INDIA DEL SUD
Diario di viaggio 2006
1. LONTANO / VICINO,
distanziamento / coinvolgimento
Il timoniere del
barcone (una kittawallam, questa bella imbarcazione in solido legno scuro fatta con lo stile e le
arti tradizionali e coperta con una bellissima costruzione in paglia
intrecciata), con la sua pelle nerissima sui lineamenti "indoeuropidi",
e con la sua "gonna" bianca, il dhoti, e con i suoi bei baffoni
fiorenti, se ne sta lì placido alla guida tenendo con una mano l'ombrello per
farsi appunto un po' d'ombra, e guarda l'orizzonte. Siamo in Kerala, nell'India
del Sud, e stiamo scorrevolmente navigando con tutta tranquillità per le backwaters, l'intrico di
"valli", canali, rami dell'antico fiume, che stanno dietro la costa,
su un vastissimo territorio, subito all'interno. Ad un primo sguardo, è una
scena che si può vedere nei suoi tratti caratteristici, guardando da una grande
distanza culturale, quale può essere quella dello sguardo nostro, un po'
sbigottito, essendo arrivati ieri, catapultati in questo mondo dell'altrove
grazie alla rapidità dei trasporti con i moderni jets delle rotte aeree
intercontinentali.E tuttavia dopo qualche ora di questa calma navigazione
silenziosa ecco che adesso a ben guardare c'è semplicemente il pilota del
"nostro" barcone, che essendo in pieno sole si ripara facendosi ombra;
lo si vede oramai con uno sguardo più "da vicino", più familiare,
poiché ora ci si è abituati a quella estraneità del primo momento, a quella
scena inusuale. Si chiama Veera, e lavora in questa cooperativa di barcaioli che
gestisce i trasporti fluviali.
Ma tuttavia,
tutt'intorno c'è questa vegetazione lussureggiante verde smeraldo, tipica di un
paese che sta più vicino all'equatore che al tropico, una vegetazione che come
accade in certe immagini esotiche è una vera e propria esplosione di verde
incontenilbile, prorompente, che si manifesta sotto splendide forme vegetali, ma
soprattutto alberi di mango, palme da cocco, fiori rossi o gialli, ma comunque
sgargianti.
E ciononostante dopo
un po' di ore di questo panorama più o meno simile, ci si acquieta la curiosità
dello sguardo, e si constata che ci sono sempre solo e nient'altro da vedere che
palme, palme, palme sul bordo dell'acqua limacciosa. Non viene catturato lo
sguardo come all'inizio, non si è più inchiodati là ad ammirare increduli e
ad occhi spalancati, la realizzazione per pura magia dell'immaginario
orientaleggiante, condito con quadretti esotici, con un po' di reminiscenze di
Kipling e di Salgari, con quell'esotismo, quel gusto del favoloso, quelle
aspettative che hai quando vai a vedere i paesi tropicali...e che lì, nelle
back waters del Kérala, sono proprio così come te li aspettavi (e forse forse
proprio questo, oramai smaliziati come siamo, non te lo aspettavi più
veramente...).
Quando si incomincia
a distogliere lo sguardo, allora il tuo sguardo non è più uno sguardo "da
lontano". E più si è vicino, e più ci si può poi ri-allontanare, e più
tutto ti appare nei suoi reali contorni che pur mischiando usuale e inusuale
conservano proprie specifiche caratteristiche che ti consentono di cogliere
l'inusuale con uno sguardo di nuovo "da lontano", o meglio ora direi
"ampio", che riesce a mettere insieme nella cornice tutta una
molteplicità, una complessità, ora sufficientemente vagliata non essendo più
distratti dall'insolito o dall'inatteso. Quindi reinquadrato l'insieme, ci si
potrà di nuovo avvicinare perché ora più consapevolmente si vuol vedere più
da vicino come stanno le cose. E così dopo aver dato uno sguardo all'uno, si
potrà vedere di che molteplicità esso è composto, e a quel punto poi
ritornare spostare la visione dalla molteplicità all'uno.
E in questo continuo
movimento di distanziamento e di coinvolgimento, in questo continuo riaggiustare
la messa a fuoco del nostro binocolo, sta tutto il senso del viaggiare come
forma del conoscere per comparazioni e quindi per similitudini e
differenziazioni.
Ecco, ora si vede la
"normalità", si cominciano a percepire gli individui con i loro
costumi, e i loro usi, ed essi divengono anche persone. Nel timoniere vedi un
lavoratore con i suoi problemi sindacali, oppure costeggiando lentamente, dal
barcone vedi una madre con la sua famiglia a carico, un impiegato di un negozio,
che esterna invidia o astio per
quel che accade in altri negozi
differenti dal suo, una contadina legata al suo orizzonte di vita ristretto
sempre identico...una donna che lava i panni e un'altra che pulisce le sue
pentole, alcuni che lavano sè stessi. Si comincia a capire il Paese e la sua
gente.
Ma già non ci
rendiamo più conto che siamo arrivati ieri mattina !??... E ora stiamo qui a
parlare con questo timoniere e gli altri della barca, grazie al fatto che oltre
al malayalam sanno un pochino di inglese, facendo domande su quel che ci sfila
dinnanzi agli occhi man mano che il barcone procede lungo le coste del
canale...Interessandoci di questioni e di gente di cui sino a pochissimo
addietro non ce ne importava nulla o quasi, o di cui comunque ignoravamo tutto o
quasi...
E' così: il tempo
si è dilatato. Essendo alcunchè di elastico e flessibile si è dilatato in
proporzione allo spazio percorso. Ieri mattina è oramai qualcosa, o tutto un
complesso di cose, che sta in una dimensione lontanissima, e noi adesso siamo
immersi nell'altrove, e questo ci pare accada già da tantissimo, tanto intensi
sono gli stimoli che riceviamo, tanto intensa e partecipata è l'esperienza che
ne facciamo, tanto coerente è l'insieme in cui ci troviamo, tanto lontano è
ora divenuto ciò che era il nostro contesto abituale ! E questa lontananza si
tramuta in lontananza temporale: qui il tempo scorre più lento, e una giornata
equivale ad una estensione lunghissima.
Ed è perciò che ci
sembra già possibile ri-volgere uno sguardo più da vicino...
2. UN GRAN COROCEVIA
DI GENTI E LINGUE
Cochin, 1° agosto
2006- L'attuale Stato meridionale del Kérala si estende lungo la costa ovest
fin quasi alla estrema punta sud, ed è delimitato da belle catene di monti
verdi e ricchi di flora e anche di fauna (andremo a visitare il bel parco
naturale di Bandipur, ma più famoso è quello di Peryiar). Subito alle spalle
delle spiagge della costa, ci sono le backwaters, cioè quell'intrico di canali
navigabili in mezzo a una lussureggiante vegetazione, di cui vi parlavo la volta
scorsa, e che appunto si visita con le cosiddette houseboats, ben attrezzate, su
cui si può imbandire una tavola ricca di frutta tropicale e pesce fresco, e su
cui si può dormire in pulitissime camere da letto (con toilette), e star via
navigando all'interno anche per giorni.
La storia della
costa, nota come costa del Malabar, e in particolare di Cochin, o Fort Cochin
(ora Kochi), è una storia molto antica di contatti e scambi con il resto del
mondo: si pensi solo che già nel IV secolo av. C., un greco di nome Megastene
fu qui come rappresentante degli interessi commerciali degli Ioni, come venivano
qui chiamati i greci e macedoni (storico e geografo fu inviato dal diadoco
alessandrino Seleuco Nikator, più volte in missione tra il 302 e il 292 av.C.).
Megastene giunse fino a Madurai attraversando la fitta jungla, come ambasciatore
presso la corte del Raja Chandra Gupta (dai greci poi storpiato in re
Sandracottos), quando Madurai era un lontanissimo centro di esportazione di
spezie rare e di pietre preziose. (Chissà cosa raccontò quando ritornò
indietro...purtroppo non abbiamo un suo "Milione"...). Poi, a quanto
racconta Plutarco nei "Moralia", Menandro (il re alessandrino della
Bactriana che regnò da Kabul sino al fiume Indo dal 163 al 150 circa a.C.), era
giunto sin qui per incontrare un grande monaco, il venerabile Nagasena, e sembra
che fosse divenuto buddhista col nome di Milinda (come attesta l'importante
testo che riferisce dell' incontro, e che è divenuto un'opera di grande autorità
per il buddhismo dell'epoca, è intitolato: Milindapanha - le domande del re Milinda, si veda la trad.it. a c.di M.A.Falà, Ubaldini editore, Roma). Poi la
dinastia Murya (fondata proprio da Chandragupta) estese il proprio regno sino al
nord, cacciando i dominatori alessandrini dai territori lungo il fiume Indo.
Inoltre,
si sa che l'apostolo Tommaso venne a predicare qui subito dopo la morte del
Maestro, e che dunque questa fu la prima comunità protocristiana del mondo
fuori dalla Terra d'Israele. C'è persino una favolosa leggenda secondo cui
l'ultima volta che diedero sollievo a Gesù sulla croce, detergendogli il volto
e dandogli da bere qualche goccia con una spugna bagnata posta in cima a una
pertica, in realtà gli avrebbero dato un potente anestetico o sonnifero, per
cui dopo poco si irrigidì e sembrò come morto (con
battiti cardiaci lentissimi e temperatura corporea in rapido
raffreddamento). Quindi, corrotto il centurione di guardia al sepolcro,
nottetempo scoperchiarono la tomba e lo portarono in salvo in un nascondiglio
nella sua Galilea, poi da qui lo misero in salvo su una imbarcazione che salpava
per i porti commerciali più lontani che gli ebrei conoscessero, cioè appunto
la costa del Malabar (forse dunque accompagnato da Tommaso). Ho visto in un
libro sulla storia delle comunità cristiane nella costa occidentale, una foto
di una lapide tombale in cui vi è una iscrizione in aramaico che dice: qui
giace Jeshu ha-Notzrì (Gesù il nazareno), qui deceduto all'età di 60 anni.
Non ricordo il nome della località, ma o è nel Kerala o poco più a nord.
Comunque Didymos Judas Thomas è attestato che fosse in questi territori
costieri nel 52 d.C. (cfr.
J.-Y.Leloup, Il Vangelo di Tommaso, Roma, 2005). In effetti in quegli anni si formò una piccola comunità di
indiani seguaci della Torah, noti come Nazranis (più tardi aderiranno alla Chiesa Siriaca, poi nestroriana -quindi
dichiarata eretica nel 431). Pensate che i pochi fedeli della chiesa siriaca
attualmente esistenti, e sparsi in tutto il vicino e medio oriente, ancor oggi
parlano l'aramaico!
Poi con la
distruzione del Grande Tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito nel
69/70 d.C. diversi ebrei andarono a Cranganore (allora Kadungallor) dove appunto
c'erano già degli empòri di conterranei. La storia della presenza ebraica
nelle coste meridionali dell'India ha continuità nel tempo: è attestato un
Thomas Cana nel IV sec. d.C. a Thrissur; e poi nel 962 risulta che il raja di
Kadungallor concesse a Joseph Rabban di stabilire una "colonia"
permanente, nominandolo capo della sua comunità.
Secoli dopo,
nell'epoca della espansione mercantile e marinara europea, giunsero i primi
portoghesi, il famoso Vasco de Gama, passando oltre la punta sud dell'Africa,
doppiato il capo di buona speranza giunse nel 1498 a Calicut, aprendo una nuova
rotta commerciale, e il grande navigatore Cabral sbarcò nell'anno 1500 una
guarnigione a protezione dei commerci di spezie, e Alfonso de Albuquerque fondò
qui nel 1503 la prima fortezza europea in India (Fort Cochin). Qui Vasco,
nominato viceré delle Indie, morì, e vi fu sepolto nel 1524. Insomma i
portoghesi si insediarono stabilmente in questo tratto di costa (e a Goa), come
attesta il bel Palazzo Mattancherry da loro qui edificato nel 1557. Ebrei di
origine iberica costruirono qui il primo tempio vero e proprio in muratura,
Paradesi Synagogue, considerata la prima sinagoga d'oriente, essendo del 1568,
che in seguito a varie guerre dovute alle rivalità con gli olandesi per la
supremazia commerciale, fu poi distrutta
dai portoghesi. I missionari di Lisbona, sia non riconobbero quegli indigeni
"nazariti" come dei cristiani, sia disprezzarono i locali fedeli della
chiesa siriaca, e da ligi controriformisti, con la presenza di Francesco Xavier
nel 1542, vollero che quelli sostituissero la loro "croce fiorita" e
che aderissero alla chiesa romana, cosa che provocò in loro molta avversione.
Essendosi poi stabilizzato un lungo dominio olandese, di cui resta il bel Dutch
Palace, e varie abitazioni, la sinagoga fu ricostruita nel 1662 e poi abbellita
con un pavimento di mattonelle cinesi acquistate a Canton da Ezekiel Rahabì nel
settecento. Gli ebrei dell'India (divisi in sefarditi, di origine iberica, e in
indiani ebrei, o Bené Israel, dagli altri chiamati con spregio
"neri") si trasferiranno poi nel secondo novecento quasi tutti
nello stato d' Israele. Tanto che ora girando per le stradine del vecchio
quartiere coloniale, ci dicono che ne siano rimasti diciannove, tutti vecchi...
Insomma una comunità
molto antica, che ci fa dischiudere pagine di storia da noi ignorate. Si pensi a
quei lontani tempi, in cui qui già si incontravano genti dei più diversi e
lontani popoli. Nell'VIII sec. d.C. giunsero qui degli zoroastriani dalla
Persia, detti poi Parsi (oggi presenti, e potenti, a Bombay e nel Gujarat. Si
pensi al famoso Tata). A Kochi ci sono ancor oggi resti della presenza di
pescatori cinesi, a "China Vala", dove ci sono le Fishing Nets, grandi
reti da pesca a bilancere introdotte all'epoca di Marco Polo nel XIII secolo.
In realtà i
contatti con il nostro mondo mediterraneo iniziarono ben prima, come dicevo già
più sopra, e oltre ai motivi di incomprensioni e di scontri, non mancarono
coloro che -come Menandro- rimasero affascinati da questo paradiso
tropicale e dalla sua antica civiltà. E dunque aggiungo altre due favolose
storie d'oriente, riferendovi che Pentaenus, scolarca alessandrino, visitò il
paese, e si dice che conoscesse bene le filosofie dell' Advaita Vedanta, che
apprese conversando con i dotti conoscitori di Kalyan delle sacre scritture
vediche. Un altro personaggio interessato a conoscere e capire, fu, molto più
tardi, proprio un italiano, il gesuita Roberto de' Nobili che si stabilì
nell'attuale Tamil Nadu dal 1605 al 1656, vestiva in color zafferano, e visse
come un asceta hindu a Mylapore (vicino a Madras). Parlava tamil e sapeva
discutere con i bramini in sanscrito, tanto che ne avrebbe convertiti alcuni al
cristianesimo. La gente e le personalità preminenti locali lo rispettavano,
poichè secondo le usanze tradizionali osservava le regole di purità rituale
nei cibi, e nei contatti interpersonali (ma tuttavia fu poi sottoposto a
inquisizione come sospetto...).
Sarebbero tutte
storie da trarne romanzi degni di Kipling e di Salgari.
Insomma un gran
crocevia di presenze diverse; già molto tempo prima dell'epoca del colonialismo
inglese, qui dunque c'era un melting pot di genti e una babele di lingue, da far
"invidia" alle metropoli del nostro attuale mondo "globalizzato".
Oggi il Kérala (che
conta quasi un 20% di cristiani), è uno stato tra i meglio organizzati
dell'India e tra quelli in più rapido ed ordinato sviluppo. Oramai da più di
mezzo secolo qui hanno governato i comunisti e le sinistre, perciò è molto
frequente vedere bandiere rosse con falcemartello lungo le strade (dopo
l'interruzione di una legislatura con al governo i neoliberisti di
centro-destra, le sinistre rinnovate hanno di nuovo vinto le elezioni). Qui sono
molto forti le organizzazioni sindacali, e si è radicata una rete di
cooperative in molti settori dell'agricoltura e dell'artigianato. Tutti sono
alfabetizzati, c'è una buona assistenza sanitaria e i servizi sociali sono
efficienti. Ci sono in prevalenza prezzi fissi e onesti, e si contratta poco. In
generale c'è molta dignità. Sarà stato un caso ma non si è mai avvicinato un
bambino, o un mendicante, che ci avesse chiesto l'elemosina, se non in cambio di
qualche piccolo prodotto o di qualche servizio. Oltre alla lingua locale
malayalam, moltissimi parlano inglese, e ciò facilita i nostri contatti con
persone generalmente gentili e corrette. Il
turismo è in notevole sviluppo, sia per le belle spiagge, le montagne, la
vegetazione e i paesaggi, i parchi naturali, le riserve faunistiche, sia per la
buona organizzazione di centri di cure ayurvediche, di scuole di yoga, e per le
attività culturali (in particolare di musica e danza classica).
Purtroppo la danza
kathakali, l'ho vista soltanto in televisione, anche se forse in quel modo l'ho
potuta apprezzare anche maggiormente, grazie al commentatore. Questi spiegava
che si tratta di una antica pantomima, specifica solo del Kerala, per cui si
raccontano favolose storie tradizionali, attraverso la danza, con movimenti
emblematici, e con un vistoso trucco (i danzatori tradizionalmente erano tutti
uomini) e un abbigliamento dai significati simbolici.
La
prossima volta che verrò in Kerala mi piacerebbe poter assistere a delle
lezioni in una scuola di kathakali; e anche visitare un centro di meditazione
che dà insegnamenti basati su una antica saggezza tramandata oralmente, fondato
e gestito da una donna, una guru mata, che dispensa calorosi e affettuosi
abbracci a tutti coloro che vanno ad incontrarla (indipendentemente da gerarchie
di caste, e di fuori-casta, e "intoccabili"), e sono assai numerosi,
perché qui è molto venerata ed è amorevolmente chiamata da tutti Amma, Madre.
3. FAVOLOSE STORIE
D'ORIENTE
Pensate che il
termine moderno di serendipity, oggi tanto in voga, è sì inglese, ma in realtà
deriva da Serendib, nome arabo per le coste della punta sud dell'India e di Sri
Lanka-Ceylon, nome molto usato dai
mercanti arabi che trafficavano portando le spezie e i tessuti
da lì a Baghdad, e a Damasco. In effetti nella puntata in cui vi ho
parlato della storia della costa del Malabar e dei commerci e contatti con vari
popoli di terre lontane, mi ero scordato di menzionarvi i rapporti con la Persia
e con i Paesi arabi, che furono intensissimi per tutto quel periodo che noi
chiamiamo medioevo, ed oltre.
Il nome di Serendib
è menzionato in "Simbad il marinaio", che è più esattamente “Sind-bad”,
ciclo di racconti favolosi, incluso poi anche ne "Le Mille e Una Notte" * relativo al periodo attorno al Millecento, (ma presente già nelle "Mirabili cose dell’India" del sec.x redatto in persiano-farsi), in effetti Sind significa
genericamente "India", ovvero sta a indicare tutte le terre al di là
del fiume Sind (o Hind, che il "nostro" Alessandro Magno voleva
conquistare ma che non raggiunse). Il nome Sinbad sta anche per “il saggio
navigatore”, che per metafora sarebbe quel che noi chiamiamo un filosofo, e
viene dal nome di uno degli antichi Sette Savi indiani: il saggio Sindbad.
Questi è menzionato nel Kalì wa Dimna, testo antico perduto, trad. in arabo nell’ VIII-IX sec., e poi in greco
bizantino nell’ XI come historikòn Syntipa
tou philosòphon, storia di Suntipa il filosofo, dove sono
riportati i racconti relativi ai Sette Savi dell’India. Il nome Sinbad dunque
fu attribuito come epiteto ad un vero saggio navigante, cioè a uno
straordinario marinaio le cui avventure dal significato allegorico, sono
raccontate in quel ciclo di storie che vi dicevo prima.
In Età Moderna il
termine serendipity fu coniato dallo scrittore inglese Sir H. Walpole nel 1754
per riferirsi a ciò che accade a coloro che scoprono fortunosamente cose che
non stavano cercando. Egli formulò questo neologismo dopo che lesse una antica
novella persiana tradotta in italiano da Cristoforo l’Armeno, e pubblicata a
Venezia nel 1557 col titolo Pellegrinaggio di
tre giovani figliuoli del re di Serendippo. In cui si
raccontano le avventure di tre prìncipi indiani che mettendo a frutto
straordinarie doti di osservazione e perspicacia, riescono a scoprire verità su
fatti e cose a loro sino a quel punto del tutto ignote, attraverso una serie di
indizi inattesi in cui si imbattono durante il loro viaggio, e provocando
bonariamente i loro informatori in argute chiacchierate in cui vari temi vengono
toccati come per caso. Tale racconto fu preso come parabola del percorso di
ricerca, per indicare appunto la capacità di cogliere inaspettati segni
indiziari in un cammino intrapreso inizialmente per altri fini.
Ma ritorniamo alle
origini, e troviamo prima del coraggioso e avventuroso marinaio, e del grande e
leggendario filosofo antico, la figura emblematica di un precettore ! Dunque
dovete sapere che il saggio Sindbad era il precettore del figlio di un re, di un
raja della costa del Malabar, o di Ceylon,
e si racconta che egli lo proteggesse assegnandogli il compito di
osservare il silenzio per una settimana come prova o esercizio spirituale contro
le tentazioni della parola. Come si spiega questo? Il principe dovette compiere
questo esercizio di grande difficoltà, poiché quando vide certi segni, che
interpretò come indicanti un pericolo imminente, corse a raccontare tutto al
suo buon precettore. In effetti poi succede che la matrigna tenta di sedurlo, ed
essendo stata respinta dal giovane principe, lei che è la maharani, la regina,
lo accusa poi pubblicamente presso il marito di tentato stupro, chiedendo la sua
messa a morte. Allora sette saggi di corte interpellati, raccontano al raja, una
storia a testa al giorno, in cui con molta arguzia lo intrattengono sui pericoli
delle decisioni affrettate, e sugli intrighi donneschi, alludendo in modo assai
sottile ed ironico a quanto accaduto. Storie cui la maharani ne contrappone ogni
volta altrettante di segno opposto. Dopodichè il giovane principe alfine parla
e rende testimonianza contro la matrigna provando la sua innocenza.
Si delinea qui il
ruolo protettore e paterno del precettore, che conosce la disposizione ingenua e
naif del giovane, ma anche la facilità che ha a parlare senza riflettere.
Inoltre il precettore è anche un saggio che
conosce il fascino che esercitano le apparenze, e il rilievo dei
sentimenti e delle emozioni nella formulazione di giudizi, nonchè i funesti
frutti dell’ira in personaggi potenti.
La forma narrativa
è quella in cui si esprimono nelle culture antiche in modo comprensibile e
accessibile concetti e problematiche complesse. Il genere letterario è quello
tipico con struttura a cornice che contiene una o più serie di conti di
“forma semplice” (cfr. A. Jolles, trad.it. Mursia editore).
Ricorre qui il
tradizionale tòpos sui secondi fini dei consigli femminei, di cui bisogna che
il potere patriarcale impari a diffidare, e dunque su quell’astuzia ritenuta
tipica delle donne. Il tema è ricorrente, e trova la sua prima formulazione nel
rotolo della Torah, "Bereshìt" (=in greco Ghénesis, il libro iniziale della Bibbia), nella storia di
Joseph figlio di Jacob e della moglie di Potifar, il ministro del Faraone (e
qualcosa di non molto dissimile si legge pure in Erodoto, quando nelle sue Historiai, I.8, racconta una
leggenda della Lydia, già riportata da Archiloco nel VII sec.av.C., su come la
moglie del re fece uccidere il marito e regnò assieme al suo amato Gige, storia
che oggi tutti conosciamo perché menzionata nel film "Il paziente
inglese", e che ha delle affinità con la vicenda micenea di Klytemnaistra
e Aga-Amemnon, tutte storie che poi un po' rifuse da Shakespeare ritornano sotto
altre forme nell'Amleto).
Ma questa versione
del saggio Sinbad del Sud dell'India, mi piace molto, se permettete, perchè
valorizza il ruolo educativo del buon precettore...
---
*cfr. di M.-C.
Leuzzi, "Le mille e una notte di Shahrazàd", in History of Education and Children's Literature, II/2, Edizioni Università di
Macerata, dic. 2007, pp.403-409, n.13
4. ALL’ ASHRAM
7 agosto
Dopo aver
attraversato al mattino molto presto la linea divisoria tra lo Stato del Karnàtaka
e il Tamil Nadu (=il Paese dei Tamil) con un treno in seconda classe, siamo
scesi a Vellore Junction, dove c'è una spettacolare fortezza del 1500. Di qui
quattro di noi (cioè Annalisa con Ghila, e Paolo con Loredana), hanno deciso di
andare verso la costa, mentre io con Michele, e con Marco-Lucia-Antonio-Enrico,
abbiamo preso una quattroruote in affitto e ci siamo diretti verso una cittadina
con un famoso tempio antico, sotto un monte sacro, dove Marco & Co. erano
passati due anni fa, e che tanto era loro piaciuto
e rimasto impresso, per cui volevano ora rivedere e conoscere meglio il luogo.
Si attraversano zone
con una vegetazione veramente splendida, zone con grossi massi lisci, ovoidali,
di varie forme, che a volte accatastati compongono grandi colline. Sono
affascinanti, con un color marroncino sbiadito, o rosato-giallognolo, o sul
rossastro, che cambia con il cambiare dell'illuminazione solare. Vediamo anche
belle montagne, e, sempre di passaggio, altre fortezze, e bei templi, e pure una
lunga muraglia medievale che attraversa i campi per miglia. Dopo circa quattro
ore arriviamo nella cittadina di Tiruvannamalai. Scendo per comperare un
asciugamano e delle forbicine al mercato, e poi proseguiamo lungo i declivi
della montagna adiacente, il monte sacro dell'Arunachala (=dell'immutabile Aruna).
Si dice che basti o esser nati a Thiruvarur, o morire a Benares (Varanasi), o
anche solo rivolgere il pensiero all'Arunachala, là dove è sorto il grande
Shiva, ovvero dove si è
manifestato originariamente su questa Terra, per poter avere aiuto al
raggiungimento della moksha, la liberazione spirituale...
Ecco che verso
mezzogiorno entriamo nell'ashram, che sta proprio esattamente dall'altra parte
del monte rispetto alla cittadina, in una zona tranquilla con un vicino paesetto
campagnolo. Il cartello all'ingresso dice "Self Knowledge Village - est.1983 - Suddhananda
Ashram". Con quest'ultimo termine si indica un ritiro
spirituale, ovvero un centro di meditazione. Letteralmente vorrebbe dire: luogo
di impegno. E questo è dedicato alla ricerca della conoscenza di sè, fondato
nell'83 dallo swami (=reverendo)
Suddhananda.
Com'è un ashram?
posso dire com'è questo. All'ingresso è bello, dopo un vialetto alberato ci si
ferma dinnanzi alla ricezione, dove c'è un grande alberone ombroso, e oltre c'è
un semplice giardino, e un tempietto circolare.
C'è subito
silenzio, appena l'auto spegne il motore, e l'aria è asciutta e ventilata.
Dalla ricezione ci viene incontro una signora molto affabile dall'aria
giovanile, che attendeva il nostro arrivo, si chiama Lakshmi. Veniamo
accompagnati poco più oltre dove ci sono delle piccole casettine in muratura,
ciascuna consistente in un vano con due brande e un bagno con lavandini, doccia
e water. E' un po' come nel Lodge del "Parco Naturale di Bandipur",
dove siamo stati l'altro giorno passando sulle montagne dal Kerala a Mysore,
solo che è un po' più spartano e più piccolo. "Gestite il vostro tempo
come desiderate -ci dice Lakshmi- lì cè il tempio, e laggiù una sala di
meditazione, potete girare tutt'attorno, il nostro terreno è ampio, ed uscire
ed entrare a piacimento. Alle 6 un thé aromatico, alle 8 prima colazione, alle
12.30 il pranzo, alle 16 un altro thé, e alle 19.30 la cena."
Ci ritroviamo subito con tutto il giorno a disposizione, e per il momento
ci mettiamo in osservazione dell'ambiente e del paesaggio, e ci godiamo il
silenzio.
Gli elementi
costitutivi di questo piccolo ashram, che possono risultare subito attraenti,
sono semplici, ed essenziali. Riguardano l'ambiente naturale e l'ambiente umano.
Per il primo, come già detto siamo in campagna (pur vicino alla cittadina),
alle pendici del monte di cui si gode una bella prospettiva, c'è una bella
vegetazione e un bel giardino curato, ci sono delle risaie, dei campi coltivati,
si vedono e sentono uccelli vari e scoiattoli, nel cielo le nuvole corrono per
la brezza, la sera vedremo stupendi tramonti, e di notte c'è pure una
bellissima luna luminosa... Per il secondo: atmosfera tranquilla, rilassata,
rapporti gradevoli e cortesi, poca gente, sistemazioni spartane ed essenziali,
ma ben inserite nel contesto, ci si può mettere con la sedia davanti
all'ingresso della casetta sul prato, e stare lì a leggere o a pensare. Non c'è
sporcizia, solo polvere, non ci sono brutti insetti, neanche mosche, solo un po'
di zanzare, sulle pareti dei gechi, e piccolissime raganelle in bagno. Cibo
genuino non troppo piccante, acqua buona
e fresca, in abbondanza, da un pozzo artesiano, con loro depuratore. Lo swami
che c'è qui, Sashwatananda, è abbastanza giovane, sorridente, un tipo di buon
umore; lei è una persona estremamente gradevole. E dunque si possono fare
piccole conversazioni distese. Si guarda il monte e se ne ammira la bellezza
essenziale, si accetta il fresco che la pioggia ogni tanto apporta. Tutto qui,
...e non è poco! Nella camera ci sta ben poca roba, e comunque non si saprebbe
dove metterla, ma ti puoi fare la doccia, e così ti cambi con vestiti puliti,
gli altri li lavi e li appendi alla corda che c'è fuori, agganciata a un
albero, e dopo poco sarà già tutto asciutto, anche gli asciugamani, grazie al
venticello che spira tra gli alberi e alla temperatura elevata ma secca. Siamo
in una pianura che è un altopiano, e il terreno è sassoso. Chi vuole legge o
scrive come sto facendo io ora, ma spesso ci si distrae a guardarsi attorno, o
se volete ci si concentra a seguire con lo sguardo una ranocchia, o ad osservare
uno scoiattolo, o un uccellino, o una lucertola, o il cane, la gallina, o i
gattini, o si ascoltano i corvi gracchiare, o semplicemente si vaga posando via
via lo sguardo sul panorama circostante. Se si apprezza questo, tutto è bene.
Ora ci chiamano: deen - deen, suona la
campanella del pranzo. Dieta "pure veg", cioè vegetariana pura, ossia senza uova (nè pesce). Tutti (ovvero
oltre a noi quei pochi che ci sono) si avviano verso lo spiazzo-mensa. Si tratta
molto semplicemente di uno spazio aperto pavimentato, sotto un colonnato che
sostiene una tettoia. Ci si mette a sedere per terra su delle stuoie di paglia
intrecciata. Ma chi vuole (come me e un altro) si siede sul muretto basso tra le
colonne. Si mangia come nel sud, con le mani, o meglio con la sola mano destra.
Io chiedo un cucchiaio e subito mi viene dato. Arrivando si prende un piatto di
alluminio con i bordi, una ciotola e un bicchiere, sempre di alluminio, e si va
a lavarli ai rubinetti, con la cenere, o con della polvere di pomice e delle
spugnette. Poi si sta in fila indiana e si passa dinnanzi a un tavolo basso con
su i pentoloni, e ci si fa dare, o si prende, qualche mestolo di ciò che c'è.
Assieme a noi sei,
ci sono per pranzo anche quelli che vivono qui, cioè, oltre a Swami-ji Sashwat
e alla dolce Lakshmi che già abbiamo visto, anche quelli che ci lavorano (per
le pulizie e il mantenimento, e per la costruzione delle parti nuove), quelli
che sono qui temporaneamente o come ospiti. Nello spiazzo pavimentato ci sono
pure Seeva, un bel cagnone, una gatta con due gattini, un gallo, a volte una
gallina, e tutt'attorno corvi, cornacchie, scoiattoli, uccellini, e ogni tanto
una cagnetta. Inoltre di là in cucina c'è la cuoca, suo marito, le due bimbe,
una di 4 e un'altra di un anno, e tre ragazzi inservienti. Tra gli ospiti c'è
un bel vecchio con la barba lunga bianca, avvolto in un telo azzurro e uno
bianco. Mi dicono che ha più di ottant'anni. Io vedo in lui la figura di
Socrate...Poi c'è uno sulla cinquantina vestito con un telo arancione, ha la
barba un po' nera un po' grigia, e gli occhiali con la montatura spessa. Lakshmi
ha detto che non è uno swami, e nemmeno un sannyasi, ma semplicemente un hindu,
credo voglia dire con questo che è un fedele, e nient'altro. Ed è l'unico
oltre a me che si siede sul muretto, su un cuscino (io sono invece l'unico ad
usare un cucchiaio).
Socrate (ma d'ora in
poi -dato che in effetti non è Socrate- lo chiamerò Socrate-ji, perchèil
suffisso -ji si aggiunge al nome in segno di rispetto; per es. quando parlano di
Ghandi, o usano il titolo di Mahatma, cioè il Grande Spirito, oppure dicono
Ghandiji), dunque Socrate-ji è arrivato presto in sala-mensa, e siccome
"l' hindu arancione" non c'era, si è seduto sul muretto, ma appena ha
visto che stava arrivando, si è alzato ed è andato a mettersi per terra sulla
stuoia; chissà quale significato ha questo suo atto? forse c'è dietro una
gerarchia, un motivo di casta? C'è in verità anche un altro che sta seduto
anziché accovacciato, ed è uno che ha l'aria di essere un poveraccio, si mette
sempre in disparte da solo, un po' lontano, nell'altro spiazzo adiacente...chissà?
forse è quest'uomo è di casta bassa, o un "paria", un intoccabile?
Quando tutti "loro" (e noi sei) ci siamo serviti, o siamo stati
serviti, si servono le donne delle pulizie, che si siedono un po' più in là
(la "sala" è piuttosto ampia), e poi alla fine gli stessi inservienti
e la famiglia della cucina, con le loro due bimbe piccole.
In cima alla
"gerarchia" locale, certo ci sono Swamiji Sashwatananda, e Lakshmi.
Lui è simpatico, e lei mi piace molto, per come si muove, per come parla, per
la serenità che mostra di avere. Ha un bel viso, nonostante i brutti occhiali,
deve avere circa sui 48 anni, porta bene con grazia i suoi semplici ma bei saree
di cotone.
Poi sopraggiunge
"l'americana bianca" con la sua particolare andatura, il corpo ben
diritto, con il suo sorriso permanente ma sincero, il suo bel saree arancione.
Ringrazia tutti gli "inservienti" e tutti gli altri con gentilezza, ma
senza proferire parola, e se ne va, un po' eterea, portandosi il suo vassoio
nella sua casetta. Evidentemente sta praticando l'esercizio del silenzio, perché
ho notato che non parla mai con nessuno per nessun motivo in nessuna occasione,
ma si fa capire lo stesso. Credo stia qui da parecchio tempo...
Intanto il cagnone
Seeva va a mangiare dal secchio degli avanzi, poi si fa avanti la cagna, ma lui
la caccia con qualche ringhiata molto eloquente, e lei se ne va con la coda tra
le gambe. La gallina passa attraversando un po' altezzosa la sala mentre noi
mangiamo, e i gattini si rincorrono veloci giocando, poi si fermano a pietire
cibo perché loro non riescono a prenderlo dal secchio. I corvi guardano e
commentano, e il gallo attraversa dandosi delle arie.
L'ottantenne
Socrate-ji di solito prende solo del lassi (yoghurt acido liquido) nel suo
piatto, e così farà quasi sempre, a volte fa mettere un pochino di cibi solidi
ma nella piccola ciotola, oppure mischia il lassi con del riso, ma il tutto in
piccole quantità. Poi va a lavare il suo piatto, e se ne va portandolo con sè,
con molta dignità.
Arriva Swamiji (che
anche gli altri giorni giunge dopo aver fatto lezione da qualche parte), e
commenta, e chiacchiera e scherza. Prende un po' in braccio la piccola di un
anno, e fa conversazione di là in cucina. Lakshmi da informazioni a tutti, e si
informa di noi.
Al tramonto andiamo
in fondo al terreno dell'ashram, attraversando delle risaie con bellissimi
uccelli e specie di aironi, e altri tipo fennicotteri, e andiamo sul terrazzo
della casa di meditazione, per ammirare il passaggio dalla luce alla sera. O
facciamo due passi fuori dal cancello verso il paesetto. Già dalla prima sera
lungo la strada si moltiplicano quelli che allestiscono dei tendoni, o degli
altarini, e certi cantano, oppure certi mettono su musicassette con nenie
ripetitive che si sentono sin in camera.
Chiediamo come mai
queste attività e scopriamo che domani sarà la prima luna piena d'agosto e che
quindi arriverà molta, molta gente, e rimaniamo un po' sorpresi.
Andiamo a dormire
sulla nostra branda di legno rigido, e Michele, stanco per la giornata
è preso subito da un profondo sonno. Di notte invece io fatico a
dormire, sono attraversato da pensieri sull'India, su questo Sud di tradizioni
dravidiche, su cosa è un ashram, che senso ha venerare una montagna, su cosa
rappresenta simbolicamente questo antichissimo dio che è Shiva, e mi chiedo se
è l'influsso della luna piena che mi agita, o sono forse dei minerali, magari
delle forze magnetiche che stanno nella composizione geologica del monte, a
comunicarmi questa irrefrenabile attività mentale, e devo, devo scrivere, e
scrivo queste note di diario, e varie disparate riflessioni. Tutto al buio
assoluto, non vedo nulla ma devo scrivere lo stesso... Domani sarà meglio
comperare una pila, in modo che senza disturbare Michele potrò (se dovrò)
scrivere ancora ma almeno vedendo la pagina del quaderno...mi acquieto, o meglio
crollo di sonno, ad un'ora certamente piccola.
5. DARSHAN
A pranzo ci dicono
che siamo fortunati perchè proprio oggi arriva swami Suddhananda qui nell'ashram,
e poi ripartirà domani. E questo è un altro evento eccezionale non previsto,
della nostra permanenza qua. Restiamo in attesa di poterlo vedere, e magari
facesse un discorso, sarebbe interessante poterlo sentire. Intanto che lavo il
mio piatto, mi pare di sentire delle voci che non conosco, venire da in fondo al
sentiero. Vado a vedere, e se fosse arrivato adesso? Intravedo due figure con
abito arancione-giallo, sono là dove stanno costruendo il nuovo tempio, e forse
sarà lui che è andato là per vedere a che punto sono i lavori. Lo scorgo che
è dove c'era la statua coperta, che ora è visibile, e sta parlando con chi lo
ha accompagnato. Mi avvicino, capisco quale è lui (avrà circa 50 anni), e lo
saluto. Mi invita ad entrare a vedere anch'io la statua appena
"scoperta". E' molto strana e interessante. Quando finisce di parlare
con i suoi, approfitto e gli chiedo qualcosa sulla statua, sulla sua particolare
postura. Mi dice che si tratta di Lord Dakshinamurty, ma io non ho idea
di chi rappresenti. Risponde che è la prima incarnazione di Shiva, ed è nella
forma del primo insegnante. cioè? è Lui -dice- che ha dato i primi
insegnamenti, le prime leggi del cosmo, la prime regole della vita. Ma, mi
ricordo che due anni fa nel Rajahstan avevamo imparato il nome della dea
dell'educazione e delle arti, non è dunque Saraswathi? E' differente, mi
risponde, She is the Goddess of Learning, lei è la dea dell'apprendere, mentre He is the
God of Teaching, lui il dio dell' insegnare. E' straordinario: già a quei tempi arcaici
della civiltà umana in India avevano disgiunto i concetti dell'apprendimento e
dell'insegnamento! Intanto
sopraggiungono gli altri, che sono un po' sorpresi di vedermi conversare con
Swami-ji Suddhananda. E dunque gli chiedo se magari in serata quando avrà
terminato i suoi impegni sarebbe disponibile a spiegarci più distesamente i
significati simbolici di quella rappresentazione statuaria, e intanto gli
presento gli amici. Ci dice di essere contento di incontrarci, e di essere
volentieri disposto a fare una conversazione con noi verso le 6 p.m.
Figurarsi come siamo
tutti entusiasti, una occasione molto rara e imperdibile, e oltretutto ci saremo
solo noi. ..
Nel pomeriggio lo
vedo passare parlando con l' "americana" che conversa con lui
normalmente...., è forse finito per lei il suo periodo del silenzio?
alle 18 in punto ci
facciamo vedere, e ci fa segno di seguirlo nella bella casa che sta lì accanto.
Ci sono due belle colonne in legno molto vecchie, a forma di cono rovesciato, e
dentro un patio di legno intarsiato, pure molto vecchio. Dice di aver salvato
questi elementi architettonici dalla distruzione in un villaggio di campagna, e
che rappresentano esempi della arte tradizionale che oramai non si realizzano più.
La sua casa dunque è in realtà una sorta di museo di bellezze locali. In sala
c'è una stupenda statua antica in legno duro (tek?) levigato. Gli chiedo se si
tratta di Nataraja, il Re della danza che avevo visto nel museo di Ahmedabad nel
viaggio scorso. Mi dice che Nataraja è una manifestazione di Shiva sotto forma
di chi dirige la danza cosmica dell'universo, mentre questa è Tribikram, una manifestazione del
Dio Vishnu. E' bellissima, e il movimento della danzatrice è reso in modo
straordinario. Siccome non ho ben capito il nome me lo faccio scrivere (e anche
quello della statua là fuori vista a mezzogiorno) da swami Sashwatananda con
cui oramai sono un po' più in confidenza; e lui scrive Lord Tribikram
incarnation of Bishnu, con la bi, evidentemente loro non avvertono una gran
differenza nel fare la translitterazione dall' alfabeto tamil tra v e b. Ci sono
anche altre statue, ma ci colpiscono i bellissimi affreschi che dice di aver
fatto eseguire da bravi artisti come copie fedeli di opere nello stile
tradizionale dello stato dell'Orissa (dove c'è la "casa-madre" della
Fondazione di Suddhananda). Vi sono raffigurati per es, un elefante, e in un
altro una barca, composti interamente da figurine graziose di danzatrici, che
danno una notevole impressione di movimento all'insieme. Tutto molto colorato,
tranne un affresco che è in bianco e nero. Anche nel tempietto circolare ci
sono dei magnifici retabli in legno con bassorilievi, e una bella statua al
centro. Anche in sala-mensa c'è un piccolo ma grazioso affresco ad una parete.
Insomma s. Suddhananda è un amante dell'arte e delle cose belle, e questa casa
di fatto è più che altro il museo che c'è nell'ashram, e che lo arricchisce
con questi pezzi stupendi.
Saliamo di sopra, e
ci sistemiamo nella terrazza costruita sopra il tetto. Da qui c'è la più bella
vista del monte sacro, dell'Arunachala. Ci dice che il punto e la prospettiva
dove fare la casa e come orientare la terrazza, l'ha scelta lui. Anche molto
bella è la vista sull'ashram, dato che siamo appena un po' sopra il livello
degli alberi, e si spazia con gli
occhi per tutta la piana, con le silhuettes delle altre colline circostanti e la
vegetazione tropicale: questa serata è splendida. Già ieri sera c'era una luna
piena veramente maestosa, con attorno un alone azzurrognolo-violetto con
strisciate di arancio tenue, e ora c'è un cielo terso, e nell'aria pulita c'è
una piacevole brezza continua, piena d'ossigeno.
Ci sediamo in
cerchio, e lui ci dispone rivolti verso l'Arunachala che tiene alle sue spalle.
Inizia a dire
qualcosa, ed è subito un discorso intrigante anche se non si coglie ancora bene
dove voglia andare a parare. Racconta di uno che voleva sentire gli insegnamenti
di un maestro che stava su una montagna lontanissima. Giunto là, gli chiede
quali sono i suoi insegnamenti, e lui risponde, "di esser gentile col
prossimo, di non causare sofferenza". Allora l'aspirante allievo gli dice,
"ma ho viaggiato a lungo, e mi dici cose che le sa un bimbo di quattro
anni, non potresti dirmi di più?", e il maestro risponde, "quelle
cose che tutti sanno a 4 anni nessuno a 40 le applica". Quanto è
importante questo! E' per questo che vivere diviene fonte di grandi conflitti
esteriori e interiori. Invece di cercare grandi cose in libri, conferenze e
altre fonti, perché non riflettiamo sul fatto che troviamo tanto difficile
praticare quel che consideriamo esser giusto? Diceva Duryodana all'epoca del Mahabharata, rivolgendosi a
Lord Krishna: "Oh Signore, io so cos'è giusto, ma spesso non sono
interessato a farlo, e io so cos'è ingiusto, ma non riesco a trattenermi dal
farlo". Il problema è questo,
che ognuno sa cos'è giusto, ma non sa come agire correttamente, facendo quel
che è giusto ed evitando di fare quel che è sbagliato, ingiusto. E ciò è
dovuto al fatto che abbiamo la mente ingombra di troppi pensieri.
L'automobile non ha
la capacità di muoversi di per sè, è l'autista che la fa muovere. Se tu vai
in una direzione e fai certe cose, non è l'auto che ci è andata da sè. Così
il nostro fisico, è la mente che lo fa muovere verso una direzione. Con i sensi
attenti, noi assorbiamo continuamente impressioni e le registriamo nella mente.
Queste impressioni sono il contenuto della nostra mente e generano pensieri. Il
fisico (e in particolare il cervello) è come un registratore che registra
continuamente. Se vuoi riflettere su quel che è stato memorizzato, sui tuoi
pensieri, le tue idee, le impressioni che sono il prodotto delle registrazioni,
non puoi farlo se non fermi il registratore, riavvolgi il nastro, e poi lo
ascolti con attenzione. Cerca di calmare la continua produzione di pensieri, di
associazioni di idee, nate dalla necessità di classificare le impressioni
ricevute. Per imparare a pensare è meglio non esser confuso da troppi pensieri.
Per ogni cosa che mi da pena, o mi agita, corrisponde un pensiero nella mia
mente; se non vi fosse quel pensiero, la cosa di per sè non mi turberebbe.
I pensieri sulla mia infanzia, il mio paese, i miei genitori, non
esistono nella tua mente e non ti creano alcun sentimento piacevole nè alcun
tormento ! e così è viceversa. Distinguiamo dunque tra i pensieri e il
pensare. I pensieri ti fanno fare cose anche assai sbagliate. Spesso confondi un
oggetto, o un'altra persona, con i tuoi pensieri al proposito. A volte si crede
di amare o odiare qualcosa o qualcuno e ci si comporta di conseguenza, sinchè
non ci si accorge che le nostre aspettative erano errate. Eravamo convinti di
amare la nostra fidanzata, mentre amavamo in realtà quel che credevamo di
trovare in quella persona, o viceversa. Quando poi, cambiamo idea al riguardo,
il rapporto non ci sta più bene ... l'auto sembra essere fuori controllo e ci
fa sbattere contro un ostacolo. Ma siamo noi che
abbiamo diretto l'auto sino a quel punto...
Dice di fargli ora
noi qualsiasi tipo di domanda, e allora Michele gli dice che cosa non ha ben còlto
di un esempio che aveva appena fatto. Di lì inizia un suo lungo discorso, fitto
di metafore, esemplificazioni e similitudini, in un inglese chiaro con una
pronuncia molto più accessibile della solita parlata indiana. Un discorso che
essendo molto piano e scorrevole rischia di apparire più elementare di quanto
forse non siano i suoi contenuti (lo penso, perchè prima di venire mi ero letto
varie pagine da sue pubblicazioni che io e Marco avevamo comperato appositamente
in ricezione).
Esiste il mondo ed
esistono delle mappe che lo descrivono, ma le due cose sono incommensurabili,
tuttavia è in quello spazio intermedio che noi viviamo cercando di orientarci
con la mappa di cui disponiamo mentre stiamo andando in giro con la nostra auto
in zone che non conosciamo....
Ora è tutto rivolto
a Michele e ai ragazzi, e fa frequenti riferimenti critici verso la cultura
diffusa nelle società dei consumi, e dei comportamenti massificati. Forse pensa
che quelli siano i temi più adatti per dei ragazzi. E' didascalico, ma ci mette
una verve, e fa frequenti battute di
spirito, per cui catalizza fortemente l'attenzione.
Il suo discorso in
generale è stato indubbiamente stimolante oltre che interessante, in sostanza
un pressante invito ad accrescere la consapevolezza, il senso critico, le nostre
conoscenze, e l'abitudine all'autoanalisi.
Nel frattempo
giungono altre persone, indiane, e poi una grande famiglia, arrivata con un taxi
da lontano. Evidentemente si è già sparsa la voce della sua breve presenza a
Tiruvannamalai. Il capofamiglia si prostra dinnanzi a lui in un gran inchino, e
poi gli bacia la mano (come potrebbe accadere da noi con un monsignore, o un
sant'uomo). Ma lui ci dedica molto altro tempo, e in totale sta a parlare con
noi più di un'ora e mezza ! Poi ci invita a lasciarlo parlare con chi è
arrivato, con cui inizia subito ad interloquire in tamil. Lo salutiamo, e gli
chiedo se ci potremo vedere ancora prima che ripartta. Dice di tornare pure
domattina se dopo questa conversazione abbiamo da chiedergli delle cose. Lo
ringraziamo moltissimo per la sua disponibilità, ma dice che gli hanno fatto
piacere le curiosità e le domande che abbiamo espresso, e a quel punto si
ricorda della mia richiesta a proposito della simbologia presente nella statua.
Allora dice che la cosa più importante è la postura della mano destra, che sta
appunto a simboleggiare il suo essere insegnante. Tiene il pollice e l'indice a
cerchio, perchè queste due dita potrebbero anche reggere una sorta di rosario,
mentre le altre tre dita stanno ben ritte e unite. Queste fanno riferimento al
forcone tridente di Shiva, e quindi a creazione, distruzione, e rigenerazione,
ma anche alla prossimità, e all'unità sostanziale di passato, presente e
futuro, solo formalmente distinti, mentre pollice e indice, indicano la
circolarità e la continuità quasi senza soluzione dell'essere. Inoltre questa
postura della mano rivolta verso l'alto e con il palmo rivolto verso i discepoli
(l'umanità), è appunto una figura allegorica dell'insegnamento spirituale, ma
anche fa riferimento ad una semplice ma importante tecnica di meditazione. Ma è
anche tante altre cose, però ora ci congeda.
E' già sopraggiunta
l'oscurità notturna, ed è oramai molto vicino il momento della campanella per
la cena.
6. CHI E’ GURU ?
Michele mi chiede:
ma che cos'è che fa di un guru, un guru ? giusta domanda ora che siamo qua, e
che abbiamo l'occasione di conoscere da vicino un guru. Correttamente Marco gli
risponde che è innanzitutto è il fatto che ci siano molti che lo considerano
tale, e poi il fatto che ha fondato una sua "scuola" che molti
seguono, e continuano a portare avanti il suo impulso, e dunque è uno che è
riconosciuto guru per il fatto che è divenuto un punto di riferimento.
Poco prima io gli
avevo detto che secondo me due sono le possibilità; 1- o è un creativo, uno
che dice cose originali e interessanti, che è dunque molto colto o
intelligente o saggio; 2 - o/e è uno che esercita un fascino, che ha
carisma, che ha "una marcia in più", insomma che ha una forte
personalità. Le due cose poi potrebbero darsi singolarmente, oppure sommarsi, e
in quest'ultimo caso si tratterebbe di un personaggio veramente eccezionale.
Ma a ben pensarci il
primo requisito non è sufficiente, perché in questi casi (cioè di persone che
raccolgono attorno a sè altre persone) per essere lui un guru, non è detto che
basti dire cose di grande originalità o proporre un proprio punto di vista
interessante, perché se non ci fosse altro, basterebbe leggere i suoi scritti.
E invece qui non si tratta eminentemente di un fattore intellettuale, non è in
primo luogo il fattore razionale (cioè dei ragionamenti che egli svolge) quel
che più conta. Nel caso del guru stiamo trattando di un personaggio che si
impone sul piano spirituale; è sul terreno della spiritualità che si afferma
un guru come qualcuno che diventa come si diceva, un punto di riferimento, uno
che va dunque ascoltato e sentito dal vivo, per cui si cerca il contatto diretto
con lui. Siamo di fronte ad una figura sociale che si è strutturata nell'ambito
della cultura orale. Soltanto, o soprattutto, di persona si avverte la sua
energia, la sua carica, il suo carisma, l'influsso della sua presenza, e della
sua capacità di comunicare e di creare una atmosfera. Costui è qualcuno che
viene dagli altri avvertito, percepito nella sua eccezionalità come un Guru.
Che a tanti altri poi piaccia o non piaccia, poco conta. Ovviamente se fosse
solo ed esclusivamente presente questa componente, allora vi potrebbero essere
anche casi di "falsi" guru, di manipolatori delle emozioni e della
emotività altrui (e ciò avviene anche in occidente chiaramente, sia pur con
nomi diversi: predicatori, beati padri, ecc., comunicatori abilissimi, gran
istrioni, uomini di spettacolo, incantatori astuti delle masse ovvero del grande
pubblico). E poi facevo a Michele
il paragone con il grande artista, cioè la forte personalità autenticamente
creativa, originale, e innovativa. Egli è grande e unico nella sua opera, lì
da qualcosa che altri non riescono a dare. Ma poi nella quotidianità è un
individuo comune, come tanti altri, anzi a volte è bizzarro, o di pessimo
carattere, ovvero "strano" e difficile da reggere nei rapporti
interpersonali. Per questo in molti casi è difficile "riconoscerlo".
Eppure in molti casi, ciò nonostante, si avverte che è un personaggio
straordinario, si percepisce che ha dentro di sè un mondo straordinario da
esprimere. Quanto poi alla interpretazione che l'artista stesso sa dare a parole
della sua stessa opera, di cosa intendeva, del significato che lui vi
attribuisce, oppure della sua complessiva concezione dell'arte, beh, in quel
campo può pure darsi che non sia particolarmente interessante (se non per uno
psicologo dell'arte, per uno studioso dei processi creativi, per chi è
interessato a comprendere le personalità eccezionalmente dotate su certi
aspetti....ecc).
Ma certo è
difficile cogliere tutti gli aspetti che concorrono a fare di qualcuno un guru
ovvero un maestro spirituale, o anche un maestro d'arte, uno che nel suo campo
sia riconosciuto in vita come uno che si stacca dalla media e ha un contributo,
qualcosa di straordinario da portare agli altri (e questo anche in caso non si
concordi con lui). Molte dunque sono le componenti che si intrecciano, e
difficile è dire in generale quali siano necessarie, quali sufficienti, quali
siano da considerare eccellenti...ecc. Inoltre giocano fattori storici e
culturali specifici.
Ci vuole comunque
legittimazione da parte di altri per poter diventare un guru. Quindi prima di
darla di conferirla questa legittimazione a qualcuno, prima di dire "per me
ecco questo è il mio guru, di cui avevo bisogno", è bene guardare in sè
stessi e chiedersi che cosa ci si aspetta dall'avere un maestro, e che cosa
dunque si proietta eventualmente su una figura esterna di questo tipo !
Ma
comunque saper riconoscere uno spirito superiore, una grande personalità, è un
pregio, perchè in effetti ci sono veramente uomini/donne eccezionali, ed è un
privilegio poter esser loro accanto anche solo per un tratto, si può prendere
moltissimo, Ci dirà l' "americana", che anche dopo essersi
allontanati, finché c'è questo "ponte", questo trait-d'union, supererai l'individualismo, l'egocentrismo, e vivrai nella copula
vivificante, e continuerai ad acquisire le sue vibrazioni e la sua energia.
Certo, anche se poi
si corre il rischio di un processo di tranfert perchè si stravede per loro, si incomincia a temere di perderli, si
diviene dipendenti psicologicamente, non si è più in grado di fare da sè
stessi. Ma accompagnarsi ad una personalità straordinaria per un tratto di
cammino, e con autodominio di sè. basato su una minima autocoscienza, e dunque
con un minimo di distacco critico, sia pure senza troppo scetticismo nichilista,
è una gran cosa, un grande arricchimento. E in questo fortunato caso è
probabile che nasca un sentimento di affetto, in un legame reciproco. Ognuno
riconoscerà una parte di sè nell'altro e viceversa.
Ma sempre ricordando
che la priorità sta nel rivolgere la riflessione a sé stessi, nelle fasi
iniziali occorre innanzitutto riflettere su di sé. Chiedersi: perché senti la
necessità di un guru? dopo di ché devi sentirne la necessità, lo devi
veramente volere, devi metterti ad andare in ricerca, comparando, finché lo
riconoscerai (o ti parrà di ), o ti lascerai prendere. E poi domandarti, in
cosa ha fatto crescere la tua autonomia? e in cosa no? Andrebbe tenuto sempre a
mente che da parte nostra la delega, la legittimazione, potrebbe esser ritirata
in qualsiasi momento.
7. SECONDO
DARSHAN
L'indomani
mattina riprendiamo i discorsi, sistemandoci nel terrazzino laterale più
piccolo, che è quello in cui c'è la sua brandina dove dorme all'aperto. E per
iniziare gli porgo un po' sfacciatamente la domanda-dubbio di Michele: che cos'è
che fa di una persona un guru? (ho letto che il termine in origine aveva questi
significati: "colui che disperde le tenebre", e anche "colui che
rimuove l'ignoranza"; e che quindi si intende "che è carico di
saggezza").
Quando siete
assieme, se tu sei studente -dice Suddhananda a Michele- lui è guru, cioè
nella misura in cui tu sei studente, l'altro è guru, ma se tu non mi ritieni
tuo insegnante, io non lo sono. E' come per marito e moglie. In questo caso sono
insegnante nella misura in cui ti so dire che cos'è un maestro. Ma, per
esempio, se chiedo io a te chi sei, tu forse mi rispondi dicendo il nome che
porti, proprio come designeresti questo come un lettino, o quell'uomo che c'è là
come un autista. In questo caso ti contesterei: non dirmi queste cose. Né p.es.
che sei italiano, ma dimmi caso mai che hai la cittadinanza italiana; così è
per la professione tua, o per un ruolo sociale che tu hai; e così è per la tua
fede religiosa. In quei casi, non mi staresti rispondendo chi sei, ma solo
dicendo quali sono i tuoi vari attributi. . .
(parentesi.
E intanto io penso: forse una volta era più plausibile (?): dimmi cosa e come
mangi, e ti dirò chi sei, mostrami come ti vesti, fammi sentire come parli, e
ti dirò chi sei, dimmi chi frequenti, o che mestiere fai, o chi sono i tuoi
famigliari ... eccetera. Una volta queste cose erano una introduzione valida per
cercare di conoscere una persona, c'erano mondi di vita separati e ben
caratterizzati da identità collettive con propri usi e costumi...c'erano
ambienti ben marcati e qualificati...ma non è un po' così ancora adesso?
specie in India?).
Invece
-continua Suddhananda- colui che ti pare ti indichi la via per migliorare la
autoconoscenza di te stesso, quello è guru. Non sono il libri, le autorità,...a
poterti dire chi sei! ma è l'esistenza stessa. I nomi sono solo convenzioni. Le
scienze, sono relative, storiche. Chi indica, insegna, come trovare chi sei, è
un guru, un Master. Quelle che ti apre sono conoscenze valide sempre. Quel
che tu hai, e io ho, quel che tu hai acquisito, e quel che ho acquisito io, sono
diversi, ma non quel che siamo noi in quanto esseri umani. I contenuti
dell'insegnamento della self-knowledge sono semplici, non necessitano adattamenti
particolarmente complessi. La conoscenza di sè, implica anche conoscenza del
mondo come luogo di manifestazione del divino, perchè esso è pure in te.
Ora
prendiamo in considerazione la versione antica indiana della Trimurti cosmica:
1. Brahma è il creatore, la sua versione femminile è Saraswathi, cioè education as learning,
l'educazione intesa sotto l'aspetto dell'apprendimento; 2. Vishnu è il substainer, colui che
mantiene, perpetua l'ordine cosmico
per una certa durata nel tempo. Le sue incarnazioni sono state Rama, e Krishna.
Il suo aspetto femminile è Lakshmi, ciè prosperità, abbondanza, benessere; 3.
Shiva sta per changer, il modificatore, colui che introduce i cambiamenti, e le
norme di essi, la sua parte femminile è Shakti, ovvero power, inteso come
energia, le di lei manifestazioni sono stati Parvati, Umma, Durga o Kali, e Devi
(da non confondere con Amadevi, che invece è la "Madre" di Vishnu,
che cavalca la tigre). Questa è la Trimurti, cioè l'Assoluto nel triplice
volto supremo con cui si manifesta a noi.
Dunque,
tutto ciò che si forma, per un istante di sospensione si preserva, poi si
dissolve in quanto si modifica, si trans-forma. E ciò incessantemente, e questa
meta-morfosi, questo movimento, questa attività, è Vita.
Così è per
l'uomo (nei più antichi testi sacri che si conoscano, i Rig Veda, questa è la
massima aspirazione che può avere l'umanità: "concedici o Dio di
continuare a vivere attraverso i nostri figli e discendenti...!"), come per
tutte le altre specie e forme del vivente su questa Terra.
La materia e
l'antimateria, la luce e i buchi neri, l'essere e il non-essere, l'esistenza e
la morte. Il tutto è la Vita cosmica. Energia = vibrazione, movimento. Lord
Shiva è Nataraja, il re della danza.
Insomma
-dice ancora Suddhananda- Lord Dakshinamurty, quello della statua che c'è là nel tempio (cioè education as teaching,
l'educazione intesa sotto l'aspetto dell'insegnamento), ci indica, ci da
innanzitutto questa istruzione: senza conoscenze non puoi creare nulla. Inoltre
chi crea qualcosa, necessita anche wealth,
prosperity, deve essere ricco di know how, chi cambia ciò
che è stato predisposto, necessita di power, cioè di capacità.
L'uomo a sua
volta è un microcosmo, ed in questa misura è come dio, in quanto è parte di
Dio, dell'Essere cosmico. Guarda ad es. le tue stesse mani, se le studi vedrai
che hanno dello spazio entro di sè. Ciò che ci sostiene in esistenza, "ce
l'abbiamo in dotazione già gratis": aria, terra, acqua, fuoco, sono
attorno a noi, e in noi, a disposizione!. Brahma-Vishnu-Shiva sono ovunque,
anche se è qui o là che si manifestano. Il Tempo, è ovunque, lo Spazio, è
ovunque, e così pure la Coscienza suprema: non si muovono solo i corpi solidi.
. . .ma anche lo spirito, l'ineffabile realtà.
La Coscienza
divina è ovunque. Cominciamo dalla percezione del bello. Nel momento in cui tu
prendi coscienza che ascolti della musica, sei compenetrato dalla musica, e
"pensi" che bello! ti senti libero, stai con te stesso. Questa è già self-knowlege, pensi che
bello, perchè in quel momento senti dentro di te questo, in quanto in quel
momento tu sei bello, e bella è la tua mente libera. Partecipi così della
Coscienza divina, dello spirito cosmico.
Amore,
compassione, eccetera, aiutano molto a procedere in questa direzione. Quando
desideri, ami qualcuno, ti senti felice. Ogni oggetto del desiderio, ogni
oggetto d'amore, è tale fintanto che ti da soddisfazione, altrimenti, lo lasci.
Ma allora sei disperato per la perdita. Questo perchè non puoi vivere solo per
conto tuo e isolato. Se si incontrano due oggetti di soddisfazione e si
completano, in primo luogo provi che ha soddisfazione in te l'amor di sè, e se
lo senti anche nell'altro, questo ti da la pienezza del Sè. Ma c'è
interdipendenza totale, indissolubile, non si può fare a meno dell'altro.
Sempre si cerca la completezza, a partire dalla realizzazione del Sè. Non è
dunque il "perché" ciò che dovrebbe stare a fondamento dell'amore,
se dici ti amo perché sei..., allora quello è solo innamoramento come
infatuazione; mentre amo "affinché" noi si diventi qualcosa di più
bello e di migliore, allora è amore. C'è anche ignoranza nell'amore, e c'è misunderstanding,
fraintendimento, quando ami per ciò che gli altri tuoi simili hanno e non per
ciò che sono, e se tu valorizzi solo ciò che hai, ciò che ti hanno dato,
attribuito, i tuoi attributi, e non conosci ciò che sei, allora da qui viene
l'ignoranza che c'è nell'amore, e si accresce la sua componente negativa,
distruttiva.
Dopo una
breve pausa, che crea come un momento di sospensione...in seguito a questo fiume
di concetti che ci ha comunicato, di punto in bianco, gli chiede Marco:
"Quale religione più si avvicina a una concezione o intuizione giusta di
Dio?". Subito Suddhananda inizia a dire che ciò è legato a quanto diceva
prima. E' quasi incredibile il fatto che spesso si sente praticamente chiedere:
"ma Dio chi è, dove sta, com'è?" Come se si trattasse di un oggetto
di fronte a noi o all'universo. Comunque in effetti tutte le religioni del mondo
dicono molte cose straordinariamente giuste e belle sulla divinità, e -ciò che
è importante sottolineare- ciascuna apporta qualcosa di specifico. Per cui
direi che tutte assieme ci possono aiutare, e nessuna è da ignorare. E' bene
conoscerle tutte e apprezzarle una per una. Se prendi un foglio di carta di un
quaderno, e lo dividi a metà in orizzontale e poi ancora in verticale, quanti
rettangoli ci vedi? c'è chi dice quattro, chi cinque, chi sette o addirittura
nove...Così è per le religioni, in fondo sembra che dicano cose simili, ma non
è così, ciascuna di loro è uno sguardo particolare, chi prende in
considerazione il numero massimo di punti di vista, è forse quello che sa dire
di tutti e di ciascun rettangolo, altrimenti si ha una visuale limitata. Sono
però tutte parziali, anche perchè pensano a ciò che vogliono definire, come a
un oggetto esterno, altro da noi. quante più caratteristiche del divino si
contemplano, tanto più completo sarà il quadro che ne traiamo. Come in tutti i
campi, maggiori le nostre conoscenze, e tanti più i punti di vista considerati,
tanto più ampio sarà il nostro sapere. Bisogna conoscere, confrontare,
elaborare. Tutte le visioni religiose sono espressione di ciò che l'uomo nella
varietà delle culture cui ha dato vita, ha concepito e còlto del divino.
L'errore di ciascuna fede esclusiva, è di dirsi l'unica vera, di rifiutare gli
altri apporti.
Ma a me pare
(dico io) che questa apertura è tipicamente rispondente alla cultura indiana.
Lo stesso cosiddetto "hinduismo" è assai composito e complesso. Perciò
l'uomo formatosi nel contesto della cultura e in particolare della spiritualità
indiane, contempla più facilmente di noi possibili plurimi aspetti, facce,
manifestazioni del divino (come della realtà della vita), cui dare più nomi, e
forme. Dal caritatevole e protettivo Vishnu, alla terribile e inflessibile Kali.
Ciò può predisporre ad una maggiore apertura e disponibilità ad accogliere
altre eventuali varietà accanto alla propria (ma mi sembra sia così anche in
altre culture asiatiche). Noi forse siamo ancora nipotini della controriforma e
poi della razionalità cartesiana, oltre che figli del positivismo...
Non mi sono
spiegato bene? chiede Suddhananda. Domanda, non aver timore o vergogna, chiedi
qualsiasi cosa, una cosa qualsiasi apre molte strade. Metti alla prova l'altro e
te stesso, perchè solo così si convalida, si constata se quel che pareva stare
assieme si rompe o se sostiene la messa alla prova. La conoscenza stessa viene
dal tentativo di distruzione delle nostre conoscenze assodate, il cambiamento
poi si produce ma solo se c'è questa sfida, altrimenti si è acquiescenti e si
vive nell'accettazione di ciò che ci è dato. Sempre emerge nel discutere, nel
confronto, qualcosa di universale. Ad esempio, "io" è universale, è
una nozione che è invariabile, a chiunque, a qualunque individuo si applichi.
Si è soggetto prima di ogni altra determinazione. C'è solo Nameless, tutto quel che
inizialmente è indistintamente ciò che è senza nome, e "io", o
meglio -in un primo momento- si ha la sensazione di esser il soggetto di ogni
azione verso l'esterno.
Allora,
torniamo alla domanda di prima. Chi è mai DIo? dove sta, dov'è Dio? Ecco,
tocca l'infinità, cioè Dio, se puoi... Tutto ne è parte, e nulla ne sta a
parte. Chi sei? dove sei? Per rispondermi puoi per es. toccarti il naso, va
bene, tocca il corpo, dove indichi? l'insieme del corpo, di ciò di cui è
composto, in effetti è già una determinazione più generale del solo naso, per
dirmi chi sei, dove sei. Così per indicare Dio puoi indicare ovunque, anche
verso di te, per rispondere alla prima domanda. Chi distingue, disgiunge, creato
e creatore, già sta facendo una ideologia parziale, parcellizzatrice. Dov'è
l'infinito, l'infinità ? Dov'è il nostro Mondo? tu stesso ne sei una parte, ne
fai parte, tocca te stesso, indicati pure. Non sei un alieno che si trova fuori
posto. Ecco, questo è un inizio di ricerca dell'Universale. La divinità è
infinita, il divino è nell'infinità, è ovunque. Tu ne partecipi."
Dunque
abbiamo avuto da lui questo secondo darshan (=letteralmente punto di vista, o visione, o sguardo
divino), ovvero una udienza diretta con un guru, durante la quale con semplici
esempi ci ha indicato una via da percorrere su cui fare ricerca. Ci salutiamo,
gli chiedo di scrivermi una dedica sulla mia copia di un suo libro, e infine ci
abbracciamo.
8. RICERCA
SPIRITUALE
Certo un viaggio in India può essere fatto anche sotto la
dimensione della ricerca. Può essere una ricerca intesa nel senso di
confrontarsi con l'altro, con usi, costumi, mentalità, cultura, civiltà
diverse dalla nostra, o/e nel senso di imparare tante cose nuove perchè siamo
curiosi di sapere e perchè ci sentiamo cittadini del mondo, o/e nel senso di
ricercare se qui si trovano indicazioni di percorsi spirituali da intraprendere.
Perciò molti viaggiatori leggono e studiano le filosofie e le religioni della
storia indiana, prima e durante (e dopo) il viaggio.
Cosa si impara dedicandosi allo studio?: si sa che si
tratta di un tipo di attività che ci fa sapere cose nuove, ci fa capire
qualcosa di più su certi temi, ci aiuta a saper analizzare e a comparare, può
affinare il nostro senso critico.
Mentre è meno facile dire cosa si impari dedicandosi a
coltivare la nostra spiritualità, e cogliere spunti di riflessione e di
introspezione. Si potrebbe dire che ci aiuta a scoprire e conoscere una nostra
dimensione interiore che avevamo trascurato, oppure che ci rivela qualcosa di
ignoto, o che ci fa rendere conto di nostre esigenze e bisogni inappagati o
conculcati.
In ogni caso si misura il senso di questa attività con un
metro specifico, che è quello della trasformazione. Possiamo valutare
l'importanza delle pratiche e degli esercizi spirituali, osservando in quale
misura essi possano produrre in noi un mutamento, un cambiamento nel nostro
usuale modo di considerare le cose, gli eventi, e i nostri moti interiori. La
trasformazione è una buona cosa se ci cambia nel senso di farci divenire
maggiormente attenti a non creare situazioni di tensione, a non causare
sofferenze, a disporci ad essere più comprensivi verso gli altri, e in
definitiva ad essere più compassionevoli. Ma anche a dar luogo ad una maggiore
pace interiore, e a diminuire in noi l'aggressività, i conflitti interiori, e a
non lasciarci condizionare da paure.
Perciò bisognerebbe cercare di essere più consapevoli di
noi stessi, e imparare a guardare con maggior distacco emotivo a ciò che ci
accade attorno. Per poter valutare le cose con maggiore obiettività, per poter
capire le situazioni, oltre ad imparare ad essere più comprensivi, necessitiamo
di conoscere più elementi possibile, di comparare le idee e i punti di vista, e
anche fare il maggior numero di esperienze noi stessi, per poterci calare in
altre dimensioni del vissuto. Inoltre è importante, anzi essenziale, coltivare
l'onestà, anche verso noi stessi, e la disponibilità a comprendere gli altri,
ma anche ad accettare gli altri per come sono (e ad accettarci noi stessi ! ).
Bisogna sviluppare una mente aperta e il saper ascoltare. In sostanza si
dovrebbe cercare di vedere le cose sempre sotto una prospettiva ampia, come
dall'alto, non troppo interna ad un particolare, ma memore di un quadro
generale.
Tutto ciò rappresenta una grande sfida, e richiede
esercizi di autocontrollo e di autoanalisi continui e non facili. Richiede nel
contempo sensibilità e spirito critico. Attenzione a non cadere in pregiudizi e
opinioni fomentate dall'emotività. Certo ci può spingere verso un allontanarci
dalla massa e ciò può comportare anche aspetti spiacevoli, per cui potremmo
venire fraintesi, e soprattutto può generare in noi in un primo momento un
sentimento errato di autostima eccessiva, che ci condurrebbe completamente fuori
strada.
In definitiva la ricerca spirituale, e dunque la pratica
quotidiana di una simile concentrazione su alcuni elementi che si ritengono
importanti per stare meglio con sè e con gli altri, pur con la fatica che può
implicare, è produttrice di serenità e di saggezza. Ma è anche una forma di
intelligenza della vita.
A questo punto di riflessione però va aggiunto che un
ricercatore per poter progredire sul sentiero del perfezionamento spirituale ha
necessità di una guida che lo accompagni. Nella tradizione indiana si
contemplano due tipologie di sapienti che possano svolgere questo ruolo. Uno che
spieghi e illustri gli insegnamenti contenuti nelle sacre scritture, che si
impegni nella diffusione di quelle conoscenze, e che sia riconosciuto come una
persona esemplare che sia impegnata interamente nel far progredire il proprio
discepolo in modo del tutto disinteressato, cioè senza ricercare anche fama e
prestigio per sè. Costui viene denominato un Acharya, una sorta di precettore-mèntore.
Un'altro modello è quello del guru. Il termine come abbiamo visto,
significa "colui che rimuove le tenebre dell'ignoranza", ed è
qualcuno che ha acquisito un buon grado di autorealizzazione, intesa quale
conoscenza di sè, e realizzazione del Sè nella propria persona (Jnani), per cui sa come condurre un
ricercatore verso la consapevolezza e la pace interiore. Se quest'uomo di
saggezza è un samnyasin completo cioè un autentico e totale
"rinunciante", allora sarà un vero Guru in grado di esser da guida a ricercatori già solo con il
proprio esempio. La sua iniziazione la può svolgere con il discepolo anche solo
con uno sguardo oppure con una sola parola, in questo caso si tratta di una
straordinaria personalità dalla cui semplice presenza emana una eccezionale
sensazione di beatitudine, di serenità e di pace. Costui risveglia nel
discepolo le sue capacità, le sue potenzialità, il suo proprio maestro
interiore ovvero il maestro universale che è in ciascuno di noi, jagad-guru. Dopo di ché ciascuno essendo stato
posto in grado di regolarsi da solo, può esser maestro di sè stesso. Diceva
Krishnamurti: "sii luce a te medesimo". Per cui di fatto i modelli
sono tre.
La conoscenza di sè non è qualcosa che si può
instillare in qualche modo, per cui non si può comunicare con la sola
istruzione, per quanto avanzata. Nella Bhagavad Gita (sacra scrittura) Lord Krishna, la manifestazione del
divino in terra sotto aspetto umano, dice: "cerca di comprendere la vera
natura di questa conoscenza avvicinandoti ad anime illuminate. Se renderai loro
i servigi che si aspettano, e li interrogherai con animo aperto e con cuore
puro, costoro che vedono la Verità te la indicheranno". E continua dicendo
che un vero Jnani , cioè uno "realizzato", se
continua a vivere nel mondo è solo per amore del prossimo, per cui la
liberazione dello spirito dai condizionamenti può esserci anche in vita e non
solo come certi dicono dopo la morte. Ma queste personalità straordinarie sono
veramente delle rarità, e pertanto si riconoscono immediatamente. Mentre un
vero mèntore e un vero maestro saranno difficili da riconoscere, tuttavia se
individuati, potranno essere di grandissimo aiuto sino ad un certo stadio del
percorso, e saranno veramente degni di tale nome se sapranno rendere l'allievo
in grado di conoscere sè stesso, e di procedere da sè con i propri mezzi,
scegliendosi la propria strada.
9. IL CERCHIO DEL FUOCO
mercoledì 9 di
agosto '06
C' è la prima luna
piena d'agosto, ecco cosa c'è. Qui a Tiruvannamalai è già da ieri che stanno
continuamente convergendo grandi quantità di gente, gente da ogni dove, gente
di ogni tipo, gente che arriva con ogni mezzo.
Nel Tamil Nadu ci
sono i grandi templi dedicati ai quattro elementi, e il tempio in onore di Shiva
è innanzitutto dedicato all'elemento fuoco, l'elemento distruttore-cambiatore,
mutevole e cangiante. Esso fornisce luce, calore, e quindi vita, che permette di
vedere, di contrastare l'oscurità e il freddo, e avere il cibo cotto e
digeribile. Perciò Shiva è dio di salvezza, perchè garantisce che dal
decadimento e dalla distruzione possa prodursi una trasformazione e dunque
consente spazio a che si ritorni circolarmente ad una nuova creazione,
garantendo la perennità della vita. Nel tempio c'è una colonna dorata che
trapassa il soffitto, e fa entrare la luce, abbagliante nell'oscurità della
sala, e là dove i raggi penetrano la dissipano, proprio come a sua imitazione
tenta di fare un guru, la prima manifestazione di Shiva in effetti quella di
colui che impartisce le istruzioni fondamentali. La sua colonna di fuoco e di
luce senza fine né inizio (come la dea arcaica greca Hestia) lo fa apparire
agli occhi degli shivaiti come superiore a Brahma e Vishnu, gli altri volti
della Trimurti, ma il suo 1° insegnamento è quello di combattere i pericoli
dell' egocentrismo, tipico di chi assume un punto di vista del tutto
individuale. La singolarità è mortale, impermanente. Dal simbolo della colonna
cosmica di fuoco e luce vitale, deriva il simbolo fallico del Linga che si erge a spandere
vita nell'universo (Tejo Lingam). Nelle raffigurazioni esso è indissolubilmente
rappresentato incastonato nella yoni, nella vulva universale che lo accoglie, e dove avviene la trasformazione
dovuta al calore. Questo grande tempio in effetti è dedicato proprio al lingam
del Signore del Monte d'Oriente, Arunachalashvara.
E' questa la notte
in cui si commemora l'apparizione del grande dio Shiva sulla Terra, è la festa
del fuoco.
Probabilmente deriva
da una antica festa del culto di Surya, il dio del Sole, di cui Aruna era il
cocchiere che conduceva il carro del Sole appunto nella sua traiettoria celeste
(si pensi all'arcaico dio Helios greco, e al suo auriga Fetonte). Ma il culto
del fuoco (atr o atar) è ancestrale, poi divenuto tra gli ariani e poi gli
iranici, una manifestazione del Signore della Vita (Ahura Mazdan), e lo si
ribadirà nel testo sacro "Avesta", che sta a fondamento della
religione iranica riformata da Zatathushstra nel 2° millenio a.C. (e ancor oggi
seguita in India dai fedeli Parsi).
Oltre
alla celebrazione nel grande tempio shivaita, la festività viene ricordata in
decine di piccoli o grandi fuochi che la gente accende in vari posti, in
altarini improvvisati lungo la strada, o in più o meno piccoli tempietti.
Quando un bracere viene acceso, c'è subito un gran accorrere di persone, che
pregano, cantano, danzano attorno, si genuflettono, ed è sempre un momento di
emozione generale. Certo è vero che il fuoco ha una capacità di attrazione, di
ipnotizzazione quasi, sprigiona un grande fascino, non si può non ammirare il
suo continuo trasformarsi pur rimanendo il medesimo, si prova un senso di
rispetto per la sua forza, i suoi poteri distruttivi, ma anche piacere per la
luce e per il calore che emette, mentre si compie il mistero della
trasformazione di ciò che arde da uno stato solido ad uno stato aereo, e tutto
si fonde poi con l'atmosfera circostante.
L'altra
consuetudine che rende particolarissima questa mid summer night, è la
processione del Girivalam, cioè il rito collettivo
di camminare, possibilmente a piedi nudi (ma eventualmente anche con delle
calze) tutt'attorno al monte. E il perimetro dell'Arunachala è di 14 kilometri.
Questo giro di massa nel buio è straordinario, anche grazie alla potente luna
piena "ferragostana". Si compie ad un passo un po' spedito, e
possibilmente senza parlare, anche se poi in realtà alcuni intonano più o meno
sommessamente dei canti o cantilene, o recitano preghiere, o anche si scambiano
sussurri. Però è un camminare meditativo e con consapevolezza.
L'aria è calda come
lo può essere nel sud dell'India, la folla è tale che pur essendo la strada
larga come una nostra statale a due corsie, sembra piuttosto di stare in un bus
pieno zeppo all'uscita delle scuole, e si va, si va, si va, fitti fitti con
prossimità di corpi. Chi non è un podista ci mette tre ore e mezza / quattro
di cammino senza sosta. Alla fine arriviamo dove siamo partiti (cioè al
cancello del nostro ashram) che siamo letteralmente "un po' stanchini"
(come ebbe a dire Forrest Gump), e un bel po' sudaticci, e pure un pochettino
allucinati. Il magnetismo e l'energia che in questa nottata di luna sprigiona
dall'Arunachala è straordinario, e infonde forze e vigore. L'atmosfera e la
prossimità della massa, contagia. L'ambiente è da film felliniano, o da
immaginario orientalista del tipo fosco e misterioso, con accompagnamento quasi
continuo delle più diverse, ma assai simili, nenie e musiche ripetitive e dai
toni bassi. Aa-ru-u-naaa-cha-laaa.
Il tutto trasmette
una sensazione di un rito ancestrale, primitivo, e un po' misterioso. Intanto
sul ciglio della strada conto che in uno spiazzo ci sono una trentina di
pullmann, e più avanti in un simile grande spiazzo, pure sono più di trenta, e
continuano ad arrivare e a partire. In realtà questa gente che gira e che noi
vediamo, è solo una sezione del grand tour, l'anello è permanente, ma composto
da persone sempre diverse che si alternano, che deviano e se ne vanno, e che
arrivano e si aggregano. E noi siamo dentro a questo girone dantesco che celebra
in parte gli inferi, le potenze magmatiche del sottosuolo, in parte l'ardere
nell'aere dell'elemento fuoco con i suoi numerosi falò, e i suoi braceri, in
parte il calore stesso, in parte il monte con la sua potente e pesante struttura
di grandi massi e pietre, con la solidità, e con l'energia che emana, in parte
l'apparizione del divino che si manifesta, e in parte il suo contestuale dettare
le leggi cosmiche, e in parte la funzione trasformatrice del dio, che rinnova,
modifica, è in ogni manifestazione, e non cessa il movimento, rapido o sia pure
lentissimo, di tutto ciò che è, e infine la presenza inaccessibile della luna
con la sua luce di riflesso, con il suo essere una fonte fredda, alta nel cielo
stellato, femminile, rassicurante, sorridente, ma complice, simbolo della pura
energia, della luce che riflette il fuoco del grande bracere solare. E così si
gira, si gira, seguendo gli altri e facendo da riferimento per quelli dietro che
ci seguono. Ci sono dei sadhu con i lunghi boccoli di capelli corvini, pieni di
unguenti e di ceneri, ci sono tutti quelli con il volto dipinto con i segni e i
colori shivaiti, ci sono i pellegrini con il loro alto bastone, i monaci con la
tunica arancione, quelli a torso nudo, quelli tutti vestiti della festa, quelli
giovani e vigorosi, e quelli lenti e anziani. Ai bordi sono stati eretti
santuari temporanei, ma anche stands di fondazioni religiose, oppure tende per
dare da bere e da mangiare, o lunghe file lungo i margini, di vecchi con grandi
barbe accovacciati per terra o a gambe incrociate che attendono una elemosina, e
anche storpi, malati, bisognosi. Uomini, donne (tutte con numerose trecce e
ghirlande di fiorellini freschi e profumati tra i capelli), giovani, vecchi,
invasati e compassati, di tutte le pelli, nere, marroni, bianche, mulatte, e di
varie lingue dell'India. Gente arrivata da chissà dove con un carretto, con un
asinello, con un pullmann, con il treno, in auto, o a piedi.. ..
Rientriamo spossati
e ci buttiamo sul lettino rigido, continuando a sentire lontano la folla che
gira e le musiche, ma anche continuando
ad avere quei suoni nella testa e quelle immagini sfocate negli occhi, e ciò
nonostante, ci addormentiamo di botto, desiderando un profondo e denso sonno
ristoratore...
Ma sento l'Arunachala,
la montagna incantata, che mi sprona, mi stuzzica, mi vitalizza, mi incita, non
mi lascia stare. Ho comprato una torcia a pila ieri, ma fa una luce appena
fievole, e serve a poco (tanto poco quanto è costata). E per di più con questa
luna piena di mezz'estate. Sono veramente nel bel mezzo dei mid summer night dreams, e scrivo, scrivo
queste note. O forse è solo perchè ho gambe e piedi un po' dolenti, la branda
è un po' troppo dura, e bocca e stomaco sono un po' impastati per il cibo pure vegetarian per me inusuale, e
poi il caldo, e le zanzarine, mi opprimono....ecc...??
Lord Shiva è
Dionyso.
10. PELLEGRINAGGI
Intorno al monte intanto continuano ad esserci
gruppi che fanno il giro. Sono e siamo ancora un po' intorpiditi dalla camminata
di ierisera e io anche dalla nottata mezza passata sveglio e agitato. Chi di noi
ce la farebbe ad immergersi ancora in quella corrente umana? Leggo su un foglio
illustrativo, che fra sei mesi, sabato 17 febbraio, la notte di Shivaratri,
notte di luna nuova del mese lunare di Phalgun (febbraio-marzo), si celebra la
festa per la fusione di Shiva e Pàrvati, la coppia divina da cui si manifesta
l’energia del cosmo. Mi sembra che vi sia una sorta di complementarietà tra
queste due feste ai poli opposti dell'anno.
"Questa celebrazione dell’atto creativo che
dà vita all’universo viene vissuta in uno spirito di totale, festoso
abbandono dai fedeli, e trova il suo più naturale luogo di celebrazione a
Varanasi (Benares), l’antica Kashi, la città sacra vivente più antica del
mondo. La benevolenza della coppia divina che garantisce la liberazione dal
ciclo delle rinascite si festeggia con una notte di purificazione (Yoga) e di
ebrezza (Bhoga), la cui indissolubile complementarità, quintessenza dello
spirito di Kashi, viene rappresentata in un antico rilievo del tempio di
Kardameswara, dove accanto al guru immerso nella recitazione dei mantra, il
discepolo prepara il bhang, l’inebriante mistura che è tradizionalmente
consumata da tutti i devoti".
Chissà se potrò andarci? mi intrigherebbe molto,
ma temo che non potrò...
Oggi comunque abbiamo compiuto la salita a piedi
scalzi sull'Arunachala (in un'ora e mezza "soltanto"), l'altro rito
collettivo che si compie in questa occasione ferragostana. Ma incredibilmente
sul sentiero sassoso della salita non c'era nessun altro, a parte un paio che
scendevano, forse era anch'essa da compiersi ieri? siamo andati assieme a uno
che ci faceva da "cicerone", ci spiegava alcune cose della vecchia
sapienza campagnola, per cui ci mostrava le varie erbe e le loro proprietà, ci
diceva cosa si può fare con il legno dei vari alberi, o ci parlava degli
insetti, degli usi o delle credenze relative a certe pietre, ci mostrava i punti
panoramici, e ci illustrava i momenti della vita di Sri Ramana Maharshi (o
Maharishi a seconda delle traslitterazioni).
Ma ciò che è stato più emozionante di altre
cose, è che quando già il sentiero si è addentrato nel bosco, abbiamo visto
un anacoreta ! uno che si è ritirato, insomma un eremita ! è uno che se ne sta
lì nel boschetto in una capanna di paglia raffazzonata malamente a una certa
distanza dal sentiero, e vive lì da solo, da 28 anni! ...Ma quando mai, dove,
come, si potrebbe fare un incontro così in Europa, e in generale in occidente?
Ci siamo avvicinati, e lui ben contento ha dato le
benedizioni a ciascuno di noi, facendo con una pastetta rossa un segno sulle
nostre fronti mentre diceva delle frasi rituali. Certo, si potrebbe pensare che
lo ha fatto perché così poi gli abbiamo dato una moneta ciascuno, e con quella
forse manderà il suo kela (il ragazzo al servizio del saggio
"santone", ritratto in "Kim" da Kipling, e nell' indimenticabile film degli anni '50 con Errol
Flynn) a comperargli del lassi fresco da bere...ma sembrava sinceramente
contento di incontrarci, e comunque non ci ha chiesto nulla. È tradizione in
India dare un obolo ai sadhu, ai pellegrini, perchè possano sostentarsi nel
loro peregrinare. Ma al di là di ogni possibile considerazione, è un
personaggio fuori dal comune, e dunque un incontro eccezionale. Certo che tutti
abbiamo sentito parlare degli eremiti, ma quando mai ne ho visto uno se non in
fotografia? Per me è la prima volta, e forse resterà l'unica. Quindi
indimenticabile, se non altro perchè è stato emozionante vederlo lì, nel suo
posto, accanto alla sua cenciosa capanna nel bosco.
Mi vengono in mente Yoghananda, o Shivananda, o
Cinmayananda, anche loro come Ramana Maharshi, erano "usciti", e poi
ritornati nel mondo, per parlare a tutti noi. Sono vicende incredibili, e da
queste profonde introspezioni in solitudine, certi riescono a trarre grandi
riflessioni. Tanto più che avevamo appena sentito raccontare di quando Maharshi
si era ritirato in una grotta -che poi abbiamo visitato- dove visse dal 1899 al
1916. Dopodiché ha dato vita a fondazioni sociali che operano in molti settori,
dalla sanità agli ospizi per anziani, a aiuti agli emarginati.
Insomma mi veniva da pensare all'eroe platonico
della famosa grotta nella quale gli pareva di avere delle allucinazioni, e al
fatto che dopo esser riuscito ad uscire ebbe l'emozione di veder le stelle, ma
soprattutto poi al coraggioso suo voler rientrare e scendere negli anfratti
reconditi e oscuri, alla sua lotta per comunicare con gli ex compagni, e cercare
di dire loro che quelle laggiù erano tutte illusioni, ombre, correndo il
rischio di esser preso per folle e di offendere oneste persone e irritare chi
profittava della situazione.
Lì nel buio totale della grotta, ho avvertito le
presenze di alcuni che stavano silenti in meditazione, di cui non si sentiva
nemmeno il respiro, e che stavano come fuori dal tempo.
Scendendo dall'Arunachala con il sentiero di
sassi, si entra nell'ashram da lui fondato, lo Sri Ramanasramam, un grande
centro, in questi giorni affollato da pellegrini che necessitano cibo e acqua, e
che ospita anche alcuni occidentali. Ed ho avuto la fortuna che l'addetto aveva
proprio in quel momento riaperto fuori orario la bella libreria per dare delle
cose a uno di sua conoscenza, e così ho potuto guardare alcuni libri di e su
Maharishi. Ho poi comperato un libro oramai introvabile che è una buona sintesi
fatta nel 1959 da S.Cohen sulla scorta delle sue registrazioni delle
conversazioni-interviste da lui avute con Maharshi stesso, e appena ristampata
proprio da pochi mesi, ma in sole mille copie, dopo 16 anni che era esaurita
l'ultima edizione...! Subito dopo di ché il libraio ha chiuso... e non avrei più
avuto la possibilità di ritornarvi...
Stando lì i miei pensieri non potevano non andare
a mia nonna materna Fede Paronelli, che negli aa.Trenta già sapeva di Maharshi,
quando era la redattrice della rivista "La Ricerca
Psichica - luci e ombre", e facevano venire
ospiti ogni tanto alcuni indiani nella sede di Milano a illustrare le tecniche
yoga o a parlare delle correnti del pensiero indiano (credo che tra questi abbia
incontrato personalmente Krishnamurti; lo dissi a quel sikh suo adepto, da cui
eravamo stati a cena a Gurgaon, e lui mi disse che in effetti proprio in quegli
anni K. era andato anche a Milano).
Chissà se il "nostro" Suddhananda è
stato anche lui in isolamento come un totale "rinunciante"? Come
Francesco d'Assisi. Oltre a viaggiare in Europa e negli Usa, ha il suo ashram, i
suoi seguaci, e poi può usufruire di quella bella villetta-museo, ma in effetti
non ha di suo che la brandina sul terrazzo...Comunque lui con la sua posizione
di carattere razionale e dialogante, non indica nulla cui abbia senso
rinunciare, ovvero non la concepisce (mi pare) come una condizione per iniziare
una via di ricerca spirituale, o anche solo per approfondire il proprio
sapere… come d'altronde, credo, neppure un grande personaggio come
Krishnamurti. Certo ci sono vie differenti, e anche assai divergenti.... ma
forse per certi aspetti potrebbero essere considerate complementari; ognuno
potrebbe anche in questo caso parlare dei suoi rettangoli..., come direbbe
Suddhananda (vedi la 7a puntata di questo diario), e così si avrebbe infine una
visione un po' più d'insieme di quello che l'uomo ha via via considerato
conoscenze importanti che è riuscito ad acquisire sia nel cercare di conoscere
il mondo in cui vive, sia nella ricerca del Sè, per capire il tutto nel suo
complesso, multiforme, mutevole insieme.
La realtà di ciò che vorremmo capire, è forse
nient'altro che ciò che secondo scienze sappiamo essere tale obiettivamente e
concretamente ? O forse essa è solo ciò che per ciascuno di noi è entrato nel
proprio vissuto, quel che ci appare e su cui ci regoliamo secondo le esperienze,
dunque il vissuto con tutte le implicazioni psicologiche ed emotive, con le
quali interagiamo con il mondo circostante ed interiore, quindi la nostra
"lettura" e simultanea interpretazione di essa così come la
conosciamo ed esperiamo ? non posso che sospendere la mia risposta perché non
saprei che dire...
"Non avrai altra realtà al di là di
questa!", ovvero di ciò che è ed è stata per tutta la durata della tua
vita durante la quale di fatto non hai avuto accesso ad altro. Allora la
"realtà" obiettiva, quella concepita "in sè e per sè"
soltanto, è una pura astrazione, è uno dei grandi modi escogitati
dall'intelletto per tentare di "comprendere" l'incomprensibile? In
effetti come si potrebbe negare che "non avrai altra realtà fuor che
quella che avrai esperito nella tua vita" ? E ciò riguarda ovviamente
anche le determinazioni di spazio-tempo in cui siamo immersi. Di questo
discutono tra loro i saggi?
O no?
11. UN DONO
Stamane si parte, ed è un dispiacere, non
vorrei doverli salutare...cercherò di convincermi che è un arrivederci. La
mattina inizia con una sorpresa: Lucia e Marco ci portano alle sei e mezza il
caffelatte nella nostra casetta in un thermos...! alle otto andiamo in
sala-mensa, così mi congedo da "Socrate-ji" che sfodera il suo
sorriso esprimendosi con lo sguardo, e si lascia persino fotografare!... E
intanto penso, chissà se l'americana è già stata qua a ritirare la sua
razione, vorrei proprio dirle almeno due parole. . . ed ecco compare in quel
momento, eterea quasi solo sfiorando il suolo. Vedo che è incerta nel prendere
o meno un sughetto, e che chiede di che cosa si tratta. Approfitto di un momento
di rallentamento nel prendere su i panetti idly dal tavolo, per dirle che partiamo e che sono dispiaciuto di non averla
potuta conoscere, e aggiungo che ora le parlo perchè l'ho sentita parlare, e le
chiedo se forse è finito il suo periodo di osservanza del silenzio ? Si ferma
stupita, e mi risponde che può parlare in caso di necessità. Ironizzo sul
fatto che chiedere di un sughetto possa essere ritenuto una necessità, e allora
le dico che avrei voluto fare conversazione in questi giorni, ma non volevo
disturbare la sua scelta del silenzio. Ma siccome oramai le sto parlando, volevo
prima di andar via dirle che l'ho osservata, e che mi ha affascinato il suo
sorriso aperto e genuino, il suo modo lento di incedere, e quella sua calma
interiore che traspare e irradia serenità. Allora lei mi dice, rivolta anche a
Michele: venite a consumare la colazione nella mia camera, e là converseremo
(forse non voleva farlo in pubblico?). Dico rapidamente a Marco che sta
arrivando in quel momento, e che ha già chiamato l'auto, che mi aspettino per
la partenza, ma che voglio assolutamente cogliere questa opportunità.
La sua camera è arredata con cura, con foto di
guru, libri, ventilatore con striscioline colorate, cuscini, drappi. Le chiedo
pertanto se è qua già da tanto tempo e quanto ha intenzione di fermarsi, ma mi
dice che ora è il momento di consumare la colazione assieme in silenzio, dopo
parleremo. Ed in un primissimo istante mi sento fremere perché mi pare uno
spreco di quel poco tempo che abbiamo a disposizione mentre già sta arrivando
la macchina che avevamo richiesto...
Invece questo inizio silente permette che si
crei una atmosfera distesa e serena. Intanto mi guardo meglio attorno, osservo i
volti delle foto e si sentono gli uccellini che cinguettano. Le nostre presenze
sono molto concrete e si avverte il corpo dell'altro, il respiro. E' stato bene
che ci fosse questo momento di sospensione.
Rifletto sulla comunicazione nel e tramite il
silenzio. Il silenzio in un contesto di incontro, nella prossimità dell'altro,
fa sì che ognuno avverta fisicamente la sensibilità dell'altro: esso è
scambio di vibrazioni, di energie. Il silenzio può essere per certi versi anche
più eloquente di tante parole, che sono imperfette e ambigue, sono sempre
passibili di fraintendimenti, mentre ciò che ci si comunica stando accanto in
silenzio è partecipe della verità. Nel silenzio si conosce sè stessi, la
propria disposizione spontanea ad accogliere il silenzio, o le proprie
resistenze, e si apprende molto del compagno, o accompagnatore, taciturno, ma
direi dell' "interlocutore" in questo caso.
Consumiamo la colazione; io in verità sono
distratto e non mangio quasi nulla, l'atto del masticare e del deglutire mi
sembra un atto dovuto, di cui un po' mi vergogno, come di cosa stridente con la
pace meditativa di questa atmosfera. Quindi lei si alza e lentamente va al
lavandino a lavarsi i suoi piatti. Torna e i suoi occhi hanno uno sguardo dolce
quasi interrogativo. Le dico che essendo stati ieri all'ashram "Sri Ramanasramam", che ci è
molto piaciuto, ho riconosciuto ora qui la foto di Ramana Maharishi, mentre non
conosco chi sia l'altro con quella bella barba e quel viso da saggio. Lei
allarga il suo consueto splendido sorriso smagliante, e gioiosa dice che sono i
suoi grandi Maestri, i cui spiriti sono calati in lei, e che lei si sente sempre
in fusione spirituale con loro. Premette, prima di aggiungere altro, che la
Mente è unica e trascende le manifestazioni di forme corporee individuali. E
quindi dice che in questo Paese (vuole dire qui a Tiruvannamalai e dintorni? o
nel Tamil Nadu? o in India?) si può avere accesso all'insegnamento di un guru
di grandissimo respiro e alta levatura spirituale. Chiedo chiarimenti, e chi
sia? E' qui vicino, dice, ed è...mi pare che dica qualcosa come hatha-Veda Krif
??, o forse era Padma Vedegrith...? sicuramente conteneva il termine Veda, ma
non colgo il nome, è un suono indistinto e come una parola misteriosa che lei
pronuncia sottovoce con riverenza. E subito aggiunge, per rispondere alla mia
domanda di prima, che è già venuta in India molte volte nell'ultima dozzina
d'anni, e che si è fermata ogni volta diverso tempo, ascoltando molti diversi
insegnamenti, ed è stata a Rishikesh alle falde dell' Himalaya (forse da quel
Shivananda, da cui erano andati nel '68 i Beatles ?), e anche qui nel sud, mi
pare anche dallo yogi Maharishi Mahesh (?). Ora ha potuto ottenere un visto per
una permanenza di due anni e mezzo senza dover uscire e rientrare. E' stata a
trovare il suo guru, e poi è venuta qui per starsene tranquilla, cosa che nell'ashram
di Sri Ramana Maharshi -che è effettivamente molto bello- non sarebbe stato
possibile per il continuo andirivieni di pellegrini e visitatori. Quando poi
Swami Suddhananda ritornerà e qui verrà anche qui tanta gente, lei andrà
altrove. Ma dove?, chiedo. Non lo sa, ci penseranno i suoi Maestri a disporre le
cose che saranno meglio per lei. Quel che accadrà accadrà. Parla molto
lentamente, e ci sono spazi tra una frase e l'altra. il tempo in questa stanza
sembra essersi incredibilmente dilatato.....
Intanto penso: se ora mi chiede io chi sono,
cosa potrei dirle in sintesi? non certo la professione, o la nazione, come ci
diceva ieri Suddhananda...forse potrei dirle di alcune cose che faccio, di quali
cose mi interesso. Ma allora potrei dirle soltanto che nelle ultime settimane mi
sono interessato del tal argomento, oppure che negli ultimi giorni ho fatto dei
giri curiosando su questo e quello, andando di qua e poi di là e ricevendo vari
stimoli a certe mie riflessioni...Sono impreparato, è evidente. E intanto penso
anche che tutto ciò naturalmente riguarderebbe in realtà soltanto la mia
routinaria vita diurna, mentre invece sono ben consapevole che viviamo in due
dimensioni temporali, in due forme o modi, la solare e la notturna. Ecco dunque,
perché non parlarle del momento notturno-onirico che in queste ultime notti è
stato così tanto intenso ?
Vengo "risvegliato" dal fatto che lei
chiede se abbiamo avuto un darshan, cioè se abbiamo sentito Swami-ji
Suddhananda e cosa ne penso. Le dico che non mi è parso una personalità
sconvolgente, ma che ci sono state molte cose interessanti tra quelle che ha
detto, e che è molto bravo a fare esempi che ad un primo ascolto sembrano
semplici ma che possono essere "letti" a più livelli. E' molto
contenta di questa mia ultima osservazione, e mi vorrebbe dire molte cose
al proposito delle interpretazioni a più livelli, ma che ha capito dal fatto
che guardiamo fuori dalla finestra, che il tempo manca.
Dice, riguardo al rapporto con veri Maestri
spirituali, che anche dopo essersi allontanati da loro, finché c'è questo
"ponte", questo link o trait-d'union, supererai l'individualismo, l'egocentrismo, e vivrai nella copula
vivificante, e continuerai ad acquisire le sue vibrazioni e la sua energia.
Ripenso alle riflessioni che avevamo fatto l'altro giorno tra noi e con
Suddhananda su chi è un guru...un vero maestro di vita.
Le dico che quando l'ho vista la prima volta
intenta in un momento di introspezione sul muretto esterno della casa di
meditazione, io ero venuto laggiù per vedere il tramonto, e siccome era molto
bello (anche se "purtroppo" non così splendido come la sera
prima...), sono tornato di corsa fino alla nostra casetta, e lì ho perso un
sacco di tempo per cercare frettolosamente la macchina fotografica che chissà
dove l'avevo ficcata. Poi ritorno veloce al meditation center, le faccio un
cenno di saluto discretamente (ma mi pare che lei non se ne sia nemmeno
accorta), e una volta salito sulla terrazza constato che sono giunto un po'
tardi, ma lo stesso forse sono quasi ancora in tempo per prendere una bella
foto...ma ecco...le pile sono scariche... E ho pensato che tutto ciò era un po'
una metafora della vita...cercare freneticamente di cogliere l'attimo fuggente,
di fermarlo, ma anche proprio di possederlo, prenderlo, per portarselo sempre
con sè, e in un certo senso dunque dominarlo...non è in sostanza una amara
ironia ?
Dal suo sorriso mi sembra che le faccia
piacere sentirmi dire questo. Le dico che lei ha la capacità e disposizione
rara di saper gioire di cose semplici. Il suo sguardo ora mi pare divenga
compassionevole. Ci congediamo con affetto, e dice che per lei è stato un dono
averci lì oggi. Allora Michele le risponde che lui ha veramente gradito questo
incontro e che in realtà è per noi che l'essere stati con lei è stato
veramente come un dono. Lei subito aggiunge che già lo sapeva, e che è
certamente così, perchè il dono è tale solo quando la gioia è reciproca,
altrimenti non si tratta di un vero dono. C'è una unità indissolubile tra i
due vissuti, e sono due aspetti del medesimo, il dare e il ricevere, ed è proprio la
gioia che se ne prova quel che tiene unite le due facce.
Purtroppo ci chiamano a gran voce e dobbiamo
scappare. Allora rapidamente mi dice che posso mandarle mail presso l'ashram di
Swami Suddhananda, a nome Jñanam, che significa appunto Self Knowledge, conoscenza di sè
ma anche della realtà del divino, quindi la conoscenza del Sè. Le chiedo
qual'è il suo nome originario, e mi dice che il suo cognome è Cristan, di
origine italiana, il suo bisnonno era proveniente dalle Dolomiti di Belluno. Le
dico che è una coincidenza sorprendente, che ho una casa proprio in quell'area,
e che un giorno le racconterò anche come l'ho trovata e il significato che vi
ho attribuito.
Ma ormai usciamo dalla sua stanza....dobbiamo
partire, e saliamo di corsa sull'auto, dove gli altri hanno già provveduto a
mettere i nostri bagagli, e partiamo con ancora il suo volto gentile negli
occhi, e con la determinazione a cercare questo guru della foto, e andare al suo
ashram. Certo che incontri così si fanno solo in India...
E durante il viaggio verso la costa, in mezzo ad
un bellissimo panorama, mi attardo a ripensare all'incontro, e ai pensieri che
mi erano sopravvenuti, e che avevo come messo in stand-by. Ma mi coglie un gran
sonno, e inizio a mescolare il sognare e il pensare. Nella "vita dei
sogni" non mi pare di aver mai detto, né che mi abbiano mai chiesto chi
sono, nel senso di definirmi attraverso quel che faccio...là raramente ci sono
di queste...come potrei dire?... univocità...
E' anche per questo che è impossibile rendere
quella complessa e intricata cosa che è la nostra identità in una semplice
definizione. Quello stimolo del maestro swami Suddhananda mi ha intrigato e
invischiato. E' davvero deleteria, direi devastante culturalmente questa
abitudine di pensiero, indotta dal costume, che prevede di definirsi con un
titolo, una referenza magari geopolitica, o un mestiere. Ma sto per scivolare
nel sonno, nonostante la testa ballonzoli e sbatta sul finestrino...e la figura
della dolce Jnanam mi accompagna...come una Beatrice.
E' proprio vero che con i grandi Maestri si
dialoga anche quando non ci sono, anche quando sono già scomparsi (ad es. gli
autori dei grandi libri della nostra vita), attraverso i loro messaggi, o
mietendo e raccogliendo dal loro esempio, dalle loro opere, e che se queste ci
hanno lasciato un segno dentro, sono divenuti effettivamente parte di noi
stessi. Questo è proprio un elemento di jñana-yoga, unione mediante conoscenza, unione per via conoscitiva. E poi ripenso alla
comunicazione silenziosa, e alla vibrazione serena che compenetrava il nostro
breve dialogo denso di aspettative in cui eravamo come protesi l'uno verso
l'altra. Se non ci fosse stato l'ardire del mio atto di parlarle in mensa,
questa azione da karma-yoga cioè che ha innescato una serie di cause-effetti densa di significatività,
che ha accresciuto la mia conoscenza e prodotto una unione di spirito con lei,
non ci sarebbe stata e non avrei ora scritto queste righe né fatto questi
pensieri. Voglio proprio, devo, andare a cercare e trovare quel suo Maestro dal
nome impronunciabile. E tutto ciò è stato possibile perché c'era stato sin
dall'inizio un sentimento di bhakti, di amore spirituale che mi ha attratto verso di lei. Sono poi questi i tre
grandi marga, i cammini, i
percorsi, le vie, del sentiero della consapevolezza, triplice e uno (trimarga). E lei ne è stata la
messaggera, la divina figura che appena sfiora il suolo, eterea, che mi ha
iniziato...
Ma oramai dormo
proprio, e mi sogno di quando ero piccolo e mio padre gran viaggiatore, guidava
per ore anche di notte, e io mi rilassavo protetto dal guscio dell'auto con
dentro la mia famiglia viaggiante, e poi mi invadono i ricordi di mia mamma
pianista che suonava Chopin inebriando tutta la casa, e poi mi sogno di mio
nonno che faceva lo scultore... e del suo incasinatissimo atelier pieno di
creta, di bozzetti incompiuti, di statue, attrezzi...dove sentivo palpabilmente
nell'aria la sua tensione verso il riuscire a cogliere il movimento, la
torsione, la spirale, le forze, i corpi....corpi di creta, o di gesso, poi fusi
nel bronzo...sì lui l'avrebbe ritratta con la leggera tunica svolazzante e con
un piede scalzo appena sollevato dal suolo...
Fra tre/quattro ore saremo sulla costa, a
Pondicherry, e andremo all'Ashram del grande Aurobindo, e poi ad Auroville, la
città internazionale dell'utopia fatta realtà, e là inizierà un nuovo
capitolo, là inizierà tutt'un'altra storia...
il caldo rende oramai
il mio sonno densissimo.
12. A PONDY
24 ore di intervallo
a Pondicherry, in cui ci ricongiungiamo, ci troviamo e ci raccontiamo
reciprocamente, e tutto ci pare un po' strano venendo dalla calma arcadica di un
ashram di campagna. Giriamo nel traffico che ci pare assai rumoroso e puzzolente
di miriadi di moto, motorini, motorickshaw, biciclette, carretti, ecc (mentre in
realtà non è del tutto così, è un po' come dappertutto nelle città indiane,
anzi forse forse un tantino meno disordinato...), finchè di sera tutto rimane
paralizzato per un totale intrico che blocca ogni direzione...
In definitiva il
traffico è come una immensa arena di confronti e di rivalità tra le psicologie
degli autisti, con gran tensioni, e risoluzioni in tempi brevissimi frutto di
contrattazioni tramite interpretazione di minimi segnali, e necessari
compromessi realistici istantanei. E di fatto così è per ogni dove oggigiorno.
La cittadina non
sarebbe male, ma ci pare poco verde. Certo la vegetazione veramente rigogliosa
del sud-indiano, viene -come d'altronde ovunque nel mondo-
radicalmente spianata ed eliminata per far posto alla civiltà urbana.
Per prima cosa la nostra moderna
civiltà dell'asfalto deve vincere la battaglia contro il regno vegetale. Poi si
cerca di spingere ai margini, si regolamenta, e infine si rinchiude e segrega il
mondo animale. E così alla fine la specie eletta e dominante, cioè quella
umana, può crearsi il proprio spazio esclusivo, la propria grande tana a parte,
e crearsi un ambiente del tutto artificiale fatto a propria immagine e
somiglianza. e questa è la città, il traffico, l'industria, la politica, la
lotta tra istituzioni e delinquenza, i
conflitti vari, e l'inquinamento...ecc. Che belle cose! Così ci accade di
pensare a questo bell'albergo con personale gentile, dove abbiamo trovato posto,
come ad una sorta di (falso) luogo di ritiro, di silenzio, e di sollievo. Anche
se Annalisa e Ghila che ci accolgono, non sono riuscite a dormire per il
frastuono incessante, 24 ore su 24, di una festività terminata solo oggi.
Ma dico queste cose
in gran parte perchè ho sentito molto il salto, il confronto, e l'ho preso
male. Qui nel sud dell'India invece certi processi sono ancora solo incipienti,
e da noi invece sono giunti a livelli molto più sofisticati che hanno stravolto
le ns vite e ci hanno estraniato dal contesto naturale. Ma qui sui giornali, in
televisione, si danno più che altro notizie dei vari altri stati indiani, o
limitrofi, dell'Asia, ma poco si dice, e dunque poco si sa a livello popolare,
sulla lontana Europa (e praticamente quasi mai alcunchè sulla nostra piccola
Italia).
Insomma il giorno
dopo partiamo volentieri, anche se invece stavamo già per riconciliarci un poco
con la cittadina.
Partiamo dunque per
un "viaggio" di appena mezz'ora/tre quarti d'ora per andare a
stabilirci qualche giorno ad Auroville, là dove hanno cercato di concretizzare
il sogno sociale di Sri Aurobindo (1872-1950) e della sua compagna spirituale.
Aurobindo era un
bengalese, che fu considerato tra i padri fondatori della lotta per
l'indipendenza indiana. Egli si rifugiò nel 1910 come perseguitato dalla
polizia inglese a Pondichéry, cioè in quella che allora era una piccola énclave francese (sino al 1954),
dove fondò un ashram, e si ritirò dagli impegni politici, per dedicarsi allo
yoga, alla meditazione e alla filosofia.
A Pondy giunse poi
Mira Al-fassi, di padre turco e madre egiziana, una donna colta nata a
Parigi (per cui cittadina francese), che lì era cresciuta e aveva studiato, e
poi era stata qualche anno in Giappone, la quale infine divenne la compagna
spirituale del grande maestro, e poi dal '26 direttrice dell'ashram, con
l'appellativo che l'ha resa famosa: la Mère. Vissuta fino a 95 anni
(1878-1973), ha dato una impronta decisiva all'ashram di Pondy e alle sue
iniziative sociali e educative, e ne ha fatto un centro internazionale di
diffusione del pensiero del maestro, che ha raggiunto molti ambienti europei ed
americani, con cui poi si sono stabiliti frequenti e proficui contatti. Per cui
è stato anche un tramite di diffusione per la conoscenza in occidente della
spiritualità indiana in generale.
Nel 1968 si è dato
inizio nella campagna circostante la periferia di Pondy, alla fondazione di una
città di tipo nuovo, in base agli ideali sociali di Aurobindo. Cinque anni dopo
la Mère morì. Col tempo i legami tra la nuova sperimentazione e l'ashram si
sono allentati, poi il governo centrale indiano ha scorporato il territorio del
villaggio da quello del territorio
di Pondicherry, includendolo nello
stato del Tamil Nadu. Oggi Auroville è una realtà ancora in crescita, e nel
contempo, oramai consolidata. E' là che vogliamo andare per capire meglio di
che si tratta, anche se è qui a Pondy che tutto è iniziato. Nei giorni scorsi
Annalisa con Paolo e gli altri, erano andati in visita all'ashram e hanno preso
alcune informazioni e pubblicazioni. Io intanto stavo leggendo un romanzo della
Desai proprio sulla figura della Mère (ma che è molto critico al riguardo).
L'ascetismo (sannyasa)
non fu mai accettato da Aurobindo come una via valida, pertanto i membri del suo
ashram furono indicati non come dei "rinunzianti", ma piuttosto come
sadhak, dei ricercatori spirituali il cui intento è trovare i mezzi per rendere
universale la coscienza che il divino è presente in noi e nel mondo fisico. Uno
degli obiettivi "politici" divenne quello di fomentare l'idea
dell'unità del genere umano, ed un tramite imprescindibile è la diffusione di
una pratica consapevole della
meditazione, dello yoga, e della concentrazione, come via di un perfeziona-mento
insieme fisico, mentale e spirituale che faciliti la conoscenza dell'unione tra
il divino e la materia. In effetti il primo passo per Aurobindo sta nell'
esercitare le proprie capacità di concentrazione, bisogna imparare a
valorizzare l'importanza del saper porre attenzione e del riflettere su ciò che
si fa nel quotidiano, giocando, studiando,
e lavorando, per giungere ad una autodisciplina, o sadhana, che ci aiuti
nel liberarci da pregiudizi e resistenze che stanno alla base sia di opinioni di
tipo particolaristico, che più in generale di una visione dualistica della
realtà vivente. Di qui l'impegno per l'eguaglianza tra tutti gli esseri umani,
uomini e donne, indipendentemente dalle nazionalità e dalle fedi in cui sono
cresciuti. Di qui le varie iniziative di carattere sociale, o per l'istruzione
generale di cui l'ashram si fece promotore. Le sue difficoltà inizialmente
vennero proprio da questa dichiarazione di non appartenenza ad alcuna chiesa, ad
alcuna idea nazionalista, e dalle critiche che nei confronti di esse si
portarono avanti nell'ashram. Dalla maggiore consapevolezza e dall'incremento
delle potenzialità mentali, fisiche e spirituali di ciascuno, può scaturire
secondo Sri Aurobindo e la Mère una umanità rinnovata e superiore a quella
odierna.
Questa tensione
verso un superamento delle nostre più diffuse limitazioni, è per Aurobindo la
spiritualità: "La spiritualità non è un'alta intellettualità, né
un idealismo, né una tendenza etica della mente, né una purezza ed austerità
morale, né una religiosità o un fervore emotivo ardente, o esaltato, e nemmeno
un insieme di tutte queste eccellenti cose. (...) Nella sua essenza la
spiritualità è il risveglio alla realtà interiore del nostro essere, allo
spirito, al sè, all'anima -che è altra cosa dalla mente-corpo-, è una
aspirazione interiore al conoscere, sentire, essere, per entrare in contatto con
quella realtà più vasta che pervade l'universo, ed è al di là di esso, e che
abita anche il nostro stesso essere; è una aspirazione ad entrare in comunione
con questa realtà, per unirsi ad essa, e che come risultato dell'aspirazione,
contatto, unione, ci sia un rivolgersi, una conversione, una trasformazione di
tutto il nostro essere, una sua crescita o cammino verso un nuovo divenire, per
un nuovo essere, un nuovo sè, una natura rinnovata". (citazione che ha
costituito il messaggio augurale trasmesso dall' Ashram il 15 di agosto del 2006
in occasione della celebrazione dell' anniversario della nascita di Sri
Aurobindo).
13. LA CITTA’ DEGLI UTOPIANI
Ci sistemiamo la mattina del 13 agosto nella Guest
House centrale di Auroville. Io e Michele siamo in un piccolo sotto-tetto cui si
accede con una scaletta interna in legno, molto ripida, ed è un po' un
problemino alla notte andare in bagno, che è di sotto, ma fuori, per il fatto
che bisogna andar giù, assonnati e con la pila in mano...e poi tornar su
(possibilmente senza perdere il sonno).
Ma ci piace moltissimo, e poi dà proprio sulla
"piazzetta" centrale dove c'è un grande albero banyan, che è il
punto di ritrovo di chi vuole fare incontri e chiacchierare.
E' tutto molto semplice e alla buona, comunque per
sei euro e mezzo a testa al giorno, hai la stanza, i tre pasti, acqua potabile
fresca, servizio lavanderia, e uso bicicletta; inoltre ti chiamano un
motorickshaw o un taxi (a tariffe controllate), oppure se vuoi con un euro al
giorno hai una piccola motoretta.
Così facciamo lavare tutto quanto, e andiamo in
giro per la cittadina a vedere le cose più notevoli. Le distanze sono
abbastanza grandi da non poter girare tutto a piedi.
Cambiamo i soldi ad un ottimo tasso di cambio,
perchè stiamo solo quattro, cinque giorni, stando di più ti consigliano di
aprire un conto. Infatti loro vorrebbero che circolassero meno soldi possibile.
Ad es gli aurovilliani non prendono uno stipendio, ma gli vengono accreditati in
conto circa 80 euro al mese (questa si chiama "manteinance" ed è
eguale per tutti, qualsiasi lavoro facciano), e ognuno dà il suo numero nei
negozi o nei servizi, e l'importo gli viene detratto dal conto. Al proposito
quando si progettava la fondazione della città, la Mère (o Mother, come oramai
si dice) fu perentoria: "il denaro non sarà qui il sovrano signore".
Certo non è gran che come cifra, anche se qui ha una capacità d'acquisto molto
maggiore che da noi, ma comunque consideriamo che non ci sono tasse, non c'è da
pagare l'affitto perchè hanno la casa in assegnazione perpetua, l'assistenza
sanitaria, istruzione, cultura e sport gratuiti, bici in uso, e moto e scooter
in uso a prezzo simbolico; inoltre per gli aurovilliani ci sono particolari
minimarket, e magazzini in cui possono avere a prezzo di costo i generi di prima
necessità. I servizi di trasporto per anziani, malati o persone con handicap,
sono gratuiti (con speciali veicoli elettrici a emissione zero). Non resta poi
molto da spendere. Comunque ci sono problemi di mancanza di capitali, e
certamente per un euroamericano che voglia venire a stabilirsi qui, lo standard
di vita è molto più basso e quindi consigliano di venire con un proprio
gruzzoletto, oppure facendosi mandare regolarmente un aiuto dai paesi di
provenienza. Per es. degli italiani che si sono trasferiti qui coi bambini,
hanno realizzato il più possibile prima di partire, vendendo quello che
avevano, e poi magari hanno tenuto l'appartamento dove abitavano, e lo
affittano, e si fanno mandare i soldi per bonifico; altri sono potuti andare in
pensione anticipata, e per quanto minima qui è già una bella cifra; altri più
giovani ricevono qualcosa da casa quando hanno qualche necessità particolare.
Comunque in genere chi è residente è anche assai sobrio e ben poco consumista.
Si tratta certamente di una scelta ideologica, una scelta di stile di vita.
I prodotti di Auroville, alimentari, stick
aromatici, saponette, abbigliamento, borse, sono di ottima qualità (soprattutto
per il mercato indiano), e godono di buona considerazione, tanto più che sono
venduti a prezzi onesti, pertanto la produzione va piuttosto bene e i profitti
vengono utilizzati per incrementare i servizi sociali, e lo sviluppo generale.
Tutta la gestione e amministrazione è come si
dice molto trasparente. La gente che viene dai paesi economicamente più
sviluppati, porta anche know-how, e molti sono intellettuali, o hanno una buona
specializzazione, e socializzano le loro conoscenze ed esperienze. Auroville
vuole essere anche la sede per attività sperimentali e per la ricerca applicata
in vari settori, con lo scopo poi di portare all'esterno le proprie
acquisizioni, e così è appunto in agronomia, in campo ecologico, e in vari
settori dell'artigianato. Inoltre il livello dell'istruzione è piuttosto buono.
La cittadina dunque, pur avendo il numero di
abitanti che ha un nostro paese di provincia, ha la vivacità culturale
(biblioteche, cineteche, festival, ecc), e i servizi, di una città. Questo si
deve anche al fatto che si ritiene la varietà culturale una ricchezza, e
inoltre per favorire l'integrazione nella vita sociale e la cooperazione, si
considera importante che ciascuno possa ritrovare qui la presenza della propria
civiltà d'origine (informazioni, usanze, cultura...). quindi vi sono
continuamente iniziative e spettacoli, o corsi pubblici in cui si ha accesso a
film, testi, musica ecc. di vari paesi, e vi sono, e si stanno costruendo, vari
centri culturali "nazionali". Ciò in vista del fatto che non si perda
la propria
identità che è preziosa proprio nell'acquisire
quella nuova di aurovilliano impegnato a favorire l'unità dell'umanità.
Naturalmente c'è molta tolleranza e compresenza di comportamenti e abitudini le
più varie, e molta libertà di espressione. L'obiettivo ideale sarebbe di poter
avere qui a vivere stabilmente almeno un paio di famiglie in rappresentanza di
ogni paese del mondo. Certo in generale la cultura dell'India è prevalente,
inoltre sono molto presenti pure i tibetani, e oltre a queste componenti ci sono
poi francesi, inglesi, tedeschi, olandesi-scandinavi, e i nordamericani, ma nel
totale c'è un po' di tutto. Interessante anche il continuo viavai di visitatori
e di turisti da ogni dove.
Il grande banyano sotto cui ci si siede alla Guest
House a conversare e a prendere il thé, è quasi una metafora di Auroville,
perché è come un grande individuo con molte braccia, che ci circonda e
protegge, ed è lui che crea l'atmosfera raccolta che da il tono al nostro
soggiorno. E' qui che si sta a chiacchierare, e che si ascoltano le storie degli
altri viaggiatori, e ci si scambiano le opinioni e le impressioni su Auroville.
E' veramente stupendo e non mi stancherei mai di ammirare e fotografare questo
venerabile anziano "Signore del luogo" (deus loci). Sapete com'è un
banyano, dai suoi rami cadono delle liane che toccando terra mettono radici e
formano un nuovo albero-figlio che resta attaccato al tronco primario, e così
via occupando un territorio sempre più vasto. Diviene come una forseta di
colonne, sottopassaggi, ponti... Quello al centro della città, vicino al
Matrimandir è oramai estesissimo, e ci si cammina sotto per un po'. Annalisa
dice che però le pare nel contempo anche un po' inquietante perchè finisce per
inglobare tutti gli arbusti e le piante che incontra. Con la sua lentezza
comunque inesorabile si muove e amplia la sua "supervisione" (un po'
da godfather). Ciò nonostante continua ad affascinarmi, pur con questo suo
risvolto dominante - patriarcale, perché in realtà poi non riesci più bene a
capire quali sono i figli e quale il corpo d'origine. Anzi ora che lo guardo
sotto quest'ottica a me pare paterno, anzi ...come un nonno...
14. AUROVILLE, 2
Tutto era iniziato
con una aspirazione espressa dalla Mère nel 1954, quando scrisse, "un
sogno. Dovrebbe esserci un qualche angolo della terra in cui nessuna nazione
abbia il diritto di dire: è mio! Un luogo in cui ogni uomo di buona volontà,
con una sincera aspirazione, possa liberamente vivere come cittadino del
mondo". Ispiràti dall'universalismo predicato da Aurobindo e dalla Mère,
vari giovani di vari paesi vennero qui, a una dozzina di kilometri dalla
periferia di Pondicherry, a lavorare per dar vita alla città utopica:
Auroville. Per me c'è una assonanza con "città d'oro", e
penso alla Città del Sole di Campanella (invece l'assonanza fu forse ricercata
con il francese Aurore, giocando sull'ambivalenza tra l'inizio di aurora e di
Aurobindo). Stilarono una Carta fondamentale, in cui si diceva che "la città
non sarebbe appartenuta a nessuno in particolare, bensì all'umanità nel suo
insieme". Satprem, un vicino
collaboratore di Aurobindo scrisse una lettera aperta agli studenti di tutto il
mondo, che allora iniziavano il movimento di contestazione: "Questo è il
tempo della Grande Avventura. Il mondo è chiuso solo i robot vanno sulla luna,
e le nostre frontiere sono dappertutto ben controllate: a Roma come a Rangoon
gli stessi funzionari dello stesso Sistema ci sorvegliano, verificano le nostre
teste e frugano nelle nostre tasche. Non c'è più spazio per l'avventura nel
mondo. La libertà è dentro, lo spazio è dentro, e così la trasformazione del
nostro mondo attraverso il potere dello spirito(...) se avremo il coraggio di
scendere nei nostri cuori, allora tutto diverrà possibile". Alla cerimonia di fondazione, il 28 febbraio 1968, vennero qui
"rappresentanti" da quasi tutti gli stati dell'India, e da 124 paesi
del mondo, con un pugno di terra del loro paese e la versarono in un'urna a
forma di loto, attorno a cui si riuniscono ancor oggi ogni anno il giorno del
compleanno di Aurobindo. La cerimonia di fondazione avvenne sotto l'egida dell'Unesco
che riconobbe nell'esperimento un alto valore simbolico. Nell'anno in cui morì
la Mère, si contavano 322 aurovilliani, oggi sono quasi duemila, di una
quarantina di nazionalità diverse (un terzo sono indiani), di ogni classe
sociale. Il piano urbanistico della cittadina è stato progettato per uno
sviluppo sino a 50 mila abitanti, ed assomiglia ad una ruota con cinque raggi
attorno a un perno, ma come se fosse in movimento, quindi con una torsione dei
raggi stessi, vista dall'alto è quasi una galassia a spirale. Queste zone con
abitazioni sparse, sono immerse in un contesto naturale di vegetazione, tanto
che girovagando per la cittadina quasi non ci si accorge di essere in un centro
urbano, ma pare di girare per sentieri che si inoltrano nei boschi. Grande è il
rispetto per l'ambiente, e grande l'attenzione a fare ricorso solo a fonti di
energia "alternative" (sole, vento, acqua, ...) e comunque rinnovabili
e non inquinanti. Già più di un quarto delle costruzioni non sono collegate
alla rete elettrica nazionale dato che utilizzano pannelli fotovoltaici, inoltre
vi sono una trentina di grandi mulini a vento che alimentano le pompe d'acqua,
un centinaio di pompe solari, si contano una settantina di cucine collettive
solari, e la grande cucina centrale utilizza per la cottura dei cibi il vapore
prodotto da un pannello solare concavo del diametro di 15 metri. In questi
trent'anni nei milleduecento ettari del territorio, che inizialmente era
abbandonato e brullo, sono stati piantati più di due milioni di alberi da
frutta e da legna. Per l'irrigazione, e per evitare l'erosione e la aridità,
sono stati inventati metodi originali di contenimento delle acque piovane, e di
rigenerazione del suolo, per cui il territorio ora è estremamente florido. Nel
territorio, e nei campi agricoli che lo servono, non si usano fertilizzanti o
prodotti chimici, ma solo metodi organici per lo sviluppo di una policoltura
intensiva. Tutto ciò che attualmente esiste è stato costruito dal nulla. . .
Il centro geografico è un grande maestoso
albero banyan, che rappresenta l'unità nella molteplicità, ma a pochi passi vi
è il centro ideale e il perno di questa polis, che è costituito simbolicamente
da un grande globo dorato, e a poca distanza vi è l'urna con tutte le terre del
mondo, e attorno un anfiteatro per le riunioni generali. Questo centro
spirituale, che non appartiene a nessuna religione ma è aperto a tutti, è il Matrimandir, Tempio della
Grande Madre Universale. A questo proposito la Mère espresse nel 1970 questa
indicazione: " Sri Aurobindo ha insegnato che è nella Materia
che il divino si manifesta: Egli ha insistito sulla comprensione del concetto di
Madre Creatrice. Il Matrimandir deve esistere per insegnare all'umanità che non
è sfuggendo al mondo o ignorandolo che gli esseri umani realizzeranno il divino
nella vita. Non voglio che diventi un luogo religioso, non voglio assolutamente
dogmi, né regole, né riti."
Il Matrimandir è come sostenuto tutt'attorno da
grandi petali contenenti ciascuna una sala di meditazione e concentrazione, e
all'interno ha una sala con una sfera di cristallo. Qui si vede sulla destra
l'urna con le terre del mondo.
15. AURVILLE, 3
Andiamo a visitare i
luoghi notevoli della cittadina. Tutto qui ad Auroville ha un valore ed un
rinvio di tipo simbolico, non si tratta solo di una concezione urbanistica (si
pensi per es. alla città di Le Cobusier, Chandigarh, capitale del Punjab, o a
Gurgaon nell'Haryana, o Ghandinagar nel Gujarat) ma della realizzazione di
elementi simbolici. I nomi dei rioni (Sincerity, Bliss, Horizon, Existence,
Grace, Invocation, Gaia, Progress, Fraternity, Transition...), e le loro
destinazioni prevalenti (Auroville è zonizzata), l'architettura del
"municipio", della Biblioteca, della sala riunioni, del centro di
cultura, eccetera, materializzano determinati simboli che stanno alla base, sono
di fondamento, sono irrinunciabili, nella ideologia che pervade questa polis.
Perciò hanno la priorità, vanno stabiliti inizialmente, prima di procedere ad
una costruzione e alla sua collocazione, poi viene il resto. Un po' come
accadeva per la fondazione di città nell'antichità.
Dunque dopo il
Visitors Centre, con esposizione e vendita dei prodotti locali, foto sulla
storia della città, video sul matrimandir, eccetera, visitiamo la cucina
solare, la Town Hall che con la sua bella architettura fronteggia il matrimandir
ed ha dietro ad una grande vetrata una grande sfera scomposta e aperta, con
attorno i vari piani degli uffici che vi si affacciano, poi la Bharat Nivas la
casa delle culture dell'India, con l'Auditorium, in mezzo a un bel parco di
cactus, agavi, fichi d'india, fiori colorati tropicali, ecc., il centro
culturale Sàvitri Bhavan, con tutte le opere di Aurobindo, video, registrazioni
sonore delle interviste o dei discorsi di lui e della Mother, biblioteca,
riviste, sala conferenze, tutto in cemento vivo, con molto movimento nella parte
strutturale, e grandi spazi aperti illuminati, e al centro il capolavoro di
Aurobindo, il poema epico "Sàvitri", in una edizione di
gran lusso rilegata e con incisioni, esposto su un pubblico leggìo, poi il
Padiglione della cultura tibetana, e il
centro di progettazione architettonica e urbana, poi vediamo delle scuole, campi
sportivi e altro...
Girando ci fermiamo
alla bella backery, la panetteria dove c'è sempre pane fresco alla francese,
torte, quiches, paste e dolci, appena sfornati, e si può stare nel bar
all'aperto lì accanto a consumare bevendo spremute di frutta, sotto l'ombra di
bei alberoni, e fare conoscenze, o ascoltare conversazioni in varie lingue.
Diamo una occhiata a un magazzino del servizio "Pour Tous" per gli
aurovilliani, dove vanno e vengono vecchi sessantottini con lo scooter a fare
rifornimenti di latte, e generi vari.
Girovaghiamo un po' per i sentieri sterrati in
mezzo al bosco, che sarebbero le vie, dove è molto facile perdere
l'orientamento dato che si assomigliano moltissimo tra loro.
Il 15 agosto, che è
l'anniversario della nascita di Aurobindo, e dunque festa per la città, ci
alziamo alle 04 a.m. per recarci al Matrimandir, e lì assistere alla
celebrazione dell'arrivo dell'alba. Procediamo con le pile nel buio totale,
camminando tutti in silenzio e assonnati, e via via convergono masse di gente di
tutti i tipi, moltissimi indiani dei dintorni, o arrivati appositamente con
pullmann al parcheggio, e poi a piedi, e anche non pochi turisti. Semplicemente
si sta nell'anfiteatro ad attendere i primi chiarori dell'alba, sentendo i
cinguettìi o i fischi dei vari uccelli o scoiattoli man mano che si svegliano,
fin quando viene acceso un grande falò, vengono diffuse musiche sommesse e poi
un discorso della Mother in inglese, quindi con la luce il globo del matrimandir
diviene tutto dorato e luminoso, e a quel punto la riunione si scioglie. Il
tutto è suggestivo nella sua semplicità essenziale. Si esce passando accanto,
o sotto, al grande venerabile alberone banyan.
Queste comitive di
indiani giunti coi pullmann mi colpiscono, perchè questo non è un luogo hindu,
e non è nemmeno un luogo con una denominazione di una religione, o di una nuova
religione, ma loro vengono qui perchè vi riconoscono un luogo di spiritualità,
perchè si celebra un grande saggio, uno Shri, un sant'uomo. E questa è una
caratteristica dell'India: li abbiamo visti l'altr'anno a nuova Delhi fare la
fila per entrare nel grandioso tempio Bahai a forma di fior di loto, o alla
Global Pagoda buddhista, o in un famoso tempio Jain, o Sikh, o tibetano, oppure
per vedere la grande moschea rossa moghul della vecchia Delhi, o il santuario di
Alì a Bombay; vanno a vedere gli Hare Krishna, a sentire i guru, di cui non
necessariamente condividono il messaggio, l'ideologia, o il credo. E' una forma
di rispetto e riconoscimento del fatto che si tratta di qualcosa di venerabile e
dotato di una sua sacralità. Questa è anche una curiosità per le varie forme
e tematiche della spiritualità (si vedano ad es. le rubriche fisse di spirituality
su quotidiani come il "Times of India"
o lo "Hindu Times", o altri,
in internet), ed è una particolarità una peculiarità della cultura e della
civiltà indiane.
Solo in India
potevano sorgere Auroville, il Centro Tibetano di Dharamsala, potevano aprire i
più disparati e contrastanti Ashrams, ecc.....
Vi
ricordate che fine fece la comune internazionale costruita da Osho nell'Oregon,
quando la democratica e tollerante società americana requisì tutto ciò che
era stato costruito in quelle lontane e appartate foreste del nord-ovest,
cacciando con le fucilate della Guardia nazionale tutti i residenti dopo una
feroce caccia alle streghe, con morti e feriti, e poi rase al suolo tutto quanto
e lo incendiò...? Solo l'India li accolse.
Ma ve la immaginate voi una città come
Auroville in Italia? o che lo stato italiano sollecitasse l'interessamento dell'Unesco
per valorizzare una esperienza del genere conferendole valore simbolico? sì
possono esserci piccole iniziative qua e là, ma nel silenzio dei mezzi
d'informazione, perchè non piace che si mettano sullo stesso piano le più
disparate religioni, che si esalti un ideale di fusione interconfessionale per
un obiettivo di una umanità unita, o cose del genere. In India si può.
16. LASCIANDO AUROVILLE
La filosofia di
Aurobindo nasce sul terreno culturale della generazione fiorita negli anni
Venti/Trenta del secolo scorso, e ha temi e motivi in comune con altre filosofie
di quel tempo, ma si caratterizza per l'accento posto sugli aspetti
fisici-corporei. I suoi esercizi di meditazione/concentrazione di tipo yogha,
mirano a produrre nell'individuo un effetto psico-somatico che Aurobindo pensava
potrebbe portare ad un perfezionamento dell'essere umano. Cioè pensava che
potesse produrre addirittura una trasformazione a livello cellulare stimolandone
le attività e le reti connettive. Comunque l'accento posto su certe pratiche
yogha, lo concepiva volto a potenziare le possibilità latenti della nostra
stessa costituzione organica. E' ritenuta una via di perfezionamento che mira
alla promozione della perfettibilità della nostra specie, con l'aiuto di un
contesto sociale di tipo non-conflittuale.
Nelle chiacchierate
sotto il banyano della Guest House, ci dicono che è per questo che ad Auroville
si coltivano molto gli studi e le pratiche del massaggio, ricorrendo ad un
sincretismo di scuole differenti, pur di raggiungere una maggiore conoscenza
della persona e una più ampia gamma di risultati, stimolando l'individuo da più
punti di vista, ma sempre nel rispetto della psicologia del singolo. E poi è da
qui che dall'ashram originario è scaturita questa attenzione al sociale, ai
prodotti, all'urbanistica, all'architettura, che contraddistingue Auroville.
Ma i 1800 cittadini aurovilliani, non saranno
poi destinati a divenire una casta dominante, che vive grazie al lavoro dei
contadini e degli operai poveri dei paesini attorno, e alle rendite inviate loro
dai paesi d'origine ? Fattostà che indubbiamente questo tipo di esperimento, e
soprattutto questo particolare ambiente di vita, e l'aver strutturato queste
condizioni del vivere e della socialità, risulta attraente per un certo tipo di
pubblico. Inoltre un visitatore occidentale che ritrovi qui una atmosfera
perduta, tipo anni settanta/ottanta, un certo spirito di avventura, il piacere
di costruire qualcosa di nuovo, unico, ambiziosi progetti che ti fanno sentire
protagonista di una sperimentazione di grande respiro..., può percepire tutto
ciò come gradevole e accattivante. Ci si ritrova alla sera a parlare di queste
idee, di queste illusioni, di questi obiettivi di lungo periodo, in un contesto
esotico, a discutere di grandi tematiche, a raccontarsi dei propri viaggi e
scambiarsi le proprie riflessioni. E' simpatico vedere in giro ex giovani ed ex
ragazze con lunghi capelli grigi o bianchi, che se ne vanno intorno con il
motorino o lo scooter. Perché ogni tanto c'è pure da andare fuori, nel mondo
circostante, nei paesi attorno, o in città a Pondicherry, che sta a un quarto
d'ora dalla polis degli utopiani, in una cittadina che ancora risente abbastanza
della impronta europea che la Francia si impegnò a dare a questo suo piccolo
lontano "stabilimento" della Compagnia francese delle Indie.
Non diventerà una
"riserva" di interesse turistico? non staranno gli onnipresenti volti
e simboli di Aurobindo e della Mother, diventando marchi commerciali per
prodotti di qualità e di un certo stile? Non si ridurrà un po' tutto a
qualcosa che se impresso su una T-shirt la rende più vendibile ai curiosi di
passaggio? Certo una cittadina con le sue problematiche non solo economiche ma
anche sociali, non è (e non può essere) un grandissimo ashram. Nel paesino
degli aurovilliani, tutti si conoscono e il giornalino delle News parla degli eventi di quel
piccolo mondo, di cui forse i ragazzi divenuti adulti si stuferanno. Gli
aurovilliani -passata per motivi d'età la generazione dei fiori e delle grandi
alternative- chi saranno? chi saranno gli attuali ragazzini nati qui per i quali
tutto ciò è normale, e le avventure dei padri sono un noioso ripetersi di
frasi retoriche? Questi figli sembrano assomigliare tanto, e vogliono
assomigliare, a quelli delle lontane società d'occidente, o delle metropoli in
sviluppo della nuova India (ma forse solo a livello esteriore). Saranno essi i
degni custodi inflessibili delle regole auree della repubblica platonica? Ma
forse qui sarebbe più ottimista ricordare il guru Narayana (1854-1928) che fondò
una società di previdenza che governasse saggiamente il villaggio di
Muthakunnan nel Kerala, (cfr. E.Zolla,
"Come ho trovato la Città del Sole", Corriere della sera, 3.3.1979), esperienza che
tutt'ora prosegue con generale consenso pur dopo tanti anni.
Ma al di là di questi timori, Auroville
rappresenta una scommessa, una promessa, per "molti" una speranza cui
guardare. In ogni caso sta di fatto che l'esperienza prosegue, e una nuova realtà
si è comunque radicata nel territorio.
17. IMPREVISTO
Progettiamo un viaggio da farsi noi quattro
nelle due settimane dopo la partenza degli amici, e così andiamo nella
efficente agenzia viaggi aurovilliana, prenotiamo, paghiamo, e poi per renderci
le cose meno faticose, decidiamo di non prendere il treno notturno con cuccetta
che per arrivare a Madurai ci metterebbe dieci ore e mezza, e prendiamo invece
dei biglietti low cost per un volo aereo. Quindi ritorniamo di nuovo alla
Railway station a Pondy per cancellare la prenotazione che avevamo già fatto, e
a quel punto per rilassarci un poco decidiamo di passare il resto della giornata
al mare, nello stabilimento balneare aurovilliano di "Repos".
Finalmente ci facciamo un bel bagno e un po' di mare! e lì:
l'imprevisto.
Annalisa per non
cadere a causa di un'onda forte in arrivo sul bagnasciuga, si gira per correre
indietro, e fa una torsione col ginocchio sinistro mentre la gamba è
sprofondata nella sabbia che le tiene bloccato il piede. Non riesce più ad
appoggiarla e quindi a camminare. Tornati con un taxi, prepariamo i
bagagli sperando che passi, ma si muove solo con faticosi saltelli su un
piede solo, o spingendo lentissimamente una sedia. La mattina dopo, dobbiamo
lasciare le nostre stanze, ma la cosa non è passata per nulla, anzi è
peggiorata. Allora con l'auto che avevamo prenotato per portarci a Chennai
(Madras) all'areoporto, andiamo invece all'ospedale che c'è fuori Pondicherry,
a Pyms, un centro medico moderno ed efficiente. Lì viene ricevuta e visitata
nel reparto di ortopedia, il medico le prescrive immobilità, riposo, e siccome
gli diciamo dell'aereo, la manda al reparto radiografia per fare una lastra, e
poi le fa mettere una lunga e stretta fasciatura, e le prescrive l'uso delle
stampelle per almeno due settimane. La manda al reparto di fisioterapia e là le
fanno un breve corsetto rapido con addestramento all'uso corretto delle
stampelle. Veramente bravi, efficienti, oltre che cordiali e gentili. Dobbiamo
pagare tutto (20 €) e usciamo contenti e soddisfatti.
Non è dunque questa
una ironia della sorte? ora che credevamo di poter disporre del nostro tempo in
totale libertà di scelte, e di fare grandi camminate a visitare i templi di
Madurai e di Tirucchirappalli, ci ritroviamo da un momento all'altro in
condizioni ben diverse, imprevedibili, e su cui non possiamo fare nulla, se non
accettare gli eventi, e tutto a causa di un attimo in cui si sono decise le
sorti delle prossime due settimane...La vacanza passa in secondo piano rispetto
all' attenzione al corpo, lo spirito muta ed è meno baldanzoso, i tempi si
trasformano radicalmente, divenendo lentissimi, il dolore che annalisa prova
nell'appoggiare il piede o fare un passo ci ricorda le priorità e i limiti. Una
lezione da non dimenticare e da non disprezzare (e come?), né minimizzare. Con
l'auto che ci porta verso l'areoporto passiamo vicino a Mahaballipuram, ma non
c'è più tempo per fermarci come avevamo previsto perchè abbiamo perso
l'intera mattina all'ospedale (volevamo rivedere dopo anni i magnifici antichi
monumenti oggetto di pellegri-naggi). Invece poi arriva un messaggio sul
cellulare in cui ci avvisano che il volo è posticipato di tre ore... Arriviamo
comunque un'ora e mezzo prima della nuova partenza, per venire a sapere in
areoporto che il volo è spostato di un'altra ora. Insomma in definitiva anziché
alle 5.20 partiremo alle 10.30...Ore e ore in questo areoporto, in questa
no-where land, in questo non-posto fuori dal mondo. Alfine si va, portano
Annalisa seduta sulla sedia a rotelle a braccia su per la scaletta, con rischio
di cadere all'indietro addosso agli altri passeggeri sotto alla scaletta,
.....ma alfine si parte. A Madurai annalisa scende la scaletta di sedere.
Arriviamo all'albergo anziché alle sette previste, poco dopo la mezzanotte.
Annalisa sale le scale dell'albergo carponi, e saremo a letto verso l'una!
18. A MADURAI
18 agosto 2006,
Madurai
Ora comunque siamo
sulla terrazza dell'albergo per fare il breakfast, c'è una bella brezza e un
panorama vastissimo. Dinnanzi a noi si stagliano sulle casupole i quattro
grandiosi gopuram (=torri/porte) colorati del complesso templare: quasi una visione da
fantascienza proiettata nel passato.
Passato, presente,
futuro si toccano e si congiungono come nelle dita di Shiva insegnante.
L'immaginazione corre, stimolata fortemente dall'emozione di questa vista, e con
la fantasia mi figuro quando 4 secoli fa, quel grande complesso emergeva da una
cittadina di capanne di fango e paglia, e il palazzo reale era più grande di
ora ! venendo da fuori, tra le palme fitte e i banyans, e la vegetazione
equatoriale, improvvisamente vedevi i quattro gopuram....! Un complesso di
queste proporzioni stava a significare anche che esisteva là un centro di
saperi, di artigiani, un mercato commerciale e di scambi, un centro di
produzione, un centro di potere religioso e politico di grande levatura.
Quando scendiamo in
strada e poi giunti là entriamo, già nella prima cinta muraria rettangolare si
avverte di essere passati per una soglia e
di avere fatto ingresso in un mondo a sè con una atmosfera differente di grande
suggestione. La penombra, i colonnati, la grande vasca per le abluzioni, gli
altari, e tutta la grande massa di devoti, creano veramente un universo a parte.
Si percepisce anche
che l'attuale complesso templare è il risultato di aggiunte e rifacimenti nel
corso di una lunga storia, sulla base di un tempio molto più antico. In effetti
una parte è dell'epoca che noi chiamiamo medievale, e una parte addirittura
risalente all'antichità. Pensate che ad esempio Megastene (che ho già citato,
storico e geografo inviato dal diadoco alessandrino Seleuco Nikator, più volte
in missione tra il 302 e il 292 av.C.), venne fin qui attraversando la fitta
jungla, come ambasciatore presso la corte del Raja Chandra Gupta (dai greci poi
storpiato in Sandracottos), quando questo era un lontanissimo centro di
esportazione di spezie rare e di pietre preziose. Chissà cosa raccontò quando
ritornò indietro (purtroppo non abbiamo un suo "Milione"...).
Chandragupta fu poi il fondatore della dinastia Maurya che estese il proprio
regno sino al nord, cacciando i dominatori alessandrini dai territori lungo il
fiume Indo.
Ma il culto che qui
si esplica, rivolto alla divina Sri Meenakshi, è più antico ancora. Meenakshi, la bella dall'occhio di pesce, nasce
sulla terra del fuoco sacrificale, ed è una divinità matriarcale. Il suo culto
era così forte, sentito, e radicato che l' hinduismo non poté soppiantarlo, e
quindi venne inglobato, assimilato. Nella ricca Madurai, il cui nome viene da madhuram, dolce come il miele, la
bella dea fu detta essere una apparizione di Devi, e di lei si innamorò il dio
Shiva in quella sua manifestazione in cui è considerato come "il bel
Signore", l'affascinante, Sundareshvara. Ed il Meenakshi Mandir fu ampliato con una
immensa sala in cui i due incontratisi si innamorarono. Perciò, per lo meno dal
1500 questo è il tempio del matrimonio, un tempio bino, in cui si celebra la
congiunzione divina. Meenakshi, rappresentando l'energia femminile è assimilata
a Pàrvati, la shakti di Shiva, e l'unione delle due divinità è l'unità delle
due polarità. Il grande complesso templare, uno dei più affascinanti
dell'India, fu portato a compimento a metà del 1600 dal principe, nayak,
Tirumalai
In quella parte,
detta Mandapa, "sala dalle mille colonne"( 985), che poi furono
decorate con figure scolpite nella roccia, di straordinaria forza e bellezza,
ora c'è una sorta di museo del tempio, o esposizione, tenuta malissimo (o
meglio non-tenuta né intrattenuta), ove sono esposte opere stupende, tra cui
molti pezzi antichi, risalenti all'epoca in cui si diffuse il buddhismo, pezzi
inestimabili che vanno pian piano in rovina (soprattutto per quanto riguarda gli
arazzi, i dipinti, le pergamene, ecc...).
Le statue, addossate
alle colonne come cariatidi, sono opere d'arte che rivelano un gusto estetico, e
tecniche artistiche di grande raffinatezza. La ricerca del movimento, le leggere
torsioni, le espressioni di serenità, la ricerca di armonia tra le parti, le
loro proporzioni, la capacità riproduttiva, il risultato di perfetto
equilibrio, denotano la presenza di una scuola di notevolissime tradizioni e di
grandi abilità. Si trovano
commisti l'umano e l'animale, il maschile e il femminile, la serenità e il
valore guerriero, la bellezza e il grottesco...
Ritorniamo al tempio
alla sera perchè proprio oggi alle 7.30 p.m. l'immagine di Pàrvati/Meenakshi
verrà portata in pompa magna su un carro-baldacchino in giro per tutto il vasto
complesso templare, con banda musicale, un bue sacro
tutto dipinto e adornato, reggendo ombrellini coloratissimi, e l'elefante
del tempio, di 40 anni d'età, anche lui tutto ricoperto di sbirluccichini e
vetrini, con un bel coprifronte, eccetera. In un percorso tutto dentro, interno
al tempio, passando per tutte le gates-torri, a cominciare da quella dell'est,
fino ad una camera nella parte più sacra e più interna, inaccessibile a noi,
che è quella che fuori ha una luminosa cupola tutta dorata. E poi lì alle 9
p.m. verrà condotta la statua di Shiva, e i due verranno lasciati soli a porte
chiuse a passarvi tutta la notte assieme.
Centinaia di
persone, soprattutto donne (la dea è protettrice e guaritrice dei guai
femminili, tipo mancata gravidanza o difficile gestazione, ma anche ogni altro
tipo di inconveniente femminile) seguono con grande fervore la processione,
tutte con belle ghirlande di fiori freschi tra i capelli, e molte belle
speranze.
Già stamane avevamo
visto tante donne sedute per terra in un punto del tempio , che portavano in
offerta olio in un piccolo spicchio di noce di cocco, e con quello ungevano le
statue e i bassorilievi delle colonne dove è raffigurata Meenakshi, e
accendevano una fiammella, allo scopo di chiedere di poter avere un marito buono
e buone gravidanze.
Nel museo interno, là
dove c'è una vecchia statua lignea tutta colorata di Pàrvati davanti ad un
"carro del Sole", una giovane si ferma di colpo come fulminata dalla
vista della dea, così vicina, così accessibile, e si ferma a prenderle la mano
con tenerezza e le sorride. La guarda proprio fissa negli occhi, sta vicinissima
al suo volto, è felice estasiata, mugugnando qualcosa come una nenia, e nemmeno
si accorge che a un certo momento la fotografo con il flash. E' radiosa quando,
chiamata più volte, alfine si distacca e raggiunge la madre che è già
all'uscita del museino. Cosa crede? cosa ha nella sua mente? cosa cerca? quale
bisogno la spinge a questa saldissima fede? qual'è la molla interiore che fa
scattare questa sua incrollabile credenza? Il bisogno di un riferimento, di una
protezione, di una figura consolatrice, probabilmente...chissà...
In un certo punto
del tempio c'è un lungo palo d'oro che va oltre il soffitto, e di giorno
entrano dal buco solo raggi perpen-dicolari al terreno e paralleli all'asta, con
grande effetto. Alludono forse al perno di luce eterna attorno a cui gira la
galassia (e il cosmo intero) come una grande ruota, fascio immenso senza fine
(come per la dea greca arcaica Hestia). E' quello il segno dinnanzi al quale,
come raccontano gli shivaiti, gli stessi Brahma e Vishnu, che si scambiavano
opinioni sul primato nella Trimurti, concordarono che il titolo di primo tra
pari avrebbe dovuto spettare al dio solare del fuoco, Shiva.
19. THEOSOPHICAL
SOCIETY
Ieri il conducente del motorickshaw mi ha
presentato un signore che abita proprio di fronte all'ingresso dell'albergo, e
che ci aveva notato, e voleva conoscerci. Ha un viso particolare, e ancor più,
ha le labbra proprio sottili che paiono un po' violette sulla pelle decisamente
bruna scura, un asciugamano sulla spalla, a torso nudo ma con calzoni
"moderni", e a piedi nudi. Parla bene un buon inglese, e gli sorridono
anche gli occhi. Mi fa entrare in casa sua, e mi mostra che nella sua camerina,
sopra al suo letto, tiene un enorme dipinto di suo nonno da giovane. Era stato
un allievo di Sri Maharshi, che gli aveva insegnato, o fatto insegnare, l'arte
di prendersi cura del corpo, e in particolare della pelle. E dunque aveva poi
fondato una sorta di laboratorio artigianale domestico per la produzione di olii
speciali per massaggi, e di saponi, fatti con erbe aromatiche, usando solamente
ingredienti naturali cui si attribuiscono particolari proprietà. Poi insegnò a
sua volta i segreti della composizione, delle proporzioni, delle procedure,
della lavorazione, ecc. al proprio figlio, che è suo padre, che a sua volta li
trasmise a lui. Poi mi porta lungo il corridoio alla sala grande al centro della
casa, dove la moglie e la figlia accucciate stavano confezionando e imballando
bottigliette. La moglie è bella e dolce, anche se mi fa vedere un altarino con
la foto della suocera appena morta, e mi dice che si scusa ma è per questo che
sono ancora tutti intristiti. La figlia di 21 anni è figlia unica, le piace
giocare a tennis, e lui (il padre) fa ogni sacrificio purché possa farlo
regolarmente. Parla bene inglese, e vorrebbe tanto vedere l'Europa. Chissà se
poi continuerà a tramandare i segreti della fabbricazione artigianale orgoglio
di famiglia?...O se aprirà un minimarket dei nuovi prodotti industriali made in
India?
Vado un po' in giro a cercare un posto che avevo
visto dal rickshaw e che dev'essere molto vicino, ma le strade si assomigliano
tutte moltissimo, quindi vengo seguito e "aiutato" da un tale, poi da
due, poi da tre, sinché si trova uno che capisce quel che cerco e mi indica la
via. Ecco trovata la sede della "Theosophical
Society", che sembra come abbandonata da decenni, e in via di
disfacimento lento.
Certo qui con l'umido, i monsoni, il sole
fortissimo, tutto di disfa, ammuffisce, si sgretola. Questo edificio è come uno
squarcio del passato che si apre tra un palazzo moderno ed un altro. Forse è
ancora lì perché è abbandonato, cioè proprio in quanto è totalmente
dimenticato da tutti. Il suo guardiano, lo usher, è addetto alla sua
sopravvivenza apparente. Forse era da ragazzo l'inserviente, poi quella
portineria è diventata la sua unica casa...Qui tutto è pieno di polvere e ci
sono ragnatele e muffe. Non un segno di presenza umana recente, tutto
scricchiola, e dalle foto alle pareti i volti mi guardano increduli.
E' tutto in bianco e nero, è come entrare in un
dagherrotipo impresso su una lastra di vetro. Mi pare di essere uno del film
"la macchina di Morel", e di aggirarmi in un ologramma. Avrebbe potuto
passare di qui mia nonna materna, sì quella che è morta poco prima che io
nascessi, e si sarebbe soffermata con il suo cappellino con la velette, la
borsetta nera e la stoletta di volpino sulle spalle, e certamente si sarebbe
intrattenuta ad amabilmente conversare con i soci sui rapporti della Teosofia
con gli esercizi di respirazione pranayama, oppure se Krishnamurti (che lei
certamente incontrò in qualità di redattrice della rivista "La Ricerca Psichica"), fosse o no Maitreya, il nuovo
avatar. Poi uscendo dalla sala della biblioteca si sarebbe voltata a salutare e
sarebbe scesa dal porticato nel bel giardino fiorito, girandosi a far loro un
ultimo sorriso, magari giungendo le mani nel passare sotto la scritta che sta ad
arco sopra al cancello esterno.
Dopo di ché il tempo passa e spazza via tutto
come il vento che precede e porta il monsone: la guerra d'indipendenza dagli
inglesi, la tragedia della spartizione coi profughi e i massacri, e poi
addirittura il passaggio di un paio di generazioni. Il tempo ne ha spazzato via
decine e decine di milioni, con la sua falce ha apportato la morte totale di
tutti quanti c'erano allora, nessuno escluso, tutti tolti di mezzo con un gran
soffio di vento caldo. Ora, svaniti anche gli ultimi refoli e mulinelli, ecco
qua sopravvissuta, come se nulla fosse stato, la Theosophical Society of India di Madurai, con la sua Free
Library & Reading Room, la biblioteca impolverata, i suoi bei libri
rilegati mai più toccati da mano umana, le sue collezioni di riviste oramai
rare, le sue opere complete della Blavatsky in non so quanti volumi, che non
potevano certo mancare e che saranno state assiduamente consultate, la imponente
"History of Free Thinking",
i testi della Besant, di Gurdjeff, di Ouspensky, e insomma tutto il suo
patrimonio librario ancora lì intatto, come se qui la storia fosse stata messa
tra parentesi, come in sospensione, in stand by. In questo giorno -venuto sin da
migliaia di miglia- mèmore delle letture e delle passioni di mia nonna, a un
certo punto entro io, illudendomi addirittura di entrare per consultare lo
schedario...!, accolto dal guardiano incredulo e assai seccato.
Oggi visitiamo quel che resta del grande palazzo
reale di Tirumalay Nayak costruito nella prima metà del 1600 (con l'assistenza
di un architetto italiano), uno dei più bei monumenti dell'architettura civile
del sud dell'India, e uno dei più imponenti. Nel grande cortile il re riceveva
e si svolgevano recitals e letture di poesie (oggi è adibita a spettacoli
vari). Nella sala adibita a teatro per la rappresentazione di drammi sacri, oggi
c'è un piccolo ma prezioso museo con pezzi bellissimi e antichi, ma anche
questo mal conservato e mal illuminato (stupendi certi disegni e pitture di cui
restano solo frammenti).
Sono su nella terrazza
al 7° piano, è sera e i grossi falchi (ma forse sono proprio aquile...) in
gran numero si lanciano nell'aria e volteggiano, vanno su su altissimi, e poi si
lasciano andare alla corrente. Che fàscino che ha questo loro dominio
dell'elemento aereo ! questo navigare, nuotare, volteggiare, scivolare nell'aria
! Sopra: i nuvoloni neri incombenti, in mezzo il vento coi suoi abitanti alati,
sotto il grande tempio coi suoi imponenti gopuram colorati. E attorno la città
brulicante con tutti i suoi rumori mischiati assieme, e attorno ancora il regno
vegetale, tutto verde fitto fino all'orizzonte lontano, che fa come da corona,
nonché da sostegno, e riposo, per il popolo alato degli uccelli e degli
uccellini, che posandosi lanciano i loro diversi gridi e segnali. Vorrei tanto,
come quella divinità scolpita nella pietra di una delle mille colonne,
cavalcare un grosso volatile favoloso, e godere dei suoi poteri di volo. Ma...in
effetti, dovesse accadere veramente, ne avrei una paura insopportabile, e lo
pregherei di farmi scendere, implorando quella cavalcatura che mi illudevo di
poter dominare e usare... ... e finisco queste note serotine mentre guardo le
aquile, figurandomi quel brivido del sangue che gela per l'eccessiva e pazza
frequenza del battito cardiaco... Il terrore di cadere è troppo primordiale per
poterlo controllare quando si attiva, è inscritto nel midollo, nel cervelletto,
e l'allarme rosso scatta automaticamente. Non siamo padroni di noi stessi in
certe situazioni, anche se questo pensiero normalmente lo accantoniamo.
20. CHE COS’E’ SAMSKARA
?
Certo che il
bombardamento di stimoli cui si è sottoposti durante un viaggio in culture
altre rispetto alla nostra, come avviene appunto nel caso dell'India, è
pressante e stimolante, in quanto sorgono molte curiosità e si vorrebbero
approfondire molte questioni per capire meglio la peculiare identità di questa
grande civiltà.
Ad esempio sovente
in questo soggiorno abbiamo sentito accennare al Samskara (che è altra cosa
rispetto al ben più noto termine di samsara). E in prima battuta c'è chi dà
come definizione qualcosa di simile a "usi e costumi", o all'insieme
dei riti e rituali che scandiscono la vita degli hindù. Mentre invece altri ne
parlano piuttosto come l'insieme dei residui karmici, ovvero in altri termini
l'insieme delle impressioni ricevute, e delle impronte da esse lasciate nel
subconscio (vasana) nel corso delle generazioni precedenti. Tali impronte
costituiscono come degli "attivatori" subliminali che ci inducono a
certe azioni e pensieri, e influenzano le nostre scelte individuali.
Dal punto di vista
dunque della teoria dell'educazione (con la quale il termine ha molto a che
vedere, e anzi sembrerebbe esprimere un concetto basilare della psicopedagogia
indiana), con Samskara (o Samkhara), ci si riferisce insomma a ciò che concorre al processo di formazione
della "mente" con tutti i suoi condizionamenti materiali e spirituali.
Ma l'ottimismo della civiltà indiana, subito aggiunge che
da questi condizionamenti ci
si può distaccare e liberare con la pratica della concentrazione e con la
meditazione. Nella concezione Vipàssana della meditazione, essa è
ciò che ci può far acquisire una maggiore e più vigile consapevolezza di sè,
e un sentimento di equanimità. Con essa si può imparare a
lasciar scorrere via i nostri pensieri, e "semplicemente"
osservare le nostre stesse sensazioni in modo distaccato, e in tal modo imparare
a conoscerle, ovvero innanzitutto a prenderne consapevolezza.
Ma con Samskara si indica sia l'atto di
formare, sia ciò che viene acquisìto con la formazione, il contenuto del
processo del formare, e il risultato. E d'altronde si pensi al significato anche
in italiano di "educazione", essa è ciò che si da, che si fornisce,
ma anche qualcosa che si ha, che è poi il risultato del processo formativo. Con
Samskara si precisa però che ogni formazione è condizionata sia dal processo
che porta ad essa, che dal fatto che essa stessa a sua volta influenza i vari
processi che via via ne conseguono.
Samskara è la condizione, o meglio la pre-condizione, per il sorgere della
conoscenza e della coscienza. Con Samskara si intendono dunque sia le impressioni che inconsapevolmente ciascuno
riceve, che i residui subconsci che queste lasciano in noi. Quindi Samskara intesa come formazione, è
a sua volta anche l'ultima a perfezionarsi dopo percezione, e sensazione, quale
reazione ad esse. Ogni Samskara sta in (e dietro a) una catena determinata da attaccamento e/o avversione,
dopo di che si ricomincia il processo di una nuova Samskara. Letteralmente Samskara si potrebbe rendere pure
con il termine "reazione", poiché in definitiva è così che i
condizionamenti poi si imprimono nella "mente" a livello inconscio.
Attraverso processi di attaccamento (e/o avversione) a qualcosa che è fuori
dalle nostre possibilità di controllo razionale, sia per rassicurarci (cultura
come metamorfizzazione della paura), sia per rafforzare la ns identità.
Ma per la civiltà
indiana non si può e non si deve dimenticare che tutto quello cui ci leghiamo o
cui ci opponiamo si modifica, si trasforma incessantemente nel corso del tempo,
è transitorio, impermanente, e questo cambiamento continuo ci accompagna per
tutto il percorso formativo: e ciò stesso è causa di sconcerto, inquietudine,
se non sofferenza. Ma tutto quello cui ci leghiamo o cui ci opponiamo, come pure
tutta la creazione cosmica, è anche un processo incessante che da un verso
"vincola" il soggetto, e per altro lo stimola, lo incita a liberarsi
dai condizionamenti dell'esistenza (samsara è detto il ciclo perpetuo di apparizione e scomparsa delle individualità
nell'attualità dell' essere).
Bisognerebbe sempre
considerare che la nostra mente ha dei limiti. Pensiamo ad es. ad un cieco di
nascita, che non comprende appieno cosa è turchese, o lilla, o color rosa
pallido, e quale sia la differenza
tra loro, semplicemente perchè non ha la facoltà di fare esperienza di che
cosa si tratti. Lo stesso paragone vale in generale per tutte le conoscenze
autentiche che riteniamo di aver acquisito su ciò che è non transitorio.
In generale un
atteggiamento di distacco è prescritto come mezzo e come obiettivo.
Ma questo non va confuso con indifferenza o fatalismo, piuttosto richiama
per similitudine quel tipo di distacco che è proprio di quel medico che
constata che la cura o l'intervento che lui stesso aveva somministrato al
paziente sin'ora, non dà i risultati sperati, e si sforza di individuare in
modo fondato e preciso quale altra cura si possa intraprendere. Similmente fa lo
scienziato nelle sue ricerche. Non vi deve essere attaccamento alle proprie
convinzioni. Il cercare di andare oltre la catena di attaccamenti/avversioni,
non è dunque sinonimo di indifferenza ! ma piuttosto di apertura e di
disponibilità a ricredersi e rinnovarsi. "Tu sei il tuo miglior amico e
maestro, in te sta il tuo futuro" disse il dio Krishna al discepolo umano
Arjuna, ed è questo anche il motto di un noto saggio, shri Goenka, che è tra i
maestri che hanno insegnato le tecniche di meditazione Vipassana, cioè che mirano a una consapevolezza vigile dell'istante in cui viviamo,
ad una presenza nel qui-ora, e dunque alla liberazione da identificazioni,
emozioni. Questo maestro sottolinea che dall'accettazione che vi siano sempre
molteplici possibilità, scaturisce la disponibilità ad apprendere, e
comprendere (e a saper apprezzare), la varietà complessa compresente nella
realtà.
Ad es. questo
maestro dice pure che a volte molti si chiedono perchè la Natura (o Dio) sia
così buona e protettiva oppure perché sia così
inesorabile con noi, ma essa (o Esso) non è né l'una né l'atra cosa,
ed è ambedue. Si pensi alla desolazione delle foglie che cadono dagli alberi in
autunno, e alla festa di colori, dal marrone, al giallo al rosso, di cui esse
rallegrano il paesaggio. La pioggia ci fa rabbrividire ma feconda il terreno.
Dobbiamo cercare di accogliere in noi questa realtà ricca di sfumature e
contrasti.
Mi sovviene alla
mente il nome di quella antica divinità assoluta, al di là dei concetti e
delle immagini del bene e del male umani, che nell'Egitto predinastico era
denominata Abarim, o Abaris (il dio dei passaggi, che ritroviamo nella Tracia
arcaica come Abras o Abrasax, e poi in copto come Abraxas). Fu in quella visione del divino (di cui ci parla un grande letterato e
maestro dell'occidente, Hermann Hesse) che anche nel Vicino Oriente e nelle
terre mediterranee si concepì l'Assoluto come l'al di là del Bene e del Male.
D'altr'onde si
consideri che la tensione individuale verso la configurazione di una personale
identità, è ineludibile in quanto la nostra individualità ha bisogno di
distinguersi dal grande fluire dei contesti sociali e culturali, per poi poter
soddisfare l'altro forte bisogno, cioé di essere in grado di partecipare al
flusso con consapevolezza.
Compiuto il primo passo, di maturazione della
individualità, anche e sopratutto tramite la partecipazione a molteplici
esperienze, il secondo può essere aiutato (oltre che dalle prove della vita) da
una espansione delle conoscenze, e dalla loro comparazione critica. Nel fondo
tutte le arti e le scienze vengono coltivate per poter "distillare"
alcuni valori universali che ci siano da riferimento e guida per affrontare le
problematiche successive che via via incontreremo. In questa operazione mentale
e della coscienza, l'esigenza di individuazione personale e di individuazione di
valori che ci appaiano validi e funzionali nel contesto di vita in cui siamo
immersi, fa sì che il processo di comparazione, valutazione critica, lasci da
parte, per poter conseguire il risultato di una sintesi, vaste porzioni e
componenti del reale che compone il nostro ambito di vita. La dialettica tra
elementi o momenti antitetici non può nella sintesi ricomporre tutto, e quindi
si rendono necessarie scelte che vengono messe in atto inconsapevolmente o
deliberatamente. La presunzione implicita nelle scelte intellettualistiche, che
è implicita in ogni operazione di carattere logico, e in ogni intenzionalità,
di poter giungere ad una sintesi suprema, è denunciata appunto da tutto ciò
che sta ai margini e soprattutto che vien espunto e traslato fuori dai margini.
Solo una accettazione piena, priva cioè di inquietudini, della complessità del
molteplice sin a livello cellulare e più infinitesimale, può darci una visione
"panica", olistica, scevra da sacrifici rituali, e non dunque una
scepsi tipica dell'intelletto
analitico. Così le operazioni interiori che stanno al di sotto della soglia
della coscienza, che procedono per i sentieri della conoscenza simbolica,
possono darci lo sfondo ove cogliere quell'unità nella simultaneità di
oggetti, eventi, situazioni, possono farci cogliere il fluire nel suo insieme,
il movimento complessivo dei campi di forze vettoriali contrastanti, e quindi
renderci l'appercezione del continuum nella pluralità dei mutamenti e delle
metamorfosi risultanti dalla interazione dei fattori.
Individuo e specie, l'individuo nel suo tempo e
nel suo spazio, la specie in un arco assai più vasto che trascende i tempi
delle brevi vite singolari, e che ha assunto il pianeta come casa comune al di là
dei singoli spazi di specifiche civiltà e culture, e società determinate. Da
qui la necessità di compiere le proprie scelte per contribuire al progredire
proprio e complessivo dell'umanità, e la necessità di assumere la
consapevolezza dei contesti più ampi di cui siamo parte. Cogliere e affermare i
propri riferimenti di vita è importante per capire meglio sè stessi, e
conoscere il proprio Sé o Atman. Come lo è accettare di essere una componente di un insieme assai
complesso di molteplici elementi in movimento in cui tutto convive. Anche la
casa terrestre è parte della nostra galassia e oltre. Anche l'umanità nel suo
insieme di popoli, e nel suo insieme temporale
delle varie generazioni, è parte dell'avventura della vita in questo
universo, ovvero in questa espressione del Sé universale (Brahman).
Per molti maestri,
quando si prega e/o quando si entra in meditazione ci si dovrebbe concentrare
sul mantra Om, e controllare la
respirazione.
Om, o Aum, o Aumn, la più sacra espressione
del Dharma hindu, è una delle parole più antiche che si conoscano. Più di
cinquemila anni orsono, ma probabilmente molto prima, Om era noto nell'antica
lingua dei Sumeri, ed utilizzato come parola chiave segreta da mistici e
sacerdoti sumeri.
Quando le tribù
nomadi Sindo-Aryan vagarono stanziandosi verso i territori settentrionali
dell'attuale India, essi portarono con sè il prezioso e sacro termine. Già nei
più antichi sacri testi come i Rig-Veda, Om ha una presenza preminente. Quasi tutti i mantra e gli inni iniziano e
terminano con Om, e Om è usato anche a sè
stante come mantra e considerato il più "potente", in particolare pronunziandolo
come un canto, mormorando appena, o anche solo pensando: Om Tat Sat, cioè "Om è
colui che è", che sarebbe il mantra che fa riferimento alla mistica sillaba Om quale simbolo dell'Assoluto (si
ricordi che nella Torah ebraica, il Verbo divino dice di sè, "sono colui
che è").
La radice om- oppure
aum- o aumn- la ritroviamo in molte lingue antiche. In ebraico, simile ad Aumn abbiamo 'amen (=così sia, o in essenza,
in verità). In egizio 'Amon è la Grande Anima primordiale. Ma
troviamo anche 'Ammon come divino, celeste, di qui l'arcaico
Aga-Amennon quale titolo supremo di sovranità. In latino troviamo Omne = il tutto, la
totalità universale, ma anche Omen, che sta per voto, augurio, presagio, giuramento sacro (mentre nomen è l'epiteto, la
qualificazione personale).
Dunque antichissimo
è il suono Om, da pronunciare con
la o lunga, ovvero Aum, e vibrando lungamente la consonante. Esso è il nome che indica la realtà
assoluta considerata nella sua triplicità, cioè in quanto Sat, Chit, Ananda = essere,
coscienza, beatitudine perfetta (da qui anche l'indicazione a un primo livello:
esistere, con consapevolezza, e in serenità); perciò si inizia ogni
invocazione dicendo che Om é Sat-Chit-Ananda. Perciò molti
recitano il tradizionale mantra tibetano (da man-, mente, e tra- proteggere): Om Mani Padme Hum = Om è il gioiello
nel fior di loto.
La vibrazione che Om
(Aum) produce nella mente è considerata in sintonia con la stringa, o l'anello,
primordiale di vibrazione universale, e dunque può aiutare a porsi in armonia
col Tutto, e ad acquietarsi interiormente, e a porsi in uno stato di
sospensione...e in tale stato il sannyasi (il ricercatore che rinuncia al Mondo)
sa elevarsi alla ricerca dell'Assoluto, e della comunicazione del sé
individuale con il Sè cosmico, la beata comunione col quale, porta a
comprendere nella sua profondità il significato di Tat Tvam Asi, "tu sei
Esso", ovvero "Quello tu sei".
Perciò si dice
anche che nell'esistenza, per quanto transeunte, in continua metamorfosi, si
manifestano Satyam, Shivam, Sandaram, cioè il reale, il vero; il
buono, ciò che è bene; e il
bello, la serenità.
21. VISHNU
21 agosto, andiamo a
Thanjavur, o Tanjore, dove c'è un tempio a Shiva tutto scolpito in massi di
roccia negli anni attorno al Mille. E' stato dichiarato monumento patrimonio
dell' umanità, e per questo l'ingresso è gratuito, si possono fare foto, e ci
sono soldi per curare degli interventi di restauro. L'area principale, ovvero il
grande cortile con in mezzo il tempio è di 270 metri per 140...Certo che girare
a piedi nudi (ma anche con dei sottili calzettini di filo di cotone, qui
consentiti) su questa pietra resa rovente dal sole equatoriale, non è impresa
semplicissima...Ma il monumento lo merita, è stupendo e imponente tutto
scolpito in enormi blocchi di granito, contiene anche un tempio al toro sacro
Nandi, scolpito in un unico masso nero di sei metri di lunghezza e alto quasi
quattro. Ai lati ci sono portici con affreschi bellissimi alle pareti, e
centinaia di lingam. Mi ricordo di un episodio a questo proposito riferito da
Jung (nei suoi "Erinnerungen", 1961, a cura di A.Jaffé, trad.it.
"Ricordi", 1978) in cui il pandit che lo accompagnava nella visita del
tempio di Konarak gli disse
avvicinandosi: "vedete queste pietre? raffigurano l'organo sessuale
maschile" come a confidargli in privato un segreto, e Jung che lo sapeva
benissimo e invece si aspettava che gli dicesse che rappresentano Shiva, rimase
attonito, al che l'altro ammiccava come per dirgli "nella vostra ignoranza
da europeo non lo avreste mai pensato, vero?"; e al ritorno quando lo riferì
all'amico Heinrich Zimmer, egli esclamò: "finalmente sento raccontare
qualcosa di vero sull'India!".
Nel corridoio ci
sono stupende sculture con le 108 posizioni della danza classica Bharata-Natyam,
interpretate da Shiva stesso danzante. Al centro del grande cortile un
santuario-torre piramidale con una statua di Harihara, una raffigurazione in cui
la metà destra è Shiva, e l'altra Vishnu; e in cima ad una lunga e ripida
scaletta traballante, in una nicchia una statua di Ardhanarishvara,
raffigurazione che unisce le nature maschile e femminile di Shiva. Affascinante.
Intanto il sole è
cocente e alto, e nella poca ombra o sotto i portici il pavimento è coperto da
gente sdraiata che dorme o sonnecchia, uomini, donne, vecchi, bambini, in gran
silenzio che si rotolano a destra e sinistra per cambiare posizione, e che non
si curano per nulla di noi che li scavalchiamo. Certo a noi ignoranti europei
tali atteggiamenti in un tempio sorprendono perché ci possono sembrare
inadeguati e poco rispettosi di un luogo sacro, ma oramai noi non diamo alcun
peso a questo tipo di considerazioni essendoci già abituati, per cui li
osserviamo con distacco e indifferenza.
Mangiamo in un bel
ristorante noto per le specialità locali, piatti molto particolari, e in
complesso abbastanza buoni. Quella di mangiare piatti sconosciuti è sempre
un'esperienza che si attende con un poco di titubanza, e che ci fa osservare i
cibi molto da vicino e per nulla
con con distacco e indifferenza, e che -se infine dà soddisfazione-, si
affronta poi con interesse e curiosità (anche se non sempre in seguito lo
stomaco accetta e digerisce con altrettanto entusiasmo...).
Alla sera arriviamo
all'albergo, l'Hotel Femina, nella zona moderna della città di Tiruchirappalli,
comunemente chiamata Trichy.
Al mattino seguente
subito ci facciamo portare nel centro storico, dove visitiamo il grandioso
tempio Renganatha.
Un
"cicerone" ci fa da accompagnatore e ci porta in giro per questo vasto
complesso vishnuita, dandoci spiegazioni e rispondendo alle nostre domande con
competenza.
Come sempre ci sono,
intanto che girovaghiamo, persone di ogni età e condizione, che bivaccano,
sdraiati per terra, certi dormono, insomma c'è con il tempio una consuetudine
essendo considerato come una casa, un luogo di riunione, un rifugio. Li evitiamo
e scavalchiamo, intanto che ci guardiamo attorno stupìti e affascinati. Ma il
nostro buon cicerone è sorridente e calmo, ed espone le sue spiegazioni in modo
chiaro e preciso. Si sente che c'è dentro una sfumatura di orgoglio della
propria cultura religiosa, è contento che ci interessiamo a quel che ci dice,
e andiamo oltre la pura informazione. Quando poi gli chiedo della sua
famiglia, se ha figli, cambia quasi espressione, e racconta raggiante che ha una
bambina, che ha chiamato Manasa, cioè tranquilla, e Pourvaja, cioè completa, perfetta,
pura. Nei nomi dei figli spesso si possono intuire le aspirazioni e le
aspettative dei giovani genitori.
Il grandioso tempio
di Shri Ranganatha Swami, è dedicato a Lord
Vishnu, e quindi -mi dice la ns guida- è ad un livello di spiritualità più
alto che non i templi shivaiti (che a suo parere sono frequentati da devoti di
una religiosità più semplice e popolare). Qui si assapora una atmosfera che
favorisce il consiglio di Jung (e di nuovo in breve tempo mi tornano alla mente
sue considerazioni), quando diceva: una volta entrati in certi templi di grande
fascino "poi analizzate accuratamente, e con la massima onestà, tutte le
vostre reazioni, sentimenti e pensieri. Vi ci vorrà un po' di tempo, ma alla
fine, se avrete fatto un buon lavoro, avrete imparato qualcosa su voi stessi, e
sull'uomo in generale, qualcosa che probabilmente non avete udito da nessun
altro. (in questo caso) ... Penso che un viaggio in india, nel complesso sia la
cosa più edificante, e da un punto di vista psicologico la più
consigliabile" (da What India Can Teach Us, 1939, Opere di C.G.Jung, vol.
10/1, trad.it. in La saggezza orientale, 1983).
Incessantemente gli
altoparlanti rinviano una nenia a volume moderato, che cantilena le lodi al
grande Dio, intonando lentamente, molto lentamente e quasi a bocca socchiusa: Om Namu Narayanà....Oooom Na - mu Na - ra - ya - naaaaaa.....
Se Shiva è
l'incessante danzatore Nataraja, qui Vishnu è il "Sostenitore" del
Cosmo, è il Signore dell'Armonia universale. Nell'altare più interno, cui noi
non abbiamo accesso, e di cui ci è concessa in visione solo una riproduzione
collocata all'esterno per il pubblico, vi è raffigurato il Vishnu sdraiato
mentre è dormiente. Egli se ne sta là immobile, immerso nel suo riposo, e
perciò rappresentato in pietra nero granito. Ma il grande cobra Ananta dalle
cinque teste, che simboleggia la carica di energia suprema, veglia sul suo sonno
conservativo. Le teste di Ananta rappresentano i cinque elementi, terra, aria,
acqua, fuoco, e il cielo che sta per la serenità, l'armonia. Essi -ci spiega la
nostra guida- sostanziano tutte le cose esistenti, quindi anche noi stessi: il
corpo è solido, il sangue è liquido, il respiro è vita che assorbiamo
dell'esterno, la temperatura interna è il calore vivificante, e la nostra mente
è la dimora dei pensieri e delle idee, che è simboleggiata dal cielo.
Nell'India del nord, spesso è raffigurato con sette teste per richiamare i
sette chakra, o centri di energia presenti nei corpi. La sua vigilanza e protezione ci
garantiscono che Vishnu continui a conservare e preservare il tutto. Anche se si
sa che vi sono grandi cicli cosmici (kalpa), al termine dei quali vi è un Big Crunch di riassorbimento-dissoluzione,
che riporta il tutto alla pralaya, alla condizione originaria indifferenziata. Il grande cobra su cui riposa è appunto il residuo della
creazione (anadì ) dopo il riassorbimento nell'Unità. Con le vibrazioni del suono Om è
stato reso possibile il formarsi di questo nostro attuale universo, che ora
Vishnu, che è pervasivo, onnipresente, sta preservando, sta mantenendo in
essere.
Se nell'antica
tradizione vedica la Trimurti era concepita come composta dall'elemento acqua (Indra, dio della pioggia),
dall'elemento fuoco (Agni, il dio del calore e della fiamma), e dalla luce (Surya, dio del sole), con il
900/700 av.C. in alcuni commenti (Upanishad), si introduce il concetto dell'Anima Assoluta (Brahman), e il concetto di energia
(Shakti) espressa dalla Grande Dea Madre (Maha-Devi), e la spiritualità cambia, nascono anche correnti come il Tantra di carattere mistico. Poi
con i testi dei Purana, la Trimurti diviene quella che avevamo già sentito spiegare
nei nostri viaggi precedenti in India, cioè quella espressa dalla triade
creazione-preservazione-mutazione (Brahma-Vishnu-Shiva).
In essa alcuni
ritengono che l'aspetto più venerabile debba essere quello della preservazione,
della continuità, del mantenimento delle forme pur nel trascorrere delle
molteplici manifestazioni individuali. Pertanto i devoti di Vishnu, cioè i Vaishnava, si distinguono dagli
shivaiti, cioè gli Shaiva, portando sul volto come segno di riconoscimento una linea perpendicolare
rossa e due linee oblique bianche, e sono coloro che identificano Vishnu come il
Vadaraja, il Signore del Mondo, e
Dio Supremo. Ritengono che ogni volta che un disordine fisico o morale disturbi
il mondo, Vishnu si incarni in un suo Avatar. Tra questi vi sono le sue
manifestazioni corporee sotto forma umana,
tra cui Rama, o Om Ram (identificato anche con l'egizio Amon Ra), e il beato
Signore Krishna, o Bhagwan Krshna, di cui trattano famosi poemi epici. I "Vaishnava"
hanno una loro modalità di devozione (bhakti) espressa salmodiando e
cantando proprie preghiere. Tra i principali testi che onorano Il grande Vishnu
(e la sua sposa Lakshmi), ci sono soprattutto la Bhagavata Purana, e la Bhagavad Gita, testi molto noti
anche in occidente grazie a molteplici traduzioni e commenti in varie lingue. Il
fior di loto è la rappresentazione simbolica del divino (in esso siede Lakshmi),
il cerchio di luce (il disco chakra), rappresenta il Cosmo, e la conchiglia la vittoria sulle forze malvagie,
poiché essa contiene la musica dell'universo. Vishnu e Lakshmi sono sempre
raffigurati con aspetto pacifico, rasserenatore, rassicuratore. Vishnu dormiente
riposa con il fido e vigile cobra su un oceano di latte, che è l'infinita
beatitudine (in inglese bliss) e grazia di Brahma. Per ogni evenienza il dio può
recarsi subito per ogni dove con il suo vettore, Garuda, un'aquila dalle sembianze
anche umane, figura di grande potenza e pietà.
"Vishnu, o il
Vishnu, il pervasivo, è definito nelle Upanishad come "colui che esiste in
ogni particella di materia, e di vuoto, di essere vivente, e non vivente, del
cosmo". The Vishnu, the Pervader, è l'essenza che è in noi, la coscienza
divina immanente che ha il governo del mondo, cioè il preservatore del creato.
Egli ha migliaia di nomi, tra cui quello di Narayanà (menzionato più sopra),
"Colui che cammina sul cammino dell'uomo", è "ciò che è
presente nel cuore umano." (queste cit. sono tratte da B.K. Modi, "The
Universal Truth", Brijbasi Printers, NewDelhi, 1993, che è presidente
della World Buddhist Cultural Foundation, e quindi rappresentano un importante
riconoscimento di carattere "ecumenico" da parte di una corrente
spirituale considerata dagli hindu come fuori dalla tradizione ).
Chiedo alla nostra
guida, se Vishnu e Lakshmi siano da considerarsi un medesimo ente, ma mi dice
che Lakshmi è la sua sposa cui egli è congiunto, mentre la sua propria forma,
quando si manifesta al femminile, è Moheene, cioè la pura bellezza in sè,
(perciò pourvaja, o Beauty, è il
nome che lui ha dato alla figlioletta).
Una
spiritualità dunque che nel suo complesso mi pare più consolatoria di quella
ispirata da Shiva, e meno astratta di quella ispirata a Brahma.
Questo complesso
templare è stato nell'antichità luogo di incontro degli aedi tamil. Questi
cantori appartenevano alla leggendaria accademia, sangam (o Sangha, comunità), preservatrice della lingua tamil, o tamùl, dove si
riunivano grammatici, linguisti, letterati e scienziati verso il 5/600 av.C.,
erano gli Alvar, dei cantori vaganti, che giravano per
tutto il Deccan intonando un romanzo epico dedicato ad un principe poeta,
e la raccolta detta dei "Quattromila Inni", poemi in lode a Vishnu e a
Shri Ranganaciyar (l'epiteto della sua sposa nell'antico tamil), la cui
immagine, durante il 1300, il periodo storico del dominio dei sultani islamici,
venne sepolta per un secolo sotto un albero di bilva, la cui ubicazione restò
per tutto quel tempo segreta, e così fu preservata.
Vediamo le enormi
cucine dove si prepara ritualmente ancor oggi il cibo per la mensa, che può
ospitare fino a tre mila pellegrini. Più avanti ci mostra alcune immagini
erotiche scolpite sulle colonne di pietra in bassorilievo. Ci dice che sono da
intendere come forme in cui si manifesta l'energia vitale, per cui, commenta,
non avrebbe senso non celebrarle. Questo tempietto interno è dedicato a Lord
Krishna. Impressionanti poi sono gli enormi gopuram, cioè le 21 torri alte
anche 50 metri, ricoperte ciascuna di 1500 sculture, del complesso templare, che
conta sette "cerchia" murarie rettangolari (alludenti ai sette chakra),
e che con i suoi 60 ettari totali di superficie
è forse il più grande tempio hindu dell'India. I gopuram sono al solito
tutti decorati con statue coloratissime, tranne uno che è tutto bianco. Il
nostro accompagnatore-cicerone ci dice che quando prese il sopravvento a
Tiruchirapalli una dinastia regnante shivaita, vennero imposte pesanti tasse
alle casse del tempio Renganatha, tali da rendere impossibile il suo
completamento, e da far cessare qualsiasi attività di accoglienza come centro
di pellegrinaggi, e di assistenza sociale. Per cui i sacerdoti salirono sulla
cima di quella torre-gopuram, che era stata appena ultimata, e si gettarono
suicidandosi per protesta. Perciò non solo non è mai stata colorata la parte
esterna, ma anzi la si tinge di bianco calce, che è il "colore" del
lutto, ad imperitura memoria di quelle morti. Alla fine salutiamo il nostro
accompagnatore, che ci dice che raramente incontra occidentali che vogliano
capire e non solo informarsi, e quindi è lui che ci ringrazia.
Al pomeriggio
visiteremo un tempio shivaita, e poi andremo a visitare il tempio a Ganesh che
sta proprio in cima ad una grande
rocca dove c'è una fortezza (Rock Fort), cui si accede salendo per 434 gradini
scolpiti nella pietra all'interno dell'enorme masso, passando per androni e un
tempio con sculture rupestri d'arte "pallava" del 600 d.C..
Una volta discesi,
poi visiteremo una vicina scuoletta primaria in un vicoletto del quartiere,
accolti con grande entusiasmo dagli alunni e dalle maestre.
La sera rientriamo
nel nostro hotel, che fa parte di una catena creata da un cosiddetto buon
mussulmano "nazionale", o "patriota indiano", che si è
preoccupato che l'albergo fosse in grado di accogliere chiunque fosse
strettamente osservante di qualsiasi religione, con i propri precetti
alimentari, igienici, e relazionali.
Domattina presto,
finalmente andremo a cercare il villaggio con l'ashram di padre Beda (chissà se
là reincontrerò l'americana...? l'eterea Jñanam...).
22. DA GRIFFITHS
23 agosto. E' da due
settimane che ho fissa in mente l'immagine di quel maestro con lo sguardo
gentile e la barba, il cui nome è stato un enigma, e che mi pervade l'attesa di
poter infine andare a incontrarlo. Ora finalmente so come si chiama e quale è
l'ubicazione del suo centro spirituale. Dunque ieri sera siamo stati previdenti,
e abbiamo prenotato in anticipo un'auto che ci portasse stamane a Shantivanam,
che si trova nel paesino di Tannirpalli, una frazione di Kulitala, nel distretto
di Trichy, un po' fuori in campagna. Là cercheremo l'ashram di padre Beda. Il
taxista di ieri arriva un po' tardi, alle 9.30, parte e subito si ferma a fare
benzina (però stavolta non chiede soldi in anticipo), e poi superato il
traffico notevole, finalmente esce dalla città e procede verso la strada che
costeggerà il fiume. Ed ecco che dopo un po' si sgonfia una gomma, e si
blocca...Lo vediamo che scende a dare una controllata e poi apre il bagagliaio.
Ora che ci rendiamo conto, ecco che in un attimo già lui è montato su una
motocicletta cui ha chiesto autostop, e se ne sta andando con in braccio una
logora e sgonfia ruota di scorta, e urla I'll be back...e noi rimaniamo lì come ebeti in mezzo a un
rettilineo, sotto il sole a 40 gradi, in un punto che oltretutto, a differenza
di quasi tutto il resto del percorso, non riveste proprio alcun interesse. Per
cui non ci si può nemmeno distrarre un po' guardando il panorama o altro, o
fare foto, o osservare qualche attività...che so..? c'è una scarpata con una
discarica, qualcosa in costruzione, un fiumetto lurido, e al di là una
ferrovia. Avendo oramai acquisito l'atteggiamento rilassato che abbiamo
constatato in molti indiani (è già il terzo nostro soggiorno in India di un
mese e mezzo circa), non ci preoccupiamo
eccessivamente e ci disponiamo l'animo -con dispiacere- ad una forse lunga
attesa. Dopo poco, di starsene seduti dentro l' auto, neanche parlarne, è
bollente; così io e Annalisa andiamo più avanti lungo la strada a sederci su
un paracarro sotto l'unico albero. L' auto, ferma su quella strada secondaria ma
un po' trafficata, crea problemi continui di traffico; passano grossi camion,
parecchi pullmann, e autobus, mezzi agricoli, motorickshaw...ecc. E così
trascorrono 60 eterni minuti, e noi siamo sempre là, seduti sul granitico
paracarro sul ciglio della strada, senza sapere cosa aspettiamo, quanto tempo
abbia senso aspettare...Poi, eccolo che torna (proveniente dalla direzione
opposta!), dice che non ha trovato soluzione; mi chiede dei soldi per
telefonare, va a un telefono pubblico e chiama un'altra auto. Sembra proprio che
si debbano superare vari ostacoli (a cominciare dalla articolazione del
ginocchio di Annalisa) per poter raggiungere questo maestro
così raro ("di ampio respiro e alta levatura spirituale" disse
l'americana). Finalmente un altro taxista arriva, porta ruota di scorta e
attrezzi, e noi saliamo e ora si parte davvero, finalmente!
Il paesaggio dopo
pochissimo è di nuovo stupendo, vegetazione rigogliosissima, e si costeggia il
fiume, che scorre con tanta acqua. Attraversiamo vari paesi e villaggi, in uno
c'è un tempio grande con statue, al ritorno ci fermeremo a dargli un'occhiata,
mentre il fiume è sempre più largo e nelle acque "panta réi" scorre
di tutto, frasche, tronchi d'albero, fiori, barchette. Sull'altra riva vediamo
un edificio con scritto "Griffiths Trust", che sembrerebbe essere una
scuola di tipo professionale. Ed ecco poi, sulla destra un cartello, "Shantivanam",
cioè "bosco della pace", saliamo lo stradello, e siamo arrivati, c'è
proprio il cancello d'ingresso dell'ashram.
L'ashram è in un
luogo abbastanza ben appartato, e tranquillo, a prima vista è molto ben tenuto,
pulito, e silenzioso, passare la soglia d'ingresso è veramente come entrare in
un mondo a parte. Due donne (forse una è una suora) passano e ci salutano con
gran sorrisi. Dopo un bel po' di tempo arriva finalmente qualcuno, un giovane
frate, che ci accoglie e chiede cosa desideriamo. Gi dico che vorremmo
semplicemente avere informazioni sulle caratteristiche dell'ashram, sulla sua
"visione" di base, e mi risponde di seguirlo in un deposito di libri e
di opuscoli. Gli chiedo se sarà forse possibile incontrare padre Bede, e mi
risponde stupìto, dicendomi che materialmente ha lasciato il corpo 13 anni or
sono all'età di 86 anni. Resto sconcertato e dispiaciuto, 13 anni fa....! Non
avevo inteso bene dunque le parole della americana? E' morto il 13 maggio (il
giorno del compleanno di Annalisa), ma -mi dice- ha lasciato il suo spirito qui.
L'ashram è intitolato "Saccidananda", la Trinità, ed il suo simbolo
è un sole in cui vi sono un fior di loto che galleggia sulle acque, da cui
emergono tre volti rivolti verso le tre direzioni, con sopra stelle e a destra
una falce di luna e a sinistra una luna piena. Sono i tre aspetti divini del
Padre che crea, preserva e dissolve l'universo creato.
Intanto mi dice che
deve ora andare al tempio perché hanno la preghiera di prima di pranzo. Torno
da Annalisa per pensare che fare; nel frattempo con lei si è intrattenuto padre
Giorgio, un frate che dice che come lui dal 1980 tutti qui hanno aderito
all'Ordine benedettino, denominandosi come una comunità dei Camaldolesi, per
questo lui è stato in Italia e sa abbastanza bene parlare in italiano. Gli dico
da chi e come ho saputo di padre Griffiths, e delle difficoltà che si sono
interposte a compiere la nostra visita. Ci mostra le tombe dei fondatori
francesi dell'ashram, e la sede di preghiera, dove stanno convergendo
varie persone per gli inni di mezzogiorno (mi pare che abbia detto che sono in
diciotto). E' strutturata proprio come un tempio di villaggio dell'India del
Sud. Completamente aperta sui tre lati, sormontata da una cupola con tantissime
statue e statuette coloratissime, che riproducono immagini cristiane in stile
locale: Gesù, lo Spirito santo, Dio padre, la Madre di Dio quale Regina dei
cieli, vestita di un manto azzurro stellato con sole e luna, e un serpente
schiacciato sotto i suoi piedi, quale simbolo dell'ego, quattro santi, e le
quattro bestie dell'Apocalisse, e varie manifestazioni del Cristo, nella postura
di meditazione con accanto san Benedetto, in quanto signore del luogo,
contornato da angeli, in quanto sacerdote, con alla sua base san Pietro, e in
quanto profeta-insegnante, con alla base San Paolo quale guru delle nazioni.
In cima sta il trono di Dio.
Dinnanzi all'entrata
alla sala di preghiera, c'è il tradizionale disegno indiano geometrico fatto
sul terreno antistante la porta di casa con polvere di gesso, che si cambia ogni
giorno (qui il riferimento simbolico è al fatto che polvere eravamo e polvere
ritorneremo). Nella sala di preghiera, o mandapam, sul pavimento ci sono solo
stuoie per sedersi a terra. Così come nella mensa che abbiamo visto vicino
all'ingresso, con la differenza che qui c'è un altare, e in mensa le foto dei
padri fondatori (e di Griffiths) alle pareti. L'ingresso dall'esterno è situato
più in là, di fronte all'entrata della sala del tempio, e dà direttamente sul
sentiero in terra-battuta che passa davanti; è un portale tipo piccolo gate, o
gopuram sormontato da raffigurazioni e da simboli delle religioni mediterranee
ed orientali. Nello spiazzo c'è una croce di pietra inscritta in un cerchio, il
quale rappresenta la ruota del Dharma; al centro della croce c'è un Om (scritto
Aumn, che sta per l'ebraico Amen) quale simbolo del Cristo, che è il Verbo di
Dio come spiega Giovanni evangelista. Nella sala di riunione e preghiera c'è
un'altra croce simile, con iscritto in sanscrito Saccidanandaya Namah, cioé
worship to the Trinity (venera la Trinità). Con questo si fa riferimento
all'Essere Assoluto, fonte del creato, alla Coscienza universale, che è il Dio
Padre che si automanifesta nell'Uno, e alla Beatitudine, espressione della gioia
del frutto dell'amore. Sul portale che da accesso all'altare, che chiamano
mulashtanam, cioè santuario più interno, c'è pure una iscrizione in sanscrito
dalla più antica Upanishad: "Tu solo sei l'Essere Supremo, non c'è altro
Signore del Mondo". E più sotto in greco Kyrios Christòs. Un po' più dentro
nell'ombra, per significare che Dio sta nell'interno del cuore, c'è un altare
in pietra scura col tabernacolo. Una pietra nera informe un po' nascosta e poco
visibile sta a simboleggiare il senza-forma.
Iniziano intonando
un Om, delicatissimo, e di una purezza veramente ammaliante. Annalisa è
attratta e incantata, e finisce col sedersi ad ascoltare i loro inni
così particolari. Intanto io visito le tombe nello spiazzo proprio lì a
fianco, dove riposano i padri fondatori di origine francese, che diedero vita
nel 1950 a questo ashram, padre Griffiths, e il suo beneamato allievo indiano
Amaldas, morto prematuramente a 42 anni, troppo giovane, nel pieno della sua
evoluzione spirituale. Mi colpisce il suo sguardo acuto, che si vede nella
fotografia, e soprattutto resto colpito dal fatto che era nato nello stesso mio
giorno-mese-anno...venivamo al mondo contemporaneamente in due terre lontane...!
Su tutte e quattro le lapidi nere e lucide, ci sono incise le figure di un fior
di loto che emana raggi di luce, di una falce di luna con stella, e di una
candela accesa, a simboleggiare la convergenza spirituale delle varie religioni.
Lo spiazzo delle sepolture ha un fascino strano e mi fa tornare alla mente il
Foscolo, e la prima generazione romantica inglese. Gli alberoni e la vegetazione
tropicale tutt' intorno sono bellissimi e muovono le fronde alla brezza che
accompagna i canti.
Una bellezza e una
purezza mistiche che mi si imprimeranno nell'animo rendendo questa una giornata
indimenticabile.
23. DA GRIFFITS, 2
Questo ashram, un
vero e proprio ashram indiano, venne fondato da due francesi, padre Jules
Monchanin, che come sannyasi (rinunciante, totalmente dedito) assunse il nome in sanscrito di Parama
Arubi Ananda ("beatitudine dello spirito supremo"), e padre Henri Le
Saux, che nel 1950 prese il nuovo nome di Abhishktananda ("la beatitudine
del Signore", dei cui scritti si vedano le numerose trad. italiane, o gli
studi di S.Calza o di A.Chieregatti). Volevano congiungersi alla ricerca vedica
del divino assoluto, che aveva ispirato sin dai tempi più antichi la vita
monastica in India, e inserirvi la propria specifica esperienza di ricerca del
Cristo nel mistero della Trinità (in italiano si veda "Alle sorgenti del Gange"). Padre Monchanin morì troppo presto,
sette anni dopo, e poi Swami Abhishktananda sentì di essere chiamato
all'eremitaggio sull'Himalaya, dove morì nel 1973. Fortunatamente l'ashram
continuò a vivere grazie al fatto che nel 1968 (è già la seconda volta che
ricorre questa data in questo viaggio, alludo ad Auroville), un gruppo di monaci
che si raccoglieva a Kurisumala in Kerala attorno a padre Bede Griffiths, si
congiunse a questo ashram e gli diede un grande impulso.
Ecco dunque che cosa
sussurrava con un filo di voce sottile la mia "divina figura" quando
mi pareva dicesse qualcosa come hatha-Veda Krif ??, o forse era Padma Vedegrith...?
(almeno così fraintendevo io), poi facendo delle ricerche, ho ricostruito che
stava dicendo Father Bede Griffiths. E quando l'ho capito ho davvero gridato
nella mia mente éureka!
Egli proveniva dalla
chiesa anglicana, e prese il nome di padre Bede quando passò nella chiesa
cattolica inglese. Forse ispirandosi al Venerabile Beda del VII s., e ad alcune
tradizioni monastiche irlandesi ?. In esse, non solo la via monacale è ritenuta
più importante di quella ecclesiastica continentale, ma colui che ha deviato, o
peccato, anche gravemente, non
veniva escluso dai sacramenti e dalla comunità ecclesiale, in base al principio
che non vi è alcun peccato che non possa redimersi praticando la penitenza e la
contrizione. Inoltre si da grande rilievo alla peregrinatio in contrasto con l'incardinamento
in una sede fisica, anzi la peregrinatio monastica è esaltata come la migliore
via alla perfezione. Dunque da quanto leggo sul venerabile Beda, mi pare che
questi possano essere dei princìpi che abbiano attratto Griffiths, e in effetti
egli venne poi in India per proseguire questa sua ricerca nei territori più
antichi della spiritualità. Pertanto accolse e approfondì questo tentativo di
fondare la via contemplativa sia sulla tradizione monacale (di matrice
benedettina: cioè unendo il lavoro per l' autosostentamento, il ritiro
spirituale, e la comunicazione con l'esterno, tramite attività sociali) sia
sulla Sannyasa hindu, la via verso la" liberazione" interiore. Quindi incrementò
nell'ashram lo studio del Vedanta e
delle pratiche di meditazione yoga.
L'alba e il tramonto
sono momenti riservati alla meditazione, e tre volte al giorno si ritrovano per
la preghiera in comune, consistente in buona parte in canti dal loro proprio
innario, e in letture di testi dai Veda, dalle Upanishad e
dalla Bhagavad Gita, come da classici
della letteratura tamil, oltre che dalla Bibbia e dai Vangeli. La comunità ha
adottato il telo arancione, ed esso può essere portato come un dhoti, secondo
le consuetudini locali anche semplicemente attorno alla vita, nei mesi o nelle
ore più calde, per coprire solamente la parte inferiore sino al ginocchio, o
alle caviglie (cosa che fece allora grande scandalo presso i visitatori inviati
dalla Chiesa dall'Europa); e alla preghiera del mezzogiorno si pongono tra le
sopraciglia un punto con tintura color porpora quale terzo occhio. Ma lo scopo
principale è quello di fare dell'ashram un centro di incontro tra hindu e
cristiani, in cui entrambi, possano risiedere per un ritiro spirituale, anzi
Griffiths si adoperò molto perché mussulmani, buddhisti, sikh, jain, gente di
tutte le religioni, o di nessuna appartenenza, potessero trovare qui un luogo
sia di ritiro e raccoglimento se ricercatori spirituali, sia di studi e ricerche
di tipo comparativo, sia di incontro, dialogo, discussione aperta e libera, con
l'intento di imparare dagli altri, apprendere a capire gli altri e ad apprezzare
ciò che potevano apportare, in vista della identificazione di una sempre più
ampia possibile base condivisa. Perciò l'ashram è definito un luogo "dove
si tenta di rispondere alla necessità di disporre di un centro spirituale in
cui gente in un percorso di ricerca (seekers), di differenti tradizioni, possa
venire e trovare una atmosfera di calma quiete per lo studio e la
meditazione".
La preghiera di
meditazione, è quella che avevamo visto durante la funzione, e richiama per
molti aspetti quella divulgata da padre B.Pennington della St.Joseph Abbey di
Spencer nel Massachussetts, che mi pare ispirata all'anonimo del XIV sec. autore
de "La nube della
non-conoscenza", e sembrerebbe richiamare in parte anche l'esicasmo e
la cosiddetta "preghiera di Gesù" aramaica.
Dunque il primo
punto nell'elenco di dieci richieste ai visitatori e ospiti è "di
concentrarsi sul proposito per cui sono venuti all'ashram, e di osservare il
silenzio in modo da preservare una atmosfera di pace e preghiera". L'orario
è il seguente: ore 5 a.m., Angelus; 5.30, Namajapa e meditazione; 6.30,
preghiera del mattino, eucarestia, prima colazione; 10, caffé; 12, Angelus;
12.15, preghiera del mezzodì, pasto, silenzio; 3.30 p.m., thé; 4, discorso di
un confratello; 6, Angelus, meditazione, silenzio; 7, preghiera della sera,
cena; 9, Namajapa, silenzio.
Tutto ciò
inizialmente incontrò molte difficoltà e non fu subito compreso dalla Chiesa
ufficiale (vennero minacciati di essere considerati sospetti di eresia), ma pian
piano ottenne molti consensi nel paese tra chi voleva costruire una chiesa
cristiana autenticamente indiana, e Griffiths divenne famoso per il suo
impegno per il dialogo
interreligioso. Ora è generalmente accettato, e inoltre le sue idee sono
divenute in gran parte componenti della vita di molte comunità cristiane del
sud dell'India (e forse per questo è ora meno visitato da parte di curiosi
esterni?).
24. ANCORA DA GRIFFITS, 3
Riflettendo sulle
tematiche che qui vengono sollevate e poste di fronte a tutti, viene da
ripensare a R.Sennet e al suo concetto aperto e flessibile di rispetto per
l'altro basato innanzitutto sul riconoscimento delle altre identità e dignità,
e della ricchezza che la conoscenza e l'apertura al contributo dell'altro ci può
dare. Sì l'ashram di Griffiths è divenuto un centro di dialogo e di incontro
interreligioso, è vero...ma il fuoco che arde qui è innanzitutto quello del
misticismo, e poi quello del sincretismo e della fusione tra le spiritualità
dell'India e dell'Occidente. Sono scomparsi i padri fondatori, i fomentatori, e
anche padre Bede, e persino il giovane brillante Swami Amaldas non c'è più, ed
i suoi continuatori attuali qui, come swami Sahajananda (cioè padre John Martin
Kuvarapu, di cui si vedano traduzioni in it. nelle edizioni appunti di viaggio),
o padre George, non sembrano avere la stessa grandezza di personalità
trascinanti ...E allora si ritorna al quesito: chi è Guru, cosa significa ?
Qui si pratica
dunque una sorta di sincretismo che possa stare a fondamento di un cristianesimo
di cultura profondamente e autenticamente indiana (ma se i primi cristiani
datano dal 52 d.C., non è questa una componente della civiltà indiana di
questi duemila anni??). Amaldas, che era nato nella chiesa cattolica-siriaca del
Kerala, forse era il più adatto a portare avanti questa via di sviluppo
spirituale, ma è mancato. Resta comunque il messaggio, ed è un messaggio forte
(qui, dicono, lo spirito dei padri fondatori è sempre presente, è ovunque).
Conciliare vita comunitaria, isolamento per esercizi introspettivi nel ritiro e
nel silenzio della meditazione profonda, e attività sociali e di comunicazione
al mondo esterno. Questo difficile equilibrio padre Bede pensava di assicurarlo
facendo entrare l'ashram nell'alveo dei camaldolesi...e la scommessa è in corso
(in novembre al monastero di Camaldoli ci sarà un convegno per il centenario
della nascita di Griffiths).
Sto leggendo con la
crescente pressione della curiosità i vari libri e libricini che ho acquistato.
Ma poi ho visto su internet che ci sono testi suoi pubblicati anche in Italia
(ad es. Una nuova visione della realtà, Roma 2005; il suo bel commento alla Bhagavad Gita; e l'autobiografia Il filo d'oro), e non solo, anche
studi su di lui (cfr. Sonia Calza). Mi rendo tuttavia conto che le questioni che
si aprono sono molteplici e complesse, e che ci vorrebbe tempo e dedizione allo
studio, per coglierle nella loro articolazione, anche se non sempre nei loro
profondi livelli di significato che ovviamente in questo momento non mi sono
accessibili.
Anche qui ciò che
unisce, è ciò che più attrae. Mi riferisco al sentimento di
identità del gruppo (un gruppo eterogeneo per lingue, nazionalità, ed
età), che è dato dalla motivazione che li ha spinti a venire fino qua, cioè
l'aspirazione a una vita di raccoglimento, e la propensione verso il misticismo,
cui si associa un desiderio di rinnovamento profondo della vita spirituale
cristiana nell'incontro con quella indiana. Dunque motivi molteplici e forti.
La chiesa romana,
per quanto si dichiari cattolica, cioè basata su verità e valori universali, e
per quanto lo sia stata e lo sia per estensione geografica dei fedeli e per
propria convinzione, in effetti ha molto spesso nel passato cercato di imporre
la propria cultura e mentalità latina ai paesi di civiltà differenti, senza
ammettere particolari adattamenti e identità peculiari (oltre a connivenze col
colonialismo), come è stato anche recentemente ammesso ufficialmente con le
famose "scuse" pronunciate da papa Wojtila.
Al contempo vi sono
sempre state, e ora acquistano una crescente importanza, tendenze ecumeniche che
vorrebbero far crescere all'interno delle chiese e delle conferenze episcopali
occidentali, e delle loro masse di riferimento, un maggior rispetto e attenzione
(basate su una maggiore conoscenza), nei riguardi delle altre chiese, sia
cattoliche non romane, che cristiane ma non cattoliche.
Inoltre nel mondo
missionario si è venuta sempre più affermando, imponendo, cioè divenendo
indicazione non solo formale e quindi superficiale, la necessità di
approfondire la conoscenza delle culture nelle quali ci si va ad inserire, ma
non solo a fini strumentali, ma per cercare di capire quelle culture, di
comprenderle e rispettarle.
L'incontro con
l'altro, col diverso, non significa solo riuscire a meglio interloquire con le
popolazioni, ma anche rispettare veramente
la loro identità, a mio modestissimo parere. L'incontrare l'altro per
volerlo trasformare, per stravolgerne i connotati, per staccarlo dalle sue
radici, tradizioni, usi, costumi, riti, fedi, elementi identitari, non mi pare
un incontro veramente "in buona fede" fin in fondo.
Più recente invece,
e minoritario di fatto, il riconoscimento di quanta parte della spiritualità
presente nell'intimo di altre culture, tradizioni, e religioni, possa esserci
vicina, o divenirlo, al di là di formali (o effettive) distanze dovute a
modalità espressive, linguaggi, motivi storici e culturali. Pertanto si invita
ora a tener conto nel dialogo interreligioso di ciò che può unire più di
quanto nel passato si sia fatto, quando si enfatizzavano anzi le differenze, i
motivi di distinzione e di diversità, fraintendendo e a volte travisando il
senso e il significato di importanti elementi costitutivi della spiritualità
presente in tradizioni, anche grandiose e plurimillenarie, di civiltà
extraeuropee.
Certo è importante
ricordarsi sempre che c'è pure una minoranza che ha piuttosto insistito sul
dialogo come momento di vero e proprio incontro profondo, andando oltre dunque
il semplice rispetto, e anche la mutua stima basata su una corretta conoscenza,
per accettare, ma forse anche "amare"(?), l'altro per quello che egli
è.
Infine, in questa
rapida scorsa di varie correnti e componenti, ci sono anche
persone come questi Monchanin, Le Saux, o Griffiths, che hanno cercato un
possibile incontro-scambio, forse un certo sincretismo anche, accogliendo molto
di ciò che non lede il nucleo specifico del messaggio cristiano (riferito a ciò
che è il "sine qua non" della identità religiosa del cristiano). E
ciò è stato molto osteggiato (lo stesso Griffiths venne ritenuto da alcuni
come "in odore d'eresia"), e ancor oggi stenta ad essere capito e
accettato in occidente, mentre sembra che nelle chiese cristiane dell'India,
almeno là dove sono prevalenti gli "ecclesistici" indiani, sia
compreso, rispettato, e visto con interesse crescente. Certo qui non si tratta
di quel tipo di sincretismo che si avviò nella cultura popolare romana con
Costantino, o di quello praticato nell' America "latina", bensì di
una nuova via dell'intelletto e della fede per la comprensione di quella
spiritualità che sta dietro e sotto ad ogni forma culturalmente e storicamente
determinata. Ma anche in occidente, dato il crescente interesse per le
religiosità di altre culture, molti non ritengono incompatibile col proprio
sentirsi cristiani il praticare ad esempio vie orientali di ricerca spirituale.
Ad es. padre Jäger dice che lo zen ha cambiato (e migliorato) la sua
autocoscienza cristiana, e che con la pratica della meditazione si può
ri-scoprire sè stessi e la propria spiritualità. L'incontro tra cristiani,
musulmani, ebrei, induisti o buddhisti, e altri percorsi spirituali, è
possibile e auspicabile e può esser molto fruttuoso, perchè c'è qualcosa, un
nucleo profondo che li accomuna, e perchè ciascuno può dare molto a ciascun
altro.
Nel secolo scorso ci
sono stati pensatori di varia confessione, come ad esempio i fautori della
teosofia, o come Rudolf Steiner con la sua antroposofia, e altri come i per
esempio i bahai, o per certi versi
pure la Mère, o Krishnamurti, o Thomas Merton, oppure come Karlfried G. Dürckheim,
o come padre Hugo M.E. Lassalle, ma con impostazioni diverse anche R.Panikkar,
che hanno cercato in vari modi, pur assai differenti tra loro, o soluzioni in
certa misura di mutuo interscambio e intreccio culturale, oppure soluzioni che
comunque considerassero quale fondamento della propria spiritualità, quella
base comune alle numerose religioni del mondo e della storia, che pure c'è,
esiste, ma quindi cercando al di fuori delle differenti ideologie, delle varie
dottrine dogmatiche, al di là delle istituzioni delle varie chiese e delle
varie denominazioni. Di qui anche l'attenzione ad un dialogo interiore "intrareligioso"
che ognuno dovrebbe condurre con sè stesso con assoluta sincerità e apertura.
Anche dallo stesso mondo laico e persino "laicista", con
l'attenzione di discipline di impianto scientifico (come la psicologia o
l'antropologia) ad aspetti della interiorità, vengono aspirazioni ad una
cultura umanistica che ci fornisca la base, il fondamento generale di
riferimento per l' "essere uomo" di ciascun appartenente alla specie
homo sapiens.
E poi pensiamo solo
a figure, pur così diverse, della cultura umanistica del Novecento come Th.Mann,
H.G.Wells, A.Huxley. C.Kerényi, C.G.Jung, H.Hesse, R.Rolland, A.Schweitzer, o
R.Guénon, M.Eliade e altri, che nell'incontro tra studio delle religioni, dei
miti, delle letterature comparate, e della psicologia, e dell'antropologia
culturale videro una via per una cultura nuova che desse un contributo alla
causa dell'umanesimo come base di riconoscimento reciproco tra tutti i popoli
nelle loro pur specifiche identità. La ricerca di una piattaforma di
spiritualità condivisibile, che ci accomuni, è assai diffusa e oramai è un
dato ineludibile.
Oggi in un mondo
sempre più globalizzato io credo che si dovrà ritornare a riflettere su questi
messaggi a favore di un possibile e augurabile obiettivo di affratellamento
spirituale universale, se non altro per una sempre più acuta consapevolezza
della necessità urgente di trovare basi per assicurare una pace mondiale
duratura quale punto di partenza per un futuro di reale progresso culturale
dell'umanità.
O come minimo perchè
si incominci ad incamminarsi verso quell'obiettivo indicato ad es. da Andrea
Ricciardi (fondatore della Comunità di Sant'Egidio), cioè di una effettiva
condivisione di questo affollato piccolo spazio disponibile sul nostro pianeta,
se non altro per realismo, oltre che per mantenere sempre aperta la speranza.
Per cui Ricciardi esprimeva l'augurio "di una civiltà fatta di tante
civiltà, ovvero di tanti universi culturali, religiosi e politici, senza
svendita e senza paura delle identità (perché solo) la coscienza di quanto sia
necessaria la civiltà del convivere è l'inizio di una cultura condivisa."
Che è in sintonia con l'appello di R. Pannikkar ad un "disarmo"
culturale per addivenire a quello che definisce "l'incontro
indispensabile" in vista di una pace interculturale (dai titoli di suoi
noti libri). Perciò assume ancor più attualità il messaggio ricordato da Enzo
Bianchi (il priore della comunità monastica di Bose) nel suo recente libro
"ero straniero e mi avete ospitato". E se l'incontro nasce dalla
convivenza, da qui può venire il rispetto nel riconoscimento, e quindi anche
può venire sollecitato l'apertura reciproca, e l'amore per ciò che -del
patrimonio dell'altro- sentiamo che ci può dare di arricchente, accogliendolo
in noi come un dono.
25.
A PUNE
E' il 25 agosto, ed
eccoci a Pune, dopo un lungo tragitto verso il nord con un volo aereo low cost.
Ci sistemiamo nella lussuosa (e cara per gli standards indiani) Guest House del
"Centro" di Osho (da noi anni fa noto con il nome di Rajneesh). Anche
questo è un ambiente internazionale, con sue caratteristiche particolari, e
anch'esso è assai differente dalle realtà viste e descritte in precedenza. La
storia del Malabar e di Cochin, poi il fervore shivaita di Tiruvannamalai, l'ashram
di swamy Suddhananda, la figura di Shri Ramana Maharishi, l'ashram di Shri
Aurobindo e di Mère, la città internazionale di Auroville, il grande complesso
templare vishnuita di Tiruchirapalli, la comunità indocristiana di padre Bede
Griffiths, per non ricordare di precedenti contatti avuti durante il viaggio
precedente con seguaci di Krishnamurti, con gli Hare Krishna, con gente parsi, o
sikh, o jain, con buddisti, musulmani, con rigorosi comunisti....che ampio
spettro di colori e di sfumature! l'India è come un radioso arcobaleno. Questa
è la grandezza dell'India dovuta proprio alla sua variegata articolazione, alla
sua straordinaria civiltà composta di tradizioni e lingue e popoli diversi e
dotata di una predisposizione all'apertura e alla molteplicità.
Ecco che ora
entriamo nel Centro internazionale di Osho a Pune, noto in tutto il mondo, e ci
immergeremo in un altro contesto di gente di varia provenienza, lingua e identità,
che converge qui in India per condividere delle esperienze spirituali.
Subito all'ingresso
c'è un bel giardino zen, con una statua del Buddha in meditazione dinnanzi ad
un laghetto con fiori di loto, e lì vicino c'è una lapide con cui si rende
omaggio al grande Krishnamurti, che volle essere un esempio di"
anti-guru". Si respira un'aria di grande serenità.
Dunque questa
comunità, che a quanto pare non poteva trovare spazio per insediarsi e
crescere, se non in India, essendo a suo tempo Osho Rajneesh stato dichiarato
non accetto da molti paesi in cui si era recato, è oramai qui una realtà
stabile e fiorente da parecchi anni, e la sua pubblicazioni sono tradotte in
quasi tutte le principali lingue del mondo con altissime tirature, e le sue
iniziative sono seguite da gente in paesi di tutti i continenti. E ciò,
nonostante Osho sia morto già da molti anni, dopo lunga malattia (forse per
avvelenamento), nel gennaio 1990.
Stupenda
l'ambientazione, l'architettura, magnifici il parco, i grandi giardini zen, la
piramide della meditazione, eccetera. Interessanti e spesso stimolanti non pochi
elementi del pensiero e delle ricerche del fondatore.
Ma anche qua,
durante il suggestivo e coreografico raduno serale nella grande piramide, con
lunghe file di persone tutte abbigliate con una veste bianca immacolata che
salgono all'ingresso per le due scalinate contrapposte dinnanzi al viale
lastricato di marmo scuro con lunghi specchi d'acqua, anche qui mi ritrovo a
farmi le consuete domande. E in particolare qui me le pongo con un certo grado
di sconcerto e stupore, sebbene per motivi diversi dalle volte precedenti. Cosa
spinge queste persone, venute da ogni dove per conoscere meglio il messaggio di
questo personaggio che si proclama un ribelle e un "anti-guru", a
tanto fervore da adepti adoranti ? Qual'è il bisogno profondo che necessitano
di soddisfare? per cui cercano, e infine secondo loro trovano, ciò che risponde
alla pressione domandante che hanno dentro di sè? Soltanto che qui
l'interrogativo me lo pongo osservando prevalentemente giovani, e meno giovani,
occidentali, e non solo persone cresciute in un contesto culturale a me assai
distante, ma gente che è stata formata in società fondate sulla razionalità e
che affronta un grande viaggio proprio per allontanarsi dal modello "euroamericano".
E certo questo luogo costituisce un piccolo mondo artificiale, molto
occidentalizzato, rispetto a quel che c'è fuori le mura, e vagamente
rieccheggiante una sorta di parco-a-tema culturale e spirituale adatto alla
mentalità di ambienti che si definiscono anticonformisti sviluppatisi in
occidente a seguito dei movimenti giovanili degli anni post-68.
Perchè mostrano
tanta eccitazione? tanto fervore e devozione per il grande Maestro ? tanta
soddisfazione? Mi riesce arduo rispondermi appena entrato, e questo è
certamente dovuto ai miei limiti, ma anche arduo trovare chi mi sappia dare
risposte esaustive.
Qui spesso quando
qualcuno incontra altre persone, forse già incontrate in precedenti esperienze,
si abbracciano con gran calore e restano strettamente abbracciate, dimostrando
giustamente quanto sono gioiosi di essere qui (e mi fa sovvenire di madre Amma
nel Kerala).
Il grande movimento
e incessante viavai di gente da ogni dove (europei, sudamericani, statunitensi,
australiani, sudafricani, israeliani, russi eccetera, nonchè indiani di varie
parti che si parlano tra loro in inglese) è notevole e, a quanto pare,
incessante tutto l'anno. Cosa bella e che crea una atmosfera che si intreccia
con la partecipazione assai "sentita" di cui dicevo prima.
Inoltre ci sono
anche anziani, e meno anziani, con belle barbe, spesso più che grigie, candide
e lunghe, che forse appartengono al gruppo originario "più anziano"
che vive permanentemente qui dentro. e che forse costituiscono come una sorta di
ashram tra di loro. Infine ci sono tutti coloro che vivono, o sono venuti a
vivere a Pune, e che lavorano qui per far funzionare questa notevole grande
impresa (e spesso sono volontari che si pagano con il loro lavoro la loro
permanenza).
Multiversity è
chiamato l'insieme dei vari corsi, stages, laboratori, conferenze, workshops,
sessioni, ecc. che sono qui offerti, per cui ti componi tu il tuo percorso di
attività che vuoi seguire.
Ogni domenica, ma già
da ieri pomeriggio, ci sono pure molti indiani che vengono per passare qui il
week-end, e anche gruppi in visita con pullman organizzati. Siamo stati a
passeggiare nel grande parco (di vari ettari) che c'è dietro, e proprio ora
mente prendo queste note, stiamo ammirando gli enormi "mazzi" di
grandi e altissimi bamboo che si agitano al vento, ed emettono scricchiolii,
gemiti, schiocchi e rintocchi, sbattimente e scontri tra loro, faticosi
piegamenti e torsioni. Oltre ad ammirarne lo spettacolo incessante e ammaliante,
bisogna anche appoggiare l'orecchio ad un tronco-canna, per conoscere la vita di
questo stupendo "essere plurale". Secondo me sono un po' il simbolo di
questo luogo, ma anche dell'India (come pure il grande banyan lo era ad
Auroville).
Ieri tanti uccellini
con il ciuffo e un pomello rosso venivano abbastanza vicino, con fiducia. In
quel bello spiazzo grande che c'è di fianco alla libreria, stavamo facendo
Tai-chi alle sette del mattino, e si sentivano vari uccellini, il gallo, il
pavone, il picchio, non c'era silenzio, ma era un sottofondo straordinariamente
gradevole che veniva dalla fitta vegetazione che c'è intorno e che è piena di
vita che si rianima al mattino, cosa può meglio accompagnare i flessuosi ed
armoniosi movimenti lenti che ci fa fare uno stupendo istruttore tibetano ?
26. C’E’ CHI
In questa enclave,
in questo mini mondo a parte, tutto appare felice come in un parco a tema. C'è
chi ci vive, e chi vorrebbe viverci, come la giovane russa che vorrebbe
continuare a giocare tutto il giorno, fuori dal mondo spiacevole della reale
società del suo, come di questo, e di altri Paesi.
Ma fra un mese, fra
un anno, tutto qui dentro si ripeterà più o meno sempre uguale, fuori dal
tempo: come si può pensare di viverci? è come in una qualche fatata utopia di
certi romanzi fantasy o di fantascienza, in cui il visitatore si informa presso
gli utopiani sulle loro usanze si mostra interessatissimo e meravigliato, magari
approva entusiasticamente, e poi riparte e scompare all'orizzonte, ripensando
anche dopo anni con nostalgia a quell'isola fortunata, dove certo tutto sarà
rimasto così com'era... Oppure è proprio (mutatis mutandis) come da noi nella
prosaica realtà in cui viviamo come se fosse normale che le cose continuino a
stare come stanno...
E' sera, e forse ora
incomincio a capire la gente che incontro qui. Certi sono molto
"presi", certi sono in un buon punto di equilibrio tra coinvolgimento
e sguardo consapevole,certi sono qui per loro problemi psicologici in cerca di
aiuto, di un contesto umano solidale con loro, con cui condividere il più
possibile. certi sono qui per portare aventi una propria ricerca e
perfezionamento in certe pratiche, per fare le sessioni di meditazione, per
sviluppare uno sguardo introspettivo, per raggiungere la propria autosufficienza
dal mondo e "uscire" dalla società di provenienza, dai problemi della
propria vita, dalle responsabilità, dal fastidioso aver a che fare con il
prossimo, che sente come tanto diverso da sè.
Certi sono solo
visitatori, curiosi, turisti, o cultori del wellness sia interiore che fisico,
per fare le diete, gli esercizi, i massaggi, ecc. Certi sono gente che qui può
"sbarcare il lunario" quotidiano con poca fatica...
Una umanità varia,
anche se entro un ventaglio di sfumature di una certa gamma.
Inoltre vedo che
quando uno sta facendo ad esempio un percorso di terapia di gruppo, magari di un
mese, è tutto dentro al contesto del proprio gruppo di riferimento, anche
quando è per conto suo (allora spesso ha sulla veste la spilla che segnala che
sta osservando il silenzio), e pur essendo in giro per il resort, è ancora
preso dalla sua attività in corso e da quelle dinamiche. Tra queste persone,
benché facciano pratiche differenti, ci sono certi che comunicano invece molto
con altre persone più o meno note, e si aprono alla condivisione, mostrando la
propria interiorità anche intima. Perciò certi quando poi si incontrano nei
vicoli, nei bar, o negli spiazzi, si abbracciano e si stringono. Il che
indubbiamente stimola e abitua ad una pratica di condivisione e comprensione
reciproca, o comunque ad una disponibilità verso gli altri, vissuti come
simili. Se può essere che "sfumi", si diradi l'ego, si rafforza il
"noi". Si è in condizioni di vedere negli altri quella parte del
"noi" che ora si è disponibili a cercare di comprendere. A vedere la
differenza degli altri come se fosse dovuta al fatto che sono semplicemente più
indietro nello stesso cammino nostro, e quindi degni di comprensione e affetto
tanto quanto ne meritiamo noi stessi ora che siamo riusciti a fare dei passi
avanti e ci siamo lasciati alle spalle certe condizioni e problematiche.
Una cosa bella è
che non solo ci sono qui molti giovani, ma c'è veramente gente di tutte le età
e condizioni, oltre che di tutte le nazionalità, e delle più varie origini
ideologiche, religiose, culturali.
In un contesto così,
tutto intessuto di corsi di self-awareness, meditazioni, self-love, sei
continuamente a contatto con angosce, sofferenze interiori, ansie, aspirazioni,
aspettative, bisogni, desideri...perché infine è questa la dimensione che
prevale.
Certi sono qui perché
si sentono in una impasse, o perché vivono una crisi di valori, e riconoscendo
attraverso le varie pratiche qui
proposte i loro limiti, li vivono in alcuni casi come motivi di un proprio
fallimento esistenziale, come segnali di una vita persa e sbagliata, perciò
alcuni reagiscono con il timore di cambiare, di dover ammettere di dover cessare
un certo stile di vita e di fare riferimento a falsi valori che si rivelano ora
per disvalori, pertanto o rifiutano di tentare di intraprendere una via di
trasformazione personale e si costruiscono uno scudo protettivo più solido,
oppure hanno timore a ritornare a casa propria.
La meditazione
essendo una tecnica, una metodologia, oltre a far compiere passi importanti
verso una maggiore consapevolezza che consentirà una più elevata armonia, può
aprire le porte anche ad percezioni di aspetti interiori non facilmente
accettabili e maneggiabili, ed esporti ad una situazione pericolosa e ardua da
gestire, e allora certi si buttano nelle attività ludiche che qui pure sono
proposte in abbondanza.
Certi fuggono dentro
un isolamento totale, dedicandosi ad una immobilità silente da freezer della
meditazione profonda. Certi maturano la decisione di ritornare a casa
trasformati e decisi a cambiare, determinati a non riprendere la solita routine
quotidiana e le solite relazioni di qualità non più accettabile.
Perché in
definitiva il fatto è che praticamente quasi tutti usciranno dal cancello e si
reinseriranno nella situazione, e nel contesto relazionale da cui erano venuti.
Ma chissà probabilmente resterà un seme che potrebbe maturare in seguito per
far compiere loro una maturazione e una maggiore e migliore coscienza di sè.
27. DA PUNE
Durante il giorno si
indossa tutti una tunica color bordeaux scuro (maroon veste), magari sopra all'abbigliamento consueto, mentre poi
allo Evening Meeting delle
18.30/20.30, solo una tunica bianca immacolata. E questo rende tutti un pochino
più eguali, non lascia che l'abito sia un elemento che distrae, ed è bello,
almeno a me non dispiace, mi sembra un po' come quando si è al mare tutti in
costume o in shorts e ciabatte. Poi ci sono quelli in tuta blu, che sono i
lavoratori manuali indiani, e quelli con la divisa da impiegato dei vari
servizi; grazie a loro tutto ciò sta in piedi.
E qui può prendere
rifugio anche la bella ballerina solitaria. Vive con tutta sè stessa il suo
compulsivo bisogno di danzare in modo gioioso a tutte le ore. Ieri vedevo che
stava entrando, e appena dentro si dirige danzando verso il giardino che c'è
appena di fianco all'ingresso, e subito si avvinghia a un albero, e lo
circuisce, lo ama, gli danza flessuosa tutt'attorno. E sorride gioiosa. Per lei
questo luogo è un rifugio, a shelter, ed è una bellissima cosa, qui si sente
libera, e perché no? non fa verto male a nessuno, anzi caso mai introduce
armonia e spensieratezza. Se si trovasse nei giardini di una piazza di una
nostra città, certo ci sarebbe dopo un po' qualcuno che fa una telefonata alla
USL, al servizio psichiatrico magari, se non ai carabinieri... Qui è libera,
prova godimento lei, e ne provano quelli che la guardano e le sorridono. Ieri
sera all'evening meeting c'era una
ottima band, che ha suonato bella musica, e lei era lì tra i primi arrivati,
proprio davanti in prima fila, in fremente attesa, non aspettava altro che
iniziassero a intonare la primissima nota, che già si era alzata in piedi e
aveva iniziato la sua danza solitaria aggraziata, leggiadra, volteggiante, ed
era subito divenuta parte dello spettacolo, parte della musica stessa. Forse
vorrebbe essere una sorta di derviscia? è una sua forma di meditazione sufi?
Anche qui, ma in
maniera del tutto differente da altri contesti, si tende a praticare un
sincretismo tra tradizioni indiane, orientali, e occidentali.
Nel discorso
videoregistrato di Osho, parlava del suo non impartire una dottrina, ma solo di
voler infondere un fuoco, e indicare alcune possibili strade da intraprendere,
dicendo che sta soltanto esprimendo quelli che sono i risultati della sua
personale esperienza e delle sue riflessioni, per condividerle con chi lo vuole
ascoltare.
E qui ritorna il
problema che mi ponevo sin dall'inizio di questo diario di viaggio. Molto
importante è la guida, quello che anche si può chiamare con un termine
recente, il facilitatore. Si è visto quanto diversi e diversamente efficaci, e
variamente esperti possano essere. Nell'avviarti ad una tecnica di meditazione
può essere fondamentale l'abilità e la partecipata assistenza della guida.
Vieni spinto verso una situazione in cui i più delicati e intricati pensieri,
nel senso di tuoi problemi intimi anche angosciosi, possono emergere e
sospingerti verso una direzione, e riempirti di una pesantezza a volte
insostenibile. Essenziale è dunque darti gli strumenti per far evaporare,
svanire al loro insorgere simili pensieri e indirizzarti verso una rilassatezza
vigile, una consapevolezza critica che ti instradi per un sentiero di calma, in
cui acquietare ogni agitazione. Perciò è molto delicata la scelta della guida,
dell'accompagnatore, e del consigliere, cui affidare sè stessi per un percorso
durante il quale il controllo razionale e parte della mente viene scemando. Ci
sono poi alcune rare grandi personalità che più di ogni altro possono
aiutarti, ma anche queste potrebbero in definitiva plagiarti...
Certo che ora c'è
qui questa Osho Commune International for
Meditation, che è però priva di Osho, così come abbiamo visto una
Auroville senza shri Aurobindo (e nemmeno la Mère), uno, e più, ashrams senza
shri Ramana Mahrishi, o scuole ispirate a Krishnamurti, di cui parlammo con suoi
seguaci nell'altro nostro viaggio, senza più quella brillante "stella
d'oriente" con la sua chiara luce diretta; abbiamo ben avvertito il
problema di Shantivanam senza la personalità vivificante di padre Bede
Griffiths lì presente. Ma questo problema riguarda tutti, da Shantiniketam
senza R.Tagore, allo stesso ashram ghandiano fuori Ahmedabad che visitammo nel
viaggio scorso, eccetera. L'assenza fisica del maestro, fa sentire la differenza
quando manca la sua presenza fisica diretta, con la sua grande influente capacità
di essere la sorgente di vita spirituale che anima quel luogo. Anche là a
Tiruvannamalai, l'abbiamo sentita la differenza, un conto era l'ashram dopo la
partenza di Suddhananda, pur essendo il giovane swami-ji Sashwatananda bravo
oltre che simpatico, e Lakshmi una presenza confortante e importante, era
tutt'altra cosa quando il fondatore, l'ideatore, il forgiatore della identità
del luogo era lì fisicamente, rispetto a quando era partito: quel che si
sentiva percettibilmente, pur là sotto l'Arunachala, era un senso di vuoto, di
mancanza (al confronto direi quasi di mancanza di senso ).
E dunque torna la
domanda cosa fa di uno una guida, un guru? il carisma? Ad es. la scuola
pestalozziana, o steineriana, dopo la scomparsa di Pestalozzi, o di Steiner, è
probabilmente tutt'altra cosa. La scuola di Alexander Neill senza la sua
presenza fisica, la scuola di Barbiana una volta scomparso don Milani, o
Nomadelfia oggi, cosa sono? e poi quando anche il diretto allievo più stretto,
è scomparso, restano solo i libri (e ora le videoregistrazioni). Certo si
leggono, ci si entusiasma, si interloquisce mentalmente, nel nostro intimo, con
il grande personaggio e il suo messaggio. Ecco che allora potremo sentire la
fievole voce che da epoche lontane ci parla ancora e che può ancora essere
ascoltata. Ne vale la pena. Ed è così che poi si guardano ancora le opere di
un tempo, si ristampano ad es. vecchi o antichi testi, e si leggono ancora, e si
trova che c'è un filo di continuità e che grazie ad esso pur attraversando una
grande distanza temporale il messaggio che contengono continua a comunicarci
qualcosa di coivolgente. Poniamoci all'ascolto.
Parafrasando Cusano
direi che proprio là dove con la sua lente il maestro ci stimolava a porre
attenzione al contenuto di un testo e ad andare in profondità, se c'è un sole
splendente proprio in quel punto i suoi raggi amplificati fan sì che la carta
bruci, e che nasca un fuoco. Ma poi il buon maestro ci avrebbe
"costretto" dolcemente a pensare con la nostra testa e ad infiammarci
con il nostro spirito.
Ma d'altronde, e
tuttavia, anche quando muore un mastro artigiano che fu un grande artista, cos'è
poi la sua bottega pur piena dei suoi apprendisti e compagni?
Cosa era altrimenti lo sconcerto degli allievi intimi di Leonardo che pur
intendevano dar continuità alla sua "Schola"
? E poi dopo la loro scomparsa? A maggior ragione dunque quando morirono i
compagni di Socrate, o di Siddharta Gautama il Buddha, o di Gesù, o dei grandi
Rebbe, dei venerabili Sufi, o dei saggi cinesi, quando poi morirono non solo i
loro grandi allievi creativi, ma anche venne
poi meno la stessa memoria diretta di quell'atmosfera che era stata il
collante di quella cerchia, e dunque che resta quando tutte le condizioni sono
mutate, e l'aria stessa che si respira non è più quella?
Dolce eterea figura
di Jñanam, dimmi tu...che ancora sei tanto pervasa dalla loro presenza in te
dei tuoi due Maestri...
Restano in qualche
misura gli effetti, le onde concentriche determinatesi per la legge del karma,
la oramai fievole voce da ascoltare con la mente e lo spirito protese nel
silenzio, ma soprattutto si percepisce il senso struggente di mancanza e dunque
il bisogno che sorga un nuovo grande vero Maestro di vita per il nostro tempo.
Indubbiamente però tutto ciò può essere un pungolo che ci fa rammentare di
non perdere il contatto con i maestri dell'umanità, e inoltre è anche potente
stimolo a coltivare il nostro "maestro interiore". Questo in fondo era
il messaggio di Aurobindo, dell'ashram di Suddhananda basato sull'accrescimento
della consapevolezza di sè, lo stesso Osho ripeteva di cercarsi la propria
strada. Proprio a Pune c'è anche il "Christa Prema Seva" un ashram di indocristiani, e la
targa posta all'entrata dice tra l'altro: "Non ci sono strade o mappe già
pronte, non esistono istruzioni per compiere il nostro viaggio. (...) E questo
significa che non dobbiamo nè possiamo sprecare tempo ed energie agognando
inutilmente che qualcuno ci guidi e ci salvi da tutti i rischi e i possibili
errori". Perciò a farci viandanti e a compiere uno o più pellegrinaggi
alle sorgenti alla ricerca dell'acqua chiara cui abbeverarsi, ad attivare se
possibile un cerchio "ermetico" di comunicazione e di vibrazioni, in
modo che in definitiva si possa coltivare il risveglio in noi stessi del
discernimento e della consapevolezza, per raggiungere una maggiore armonia
interiore, e per assumerci la responsabilità di prenderci cura del buon
"esserci" in vita di tutti i viventi.
Ferrara, settembre 2006
Carlo