Israele e Palestina zaino in spalle! … le mie!

Diario di viaggio giugno 2019

di Massimo Marzani

 

Vorrei iniziare con una premessa propedeutica al diario vero e proprio, che racchiude in essa modesti pensieri, notizie e domande per avvicinarsi a un viaggio “faidate” in Israele e Palestina, terra arida e complessa, antica e recente, dove ai più antichi e continui insediamenti abitativi, da quando l’uomo ha smesso di nomadare (cito on. Meloni), si sovrappongono  2 stati tra i più giovani dei circa 200 che compongono politicamente il pianeta terra, luoghi contesi dalle maggiori confessioni esistenti, luoghi di residenza di due popoli apparentemente distanti ma così simili.

 

Un viaggio in terra d’Israele è un viaggio particolare, oltre ad essere luogo è simbolo, è metafora dell’uomo, è un luogo che ai più appare impregnato di rabbia, oppure è questo che ci viene continuamente trasmesso.  L’idea che mi è restata è in realtà un po’ meno cruda, forse sono ottimista e sognatore, cioè, che la guerra vera e minacciata è promossa e mantenuta viva in altri luoghi.   E’questo che mi è restato, setacciando il tutto, dopo aver camminato, letto e ascoltato commenti sull’antica terra di Cananea.

 

Io, Massimo, e la mia compagna Emanuela, di Cremona, sono i due protagonisti di questo viaggio, organizzato in modo autonomo aiutati dalla tecnologia e dall’esperienza di viaggi passati.   

Premetto prima della premessa che faccio l’idraulico, dunque meno avvezzo all’uso della parola e al pensiero impegnato che all’uso di tubi e valvole, pertanto questo sarà il mio imperituro alibi alle probabili cazzate che saranno dette in questo diario e sin da ora smentisco tutto ciò che dirò in seguito.

Di una cosa sono assolutamente certo,  che un approccio razionale al problema  israelo-palestinese non sia possibile, e allo stesso modo, a mio avviso, non sia possibile neanche un chiaro e fluido riassunto dei fatti che hanno portato alla situazione politica che oggi vediamo, dunque non mi cimenterò, ed è altresì difficile anche una lineare manifestazione del mio pensiero, dunque la farò buttando argomentazioni  senza continuità logica, il cui solo scopo sarà di dare argomenti o notizie su cui sviluppare un proprio pensiero. Dunque, considero l’approccio emotivo l’unica soluzione possibile per riflettere su colpe o ragioni degli uni o degli altri, o sto di qui, o sto di là! …stop!!!

Per emotivo intendo ciò che è dovuto a preparazione, studio, fede, convinzione, educazione, abitudini o semplicemente tifo. E’ emotività quando in buona percentuale di casi un rigore dato all’Inter durante un derby è netto per un interista e assolutamente inesistente per un milanista, e paradossalmente si  scambierebbero le convinzioni se lo stesso episodio capitasse al contrario. E’ emotività quando mia madre dice che quando hai fame non c’è niente di meglio di un piatto di pasta, se così fosse al mondo mangeremmo tutti pasta, vai a dirlo a un cinese o a un somalo. E’ emotività credere in Allah o Yahweh, se alzo gli occhi al cielo io vedo uno con la barba e la tunica bianca seduto su una nuvola, così me lo hanno descritto e imposto dopo anni di catechismo all’oratorio, non potrei vedere altro. Le persone si formano, si formano i bambini e si formano gli adulti, se mi dicono che i MiniBOT sono la soluzione ai problemi economici dell’Italia e continuassero  a ripetermelo io, prima o poi andrei a finire a crederci.

Ho letto libri di scrittori tendenzialmente filoisraeliani (Giulio Meotti),  libri di scrittori tendenzialmente filopalestinesi (Vittorio Arrigoni) libri di scrittori tendenzialmente filoequidistanti ( Lapierre) e vi giuro che alla fine di ogni libro ero diventato filodiquellocheavevoappenaletto per poi ricambiare idea al libro o articolo successivo. Lo dico da non addetto ai lavori, e i non addetti ai lavori sono tanti, siamo tanti, e facili da convincere in quanto esseri emotivi.

Ebrei e palestinesi  sono etnicamente molti vicini, fonte fondamentale le loro lingue, sono semiti, cioè con ogni probabilità derivanti da un unico antico popolo che poi si è separato per continuare e sviluppare una propria cultura. Gli arabi sono arrivati dopo, anche loro semiti, con ondate conquistatorie all’ombra delle neonate bandiere islamiche. Una cosa accomuna ebrei e palestinesi, nessuno dei due popoli ha mai avuto una patria certa. L’hanno avuta i Fenici, i Babilonesi, gli Egizi, i Persiani, ma non Palestinesi ed Ebrei. Sarà per questo che la desiderano ardentemente? Non so chi, ma qualcuno ha detto che se non hai ricordi, non hai passato, e se togli il passato a una persona gli neghi anche il futuro. Credo sia il senso di appartenenza, il gruppo, la tua famiglia, qualcosa che ti da un posto certo del quale far parte. La patria, la lingua parlata, la religione, sono gruppi e forse espressioni dell’antica tribù in cui, in quanto animali sociali, ci siamo protetti ed evoluti.

Se non ci sono, ti mancano. Ovvio, è una visione dall’alto, macro, di tipo filosofico ma che a mio avviso può essere alla base di tante incomprensioni e lotte.  Non credo nel multiculturalismo, è impossibile, è mera convivenza nello stesso luogo. Senza interazioni profonde, qualcuno, ciò che molti definiscono multiculturalismo, intendendo la convivenza di svariati gruppi etnici soprattutto nelle grandi città occidentali, lo ha definito multi comunitarismo, e mi trova perfettamente d’accordo, tante comunità con usi e consuetudini differenti che convivono nello stesso posto. Il collante è il benessere economico, convivi con altri perché è appagante economicamente, e gli altri con te. Funziona finchè la colla tiene. Sarebbe come definire una famiglia un condominio, un condominio è un’insieme di famiglie, ognuna di esse è un’entità autonoma, semplicemente vive vicino ad un’altra, interagendo in modo superficiale, si lavano alternativamente le stesse scale, ci si saluta al mattino quando si va al lavoro, ma non ci sono legami che uniscono in modo profondo. Si vive in condominio perché  costa meno, per un mero motivo economico. Ne sono certo, anch’io vivo in condominio, se potessi sceglierei una villetta nel verde, diligentemente lavo le scale, saluto i vicini, sorrido se li incontro sul pianerottolo prima di andare al lavoro, ma vi garantisco che a molti di loro righerei volentieri la portiera della macchina, e loro a me. E’ la normale ipocrisia umana! Stop!     

 Ebrei e Palestinesi hanno rispettivamente una loro lingua, una loro religione ma manca a entrambi una patria. Ce l’hanno avuta, era la terra di Canaan, e ci hanno sempre convissuto senza nessun problema, pulivano alternativamente le scale, si salutavano al mattino prima di andare al lavoro, finché qualcuno in modo subdolo e sibillino ha fatto intendere a entrambi i popoli, che l’altro stava ponendo le basi per occupare la terrazza e i pianerottoli. Chi è questo qualcuno?? I soliti, “beep” e “beep” (J). Da sempre, dall’alba dei tempi, dove c’è un casino, o ci sono i “beep” o ci sono i “beep” (J), qualcuno riesce a smentirmi? Durante il mio viaggio ho chiesto a molte persone, soprattutto ebree, se si sentissero più vicine ai musulmani oppure ai cristiani, senza esitazioni tutti mi hanno risposto la stessa cosa, ai musulmani. Confesso che la mia idea era di un profondo odio diffuso tra ebrei e musulmani ma la realtà mi ha piacevolmente stupito. Il motivo credo sia una parziale, quasi sempre monca, conoscenza dei problemi e della realtà di un posto lontano, le informazioni arrivano dai media che quasi sempre trattano fatti di cronaca nera, devono semplicemente stupire e tenerti sul quel canale, riguardanti quel paese e da quelli ci facciamo un’idea del tutto. Di Israele e Palestina si parla quasi sempre di fatti di violenza di una parte verso l’altra, certo la violenza a quelle latitudini è molto presente, ma ne abbiamo un’idea distorta.    Convivevano pacificamente, li hanno fatti litigare, è restata una latente simpatia, ora bisogna fare in modo che torni l’empatica amicizia, che chi ha occupato i pianerottoli li lasci e chi buca le gomme all’auto del vicino smetta di farlo. Ovviamente il come, per certo, non lo so, se mi obbligassi a dare una risposta direi che ogni uomo debba avere una patria per i motivi che ho precedentemente accennato. Le scelte del passato non si possono cambiare, il famoso adagio che con i se e i ma non si cambia la storia vale anche qui, dunque questo c’è e su questo bisogna lavorare.  Un popolo deve rinunciare a una parte e l’altro popolo deve rinunciare ad avere il tutto, non credo ci siano alternative attendibili. Stop! ( è il terzo stop imperativo che scrivo, mi serve per uscire dal rassicurante “una botta al cerchio e una alla botte”ed esprimere una ben più virile netta posizione personale).

 

Israele è uno stato con confini certi e una giurisdizione sul proprio territorio non diversi da un qualsiasi altro  stato, lo Stato di  Palestina è un mostro giuridico che si muove in un labirinto ricavato in un ginepraio, è un’entità difficilmente capibile. C’è l’ANP che è l’autorità che rappresenta la Palestina in via transitoria, frutto dei soli accordi con Israele, lo Stato di Palestina non è riconosciuto da molti stati, tra i quali l’Italia, e neanche dall’ONU. Il governo politico della  Palestina dopo le elezioni, è affidato  ad Al Fatah, partito di centro-sinistra, che oltre un partito politico è un’organizzazione paramilitare facente parte dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina il cui capo storico era Arafat). L’ANP, la colomba, governa sulla Cisgiordania (è la parte della Palestina tra Israele e la Giordania, anche nota come West Bank in lingua inglese) ma nella Striscia di Gaza (una piccola striscia di territorio palestinese confinante con l’Egitto) governa di fatto un partito islamista ed estremista, Hamas, il falco. La capitale, “de jure”, è ufficialmente Gerusalemme est, ma “de facto” è Ramallah, dove si trovano tutte le sedi che amministrano lo stato.  Ma non è finita, al territorio palestinese è applicata un’ulteriore divisione in zone, zona A, zona B e zona C, che ne cambiano, al cambiare della zona, l’influenza amministrativo-militare. Le zone sono concordate tra Israele e Palestina. Il passaggio da una zona e un’altra è segnalato da cartelli. “Stai entrando in zona A, è vietato l’ingresso ai cittadini israeliani, chi entra lo fa a rischio della propria vita ed è contro le leggi di Israele” , questo è quanto scritto su cartelli rossi che indicano l’entrata in una zona “A”. La zona “A” è una zona controllata totalmente dall’autorità palestinese, (sono zone “A”, Ramallah, Gerico e Hebron)  gli israeliani non possono entrare, la zona “B” è zona amministrata dai palestinesi ma controllata militarmente dagli israeliani, la zona “C” è zona controllata militarmente dagli israeliani e amministrata dagli stessi in quelle comunità che siano a maggioranza ebrea, il resto spetta all’ANP. Ma l’estremo si raggiunge in certe città, Betlemme è una città nella quale coesistono tutte e 3 le zone. Betlemme è divisa in 3 zone, le aree zonali sono definite dall’area compresa in 3 cerchi concentrici, un primo cerchio, il più interno, il centro città, definisce la zona “A”, circa il 4/5% della popolazione, il secondo cerchio, con raggio 2 volte il primo, definisce la zona “B”, circa il 30% della popolazione e il terzo cerchio, 1,5 volte il raggio del secondo, l’esterno della città, circa il 60/70% della popolazione. T’immagini quando devono asfaltare una strada che va dalla zona “A” alla zona “C”? Hai presente della fluidità amministrativa di Betlemme? Tra l’altro Betlemme è sul confine tra Palestina e Israele, zona del muro voluta dal governo presieduto da Ariel Sharon. Il muro è una barriera costruita per avere un maggior controllo di chi entra in Israele dai territori della Cisgiordania, è una barriera di 700 km, è tecnicamente il confine tra Israele e la Cisgiordania, fatta da diversi tipi di strutture per evitare il passaggio senza controllo, va dalla barriera in muratura alta una decina di metri, sul quel muro a Betlemme ci sono tutti i murales che si vedono in ogni reportage, al filo spinato, alla rete metallica.  Per entrare a Betlemme si deve obbligatoriamente passare da un Check Point controllato dall’esercito israeliano, sbarre, tornelli e controllo dei documenti (assomiglia molto all’entrata di uno stadio italiano, incredibile!).  Una crudezza incredibile. Ovviamente è un’odissea soprattutto per i palestinesi (il flusso è unidirezionale verso Israele) il turista passa senza troppi problemi, salta la fila e via. Io ho provato disagio quando mi hanno fatto saltare la fila, decine di palestinesi con bambini che probabilmente aspettavano da ore, mi sono sentito un privilegiato approfittatore, per giunta sulla pelle dei bambini (in quel momento mi sono sentito di parteggiare per i palestinesi). Da Betlemme raggiungere Israele per un palestinese è complicato, hai bisogno di un permesso ovviamente rilasciato dagli israeliani. Il permesso è concesso alle persone che abbiano compiuto 55 anni e abbiano un passato non macchiato da atti contro Israele, se hai meno di 55 anni, devi averne almeno 24, essere sposato con figli e un passato limpido. Negli altri casi, all’interno di questi limiti è molto complicato e si deve seguire un iter molto complesso. Essere palestinese in questa situazione deve essere davvero avvilente e mi sento di appoggiare le tante proteste che i palestinesi organizzano verso chi le istituzioni ebraiche rappresenta.

 

Di contro, la Palestina è, senza timor di smentita, economicamente molto più depressa rispetto a Israele, e non darei le colpe solo a Israele. Israele è occidente, la Palestina è medioriente (senza petrolio), con tutte le differenze di sviluppo economico. Ovviamente ognuno è libero di scegliere il proprio modo di vivere, dire che uno è meglio di un altro è quantomeno stupido, ma la realtà dimostra che il benessere economico è un fattore che aderisce perfettamente all’animo umano ed è cercato un po’ da tutti, ed è più maneggiabile in occidente che in medioriente.  Quando la possibilità di avvicinarvisi viene negata crea rabbia e frustrazione e in situazioni limite, qual è quella di cui parliamo, è un innesco imprevedibile. Dal punto di vista migratorio la realtà è a senso unico, le persone si muovono dalla Palestina verso Israele.

Il popolo palestinese, che è quello che maggiormente soffre la mancanza di libertà e di autodeterminazione, e che alle cronache è protagonista,  in realtà riveste un ruolo secondario, usato dagli altri popoli arabi come continuo “perpetus casus belli” (“perpetus” non so se esista in latino ma credo che renda l’idea)) in questa guerra che davvero, a mio avviso, è difficile scorgerne le vere ragioni.

L’appoggio ai palestinesi da parte dei paesi arabi è a mio avviso un po’ equivoco, durante le varie guerre, i profughi venivano bloccati anche alle frontiere dei paesi amici, vedi Siria, Giordania ed Egitto, e quando c’è stata la possibilità della spartizione dei territori palestinesi non si sono fatti scrupoli nel rivendicare la propria parte.

Politica a parte, questa è una parte di mondo che va visitata, per i paesaggi, aridi viste le latitudini, per la storia, e per la propria vita spirituale, qui è nato tutto, qualsiasi di queste cose si fosse appassionati si avrebbe di che leggere e visitare da perdersi.

 

Noi l’abbiamo fatto a giugno, 10 giorni, partenza il 3, molto caldo, credo che marzo aprile sia la stagione con le temperature migliori, il sud è molto caldo, più fresco al nord.

 

Abbiamo acquistato un volo Ryanair da Bergamo, noi siamo di Cremona, per Tel Aviv, 224 euro a/r per 2 persone acquistato a febbraio. Vorrei far notare che nell’acquisto del volo con Ryanair, da novembre 2018 credo, non è mai compreso il trasporto del trolley ma solo una piccola borsa da posizionare sotto il sedile. Per portare un trolley in cabina contestualmente all’acquisto del biglietto bisogna aggiungere la priorità di salita o solo il bagaglio con un ovvia aggiunta economica. Io non sapevo che fossero cambiate le regole e mi sono comportato come ho sempre fatto e ho  dovuto rimediare il giorno prima di partire avvertito da Ryanair che non avevo diritto al bagaglio, 2 trolley da mettere in stiva per 12 euro a tratta a bagaglio, dunque 48 euro totali. Alla fine il volo è costato 272 euro per 2 persone. Credo, comunque,  che per un volo di circa 4 ore il costo sia più che onesto e vorrei ricordare, ai molti amici che si lamentano, che viaggiare ai nostri giorni è diventato davvero economico (poi ci sono sempre quelli che vorrebbero viaggiare gratis e si lamentano sempre che i costi sono eccessivi). Rispetto ad alcuni anni fa viaggiare è diventato decisamente più barato.  Abbiamo lasciato la macchina in un parcheggio low cost, coperto,  vicino a Orio al Serio per 34 euro per 10 giorni e siamo partiti. Ho acquistato il pernottamento e prima colazione per tutte le 9 notti prima del viaggio, 1 a Nazareth (48 euro a notte per 2 persone, Daher Guest House) 2 a Ein Gedi sul Mar Morto (Hi Ein Gedi Hostel 102 euro a notte), 4 a Gerusalemme ( Hostel Abraham, 75 euro a notte) e 2 a Bat Yam (96 euro a notte all’Armon Yam Hotel), al mare, a pochi kilometri dal centro di Tel Aviv.  Oltre ai pernottamenti ho noleggiato un auto per 3 giorni al costo di 94 euro circa, senza assicurazione a copertura della franchigia di 600 euro sui danni causati all’auto, urto e carro attrezzi (per l’integrazione a copertura completa sarebbero serviti 15 euro al giorno). Poi ho finito con un’assicurazione sanitaria, 94 euro per 2 persone 10 giorni, a coprire i costi in caso di degenza e infortuni, sempre consigliata. La stessa assicurazione comprendeva la tutela legale e una polizza che copriva la classica franchigia dei danni di auto a noleggio. Ho scoperto tramite un amico che ci sono assicurazioni annuali che coprono per tal periodo le franchigie applicate alle assicurazioni delle auto a noleggio, costano 70/80 euro all’anno. Se noleggi un auto per dieci giorni il costo della polizza supplementare con l’agenzia, a 15 euro al giorno, è di 150 euro, facile vedere l’enorme risparmio, ma all’agenzia di noleggio girano eccome!!! Allora cosa fa l’agenzia? Mi dice che il blocco della cifra su carta di credito a garanzia della franchigia è di 600 euro, se la polizza aggiuntiva si fa con la loro agenzia, se si ha già una polizza la cifra a garanzia è di 1900 euro, ma se la cifra massima che dovrei pagare in caso di danno è 600 perché ne blocchi 1900? Sarò sfigato, ma la mia carta di credito mi permette di spendere al massimo 1500 euro al mese, dunque va da sé che ho dovuto fare obbligatoriamente la polizza con loro. Dunque l’ho pagata due volte! Fuck!!!

 

Ritiriamo la macchina e prendiamo la Strada 4 (le arterie principali in Israele sono indicate con dei numeri, sono tutte gratuite a parte la 6) per circa 70 km per poi prendere a destra la 65 fino a Nazareth, cittadina dove passeremo la prima notte. Poco prima di Nazareth, una trentina di km, passiamo Megiddo, sul qual monte, Monte di Megiddo, secondo l’Apocalisse, alla fine dei tempi, si combatterà la battaglia finale tra Gesù Cristo e le forze del male, Monte di Megiddo in italiano, Al Meghido in aramaico ma località meglio nota come Ar Mageddon in ebraico antico ( Apocalisse 16, 16).

 

Arrivati a Nazareth, siamo nella storica regione della Galilea, cerchiamo l’alloggio, chiedo aiuto a un commerciante di profumi che gentilmente telefona al proprietario che ci viene poi a prendere. Nel mentre il commerciante intorta Emanuela chiedendole di acquistare “Si” di Armani fatto da lui, tra l’altro, molto meglio di come lo fa Armani, ci dice. Il nome Nazareth mi ispirava un clima e un paesaggio bucolico, dolci colline aride spazzate da un vento caldo, greggi di timide pecore al pascolo, grotte e capanne ad accogliere famiglie con bambini che giocavano tutt’intorno…  beh, dimenticatevelo, è semplicemente una grande e incasinata città arabo-israeliana, con al centro la basilica costruita ad inglobare la casa di Maria dove l’Arcangelo Gabriele annunciò alla stessa la venuta di Gesù. Se di passaggio una sosta in città non guasta, giusto per dire ci sono stato, ma deviare di molto per arrivarci, a mio avviso non vale la pena.

 

L’indomani partiamo per il Mar Morto, prendiamo la 77 e guidiamo verso est fino al lago di Tiberiade, o Mar di Galilea, sulla cui sponda giace Tiberias, una bella e ordinata città ebreo-israeliana, per poi puntare verticalmente verso sud, imboccando la 90 alla fine della città, fino a Ein Gedi. La 90 corre in direzione sud parallelamente al fiume Giordano, tra la striscia di asfalto e il fiume c’è una “no-pass zone” di circa 1 km a difesa del territorio israeliano da possibili scaramucce con il governo Giordano.

 

Dopo circa 100 km arriviamo in prossimità di Gerico, la più antica città del mondo, credo che condivida i natali con Damasco, e decidiamo di fermarci per una visita. Siamo nel cuore della Cisgiordania, con tutte le implicazioni politiche che ne derivano. L’entrata a Gerico è vietata per legge ai cittadini Ebrei israeliani, lo sancisce anche un grande cartello rosso sul ciglio della strada, e imboccata la strada che sale verso la città, manco a dirlo, veniamo affiancati da due uomini su uno scooter che ci bloccano chiedendo chi fossimo e dove stessimo andando (eravamo su una strada nel deserto che porta a Gerico, guidavamo un’auto con   scritto “Hertz” da tutte le parti, avevamo entrambi gli occhiali da sole, il cappello di paglia, una mappa in mano, delle camice hawaiane sgargianti … secondo te?), fossimo stati a Pizzighettone li avrei mandati a stendere ma in quel momento mi è sembrato più sano, diligentemente, rispondere  con il sorriso stampato sul viso. “ We are tourists, we are italians, we would like to see Jericho, beautiful city and beautiful people” (lo so che è poco virile ma a volte leccare i piedi aiuta). Io ho la fissa di dire, se c’è da risultare simpatico, che sono italiano. L’Italia ha perso tutte e due le grandi guerre, le ha cominciate da una parte e le ha finite dall’altra, è occidente ma non starebbe male in medioriente, non ha mai invaso paesi sovrani se non 2/3 mesi l’Eritrea (ma gli eritrei non se ne sono accorti), l’unica battaglia che abbiamo vinto è quella sulla paternità degli spaghetti con la Cina (abbiamo  festeggiato una settimana), abbiamo un governo che non si sa chi sia il presidente del consiglio, un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato e un Ministro dell’Interno che non sa mai che giacca mettersi, uno che è italiano non dovrebbe risultare antipatico. Comunque, neanche ci hanno risposto, si sono limitati a guardarci, un effetto l’hanno comunque sortito, che è quello di aver spaventato a morte Emanuela e non c’è stato verso di farle cambiare idea, ho dovuto fare inversione  e, salutando con la manina abbiamo lasciato Gerico, i due bellimbusti e siamo ritornati sulla 90. Proprio nei pressi di Gerico, per chi volesse sconfinare in Giordania, c’è uno dei tre varchi di frontiera tra Israele e la Monarchia di Abd Allah, Allenby con il famoso ponte sul Giordano. Da quel ponte, dal 1967 in poi, sono passati migliaia di palestinesi, dopo che Israele occupò ciò che oggi è chiamata Cisgiordania con la famosa guerra dei “6 giorni”, ad affollare enormi campi profughi.  Dal ’48 ciò che ora è territorio palestinese ma governato e controllato da Israele, era arabo a tutti gli effetti. Nella primavera del ’67 i sovietici informarono l’Egitto di un possibile intervento militare in Siria di Israele dopo le continue scaramucce che scaldavano gli animi tra il nord della Galilea, presidiato dall’esercito israeliano e le alture del Golan, allora territorio siriano, presidiato dall’esercito di Atassi (cerco di non giudicare, ma solo descrivere una situazione che a me ha permesso di avvicinarmi e conoscere una realtà lontana, se intendete che stia dando ragione a uno o all’altro intendete male). A quel punto l’Egitto, rappresentato dal presidente Nasser, cominciò ad avvicinarsi ad Israele ammassando truppe e mezzi blindati nel Sinai, il tutto sempre esaltato da dirette televisive e vignette anti israeliane a stimolare l’orgoglio arabo. Per le vie del Cairo si cominciavano a vedere fantocci con la stella di David in fronte impiccati ai pali della luce e continuavano sempre più frequenti manifestazioni di piazza a sostegno dell’attacco a Israele per difendere gli amici siriani. Una vittoria annunciata per gli egiziani, ma la storia non sempre segue le aspettative. Israele, con a capo i generali Dayan e Rabin, la mattina del 5 giugno del ’67, lanciò un attacco preventivo contro le truppe di Nasser nel Sinai, lasciando a terra quasi tutta l’aviazione egiziana  per poi continuare via terra conquistando il Sinai, la striscia di Gaza, le alture del Golan e tutta la Cisgiordania. Negli ultimi 2 giorni della guerra, Israele invaderà Gerusalemme est, con all’interno la città vecchia, allora territorio palestinese, e si fermerà solo arrivata al muro occidentale del tempio di Salomone, quel muro dove ancora oggi gli ebrei lasciano bigliettini con parole rivolte a Dio tra le fughe delle millenarie pietre. In pochi giorni gli eserciti arabi vennero decimati e l’intervento della comunità internazionale bloccherà la situazione cominciando un periodo di trattative volte a riportare la pace in medioriente (solo anni dopo si saprà che le informazioni passate dai russi agli egiziani erano false).

Chi volesse passare il ponte non può farlo senza il visto,  e non è possibile farlo alla frontiera, perchè deve essere richiesto preventivamente all’ambasciata o ai consolati  giordani prima di arrivare e tantomeno è possibile passare con il proprio mezzo, perché proibito (è possibile farlo solo negli altri due varchi di frontiera). Chi volesse passare in Giordania da Allenby dovrà passare il confine a piedi e continuare con mezzi giordani.      Invece per chi in Giordania non ci vuole andare dopo il bivio per Gerico, circa 5/6 km, si trova una strada sulla sinistra, indicata da un cartello con scritto “Luogo del battesimo” che porta dritta come un fuso sulla riva del Giordano, nel posto esatto dove Battista battezzò Gesù.  Il luogo è controllato dai militari, ben indicato, e con un posto di ristoro che consegna lenzuola bianche per chi volesse bagnarsi, ad emulazione, nel fiume. Il Giordano è un piccolo fiume di circa 3 metri di larghezza, me lo aspettavo molto più largo, che nasce al confine tra Siria e Israele, entra nel Mar di Galilea, ne esce e entra come immissario nel Mar Morto e lì si ferma. Il fiume, nel suo scorrere, segna fisicamente il confine tra Israele-Cisgiordania e la Giordania (Nella zona del battesimo ci sono i militari israeliani sulla riva destra e i militari giordani sulla sinistra a circa 4/5 metri, una sorta di 38simo parallelo tra le due Coree). Dopo aver battezzato Emanuela e risaliti sull’auto ripartiamo e, costeggiando il Mar Morto,  arriviamo all’ostello di Ein Gedi. Ci siamo fermati 2 notti, per avere 2 giorni a disposizione, il primo per la visita alla rocca di Masada, e il secondo per il classico bagno nel mar Morto a Ein Bokek. A Masada, un must,  è la salita a piedi lungo il sentiero del Serpente con partenza alle 04,30 del mattino, ora di apertura dello Snake Path, per arrivare alle 05,30 sulla rocca ed assistere al sorgere del sole. E cosi abbiamo fatto. La salita prende circa 1 ora a un passo regolare, la può fare chiunque, niente di trascendente, anche se, a mio avviso, alzarsi nel pieno della notte non ne valga davvero la pena (è possibile, dalle otto, arrivare alla fortezza comodamente in cabinovia). L’unica cosa per cui valga la pena è che al mattino presto le temperature sono un po’ più benevole verso i Sapiens, alla base del monte che ospita sulla sua sommità la rocca c’erano, verso mezzogiorno, 46 gradi Celsius. Il mar Morto si trova in una depressione del terreno a circa 400 metri sotto il livello del mare, oltre al sole perenne questo spiega le temperature estreme, ed è il punto secco più basso della terra. In tempi remoti, tutta la vallata, era sott’acqua ma con un’evaporazione maggiore dell’acqua immessa dal Giordano in pochi millenni si è arrivati alla situazione attuale. La rocca, antica fortezza e palazzo erodiano, è adagiata su un altopiano a circa 500 metri sul livello del mare, 900 dal pelo libero dell’acqua del mar Morto, pensata e costruita a quelle altezze per renderla inespugnabile ai nemici, ora riposa, ovviamente  semidiroccata, in un mare di silenzio. Inespugnabile fino a che non sono arrivati i romani, che come ultimo atto dell’ultima  guerra giudaico-romana, decisero di distruggerla e fare prigioniero l’ultimo sacco di resistenza ebrea, asserragliata proprio tra le mura di quella rocca. Ci misero anni, ed entrarono solo dopo aver costruito un terrapieno di 400/500 metri di altezza. Il terrapieno è ancora visibile, una sorta di lunga salita di sabbia usata per avvicinare alla fortezza l’artiglieria pesante, come visibili sono le vestigia degli accampamenti delle centurie romane. Violarono la rocca ma non riuscirono a fare prigionieri, i giudei preferirono suicidarsi in massa piuttosto che arrendersi ai Romani.

 

Questo finale è riportato nel tempo a esempio dell’orgoglio del popolo ebreo e a ricordo che a  quello stesso popolo, la resa è atto non considerato.

Verso le 9, finita la visita, e rifatto a ritroso il sentiero del serpente, eravamo già in macchina. Avevamo programmato una mezza giornata abbondante e non pensavamo di finire così presto allora, avendo tempo, decidiamo di andare a Gerico, visto che avevamo toppato il giorno prima. Entriamo in città da sud, dalla via principale, la più trafficata, e dopo aver comperato pane e mortadella di tacchino nel negozietto di Nisil, decidiamo di visitare il Monastero della Tentazione. Parcheggiamo poco distante, vicino a un chiosco di spremute  dove il venditore ci fa assaggiare dei datteri e ci incamminiamo verso la montagna. E’ un monastero in parte scavato e in parte costruito a circa 300 metri di altezza a sbalzo su una ripida falesia. E’ tuttora abitato da monaci Ortodossi, si vedono le cellette passandoci attraverso, ed è il posto in cui Gesù passò 40 giorni pregando e digiunando. All’interno oltre a una chiesa sorvegliata da un anziano religioso cristiano di rito Greco-Bizantino, che mi ricordava il bibliotecario del Nome della Rosa, inglobata nella struttura, c’è una grotta dove si pensa che Gesù sia stato tentato e abbia resistito al diavolo,  da questo episodio il nome dato al monastero. Ritornati alla macchina, sulla via del ritorno ci fermiamo da un fruttivendolo per farci pippare una quindicina di euro nella più classica delle fregature turistiche (in realtà me ne stava fregando 20 ma ho contrattato e mi ha fatto lo sconto di 5 …)

Arrivati in hotel ci buttiamo sotto la doccia e ci stiamo almeno mezz’ora, solo acqua fredda. Le temperature in queste zone difficilmente dopo maggio scendono sotto i 40 gradi, ne abbiamo misurati 46 sotto Masada la mattina, e per chi come me, soffre il caldo, le giornate sotto il sole sono un Calvario (per restare in tema).

Come ho già detto precedentemente, giugno a mio avviso è troppo avanti per un viaggio in Israele, Gerusalemme è in altura, circa 800 metri se non sbaglio, ed è l’unico posto che abbiamo trovato accogliente da un punto di vista climatico. La zona della Cisgiordania è davvero hard, soprattutto perché molti sono i posti che meritano una visita e molti dei quali raggiungibili solo a piedi.

Il mattino ci alziamo presto e facciamo colazione in compagnia di un manipolo di 30/40  piccoli bast…, ehm.. ragazzini in gita scolastica. Durante la colazione, e davvero non sembrava turbare i presenti, ho notato un uomo in borghese che girava tra i tavoli con una Beretta infilata tra i jeans e le mutande con l’impugnatura ben in vista.  L’albergo di Ein Gedi in realtà è un ostello e ospita spesso scolaresche in gita. Vicino ci sono molte attrattive, Masada, scavi archeologici, un parco naturale, un grande kibbutz, e tutto questo fa dell’ostello un punto strategico dove fermarsi. Non sono un bacchettone ma vedere civili armati che ti girano intorno a me un po’ turba.  Ho chiesto a un inserviente e mi ha spiegato che in Israele le scolaresche oltre che dai professori sono sempre accompagnate anche da un Security Man (con ferro sempre pronto) per i noti problemi di terrorismo.

Lasciato l’hotel, in 45 minuti e 40 km arriviamo a Ein Bokek. Zona a sud del mar Morto, nata a mio avviso solo per il classico bagno nel mare più salato al mondo. Intorno alla caletta ci sono 3/4 megalberghi  neanche tanto frequentati. Il posto non è particolarmente ameno, nuotare o fare immersioni non puoi, pescare tanto meno, se hai un taglietto o ti bagni gli occhi ti brucia come con l’alcool, l’unica cosa che attira i turisti è proprio quello che ci ha portato lì noi, la mezz’ora di bagno per poi raccontare a casa com’è salata l’acqua del mar Morto e come si galleggia. L’acqua è satura di sale, non si scioglie più e si deposita sul fondo, ed effettivamente la sensazione è davvero strana, la linea di galleggiamento è molto alta e puoi tranquillamente leggere il giornale comodamente seduto sul nulla,  come sul dondolo il nonno.

Tra l’altro non ci sono docce pubbliche ma ad uso esclusivo degli ospiti dell’albergo, e se non fai la doccia dopo il bagno ti garantisco che passati 5 minuti cammini come un replicante. Comunque noi la doccia l’abbiamo fatta lo stesso, giusto appena prima che arrivasse il tipo dell’albergo a sgridarci in ebraico. Finito il bagno ci fermiamo in un centro commerciale proprio vicino alla spiaggia e acquistiamo fango del mar Morto per le amiche dell’Emanuela. Sulla strada del ritorno un paio di km prima del nostro albergo c’è un grande kibbutz nel quale è possibile dormire previa prenotazione, una sorta di bed and breakfast ebraico, non male come struttura ma molto caro, economicamente parlando.  I kibbutz sono comunità tipicamente ebree, con regole e organizzazione interna di tipo socialista, è abolita la proprietà privata,  nati per colonizzare il deserto, ogni persona lavora per la comunità, dà a essa per quanto può dare e prende per quanto ne ha bisogno.  Ormai credo che non ne esistano più di kibbutz attivi ed organizzati alla vita comune come 100 anni fa, ma ne siano restati alcuni solo a scopi turistici. Politicamente sono una realtà davvero estrema, in molti kibbutz i bambini non potevano stare con i genitori ma avevano una loro struttura dove dormivano e venivano educati, così da togliere ai genitori ogni pensiero individualista e lasciare che pensassero e lavorassero solo per il bene della comunità (dei massimalisti occidentali se ne fanno un baffo, non a caso il Gotha fondatore del pensiero comunista ha, tutto quanto, origini ebree)   Ritornati in hotel, dopo il caffè ci prepariamo per lasciare Ein Gedi e raggiungere Gerusalemme.

 

L’indomani ritorniamo verso nord, sempre percorrendo la 90, e alla fine del mar Morto viriamo a sinistra e in mezz’ora siamo a Gerusalemme. Riconsegniamo la macchina al renter e a piedi ci avviamo all’ostello.

Siamo arrivati a Gerusalemme giovedì 6 giugno, abbiamo prenotato per 4 giorni, ma potevamo tranquillamente farlo per 2. Non che per visitare Jerusalem siano sufficienti 48 ore, semplicemente gli ultimi 2 giorni erano sabato e domenica, il giorno di riposo dello Shabbat, che va dal tramonto del venerdì a tutto il sabato (l’inizio dello Shabbat viene ricordato, come base, da una sirena che si sente per tutta Gerusalemme e amplificato da ebrei ortodossi suonando un corno di caprone nei posti più affollati) la domenica era la festività delle Pentecoste, Shavuot secondo gli ebrei. Durante il riposo sabbatico e le festività a Gerusalemme vi garantisco che chiude tutto, si fermano le auto, non circola un solo mezzo meccanico. E’ incredibile, durante questi periodi non puoi assolutamente fare niente, musei, ristoranti, negozi, anche i mici, solitamente abbondanti per le vie, vi lasciano soli. L’unico posto aperto è la città vecchia (e la dovrete raggiungere a piedi). Lo Shabbat è l’ultimo giorno della settimana, quando Dio, dopo aver creato il mondo nei precedenti 6, si è riposato, e così fanno tutti gli osservanti. Il sabato è dedicato alla lettura della Torah, la parola di Dio, l’antico Testamento cristiano, alla visita agli amici, ai parenti e al riposo.

Durante lo Shabbat sono 39 le cose che non deve fare un ebreo secondo la Torah ( sono tutte le azioni che si svolgevano durante la costruzione del primo Tempio, il Tempio di Salomone), setacciare, cuocere, impastare, legare, tagliare, accendere un fuoco, e via continuando. Le azioni dalle quali l’ebreo si deve astenere sono intese in modo esemplificativo, metaforico, se, secondo i comandamenti, il sabato, non devi arare la terra, vuol dire che ti devi astenere dal compiere quelle azioni che servono a produrre ciò che serve al sostentamento, che ne so, dare il grano a una gallina o innaffiare il melo, per esempio. Se ti devi astenere dall’accendere un fuoco, ti devi astenere dal mettere in moto un meccanismo per scaldare cibo. e su questo avrei un aneddoto. La mattina di sabato, dopo colazione, verso le otto, scendo in strada mentre aspetto l’Emanuela che stava finendo di spalmarsi la crema. Credo che l’ungersi con la crema, per una donna, sia il miglior modo percepito per prendersi cura di sé stessa (una piccola disgressione, se c’è una cosa che tutte le donne fanno, nessuna esclusa, è mettersi la crema! La crema è una sorta di impulso al quale la donna non può resistere, come il gatto con la pallina, credo che la donna mentre si spalma abbia  un rapporto erotico con quella pasta! non ho mai conosciuto una donna che non si mettesse la crema … e più costa meglio è!) mi si avvicina un ragazzo che mi chiede se sono ebreo. A quel punto mi irrigidisco perché, davvero, preso in contropiede, non capivo dove intendesse arrivare.  Premetto che da poco pratico il pugilato amatoriale, mi ha modificato un poco la prospettiva dalla quale vedere le cose, mentre subisci un’azione, velocemente devi valutare la reazione, se no le prendi! Velocemente ho pensato, se gli dico di si mi arriva un gancio destro perché non ho la kippah nel giorno dello Shabbat, schivo a sinistra e gli arriva un montante, se gli dico di no mi arriva un jeb sinistro perché sono un infedele e non seguo la parola del vero Dio, mi piego sulle gambe, passo verso sinistra e rispondo con un diretto destro, ma dopo avergli risposto che sono cristiano… non succede niente! Alla mia risposta gentilmente mi chiede se posso fargli una cortesia, seguirlo in casa e accendergli la piastra che gli serve per cucinare la colazione. Disorientato e sospettoso lo seguo, ad aspettarmi ci sono altri due ragazzi che prima mi guardano, e senza dire una parola mi indicano entrambi con il dito teso una doppia piastra elettrica con una pentola sopra, giro la manopola e mi chiedono di posizionarla sui 40 minuti. Fatto questo, un po’ imbarazzato li saluto e mi bloccano dicendomi che avendo fatto qualcosa per loro, loro avrebbero dovuto fare qualcosa per me secondo il versetto “non mi ricordo” del Talmud. E così hanno ricambiato con due bicchieroni di vino rosso, tra l’altro buono, e la mia giornata è partita con il sorrisino sulle labbra già alle otto del mattino.

 

Per gli spostamenti con i mezzi pubblici consiglio la Rav-Kav, è una tessera chippata, la si acquista un po’ ovunque, io l’ho acquistata e caricata in ostello, costa 5 Shekel (1,25 euro) più la ricarica, ed è possibile utilizzarla su tutti i mezzi pubblici, che siano tram, autobus cittadini, extraurbani e treni. Può essere caricata della cifra che si vuole e dà diritto a uno sconto, se non mi sbaglio del 10 per cento, rispetto ai biglietti acquistati in contanti.

Tutti i mezzi sono dotati di lettori “al tocco” che scalano automaticamente il relativo costo del biglietto. Vicino ad alcune fermate ci sono delle colonnine dove è possibile ricaricare la tessera e vederne il residuo. Alla fine della vacanza è poi possibile rivenderla oppure regalarla per continuarne l’uso.

Il primo giorno abbiamo girato tutta la città vecchia, diligentemente percorso le stazioni della Via Crucis seguendo la via Dolorosa, visitando tutti e quattro i quartieri e ovviamente la chiesa del Santo Sepolcro.

All’ingresso si trova la pietra dove Gesù dopo la crocefissione venne lavato, unto e avvolto nel noto telo di lino, sulla sinistra c’è una cappelletta al cui interno è racchiusa la pietra dove stette 3 giorni prima di risorgere e sulla destra, salendo due rampe di scale, il posto dove è stata issata la croce che lo ha visto morire. Non per essere sbrigativo ma una modesta guida spiega sicuramente meglio di quanto lo possa fare io.

Vorrei far notare, io non lo sapevo, che appoggiata sotto una finestra sulla facciata esterna del Santo Sepolcro c’è una scala, la “Scala Inamovibile”, una scala di legno con 5/6 pioli appoggiata nello stesso punto da 350 anni, rimasta tale perché i custodi del Santo Sepolcro, che sono i rappresentanti delle maggiori correnti del credo cristiano (Cattolici, Greci Ortodossi, ortodossi di rito Bizantino e Armeni, che secondo una legge del ‘700 non possono modificare nulla del Sepolcro senza il consenso unanime) non riescono a mettersi d’accordo se toglierla o lasciarla. L’hai messa tu e tu la devi togliere, io l’ho messa ma la doveva togliere lui, io l’ho messa per fare un favore a te, e tra una ripicca e una vendetta la scala è ancora lì (ma daaaaaiii!)! Se non mi sbaglio un tipo agli inizi del ‘900 la tolse ma, dopo averlo menato per bene, ce la rimisero e lì sta.  Tra l’altro litigavano così tanto che non riuscivano neanche a decidere chi doveva aprire la chiesa del Santo Sepolcro al mattino, ironia della sorte, dopo un litigio e una scazzottata, le chiavi le hanno date a una famiglia musulmana e da non so quanto tempo sono loro che aprono e chiudono il portone.

Noi eravamo alloggiati in un ostello sulla via di Jaffa, l’Abraham Hostel, spartano in quanto ostello ma logisticamente ben messo. Proprio dietro l’entrata c’era la fermata di un moderno tram su rotaia, la cui corsa,  andando dalla porta di Damasco, la zona musulmana di Gerusalemme da dove partono tutti gli autobus per la Cisgiordania, fino al monte Herzl, dove si trova il museo dell’Olocausto, copriva buona parte delle maggiori attrazioni e terminal turistici di Gerusalemme (una delle fermate è la CBS, Central Bus Station, da dove partono praticamente tutti i bus per l’intero paese).

 

Il giorno seguente decidiamo di vedere Gerusalemme dall’alto e scesi dal tram alla porta di Jaffa, costeggiando le mura esterne in senso antiorario arrivando davanti al Monte degli Ulivi. Una piccola stradina scende verso la tomba di Abshalom e continuando si arriva all’orto dei Getsemani dove fu catturato Gesù su indicazione di Giuda. Entrando e passando l’orto si arriva alla basilica dell’Agonia, visitabile gratuitamente, dove sotto l’altare è visibile la pietra dove Gesù si sedette a meditare prima di incontrare i centurioni  romani. Uscendo e continuando per la strada in salita, in 20 minuti si arriva nel punto panoramico più bello di Gerusalemme, sulla sommità del monte degli Ulivi. Dal balconcino naturale si vede tutta Gerusalemme con in primo piano la Spianata delle Moschee, la Cupola della Roccia e abbassando gli occhi il cimitero ebraico, il luogo più desiderato per la sepoltura in quanto da lì  Dio, alla fine di tutto, farà salire al cielo le anime dei morti.

Rientrati in stanza la Manu sceglie di rilassarsi una mezz’oretta e io esco per una birra ghiacciata, che la desideravo dal ’98,  decido per il mercato coperto di Mahane Yehuda, a pochi passi dall’hotel. Un bellissimo e affollatissimo mercato cittadino dove si trovano svariati locali per farsi uno Spritz vicino a negozi di verdura, spezie e  tavole calde dove ho assaggiato un’hummus da favola. Un posto simile l’abbiamo trovato a Madrid e a Lisbona, questo, per la verità, un po’ più rustico e sincero (… and cheaper!).

La sera ceniamo in un ristorante Etiope, il Walia Ibex Ethiopian Restaurant, sulla Jaffa Road, e chiedendo il menu  ci dicono che non serve, perché il ristorante fa solo due piatti, piatto di carne e piatto di verdure! Bon! Ordiniamo un piatto di verdure, ci portano un piatto due volte quello classico della pizza con un pane spugnoso e molle adagiato sul fondo e 7/8 tipi di salse a mucchietti disposte sopra. Chiediamo le posate ma ci dicono che nei ristoranti etiopi si mangia con le mani, e così facciamo.  Pagato e salutato ritorniamo in ostello.

 

Il giorno dopo decidiamo di andare a Betlemme, preso il tram fino alla porta di Damasco, scendiamo e aspettiamo nella piazzola dedicata il bus 231 che porta al check point di Betlemme, per 2/3 euro, in una ventina di minuti di viaggio. Si parte dalla porta di Damasco, siamo a Gerusalemme est, la Gerusalemme araba, non festeggiano lo Shabbat, ma il venerdì. Scesi passiamo a piedi il check point e dall’altra parte del muro troviamo almeno 50 taxi ognuno che ci elenca i motivi per i quali dovremmo scegliere lui e non gli altri. Scegliamo Abib, se lo incontrate salutatemelo,  ci facciamo portare alla basilica della Natività, al muro con i murales, giro per la città, amico con il negozio di souvenir, caffè turco e ci facciamo riportare al check point a riprendere l’autobus per il ritorno a Gerusalemme per 20 euro. Dal check point è abbastanza agevole arrivare alla Basilica della Natività a piedi, credo che in 30 minuti ci si arrivi a passo neanche tanto spedito, ma si può contrattare un giro per Betlemme e dintorni con un tassista senza spendere una follia, ovviamente partono da 78000 euro arrivando ad accettarne 20/25 per un giro di un paio d’ore con sosta alla basilica. La sera assistiamo a un bellissimo spettacolo nella torre di David, da vedere anche il museo, una proiezione della storia di Israele direttamente sui muri della fortezza. Da chiedere i giorni nei quali fanno lo spettacolo, credo siano martedì, giovedì e venerdì, forse il sabato dopo il tramonto, ma non ne sono sicuro, 17/18 euro il prezzo ma lo vale tutto.

Un’idea, in caso si abbia un’oretta da riempire, è la passeggiata sulle mura, si sale in un angolo sulla sinistra appena passata la porta di Jaffa, previo biglietto acquistato lì nei paraggi, anche se non dice molto, al contrario di quanto ho letto, in quanto le vedute sono limitate e il caldo opprimente, forse la sera dovrebbe essere un po’ più di atmosfera, comunque era solo per farvelo sapere. Tra l’altro dopo aver acquistato i biglietti e saliti ci siamo accorti che tutti passavano tranquillamente infilandosi tra i cancelli a tornello, a saperlo! Rientrati in ostello ci facciamo una doccia e ci prepariamo una cenetta nella cucina comune, il cui esito è stato senza infamia e senza lode, aspettando l’ora del letto con una birra in mano e un po’ di musica suonata dal vivo da un gruppo di americani. In realtà quella sera lo spettacolo lo dovevano fare due ragazzi israeliani, uno con la Stratocaster e l’altro che batteva il tempo su una cassa di legno a mò di Bongos, ma sul palco saliva, invitato, chi sapeva e voleva fare un proprio pezzo. Sul palco sono saliti un paio di ragazze, un ragazzo e un afroamericano sulla settantina che ha inchiodato sulla sedia una cinquantina di persone con pezzi di Barry White (Come gli spagnoli sono insuperabili nell’organizzare feste, chi ha fatto l’Erasmus in Spagna lo sa,  gli americani sono insuperabili quando si tratta di maneggiare musica).  

 

La domenica mattina lasciamo presto l’hotel , e contro la mia volontà, perché sapevo esattamente dove andavo a parare,  facciamo un giro per la città vecchia per l’acquisto dei souvenir. L’Emanuela acquista spezie che soddisferebbero le necessità del Sudan per un anno, e  magneti da attaccare ai frigoriferi di mezza Cremona. Dopo aver fatto avanti e indietro 6 volte per  le stesse strade, con un po’ di fortuna, vediamo i varchi aperti e riusciamo a salire sulla Spianata delle Moschee, con tal nome la chiamano i musulmani,  monte del Tempio per i cittadini di fede giudaica e tempio di Salomone per i cristiani, userò il nome che mi verrà al momento. Consiglio di valutare bene i giorni e gli orari perché davvero non ho capito quando e come si può salire sulla spianata, gli orari non sono mai certi e i giorni nemmeno. Innanzi tutto, un po’ in tutta Gerusalemme, ma particolarmente per accedere alla spianata, i controlli sono certosini, se avete con voi una Smith e Wesson calibro 22 lasciatela in hotel perché vi beccano. Molti vengono respinti e basta una piccola scaramuccia tra coniugi in periferia che chiudono e blindano tutto senza avvisare e col cavolo che passi.

Comunque noi domenica siamo saliti, e vi garantisco che li vedrete come strani siano gli uomini, di qualsiasi fede essi siano. Il grande spiazzo, la spianata, è contenuto dalla mura che erano le mura del vecchio tempio di Salomone, ne resta solo una parte (il muro occidentale , il luogo più sacro agli ebrei in assoluto) il resto della cinta sono mura riedificate nel tempo dopo le tante battaglie. Sotto la spianata dovrebbero esserci le vestigia del tempio vero e proprio, quello di Salomone, perché è stato abbattuto e i romani ci hanno costruito un tempio pagano dedicato a non so quali dei, poi i cristiani hanno buttato giù il tempio dei romani e c’hanno costruito una chiesa dedicata alla Vergine Maria, poi sono arrivati i musulmani che per ripicca ai cristiani  hanno eretto una moschea, ovviamente dopo aver spianato la chiesa. Lo spiazzo è territorio palestinese ma è sotto la giurisdizione di Israele, però gli ebrei non ci possono salire, i musulmani non possono scendere nella piazza del muro del Pianto e i cristiani girano a vuoto perché non sanno mai dove andare. Il venerdì e il sabato nessuno sale e nessuno scende perché è festa per uno e non per l’altro e viceversa. Alla fine ho capito che il mondo è davvero grande ma tutti vogliono andare lì! Lasciamo non senza rammarico quel concentrato di storia e ritorniamo in ostello. La sera dopo cena decidiamo di fare l’ultimo giro per la città, proprio vicino all’hotel c’è il quartiere degli ebrei ortodossi, Me’a She’arim, e decidiamo di andare. Le strade per accedere sono sbarrate da transenne per evitare che qualcuno entri in un giorno di festa, il quartiere è molto sporco e per le strade molte sono le persone. Tutti sono vestiti con gli abiti tipici della tradizione, nessuno ti guarda negli occhi. Ho notato alcune bandiere palestinesi alle finestre, la cosa non mi ha stupito in quanto molti ebrei ultraortodossi appartenenti a certe correnti, i Neturei Karta è una fazione molto attiva, sono contro lo stato di Israele accusato di aver colonizzato la terra che non gli appartiene. I seguaci di queste correnti non pregano al muro del pianto e non lavorano, e vengono sovvenzionati economicamente dallo stesso stato che combattono. Le donne, se non sposate, non possono essere accompagnate da uomini, e in effetti si vedono gruppi di ragazzi divisi per sesso. I più estremisti, e sono molti in Israele e nel resto del mondo, sono per la divisione netta tra maschi e femmine nei luoghi pubblici, sui tram, nelle scuole, nei ristoranti, molti si rifiutano di parlare l’ebraico e usano  l’Yiddish, una lingua germanica e non semita ma che con l’ebraico ne condivide i caratteri. Una curiosità,  mi è stata detta da un ragazzo che ho conosciuto in ostello, è quella che non leggono giornali, ma solo manifesti incollati in appositi spazi lungo le strade dai rabbini della comunità. In effetti nel quartiere di Me’a She’arim ne ho visti molti.   Non abbiamo visto polizia o militari, invece molto presenti per tutte le strade di Gerusalemme. L’impressione che abbiamo avuto è quella di non essere particolarmente graditi, così giriamo i tacchi, finiamo il giro e ritorniamo in ostello.

Ho trovato Gerusalemme e l’intero Israele molto sicuri (molti mi han detto se ero sicuro di andare visto gli attentati, le bombe,la Massoneria Ebraica, i meteoriti e i Rettaliani) anche se, ovviamente, sono posti instabili, soprattutto per i residenti ma molto meno per i turisti.  Il modo più originale, però, di dissuaderci dall’andare in Israele l’ha avuto la mamma della Manu, che ci sconsigliava di andare perché ricordava di aver visto un servizio alla tv  che avvertiva  che c’erano molti serpenti.  

 

Il lunedì siamo pronti per lasciare Gerusalemme e partire per Tel Aviv, non avendo avuto la possibilità di farlo prima perché chiuso, decidiamo prima di lasciare la città di visitare lo Yad Vashem, il museo dell’olocausto. Preso il tram in Jaffa road, passiamo la Central Bus Station e arriviamo in Herzl Square (Herzl è il padre del sionismo) il capolinea del tram. Scesi, imbocchiamo un viale e in 15 minuti arriviamo al Memoriale. L’ingresso è gratuito ed è toccante passare, ascoltare e vedere le tracce a ricordo di questa azione umana. La parte più dura è un padiglione staccato dal corpo centrale e, nel buio della struttura, si sente una voce elencare, senza soluzione di continuità, i nomi di tutti i bambini che non sono riusciti a tornare a casa.

Usciamo senza dire una parola e riprendiamo il tram per la stazione degli autobus. Alla stazione prendiamo il 405 che in 50 minuti ci porta alla Central Bus Station di Tel Aviv in Levinsky street. Da li in autobus arriviamo all’hotel nel paesino/quartiere turistico di Bat Yam. Il mare è davvero molto bello, la Manu ha apprezzato e non lo ha nascosto, passando le due giornate che mancavano sdraiata come un drago di Komodo e alzandosi solo quando il sole la lasciava sola.

La sera, lasciato Bat Yam, in autobus raggiungiamo Jaffa, un antico porto a circa mezz’oretta dal centro di Tel Aviv. Molti sono i locali e noi ceniamo in un bel ristorante di cucina  araba, “The old man and the sea” al porto vecchio. Ordini e appena ti siedi, senza dirti niente, come antipasto ti portano pane arabo e 23 scodelline in ceramiche con altrettanti tipi di salsa (le ho contate), anche a Nazareth avevamo visto la stessa cosa, è tipico, molte salse fatte con varie verdure, piccanti, dolci, speziate, ti lasciano spizzicare poi passano per l’ordinazione. Quando sono passati per l’ordinazione noi avevamo già pappato almeno la metà delle scodelline e dimezzato le altre, e sinceramente non avevamo più fame. Ordiniamo altre 2 birre e niente più cibo. Il cameriere mi dice che gli antipasti sono gratis, ma se non ordiniamo li dobbiamo pagare, e così facciamo.  Lasciato il ristorante continuiamo per il centro della cittadina gironzolando senza meta. Volevamo arrivare al quartiere di fiorenti, un quartiere hipster e alternativo ma ci fermiamo nella parte vecchia di Jaffa.  Verso mezzanotte, stanchi, torniamo in hotel e ci prepariamo a salutare Israele.

 

Il mattino, fatte le valigie  ritorniamo alla stazione degli autobus di Levinsky street e in 15 minuti a piedi, dalla stessa, raggiungiamo la stazione dei treni. Il treno è il mezzo più comodo per raggiungere l’aeroporto Ben Gurion, alcuni ci hanno detto che è l’unico mezzo pubblico per raggiungerlo e ferma proprio vicino l’entrata delle partenze. Sbrighiamo le pratiche e in circa 4 ore siamo a Bergamo, pronti, se la caldaia non mi molla (preventivo 2300 euro), per il prossimo viaggio.

 

Massimo ed Emanuela  3/12 giugno 2019 

 

Il viaggio in totale è costato circa 2000 euro, voci più importanti così suddivise;

·         744 euro  9 notti più colazioni

·         94 euro assicurazioni

·         138 euro noleggio auto più assicurazione copri franchigia  più  70 euro benzina

·         272 euro volo

·         15 euro biglietti Masada, 8 euro bigliette mura città vecchia 32 euro proiezione Rocca di David

·         34  euro parcheggio Bergamo

    

 

Chi volesse fare due chiacchiere  o semplici informazioni                  m.marzani@alice.it    

 

 

 

 

 

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