo
una Malboro a Pedro ed al padrone di casa che accettano
volentieri. Quindi andiamo via.
Sulla
lancia spegniamo il motore e ci lasciamo portare dalla corrente in un silenzio
rumorosissimo di cicale, uccelli, il grido terrificante delle scimmie e tuoni
tenebrosi. Pedro sorride della nostra paura del ruggito delle scimmie. Vediamo
tantissimi tucani col becco giallissimo.
Tornati
al campo base la pioggia si fa sempre più forte. Pedro e i ragazzi che lavorano
alla pista di atterraggio ne approfittano per lavarsi nel fiume marrone e sotto
la pioggia e noi li imitiamo, in costume da bagno con spugna e sapone in mezzo
al prato. Piove, le tende si bagnano, siamo umidi ed è pieno di zanzare ma non
resta che rassegnarci. Ci asciugheremo forse domani, se ci sarà il sole. Sotto
il capannone guardiamo la pioggia e non riusciamo a trovare un punto dove non
arrivi l’acqua.
................un
gruppo di sette ragazzi fa una gita nella jungla dove la foresta è più densa
che mai. Le rovine sono bellissime e ci arrivano in barca. Ci sono uccelli
bellissimi e colorati. Ma si avvicina un temporale e la pioggia diventa
fortissima. Si riparano sotto un albero. Ma un fulmine lo colpisce e fa cadere
un ramo. Una ragazza si rompe un piede ed i compagni la portano sulle spalle
fino alla salvezza..................................
Alle
7.30 si fa buio e Pedro ci comunica che la cena è pronta. La capanna è
illuminata con lampade ad olio. Aiutiamo la signora ad apparecchiare e mangiamo
le chesadias al cheso che ci ha preparato. Poi io e Bettina chiacchieriamo con
Emanuel che ci racconta del suo lavoro. Tutti i giorni i turisti vengono a
visitare Yaxchilan ed il lavoro è tanto. Ogni sei mesi ha quindici giorni di
vacanza e va in Tabasco dov’è la casa dei suoi. Alle 8.30 ci saluta per
andare a dormire, nella stanza accanto; la porta è una tendina, quindi togliamo
il disturbo e andiamo via anche noi.
E’
impensabile andare a dormire così presto, quindi preghiamo Pedro di portarci
alle rovine adesso, nel buio. Ma lui cerca di scoraggiarci, dicendoci infine che
es peligroso per via dei cobra. Non siamo convinte che sia il vero motivo e
raggiungiamo gli altri amici alle casette, dove sotto un capannone all’aperto
i ragazzi che lavorano alla pista d’atterraggio giocano a domino per
trascorrere la serata. Anche loro avanzano la scusa dei cobra.
Rinunciamo
quindi definitivamente alla jungla di notte e giochiamo a domino con loro.
Chiedono se abbiamo della cerveza o
della tequila ma no, non l’abbiamo, e ci rimangono male. Dopo 3, 4, 5 partite
a domino siamo un po' stufi e proviamo a movimentare la serata con un po' di
musica. Hanno una chitarra ma nessuno di loro sa suonarla. Si vergognano a
cantare e dicono di conoscere solo la cucaracha, tra l’altro in una versione
rifatta che fa riferimento alla marjiuana.
Cantiamo quella tutti insieme. Poi uno di loro ci canta una canzone
sottovoce...........
Alle
dieci ci ritiriamo e chiediamo gentilmente dove si trovi la toilette. Non
esiste. Non potendoci inoltrare nella jungla riteniamo che la pista
d’atterraggio sia il luogo più sicuro. Quindi ci ritiriamo nelle nostre tende
umide, fornite di lenzuoli e coperte usati.
13
Agosto - Gita nella Jungla
Al
risveglio il rumore della jungla è assordante. Sono le sette e da sola vado
alle rovine per vederle in questa atmosfera mattutina. Arrivo davanti al tempio,
mi fermo ed un picchio riprende a battere in cima ad un albero spoglio. Le
zanzare mi assalgono e sono costretta a rientrare.
Dopo
aver fatto colazione nella capanna ci congediamo da Emanuel, moglie e figlia. La
bimba aiuta la mamma in cucina, non va a scuola e non sa leggere e scrivere.
Pedro ha smontato le tende e ci invita a partire.
Il
Rio Usumasinta è anche oggi calmo e veloce e in un’ora e mezzo, contemplando
la jungla, torniamo nel punto dove ci eravamo imbarcati. Non c’è nessuno ad
aspettarci, quindi entriamo in una capanna-bar ad aspettare che qualcuno arrivi
a prelevarci, prima o poi, finché arriva un pulmino che scarica alcuni turisti
e prende noi - lungo il rio Usumasinta è anche possibile andare a Flores, in
Guatemala.
Sul
pulmino facciamo la strada inversa per un tratto e poi voltiamo per un altra
direzione, circa per un’ora e mezza ancora. Poi ci lascia all’imbocco di una
larga strada sterrata in costruzione dove un paio di ruspe stanno lavorando; ci
sono le tende del gruppo di avventure nel mondo, ma dove abbiamo dormito noi è
certamente più bello. Scendiamo e l’autista ci presenta Marcellino, un
ragazzino di 14 anni, lacandone in borghese con scarpe da ginnastica che ci
porterà a Bonampack, lungo la strada
in costruzione, per nove chilometri nel fango fino alla caviglia (nell’estate
del 1998 i lavori della strada sono stati terminati).
Il
piede affonda ad ogni passo e nell’estrarlo poi dal fango mi perdo le scarpe
da ginnastica, restando a piedi nudi. La strada che porta a Bonampak è spianata
per un lungo tratto dalle ruspe, poi si restringe.
Chiediamo
a Marcellino se è possibile seguire un sentiero nella jungla, sperando di
salvarci perlomeno dal fango, quindi ci intrufoliamo lungo un ‘cammino’
laterale, tra gli alberi, le liane ed i serpenti. Non ci salviamo dal fango, ma
la vegetazione è molto bella ed in tre ore e mezza, anziché due, raggiungiamo
Bonampak. Anche qui ci sono delle casette dove abitano gli archeologi.
Marcellino
incontra un altro uomo che ci guida fino alle rovine del tempio in cima al quale
si trovano tre stanze nelle quali ci sono dei dipinti murali ancora quasi
intatti, che raffigurano l’incontro tra due popolazioni, una festa religiosa e
scene di guerra.
Saliamo
ancora più in alto e incontriamo un archeologo che ci spiega come poche
settimane fa hanno scoperto una nuova tomba, che dalla sommità del tempio si
raggiunge scendendo delle scalette. E’ recintata ma ci fa scavalcare la corda
ed affacciarci. Si vede una donna che pazientemente porta alla luce alcuni
cocci. Ci racconta poi dell’importanza che hanno le pitture di Bonampak in
termini di contenuto informativo delle immagini dipinte e dei colori utilizzati.
Guardiamo
dall’alto il panorama: solo jungla. La visita a Bonampak è molto breve, una
mezz’ora in tutto, anche perché ti aspettano due estenuanti ore di cammino
per tornare.
Credo
che anche Bonampak sia raggiungibile col biplano, vedo una ‘pista
d’atterraggio’ ovvero una spianata verde, ma nessun biplano. Per tornare
abbiamo percorso la strada normale, che è meno bella perché è come una
stretta strada sterrata e non un sentiero, ed in alcuni punti il fango è
davvero insopportabile, non si sa più dove passare.
Pare
ci siano anche alcuni serpenti neri velenosi, ma io non ne ho visti. Solo quello
verde all’andata, lunghissimo e innocuo a detta di Marcellino.
Dopo
un’ora di cammino ho temuto di essere presa da una crisi isterica per via di
quel fango per giunta puzzolente che ti costringe a guardare unicamente per
terra. Ho allungato il passo per poter terminare al più presto la mia
permanenza in questo mare marrone. Ho i pantaloni, le scarpe, i piedi
sporchissimi e non vedo l’ora di uscirne. In un’altra ora sono arrivata alle
ruspe, le sentivo da lontano e gioivo. I lavoratori mi accolgono come fossi un
corridore e mi incitano e si complimentano con me. Infine
all’arrivo un omino mai visto prima mi accoglie a braccia aperte
chiamandomi per nome ‘Joanna!’ e mi
prende sotto braccio, mi mette in mano una lattina di coca cola e mi direziona
verso il fiume, 200 metri ancora! Al fiume, una pozza marrone ma per me è come
una fresca acqua azzurra e limpidissima, trovo altre persone e mi immergo così
come sono, con scarpe, calze e pantaloni. Poi piano piano mi tolgo tutto e
rimango in costume. Ho anche una saponetta per fortuna.
Quando
siamo tutti ci rivestiamo con i vestiti che avevamo lasciato negli zainetti sul
pulmino e ci facciamo portare al villaggio dei lacandoni come avevamo richiesto
all’agenzia. Il Na Bolom ci ha fatto una capa tanta che non possiamo andar via
senza esserci stati. E’ però una gran delusione. Anche lì ci sono delle
tende dove stanno attualmente tre spagnoli che hanno un’aria molto sperduta.
Le nostre due guide, l’autista e quello che mi ha accolto a braccia aperte, ci
presentano il ‘signor Lacandone’ il quale ci guida attraverso il villaggio.
Ma ci sono solo delle capanne ed è tutto deserto, ‘sono tutti via in questo
momento’ ci dice. Ci porta in una capanna dove vorrebbero farci acquistare
qualcosa, ma niente, non siamo nello spirito giusto. Andiamo via. La guida ci
dice di dargli qualcosa per la visita ma non ci dice quanto. ‘Quello che
volete!’. Poi si volta verso il signor Lacandone e gli urla: ‘Quanto ti
devono dare?’ dopo che noi con discrezione ce lo chiedevamo l’un l’altro,
e quello alza le spalle. Cinque pesos a testa decidiamo infine, 35 in totale,
per averci portato per cinque minuti in una villaggio fantasma. Torniamo nel
pulmino, si sta facendo tardi.
Le
guide ci invitano a muoverci, tra l’altro è prevista la cena lungo la strada.
Non abbiamo ben capito dove ci porteranno, anzi credevamo che saremmo tornati
direttamente a Palenque. Manca ancora molta strada, siamo stanchi e sta facendo
buio. Dopo un’oretta ci fermiamo in una specie di villaggio lungo la strada,
scendiamo e ci fanno entrare in una di queste baracche-case-capanne. E’ una
specie di bar, ci sediamo ad un grande tavolo e ci portano riso, pollo, fagioli,
melone, ananas e cocomero.
Le
guide ci dicono di sbrigarci perché è tardi.... ‘Certo!’ rispondiamo
...... e la strada si fa è pericolosa. “Come pericolosa?” chiediamo. “Col
buio potrebbero esserci i banditi!” ci rispondono. Questo davvero non ce
l’aspettavamo e sollecitiamo per partire immediatamente, ma loro ci dicono di
stare tranquilli, di finire la cena senza dilungarci troppo per poi andare
subito via. Ci nascondiamo i passaporti ed i travel nelle mutande. Lasciamo nei marsupi un poco di contante in
pesos e in dollari sperando così di soddisfare, nel caso, i banditi. Terminata
la comida ci affrettiamo a partire.
Ormai è buio pesto ed il pilota va velocissimo, col secondo che gli fa da
guidatore.
Ad
ogni topes e ad ogni posto di blocco
militare ci fermiamo o comunque rallentiamo e ci viene da pensare che sia la
volta buona. Le guide sembrano essere più preoccupate di noi. Gli altri si sono
lanciati in una discussione sul ruolo della donna nella famiglia, il problema
del lavoro e della possibilità per una donna che lavora di fare figli. Io mi
astengo dalla discussione, il mio intervento l’ho fatto circa una settimana
dopo, a San Pedro, in Guatemala, comodamente seduta al tavolo del ristorantino
dove avevamo cenato, assaporando una sigaretta. In quel momento invece stavo
pensando a come avrei potuto trattenere la pipì, soprattutto in caso di assalto
dei banditi. Pensa che figura! E tentavo di immaginarmi la scena.
Ad
un dato punto ci siamo fermati per fare ‘gasoline’; in una baracca hanno
acquistato alcune bottiglie in plastica e le hanno scaricate nel serbatoio. Nel
frattempo io e Bettina siamo scese ed abbiamo chiesto cortesemente ad una
signora che era lì se gentilmente ci poteva indicare dove si trovava la
toilette. Non esiste in tutto il villaggio. Ci hanno prestato una torcia e ci
hanno detto di andare dietro a qualche capanna. E così abbiamo fatto.
Poi
siamo ripartiti ed io mi sento molto più tranquilla nonostante le guide siano
in gran agitazione e ci dicono che, nel caso di incontro dei banditi, uno di
loro urlerà e noi non dovremo far altro che abbassarci per evitare i colpi.
Facile!
Nonostante
la tensione, ma la prendiamo a ridere, mi addormento e in un battibaleno ci
ritroviamo a Palenque davanti al
nostro albergo dove avevamo riservate le medesime stanze nelle quali eravamo due
giorni fa. Naturalmente vado a vedere come sta il coccodrillo, ma mi sembra più
incazzato che mai. Non oso dirgli nulla e vado a dormire.
14
Agosto – Ritorno a San Cristobal
Questa
mattina non ci siamo svegliati tardi (si fa per dire) perché alle 7.30,
sappiamo, parte l’autobus per San
Cristobal che però non abbiamo prenotato ed infatti è pieno.
Ma
ci sono diverse stazioni dei pullman, una accanto all’altra, e l’autobus di
seconda, pure, parte alle 7.30 circa. Lo prendiamo (35 pesos).
La
differenza sostanziale è che è un poco più sgangherato rispetto a quello di
prima ma soprattutto, mentre l’altro è diretto, questo si ferma ogni qual
volta c’è qualcuno che vuole salire o scendere. Chiaramente sono tutti
messicani della zona che scendono e salgono in continuazione, diretti o
provenienti da posti assurdi, dove mai potresti pensare che possa esistere
qualcuno o qualcosa. Scendono e s’incamminano lungo sentieri di montagna
oppure sbucano improvvisamente di dietro un albero, in un luogo dove non sembra
esista nient’altro che quell’albero. Naturalmente trasportano sempre una
gran quantità di roba nonché qualche bambino, chi appeso sulla schiena, chi
trascinato per mano. Una donna con un bimbo piccolo in braccio si è seduta
vicino a me e si è mangiata avidamente del pane in cassetta e del succo di
frutta che le ho offerto e che erano i miei avanzi.
Alle
13.30 siamo arrivati a San Cristobal e subito dopo pranzo, alle 15.30 abbiamo
preso il pullman di prima per la Mesilla (20
pesos), al confine col Guatemala (ce n’è anche uno alle 15.00 ma è
completo).
L’autobus
ci lascia ad un paio di Km dal confine che si può raggiungere con dei taxi
sgangheratissimi per 5 pesos a testa. Prima di prendere il taxi si passa alla
dogana dove ti ritirano la carta turistica e timbrano il passaporto per
l’uscita. Dopo il taxi ci sono invece due controlli guatemaltechi. Al primo si
pagano 25 pesos, al secondo 5 quetzales
(1q=250£). I doganieri guatemaltechi non hanno un’aria molto affidabile. E’
ormai tardi, sono circa le 7 di sera ed il cielo comincia a scurirsi.
Come
entri in Guatemala sei assalito dagli uomini del cambio nero, brutti ceffi, che
ti propongono un cambio molto svantaggioso, senza possibilità di trattare. Noi
avevamo i quetzales acquistati a San
Cristobal ad un cambio più vantaggioso quindi li abbiamo rifiutati, finché
alla fine, quando hanno capito che non li avremmo presi a quelle condizioni, ce
li hanno dati al cambio ufficiale (100$=600q). “Giusto perché ho proprio
bisogno di dollari”. Certo, certo.
Questo
paese è inquietante, non esiste una sola persona affidabile a cui chiedere una
informazione. Per Chichicastenango mancano almeno ancora quattro ore ed il
prossimo pullman è manana (l’ultimo pare sia partito alle cinque). Meglio non
viaggiare di notte, almeno dopo l’ultima esperienza siamo un po’ provati.
Siamo
in tutto 13 turisti, tutti nelle stesse condizioni, quindi ci coalizziamo
cercando di capire cosa è meglio fare. Uno è un francese sulla 45-ina, con
moglie e tre ragazzi grandi di circa 20 anni, uno è il figlio e gli altri forse
nipoti. Spero sia lui a prendere in mano la situazione, ma non è molto capace.
Poi ci sono due ragazze israeliane che si affidano a noi.
Paolo
contratta coi tassisti. Chiedono 50$ a taxi per portarci a Huehuestenango, due ore di viaggio, il paese più vicino. Ma è
troppo. Tra di noi una confusione totale; si cerca di parlare in inglese ma il
signore francese non ci capisce e ci risponde nella sua lingua, qualcuno si
diverte a provare qualche frase in israeliano ed in tutto questo trambusto si
tentava di trovare una soluzione per andare via da questo posto.
Infine
si fa largo un omino che si offre di portarci tutti insieme col suo pullman, per
500 quetzales totali, quindi ne
interviene un secondo che dice ‘io vi ci porto tutti per 400’. ‘Affare
fatto!’ abbiamo risposto pronti, e tutti gli altri se ne sono andati, ma come
ci siamo girati per vedere il pullman è stato un colpo al cuore. E’
impossibile che quest’affare possa muoversi!
Invece,
dopo aver lungamente trafficato col motore, anche con la fiamma ossidrica che
sputava scintille, incredibilmente l’omino ha fatto contatto coi fili e l’ha
messo in moto. Il pullman è piccolo stretto e sporco, ma felici ci prepariamo a
questa ultima parte di viaggio, per oggi. 400 quetzales divisi per tredici persone sono circa 30 a testa.
L’autista, uscendo dal paese, si ferma più volte per far salire altre persone
e carica casse di birra e altre cose, finché non alziamo la voce e gli
intimiamo di muoversi, altrimenti non pagheremo tutta la cifra, poiché il
nostro è un ‘pullman’ privato!
Finge
di accondiscenderci ma furtivamente fa salire altre donne, le quali gli pagano 8
quetzales a testa per fare il nostro
stesso tragitto. Uscendo dal paese intravedo un paio di alberghi, ma sono
contenta di andar via. Il pullman è buio, anche il quadro non funziona e
l’autista ogni tanto accende la torcia per controllarlo. Si ferma a fare
benzina. In Guatemala sarà sempre così, pullman e taxi fanno benzina con i
soldi con cui li paghi, infatti se gli dici che glieli dai all’arrivo
rimangono interdetti.
Lungo
la strada mi addormento sul mio zaino che è accanto a me appena mi rendo conto
che tanto è inutile controllare cosa succede, la strada è buia. A
Huehuestenango (due ore di viaggio circa) ci svegliamo tutti storditi e ci
facciamo portare alla piazza principale.
Di
lì, zaino in spalla, cerchiamo tutti un albergo. Ne troviamo alcuni
pessimi e sono tentata di buttarmi su quei letti sporchi e sgangherati,
ma gli altri si rifiutano e dunque ne cerchiamo altri. Uno è invece troppo caro
(100 q la doppia!) finché non troviamo una soluzione intermedia e ci sistemiamo
tutti, noi però in quattro in una stanza.
Andiamo
a cena fuori in un ristorante dietro all’albergo, sono circa le dieci e mezza
di sera. Ottimo il guachamole,
nonostante che l’avocado continui a non piacermi. Riusciamo a pagare con la
carta di credito (ma non fateci affidamento, tra l’altro in Guatemala si paga
il 10 % in più) e andiamo a
dormire. Ci informiamo all’albergo
circa i pullman per Chichicastenango: partenza ogni ora, cinque ore totali con
cambio e coincidenza a Nosencontras. Strano nome.
15
Agosto – Chichicastenango
Di
buonora (!) ci siamo alzati per prendere il pullman delle 8.30. Un taxi ci ha
portato tutti e sei, bagagli compresi, alla stazione dove diverse compagnie di
pullman offrono il loro viaggio.
Alle
8.45 ancora non si parte e andiamo dall’autista a protestare per il ritardo di
un quarto d’ora. Scopriamo allora che sono in realtà le 7.45, un’ora di
fuso.
Andiamo
a fare colazione nel piazzale dei pullman, tra la folla. Caffè nescafè forte!
La
stazione è piena di gente e di pullman in arrivo ed in partenza.
Il
Guatemala comincia a piacermi.
Infine
siamo partiti, ognuno ha il suo posto a sedere numerato e chi sale lungo il
tragitto viene munito di un seggiolino di plastica e si accomoda lungo il
corridoio.
In
tre ore siamo al bivio di Nosencontras,
pieno di chioschi di frutta, biscotti, bibite. Scendiamo e ritiriamo il nostro
bagaglio. Tra gli zaini si trova anche una pecora, con le zampe legate, che ci
guarda perplessa come apriamo il portellone. L’omino, scherzando, fa il gesto
di darcela, anziché gli zaini, e ride.
Ci
indicano dove aspettare la coincidenza per Chichi,
come la chiamano familiarmente, e usufruiamo di alcuni bagni pubblici
estremamente sporchi. Arriva un autobus colorato pieno zeppo di gente e di
pacchi sul tetto. ‘Quello è il vostro’ ci indicano e incredibilmente
riusciamo a salirci, lasciando preoccupati gli zaini ad un omino che li lancia
sul tetto. Ci sono tre persone per ogni posto a sedere e poi tutti in piedi o su
un piede solo. Il bigliettaio pretende di passare. E ci riesce!
L’autobus
si ferma a caricare altre persone e in mezzora di strade di montagna arriviamo a
Chichi. Sono le 12.30 circa e andiamo subito in banca a cambiare i travel
(1$=6q), prima che chiuda, all’una.
Un
bimbo ci vuole portare all’albergo di suo padre. Ci informiamo da altri
italiani circa l’offerta alberghiera ed i prezzi degli alberghi e ci dicono
che a Chichi è complicato trovare da dormire perché è strapiena di turisti.
Accettiamo quindi di seguire il bimbo che ci porta all’Hospedaje Salvador, vicino alla chiesa, carino, per
quanto ci fanno vedere delle stanze ancora non rifatte e coi bagni allagati.
Metteranno tutto in ordine, ci garantiscono (50/60/75 q la
singola/doppia/tripla).
Rimandiamo
allora la doccia ed il cambio di vestiti a stasera, d’altronde staremo solo
una notte. Lasciamo gli zaini e andiamo subito al mercato, lanciandoci negli
acquisti più sfrenati: giacche, borse, zainetti, cappelli, bretelle, gatti di
stoffa. Non ci sono più gli animaletti che si muovono e i cinturones e i braccialetti come quelli di San Cristobal. Ci sono
invece dei grossi animali di legno molto belli ma troppo ingombranti e pesanti.
Davanti
alla chiesa, in cima alle scale, un omino sparge l’incenso; dentro un gran
fumo in un ambiente spoglio, con i ceri accesi per terra e le donne
inginocchiate davanti ad essi.
Poi
con Raffaella ci siamo dirette al cimitero, coloratissimo. Un omino da solo sta
facendo una lunga conversazione sulla tomba di un suo caro. Uscendo dal cimitero
fotografiamo dei bambini i quali protestano qualche quetzales.
Pensiamo di risolvere la questione, non avendo peraltro gli spicci, al banchetto
delle caramelle e delle patatine. Ognuno ha scelto quel che più gli piaceva
(tutti le patatine di mais) e contenti se le sono mangiate.
Quindi
abbiamo pensato di chiedere al bambino più grande se ci poteva accompagnare al
luogo dove si svolge il sacrificio del gallo di cui abbiamo sentito parlare e
che pure è segnato sulle nostre guide. Il bimbo va ad informare il padre che ci
accompagnerà e dunque ci incamminiamo, seguiti anche dagli altri due bambini più
piccoli, tutti intenti a finire il loro pacchetto di patatine.
Oltre
il cimitero ci siamo inerpicati per un sentiero, su di una collina, senza
incontrare mai nessuno; io e Raffaella trascinandoci e questi zompettando
intorno a noi nelle loro galosce larghe. In cima alla collina abbiamo trovato
uno spiazzo con alcune rocce nere di fumo e sporche di cera rossa, ancora calde
e fumanti, piume di gallo e alcuni cani magri che gironzolavano. Tutto qui.
Delle
ragazze sono sedute in mezzo alla cenere ed io ho destato il loro rancore
scattandogli una foto, poiché mi hanno tirato un sasso. Volevano 5 quetzales
per quella foto ma a me è parso troppo e ne ho offerti due. No! Ha rifiutato.
Però poi mi ha rincorso ‘Esta bien’ e poi ci siamo salutate cordialmente
con molti sorrisi.
Tornando
al paese ci siamo fermati a comprare altre patatine per tutti e poi siamo
incappati nella casa delle maschere dove improvvisavano un balletto coi costumi
della festa. Ci siamo fermati a vedere questo spettacolino tutti e cinque:
eravamo solo noi ed il divertimento maggiore è stato guardare i nostri bimbi
che si sganasciavano dalle risate, seduti sulla panchetta di legno, coi loro
pacchetti di patatine. Al più grande abbiamo poi dato 3 quetzales.
A
cena siamo andati all’hotel Chuguila, consigliato da tutte le guide, in un
ambiente abbastanza su di tono, una bella sala al lume di candela col caminetto
acceso - fa nuovamente piuttosto fresco. Tutti abbiamo preso il piatto tipico, a
base di carne, fagioli, riso e platanos fritti. Il solito, quindi, ma molto
buono e ben servito. Camerieri raffinatissimi con dei turbanti rossi e prezzi
comunque modici.
Nella
hall dell’hotel-ristorante c’è un simpatico ufficio informazioni, al quale
potrete rivolgervi per qualsiasi questione: pullman, collettivo, aereo o nave
che sia. Ci danno il numero di telefono per prenotare l’aereo per Tikal (ora
è troppo tardi per chiamare) e ci informano sugli orari degli autobus mentre ci
offrono un servizio di collettivo che potrebbe venire a prenderci domattina in
albergo e che in un’ora ci potrebbe portare a Pananjachel giusto in tempo per
prendere la lancia delle 9.30 e che ci costerebbe solo 30 q a testa.
Va benissimo!
16
Agosto – Lago Atitlan
Questa
mattina non ci siamo alzati tardi, perché alle 9.30 dovremo essere a Pananjachel
per prendere la lancia. Tutto è andato come doveva, il collettivo con noi sei a
bordo è stato efficientissimo e simpatico è stato anche l’autista che
finalmente è stato il primo a chiedere della situazione politica del nostro
paese lasciandoci del tutto spiazzati. Ha accolto la notizia della vittoria
della sinistra con estremo piacere. Io in genere mi sono astenuta dal chiedere
le opinioni politiche, seguendo, come sempre, le indicazioni di Cacucci, il
quale sostiene che i messicani (ma non parla dei guatemaltechi, effettivamente)
non amano parlare di politica, soprattutto con gli stranieri.
Al
contrario il geologo messicano è stato, sulla piazza di Oaxaca, invitato a
schierarsi con o contro gli zapatisti, e così anche altri in altre occasioni.
Miguel per esempio. Tutti si sono sempre dichiarati vicini alla ideologia
zapatista. Mai nessuno contro. Miguel poi ha un atteggiamento molto disfattista
e lamenta molto la povertà sua, che non gli permette assolutamente di viaggiare
come vorrebbe, ed in generale del suo popolo.
Da
Pananjachel la lancia impiega circa
quaranta minuti per andare al paesino di Santiago
Atitlan e costa 5 quetzales.
Subito abbiamo cercato un albergo guidati da un vispo vecchietto che ci ha
portato per i tre alberghi di questo villaggio; ma i primi due erano completi ed
il terzo brutto: stanze senza finestre e con bagni comuni. Non esattamente quel
che abbiamo in mente.
Trascorriamo
quindi un’ora a Santiago Atitlan, girando per lo splendido mercato della
frutta e della verdura, alcuni secchi pieni di pesciolini piccoli piccoli, ceste
con granchi legati per le chele con delle lunghe foglie.
Davanti
alla scuola c’è una partita di basket femminile che appassiona donne, vecchi
e bambini. E sullo sfondo uno dei tre vulcani. Abbiamo gironzolato in questo
ambiente. Ci sono parecchi turisti.
All’una
abbiamo ripreso la lancia che in un’ora ci porta a San Pedro (5 q), come ci ha consigliato il vecchio. E’ più
piccolo ma ha più alberghi. Il nostro è molto carino (Hospedaje del Sol),
gestito da una severissima ma simpatica signora. Costa 40 q a stanza (con bagno)
che si trasforma in doppia, tripla o quadrupla a seconda di quante persone ci
vanno. I letti sono, come sempre, ad una piazza e mezza e sono considerati
singoli o matrimoniali secondo l’esigenza.
San
Pedro è molto piccolo ed in effetti non c’è nulla da vedere di particolare.
E’ come Santiago Atitlan 10 anni fa – come dicono tutti- ed in effetti è il
covo di una moltitudine di fricchettoni ai quali chiedere una camera con bagno
è davvero fuori luogo.
Lungo
la stradina che collega i due imbarcaderi di San Pedro ci sono diversi
ristorantini, alcuni dei quali molto buoni e noi ci siamo affezionati ad uno di
questi dove sempre abbiamo cenato (squisita la bistecca in salsa di pepe).
Altri
invece sono gestiti da alcuni di questi fricchettoni, per l'appunto una volta
siamo capitati da Antonio, di San Francisco, un americano magro, alto, barbone e
coi capelli lunghi, castani tendenti al rossiccio, che da 4 anni abita qui,
prima a Santiago Atitlan ed ora a San Pedro.
Gli
abbiamo chiesto com’è Sant’Antonio Palopò’ che pure vorremmo visitare,
ma lui ci risponde che non lo sa, perché non c’è mai stato! Tre tavoli di
legno e qualche sedia. Niente luce elettrica, solo candele. Niente bagno. Un
grande cane nero, Sasha, si aggira per i tre tavolini, ma lui lo fa rientrare
sempre in cucina, a forza, all’interno della quale il cane ha libero accesso a
tutto il pentolame che sta per terra e che slinguazza continuamente, col padrone
assolutamente non curante.
Ci
fa un po’ effetto, per quanto chissà cosa ci saremo mangiati in tanti altri
posti! Col dito pulisce il bordo del piatto di frutta che abbiamo ordinato e se
lo mette in bocca, e poi ce lo serve.
Eppure
sembra sia molto famoso. Non ci abbiamo cenato ma semplicemente preso un te’
nel tardo pomeriggio. C’è una vista favolosa sul lago, questo si. E anche
qualcuno che cenava, nel tardo pomeriggio, sembrava soddisfatto delle sue strane
zuppe e pizze.
Questo
è stato il secondo giorno, dopo la gita a cavallo, quando avremmo voluto andare
a visitare altri paesini, ma non avevamo considerato il fatto che San Pedro,
essendo così piccola, è anche molto isolata. Per muoversi dopo una certa ora
c’è solo una lancia privata, che ci chiede 100 q per portarci a
Sant’Antonio Palopò’, per l’appunto. Allora rinunciamo e tanto per non
stare con le mani in mano propongo ai ragazzi che sono lì al bar se hanno
voglia di fare una partita di pelota.
Pensano
che io stia scherzando e mi guardano sghignazzando; allora insisto finché non
si alzano. Quindi formiamo le squadre. Io sono con un simpatico ragazzo di Città
del Guatemala e tre ragazzini. Gli avversari sono uno grosso, uno medio e tre
piccoli. Prepariamo il campo e le porte. Fortunatamente il ragazzo di Città del
Gutaemala è piuttosto bravo e si instaura una buona intesa: fa tutto lui, io
semplicemente gli rimando i passaggi a triangolo e andiamo benissimo. Poi mi
butto in qualche smarcatura, lasciando tutti di stucco per come riesco a
smarcare qualcuno a suon di calcioni, lasciandolo spesso a terra dolorante, ma
piegato in due dalle risate, e anche gli altri si mettono a ridere come matti.
E’ stato davvero esilarante e oltretutto abbiamo vinto 4 a 1.
17
Agosto – Lago Atitlan: Gita a cavallo
Riguardo
alla gita a cavallo di questa mattina - finalmente abbiamo dormito fino alle 9!
- pure è stata divertente. Due di noi solamente sapevano cavalcare (gli uomini)
e noi donne li seguivamo con alcuni ronzini mentre Francisco e Juan, le nostre
guide, ci seguivano in mountain bike
(15 q l’ora).
Abbiamo
costeggiato il lago attraverso le piantagioni di mais e di caffè fino ad una
spiaggetta dove abbiamo fatto il bagno e dove c’era una cerimonia religiosa.
Troppe in questo posto!
Alcune
donne preparano il ‘rinfresco’ per concludere la cerimonia: in un enorme
pentolone sul fuoco gettano pezzi di carne a bollire mentre un’altra prepara
dei tamales di pasta di masa
(?). Quindi abbiamo cavalcato fino a San Juan, ancor più piccolo di San Pedro.
E ritorno. Quattro ore totali.
Pian
piano prendiamo confidenza coi nostri cavalli e impariamo a guidarli più
veloci, al trotto, ma non mi sento particolarmente abile. Sull’ultimo tratto
ero da sola e sono entrata in paese a cavallo sotto gli sguardi severi degli
uomini del paese, timidi delle donne e stupiti dei bambini, ma tutti si aprono
in un gran sorriso quando li saluto: ‘holà’.
Dopo
la partita di pallone ed il te siamo andate all’Hospedaje San Francisco ad
ingaggiare una guida per scalare il vulcano, domattina. Ci siamo informate in
giro e non c’è pericolo di banditi. Anche il ragazzo di Città del Guatemala,
che conosce questa zona, me l’ha confermato.
Siano
rimasti in quattro, 3 femmine ed un maschio: io, Raffaella, Micol e Paolo; gli
altri due sono partiti. Paolo ne può più di noi e domani vuole rimanere da
solo e rilassarsi.
18
Agosto – Lago Atitlan: Gita al vulcano San Pedro
Alle
5, come d’accordo, è venuto a bussarci Francisco, il quale ci consiglia di
lasciare i soldi ed il passaporto in albergo (mmmh!).
“Perché
mai? Non ci saranno mica i banditi!”.
“
No, no” ci garantisce lui e si mette a ridere.
“Gli
altri turisti non vengono.” aggiunge.
“Quali
altri turisti? E perché poi non vengono?.”
“Hanno
troppo sonno” ci risponde.
Mmmmmmh!.
La conversazione si svolge sul ballatoio davanti alle stanze dell’albergo e
Francisco parla ad alta voce, cose se fosse mezzogiorno. Io temo che qualcuno
prima o poi venga a lamentarsi del fracasso. Ci scambiamo alcuni sguardi
perplessi, cercando di capire senza parole se è il caso di andare o meno. Ma
tutte ci chiediamo e non sappiamo risponderci.
Scendiamo
nel cortile e Francisco ci presenta suo hermano
Pedro il quale verrà con noi.
Pedro,
mangiando una banana, si avvicina per presentarsi ma, nel buio, inciampa nello
scalino e quasi non cade per terra (mmmmmmmmmmmh!). Ci incamminiamo fuori
dell’albergo mentre, tra noi, continuiamo a chiederci cosa fare. Infine
decidiamo di andare ma senza angosce. Discorso chiuso.
Non
abbiamo incontrato nessun bandito, piuttosto abbiamo camminato per quattro ore
in salita e per tre ore in discesa nuovamente nel fango che fa sì che il
sentiero, molto ripido, sia anche molto scivoloso e siamo costretti, in
prossimità della cima della montagna, addirittura ad attaccarci alle liane per
non cadere.
La
passeggiata inizia tra le piantagioni di mais e di caffè, mentre il sole sorge
e la vista sul lago è stupenda. Poi si inerpica tra boschi di pini dove ci sono tantissimi pavoni (pabo)
neri e bianchi che volano da un albero all’altro. Infine comincia una
fittissima jungla di liane.
Alle
9.30 arriviamo in cima al vulcano San Pedro. Il cratere è tutto ricoperto di
vegetazione. La vista sul lago è bellissima e Francisco ci mostra soddisfatto
tutti i paesini che lo circondano: San Pedro, San Juan, Pananjachel, Santiago
Atitlan. Poi più all’interno ci sono Santa Clara e Santa Caterina,
raggiungibili solo a piedi, dove le donne lavorano i campi e gli uomini sbrigano
le questioni di casa. Peccato non esserci andati!
La
discesa è stata sfiancante e infinita. Francisco e Pedro sono stati molto
carini e simpatici. Mi sembra di averli pagati fin troppo poco: 20 q a testa e
regalo volentieri lo zainetto a Francisco.
All’albergo
arriviamo all’una, giusto in tempo per fare una doccia e volare
all’imbarcadero per prendere la lancia delle due (sempre 5 quetzales).
La
lancia passa e si ferma ad alcuni altri paesini sul lago e in un’ora e mezza
siamo nuovamente a Pananjachel. Di lì
avremmo dovuto prendere l’autobus delle 4 per Antigua, ma non esiste: manana!
Ricominciamo
l’ennesima contrattazione per un collettivo e da 15 dollari a testa riusciamo
ad accordarci per 50 quetzales.
In
due ore e mezza siamo ad Antigua,
alle 7.30. Ci facciamo portare direttamente ad un albergo a scelta
dell’autista (Hotel Vicente), che fortunatamente ha le camere disponibili ed
è carino (40 q a testa). Piove a dirotto, ceniamo in un ristorantino alla buona
(30 q a testa) e alle 10 già dormiamo.
19
Agosto - Antigua
Per
la seconda volta in 20 giorni ci siamo svegliati tardi, alle 9. Antigua
la stiamo ancora scoprendo. E’ una cittadina piccola, tranquilla, colorata e
molto turistica. Il mercato non è all’altezza di quello di Chichicastenango.
La contrattazione, anche qui, va fatta puntando anche a meno della metà del
prezzo che chiedono in partenza.
Davanti
al nostro hotel, in una agenzia, prenotiamo il volo di domani per Flores. Ce
n’è uno economico a 45$ che
parte alle 7 di cui ci hanno informati a Chichi. Il signore non lo conosce, ma
noi insistiamo e anche gli diamo il numero di telefono (?). Lui chiama e ce lo
conferma. Facciamo i biglietti.
Domattina
alle 5 verrà a prenderci il collettivo per portarci direttamente
all’aeroporto di Città del Guatemala che dista un’ora, per 50$ totali.
Paghiamo coi travel.
L’aereo
del pomeriggio parte invece alle 4 ma costa 90 dollari circa.
Quindi
ci concediamo una sana colazione da Dona Lucia, consigliato dalla mia guida ed
effettivamente è molto carino, coi tavolini nel patio di una casa coloniale:
dolci al cocco, al miele ed alle prugne, omelette di prosciutto e formaggio. E
poi ci siamo lasciati guidare per le vie di Antigua semplicemente dal desiderio
di girare per una o per un’altra via, senza meta precisa, visitando le chiese
ed i bellissimi negozi, con un artigianato molto rifinito, ma anche molto caro.
La
città è in mano ai turisti: tante banche (6.03, è aumentato!), tanti
alberghi, ristoranti e negozi.
La
sera io e Raffi siamo andate al cinema a vedere ‘Come l’acqua per il
cioccolato’ in spagnolo, con sottotitoli in inglese; un pubblico di turisti.
In realtà non è un cinema ma semplicemente una sala con un televisore che un
ragazzo di Antigua ha organizzato, con vendita di cerveza e pop-corn (8q).
Uscendone,
alle 10.30 tutto è chiuso e le strade sono buie e deserte. Mangiamo qualcosa al
volo in uno dei tanti ristoranti guatemaltechi-cinesi e andiamo a dormire.
20
Agosto – Tikal
Alle
5 di mattina è passato il collettivo dell’agenzia che in un’ora ci ha
portato all’aeroporto di Città
del Guatemala, voli nazionali. La tariffa di 45$ che abbiamo infine ottenuto
per l’aereo (e ne esisteva anche una da 35, ma fortunatamente l’abbiamo
scoperto dopo) aveva una ragione di esistere.
L’aeroporto
è costituito da una serie di hangar delle diverse compagnie, affiancati tra
loro. Si entra in una porticina ed alla scrivania una signorina ti accoglie, ti
fa la carta di imbarco (e si paga una tassa di 5 q) e ti fa accomodare con tutto
il bagaglio in una stanzetta.
Ci
sono altri giovani turisti italiani, spagnoli, tedeschi, francesi. Passata una
mezz’ora, durante la quale cerchiamo di dormicchiare un po’ sulle sedie, si
affaccia una signorina che ci comunica con voce estremamente gentile e cortese
che è davvero molto dispiaciuta, ma a causa di un guasto al motore
probabilmente sarà impossibile partire.
Ci
manderebbero tutti via, se non fosse che ci hanno già fatto la carta
d’imbarco. Neanche loro sanno cosa fare.
Inutili
le proteste; non hanno altri aerei da far partire e quindi ‘disculpe’
ma non si parte. ‘Disculpe’ un
corno noi ci siamo svegliati stamattina alle quattro e mezza, abbiamo fatto
un’ora di collettivo per venire fin qui e non abbiamo alcuna intenzione di
tornare indietro, ne’ tantomeno di andare a Città del Guatemala che dicono
sia una città impossibile (ma ci sarà pure un Cacucci che sia in grado di
rivalutare Città del Guatemala!). Oltretutto abbiamo pagato ben 50 dollari,
abbiamo la nostra carta di imbarco e pretendiamo di partire e presto, perché
dobbiamo andare a Tikal per poi nuovamente ripartire per il mare, che sia in
Belize o in Messico, ma non abbiamo tempo da perdere! Siamo in vacanza!
Oltretutto
abbiamo assolutamente bisogno di mangiare qualcosa e qui non esiste ne bar ne
niente. Ognuno ha avanzato la sua protesta ma niente, loro non sanno che farci.
Infine, telefonando alle vicine compagnie, hanno chiesto se per caso gli
avanzava un aereo e finalmente ci hanno confermato la partenza alle 9 30, che
poi sono diventate le 10, ma a quel punto bastava partire. E ci hanno offerto
caffè e biscotti.
Quindi,
tutti, zaino in spalla, all’ora x ci siamo spostati alla porta dell’hangar
accanto. Lì ci hanno preso a forza gli zaini, gli zainetti e tutto quel che
possedevamo di bagaglio a mano, lasciandoci a mani vuote, e dopo una lunga
attesa ci hanno fatto salire su questo piccolo aereo da 30 posti che ha
decollato su Città del Guatemala, fatta di una immensità di casette di lamiera
colorate, e si è inoltrato per le montagne finché non è cominciata la jungla.
A
quel punto, passata la tensione per il decollo e appurato che l’aereo era
effettivamente in grado di reggersi nell’aria mi sono addormentata, per
risvegliarmi mentre ancora sorvolavamo la jungla in mezzo alla quale abbiamo poi
atterrato.
L‘aeroporto
di Flores
difatti non è nulla di più che una pista nella jungla. Sono le undici di
mattina. Recuperiamo il nostro bagaglio e veniamo assaliti dagli autisti dei
taxi collettivi che ci offrono il trasporto per Flores o per Tikal.
Vista
l’ora decidiamo di andare subito a Tikal (20 q - meno di un’ora di viaggio)
e di rimandare il problema pernottamento e partenza di domani a questa sera.
Dopo
una mezz’ora di strada il pulmino, prima di entrare nella riserva di Tikal, si
ferma ad un baracchino, al quale si paga l’entrata di 30 q. Lì chiediamo se a
Tikal è possibile telefonare per prenotare un albergo a Flores e l’autobus di
domani. Ma no, le linee sono interrotte e non si può comunicare con Flores.
Bene. Proseguiamo il viaggio.
A
Tikal ci sono diversi alberghi, ma molto cari, dove si paga in dollari. Lì ci
lasciano, al Jaguar Inn.
A
Tikal non ci sono posti alla buona per mangiare. Niente. Anche i prezzi delle
bottiglie d’acqua (10 q) e di coca cola (6 q) che vendono freschi sulle
stradine che portano alle rovine sono quasi raddoppiati. Di contrattazione
neanche l’ombra, quasi ti scoppiano a ridere in faccia. Per orgoglio e rabbia
ci rifiutiamo di comprargli alcunché, ma sappiamo che prima o poi almeno un
sorso d’acqua sarà indispensabile.
E
difatti cederemo poco più tardi, dopo
la scalata al tempio numero 4, proprio lì sotto, assetati: ‘una coca cola a
qualsiasi prezzo!’. Dall’albergo si potrebbe prenotare il pullman di domani,
che già sappiamo costa 30 dollari a testa fino a Chetumal, e anzi ci offrono un
servizio privato per 50 dollari a testa che partirebbe quando più ci aggrada
anziché alle 5 di mattina. Troppo.
Preferiamo
però risolvere la questione direttamente a Flores questa sera dove speriamo di
trovare qualche soluzione ancor più vantaggiosa. Ci accordiamo quindi con
l’autista per aspettarci, con tutti gli zaini, fino a stasera alle 6 per
portarci poi a Flores, il tutto per
20 q a testa aggiuntivi.
La
visita alle rovine, splendide, è durata, quindi, fino alle 6 p.m., cinque ore
totali. Siamo riusciti a vedere quasi tutto, con calma ma senza strafare. Siamo
saliti sul tempio di ‘mondo
desconosito’ chiedendoci se valeva la pena scalare anche questa piramide,
dopo averne fatte tante altre, considerando il caldo, la fatica, la stanchezza e
le gambe ancora doloranti della gita al vulcano: i muscoli della coscia e del
polpaccio destro sono tesissimi.
Ne
vale la pena. Assolutamente impossibile rinunciare a salire sul tempio numero 4,
compreso l’ultimo tratto di scaletta a pioli. Anche per chi soffre di
vertigini. Ve ne pentireste. La vista dal templo
numero 4 su tutta la jungla circostante è superba.
Dal
guardiano del templo numero 4 che è lì
appostato tutto il giorno e che cammina sui margini della piramide come se si
trattasse di una strada a quattro corsie causando in me un gran senso di
angoscia, col baratro nel mio cuore, chiediamo come si chiama quell’animale
che si aggira nella giungla, affatto spaventato dagli uomini, con un collarino
blu e che non è ne tapiro ne formichiere. ‘E’ il pisote solo’ ci risponde venendoci incontro e allontanandosi dallo
strapiombo nel vuoto, meno male. Mi rilasso.
In
cima alla piramide giunge anche una ragazza alta e bionda con delle cuffie da
pilota d’aereo e tutto un armamentario legato alla vita con delle cinture. Ha
una antenna in mano che volge verso il cielo. Il guardiano ci spiega che è una
zoologa che sta studiando il pisote solo,
appunto; mediante quei collarini blu lei può controllarne gli spostamenti.
Tutti
ci dicono quanto sia bello vedere l’alba dal templo numero quattro, alle 5 di mattina. Ma noi non ci saremo.
Qualcuno
poi ci racconta che ci ha addirittura passato la notte. Si paga in tal caso una
cifra aggiuntiva sul biglietto, perché ufficialmente le rovine chiudono alle 6,
credo. Costoro però ci hanno passato questa notte ma non hanno visto l’alba
poiché ha piovuto come non mai e alle 5 il cielo era ancora coperto. Nulla ci
fa pensare che la mattina di domani possa essere diversa da quella di oggi.
Però
mi dispiace, come anche mi dispiace di dover rinunciare ad una passeggiata di
due ore e mezza nella jungla che alcuni guardiani del parco ci propongono per
domattina dopo l’alba. In questo paese si fa tutto all’alba. Anche il nostro
pullman partirà all’alba. Pare si possano vedere a quell’ora tantissimi pisoti
soli. (Soli?)
Nella
jungla ci sono pure tantissime scimmie che ti seguono incuriosite sugli alberi.
Una si è messa proprio sopra di me ed ha cominciato a fare pipì.
Fortunatamente me ne sono accorta per tempo.
Il
parco di Tikal è molto grande, le rovine sono collegate tra loro da sentieri
nella jungla. Dopo una certa ora non si incontra moltissima gente e le
segnalazioni sono scarse, pertanto se non si ha un buon senso
dell’orientamento ci si potrebbe quasi (quasi!) perdere.
Alle
sei meno dieci ha fatto un forte acquazzone, giusto in tempo per salire sul
collettivo, che ci aspettava al parcheggio, bagnati. In un’ora e mezza ci ha
portati a Flores.
Innanzitutto
ci siamo fatti portare all’agenzia da dove si prenota il pullman che in realtà
è un albergo (pagato coi travel - 30
dollari, come sopra, non ci sono altre soluzioni per viaggiare fino a Tulum),
quindi ci siamo fatti accompagnare all’albergo dove volevamo andare perché
c’erano altri amici. Infine l’autista del collettivo è tornato
all’agenzia per confermare che ci trovavamo lì in modo tale da poterci venire
a prendere domani mattina. Molto, troppo gentile.
Siamo
stravolti. Ci facciamo consigliare un ristorante dall’albergatore che ci manda
‘Al barco’ poco lontano. Ottima scelta. ‘Il barco’ è una specie di
barcone ormeggiato sul lago dove un grosso e grasso e unto spagnolo che vive in
Guatemala da 20 anni si diverte come un matto a preparare in diretta, in una
enorme padella, su una brace all’aperto, una strepitosa paella.
Egli
si diletta nel disporre tutte le pietanze su un tavolino davanti al braciere,
carne a tocchetti, pesce, gamberoni, verdure, spezie eccetera. Poi mette tutti
gli ingredienti nella padella con un ordine prestabilito e per ultimo il riso e
alcune mestolate di brodo. Quindi va a bere una bottiglia di vino con gli amici,
scelta e stappata con estrema cura, per tornare alla paella dopo un quarto
d’ora per controllare la situazione.
Altri
cinque minuti e poi prende l’enorme padella e la porta in mezzo ai tavoli, per
mostrarla: gialla, verde e rossa. La posa su di un tavolino in mezzo ai tavoli e
fa le parti, molto orgoglioso del frutto del suo sudatissimo lavoro.
Abbiamo
aspettato un’ora per mangiare e davvero abbiamo rischiato di crollare
addormentati sui nostri piatti vuoti, finché non siamo stati risvegliati dalla
vista, dal profumo e dalla delizia di questa pietanza squisita, che abbiamo
divorato, dopo la giornata di digiuno, con foga.
21
Agosto – Belize
Sveglia
all’alba, non per andare sul tempio numero quattro bensì per prendere il
pullman delle cinque.
Un
collettivo ci passa a prendere in albergo. E’ ancora buio. Ci porta per un
chilometro e poi ci lascia in mezzo ad una strada. Ci sono altri turisti.
Poi
finalmente arriva un altro pullman più grande che ci carica tutti.
La
strada che porta fino in Belize è
tutta sterrata, taglia la jungla in due, immersa nella vegetazione.
L’autista
va veloce strombazzando in continuazione ai vari tacchini e cani che ingombrano
la strada. Abbiamo investito una gallina e quasi non lancio un urlo di terrore,
ma è passata incolume sotto il pullman.
Incontriamo
alcune casupole isolate, bambini vestiti per la scuola, gente in bicicletta,
cartelli che intimano alla
popolazione di non gettare la spazzatura per terra, per il pericolo del colera.
In
tre ore siamo al confine. Scendiamo e andiamo a far registrare il passaporto,
pagando 10 q.
Poi
andiamo a piedi alla dogana del Belize (non si paga niente ne in entrata, ne in
uscita).
Improvvisamente
ci sembra di aver sbagliato viaggio. Sono tutti alti, grossi, negri e parlano
inglese con un atteggiamento alquanto strafottente. Quindi risaliamo sul pullman
e ci dirigiamo verso Belize City, altre diverse ore di viaggio.
Il
paesaggio è quello che nell’immaginario corrisponde al sud degli Stati Uniti,
con le case grandi di legno, colorate, rialzate su palafitte.
C’è
sempre una vecchia grande macchina mezza sfasciata, parcheggiata vicino alla
casa.
A
Belize City sembrano tutte ‘case dello zio Tom’.
Facciamo
uno stop. Ci sono neri rasta agitati e fuori di testa che ci vengono incontro e
straparlano. Ci offrono la barca per andare agli atolli, ma noi ormai ci abbiamo
rinunciato perché non c’è tempo a sufficienza e pare che siano molto cari.
Un turismo prevalentemente americano.
Ripartendo
da Belize City l’autista si perde
nelle vie della città, finché non è costretto a chiedere ad un passante dove
si trova la strada per Chetumal.
Di
nuovo percorriamo diverse ore di pullman su una strada in parte sterrata, in
parte asfaltata. Mi addormento e mi risveglio in continuazione, cercando di
stirarmi in questi posti strettissimi del pullman. Finalmente arriviamo al
confine. Scendiamo.
Solita
trafila dei passaporti in uscita e poi in entrata in Messico. Tutti dobbiamo
rifare la carta turistica, ma non ne hanno a sufficienza.
Quindi
passiamo il confine a piedi e di là ci aspetta un pullman in coincidenza col
nostro, che ci porta alla stazione dei pullman di Chetumal (gratis, 5 minuti).
Piove.
Anche dentro la stazione piove. Compriamo i biglietti per andare a Tulum.
E’ tardi per il pullman di prima classe delle 2.30 poiché sono ormai le tre,
dovendo spostare l’orologio di un’ora avanti. Prenotiamo allora a quello
delle quattro (44 pesos) e ci mangiamo qualcosa.
Poi
in tre ore, con aria condizionata e musica allegra raggiungiamo Tulum, ci sembra
un paradiso. Sono ormai le sette di sera (un intero giorno in pullman!).
La
stazione dei pullman di Tulum è quasi inesistente; ci sono solo due taxi per
tutti. Ne soffiamo uno e ci facciamo portare da ‘Don Armando’ indicato da
tutte le guide e consigliatoci da molti altri turisti nel corso del viaggio.
I
taxi hanno le tariffe fisse. 18 pesos per portarci tutti da Don Armando.
Il
rischio è che vanno tutti lì ed è possibile che non si trovi posto. Infatti
da Don Armando ci mandano via.
Il
taxista ci porta 50 metri più giù, al Santa Fe. Niente: solo capanne senza
amaca. ‘Avete l’amaca?’. ‘No’.
Andiamo
ad un terzo, attaccato al Santa Fe: il Mirador. Hanno le capanne ma senza letti,
solo con l’amaca. Perfetto, le prendiamo.
Le
capanne sono effettivamente delle capanne, tonde, di legno, così come ve le
potete immaginare. Per terra la sabbia. Dentro solo le amache appese.
Nient’altro. Costano 30 pesos a persona.
A
cena andiamo al ristorante ‘giovane’ di Don Armando. ‘Giovane’ perché
c’è un clima molto giovane con tantissimi italiani che fanno i fighetti.
Invece al bar del Santa Fe c’è un clima giovane ma americano e fricchettone.
Al bancone si ordina e si paga direttamente a Don Armando Junior, un omaccione
apparentemente pericoloso, con catene e bracciali grossi, dorati. Ha fatto un
monte di soldi.
Si
ordina e lasci il tuo nome. Quando è pronto urlano il tuo nome e ti alzi e vai
a prenderti la cena: pollo, carne, pescado,
omelette, riso, chesadias. Il pescado
è buono; un pescione che si chiama ‘mero’,
sufficiente a sfamare abbondantemente una persona, costa 25 pesos.
22
Agosto - Tulum
La
nottata è stata meno peggio del previsto. Sulle amache si dorme in diagonale,
in modo tale da stare diritti e non curvi. Questa mattina però, appena si sono
liberate, abbiamo preso le capanne coi letti (40 pesos).
Nelle
capanne non c’è luce ovviamente, ma alla ‘reception’
ti forniscono di una candela.
Le
docce ed i bagni si trovano in altre capanne lì vicine.
Per
il resto la giornata ha previsto mare e soltanto mare. A tratti piove, poi torna
il sole.
Nel
pomeriggio abbiamo visitato le rovine di Tulum (16 pesos - tempo mezz’ora) che
distano 500 metri dalle nostre capanne, da percorrere però sulla strada; dal
mare non sono raggiungibili.
La
particolarità di queste rovine è che si trovano a picco sul mare. Fatevi un
bagno alle rovine, nelle calette dove arrivano delle onde forti, in un mare
verdissimo.
Al
‘centro commerciale’ di Tulum
(strano ma vero è proprio un centro commerciale) abbiamo cambiato a 7.35,
contrattando anche lì per cinque pesos. Alla stazione dei pullman di Tulum,
invece, un omino ha messo su una agenzia di viaggi dalla quale è possibile
confermare i voli internazionali e prenotarne altri nazionali per Mèxico da
Cancun o da Merida, o quant’altro. Considerate però che per ogni operazione
ci mette un tempo interminabile perché non ha il telefono all’agenzia (un
banchetto in realtà) e per telefonare deve andare alla cabina di fronte, per
strada.
23
Agosto – Tulum
Caro
diario, oggi ho conosciuto dei ragazzi fantastici............
Al
mare è molto ventoso, si alternano acquazzoni ad un sole impossibile.
La
soluzione migliore è andare in spiaggia col minimo indispensabile in modo tale
che quando comincia a piovere si entra in acqua, caldissima, che ripara dal
freddo della pioggia e dalle punzecchiature dolorose delle gocce sulla pelle.
Poi,
quando c’è il sole, si va da Don Armando per una cerveza, si chiacchiera e così si passa la giornata. Diverse
persone che abbiamo incontrato (ma anche noi stessi) hanno la tentazione di
terminare qui il loro viaggio perché è un posto bello e rilassante.
Continuando
verso nord, avvicinandosi a Cancun, ci dicono che i prezzi lievitano ed è un
carnaio di turisti. Riflettiamo sulla possibilità di organizzare delle gite da
qui a Isla Mujerez e Cozumel.
Per
il momento dunque scegliamo di restare qui a Tulum.
Già i volti dei turisti e degli albergatori sono per noi piuttosto familiari.
Dopo poco, tra chi rimane almeno due o tre notti, ci si conosce tutti. Altri
invece sono di passaggio solamente per visitare le rovine e poi scappano via.
E’
un po’ come un campeggio, con bagni e docce comuni. Anzi qualcuno ha montato
la sua propria tenda, per 20 pesos a notte, ma attenzione, perché a dei ragazzi
che l’avevano montata, con la scusa dell’uragano che l’ha spazzata via ,
gliel’hanno poi rubata.
Un
giorno prima del nostro arrivo, infatti, c’è stato un uragano e tutta la zona
e tutte le capanne sono state evacuate e tutti sono stati rifugiati nella scuola
di Tulum. Pare sia stata un po’ una barzelletta, perché l’uragano era
atteso per mezzogiorno, poi per le due e poi in effetti non è arrivato mai.
Fatto sta che nella scuola sono rimasti un giorno ed una notte. Invece la tenda
famosa nel giro di mezz’ora, nella confusione, era scomparsa.
Pare
che siamo anche scampati ad una manifestazione zapatista nel Chiapas dove le
strade sono state interrotte per un giorno intero, il 15 di agosto, ed i turisti
sono stati fatti scendere dai pullman e lasciati fermi per strada, sotto il
sole, senza cibo ne’ acqua. Ma noi veniamo a saperlo solo ora.
24
Agosto – Tulum: Gita alla spiaggia di Xca-cel
Entrata
10 pesos. E’ una spiaggia protetta perché ci sono i nidi di tartaruga
sotterrati nella sabbia. Spuntano solo dei cartelli con scritto: ‘nido di
tartaruga numero1’, ‘nido di tartaruga numero 2’ e così via. Le
tartarughe non ci sono perché escono di sera. In compenso la spiaggia è molto
bella, non c’è nessuno, solo due palme. La barriera corallina è vicina,
seppure non eccezionale e si vedono dei bei pescetti colorati. Portatevi la
maschera. Oppure si può passeggiare sugli scogli ai lati della spiaggia, alla
ricerca di conchiglie, sassi e coralli. Ognuno è tornato carico di cimeli. A
questa spiaggia siamo andati in taxi (55 pesos totali). Da Don Armando si trova
sempre un taxi. Per tornare invece non ce ne sono e siamo stati costretti a
chiedere un passaggio.
Abbiamo
cenato al ristorante ‘El gattos’ molto carino e intimo, al lume di candela.
Fantastico il filetto di pesce. Si narra anche di un ristorante italiano nella
zona, molto buono, ma non abbiamo avuto il piacere di provarlo. Dicono che anche
il pollo alla brace ai chioschetti di Tulum sia delizioso.
28
- 30 Agosto 1996 – Da Tulum a Roma (…) via Chichen-Itza e Merida
La
sosta a Tulum è stata più lunga del
previsto. La sera stessa della gita alla spiaggia noi tre ragazze, chi prima chi
dopo, ci siamo ammalate: dissenteria, vomito, febbre ecc.
Che
sia il risultato di tante passate fatiche? Il 25 non ci siamo mosse dalle nostre
capanne, il 26 solamente io sono riuscita a trascinarmi fino in spiaggia, sotto
l’ombra di una palma, infine il 27 siamo partite, solo noi tre femminucce,
lasciando Paolo con quei fantastici ragazzi che abbiamo conosciuto: Stefano e
Nello…….
Alle
8.30 di mattina abbiamo preso il pullman di prima classe da Tulum (di nuovo ci
si alza presto) diretto a Chichen-Itza
(38 pesos - 3 ore).
All’una
abbiamo cominciato la visita delle piramidi, dei palazzi, della pelota e del cenote.
Con
molta calma, con frequenti soste ai bar e soprattutto ai bagni, siamo riuscite a
vedere tutto quel che c’era da vedere, persino il magnifico giaguaro rosso
nascosto al centro del castillo.
Il
sito è attrezzato di bar, ristoranti, negozi, bagni, biglietteria dei pullman e
tutto quel che serve.
La
malattia ci ha fatto saltare le gite sulle spiagge e isole della costa nord e/o
la visita di Uxmal. Pazienza, ci torneremo.
Da
Chichen-Itza alle 17.15 abbiamo preso l’ultimo pullman per Merida (25 pesos)
dove siamo arrivate in un’ora e mezza.
Alloggiamo
all’albergo ‘Hotel casa Becil’ (30 pesos a testa per la tripla).
Al
ristorante abbiamo ordinato il ‘pabo’ che pare sia la specialità del luogo.
Ma ci hanno portato una roba molto condita in una salsa che, dato il nostro
stato, abbiamo solo assaggiato. Niente di che.
Un
taxi ci è venuto a prendere questa mattina alle 5,45 per portarci
all’aeroporto (in un quarto d’ora).
Gli
scali del ritorno: Merida-Villahermosa-Mèxico-Cancun-NewYork-Madrid-Roma.
A
New York siamo state una notte intera e mezza giornata. Fantastica come sempre.
Ed
il 30 eravamo a Roma.