Kerala 2003
AL SUONO DI CAVIGLIERE DEL KATHAKALI
Durante il mio viaggio in Kerala, nell’India del sud, ho avuto modo di conoscere la forma di teatro del Kathakali. Ho cercato di avvicinarmi il più possibile ad una forma d’arte molto diversa dalle nostre e proprio per questo estremamente affascinante. Ho dedicato un articolo esclusivamente alla giornata in cui ho scoperto il Kathakali, perché è un aspetto fondamentale della cultura del Kerala. Spero di scrivere al più presto anche il resto del mio viaggio!
6
Marzo 2003
Partenza
Mi
sveglio ai rumori che Prem sta facendo in cucina apposta per svegliarmi. È
subito chiaro che sono in India, certe mattine me lo dimentico, ma oggi fa già
troppo caldo e si sente già venire dalla cucina l’odore della colazione,
curry di verdure.
Non
che Prem voglia buttarmi giù dal letto. Sarebbe anche lecito, visto che gli ho
usurpato il letto e lui dorme su una stuoina sul pavimento nella camera accanto.
Mi ha giurato e spergiurato che lui dorme sempre per terra perché c’è più
spazio, ma è difficile credergli. Prem vuole che mi sbrighi, ha organizzato
questa giornata da mesi e ha un’itinerario preciso da rispettare. Ogni mio
desiderio lo prende a cuore e lo porta ben oltre le mie aspettative. Mi ha
sempre molto interessato il teatro orientale e avevo sentito parlare del
Kathakali, la particolare forma di teatro del Kerala, piccolo stato indiano
sulla costa sud-occidentale. Ero poi rimasta affascinata dalle descrizioni del
Kathakali nel libro “Il dio delle piccole cose” di Arundhati Roy, con le
rappresentazioni notturne che si ispiravano ai miti e alle storie dei millenni
passati. L’ho accennato a Prem e lui ha organizzato un’intera giornata
all’insegna del Kathakali, contattando i più grandi maestri e la scuola
migliore dell’India e facendo culminare la giornata con uno spettacolo
nell’ambito di un festival religioso.
Ci
viene a prendere un suo amico, autista di taxi, con una vecchia Ambassador
bianca. Anche la minima distanza è un lungo viaggio in India, così partiamo
come alla volta di un’avventura.
Prem
l’ho conosciuto per email circa un anno fa. Ha trovato il mio indirizzo in un
sito su Pirandello e ha deciso di scrivermi, aveva appena finito una tesi su
“Sei personaggi in cerca di autore”. Nonostante le migliaia di chilometri di
distanza e i millenni di culture differenti, siamo diventati subito amici e, chi
l’avrebbe mai detto, adesso eccomi qua, con lui che mi guida attraverso le
intricate vie del teatro del Kerala, giù giù, nel profondo sud dell’India,
dentro alle foreste di palme da cocco che tutto sembrano avvolgere.
A
casa di Harikumar
La
prima tappa è a casa di Harikumar, maestro e direttore di una scuola di
Kathakali ed instancabile attore, con cui Prem ha fissato un appuntamento.
Arriviamo e Harikumar è in una stanzetta alle prese con una scultura di
terracotta, io sono un po’ imbarazzata, ma lui sicuramente è più emozionato
di me, per l’occasione unica che ha di parlare della sua arte a qualcuno che
viene da lontano, dall’Europa.
Come
prima cosa, per chiarirmi un po’ le idee, gli chiedo di farmi un panorama
storico. Mi spiega che il Kathakali si è sviluppato dal Koodiyattom e dal
Krishnanattom, forme precedenti di teatro nate circa 2000 anni fa, che avevano
come missione quella di raccontare le vite degli dei. Ogni tempio aveva il
proprio teatro, dove venivano svolti tutti gli spettacoli. La forma propria del
Kathakali si viene a definire solo nel XVII secolo, quando viene anche adottato
il Malayalam, la lingua nazionale del Kerala, in contrasto al sanscrito, lingua
letteraria ormai non più parlata quotidianamente. Da allora ci sono stati dei
cambiamenti, per esempio nella rappresentazione dei personaggi femminili, un
tempo relegati in secondo piano, ma sostanzialmente la struttura è rimasta fino
ad oggi immutata.
I
testi letterari da cui si trae spunto sono principalmente i due maggiori poemi
epici indiani, il Mahabharata e il Ramayana, che forniscono gran parte delle
storie rappresentate, con la loro ricchezza di miti e di personaggi, uomini,
dei, scimmie, demoni, eroi. I testi sono stati trasformati in versioni teatrali
ed esiste un repertorio di testi classici, ma in principio ogni storia è buona,
tanto che Harikumar ha addirittura adattato il Giulio Cesare di Shakespeare per
una rappresentazione di Kathakali. Ciò che accumuna tutte le storie è la
finale vittoria del bene sul male, a ribadire il significato religioso.
Ma,
come in tutta la filosofia teatrale indiana, più che la storia in sè, ciò che
conta è come la storia viene raccontata. Più che il testo, ciò che conta è
l’espressione corporea, più che l’autore, l’attore. Gli attori non
parlano mai, ma vengono accompagnati da musicisti sul palco che cantano e
suonano musica raga (musica classica indiana). Gli attori hanno a disposizione
solo il corpo per parlare. Diventa molto importante così la danza, basata su
sequenze di passi, ma soprattutto il complesso linguaggio di gesti, detti mudras,
attraverso cui si può esprimere qualsiasi cosa.
Per
farmi capire, mi esemplifica alcuni gesti. È impressionante, mette tutto se
stesso nei gesti, sembra quasi trasformarsi in un’altra persona. In questa
metamorfosi, a parte la bellezza e il lento fluire delle mani, la cosa più
stupefacente sono i movimenti degli occhi, velocissimi. Mi insegna quali sono i
gesti per dire fiume, monte, uccello, pesce, occhi, cobra, come in un alfabeto
per sordomuti, e poi le parole si trasformano in frasi, fluendo fra
l’ondeggiare delle mani, capaci di descrivere verbi, preposizioni e avverbi in
una danza senza fine, seguita dalle espressioni del suo volto che sembra
plasmare come fa con le sue sculture di terracotta.
Altro
fattore importantissimo sono i costumi e il trucco. A questo proposito Harikumar
mi raccomanda poi di arrivare largamente in anticipo, questa sera, per non
perdermi l’operazione del trucco: per circa tre ore gli attori stanno sdraiati
per terra senza il minimo movimento per farsi truccare. Il risultato è molto
importante: il colore del volto definisce il ruolo del personaggio: verde per
gli eroi, rosso per i demoni.
Gli
chiedo ancora della storia di Giulio Cesare. Lui si inorgoglisce e mi fa vedere
il cd con la rappresentazione. Ha riscritto il testo in Malayalam, adattando i
suoni alla musica indiana ed in India è stato un grandissimo successo. Mi dice:
“il mio sogno è di rappresentarla un giorno a Roma, o in Italia. Dove la
storia di Giulio Cesare si svolse veramente. Per far tornare una storia nata a
Roma, passata per l’Inghilterra e poi per l’India, in altre forme e in altre
parole”.
Si
è fatto tardi e il viaggio è ancora lungo, ma prima di ripartire Harikumar ci
invita a pranzo. Per fortuna nei giorni scorsi Prem si è prodigato nell’arduo
compito di insegnarmi a mangiare all’indiana, cioè con le mani, e a mescolare
il riso con il curry con dita sapienti, posso così apprezzare la buonissima
cucina di sua moglie.
La
scuola di Kathakali
La
prossima tappa è la scuola di Kalamandalam, la migliore scuola di Kathakali in
India, che gestisce corsi per gli studenti che vogliono imparare, oltre al
Kathakali, anche altre forme tradizionali di danza e teatro. La scuola fu
fondata dal poeta Vallathol nel 1930, con lo scopo di mantenere viva la
tradizione artistica del Kerala e oggi è conosciuta a livello internazionale.
Il teatro della scuola
Un
insegnante della scuola ci porta in giro fra le aule, spiegandoci il programma
dei corsi.
L’apprendimento
del Kathakali è riservato a soli attori maschi, che interpretano anche i ruoli
femminili. L’allenamento richiesto per diventare attori è lungo e
impegnativo, inizia dall’eta di dieci-dodici anni e sono necessari almeno
dieci anni per diventare un buon attore. La giornata è molto impegnativa:
quattro sessioni al giorno, dalle quattro del mattina alle otto di sera, con
brevi pause per i pasti. L’allenamento prevede una serie di esercizi fisici,
per essere in grado di tenere delle posture spesso innaturali nonché di
indossare i costumi che arrivano a pesare fino a 30 chili, insieme a studi
estetici e di teatro. L’esercizio fisico è accompagnato da massaggi allo
scopo di rendere ogni parte del corpo totalmente indipendente dalle altre e
contiene elementi comuni alle arti marziali e alla medicina tradizionale
ayurvedica.
Ma
la parte più difficile è forse quella degli esercizi per i muscoli facciali e
gli occhi, che viene svolta al mattino presto. Vengono classificati diversi
registri espressivi (terrore, comicità, meraviglia, ecc.), che lo studente deve
imparare a tenere sul volto per almeno venti minuti.
Visitiamo
le varie aule, affollate da ragazzi dai dieci ai vent’anni: studenti alle
prese con esercizi fisici di coordinazione, altri che imparano a mescolare i
pigmenti naturali per il trucco e si esercitano a dipingere, altri ancora
seguono lezioni di percussione. La persona che frequenta la scuola viene formata
come un artista veramente completo, che conosce la tradizione letteraria
teatrale e che sa fare un’innumerevole quantità di cose.
Il
tempio
Lasciata la scuola, ci avviamo verso il tempio dove avrà luogo la rappresentazione. Al nostro arrivo il palco è già montato e i tamburi stanno suonando. È una tradizione che è rimasta immutata nei secoli: nel passato, infatti, quando i mezzi di comunicazione erano scarsi, i tamburi servivano ad annunciare che ci sarebbe stato uno spettacolo. Non è solo una serata dedicata al Kathakali, ma un festival religioso, in teoria per soli induisti. Per fortuna però Prem mi ha spacciato come una giornalista italiana che deve scrivere un articolo sul Kathakali, così sono accolta in modo veramente ospitale. Purtroppo questo non mi permette di entrare all’interno del tempio, strettamente riservato agli induisti, dove sta avvenendo la processione della statua del dio, trasportata da un elefante.
Cena nella mensa del tempio
I
bramini ci invitano a mangiare nella mensa del tempio, dove viene distribuita
una cena servita su foglie di banana. Il tempio è infatti anche un luogo di
carità: ogni giorno i bramini forniscono un pranzo ai poveri e a chi non se lo
può permettere. Questa sera, in occasione del festival, viene distribuita una
cena ai pellegrini giunti al tempio e anche noi siamo gentilmente invitati. È
incredibile, oggi non ho avuto bisogno di preoccuparmi del mangiare: gli indiani
mi hanno sempre offerto qualcosa.
Nell’aria
si respira una grande attesa e il ritmo dei tamburi si fa sempre più
incalzante. Bisogna aspettare il tramonto affinchè possa iniziare la
rappresentazione. Il Kathakali infatti viene rappresentato solo di notte, con
rappresentazioni che iniziano al tramonto e finiscono all’alba, andando avanti
per una decina d’ore. Con lo spuntare del sole i demoni e i personaggi cattivi
vengono sconfitti ed uccisi, segno della luce che trionfa sulle tenebre.
Dietro
le quinte
Prem
mi porta dietro alle quinte, dove gli attori si truccano e si vestono, ma
sarebbe meglio dire dove gli uomini si trasformano in dei ed eroi. Molti sono
sdraiati per terra e degli esperti truccatori trasformano i loro volti in quelli
rossi, verdi, blu di eroi, demoni o fanciulle. Si potrebbe stare a guardare per
ore, è una vera e propria arte. Per rendere gli occhi più espressivi e più
evidenti da lontano, vengono messe delle polveri irritanti negli occhi per farli
arrossare.
Qualcuno
ha già iniziato ad indossare i costumi, insieme a diademi, cinture, sciarpe e
bracciali, tutti elementi dal profondo significato, e insieme alle cavigliere,
che costituiscono uno strumento musicale vero e proprio, suonato dai passi di
danza dell’attore.
Dietro le quinte: gli
attori si vestono
Qui mi vengono presentati due attori famosissimi e di cui tutti nutrono profondo rispetto: Gopi e Ranankutty. Gopi, che interpreterà il protagonista, è un signore anziano, che si trucca da solo, davanti ad uno specchio. Mi avvicino per presentarmi e manifestargli il mio interesse per il Kathakali, lui mi risponde con frasi un po’ sconclusionate, sembra straordinariamente allegro e inizia a darmi vigorose pacche sulle spalle, ridendo. Prem mi spiega dopo che è totalmente ubriaco: è solito ubriacarsi prima degli spettacoli per recitare meglio ed entrare più a fondo nella sua parte sotto l’influsso dell’alcol.
Ranankutty durante la fase
del trucco
Finalmente
lo spettacolo
Nel frattempo, la gente si avvicina sotto il palco, munita di carta di giornale per non sporcarsi e si siede per terra. Prima della rappresentazione vera e propria, viene eseguita una scena di Ottamthullal, tenuta da un solo attore. Questa è una rappresentazione cantata di stampo satirico, in cui l’attore-cantante sul palco prende in giro il pubblico, imita i versi e le movenze di scimmia, canta e balla in tono grottesco e fa ridere il pubblico.
Rappresentazione di
Ottamthullal
Finita
la rappresentazione di Ottamthullal, mi siedo in mezzo alla gente ma la prima
che inizi il Kathakali, vengono intonate canzoni dal contenuto religioso, per
ringraziare gli dei, una “breve” introduzione di un’ora circa, nella quale
sono gli studenti e i principianti a cantare.
Poi
inizia la rappresentazione vera e propria e finalmente capisco tutto. Capisco
cosa voleva dire Tagore quando scriveva che il Kathakali è un “teatro
totale”. Credevo di essermi fatta un’idea precisa del Kathakali tramite le
mie letture, ebbene, anche la fantasia più fervida non poteva sicuramente
arrivare ad immaginare qualcosa di così “totale”. La musica ha il ritmo
forte dei tamburi e la melodia di una voce che canta, appena cala il sipario
(una tenda tenuta a mano da due persone) appaiono Bhima e sua moglie Draupadi,
personaggi del Mahabharata, ma descriverli è veramente difficile. Bhima ha una
corona altissima, la faccia verde, un costume larghissimo e strabiliante, lunghe
unghie di metallo e lunghi capelli dietro alla schiena, Draupadi, interpretata
da un uomo, indossa un copricapo rosso e sgargianti gioielli sopra il vestito.
L’unico elemento di scenografia è una lampada al centro, che illumina la
scena.
Sono la musica e il canto dei musicisti a lato del palco a narrare il dialogo.
Bhima e Draupadi sul palco
Per
fortuna Prem mi traduce parola per parola, non che le parole siano molte, sono
così poetiche che bastano. Ad un certo punto la voce scompare e le parole
vengono dette dalle mani e dagli occhi, nel linguaggio antico e articolato dei
mudras, che Harikumar ha cercato di insegnarmi stamattina. Anche qui per fortuna
ho un interprete, uno studente di ingegneria, che riesce a trovare il tempo
anche di studiare il Kathakali per diventare attore. La storia è molto
semplice: Draupadi chiede a Bhima, uno dei suoi cinque mariti (anche questo
accade nel Mahabharata), con parole e suadenti e poetiche di portarle un fiore
bellissimo, dal quale la separa una grande distanza e pericoli immensi. Lo
spettacolo di questa sera è la storia del valoroso Bhima alla ricerca del
fiore, che sulla via sconfigge demoni, scimmie e personaggi malvagi per esaudire
il desiderio della sua amata moglie.
La
storia non è poi però così importante, è più che altro la fusione di varie
arti che confuiscono sul palco che è estremamente emozionante: musica, danza,
linguaggio, pantomima, pittura (i volti sono dei veri e propri dipinti),
letteratura, espressività del corpo e del viso. Tutto in un’esplosione
incontrollabile di sensazioni date dai colori, dai suoni, dai movimenti, dalle
espressioni dei visi, dai movimenti degli occhi, dalle note suonate dalle
cavigliere.
Altri
personaggi appaiono sul palco, in un crescendo di colori, costumi e azione. Tra
questi Hannuman, un dio con le sembianze di scimmia che Bhima incontra nel suo
cammino, interpretatao da Ramankutty, i cui colori sono così accesi e il
costume così sfarzoso, da fare male agli occhi.
Hannuman, il dio-scimmia
Il
ruolo dell’attore
Questa
mattina Hariskumar mi diceva che nel Kathakali l’attore scompare e ora capisco
cosa voleva dire. Dietro alla maschera del trucco, dietro a costumi così
maestosi, ma soprattutto dietro al suo ruolo. Bhima è Bhima, non l’attore che
lo rappresenta. Inoltre uno spettacolo non viene mai provato prima, nè esiste
la figura di un regista che guida gli attori: ognuno conosce la sua parte, che
è la stessa da secoli. Gli attori a volta non si conoscono neanche fra di loro,
ma nonostante ciò ognuno può esprimersi improvvisando nel momento in cui la
voce che canta tace e sono solo la musica e i gesti a guidare la scena.
Forse
è per questo che Gopi si ubriaca prima degli spettacoli.
Lo spettacolo va avanti tutta la notte, fino al lieto fine conclusivo. Devo ammettere che per i nostri ritmi è veramente molto lento, ma forse questa è proprio la sua magia e poi è sempre possibile prendersi una pausa, fare una passeggiata fra le palme, sotto le stelle nella calda notte umida e tornare senza aver perso troppo.
Un attore del Kathakali
Un
sogno
Nel
letto di Prem, una volta tornati a casa, nonostantela notte insonne, è
difficile riuscire ad addormentarsi. Mi è rimasta negli occhi la magnificenza
dei costumi, l’armonia dei gesti, la musica incalzante, i passi di danza. Mi
sono rimasti negli occhi i loro occhi, capaci di cose incredibili, di movimenti
ed espressioni impensati. Poco prima di cadere nel sonno mi vengono in mente
altri occhi, quelli di Harikumar, e la luce che vi brillava dentro mentre mi
diceva: “io ho un sogno: rappresentarla un giorno a Roma, o in Italia”. Non
era solo un desiderio, ma una speranza, un messaggio che mi lasciava da portare
con me al mio ritorno. Qualcuno può aiutarmi a realizzare un sogno?