Madagascar
DAL MADAGASCAR ALLA NEBBIA
Diario
di viaggio
di Diego e Annalisa Lucianetti
Diego e Annalisa
02/11/03
Dopo molti mesi di preparativi, di ricerche su internet, di richieste di
informazioni su IHV, è finalmente arrivato il giorno della nostra partenza per
il Madagascar.
Prima di qualsiasi racconto sul paese vogliamo ringraziare tutti coloro che ci
hanno aiutato nell’organizzazione del viaggio, fornendoci informazioni utili
per pianificarlo e precisamente:
Maurizio Navarra (Er Principe), Stefania, Seshe e Marcaval dal cui sito abbiamo
raccolte molte notizie, Gianluca il contatto a Nosy Be, e Mahery l’autista ( maheryt@yahoo.fr
)
Anche
quest’anno la partenza sarà dall’aeroporto di Bologna alle ore 07,30 con un
volo Air France che via Parigi raggiungerà alle 23,00 l’aeroporto di
Antananarivo, la capitale.
Partiamo da casa alle 04,00 e dopo aver parcheggiato l’auto al nostro
“solito” parcheggio abusivo, cioè alla mensa dell’aeroporto, abbiamo
fatto la stessa cosa per il viaggio in Guatemala e Belize evitando così di
pagare 100 euri di parcheggio, ci imbarchiamo sul volo diretto a Parigi alle ore
07,00.
Arriviamo all’aeroporto di Parigi alle 09,15 ci spostiamo al Terminal “C”
da dove partono i voli internazionali.
I posti che ci sono stati assegnati non sono dei migliori: ultima fila sulla
coda di un Boing 747, ma le 10 ore di volo passano senza problemi tra la visione
di qualche film in inglese e giochi elettronici sulla consol davanti al sedile,
intramezzati da qualche ora di sonno, scomoda, visto che le poltrone non si
reclinano.
Arriviamo
all’aeroporto di Tanà in perfetto orario: ore 23,00.
La serata è abbastanza calda, circa 18 gradi, è abbastanza umido, deve aver
piovuto da poco: la pista è ancora bagnata.
Scendiamo dell’ aereo e ci dirigiamo verso la sala arrivi dove dovremo
espletare le rituali formalità per il visto di ingresso, ci troviamo in un
salone privo di luci a fare la coda per acquistare il bollo da mettere sul
passaporto, ci accorgiamo subito che i due addetti parlano solo uno
stentatissimo francese e naturalmente il malgascio, quindi esitando, il nostro
francese è praticamente nullo, ci avviciniamo al banco, ma ci rendiamo subito
conto che non dovremmo improvvisare nulla, infatti fanno tutto gli addetti senza
rivolgerci parola a parte la richiesta di soldi.
Di nuovo in coda, per compilare le pratiche per il visto: questa volta in molti
non riusciamo a capire come compilare e dove presentare il documento,
praticamente tutti gli italiani scesi dal volo, non c’è un funzionario della
dogana che parla inglese… fortunatamente viene in nostro soccorso un italiano
che più volte è stato in Madagascar e ci spiega il da fare… più semplice di
quello che pensavamo.
Ora non ci resta che ritirare i bagagli, passare la dogana e andare ad
incontrare Mahery, che sarà il nostro autista per i prossimi nove giorni.
È un ragazzo di
35 anni con macchina Pegeout 405 e, come da accordi presi via e-mail, ci
accompagna all’ Hotel Sakamanga, che dista 15 Km dall’aeroporto.
Sarà una nostra costante ma anche l’automobile di Mahery come quella che
abbiamo avuto in Tanzania è praticamente senza luci …le luci anabbaglianti
sono come le luci di posizione di un’auto nuova. Percorriamo i 15Km
praticamente al buio e arriviamo all’Hotel dopo 30 minuti, abbiamo
parzialmente attraversato la città: il primo impatto con Tanà ci ricorda molto
Città del Guatemala, strade buie, rese ancor più buie dalla non luce della
macchina, poca gente in giro e, secondo Mahery, non molto raccomandabile.
La nostra stanza è molto carina e pulita e ciò non guasta visto che ormai sono
circa 24 ore che giriamo e la stanchezza incomincia a farsi sentire così, dopo
una doccia e una telefonata a casa piombiamo in un sonno profondo.
03/11/03
Sveglia alle
07,30, prima di andare a far colazione, alle 8,00 abbiamo appuntamento con
Mahery.
Puntualissimo si presenta al ristorante, lo facciamo accomodare al nostro tavolo
e mentre facciamo colazione insieme definiamo il contratto per il tour, ci
costerà 500 euro, durerà nove giorni e percorreremo circa 2000km.
Mentre noi
carichiamo gli zaini in macchina, Mahery ci va a cambiare 200 euro da un suo
amico. Il cambio si rivelerà molto più conveniente rispetto ai cambi
ufficiali, infatti mentre le banche valutano 1 euro 6600 FMG, lui riesce a
spuntarne 7100 FMG, così ci ritroviamo una sbalza di soldi che a stento entra
nel portafogli.
Prima di uscire da Tanà abbiamo un paio di cose da sbrigare e cioè prenotare
una camera per il giorno della nostra partenza per Nosy Be e, dal momento che
l’Hotel Sakamanga è già al completo su consiglio di Mahery prenotiamo allo
Shangai Hotel nella zona vicino all’ambasciata americana, poi dobbiamo andare
all’ufficio della Relais de la Reine per confermare la prenotazione che
abbiamo fatto dall’Italia via e-mail, alleggerendoci così di 180 euri.
Espletate queste due formalità, siamo pronti per dirigerci verso la nostra
prima tappa: il Parco Nazionale di Andisabe-Mantadia.
Per uscire da Tanà passiamo per il centro, è abbastanza caotico ma rispetto la
sera prima ci fa una buona impressione, anzi probabilmente avendo a disposizione
qualche giorno in più ci rendiamo conto che meriterebbe un giro più
approfondito.
Rimaniamo colpiti da diverse cose: la quantità di gente in giro per le strade
che cerca di vendere quello che può, la confusione che c’è nei mercati con
migliaia di bancarelle che ammassate una sull’altra vendono di tutto, dalla
frutta ai pneumatici, dalla carne appesa sui banchi circondata da miriadi di
mosche al legname, dai mobili a fantomatiche farmacie, dalla quantità di
scassatissime R4 che girano per strada…, infine ci rimane impresso l’odore
acre del fumo che si alza da centinaia di fuochi accesi per bruciare i rifiuti o
per cucinare, visto che non c’è il gas qualsiasi cibo viene cotto con il
carbone.
Usciamo dalla
città in un’ora circa, siamo diretti verso est e cominciamo a vedere le prime
risaie che si trovano nei dintorni di Tanà, la prima sosta è in una riserva
privata dove possiamo vedere camaleonti, rane, insetti, serpenti, farfalle,
gechi e coccodrilli.
Ci fa da cicerone Riccardo che è il gestore della riserva, ad ogni gabbia o
voliera che superiamo ci mostra gli animali e alcuni ce li fa prendere in
mano… io mi faccio addirittura fotografare con dei camaleonti che mi si
arrampicano addosso, cosa da non credere visto la mia riluttanza verso i
rettili, ma ancor più incredibile è Annalisa che riesce ad entrare in una
voliera piena di farfalle, lei ha la “fobia” per di questo splendido
animale, soprattutto in posti chiusi.
Il viaggio continua verso il Perinet attraversando altre risaie, foreste di
eucalipti e villaggi costruiti con mattoni di terra rossa. Per strada ogni tanto
incrociamo qualche carro dipinto trainato da zebù (vengono utilizzati per il
trasporto delle merci) e qualche camion ma di macchine veramente poche.
Alle 16,00
arriviamo ad Andisabe dove si trova l’hotel che ci ospiterà per i prossimi
due giorni, Feon ny Ala(canto della foresta), ci fa subito una buona
impressione, i bungalows sono singoli disposti su terrazze di fronte ad un
fiume, sono spartani, costruiti in legno con il tetto di foglie ma soprattutto
si trovano in una posizione dalla quale si riescono a sentire i richiami dei
lemuri che abitano nella vicina lussureggiante foresta.
La fame comincia a farsi sentire così facciamo uno spuntino a base di riso e
patatine fritte annaffiate da birra locale: la Three Horses.
Mentre ci prepariamo per l’escursione notturna alla scoperta dei lemuri inizia
piovigginare, in questa regione è la stagione delle piogge, ci sembra cosa da
poco, decidiamo quindi di prendere parte al giro muniti di Kway.
Insieme a Mahery
andiamo a prendere Etienne che sarà la nostra guida.
La prima parte del giro è una perlustrazione dei bordi della strada principale,
dove c’è una fitta vegetazione e si possono vedere alcune rane Tomato ( rosse
come pomodori maturi) e alcuni gechi.
Non vediamo altro per ½ ora fino a quando Etienne prende un sentiero secondario
che porta all’interno della foresta e qui finalmente incontriamo qualcosa di
molto interessante, dapprima un camaleonte della specie più piccola che esiste,
è adagiato su un ramo, credo solo la vista allenata di una guida potesse
notarlo, poi finalmente un lemure Microcebi, che da dietro un albero ci fa una
veloce apparizione, non riusciamo a vederlo molto bene perchè è molto piccolo,
più o meno come un criceto, ma i sui occhi sbarrati sembra che ci stiano
fissando.
Mentre procediamo, sotto una pioggia che si è fatta sempre più insistente,
Etienne punta il fascio di luce, prodotto dalla sua potente torcia, su un grande
albero e riusciamo a intravedere anche un lemure Gray notturno, a dir la verità
noi vediamo solo delle foglie che si muovono sull’albero ma Etienne ci
assicura che li c’è un lemure.
Completamente
bagnati torniamo in albergo per la cena che si rivelerà una piacevolissima
sorpresa, prendiamo zuppa vegetale e bistecca di zebù con riso bianco.
Tutto è buonissimo, soprattutto le bistecche che non hanno nulla a che vedere
con quelle di gnù, tipo suole delle scarpe che avevamo mangiato in Tanzania,
sono tenere, molto saporite e cotte al punto giusto.
Rientriamo in bungalow alle 21,30 è presto ma siamo molto stanchi e anche
questa sera cadiamo in catalessi.
04/11/03
La sveglia è alle 6,30, ha piovuto per tutta la notte ma ora il tempo è
notevolmente migliorato e un pallido sole è già alto in cielo, questo ci rende
allegri e più dinamici per affrontare la giornata: andremo alla Riserva
speciale di Analamazao prima e poi a quella di Mantadia alla scoperta dei
lemuri.
L’ingresso ai
parchi costa 50000 FMG a testa e a guidarci nei giri c’è di nuovo Etienne,
che pochi minuti dopo l’ingresso al primo parco avvista una famiglia di Lemuri
Indri: sono bellissimi e i più grandi di tutto il Madagascar, le dimensioni
vanno da 60-a 75 cm compresa la piccola coda e pesano dai 6 agli 8 Kg,
nonostante la loro mole si aggrappano verticalmente ai tronchi, e saltano con le
loro potenti zampe fino a 10Mt per volta.
Si riconoscono facilmente in mezzo alle foglie perché sono di colore bianco e
nero, hanno delle orecchie grandi e tondeggianti che li fanno apparire come
degli “orsacchiotti”, ed emettono delle inconfondibili grida, udibili fino a
tre km di distanza, differenti tra loro se indicano richiamo, pericolo o
corteggiamento.
Dopo averli osservati per mezza ora ci mettiamo alla ricerca di qualche altra
specie, non ci vorrà molto infatti poco dopo avvistiamo dei Lemuri più piccoli
e veloci, di colore marrone.
Mentre procediamo siamo molto attenti ad ogni piccolo rumore e a qualsiasi
movimento, ma è sempre Etienne che riesce ad avvistare qualche animale, più
avanti ci fa notare delle piccolissime rane, poi dei gechi completamente
mimetizzati con la corteccia dell’albero dove sono appoggiati: sono dovuto
arrivare a mezzo metro dal tronco per distinguere il geco dal resto
dell’albero, dulcis in fundo avvistiamo un boa che sta dormendo quindi
possiamo “accarezzarlo” senza correre alcun pericolo.
Anche per quanto riguarda la flora Etienne ci dispensa molte utili informazioni
su piante medicinali, orchidee, agavi, felci etc …
Usciamo dalla riserva quando è ora di pranzo, mangiamo velocemente qualcosa al
ristorante del nostro hotel, poi ci dirigiamo verso il Parco Mantadia.
Prima decidiamo
di fare un giro a piedi nel villaggio di Andisabe infatti si trova sulla strada
che ci porterà al parco e può essere un buon posto per vedere un po’ di vita
locale.
Lo si raggiunge attraversando una vecchia e malinconica stazione in disuso perché
non ci sono treni, proseguendo lungo un sentiero sterrato si arriva sulla strada
principale del villaggio: c’è un emporio, il mercato sui cui banchi sono
stati disposti ordinatamente pochissimi ortaggi, qualche bancarella di abiti
usati, bambini svestiti che rincorrono un gruppo di papere starnazzanti, salendo
ancora più in alto arriviamo in un piazzale con un’enorme antenna parabolica
dove si affacciano la scuola, la chiesa e un oratorio dove scorgiamo un gruppo
di bambini incollati davanti ad un vecchio televisore in bianco e nero, guardano
una telenovela. Volgendo lo sguardo verso la vallata scopriamo un campo di
pallone dove altri bambini stanno giocando una partita, credo siano venti contro
venti e giocano a piedi nudi con più di un pallone alla volta, poi, sulla
destra, i tetti di lamiera arrugginita delle abitazioni del villaggio. Le
condizioni di vita sono veramente molto dure: non c’è acqua potabile, non
c’è un sistema di fognature e non c’è corrente elettrica se non in
pochissimi casi, ma alle persone che abbiamo incontrato sembra proprio non
mancare niente o sono solo rassegnate?
Arriviamo al
parco nel primo pomeriggio, qui la vegetazione è diversa ci troviamo infatti in
una foresta primaria con degli alberi altissimi e secolari.
Nel percorso che durerà 3 ore circa incontriamo il Sifaki Lemuri Coronato dal
Diadema, abbastanza simile all’Indri, compresa la coda è il più grande della
foresta pluviale infatti raggiunge i 100cm ma con la coda che va dai 40 a 50 cm.
Questa specie, secondo me la più bella che ho potuto vedere, è completamente
di colore scuro, ha il muso privo di peli, gli occhi arancione-rossi, una fascia
colorata di bianco crema all’estremità posteriore dei fianchi che sfuma in un
colore rosso-scuro fino a confluire nella pelliccia scura.
Anche questo vive sugli alberi in gruppi da tre a nove individui e come molte
altre specie di lemuri la femmina è dominante, si nutrono di una grande varietà
di foglie, frutti, e fiori.
Incontriamo anche il Lemure rosa con gli occhiali, la caratteristica di questa
specie è che sono di colore marrone tendente al rosa e che il maschio ha
intorno agli occhi del pelo bianco tanto da far sembrare che porti gli occhiali.
Vediamo inoltre l’apalemure grigio o Lemure del bambù che vive
prevalentemente sui bambù di cui si nutre, selezionando i germogli, la base
delle foglie e la parte più tenera dello stelo, questo tra i lemuri diurni è
il più piccolo.
Riusciamo a vedere anche un camaleonte, delle piccole rane colorate di un verde
intensissimo e zampe nere, degli insetti molto simili a rami secchi, un
serpente, l’uccello del paradiso, dei pappagalli, diverse lucertole e tanti
tipi di piante.
Anche questa giornata è passata molto velocemente, ma le otto ore di cammino all’interno dei parchi si fanno sentire quindi, dopo un’altra ottima cena, rientriamo nel bungalow, Annalisa si addormenta subito come un sasso mentre io leggo qualcosa.
05/11/03
Oggi non abbiamo delle escursioni da fare ma anche questa mattina la sveglia è alle 06,30 perché dovremo percorrere 300km di strada, la distanza che c’è tra Antsirabe e Andisabe, anche se la strada è asfaltata, paragonabile ad una provinciale italiana, la velocità di crociera sarà di circa 50 Km/h per cui se non ci saranno inconvenienti, impiegheremo 7-8 ore compreso pranzo e soste varie.
Lungo la strada
ci fermiamo, per scattare delle foto, ogni volta che vediamo degli scorci
panoramici, che sono le ormai consuete risaie, dove le persone dei villaggi
lavorano ininterrottamente per 12 ore al giorno, aiutate dagli zebù che vengono
utilizzati per muovere il terreno prima della semina e i villaggi fatti di case
di terra rossa e tetto di paglia, con le finestre chiuse da persiane
generalmente colorate dell’azzurro del cielo, i bordi delle stesse sono
anneriti perché non essendoci il camino all’interno della casa, il fumo
prodotto dal carbone utilizzato per cucinare esce dalle finestre che vengono
lasciate appositamente aperte.
Questo paesaggio appare ai nostri occhi come una tela dipinta: un cielo azzurro
dove si stagliano colline dalle mille sfumature di verde con qualche macchia
nera, gli zebù e delle piccole case di terra rossa con le finestre azzurre come
il cielo.
Attraversiamo di nuovo Tanà e una serie di villaggi dove, a causa delle
prossime elezioni, si svolgono comizi politici con tanto di oratore, striscioni,
magliette con impresso il viso del candidato e slogan, canti e balli, cose
d’altri tempi per noi: sarebbe curioso sapere cosa viene promesso a questa
povera gente! Anche se con mezzi diversi, credo le solite promesse che possiamo
sentire nelle nostre campagne elettorali, promesse che poi non saranno
mantenute…
Per pranzo ci
fermiamo in un ristorante che secondo Mahery è molto chic, infatti è
frequentato da uomini malgasci facoltosi e da turisti, molti dei quali
accompagnati da fanciulle del posto. Nonostante ovunque ci siano cartelli che
“vietano” il turismo a sfondo sessuale, in questi ultimi anni a causa della
crisi economica e della guerra civile, è una piaga che sta prendendo campo
anche se non in modo sfacciato ed evidente.
Il cibo che mangiamo non è un gran che, a me portano dei gamberi di fiume con
una salsa che sembra una colla, ad Anna un pezzo di pollo con delle patatine
fritte che non hanno per nulla un bell’aspetto ma, per non deludere Mahery che
ci ha consigliato i piatti e che mangia tutto con una voracità incredibile,
ingoiamo a fatica e diciamo che tutto è abbastanza buono.
Ci stiamo avvicinando ad Antsirabe, lungo il tragitto ci fermiamo a comperare un
ananas, una borsetta di rafia e a vedere delle miniature coloratissime di camion
fatte in legno sulle bancarelle che di tanto in tanto ci sono ai bordi della
strada.
Arriviamo alle
15,00 all’ hotel Villa Salemako, Mahery ci dice che in ebraico significa
“pace”; è una stupenda villa d’epoca, i proprietari sono commercianti
ebrei che hanno fatto fortuna qualche generazione fà ed hanno costruito questa
villa dove ora vivono al piano superiore e affittano ai turisti le camere al
piano terra.
Dopo aver sistemato i bagagli ed esserci rinfrescati, Mahery ci porta a fare il
giro della città che si conclude in un laboratorio dove possiamo assistere alla
costruzione di biciclette in miniatura, tutte fatte rigorosamente in scala con
materiali riciclati, come lattine di coca cola, filo di ferro o di rame, fili
per canne da pesca, infine per costruire i copertoni delle ruote usano i
tubicini delle flebo ormai scaduti.
Anstirabe è una delle città malgasce più ricche e grandi del Madagascar,
infatti ci sono diverse scuole, l’università, la fabbrica delle birra Three
Horses l’unica birra locale, banche, agenzie turistiche, un ufficio postale,
la fabbrica del latte Tiko anche in questo caso l’unico produttore di latte
locale, negozi di pietre dure e preziose, strade relativamente pulite…, ma la
caratteristica principale che la distingue dalle altre città sono i
pousse-pousse, una specie di taxi trainato da uomini a piedi nudi che percorrono
la città in lungo e largo per pochi FMG. Ce ne sono di tutti i colori e si
distinguono uno dall’altro per la targa e per i disegni che sono sul retro
della carrozzina dove sono raffigurati i posti più famosi del Madagascar.
Anche qui il centro della vita sociale è il mercato e noi decidiamo di farci un
giro, non prima di aver ascoltato il consiglio di Mahery che ci dice di fare
attenzione ai borseggiatori che agiscono approfittando della folla.
Qui si può trovare veramente di tutto, dai mobili alle piante medicinali, dai
vestiti al pesce fresco, dai barbieri ai sarti e come molto spesso accade noi
siamo gli unici Vazaha (turisti, uomini bianchi) in giro.
Per cena Mahery ci consiglia un ristorante in centro, il Razafimamonjy, dove poter gustare la zuppa Silamangany, una zuppa vegetale con in mezzo carne di zebù che ci viene servita in quantità industriale, pensavamo ad una ciotola invece è arrivato un piatto tipo vasca da bagno e non sapendolo abbiamo ordinato anche una bistecca al pepe verde e uno spiedino di zebù: un affronto alla povera gente che c’è fuori.
06/11/03
La mattina seguente Mahery ci raggiunge, al Salemako, con un certo anticipo, ci
accorgiamo subito che in lui c’è qualcosa che non va.
Infatti ha un dito con una strana fasciatura: un piccolo straccio annerito, che
lui usa normalmente per pulire la macchina, tenuto con del nastro adesivo.
Gli chiediamo che cosa sia accaduto, ci dice che va tutto bene e che ha solo un
piccolo taglio che si è procurato lavando la macchina, già dimenticavo lui
tutte le mattine si sveglia alle 05,30 per pulirla e lavarla, cerca di
presentarla nelle condizioni migliori possibili.
Rimaniamo un po’ perplessi e vedendo la “fasciatura” intrisa di sangue lo
costringiamo a lasciarsi disinfettare la ferita, Annalisa nel beauty che porta
generalmente nei viaggi ha un piccolo pronto soccorso.
Ci accorgiamo che non si tratta di un piccolo taglio come diceva lui, ma di una
lesione che avrebbe certamente bisogno di qualche punto di sutura ma Mahery non
ne vuole proprio sapere di andare al pronto soccorso della città e continua a
dire che va tutto bene, intuendo che non sarà facile convincerlo, lo
assecondiamo e cerchiamo di disinfettare la ferita nel miglior modo possibile
con i mezzi a nostra disposizione, dopodiché partiamo diretti verso il Lac
Tritriva, che si trova a 40 km di strada dal centro della città, di cui 20
sterrati.
Prima di uscire
dalla città visitiamo una gioielleria, Antsirabe è famosa per la lavorazione
delle pietre dure, qui compriamo un gioco, è un solitario, costituito da una
base di legno di palissandro e da 37 biglie di diversi minerali.
Lo scopo del gioco è, una volta tolta una biglia a proprio piacimento, mangiare
le altre con movimenti orizzontali o diagonali, tipo dama e cercare di finire
con una sola biglia all’interno della base.
Visto il successo che ha avuto con amici e parenti al nostro ritorno in Italia,
ci siamo pentiti di averne comperato uno solo, potevamo iniziare un business.
Ritorniamo comunque al viaggio, lungo la strada che ci porta verso Lac Tritriva
, attraversiamo un altro lago Lac Andraikiba (mano sul ventre) famoso per una
storia che racconta del Re dei Merina (la popolazione della regione) che aveva
due amanti, una delle quali era incinta, durante una gara a nuoto per
raggiungere il Re sull’altra sponda del lago, quella incinta morì annegata,
ma prima di morire posò la sua mano sul ventre e disse al bambino che portava
in grembo che era figlio del Re: da qui il nome del lago.
Continuiamo per altri 20 km di strada sterrata, fino ad arrivare ad un piazzale
dove scendiamo dall’ auto. Ora per arrivare al lago siamo obbligati a
percorrere una lunga scalinata che, vista l’altezza, siamo infatti a circa
1800 mt livello del mare, ci fa venire il fiatone.
Appena scesi veniamo accerchiati da un gruppo di bambini che vogliono venderci
uova di pietre dure o borsette di rafia, desistiamo, tra tutti però, uno attira
immediatamente la nostra attenzione, è vestito di stracci come gli altri ma è
quello più loquace e spigliato ed è quello che accenna anche uno stentatissimo
italiano.
Giunti in cima
alla scalinata possiamo vedere perfettamente il colore verde smeraldo delle
acque del lago e la sua forma che, se rovesciata, sembra raffigurare il
Madagascar, il tutto all’interno di un cratere con delle pareti ricoperte da
pini verdissimi.
Una guida ci spiega che per i malgasci il lago è considerato sacro e ci parla
della storia di due amanti, Romeo e Giulietta che, per stare insieme nonostante
il parere sfavorevole delle rispettive famiglie, decidono di morire gettandosi
nel lago, ed ora il loro amore rivivrebbe nei due alberi che dominano una sponda
del lago, con i rami che si intrecciano, raffigurando così l’amore eterno
trai due amanti.
Questa storia ha portato alla nascita di un fady, (tabù) tanto che ora è
vietato fare il bagno nel lago e un turista Cinese, sprezzante del fady, nel
tentativo di attraversare il lago a nuoto è morto annegato rafforzando nei
locali la convinzione che si tratta di una cosa da NON FARE.
La giornata è
splendida con un cielo terso di colore azzurro intenso e la temperatura, vista
l’altitudine, è ideale per fare un’ escursione, così ci incamminiamo sul
sentiero che percorre il perimetro del lago.
Scendiamo da soli ma ben presto il ragazzo di cui ho scritto sopra ci raggiunge
e ci accompagna durante tutto il percorso, alla fine visti i suoi sforzi per
comunicare con noi in italiano decidiamo di fargli un regalo, gli diamo il
nostro dizionario Francese-Italiano e lui in cambio ci regala un uovo di pietra:
credo che neanche 100.000 FMG lo avrebbero reso più felice, infatti per tutto
il resto del percorso se lo è tenuto stretto e quando ha rivisto i suoi amici
lo ha mostrato orgogliosamente.
E’ ora di ripartire, prima di salire in macchina lasciamo qualcosa anche agli
altri bambini, quaderni, penne e colori, questa volta in cambio otteniamo un bel
sorriso da immortalare con una foto di gruppo.
Per pranzo ci
fermiamo a fare un pic-nic in una piazzola della RN7, la strada che collega Tanà
a Tuelar, menù a base di ananas e bananite, appoggiati sopra un tronco di
albero di eucalipto, di fronte a noi il solito spettacolo di vita quotidiana
nelle risaie.
Ripartiamo con direzione Ambositra, dove soggiorneremo all’Hotel Mania che si
trova in centro. Da fuori non sembra un granché ma ci dobbiamo ricredere quando
entriamo nel cortile privato e quando vediamo la nostra stanza, il rapporto
qualità prezzo è ottimo spendiamo infatti soli 98.000FMG a notte.
Mentre facciamo
un giro nella parte più turistica della città, “turistica” per modo di
dire abbiamo visto solo altri due vazaha in giro…, siamo alla ricerca di
statuette di legno rappresentanti una coppia di etnia locale per arricchire la
nostra collezione, arriviamo alla chiesa evangelica dove si sta celebrando un
matrimonio, siamo tentati ad entrare ma ci sembra di rubare qualcosa alle
tradizioni locali…di non portare rispetto…, così rimaniamo in disparte in
un posto dove possiamo vedere la sfilata degli invitati, alcuni dei quali
arrivano con dei coloratissimi abiti tradizionali e riusciamo anche ad udire i
canti cerimoniali.
Rapiti dall’evento perdiamo la cognizione del tempo così finiamo per arrivare
in ritardo da Mahery che ci accompagnerà a visitare un villaggio Zafimaniry.
Saliamo in
macchina e ci dirigiamo verso la meta ma neanche dopo 5 km inizia a piovere, per
cui essendo buona parte del percorso in strada sterrata, decidiamo di rimandare
al giorno dopo.
Mahery, che si sta dimostrando una vera guida turistica più che un semplice
autista, ha subito un’alternativa pronta per chiudere il pomeriggio, ci
accompagna in un punto panoramico, da dove possiamo vedere la città e i suoi
dintorni, comprese le colline completamente coltivate a risaie disposte a
terrazze: un lavoro durissimo per la gente che si avvale solo dell’aiuto degli
zebù.
Torno indietro con la memoria, ripercorro la strada che abbiamo macinato da Tanà
a qui e rivedo scorrere nella mia mente le immagini di centinaia di incendi, che
vengono appiccati alle foreste con una tecnica chiamata Tavy, grazie alla quale
i contadini della zona disboscano, per poi poter destinare la terra alla
coltivazione o al pascolo, ora immagino le stesse colline, verdissime, ricoperte
da eucalipti e pini e, spero che questa tradizione troppo radicata in queste
zone, possa cessare al più presto, magari con l’aiuto di organizzazioni
internazionali che promuovano presso gli agricoltori nuovi metodi di
coltivazione e di allevamento che siano meno dannosi per la flora e la fauna
locale.
In cima alla collina c’è anche la casa dell’ex Re dei Merina, oggi è stata
ricostruita e adibita a museo.
È ormai ora di cena e Mahery ci consiglia di andare al ristorante Oasis poco distante dal nostro hotel, è una vera bettola con tanto di gatto che caccia un topo sotto i tavoli, ma lo zebù che ci servono è buono come al solito e la spesa è irrisoria: per due bistecche e una birra spendiamo 30000FMG l’equivalente di 4 euro circa.
07/11/03
La mattina seguente come al solito la sveglia è molto presto, dobbiamo fare il
giro ai villaggi Zafimaniry che non abbiamo più fatto ieri pomeriggio causa
pioggia.
Pochi km fuori dalla città attraversiamo un villaggio famoso per la quantità
dei zebù che vengono pascolati, in corrispondenza dell’incrocio principale
lasciamo la RN7 per prendere la strada sterrata che ci porterà ai villaggi,
dobbiamo percorrere altri 25 km.
Mentre percorriamo la strada che divide in due una vallata, dai campi coltivati
si alzano le grida dei bambini che alla nostra vista ci gridano”vazaha cadeaux”
e noi dalla macchina, visto che non procediamo ad una velocità maggiore di 20
km/h, con un cenno della testa facciamo capire che non abbiamo nulla, quindi
loro ci salutano, ci sorridono e un po’ delusi ci osservano mentre ci
allontaniamo.
Ad un certo punto Mahery ferma l’auto a lato di alcune capanne, da una di
queste esce un bambino dallo sguardo malinconico, vestito di stracci, Mahery gli
offre due panini con la marmellata che avevamo preparato la mattina durante la
colazione, lui li prende di buon grado saluta ci ringrazia e ritorna alla sua
capanna.
Credo, visto che non glielo abbiamo chiesto noi, che Mahery normalmente quando
fa questo giro si fermi in questo punto per regalare qualcosa.
Andiamo avanti e Mahery ci dice che al villaggio Antoetra saremo “assaliti”
dai soliti bambini, ma che questa volta saranno molto molto più insistenti.
Arriviamo in un
piazzale alle pendici del villaggio dove c’è un ufficio nel quale vengono
registrati i turisti, l’ufficio è stracolmo di persone che, con la consueta
mora mora (calma) che contraddistingue i malgasci, preparano le schede
elettorali per le elezioni che si svolgeranno il giorno successivo, quindi
dobbiamo pazientare un po’ per pagare la quota di ingresso, che servirà a
soddisfare qualche loro necessità.
Espletati i nostri obblighi, come da copione, accompagnati da un numero
indefinito di bambini che ci vogliono far vendere le loro opere in legno, ci
dirigiamo verso il centro del villaggio ed è qui che entriamo in contatto,
probabilmente, con la gente più povera che ci è capitato di incontrare.
Mentre cammino e osservo le condizioni di vita di questa gente, immagino quelle
dell’altro villaggio che dista da qui 2 ore di cammino a piedi e che durante i
periodi di pioggia non è raggiungibile, quindi penso che se questi non hanno
nulla, le condizioni di vita degli altri saranno anche peggiori… tutto ciò
riempie il mio cuore di una tristezza immensa che si attenua poco dopo… quando
il capo villaggio ci fa entrare nella sua “casa”, ci fa accomodare su degli
sgabelli di legno e ci racconta un po’ della loro semplice vita… tutto è
tranquillo il suo viso è sereno, il suo modo di parlare è calmo e rilassato e
ciò non può che farci sentire a nostro agio.
La “casa” è fatta di legno con il tetto di paglia, non è più grande di
20mq, ci vivono in 7, lui la moglie e i suoi 5 figli, in un ambiente suddiviso
in due piani, quello inferiore dove c’e il letto dei genitori, un focolare per
far da mangiare e quello superiore, raggiungibile con una scala di legno che è
il reparto dormitorio per i bambini.
Chiaramente non c’è acqua potabile, il pavimento è la terra che c’è
fuori, le finestre più che per far passare la luce hanno il compito di far
fuoriuscire il fumo che si produce per riscaldare e per far da mangiare.
Quando usciamo veniamo accompagnati al laboratorio dove lavorano il legno, i
Zafimaniry sono dei maestri intagliatori famosi in tutta la ragione, anche se
quello che vorremmo comperare non possiamo prenderlo perché è troppo
ingombrante, si tratta di uno sgabello tutto intarsiato, decidiamo comunque di
comperare qualcosa con la speranza che ciò serva a preservare la loro arte e
cultura.
Prima di andar
via dal villaggio abbiamo promesso a “Marco” di comperargli un souvenir e
così facciamo.
Marco è uno dei bambini che ci ha sempre seguito nel giro, il suo nome è
chiaramente inventato, ma una volta che avevano capito che eravamo italiani
tutti si sono dati dei nomignoli italiani per risultare più simpatici.
Siamo di nuovo
in macchina con Mahery diretti verso il Parco Nazionale di Ranomafana.
Durante il tragitto ci fermiamo a pranzo in un “hotely” l’equivalente di
un nostro fast-food versione malgascio, è frequentato da gente locale e ci
lasciamo suggerire da Mahery cosa prendere.
Scopriamo che questa cucina espressa è molto buona e molto conveniente, per tre
persone spendiamo l’equivalente di tre euro per mangiare tre piatti di riso
bianco da condire con piselli cotti con grasso di zebù o con delle verdure
miste a carne di maiale (questo piatto molto buono si chiama in malgascio
Anamany) e una bottiglia di coca cola.
Ripartiamo subito dopo pranzo, arriviamo al nostro albergo alle quattro.
Nel tragitto abbiamo visto il passaggio graduale dalla terra brulla e resa
sterile dalla pratica dei frequentissimi tavy alla vegetazione verde,
fittissima, del parco pluviale.
Siamo arrivati
giusto in tempo per l’escursione notturna al parco che inizia alle cinque.
Non si tratta di una vera e propria escursione notturna infatti si parte che è
ancora giorno e si tornerà quando ancora non sarà proprio buio, il che ci
insospettisce non poco.
I dubbi si materializzano con il proseguo dell’esplorazione, infatti si
cammina per un sentiero all’interno del parco, fino a raggiungere una zona
dove si trovano tre lemuri della specie gray, probabilmente messi lì ad hoc,
sembra che aspettino i turisti per ricevere delle banane! Assurdo anche qui nel
mezzo di un parco nazionale pur di attirare turisti si violenta la natura…
tutto mondo è paese.
Siamo in una foresta pluviale in una zona dove piove molto e anche questa volta
ci inzuppiamo per bene, quindi ritorniamo al bungalow per asciugarci, dopo aver
fatto la doccia ci accorgiamo che nonostante tutte le precauzioni prese si sono
attaccate delle sanguisughe alla nostra pelle, una nella caviglia di Annalisa e
una dietro il mio orecchio destro.
Il bungalow è
sospeso sugli alberi, un torrente scorre sotto e tutto intorno una vegetazione
fittissima, nel bungalow non c’è la luce e alle finestre non ci sono
zanzariere, dobbiamo tenere accesi candele e zampironi, tutto ciò rende
l’esperienza molto avventurosa e suggestiva.
La cena è ottima anche stavolta e la nottata trascorre sotto una pioggia
fittissima che la mattina seguente ci accompagnerà di nuovo.
08/11/03
Abbiamo in programma un nuovo giro all’interno del parco, questa volta sarà
molto più lungo, durerà tre o quattro ore, nel giro riusciamo ad avvistare
alcune specie di camaleonti alcune specie di uccelli e due specie di lemuri, una
dei quali è il lemuri del bambù, ne vediamo due esemplari a non più di un
metro di distanza mentre sono indaffarati a succhiare dei germogli di bambù.
Finito il giro fortunatamente abbiamo il bungalow ancora a nostra disposizione, così non ci lasciamo sfuggire l’opportunità di usarlo, visto che siamo bagnati fradici e abbiamo modo di vedere se anche oggi siamo stati attaccati dalle sanguisughe.
Una volta
asciutti e cambiati, partiamo in direzione Fianarantsoa dove arriviamo verso
l’ora di pranzo.
Ci fermiamo in un hotely per mangiare qualcosa, si trova in centro in una via
laterale di una piazza dove si sta svolgendo un comizio, questa volta l’hotely
scelto è veramente malandato, dentro ci sono dei ragazzi ubriachi che
fortunatamente poco dopo se ne vanno, riusciamo così a mangiare un po’ più
tranquilli.
Per arrivare al prossimo hotel, il Tsara Guest House, attraversiamo la città, a prima vista ci sembra tranquilla e abbastanza vivibile, quasi tutte le strade sono asfaltate solita folla in giro per la città che è più pulita rispetto alle altre viste, ma la sorpresa più grande viene dall’hotel stesso infatti scopriamo che si tratta di una chicca, è rinnovato, pulitissimo e in posizione tranquilla e panoramica per giunta con annesso ristorante che sembra eccellente.
Dopo aver preso
possesso della camera ed esserci riposati un po’, usciamo con Maehry per fare
un giro più approfondito.
Iniziamo con visitare il laboratorio fotografico di Pierrot-Man, un fotografo
con origini metà francesi e metà malgascie, ora vive a Fianar ed ha fatto la
sua fortuna fotografando paesaggi e momenti di vita malgasci.
Ha una esposizione molto ricca, anche se un po’ disordinata, le foto che
riusciamo a vedere sono veramente bellissime e una appassionata di foto come
Annalisa impazzisce nel guardarle.
Continuiamo il giro della città a piedi visitando la parte alta della stessa da
dove possiamo godere di uno splendido panorama. Qui Mahery ci fa notare che in
alcuni punti strategici sono state installate delle fontane, ci dice orgoglioso
che sono qui da poco tempo e sono opera del nuovo governo e la popolazione della
città adesso è molto contenta.
Si sta facendo
buio e decidiamo di tornare in albergo per la cena, ho in testa l’idea che sarà
sicuramente ottima!
In realtà è proprio cosi, mangiamo squisiti piatti di cucina franco-malgascia,
sono preparati e presentati con cura, li annaffiamo con del vino locale, “Coté
de Fianar”, abbiamo deciso di provare il vino di questa zona perché i Bestleo,
la popolazione della regione, dovrebbero essere dei buoni produttori di vino, ma
a dir la verità quello che beviamo non ha nulla a che vedere con il vino
italiano… quello lo beviamo in Italia a 10000Km di distanza da qui, adesso non
possiamo pretendere di più, tanto che la bottiglia da ¾ la scoliamo.
Decidiamo inoltre di provare un po’ del Rhum locale, lo Dzama Rhum, che ci
viene servito accompagnato con delle stecche di cannella, è ottimo.
Probabilmente dopo 10 giorni di astinenza da alcool, a parte un po’ di birra,
quando ci alziamo dal tavolo ci rendiamo conto di aver esagerato, tutto quell’
alcool ci ha dato alla testa, raggiungiamo la nostra camera con difficoltà e
appena sdraiati sul letto ci addormentiamo di sasso.
09/11/03
Il risveglio è abbastanza duro, gli effetti post sbronza si fanno sentire,
decido di prendere subito un Moment per attenuare un po’ il mal di testa.
Dopo colazione
la situazione inizia a migliorare e ci mettiamo in viaggio diretti verso il
Parco dell’Isalo, la strada che percorriamo è sempre l’ ormai mitica RN7.
Il viaggio è molto lungo, dovremo percorrere circa 400 km ma grazie alla
bellezza e alla varietà dei paesaggi che attraversiamo, il tragitto ci passa
velocemente.
Ci lasciamo alle spalle subito dopo Fianar la zona degli altopiani, superiamo
tutti territori coltivati a riso, adesso man mano che scendiamo, le nuvole
grigie che prima compattavano il cielo di un grigio monocromatico adesso
iniziano a prendere forma e spessore e disegnano forme dalle mille sfumature,
facendo da sfondo ad una terra che via via si fa sempre più arida e la stessa
diventa sempre più color rosso aranciato…. sembra un dipinto in cui
l’autore ha utilizzato tutti le tonalità di colore.
Continuiamo e superiamo il parco Nazionale de L’Andringita, più avanti sullo
sfondo si delineano massicci montuosi le cui forme ricordano cose o figure
reali: il profilo di uno somiglia al Cappello del Cardinale e un altro alla
sagoma distesa di una donna incinta.
Più avanti altri due massicci che per la loro uguaglianza sono stati chiamati
“le due gemelle”.
Questo definizione e la struttura dei massicci, mi porta con la mente a casa… in Italia, più precisamente nella zona dove viviamo, Ancona, specificatamente nella zona del Parco del Conero, dove c’è una spiaggia chiamata “le due sorelle” , qui la somiglianza dei due massi immersi nell’acqua limpida, ha dato il nome alla spiaggia stessa.
A questo punto della zona degli altopiani non c’è più nessun segno, attraversiamo una città, dove ci fermiamo per prendere qualcosa da mangiare, Ioshy, il clima ora si è fatto torrido, non piove quasi mai in questa zona, siamo entrati nella regione dei Bara.
I Bara sono un gruppo tribale seminomade che pratica la poligamia, la loro cultura è incentrata quasi esclusivamente sugli zebù, nelle loro scala di importanza sono più rilevanti delle donne, sono anche il simbolo di ricchezza e la tradizione prevede che i giovani, per diventare uomini, debbano mettersi alla prova rubando zebù ad altre famiglie.
Il paesaggio è
divenuto una sconfinata pianura di terra rossa, non c’è altro per km, la
strada non è più asfaltata ma è una pista nella savana che spesso da rossa
diventa nera di cenere in quanto anche in questa regione i pastori sono soliti
praticare il tavy: in questo caso secondo i Bara bruciare l’erba secca fa
ricrescere quella nuova in maggior quantità e quindi per i loro zebù c’è più
foraggio, non tengono presente però che cosi facendo la terra diventa sempre più
povera, quindi meno produttiva e l’erba nuova perde gran parte del suo
nutrimento.
Ci fermiamo per pranzo lungo la Trepidation Road, cosi Mahery chiama la pista
che stiamo attraversando, sotto uno dei pochi alberi che troviamo, subito ci si
avvicina un ragazzo Bara che sta facendo pascolare i suoi zebù, si mette a
parlare con il nostro autista che poi ci dirà che il ragazzo gli ha chiesto se
conosceva qualche ragazza perché alla sua età è ora di metter su famiglia.
Passano altre
due ore prima di arrivare all’ hotel dove pernotteremo per le prossime due
notti, Le Relais de la Reine.
Si trova immerso nel parco dell’Isalo: l’Isalo è un massiccio di 80000
ettari di roccia arenaria la cui età è da far risalire all’epoca giurassica
ed è quindi profondamente segnato dall’ erosione, i panorami che ci regala,
ce lo fanno accostare a dei paesaggi che abbiamo visto in Cappadocia nel lontano
1994.
Subito dopo aver
preso possesso della camera che è immensa, non poteva essere altrimenti visto
quello che abbiamo pagato, andiamo a fare un giro a piedi intorno all’albergo.
È caldissimo e ci siamo svestiti troppo, non pensavamo ci fossero tanti insetti
che ora stanno banchettando su di noi, negli altopiani non ci eravamo abituati,
così indispettiti non ci resta che tornare in camera e rilassarci.
Quello che la
natura ci offrirà dopo poco è un regalo inaspettato, assistiamo infatti ad uno
dei tramonti più belli che mai ci sia capitato di vedere, questo grazie ad un
temporale… infatti ora il cielo è diventato parzialmente grigio, dietro il
massiccio si è aperto un arcobaleno che divide in due il cielo da nord a sud,
dalla parte opposta dove sta tramontando il sole il cielo è diventato
completamente di un arancione intensissimo, in alcune zone del cielo si possono
ancora vedere i fulmini che lo illuminano, per giunta i pinnacoli erosi che si
stagliano dal massiccio hanno preso un colore più rosso che mai.
Credo che uno spettacolo del genere sia difficilmente ripetibile… e rimaniamo
incantati con lo sguardo perso nel vuoto fino a quando non scende il buio.
A cena siamo nel
ristorante dell’albergo, tanto non c’e altro nel raggio di 20 km, i
camerieri parlano poco l’inglese, quindi non riescono a spiegarci bene le
pietanze, così a caso scegliamo una zuppa di verdure, del pollo al carry, per
Annalisa banana split e per me una torta alla pesca.
A fine cena, quando la cameriera ci porta due banana split, per farle capire che
avrebbe dovuto sostituirla con la torta, Annalisa le ha fatto lo spelling in
italiano, anzi in dialetto anconetano, lei ci ha guardato stupita, ma dopo
essersi fatta una risata ha capito e ci ha portato la torta che avevamo chiesto.
10/11/03
La sveglia è come sempre alle 06.30 per poter partire alle 07.30.
In perfetto orario ci dirigiamo verso il paese, Ranohira, non c’è nulla, è
solo il punto di partenza per la escursioni al parco, qui presso
“l’ufficio” ANGAP (associazione ufficiale delle guide)… vabbè di
ufficio ha veramente poco: un bancone sotto un porticato che sembra una
bancarella, ingaggiamo una guida free lance, si chiama Dollar, parla
discretamente l’italiano ed è un rasta.
La prima tappa
sarà il Canyon des Singes, Canyon delle scimmie, con l’auto arriviamo fino ad
un certo punto poi siamo costretti a proseguire a piedi per circa 3 Km, tra
risaie incolte (qui la stagione è secca) e campi pieni di insetti e cavallette,
superiamo anche un piccolissimo villaggio di 3 o 4 capanne, con un piazzale nel
mezzo, dove le donne anziane e bambini ci guardano e ci rivolgono il solito
saluto: Vazaha Salama.
È un caldo allucinante, sono le 9 del mattino e stiamo camminando sotto un sole
che già è cocente, comunque il tragitto passa velocemente, con Dollar abbiamo
instaurato subito un buon rapporto, lui si sforza molto di parlare italiano
perché vuole perfezionare il suo linguaggio, è un autodidatta.
Riusciamo a
parlare di tutto, dalle elezioni che si sono svolte il giorno prima, ci dice che
il partito per cui ha votato ha avuto la maggioranza, gli parliamo della
politica italiana e dei sogni che ci vengono propinati dai nostri politici, gli
chiediamo cosa pensa dei Tavy e concorda che sono un sistema assolutamente
sbagliato, gli parliamo dei posti del Madagascar che fino adesso abbiamo visto,
fino a quando lui inizia un monologo e ci descrive la sua vita attuale.
Ci dice di avere dei problemi in famiglia, che la sera stessa andrà a parlare
con il Sindaco del paese e con la donna più anziana del villaggio perché il
suo matrimonio è in crisi, sua moglie si ubriaca spesso e questo non va
assolutamente bene soprattutto per le sue due bambine, quindi vorrebbe
divorziare e tornare a Fort Dauphin da dove viene.
La facilità di comunicazione che si riesce ad avere con questo popolo è una delle cose che più mi è rimasta impressa, loro riescono a comunicare in maniera semplice ed alquanto coinvolgente non preoccupandosi se ti conoscono da un minuto o da un anno, se sei bianco o nero, ti possono raccontare cose che noi probabilmente non racconteremo neanche al nostro amico più intimo, hanno rapporti sociali che nella nostra cultura ultra tecnologica e veloce abbiamo definitivamente perso.
Dopo un’ ora
di cammino circa arriviamo all’ingresso del canyon, si apre davanti a noi in
tutta la sua bellezza, è una vallata che fa da ingresso a quello che ci aspetta
più avanti, la vegetazione è tipicamente tropicale e lussureggiante, il fiume
che scorre è calmo e la sua acqua è pulita e cristallina tanto che Dollar ne
beve diversi sorsi.
In questa zona riusciamo ad avvistare anche una famiglia di lemuri Sifaka, dopo
una mezz’ora circa di cammino siamo praticamente all’inizio vero e proprio
del canyon, lo spettacolo che ci circonda è di una bellezza estrema, siamo di
fronte a due pareti di roccia rossa che si alzano verticalmente per 200mt,
distanziate tra loro di non più di 20mt, il tutto per una lunghezza di 6 Km,
con il fiume, che scorre nel mezzo della valle.
Risaliamo il canyon per circa la metà della sua lunghezza, ci riposiamo un
po’ continuando a parlare con Dollar della sua filosofia di rasta poi, visto
che si sta facendo troppo tardi e nel pomeriggio effettueremo un’altra
escursione, decidiamo di tornare alla macchina.
Sulla via del ritorno incontriamo delle ragazze con una maschera di argilla gialla essiccata spalmata sul viso, Dollar ci spiega che è un composto di terra e acqua che deve esser tenuto per qualche giorno, una volta tolto la loro pelle risulterà più liscia e più chiara.
Per pranzo acquistiamo un po’ di frutta e dei biscotti che mangeremo all’ingresso della Piscina Naturelle, vediamo che Dollar per pranzo prende solo del pane e gli chiediamo per quale motivo, ci dice che non vuole farci spendere troppo!!!… la carne il riso e le verdure da mettere nel suo panino siamo costretti ad insistere per fargliele comperare, non ne voleva sapere (spenderà poco più di 50 centesimi di euro!!!).
Al parcheggio della Piscina Naturelle dividiamo il pranzo con Mahery , Dollar e un ragazzo, che di lavoro fa il portantino per i turisti che campeggiano all’interno del parco, è sfinito ed è uscito dal parco da appena pochi minuti.
Subito dopo il
veloce pasto ci incamminiamo per raggiungere la meta, ci vorrà circa un’ora e
mezzo, non sappiamo dove guardare e quali scorci fotografare, siamo nel mezzo di
un paesaggio lunare, con le rocce che formano le figure più strane, la maggior
parte somigliano a quelle che abbiamo già visto in Cappadocia, i “camini
delle fate”, chiamati così per la loro forma a camino con un cappello di
roccia appoggiato sulla sommità.
Dollar ci fa notare che in alcuni buchi delle rocce ci sono delle tombe Bara,
loro hanno l’usanza di riesumare i cadaveri dopo 3, 4 anni dalla sepoltura,
durante il rito della riesumazione si fa una vera e propria festa, si uccide uno
zebù, si beve il Rhum, si balla per almeno due giorni consecutivi, si lavano le
ossa del morto, che, dopo esser state spalmate con grasso di zebù, verranno
riposte in una cassetta più piccola e nuovamente tumulate, in un altro posto e
questa volta maniera definitiva.
Arriviamo
finalmente alla meta agognata, non possiamo chiedere di meglio, una piscina
naturale, in mezzo alla vegetazione tropicale, con fiume che forma una cascata
di 3 mt, un laghetto profondo due metri con acqua tiepida e limpidissima,
nessuna altra persona in zona.
Non resistiamo alla tentazione di tuffarci.
Rimaniamo a
bagno per diverso tempo, fino a quando Dollar ci dice che è ora di tornare
indietro per andare a goderci il tramonto alla Fenetre de L’Isalo.
Sfiniti, dopo aver salutato Dollar e aver fatto la foto di gruppo, io Anna e
Mahery alla Finestra dell’Isalo, con immancabile acquazzone in lontananza,
rientriamo in albergo, dove, dopo la solita doccia andiamo a cena …questa sera
non commettiamo alcuna gaffe.
11/11/03
Oggi, purtroppo, è il giorno in cui ci dovremo dividere dal nostro compagno,
amico di viaggio, infatti nel primo pomeriggio alle 15 abbiamo il volo
dell’Air Mad che da Tuelar ci porterà a Tanà, da lì domani mattina
prenderemo il volo che ci porterà al mare, Nosy Be.
Il nostro umore è abbastanza triste, percorriamo i 250Km che dividono il parco
dell’Isalo a Tuelar, praticamente in silenzio, attraversiamo un paesaggio che
man mano diventa sempre più arido, sta prendendo le sembianze di un deserto, in
questa zona la percentuale di pioggia annua è praticamente nulla, di tanto in
tanto si innalzano baobab che spezzano la linea perfetta dell’orizzonte, più
avanti verso Tuelar attraversiamo molti villaggi le cui capanne sono fatte di
terra cotta, infatti la stessa mantiene una temperatura leggermente più fresca
rispetto al legno, il tetto e fatto con le solite foglie dell’albero del
Madagascar di cui purtroppo non ricordo più il nome.
Appena fuori i villaggi ci sono delle tombe, sono ornate con teschi di zebù,
sacrificati alla morte del defunto, dipinte con raffigurazioni di vita
quotidiana, siamo entrati nella regione dove vive il popolo Mahafaly famoso
proprio per l’arte funeraria.
Raggiungiamo
Tuelar alle 11 e decidiamo di fare un giro nel centro della città, tanto
mancano quattro ore alla partenza per Tanà.
La città si presenta alquanto caotica, di nuovo vediamo una notevole quantità
di pousse-pousse, questa volta non sono belli e curati come quelli che abbiamo
visto ad Antsirabe, il traffico è infernale e si dipana attraverso strade
sterrate dalle quali si alza una coltre di polvere che rende l’aria quasi
irrespirabile.
Comunque il
nostro scopo è fare uno spuntino e bere qualcosa di fresco prima di andare in
aeroporto… questa scelta si rivelerà sbagliata, infatti mentre mangiamo un
pacco di Tuc-Tuc e beviamo una Coca fresca seduti in un bar fatiscente ai bordi
della strada principale, all’aeroporto i funzionari dell’Air Mad stanno
vendendo direttamente ad un gruppo di 20 persone altrettanti biglietti, creando
cosi un over-booking sul volo.
Ci presentiamo in aeroporto alle 12,15 per fare il check-in, i funzionari ci
dicono che il volo è pieno e che anche se abbiamo confermato il volo 4 giorni
prima non è possibile fare nulla e dovremo restare a Tuelar una notte e
prendere il volo domani insieme alle altre 20 persone che sono inaspettatamente
rimaste a terra.
Non ci scoraggiamo e insieme a Mahery, anzi soprattutto grazie a lui che ci fa
da intermediario e traduttore, cerchiamo di intavolare una trattativa ma il
risultato è pessimo… il boss dell’Air Mad di Tuelar, un tipo alto e
magrolino, che a me ricorda Morgan Freeman smagrito, ci dice che è dispiaciuto
dell’accaduto e non c’è altra soluzione se non quella di dormire una notte
a Tuelar , al Melody Beach, ovviamente tutto a loro spese, partire il giorno
seguente, soggiornare e pernottare a Tanà all’hotel du France, ripartire la
mattina successiva per Nosy Be.
Non c’è nulla da fare, da una finestrella dell’ufficio vediamo l’aero che
avremmo dovuto prendere decollare: “DOBBIAMO RESTARE LI”.
Visti le nostre precedenti vacanze un viaggio senza un contrattempo, non è pensabile… questo in fin dei conti è il male minore che ci potesse capitare, per cui rassegnati all’idea di perdere un giorno e mezzo dei già pochi che avevamo dedicato per il mare, partiamo dall’aeroporto con Mahery per raggiungere il Melody Beach. Nella trattativa con l’Air Mad infatti è riuscito a farsi dare una congrua quantità di FMG per il giorno perso, per il nostro transfer da e per l’aeroporto all’Hotel e per il suo vitto e alloggio.
L’albergo non
è male, è sulla spiaggia, ma vediamo subito che non è possibile fare il
bagno, l’acqua non è bella per cui trascorriamo il pomeriggio al bar insieme
al nostro amico a fare una chiacchierata, sorseggiando diverse bottiglie di
birra fredda.
Questa volta parliamo soprattutto di calcio e calciatori, lui dice di essere un
esperto, che da bambino era un giocatore, io gli racconto della mia passione per
il Milan, delle trasferte che ho fatto tra cui,Barcelona, Manchester, lui dice
di conoscere calciatori come Altobelli, Van Basten, Maratona, Del Piero ma li
colloca tutti nello stesso periodo temporale … ha un po’ di confusione ma
non avendo la televisione a casa è perdonabile.
Al banco del bar
c’e solo una ragazza che non si è mai mossa da lì, la vedo ascoltare attenta
i nostri discorsi, alla fine ci dice che le piaceva sentirci parlare in quel
misto di inglese e italiano che utilizziamo per colloquiare con Mahery, così
mentalmente anche lei poteva ripassarsi le poche parole di italiano che
conosceva.
Insieme ad Annalisa decidiamo di scrivere delle pagine di quaderno con le frasi
più comuni tradotte dall’ italiano all’inglese e di lasciarglielo come
regalo.
Stesso discorso del ragazzino al Lac Tritava: non potevamo farla maggiormente
felice neanche regalandole soldi.
La sera per cena
siamo di nuovo al bar ristorante del Melody Beach, siamo soli, preparano solo
per noi una cena abbondantissima e squisita, zuppa di pesce, riso in bianco e un
piatto di gamberetti piccanti e un altro con salsa al cocco.
È la prima sera che sentiamo veramente caldo, ci saranno circa 28-30° con un
tasso di umidità molto alto, passiamo una nottata un po’ agitata sia per il
caldo umido che per l’ansia che ci prende al pensiero che potremmo avere di
nuovo problemi con il volo.
12/11/03
Ci svegliamo molto presto, il sole è spuntato da poco, non sapendo come passare
il tempo fino alla colazione decidiamo di fare una passeggiata lungo mare, ieri
avevamo visto che a circa un paio di Km a nord dall’albergo c’è un
villaggio, di cui ignoriamo il nome, pensiamo di raggiungerlo passando per la
spiaggia.
È mattina prestissimo ma la vita è già cominciata… incontriamo molta gente,
c’e chi ripara le reti da pesca, chi si adopera per allestire una piccola
bancarella, pescatori che stanno preparando le loro imbarcazioni per andare a
pesca, donne che con ceste grandissime sulla testa si incamminano per andare a
comperare o barattare qualcosa in centro, bambini che già giocano sulla
spiaggia… tra tutta questa gente vediamo uscire da una casa un signore con in
testa degli occhialini da nuotatore, larghi più o meno come un oblò, stile
maschera anni ‘70, vediamo che ci guarda, ci dice qualcosa: “ i remembar you,
yesterday in airport…see you later”, poi ci saluta, ci sorride, indossa gli
occhialini, si tuffa in acqua e scompare tra le mangrovie, noi rimaniamo ad
osservarlo stralunati… riconosciamo che è uno dei due funzionari che ieri
erano all’aeroporto, lo salutiamo, ma lui è gia a largo a godersi il suo bel
bagno mattutino.
Rientriamo verso
le 8 per fare colazione dopodiché decidiamo di andare di nuovo a Tuelar, questa
volta all’ufficio dell’Air Mad, e verificare se con il volo è tutto a
posto.
Nuova sorpresa… il volo della mattina seguente che da Tanà ci deve portare a
Nosy Be è pieno, per cui ci prenotano sul volo per il pomeriggio succesivo alle
18,30, perderemmo un altro giorno!!!.
Questa volta siamo visibilmente scocciati, ci rivolgiamo a “Morgan Freman”
in modo infastidito, gli diciamo che ci stanno rovinando la parte finale del
viaggio, che devono trovare una soluzione diversa da quella che ci hanno
prospettato, che una compagnia aerea non può funzionare così, etc.etc…
Lui, per nulla agitato ci dice di stare tranquilli, troverà un rimedio che ci
illustrerà in aeroporto.
Appena rinfrancati usciamo dall’ufficio e ci dirigiamo all’aeroporto, dopo esser passati da un internet cafè da dove inviamo due mail, una a casa e l’altra all’Hotel di Nosy Be che aspetta il nostro arrivo nel pomeriggio.
Questa volta
arriviamo con molto anticipo, il nostro volo parte tra quattro ore, siamo i
primi passeggeri arrivati, tutti gli inservienti sono vestiti con lo stesso
grembiule verde smeraldo che indossavano anche il giorno precedente, il
grembiule risalta sulla loro pelle color cioccolato e fa spiccare ancor di più
il loro timido sorriso sdentato…
Capisco ora il senso del proverbio malgascio che trovo sui messaggi di Marcaval,
che tante volte ho letto su IHV e cioè(Hai un dente solo? Sorridi almeno con
quello!)
Infatti quasi tutti i malgasci hanno la dentatura priva di alcuni denti.
Noi dobbiamo
cercare di ingannare il tempo, Annalisa legge, io osservo meglio quello che c’è
intorno a me:
il tabellone delle partenze e arrivi non è altro che una lavagna di due metri
con gli orari e le destinazioni scritte a gesso, la bilancia per pesare i
bagagli è di ferro grigio, è gigantesca con una lancetta enorme tipo le
bilance della pesa pubblica, la porta da cui ci si imbarca è una vetrata con in
mezzo inciso il nome dell’aeroporto, tenuta da un telaio di legno, ingrigito e
quasi bruciacchiato dal sole e dalle calde temperature, niente assolutamente
niente che sia uno strumento elettronico a parte il telefono.
Riesco a comprendere il problema del giorno prima.
Comunque
un’ora prima della partenza, quando ormai l’aeroporto è pieno di
passeggeri, il boss “Morgan Freeman” ci fa chiamare nel suo ufficio e ci
illustra la soluzione che ha trovato per accontentarci: ci dice che il volo di
oggi partirà alle 13.30, sarà a Tanà alle 15,00 circa, alle 15,00 da Tanà
c’e un volo per Nosy Be che aspetterà noi per la coincidenza.
Non avremo neanche un secondo da perdere…non so come sarà possibile prendere
due aerei uno che arriva e uno che parte allo stesso orario però l’idea ci
pare una buona e accettiamo la proposta.
Salutiamo Mahery, non è un addio perché ci ha detto che l’ultima sera a Tanà, visto che avremo molte ore da aspettare per la coincidenza internazionale, ci verrà a prendere per andare a cena insieme, dopodiché ci imbarchiamo sull’aereo.
Durante il volo
gli stuart ci fanno sistemare in prima fila perché dovremmo essere i primi a
scendere dall’aeromobile.. così sarà… appena atterrati a Tanà vediamo
sulla pista di fianco a noi, pronto per partire, un altro aereo e una hostess
che correndo sulla pista ci viene incontro, ci fa attraversare la pista di corsa
e ci accompagna sull’aereo che effettivamente ci ha aspettato…
INCREDIBILE siamo a bordo pronti per partire!!! Anche questo è Madagascar.
All’ aeroporto di Nosy Be contrariamente a quanto pensavamo, troviamo anche i bagagli, che sinceramente avevamo dati per persi, avremmo scommesso 1 contro 100 la perdita degli zaini.
Contattiamo uno
dei tassisti che si trovano fuori dall’ aeroporto, trattiamo il prezzo e ci
facciamo accompagnare all’Orangea Village, che è l’albergo che abbiamo
prenotato dall’Italia per i prossimi giorni.
Per arrivare dobbiamo percorrere gran parte del perimetro dell’isola,
riusciamo così a bordo di una scassata R4 a dare una sbirciata generale
all’isola che a prima vista ci sembra molto bella.
Arriviamo
intorno alle 18,00 proprio nel mezzo di un tramonto mozzafiato, ci accoglie Dany,
che è la direttrice della struttura: siamo in riva al mare, bungalows
abbastanza spaziosi, puliti e ben curati, immersi in un bel giardino tropicale.
Ci piace.
Inoltre il ristorante è posto vicino alla piscina, di fianco al bar, costruito
su una struttura di legno di palissandro e tetto di paglia che fornisce al tutto
un tocco di classe, per non parlare dei buonissimi piatti che ci verranno
serviti le sere successive, cucinati come al Tsara Guest House in un ottimo
misto franco malgascio, d'altronde Gianluca, il nostro gancio a Nosy Be ce ne
aveva parlato benissimo.
Gianluca è un ragazzo nato a Rimini, per qualche anno vissuto a Milano, poi a causa o grazie alla sua passione subacquea si è trasferito qui a Nosy Be dove insieme ad altri ragazzi italiani ha fondato un Dive Club “Manta Dive Club”, si è sposato con una ragazza del posto e proprio in questi giorni è diventato papà.
Per cena rimaniamo all’Orangea e proviamo qualche piatto di questa cucina che tanto ci è stata decantata, mangiamo un antipasto e un secondo di pesce, sono effettivamente squisiti, rimaniamo poi a far due chiacchiere con Dany e suo marito Ivan ai quali raccontiamo in un misto di lingue francese - inglese - italiano le nostre ultime peripezie.
13/11/03
La mattina seguente, dopo aver fatto la solita abbondante colazione abbiamo il
nostro primo appuntamento con Gianluca, al Manta Dive club.
Alle 7.30 ci viene a prendere il tassista del Manta Dive, è un ragazzo malgascio di nome Angelo, parla discretamente la nostra lingua, ci dice che ha due sorelle una delle quali vive in Italia, a Rimini, ed è sposata con un italiano, inoltre ha degli amici sardi che tutti gli anni lo vanno a trovare.
Dopo mezzora di strada arriviamo all’appuntamento con Gianluca, presentazioni di rito e ci imbarchiamo su un motoscafo diretti all’isola Nosy Tanikely per una giornata dedicata allo snorkel.
I nostri compagni di avventura sono italiani, i primi che incontriamo in questo viaggio, 3 ragazzi di Padova, che conoscono uno dei soci del club e sono da queste parti per fare immersioni, un ragazzo di Bologna e una ragazza di Venezia di nome Eva.
Arriviamo
all’isola dopo mezzora di navigazione, è molto piccola con una spiaggia di
sabbia bianca ed è famosa perché nei suoi fondali normalmente è possibile
avvistare le tartarughe marine.
Durante le due immersioni, immersioni si fa per dire… maschera pinne e
boccaglio, che facciamo intorno all’isola vediamo molte specie di coralli
variopinti di discrete dimensioni e in buone condizioni, la barriera corallina
qui è ancora abbastanza integra, vediamo molte specie di pesci tropicali
multicolori ma di tartarughe neanche l’ombra.
Probabilmente l’arrivo di alcune barche piene di turisti le hanno spaventate e
sono andate in luoghi per loro più tranquilli.
Rientriamo dal
giro per l’ora di pranzo, così decidiamo di seguire il consiglio di Gianluca
ed andare da Papà Bebeto che si trova ad Ambatoloaka, il centro della vita
dell’isola.
Il menù chiaramente elenca una serie di specialità a base di pesce e noi ci
buttiamo su un piatto di calamari e uno di gamberetti alla griglia accompagnati
dalla solita birra, veramente notevoli per una spesa complessiva di 8 euro.
Questa zona non
ci sembra un gran che, la spiaggia è bella, ma è piena di barche dei vari dive
club, la via principale è squallida, piena di polvere, con molti locali come
agenzie di viaggio, ristoranti, pub, frequentati da turisti europei, per la
maggior parte francesi, alla ricerca di qualche ragazza del posto che pur di
sopravvivere si vende a chiunque lo richieda.
Quello che vediamo non ci piace, uomini tra i 50-60 anni in giro con ragazzine
che in molti casi non ne hanno più di 20 .
È la prima volta, qui in Madagascar, che vediamo così diffuso questo fenomeno:
le ragazze le capiamo, cercano l’europeo “ricco”, da spennare per
trascorrere con lui più giornate possibili e nel modo più agiato possibile, ma
i turisti, quelli ci fanno veramente pena, gente che normalmente è avanti con
gli anni, che si fa 10000 km per venire a sfogare, a pagamento, i propri istinti
sessuali, probabilmente nei loro paesi non hanno la possibilità o il coraggio
di far nulla e arrivano in capo al mondo a sfruttare così ragazzine più o meno
consenzienti, in modo da rimanere nell’anonimato.
Vedere un posto così bello e incontaminato essere sfruttato per scopi
discutibili ci riempie di tristezza.
Torniamo all’Orangea con un taxi e ci fermiamo in piscina per rilassarci un po’, il discorso finisce nuovamente su quello che abbiamo visto ad Ambatoloaka , questa pratica insieme ai Tavy, sono due piaghe che il governo locale dovrebbe combattere al più presto, per preservare la bellezza del paese.
Comunque,
lasciando da parte discorsi moralistici , dopo un bagno e la doccia, siamo di
nuovo al ristorante per la cena che sarà ottima anche stasera.
Ci servono delle aragoste preparate da un turista francese, secondo me
buonissime, ma ad Annalisa non piacciono molto infatti sono condite da una buona
quantità di zenzero che a lei non piace.
Durante la cena inizia a piovere, con il passare dei minuti la pioggia aumenta
sempre di intensità fino a diventare un vero e proprio diluvio, a Diego Suarez,
la più grande città del nord Madagascar, i giorni scorsi c’è stato un
tifone, queste piogge dovrebbero essere la coda del ciclone… pioverà per
tutta la notte… tanto di giorno, secondo un detto dei locali nell’isola non
piove mai.
14/11/03
E così è, la mattina successiva all’alba smette di piovere e la giornata
anche se nuvolosa si ristabilisce leggermente.
Decidiamo di non fare l’escursione che ci eravamo prefissati, cioè il giro di
Nosy Sakatia piccola isola poco distante dalla spiaggia dell’Orange, i
sentieri potrebbero essere molto fangosi e il mare agitato ha reso la visibilità
in acqua non ottimale, per cui dedicheremo almeno la mattinata, ad un giro nella
capitale, Helle Ville, per vedere un po’ di vita locale e fare delle compere.
A Dany chiediamo
se ci può chiamare un taxi, ma le linee telefoniche con la pioggia della notte
scorsa hanno collassato e ora non funzionano… noi non ci scoraggiamo e ci
incamminiamo comunque alla volta di Helle Ville.
Attraversiamo il campo che separa l’Orangea dalla strada, è completamente
infangato e quando arriviamo lungo la strada siamo completamente sporchi dalle
ginocchia in giù.
Ci puliamo alla meno peggio con l’erba che troviamo ai bordi della strada e
iniziamo ad incamminarci verso la capitale, non appena passa qualche macchina o
camion facciamo l’autostop.
Non dobbiamo attendere molto, dopo due o tre macchine i cui piloti ci guardano
dubbiosi e continuano per la loro strada, si ferma un ragazzo che con un fuori
strada ci da un passaggio.
Probabilmente è francese, lo possiamo capire dai lineamenti e dalla musica
transalpina che ascolta, osservandolo penso che si sia stabilito nell’isola da
molto tempo… dato il colore scuro della sua pelle.
Una volta in
centro andiamo a spasso senza meta, attraversiamo il solito mercato all’aperto
e entriamo in qualche negozietto per acquistare souvenir, ci rechiamo in un
Internet cafè da dove inviamo una mail di saluto a casa e poco distante da lì
entriamo in un hotely dove mangiamo qualcosa molto velocemente.
Nel frattempo la giornata si è ristabilita completamente così, dopo aver
chiesto informazioni su quale è la spiaggia più bella dell’isola, prendiamo
un taxi e ci facciamo portare ad Andilana, che è la spiaggia più a nord di
Nosy be ed è famosa anche perché qui è stato costruito il villaggio dei
Viaggi del Ventaglio.
La spiaggia è veramente molto bella, è in una baia lunga 200-300 mt, la sabbia è finissima di colore giallo, perde un po’ di fascino rispetto a quelle che abbiamo visto anno scorso a Zanzibar, “ bianchissime”, ma complessivamente è sicuramente la più bella che abbiamo visto sull’isola, inoltre l’acqua è cristallina e la spiaggia circondata da palme.
Annalisa si intrattiene per mezzora in una estenuante trattativa con delle venditrici di tovaglie ricamate, l’isola è famosa per la qualità dei ricami, prima di comperarne un paio… d'altronde la contrattazione le piace molto!!! Ma che p…e!!!
Continuiamo il giro e arriviamo nella zona dove è stato costruito il Venta club, è una struttura molto grande dotata di tutti i confort possibili e immaginabili, con tanto di tartarughe all’ingresso, ma come potrete aver capito questo tipo di strutture non ci piace, così piuttosto che visitare il villaggio ci sdraiamo per riposarci un po’ all’ombra di una palma.
E’ ora di
tornare all’Orangea ci dirigiamo verso la strada principale dove fermiamo un
Taxi: è la R4 più scassata che io abbia mai potuto vedere, credo cammini per
“spirito divino”, il serbatoio è una tanica di plastica da 5lt che si trova
all’interno dell’abitacolo, sotto il sedile del passeggero ed è collegato
al motore tramite una calza, tipo quelle che da noi si usano per annaffiare i
giardini.
Durante il tragitto, il tassista nei pressi di un villaggio si ferma lungo la
strada, si avvicina alla macchina una giovane ragazza e porta all’autista una
bottiglia di vetro da 1 lt con dentro un liquido trasparente, lui la prende
annusa il contenuto con cura lo svuota nella tanica, paga qualche FMG …
benzina è stata fatta!!!… tutto è a posto, il tassista riprende la guida
alla volta dell’albergo, dove arriviamo poco dopo.
Chiediamo informazioni su questa strana pratica: ci dice che l’auto non è sua
ma la prende a noleggio in centro per cui non è detto che il giorno dopo
riprenda la stessa, quindi è prassi comune tra tutti i tassisti di Nosy che non
hanno un auto propria, riportare l’auto noleggiata al deposito con meno
benzina possibile. Tutto chiaro!!!
Dopo la solita doccia prima di cena, raggiungiamo il ristorante dell’albergo, mi rendo conto che questa sera non mi sento benissimo, forse gli effetti collaterali del Lariam si fanno sentire, forse la Capirinha bevuta a stomaco vuoto prima di cena, forse l’accumulo di un po’ di stress e stanchezza, forse l’aver mangiato poco a pranzo e bevuto un paio di birre fredde, sta di fatto che a un certo punto durante la cena mi sento svenire… o meglio sono proprio svenuto!… sul tavolo… di fronte ad Annalisa… mi hanno risvegliato a suon di schiaffi e acqua in faccia, con grande spavento da parte di tutti coloro che erano a cena, poi Patricio, il cameriere con il quale abbiamo instaurato un ottimo feeling e Annalisa mi hanno accompagnato in camera, dove mi sono abbandonato ad un sonno profondo dalle 21,00 fino all’alba del giorno dopo.
15/11/03
Ad Annalisa invece, la notte non passa mai; rimane a vegliarmi per tutto il
tempo e quando la mattina suona la sveglia dice di sentirsi sollevata, perché
ho dormito in modo profondo e tranquillo, ma è anche preoccupata, infatti è il
giorno dell’escursione a Nosy Iranja e dobbiamo fare 3 ore di barca per andare
e tre ore per tornare, il suo dubbio è: se dovessi sentirmi di nuovo male…?
In barca…? O peggio in acqua…? Saremmo fuori dal mondo, senza nessuno che mi
possa soccorrere!
La rassicuro, le dico di sentirmi molto meglio e di non voler perdere per nessun
motivo l’escursione alla quale teniamo di più, inoltre la tranquillizzo
dicendole che prima faremo colazione poi, se non avrò nessun fastidio,
partiremo.
Tutto ok alle 8 decidiamo di intraprendere l’avventura.
C’è già Angelo che ci aspetta, saliamo in macchina, nel tragitto ci racconta della giornata precedente che ha trascorso con Eva, insieme hanno fatto il giro dell’isola, sono stati a vedere cascate, alberi strani, piantagioni di Ylang-Ylang ecc.ecc…, i suoi raccanti ci entusiasmano e decidiamo che domani faremo con lui lo stesso tour.
Arriviamo
all’appuntamento con Gianluca alle 8,30, questa volta nelle barche oltre ai
ragazzi italiani che erano con noi a Nosy Tanikely, ci sono anche i viveri per
il barbecue che faremo per pranzo e altri due “cuochi marinai”.
Ci sistemiamo nel modo più comodo possibile consapevoli che per le prossime 3
ore dovremo sopportare lo sbattimento della barca sulle onde dell’Oceano
Indiano.
Dopo circa due ore di navigazione riusciamo ad intravedere la forma
dell’isola: all’inizio ci appare come due punti verdi, leggermente
distanziati uno dall’altro, immersi nella profondità del blu delle acque
dell’oceano e dell’azzurro intenso del cielo tropicale, avvicinandoci sempre
di più riusciamo a distinguere perfettamente la sua composizione: due isolotti
verdissimi attaccati l’uno all’altro da un istmo di sabbia bianca accecante,
il tutto circondato da acque trasparenti di color turchese. STUPENDO!!!.
Le due isole sono di dimensioni diverse, la più grande si chiama Nosy Iranja Be
è di 200 ettari, al suo interno c’è un villaggio di pescatori Sakalava, la
popolazione del nord est del Madagascar, l’altra più piccola Nosy Iranja Kely,
è di 13 ettari e qui è stato costruito un resort.
La più piccola mi fa tornare in mente un’altra isola splendida che abbiamo
avuto la fortuna di vedere in un altro viaggio, Tabacco Caye ad aprile del 2001
nell’arcipelago del Belize.
Anche questa era grande più o meno come un campo da calcio, si trovava a
ridosso della splendida e rinomata barriera corallina del Belize, era
completamente ricoperta da palme da cocco, sabbia bianca e al massimo c’erano
20 turisti: il ricordo mi fa accapponare la pelle…
Scendiamo dalle
barche, io e Annalisa siamo liberi di girare da soli, gli altri insieme a
Gianluca vanno a fare un’immersione negli splendidi fondali circostanti, i
“cuochi marinai” iniziano a preparare per il pranzo.
Nel giro che facciamo attraversiamo il villaggio dei pescatori Sakalava, così
possiamo osservare come si sono organizzati per vivere in questo paradiso.
Le considerazioni che facciamo sono queste: vivono su un’isola stupenda, su
delle case fatte di legno e palme da cocco, molto spartane ma dignitose, hanno
il pesce che vogliono sempre fresco e di ottima qualità, la carne non gli
manca, infatti oltre a galline e maiali ci sono anche degli zebù che scorazzano
per l’isola, hanno fiori, alberi e verde dappertutto, ma soprattutto
guardandoli vediamo che hanno una grande dignità, sembrano proprio felici,
certo sono isolati e non hanno le comodità a cui siamo abituati, ma a noi un
pizzico di invidia per quella vita cosi ci viene.
Giriamo senza
meta per un’ora quando una coppia di signori di Varese, arrivati con un altro
gruppo, ci dice che in una spiaggia dietro il villaggio ci dovrebbero essere
delle tartarughe.
La spiaggia è semplicemente fantastica: sabbia bianchissima, quasi abbagliante,
talmente fina da sembrare borotalco, circondata da sassi neri, tipo quelli che
ho visto su alcune foto delle Seychelles, immancabili palme da cocco, il mare
che con la spiaggia forma una baia le cui sfumature di colore vanno dal celeste
chiaro al blu intenso.
Siamo solo in quattro noi e la coppia di Varese, facciamo un altro bagno, ma
anche stavolta di tartarughe neanche l’ombra… siamo “sfortunati”!
Sono già
passate due ore e vediamo che Gianluca con gli altri ragazzi tornano
dall’immersione, nel frattempo i “cuochi marinai” hanno già preparato
tutto: si sono piazzati su un tavolo di legno sotto alcune palme, manchiamo solo
noi… ci affrettiamo dirigendoci verso la tavola imbandita.
Mangiamo spiedini di gamberi e di zebù (tanto lo mettono da qualsiasi parte),
un’insalata di riso con pesce lesso e verdure, una zuppa di granchio con
pomodoro e spezie varie, tranci di barracuda arrosto cotti al carbone, solita
birra o coca-cola, ananas e mango a volontà…
Cosa chiedere di meglio?
Dopo pranzo
mentre i sub stanchi decidono di riposarsi, io ed Annalisa visto che c’è
bassa marea e possiamo raggiungere l’altra isola partiamo con l’impegno di
tornare per le tre e mezzo perché dobbiamo rientrare prima dell’arrivo del
buio.
Perdiamo la misura spazio temporale, a malincuore ci accorgiamo che è ora di
rientrare anche se abbiamo percorso solo la metà del percorso e infatti quando
arriviamo al punto di ritrovo una barca era già partita, l’altra ci stava
venendo incontro.
Il tragitto di ritorno ci riserva due belle e inaspettate sorprese, dopo un’ora di navigazione proprio davanti alla nostra barca vediamo una balena che a 100mt da noi esce dall’acqua per prendere un po’ d’aria, poi probabilmente incuriosita sfila di fianco alla barca a non più di 10 mt di distanza, subito dopo scompare inabissandosi…poco dopo a pochi metri di distanza dalla prua vediamo due pinne dorsali, io da profano pensavo fossero due squali, ma tutti gli altri gridano in coro: “ squalo balena”, è un mammifero docilissimo con cui si può fare il bagno insieme, ma proprio mentre tutti ci stavamo spogliando per entrare in acqua, come la balena si è immerso e non si è più visto.
Arriviamo alla
spiaggia di Mandirokely pochi minuti dopo il tramonto, già Angelo è sulla
spiaggia ad aspettarci, gli chiediamo se può aspettare ancora un po’,
dobbiamo andare da Gianluca, domani non lo vedremo, poi il giorno dopo partiremo
di nuovo per Tanà, vogliamo salutarlo e ringraziarlo per la sua cortesia e
disponibilità.
Abbiamo modo di conoscere sua moglie, ha un pancione enorme, pochi giorni dopo
Gianluca avrà un erede, ce lo comunicherà via mail dopo 4 giorni dal rientro
in Italia.
Rientriamo in albergo veramente sfiniti, solita routine doccia, aperitivo, cena,
rhum Dzama Cart Rouque, un discreto rhum locale, a letto presto.
16/11/03
Alle 8 Angelo è già al parcheggio che ci aspetta, saliamo nella sua Pegeout
405, come sempre pulitissima, sicuramente l’auto in condizioni migliori che ho
visto in questo viaggio e partiamo per il tour.
I primi due
posti che vediamo sono due luoghi sacri: il primo è una cascata immersa in una
fitta boscaglia, per raggiungerla abbiamo dovuto camminare per mezzora in mezzo
a campi coltivati, le sue acque sono di color marrone causa la molta pioggia
caduta, niente di particolare, il secondo invece è molto più interessante, si
tratta di un albero di una specie rarissima.
Angelo dice che probabilmente c’è solo un altro esemplare al mondo, forse in
Malesia, che tutti i turisti che ha accompagnato gli hanno detto di non aver mai
visto un albero simile a quello.
Se è un esemplare unico o meno questo non lo sappiamo, però quello che vediamo
è veramente spettacolare….si tratta di un albero che non ha un unico tronco
principale, le radici si mescolano con i rami, è alto circa 10 mt ed ha una
base quadrata di 20mt circa, la gente del posto lo chiama l’Arbre Sacrè.
Rimaniamo ad osservare questo inedito spettacolo della natura per alcuni minuti,
poi di nuovo in auto diretti in una piantagione di Ylang-Ylang.
Nosy Be è
famosa per questo albero che fa dei fiori profumatissimi verdi o gialli, dai
quali si ricava l’omonima profumata essenza.
I rami dell’albero vengono tenuti appositamente bassi, tipo quelli delle viti,
per facilitare il raccolto, infatti i fiori che vengono prodotti durante tutto
l’anno vengono raccolti giornalmente.
Da un quintale di fiori si ricava circa 3 kg di olio profumato che verrà poi
trattato ed esportato nei paesi occidentali dove viene utilizzato
nell’industria dei profumi.
In questa grande
piantagione, finalmente vedo per la prima volta l’albero di un frutto
buonissimo che personalmente non conoscevo: il Lietchi.
L’albero è molto grande tipo una quercia e produce dei frutti a grappolo di
colore rosso, simili ai graspi di uva, il frutto una volta tolta la ruvida pelle
rossa è polposo e somiglia ad un gigantesco chicco di uva con la differenza che
al suo interno c’è un solo unico osso, il sapore si avvicina a un misto tra
uva e ciliegia e pompelmo.
Compriamo circa 1,5Kg di questo frutto squisito, un po’ ne regaliamo ad
Angelo, un po’ a Patricio, infine un po’ ne porteremo a Tanà per Mahery che
nei giorni scorsi ci aveva detto di esserne goloso.
Ora visto che
abbiamo alcune ore da dedicare alla tintarella e dobbiamo ancora mangiare ci
facciamo accompagnare alla spiaggia Andilana.
Lungo la strada, proprio davanti la spiaggia, Angelo ci dice che c’è il posto
migliore di tutta Nosy Be dove poter mangiare aragosta, il nome del ristorante
è “Il re dell’aragosta”.
Accettiamo il consiglio e andiamo a pranzo, mangiamo due aragoste, sicuramente
le più buone che abbia mai assaggiato, freschissime di 3 kg ognuna, un
antipasto a testa, un piatto di verdura a testa, due piatti di frutta, il tutto
per 180.000FMG, corrispondenti a 35 euri, con l’immancabile birra ad
annaffiare il tutto.
Mangiamo avidamente, succhiando qualsiasi parte dei crostacei, senza utilizzare
posate, ci accorgiamo che in un tavolo vicino al nostro c’è una coppia
francese, precisissima, ci guardano mangiare in modo “schifato”, come se
vedessero due morti di fame in un ristorante di lusso, quando arrivano le loro
aragoste le mangiano con coltello e forchetta e lasciano intatte le parti
migliori… non sanno cosa si sono persi!
Sazi andiamo in spiaggia, vediamo ancora il solito via vai di uomini bianchi e ragazze del posto per cui ci spostiamo più verso il villaggio di pescatori, facciamo un bagno e ci addormentiamo all’ombra di una palma per un paio di ore.
Alle 16,30
Angelo ci viene a riprendere, dobbiamo andare sul Mount Passot il punto più
alto dell’isola a 330mt di altezza, per vedere il tramonto.
Durante il tragitto Angelo ci racconta un po’ della sua vita, ci dice cosa
pensa della prostituzione sull’isola, ha più o meno la stessa nostra idea,
dice che capisce le ragazze infatti quasi tutte quelle che si prostituiscono
sono poverissime, dice di disprezzare i bianchi che fanno turismo sessuale perché
secondo lui approfittano della situazione di povertà che c’è nell’isola ,
dice di avere due bambine ma di non essere sposato perché e che si sposerà
quando la sua compagna avrà 40 anni, così si potrà essere sicuro che lei non
lo mollerà per scappare con qualche “europèano” ricco, le sue parole sono
di una durezza estrema e non fanno altro che rafforzare le nostre idee in merito
al turismo sessuale.
Arriviamo sul monte in tempo per il tramonto, la vista è veramente bella, il
sole sta tramontando davanti a noi, sul mare, i colori del cielo stanno
diventando rosso infuocato, riusciamo a vedere in lontananza la sagoma di Nosy
Iranja, sotto di noi ci sono le più belle spiagge di Nosy Be, Mandirokely e
Adilana, possiamo vedere tutte le verdi colline che formano l’isola e alcuni
dei 12 laghi presenti nella stessa.
Immancabile la foto di rito con il sole al tramonto alle nostre spalle.
Finito lo
“spettacolo” ci facciamo riaccompagnare all’Orangea, ci accordiamo per il
giorno successivo quando dovrà venire a prenderci per portarci all’aeroporto.
Siamo di nuovo a cena al ristorante dell’albergo, stasera salutiamo tutti , ma
in modo particolare Patricio, il cameriere che mi ha riaccompagnato in camera la
sera che sono svenuto.
Gli regaliamo il grappolo di Lietchi che abbiamo preso per lui, lo dividerà con
gli altri ragazzi dell’albergo.
17/11/03
E’ l’ultima mattina in Madagascar, almeno per questo viaggio, mi sveglio con
la solita aria malinconica che mi prende tutte le volte che sta per finire
un’esperienza come questa, abbiamo ancora tutta una giornata davanti a noi e
vorremmo viverla nel miglior modo possibile, inoltre dovremmo rincontrare Mahery
e questo già mi risolleva il morale.
Dopo colazione
facciamo un giro per le spiagge intorno all’Orangea, non sono un gran che,
quindi decidiamo di trascorrere la mattinata in piscina.
Andiamo a casa di Dany, lei vive con Ivan e il figlio di 12 anni all’interno
dell’Orangea in una dependance molto bella con la sala aperta sul giardino
tropicale dell’hotel, qui intorno ad un tavolo intarsiato di legno massiccio
saldiamo il conto e ci congratuliamo con lei perché sono riusciti a creare un
ambiente molto familiare che ci ha fatto sentire più ospiti a casa di amici che
clienti di un hotel, così le promettiamo di tornare a trovarla.
C’è già Angelo che ci aspetta, ci accompagna in aeroporto, siamo notevolmente in anticipo, ma con Air Mad non si può mai stare tranquilli, così nella sala dell’aeroporto, che piano piano si riempie di turisti, aspettiamo pazientemente l’ora del check-in.
Mentre scambiamo
qualche chiacchiera con i signori di Varese, quelli di Nosy Iranja , anche loro
partono per tornare a casa, arriva Gianluca che è venuto ad accompagnare una
sua cliente, gli chiediamo come è andata l’uscita che avrebbe dovuto fare
qualche giorno prima con Pellizzari, il recordman di immersione, che era a Nosy
Be per girare un documentario per Mediaset, sulla flora e fauna marina
dell’arcipelago.
Ci racconta che causa maltempo la troupe è arrivata con due giorni di ritardo,
sono rimasti sull’isola praticamente una sola notte, perché avevano già
prenotato il volo per il rientro, quindi sono stati costretti ad uscire in
notturna, con la pioggia, ma la fortuna li ha assistiti infatti sono riusciti a
fare una bellissima immersione con delle fantastiche riprese, l’acqua
nonostante il maltempo era limpida e la fortuna a voluto che in acqua hanno
incontrato anche uno squalo balena con il quale hanno giocato per molto tempo.
Saluti e baci, ci prepariamo per il check-in, quando ci accorgiamo che sul
pavimento dove prima c’era un ammasso di valige ora ci sono solo nostre,
infatti mentre noi eravamo presi dal racconto di Gianluca, tutti gli altri
passeggeri ci sono passati avanti e si sono imbarcati… fortunatamente non ci
sono sorprese gli zaini sono al loro posto così ci imbarchiamo.
L’aereo parte
con 1/2 di ritardo, inoltre prima di giungere a Tanà farà uno scalo, non
arriveremo mai all’ora che avevamo detto a Mahery.
Non avevamo dubbi sul fatto che ci avrebbe aspettato, infatti , una volta usciti
dall’aeroporto, lui ci viene incontro, con il suo solito infantile sorriso
sdentato, ci salutiamo, carichiamo i bagagli, saliamo in macchina e partiamo.
Durante il tragitto, come si fa di solito tra vecchi amici ci scambiamo delle
battute lui mi ha affibbiato due soprannomi, uno è “uomo della pioggia”,
perché dove vado io arriva la pioggia, l’altro è “cover man” per la
sbadataggine che ho con il tappo dell’obiettivo della macchina fotografica,
noi invece lo prendiamo in giro facendogli pesare il fatto che non ha un fisico
asciutto e che la causa di ciò è dovuta al fatto che lui non “lavora” ma
è costantemente in vacanza, ad oziare e mangiare, che invece avrebbe dovuto
fare attività fisica accompagnandoci anche nelle escursioni a piedi.
Dopo il primo
scambio di battute ci dice che avrebbe piacere se andassimo a casa sua a cena
invece di andare al ristorante, ha fatto preparare qualcosa dalla moglie.
A noi l’idea piace e accettiamo molto volentieri, però non ci va di
presentarci a mani vuote, cosi lo facciamo fermare in un negozio dove compriamo
da bere e della cioccolata per la sua bambina.
Prima di arrivare dice che non dobbiamo aspettarci una grande casa o comunque
niente di simile ad una di stile europeo, quasi volesse scusarsi di non poterci
offrire le comodità a cui siamo abituati.
Arriviamo che è
buio, vivono in un quartiere periferico, lungo la via dove si trova la casa non
c’è illuminazione, una luce fioca si intravede dalle finestre, a darci il
benvenuto è Malala, la moglie, purtroppo parla solo in Francese ma il suo
sorriso ci fa subito sentire a nostro agio.
La casa è composta da tre stanze: la cucina, la sala da pranzo, con annesso
salotto e la camera dove sul lettone c’è Estelle, la figlia di tre anni,
guarda la TV che trasmette in maniera disturbata cartoni animati, la piccola non
ha mai visto dei Vazaha e anche se le abbiamo portato della cioccolata rimane
timidamente in disparte.
Mentre Mahery va a parcheggiare la macchina Malala ci serve un po’ di
salatini,di noccioline e coca cola, ci fa accomodare in salotto, Annalisa con il
suo elementare francese le dice che Mahery ci ha parlato molto della sua
famiglia, che lei è una brava cuoca, le dice che ci ha parlato anche di Estelle
che va a scuola dalle suore, anche lei dice che Mahery ha parlato molto di noi,
dei posti che abbiamo girato , del nostro progetto di avere un figlio, così
pian piano l’imbarazzo iniziale lascia il posto ad una piacevole sensazione di
sentirsi in un ambiente familiare.
Quando arriva
Mahery ci sediamo a tavola e prima di iniziare la cena ci fa raccogliere in
preghiera:
ringrazia Dio per la giornata trascorsa, per il cibo che è a tavola, dopodiché
lo invoca affinché possiamo avere un buon rientro perché ci aiuti a realizzare
i nostri progetti futuri… questa, per noi che non siamo propriamente dei
cattolici praticanti, è un’esperienza nuova che ci ha toccato profondamente.
Il menù prevede
Silamangany soup, con carne di Zebù, riso con piselli, Anamamy e maiale, per
finire ananas.
Tutti i piatti preparati da Malala sono cose che avevamo apprezzato durante il
tour, quindi lo zampino di Mahery è chiaro, questo ci emoziona e lo rende
sempre più speciale, se ancora ce ne fosse stato bisogno, è un ragazzo
adorabile e buono nonché un’ottima guida.
Dopo aver
concluso, ci spostiamo di nuovo sul salotto dove ci fanno vedere delle loro
fotografie, per lo più riguardano il loro matrimonio o le loro famiglie, di
tutte ci descrivono i luoghi e i personaggi, tutte sono di qualità scadente
paragonabile alle nostre scattate negli anni settanta, ma non è questo quello
che conta, bensì il loro gesto semplice e genuino, il loro sforzo di farci
sentire come a casa nostra.
È già ora di ripartire, dobbiamo tornare all’aeroporto per il volo che ci
porterà a casa, salutiamo Malala, mandiamo un bacio ad Estelle che nel
frattempo si è addormentata, saliamo in macchina, ora con un groppone sullo
stomaco e partiamo.
Mahery aspetta
fino quando non facciamo il check-in, solo in quel momento alle 23 circa ci
salutiamo.
Questa volta ad Annalisa le lacrime le stanno gonfiando gli occhi ma riesce a
non farsi vedere emozionata da Mahery che è altrettanto commosso.
Dobbiamo aspettare ancora un’ora prima di imbarcarci sul volo Air France
diretto a Parigi, dove atterreremo dopo 10 ore di volo e da dove, dopo altre
quattro ci sarà il volo che ci porterà a Bologna.
18/11/2003
Appena atterrati a Bologna, recuperiamo la macchina che avevamo lasciato al
parcheggio della mensa e piombiamo in mezzo al caos della tangenziale, ci
aspettano 2 ore di autostrada prima di arrivare a casa, Ancona.
Siamo
già presi dalla nostalgia per quello che abbiamo lasciato, quando la nebbia
della pianura padana ci avvolge, ci permette di percorrere il viaggio verso casa
in silenzio, immaginando di nuovo le strade, i paesaggi, gli odori, i colori, i
sapori, la gente del paese che ci ha ospitato per gli ultimi 17 giorni.
Arriviamo a casa, dove ci aspettano i nostri genitori e il nostro gatto,
ringraziando la nebbia per questo sogno ad occhi aperti che ci ha fatto
rivivere.
Diego e Annalisa dieanna1@alice.it