In India anche le tigri sono vegetariane
Tutte le volte che ci torno mi ripeto sempre la solita frase:
“Ma come e’ cambiata Delhi !” e, in effetti, nuovi ponti, nuove strade,
addirittura la metropolitana, un cantiere a cielo aperto unico, manco fosse la
Salerno-Reggio Calabria con l’unica differenza che qui nel giro di sei mesi i
lavori li finiscono e anche bene.
Ricordo che anni fa per spostarci in auto di una trentina di
chilometri fuori Delhi ci mettevamo un paio di ore con il solito punto
interrogativo, persi com’eravamo nell’anarchia di un traffico infinito.
Oggi in meno di mezz’ora facciamo lo stesso percorso, quasi
irriconoscibile rispetto alla volta precedente, come irriconoscibile e’ anche
il volto di questa nuova India, lanciata alla rincorsa del vicino cinese e
pronta a sedersi finalmente, dopo anni di colonialismo, al tavolo di chi conta
veramente.
Molti dei vecchi baracchini ambulanti sono stati sostituiti
da fast food, nei cinema si vendono coca e pop corn e non piu’ croccanti
samosa, il divo indiano ha occhiali da tamarro e jeans stracciati, le persone
guardano sempre piu’ l’occidente come modello e sono sempre meno disposti a
venire a patti con una cultura millenaria. Questo ibridismo porta indubbi
vantaggi soprattutto, a mio modo di vedere, verso l’antico sistema delle caste
indu, ma allo stesso tempo fa scivolare l’India verso errori le cui
conseguenze sono del tutto evidenti in occidente come lo sfruttamento
indiscriminato delle risorse.
Spesso ne parlo con i miei colleghi che mi raccontano dei
grandi cambiamenti sociali in India, adesso si puo’ divorziare, una donna non
e’ piu’ vista male se non ancora spostata dopo i veticinque anni, ci si
sposa sovente per amore e non per affinita’ castali imposte dalla religione e
dalla famiglia. L’endogamia infatti (la possibilita’ di sposarsi solo
all’interno della stessa casta) e’ una delle mille regole nella
complessita’ del mondo indu’ alle quali si aggiunge anche quella del
terribile divieto di contaminazione con caste inferiori (attraverso rapporti
sessuali o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di
cibi e bevande ecc).
Ammetto sinceramente di pensare che anche in Italia, con i
dovuti e concreti distinguo, esiste una specie di divisione in caste, non
codificata e cosi’ esplicita, ma comunque presente in qualche modo.
Mi riferisco al fatto che ben difficilmente un/a figlio/a di
un notaio o di un grosso industriale sposi un operaio/a dell’Ansaldo (giusto
un nome) o un operatore di call center, ma cerchera’ piuttosto il compagno/a
in un ambiente sociale piu’ elevato economicamente.
Mi rendo conto che ci sono tanti controesempi ed in piu’ da
noi esiste fortunatamente una piena
liberta’ di scelta e non codici gia’ scritti, resta il fatto che spesso
qualche parallelo lo si puo’ tracciare e trovo cosi’ stupido
rimanere sempre e solo scandalizzati verso un sistema che non ha fatto
altro che rendere esplicito cio’ che in altri luoghi e’ solo latente.
Le caste indiane hanno un rigido sistema gerarchico diviso in
quattro gruppi fondamentali come brahmani (sacerdoti), kshatrya (guerrieri),
vaishya (mercanti e artigiani) e shudra (servi), cui si aggiungono i "fuori
casta", genericamente indicati come paria o intoccabili, esclusi dal novero
castale per la spregevolezza dell'occupazione o per aver perso, violandone le
norme, l'appartenenza alla casta.
Spesso mi diverto a chiedere ad amici e colleghi la loro
casta di appartenenza, ma scorgo sempre la loro scarsa inclinazione a scherzare
e giocare su questo tipo di discussione e mi trovo cosi’ a battere in ritirata
e cambiare repentinamente argomento; puntualmente le previsioni metereologiche
mi vengono sempre in aiuto in quei momenti, il che mi fa tirare un respiro di
sollievo, non so mai quanto spingermi su certe cose.
Eppure continuo imperterrito, sono fatto cosi’ che ci posso
fare, amo da sempre la provocazione seppur benevola e mai invadente (o quasi mai
…)
Mia moglie direbbe in questo caso …” sei fatto cosi’ ma
puoi anche cambiare non e’ obbligatorio rimanere imbalsamati sulle proprie
posizioni ”.
Ha ragione, ma la tentazione e’ sempre li’ dietro
l’angolo.
Ricordo che anni fa il mio capo lottava sempre contro tutti,
quando si trattava di fare una cena di lavoro; le persone invitate non erano
quelle che avevano svolto una certa attivita’ (al termine della quale si
usciva a mangiare), ma quelle da un certo grado (anche sociale) in su’ … e
questo lo faceva incazzare non poco.
Adesso anche questo e’ cambiato, si respira un’aria
diversa, un’ aria di rinnovamento.
Lo stesso in materia di figli, sempre piu’ famiglie
decidono di porre un limite al numero di bambini fermandosi sovente a due.
E’ pur vero che tutti questi discorsi valgono per cio’
che ho sentito in ambito lavorativo che continua ad essere comunque un mondo un
pochino elitario e quindi queste nuove ‘conquiste’ si sono aperte solo per un
numero ristretto di persone.
L’80% degli indiani e’ di ceto sociale molto basso, con
poca istruzione e quindi segue molto piu’ rigorosamente gli antichi precetti
religiosi ed in piu’ diciamocelo chiaro, e’ anche questione di convenienza,
per un padre povero e’ molto piu’ utile avere molti figli; piu’ ne ha
piu’ ci saranno, nel breve, persone che porteranno uno stipendio alla famiglia
assicurando a lui un futuro economicamente migliore.
E’ esattamente questo da cambiare: e’ solo questione di
una maledetta prospettiva.
Non devi essere tu che metti al mondo dei figli per
assicurarti un futuro, ma l’esatto opposto, tu metti li al mondo solo quando
puoi assicurargli un futuro…
e questo concetto e’ stato percepito in India solo da chi
in realta’ quel futuro era gia’ in grado di poterlo assicurare ai propri
figli, non certo dalla maggioranza.
Cambiamenti ce ne sono e tanti, non necessariamente positivi,
come detto, e non solo in ambito sociale o infrastrutturale.
Prendiamo la scuola ad esempio.
L’universita’ indiana sforna laureati con un ritmo sempre
crescente e che non trova riscontri in altre parti del mondo. La possibilita’
di impiego in ambito scientifico, meno in quello umanistico, e’ molto elevata
tanto che l’uscita dal corso di studi coincide spesso in breve tempo con un
impiego nello stesso ambito.
Difficile che succeda come da noi, dove spesso i laureati
vanno a friggere patatine al McDonald, in India il lavoro e’ cosa piu’ seria
e motivo di prestigio per i neo laureati nonostante io consideri le
universita’ italiane di un livello decisamente superiore.
E’ altrettanto vero che le industrie e le universita’
americane sono piene di studenti indiani, che corrono in massa al richiamo del
nome prestigioso o di quel miraggio chiamato Stati Uniti d’America.
Di questo ne ho una prova diretta visto che molti miei
colleghi di lavoro statunitensi in realta’ sono cinesi e indiani, appunto.
La maggior parte dei giovani indiani pero’ non ha accesso
alle universita’, soprattutto private, perche’ troppo costose e di fatto si
viene a creare una discriminazione vera e propria.
Nel 2007 il governo ha posto rimedio a questa situazione,
decidendo, in accordo con le maggiori universita’ del paese, di riservare una
quota delle iscrizioni ai fuori casta o meglio alle caste piu’ umili (gli
intoccabili in realta’ avevano gia’ una quota di iscritti assicurata dalla
legge) che non pagano alcuna retta e assicurando, allo stesso tempo all’universita’
la base economica per sostenere questa iniziativa attraverso un aumento delle
iscrizioni annuali consentite.
Cambiamenti, cambiamenti, cambiamenti …
un sacco di cambiamenti ma torno a ripetere non e’ tutto
oro quello che luccica; sempre piu’ persone ad esempio si possono permettere
un’auto creando una continua rincorsa tra la costruzione di nuove strade e il
sempre crescente esercito di automobilisti alimentato dall’incredibile
esplosione demografica. Questo circolo continuo e’ il carburante
dell’economia indiana e’ il mezzo di propulsione verso un PIL a due cifre di
incremento, eppure o prima o poi questo cerchio si spezzera’ se qualcuno non
tirera’ il freno a mano prima, la popolazione non puo’ crescere
all’infinito cosi’ come infinito non e’ il territorio da sfruttare o le
persone disposte a lavorare per un pugno di riso.
Tutta questa rincorsa materialistica potrebbe finire prima o
poi, o quantomeno si potrebbe attenuare, penso sia impossibile generare
continuamente nuovi bisogni senza fare i conti con le risorse disponibili; solo
allora si vedra’ chi ha le basi per resistere al contraccolpo che generera’
questa brusca frenata del mondo globalizzato. Sono tutti miei pensieri, solo
idee magari sbagliate, ma una certezza ce l’ho: l’India sicuramente avra’
dentro di se’ la capacita’ di resistere e rigenerarsi, forse unica nazione
al mondo.
Amo sempre riportare queste parole di Terzani che mi
appassiona da sempre per la sua grande capacita’ di sintesi e il suo grande
spirito di esploratore dell’animo umano. Non credo sia frutto di casualita’
la sua scelta di vivere in India gli ultimi anni della sua vita:
“l’India e’ un paese povero, ma ha ancora, e forse e’
l’ultimo al mondo, una sua forte e profonda cultura spirituale, capace di
resistere all’ondata materialistica della globalizzazione che appiattisce ogni
identita’ e ingenera ovunque un soffocante conformismo. L’India resta un
paese a se’, un paese in cui il corpo sociale non e’ mosso esclusivamente da
aspirazioni terrene. Solo in questo paese oggi milioni e milioni di uomini e
donne, dopo una normale esistenza di padri e madri, impiegati o professionisti,
rinunciano a cio’ che e’ di questa vita, i possedimenti, gli affetti, il
nome, per diventare sanyasin, rinunciatari e vestiti d’arancione, all’eta’
in cui noi andiamo in pensione, si mettono in pellegrinaggio di tempio in tempio
vivendo d’elemosina.
Finche’ questo succedera’ e la popolazione continuera’
a nutrire i sanyasin, l’India rappresentera’ un’alternativa esistenziale e
filosofica al materialismo che oggi domina il resto del mondo. Per questo
l’India resta, nel fondo, un fronte di resistenza contro la globalizzazione e
in difesa delle diversita’.”
Devo sinceramente ammettere pero’ che alcune volte mi
prende lo sconforto di fronte ai continui cambiamenti che ogni volta mi ritrovo
davanti; a volte penso proprio che anche questo mondo, questa ’isola’ che si
chiama India, verra’ schiacciata dal tremendo richiamo di un modo di vivere
che non le e’ proprio, ma che genera continue speranze e illusioni delle quali
al giorno d’oggi la gente non sa piu’ fare a meno.
Eppure spesso ho di che stupirmi, dei minuscoli esempi che
secondo me fanno intravedere la bellezza di questa cultura e poi, diciamocelo,
fanno proprio bene al cuore.
Una volta ero seduto su un marciapiede all’ombra a Old Goa
aspettando un autobus che non sembrava passare mai ed ero cosi’ immerso nei
miei pensieri che probabilmente avevo una faccia un po’ stralunata, magari
anche solo per il caldo, non so; una vecchietta con il bastone e vestita con un
sari sgualcito mi ha chiesto:
“Well, Well , well ?!?”
All’inizio non capivo cosa intendesse, quella frase poteva
voler dir tutto e niente, poi ho capito quando mi ha sorriso e mi ha regalato
delle banane: pensava stessi male e mi ha dato da mangiare, il suo “well, well”
era riferito al mio stato d’animo e vi assicuro che non e’ una mia
interpretazione ma solo cio’ che ho sentito.
Un’altra volta ero a Sanchi e ho chiesto ad un negoziante
se potevo ricaricare la mia macchina fotografica da lui. Mi ha offerto una coca,
mi ha fatto leggere la posta elettronica, abbiamo chiacchierato a lungo e quando
ha saputo del mio amore per il suo paese mi ha abbracciato, in maniera sincera,
disinteressata.
La cultura indiana e’ imperniata sull’accoglienza, il
soccorso e l’ospitalita’, sul reciproco rispetto e sulla tolleranza tanto
e’ vero che qui vivono tante religioni insieme da centinaia di anni. Questo
non vuol dire che non ci sono acredini, anzi estremisti indu’ e musulmani sono
sempre pronti a farsi guerra, resta il fatto pero’ che la tolleranza e il
rispetto delle diversita’ sono i sentimenti
piu’ diffusi, come il raggiungimento di uno stato spirituale piu’
elevato attraverso le azioni del quotidiano. Questa pero’ e’ religione
piu’ che filosofia e cultura o meglio forse lo sono entrambe visto che
religione e filosofia in oriente spesso combaciano.
In India non sei mai solo, c’e’ sempre qualcuno, spesso
qui da noi invece tu sei solo, anche in mezzo alla folla.
Ad Ellora, tre anni fa, lasciai una manciata di rupie ad un
mendicante e poi mi fermai a bere in un baracchino sulla strada.
Vidi avvicinarsi al baracchino lo stesso mendicante dopo
qualche minuto e compro’ del chapati con le rupie che gli avevo dato.
Lo divise con altri …
C’e’ un’altra cosa che mi ha sempre colpito
dell’India: il gusto per tutto cio’ che e’ Kitsch, o meglio il gusto per
l’orrido come dico io.
La religione indu’ stessa e’ un po’ Kitsch, soprattutto
nella rappresentazione degli dei, sempre adornati di colori sgargianti, lucine
colorate e con quei visi un po’ improbabili e adornati della bigiotteria
piu’ assurda.
Adesivi, statuine, quadri tutti circondati da lucine
natalizie e colori sgargianti, quando alcuni anni fa vidi in Thailandia la
statuina in plastica del gatto che faceva “ciao ciao” con la zampina pensavo
di aver visto tutto e invece ho scoperto che nel mondo c’e’ molto di piu’
e soprattutto molto di peggio.
Non so a quanti e’ capitato di vedere un matrimonio
indiano, bhe’ a me si e piu’ di uno.
Ne ho visti un paio dal vivo e uno invece attraverso le
migliaia di foto di un mio collega.
Bellissimi colori, soprattutto i sari femminili sono
meravigliosi, bellissima l’atmosfera di festa ma per il resto c’e’ da
sgranare gli occhi almeno al gusto di noi occidentali.
Lui spesso e’ vestito come un maharaja con il copricapo
rosso e il pennacchio, gli sposi si siedono su due troni rossi al centro della
sala, musichetta di sottofondo, immagini di Shiva sparse qua e la’ con le
solite mille luci da farne da contorno …odore di incenso che si mischia a
quello delle tipiche spezie del cibo.
In realta’ il matrimonio faccio fatica a definirlo Kitsch
perche’ e’ sicuramente caratterizzato da aspetti un po’ estremi,
soprattutto dal punto di vista cromatico, ma allo stesso tempo la cerimonia in
se’ esprime una grande gioia, un grande senso di famiglia e di unione che non
saprei neanche descrivere con altre parole e che sicuramente fa passare in
secondo piano tutto il resto.
Ho sempre considerato eccessivi quei matrimoni dove gli sposi
arrivano a cavallo o meglio in carrozza trainata da cavalli, in India non ci
sono i cavalli ma gli elefanti e ovviamente non esiste una carrozza, ma gli
sposi arrivano sul dorso di quel tenero animalone che per l’occasione sfoggia
addobbi e chincaglieria sparsa; secondo me si sente anche un po’ scemo a
giudicare dallo sguardo perso nel vuoto.
Del resto basta entrare in un negozio qualsiasi per rendersi
conto dei gusti un po’ troppo eccessivi, almeno rispetto ai miei canoni:
statuine, posacenere, scrigni, adesivi, collane, bracciali, copricapi, vestiti
per occasioni importanti, tutto, tutto e’ iper colorato, luccicante, un po’
pacchiano, quasi fastidioso, eppure gli indiani sembrano andarne matti.
Spesso ho visto di fianco ai pc dei colleghi in ufficio gli
oggetti piu’ improbabili e vi assicuro che in alcuni casi non riuscivo neanche
ad identificare che cosa fosse; quando ne ho chiesto il significato spesso mi
sono perso tra le parole, tra i significati di qualcosa che mi era
incomprensibile, concludendo la frase con “ Ahh …nice !” anche quando non
avevo realmente capito.
La motivazione religiosa e’ spesso la base di tutte le
spiegazioni, ma in alcuni casi interviene anche la superstizione. Una volta sono
uscito a mangiare con un amico, e’ venuto a prendermi con la sua macchina
nuova davanti all’albergo e ho subito notato che aveva dei legacci
(coloratissimi ovviamente) che strisciavano terra, attaccati al parafango. Ho
chiesto che cosa fossero visto che erano pure lerci all’inverosimile, lui mi
ha semplicemente liquidato con un “Superstition !”.
“Ahh … nice !”
Questo capita non solo con le macchine nuove ma anche con le
case, o almeno cosi’ mi hanno detto visto che non ho appurato personalmente.
Sul tetto della casa o su cio’ che sembra un tetto vengono poste delle
maschere benaugurati per la casa stessa o per la nuova famiglia, questo gia’
mi sembra piu’ sensato che un paio di stracci; in ogni caso non mi sogno certo
di scherzare troppo su questi argomenti con loro visto che mi sono sempre
sembrati abbastanza suscettibili in materia e l’umorismo su queste cose non
e’ ben visto, neppure quello anglosassone nonostante i tanti anni di
dominazione.
Milan Kundera scriveva “ un mondo dove la merda è negata e
dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo ideale estetico si chiama
Kitsch.
Il Kitsch elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che
nell'esistenza umana è essenzialmente inaccettabile”.
Ammetto pero’ che, come ogni senso estetico, anche il
Kitsch ricade nel calderone del relativismo, spesso un oggetto e’ per noi un
po’ eccessivo ma per un'altra persona lo e’ di meno o non lo e’
affatto, figuriamoci se ci riferiamo ad una cultura diversa.
Quella Parvati danzante circondata di lucine colorate e
intermittenti magari e’ elegante, degna di risaltare tra le mille
raffigurazioni del pantheon indu’, per loro .. per noi e’ un eccesso in
tutto.
Un tema molto peculiare dell’India e’ l’incredibile
diversita’ di lingue riconosciute che sono piu’ di 30 ( da non confondere
con i dialetti che sono migliaia); l’Inglese in questo ha aiutato e non poco
l’unificazione del paese.
All’Hindi un po’ ho fatto l’orecchio come si usa dire
(sia chiaro non lo capisco e non lo parlo … anche se mi piacerebbe) ma quando
ho sentito discutere due uomini ad un distributore di benzina a Madurai sembrava
che parlassero due alieni !
Il Tamil di ceppo dravidico, e’ solo una di queste lingue
ed e’ impressionante la diversita’ con l’Hindi; non sono certo un esperto
ma le differenza sono come quelle dell’italiano con lo svedese (giusto a
titolo di esempio).
Questo rende ancor piu’ incredibile l’unita’ di questo
paese cosi’ grande, cosi’ diverso eppure in grado di vincere ogni spinta
divisionistica di fronte allo spirito di unita’ nazionale che mi sembra
pervada ogni indiano.
Piu’ in generale mi viene da dire che questi sono aspetti
che si possono magari intuire viaggiando per l’India e conoscendo persone
diverse anche se probabilmente bisognerebbe viverci per cercare di entrare
realmente in connessione con la coscienza collettiva indiana. Personalmente
cerco solo di farmi un’idea dei modelli di vita di questo immenso paese ma pur
sempre di idee si tratta e come tali sono basate su impressioni personali.
Un altro aspetto che mi ha sempre colpito della cultura
indiana e’ il vegetarianesimo che in alcuni casi e’ quasi estremo come nel
Jainismo dove la dieta del fedele esclude anche molti vegetali e persino l'acqua
viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. Per
la maggior parte di indiani pero’, di fede induista,
questo estremo non esiste, anche se l’essere vegetariano resta un punto
fondamentale nella propria vita.
Le prime volte che venivo da queste parti mi ricordo che il
mio pensiero ricorrente in merito era: “Bhe’ menomale, pensa se piu’ di un
miliardo di persone si mettesse contemporaneamente a mangiare carne, non
basterebbero tutti i polli, maiali e mucche del mondo”. A parte questa
considerazione un po’ troppo superficiale resta comunque oggettivamente vero
che la nostra alimentazione e’ anche funzione della loro, o meglio noi
possiamo permetterci determinati alimenti perche’ c’e’ chi per scelta o
per forza a quegli alimenti non ha accesso.
In realta’ poi scoprii che dietro questa scelta c’e’
molto di piu’ e ammetto di averne subito il fascino.
Per l'Induismo il rispetto e la cura dell'ambiente sono prima
di tutto una presa di coscienza filosofica e spirituale ed in seconda istanza
una questione etico-morale di natura sociale e civile; la prima non è più
importante della seconda, ma la seconda non può sussistere senza la prima. Per
l'Induismo, a monte di ogni azione e di ogni scelta, vi deve essere il vaglio
dell'intelletto supportato da una filosofia che da teorica divenga pratica nelle
azioni quotidiane. Il fedele induista non accetta nulla solo a livello di pura
fede (il fanatismo religioso in India è quasi sconosciuto, se si considera una
popolazione di circa un miliardo di persone); in qualche modo penso si possa
dire che la religione indu’ e’ una delle poche espressioni dove la fede e la
filosofia viene messa al servizio della propria intelligenza e del libero
arbitrio.
Ammetto di averci pensato diverse volte a questi concetti e
di aver tracciato spesso dei paralleli con altre religioni ma faccio fatica a
trovare qualcosa di equivalente visto che, altrove,
spesso i concetti espressi sono anche dei veri dogmi.
Allo stesso tempo pero’ ho sempre avuto posizioni
abbastanza contrarie a tutti quelli che cambiano religione solo nel tentativo di
trovare chissa’ che o che cosa, spesso ho accantonato queste conversioni a
scelte individuali di contrapposizione con il proprio “mondo” e anche ad un
po’ snobistiche. Penso semplicemente che ognuno possa trovare suggerimenti
nella propria fede senza cercarli altrove e applicare il buon senso, anteponendo
la propria coscienza a tutto il resto senza accettare dogmaticamente ogni cosa.
L’induismo ha solo messo in pratica tutto questo.
Torniamo pero’ indietro …
Il vegetarianesimo fa parte del modo di vivere dell'induista,
in virtù della contaminazione che il corpo riceve nel dover metabolizzare
sostanze già state metabolizzate dal proprietario di quel pezzo di carne a cui
è stato rubato insieme alla sua vita .
In realtà ciò che più sta a cuore all'induista è il
passaggio di karma nell'ingerire queste sostanze contaminate, in quanto la
vibrazione di dolore e sofferenza dell'animale che percepisce di essere ucciso
da lì a poco, diviene parte integrante della carne che andremo poi a mangiare.
Tutto ciò diviene ancora meglio comprensibile se si analizza come l'animale nel
momento precedente all'uccisione secerne degli acidi in grado di anestetizzare i
nervi e i muscoli per la sofferenza fisica che da lì a poco andrà a subire.
E’ un discorso un po’ complicato quindi, ma ha il suo
senso se visto in quest’ottica e posso sinceramente dire di condividerlo,
anche se ogni tanto mi perdo nell’incoerenza tipica del nostro modo di vivere
e di alimentarci.
E’ diverso tempo che ho scelto di non mangiare piu’
carne, anche se le proteine spesso le ingerisco grazie al pesce (oltre a
formaggio, soia e legumi).
Ho sempre giustificato questo ‘comportamento’ alimentare
con due motivazioni; la prima e’ la maggiore nobilta’ in termini salutistici
delle proteine del pesce (spesso prive di grassi saturi) e in secondo luogo, in
proposito di Karma, il pesce ha un sistema nervoso e di coscienza piu’
primitivo rispetto ad un qualunque mammifero e questo produce una minore
‘vibrazione’ di sofferenza dell’animale al momento dell’uccisione.
E’ semplicemente una mia idea ma se il primo punto e’
indiscutibilmente vero e scientifico sul secondo bhe’ … penso che la mia sia
solo un’opinione personale e forse, per motivi di coerenza, dovrei abbandonare
anche questa strada.
In aggiunta a questo sono sempre stato un sostenitore, in
generale, di una vita non basata su scelte drastiche, binarie se vogliamo, del
tipo questo si e questo no (anche se poi verso me stesso sono in realta’ molto
rigido), ma semplicemente di una vita a basso impatto ambientale, questo
permetterebbe a tutti di fare le proprie scelte senza che ogni decisione abbia
come conseguenza la restrizione di possibili scelte altrui. Mi spiego con un
esempio e torno al discorso carne: noi possiamo permetterci di mangiare carne
praticamente tutti i giorni grazie SOLO al fatto che in altre parti del mondo
qualcuno non puo’ mangiarla. Se tutti limitassimo il numero di volte in cui la
mangiamo oltre che un beneficio sulla salute ne gioverebbe anche una certa
redistribuzione mondiale. E’ ovvio che il rispetto per gli animali passa anche
attraverso altre strade ma qui il discorso si fa un po’ troppo lungo e forse
staremmo tutti meglio se ognuno prendesse coscienza di questo e diminuisse nella
sua vita quotidiana l’impatto ambientale quanto piu’ gli e’ possibile,
senza per questo ricorrere a scelte drastiche che alla maggior parte delle
persone procurano pericolosi fastidi.
Ho sempre sottolineato d’altra parte di come io sia
letteralmente stregato dall’India e dalla sua cultura, solo una cosa non
sopporto assolutamente: le loro spezie.
Non e’ un problema di piccante (che adoro) e’ proprio un
problema di gusto. Ci sono certi sapori che il mio corpo letteralmente rifiuta
di ingerire come il Curry, il Cumino, il Coriandolo e la Cannella … le chiamo
“le 4 C” e gli alimenti indiani ne sono letteralmente cosparsi, percio’
per me diventano intoccabili.
Resta il fatto che secondo me il punto e’ esattamente
opposto: gli indiani non sanno cosa siano le pietanze visto che le ricoprono
letteralmente di spezie e non gustano il sapore originario. Il riso, una pizza o
un piatto di lenticchie sanno esattamente della stessa cosa.
Esiste un’eccezione: la frutta e la verdura; per la prima
volta in India ho mangiato banane che sapevano di banane o mandarini che
sapevano di mandarini, per non parlare dei pomodori, da noi sanno di nulla
generalmente, ma questo se vogliamo e’ un altro problema.
L’India del Sud offre in questo una cucina profondamente
diversa da quella del Nord, intendiamoci … le spezie sono sempre present,i ma
le pietanze risultano di consistenza piu’asciutta, meno pappetta e la grande
presenza di riso in parte attenua i forti sapori Indiani; in aggiunta, la cucina
indiana del sud e’ piu’ ricca di pesce (specie sulla costa, ancora mi
ricordo dell’enorme tonno intero che mi portarono a Goa) e questo rende il
tutto piu’ tollerabile al mio palato come lo sono le frittatine o i sottaceti
serviti su foglie di banano.
La realta’ comunque e’ che personalmente sto abbastanza
alla larga dalla cucina indiana nel suo genere anche se ne riconosco il profondo
legame che ha con la sua cultura e di questo me ne dispiaccio, vorrei proprio
riuscire a mangiare un po’ di tutto ma il mio palato si rifiuta.
Una volta ero a Madurai nel Tamil Nadu e ho provato a
prendere il classico Dhal che altro non e’ che una zuppa di legumi, in quel
caso mi sembrava di lenticchie … bhe’ ancor prima di arrivare alle labbra,
e’ stato il mio naso a rifiutare l’ingestione e fermare la mia mano che
allegramente stava portando il cucchiaio alla bocca !
E’ un limite me ne rendo conto, e’ un limite specialmente
in India dove sinceramente non mi stupirei di vedere un giorno anche una tigre
brucare dell’erba … purche’ ben condita di curry !
Andrea Veggetti