Ritorno a Goa
India
Diario di viaggio
PREFAZIONE:
Ho un bel ricordo di quegli anni in cui, poco piu’
che bambino, mi sedevo sulle scale esterne di casa mia che, dalla balconata,
portavano a piano terra. Quante volte facevo su e’ giu’ per quelle scale con
il pallone in mano per scendere in cortile a giocare finche’ non sentivo
l’urlo di mia madre per salire a fare i compiti o perche’ il pranzo o la
cena erano pronti. La scala era condivisa con un altro appartamento che aveva la
balconata comune con il mio, come se fosse una piccola casa di corte.
Spesso incrociavo il figlio dei miei vicini di casa un
po’ piu’ grande di me, anzi decisamente piu’ grande di me e allora mi
piaceva sedermi e stare li’ ad ascoltare i suoi racconti dei suoi viaggi
incredibilmente avventurosi e fatti con pochi mezzi e due soldi in tasca. Quelle
lunghe traversate del medio oriente con Renault 4 o Citroen 2Cv o addirittura in
autostop, attraverso la Turchia, la Siria, l’Iraq (allora sicuro), l’Iran e
la tanto agognata meta dell’Afganistan all’epoca paese tranquillo e
moderato, vivace nei suoi mercati e nelle bellezze incontaminate delle sue
montagne irraggiungibili e dei suoi laghi alpini, azzurri come i turchesi che
produceva.
Questa era una tappa, poi si riprendeva il cammino
attraverso il Pakistan e L’India fino a fermarsi a Goa e da li’ preparare il
ritorno sempre che non si prendeva
la decisione di fermarsi un giorno, un mese in piu’ o per sempre. Non
c’erano aerei che ti aspettavano, ci si muoveva solo con mezzi di fortuna alla
ricerca poi di chissa’ che, questo sinceramente non lo capivo. Spesso si dice
che non e’ importante l’emozione che provi quando arrivi alla meta, ma
quella che hai provato mentre viaggiavi per raggiungerla e mai come in questi
casi credo sia vera.
Lui e’ un figlio di una generazione, quella del 68,
che intraprendeva questi viaggi anche alla ricerca dello sballo dell’ultimo
ritrovato psichedelico tanto di moda in quegli anni e, l’hashish dell’Afganistan,
era un richiamo irresistibile come la tolleranza di Goa verso gli stupefacenti.
Per molti di loro e’ stata una strada senza uscita sfociata nell’eroina di
inizio anni ottanta quando io, allora poco piu’ che bambino, mi sedevo su
quelle scale a sentire i suoi racconti. Ero affascinato dal viaggio, dal
percorso, dai luoghi e dalle genti incontrate, era meglio che leggere un
qualunque sussidiario scolastico, io le droghe non sapevo neanche cosa fossero,
ma per viaggiare con la fantasia, bhe’ ero molto bravo e non avevo bisogno di
additivi chimici, mi bastava ascoltare e immaginare le montagne afgane o le
palme delle spiagge incontaminate di Goa pensando
che un giorno magari ci sarei andato anch’io.
GIORNO 1:
Ancora una volta in India per lavoro e ancora una volta mi
sono ritrovato a pensare dove trascorrere il weekend. In realta’ questo giro
di dubbi ne ho avuti pochi, ho prenotato un volo con una compagnia low cost
indiana verso Goa; 2 giorni nulla piu’ ma probabilmente sufficienti per farmi
un’idea del posto che immaginavo quasi 30 anni fa. La situazione e’
sicuramente molto cambiata da allora, ma resta il fascino di un luogo isolato
dal resto dell’India (fu colonia portoghese fino agli anni ’60), una regione
di maggioranza cattolica e stracolma di chiese, tanto che sembra di tornare in
qualche citta’ coloniale dell’America Latina o del Brasile.
Scendo dall’aereo che e’ gia’ buio pesto e, vista
l’ora, cerco un taxi che mi porti verso sud, piu’ precisamente alla spiaggia
di Palolem a 70Km da qui. Fortunatamente esiste una piccola agenzia con tariffe
pre-pagate per i taxi, evito cosi’ di perdermi in estenuanti trattative ed in
fondo le 900 rupie mi sembrano piu’ che ragionevoli.
Dopo un breve rettilineo la strada si biforca in due
dirigendosi da una parte verso la capitale Panjim dall’altra verso Margao e il
sud, la mia direzione. In pochi Km la strada diventa scarsamente illuminata e la
vegetazione e’ rigogliosissima, tanto che ai lati ingloba ogni visione; mi
sembra di essere fuori luogo, i nomi portoghesi e soprattutto il caldo mi fanno
venire voglia di una caipirina piu’ che di una fresca Kingfisher.
L’autista guida come un pazzo nell’oscurita’ piu’
totale e in alcuni momenti penso veramente che questo e’ il mio ultimo
viaggio; chissa’ poi perche’ proprio in quei momenti pensi o ti vengono in
mente le cose piu’ assurde del tipo “Cazzo, devo fermarmi a prelevare !!!”
… Gia’ prelevare … ma dove ???
Grazie al cielo arriviamo a Margao che e’ circa a
meta’ strada verso Palolem e mi dedico alla ricerca di uno sportello VISA e ad
un breve messaggio a mia moglie Paola evitando la descrizione del pilota di
rally che ho trovato.
Eccolo la’ finalmente, ben illuminato uno sportello
automatico che fa al caso mio, peccato che tutte le indicazioni una volta
inserita la tessera siano in Indy ! Non ci capisco una fava e vado un po’ ad
intuito (ma quale poi ...), fortunatamente le cifre sono in caratteri
occidentale e con la speranza di non aver fatto chissa’ quale altra
transazione ottengo i miei soldi.
Ricomincia il rally nel buio piu’ assoluto, ogni tanto
si incontra qualche villaggio e qualche casa poco illuminata ma nulla piu’.
Chiedo mille volte di rallentare un po’ con l’effetto di tornare a
velocita’ ragionevoli per qualche minuto per poi pero’ correre di nuovo.
Fortunatamente la strada si fa piu’ bella poco prima di Palolem dove arriviamo
verso le 21.
In realta’ il taxista non sa neanche dove sia il Cozy
Nook (ma che razza di nome e’ ???) e mi lascia alla fine di una strada
sterrata tentando di convincermi ad andare in un hotel che lui conosce bene,
molto economico, pulitissimo, bla bla bla … Ho letto sulla Lonely Planet di
questi bungalows sulla spiaggia e voglio provarli, il Cozy e’ situato alla
fine della lunga spiaggia di Palolem, nell’estremita’ settentrionale.
Pago 10 Rupie ad un ragazzino per accompagnarmi e, data la
numerosita’ di costruzioni sulla battigia e il buio, rischierei di perdermi e
non ho certo voglia di girare troppo a lungo con lo zaino in spalla.
Il percorso e’ abbastanza breve e arriviamo in un luogo
che mi sembra la scenografia del famoso film “paradise”.
Il cielo stellato e la luna piena creano un’atmosfera
magica intorno a queste vecchie costruzioni immerse nelle palme, non si vede in
giro nessuno se non la proprietaria che, insonnolita, mi da la chiave per il mio
bungalow, non prima di aver pagato le 800 Rupie richieste.
In realta’ l’interno della costruzione si rivela per
quello che e’: una baracca diroccata, con un letto umido e non proprio pulito
e il bagno ... bhe’ meglio tralasciare i particolari. Appoggio il mio zaino di
fianco al letto ed esco immediatamente alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma
non faccio molta strada. La spiaggia e’cosparsa di locali ed entro nel primo
che mi ispira di piu’. Ho una sedia e un tavolo sulla sabbia e il tutto viene
illuminato da poche luci e molte candele .. peccato in questa circostanza essere
da solo.
Ordino un tonno e una birra ma quando dopo piu’ di
un’ora non arriva nulla, a parte
la birra, inzio a scocciarmi e a chiedere ma la risposta e’ sempre la stessa
… “Sorry Sir the tuna
requires a lot of time to be well cooked” .
Mah
!
A me il trancio di tonno piace poco cotto altrimenti
risulta troppo legnoso e ci si mette pochi minuti per cucinarlo.
Ordino un’altra birra ed ecco finalmente arriva la mia
pietanza e … rimango impietrito.
Mi hanno portato un tonno intero cotto alla brace !!!!!!!
Saranno almeno 7 o 8 Kg … inizio a mangiare scartando
coda e testa, quasi non ci credo e mi metto a ridere da solo. Non tarda ad
arrivare compagnia e un cane da sotto il tavolo mi guarda con occhi languidi e
bolle alla bocca … bhe’ diciamo che ho trovato qualcuno con cui dividere gli
avanzi.
Ovviamente non finisco il tutto, anche se ne mangio buona
parte, anzi ne mangiamo buona parte, alla fine siamo esausti e il mio cane di
compagnia e’ stravolto a pancia all’aria.
Il conto ?? 400 Rupie (8 Euro) di cui la meta’ per la
birra, in Italia una cena del genere mi sarebbe costata centinaia di euro. Anche
questa e’ l’India e mi riavvio lungo la battigia nel buio piu’ totale con
la pancia piena e qualche senso di colpa verso chi muore ancora di fame in
questo incredibile paese.
Guardo il mio bungalow, che mi sembra molto una capanna
viste le condizioni, ma non importa il luogo e’ magnifico e sono stanco, mi
addormento ancora vestito sotto la zanzariera.
GIORNO 2:
La luce del giorno filtra fastidiosa tra le assi mal unite
del bungalow e mi sveglia dopo una notte non proprio tranquilla.
Mi ritrovo le ossa scricchiolanti e una faccia che sembra
pesta, guardo l’ora … “Cavolo
non sono nemmeno le 6 !”.
Mi lavo la faccia in una specie di tinozza nel bagno che
dovrebbe fungere da lavandino e poi esco. Il sole e’ ancora basso
sull’orizzonte e illumina di sfumature rosate la sabbia e il mare ne fa da
contorno turchese.
Resto per qualche minuto seduto su uno scheletro di una
vecchia barca ad osservare, godendomi l’insolita quiete e la leggera brezza
marina che scuote la foresta di palme alle mie spalle. Sembra proprio un
paradiso, anche se ben presto la spiaggia verra’ pacificamente invasa da una
moltitudine di persone al lavoro, in cerca di relax o a fare due chiacchiere, in
India la solitudine sembra una parola sconosciuta.
Ritorno lentamente verso la mia capanna e mi sdraio sul
letto in attesa di un’ora piu’ consona per cercare di fare colazione ..
leggo e mi addormento ancora per un’ora.
Ci sono piu’ locali
e piccoli ristoranti sulla spiaggia che persone, in effetti il turismo ha
invaso anche queste zone portando benessere ma anche
scempio edilizio e maggiore disuguaglianza sociale sempre che in India
possa ancora peggiorare.
Mi fermo su un terrazzino con una spremuta di frutta e una
crepe dolce e in attesa di decidere cosa fare, mi godo il via vai di persone e
la frenesia dei pescatori intenti a caricare piccoli furgoni con il frutto del
loro lavoro.
Decido di non decidere nulla e non fare nulla se non
camminare …
La spiaggia e’ lunga e descrive una splendida mezzaluna
di sabbia, tempo ne ho, quindi senza fretta mi avvio nella direzione opposta
rispetto a dove sono arrivato.
Guardare in India vuol dire perdersi, cadere in uno stato
sub cosciente in cui noti i dettagli delle infinite diversita’ tra i volti
della gente, tra i colori dei vestiti e della natura, tra gli odori delle spezie
e quelli di improbabili profumi, guardare vuol dire osservare la vita scorrere
come se il tempo si contraesse in un solo punto: quello del tuo sguardo.
Anche in altri luoghi mi e’ capitato di perdermi e
guardare la gente e la vita scorrere vicino a me senza accorgermi del
trascorrere del tempo, come quella volta a Chichicastenago in Guatemala dove
passai piu’ di due ore seduto sui gradini di una chiesa, ma qui e’ diverso,
qui mi capita piu’ spesso.
Riprendo coscienza che avro’ percorso gia’ qualche Km
sulla battigia, appena in tempo per evitare una coppia di mucche scheletriche
impegnate a dormire sotto un sole caldissimo; appena mi avvicino una delle due
apre un occhio per vedere chi sia lo scocciatore e poi riprende nella sua
attivita’ di nullafacenza. “Va bhe’ ho capito .. me ne vado !!”.
Poco piu’ avanti decido che e’ venuta l’ora di fare
il mio primo bagno nell’Oceano Indiano che sulla costa occidentale
dell’India assume il nome di Mare arabico, penso comunque stia meglio dire
“Ho fatto un bagno nell’Oceano Indiano, o no ??” ecco ogni tanto mi perdo
via in queste stupidate, chissa’ poi perche’ …
Resta pero’ il risultato, un’acqua cristallina ad una
temperatura piu’ che gradevole, insomma confermo la mia prima impressione di
essere in un angolo, non troppo nascosto purtroppo, del paradiso.
Mi allontano con qualche bracciata finche’ non vedo bene
tutto l’orizzonte di questa mezzaluna di palme e immagino questo posto come
doveva essere piu’ di 30 anni fa, quando probabilmente non c’era nulla
piu’ che un piccolo villaggio di pescatori.
Esco mal volentieri dalla frescura dell’acqua, e mi
stendo qualche minuto su un foulard gigante che ho acquistato prima in una
bancarella e che adesso uso come salvietta da spiaggia.
Difficile quantificare il tempo quando non fai nulla,
forse secondi forse ore, resta il fatto che mi desto dalla mia vita da spiaggia
solo quando sento lo stomaco brontolare. Torno volentieri al piccolo ristorante
sulla spiaggia di ieri sera, ma, per oggi evito il tonno!
Passo il resto del pomeriggio a girovagare senza meta e a
dedicarmi alla mia macchina fotografica, in fondo qui a Palolem non c’e’
molto da fare e il paesino si riassume in poche case e molti banchetti di
artigianato locale. Il tempo vola come al solito e in men che non si dica mi
ritrovo a pensare a dove cenare e a trovare un’auto che mi porti a Panjim
domani.
Ho sempre dichiarato di non essere contrario a provare
ristoranti italiani all’estero, anzi, la considero un’esperienza culinaria
spesso positiva. In aggiunta oggi ho due motivazioni in piu’: la prima e’
che Palolem ospita una dei migliori ristoranti italiani del Goa e la seconda
e’ la mia ben nota avversione alla cucina indiana (amo tutto dell’India
tranne il cibo !).
I prezzi abbastanza ‘indiani’ fanno il resto e in un
amen ho gia’ le gambe sotto il tavolo.
Il proprietario e’ un toscano che vive qui da anni,
anche se non disdegna fare avanti e indietro dall’Italia e visto che sono
l’unico italiano del locale si siede con me e inizia a chiacchierare.
Oltre alla sua vita, mi racconta anche della nuova
situazione politico-sociale di Goa e di come i nuovi ricchi russi stiano
colonizzando il nord, la zona della famosa spiaggia di Vagator per intenderci.
Io dico poco o nulla, mangio e annuisco e quando faccio
per intervenire lui continua nel suo discorso infinito; insomma e’ parecchio
che non parla in Italiano e si deve sfogare con il malcapitato di turno che poi
sono io.
Esco con un leggero stordimento ma con la pancia
soddisfatta e trovo anche un taxi per domani disposto a portarmi a Panjim, la
capitale di Goa (900 Rupie). Volevo andare come mio solito con i mezzi ma questo
giro ho veramente poco tempo …so che lo rimpiangero’ ma il taxi mi permette
di risparmiare diverse ore.
Sembra Natale, le luci colorate illuminano i locali sulla
spiaggia e percorro non so quanto nella penombra del bagnasciuga, divertendomi
ad osservare il via vai dai bar e i chiassosi ritrovi “rave” dei ragazzi del
posto, alla ricerca forse di un qualche tipo di sballo. La luna fa da
contraltare a questo ambiente strafottente ma spensierato dove ogni
preoccupazione annega nei decibel della musica e nell’alcool della birra.
Mi fermo in un bar dove un gruppo di inglesi sta guardando
una partita del Manchester United; e’ molto semplice restare coinvolti nel
loro tifo e nella loro simpatia, a fine partita dopo non so quante birre ci
avviamo lungo la spiaggia ognuno in una direzione diversa verso il proprio
bungalow, solo che nella condizione un po’ alticcia in cui siamo la strada
sembra non finire mai. Ogni tanto mi giro e la luna continua a guardarmi come a
rimproverarmi di aver accusato di strafottenza quel mondo e poi averne fatto
parte questa notte!
“Grazie Luna” per avermelo ricordato ma … io non
sono mai stato un esempio di coerenza, soprattutto verso me stesso.
GIORNO 3:
E’ tempo di alzarmi, la luce filtrante ancora una volta
mi perseguita e i buchi nella zanzariera sembrano quasi amplificarla.
Poco male, me ne devo andare.
Lascio questo splendido tugurio, mi carico lo zaino in
spalla e quando chiudo quella specie di porta alle mie spalle provo quasi una
sensazione di malinconia che mi accompagna costantemente ogni volta che lascio
un luogo.
Ripercorro lentamente la spiaggia lasciandomi trasportare
un po’ dai pensieri, un po’ dal peso dello zaino e la temperatura mite del
mattino non fa altro che cullare questa mia andatura curvilinea.
Le solite mucche mi guardano un po’ assonnate, faccio
giusto in tempo ad accarezzarne una che spunta il taxista con cui ho
appuntamento e mi accompagna alla sua macchina … macchina Oddio chiamarla
macchina …
Ho quasi schifo a buttare il mio zaino nel bagagliaio …
e il mio zaino e’ parecchio sporco !
Mi siedo dietro e cerco di dormicchiare un po’ anche se
alla fine ricado nella mia solita modalita’ di viaggio : osservo il mondo
fuori dal finestrino. Appena cado in un leggero sonno ci pensa una buca e le
relative imprecazioni dell’autista a riportarmi al mondo reale. Mi viene da
ridere non so come possano essere le imprecazioni in India, ma qui siamo a Goa
che e’ fortemente cattolica e lui ha un piccolo crocifisso appeso allo
specchietto retrovisore. Bhe’ allora le imprecazioni posso gia’ immaginarle
di piu’ …
Rifacciamo a ritroso il percorso dell’andata alla luce
del sole questa volta con l’ulteriore differenza che il “driver” non si
sente un pilota di formula 1 mancato e quindi l’andatura e’ piu’
rilassata.
Ripassiamo dopo poco piu’ di un’ora l’incrocio
dell’aeroporto e dopo ulteriori 40 minuti siamo a Panjim la nuova capitale del
Goa.
Mi faccio lasciare vicino ad un piccolo hotel il Mayfair,
che per 735 Rupie mi affitta uno stanzino piccolo e spartano ma in ordine e
abbastanza pulito.
Dopo mezz’ora di svacco sul letto decido di uscire per
mangiare qualcosa e cercare un autobus che mi porti ad OLD Goa la vecchia
capitale, ricca di chiese coloniali portoghesi.
Le vie hanno tutti nomi portoghesi, sembra di essere a
Lisbona o Salvador De Bahia in piu’, quando arrivo sulla scalinata della
chiesa di Our Lady Of Immaculate Conception, vedo una sposa vestita con il
classico abito bianco con la differenza che lei e’ indiana !!! Rimango interi
minuti a guardare, mi fa specie vedere un matrimonio in rito cattolico in un
paese con quasi un miliardo di Indu’, sembra felice e quando mi passa vicino
accenno un sorriso subito ricambiato.
Mi perdo, come sempre quando cammino con il naso per aria,
tra chiesette bianche, balconi fioriti e casupole basse tipiche piu’ di
regioni mediterranee.
Trovo un baracchino che vende la frutta e mi compro delle
banane e una specie di limone dolce che non saprei neanche definire, approfitto
per chiedere informazioni per la stazione dei bus ma le indicazioni sono vaghe e
in un misto di anglo-portoghese.
Mi arrangio con la cartina della Lonely e qualche
sporadica indicazione, alla fine arrivo, facendo probabilmente un giro enorme.
Faccio il biglietto di poche rupie e mi siedo sul solito,
immancabile scassatissimo autobus indiano; per fortuna che il tragitto e’
relativamente breve altrimenti le mie chiappe si sarebbero tumefatte dalle
continue botte che prendo. Ogni buca e’ come ricevere un calcio nel culo senza
preavviso.
Inizio la visita con la chiesa di San Francesco d’Assisi
costruita nei primi anni del 1500 da frati francescani ( e chi senno’ con
questo nome) e poi entro nella Se Cathedral poco piu’ tarda voluta dal
governatore Dom Sebastiao. Entrambe contengono interessanti dipinti e
raffigurazioni lignee, tra le quali l’altare, ma nulla che mi entusiasma
cosi’ tanto da fermarmi piu’ di qualche minuto. In realta’ il mio
interesse va dall’altra parte della strada dove si intravede un’infinita
distesa di rovine, frutto della devastazione dell’inquisizione spagnola. Per
ora continuo la mia visita su questo lato e mi dirigo verso la chiesa di San
Cajetan (una San Pietro in piccolo) e verso il molo del Mondovi River. Mi fermo
parecchio alla frescura della boscaglia ad osservare il via vai di gente e le
barche passare. Un cucciolo di scimmia si avvicina e gli regalo una delle banane
che avevo comprato; passo il tempo cosi’ nella nullafacenza totale a guardare
il mondo che si muove davanti, per una volta non lo seguo e mi siedo in
disparte.
Sono altrove con la testa e mi accorgo che e’ tempo di
muovermi solo quando la scimmia si avvicina di nuovo in cerca di cibo e mi
scuote dal torpore in cui sono precipitato.
Il caldo si fa di nuovo opprimente una volta fuori
dall’ombra della boscaglia e impiego quella che mi sembra un’eternita’ ad
arrivare alla basilica di Bom Jesus che contiene le spoglie di Francesco Saverio
evangelizzatore delle colonie portoghesi in Oriente.
Esco presto anche da questa chiesa e mi dirigo verso le
rovine della chiesa di St Augustine, costruita nel 1600 da frati Agostiniani e
poi abbandonata e caduta in rovina 2 secoli piu’ tardi quando il governo
portoghese decise di espellere alcuni ordini religiosi da Goa.
Al solito amo aggirarmi tra le rovine, colonne, archi in
pietra, parti di altari e torri
diroccate. Ci perdo piu’ di mezz’ora prima di visitare il vicino convento di
Santa Monica e riavviarmi sulla polverosa strada del ritorno.
Autobus non se ne vedono e mi siedo su un marciapiedi
all’ombra di una pianta immensa, prima o poi arrivera’ …
E infatti dopo piu’ di mezz’ora eccolo,
all’orizzonte, stracolmo di gente, non entra nemmeno un moscerino e cosi’ mi
appendo alla scala esterna visto che il tetto e’ gia’ pieno. E’
incredibile come il bigliettaio riesce a raggiungermi pure li per pagare le
poche rupie richieste. In fondo la sistemazione non e’ neanche malaccio e il
vento attenua la pesante calura pomeridiana. Ad ogni buca temo per il mio zaino
con la macchina fotografica ma in fondo l’andatura e’ abbastanza tranquilla
ed evita a tutti forti scossoni.
Arrivo alla stazione di Panjim con un braccio
informicolato e i vestiti ricoperti di polvere. Avrei probabilmente bisogno di
una doccia ma e’ relativamente presto e mi avvio a fare un itinerario a piedi
di circa un’ora che attraversa i quartieri di Fontainhas e Altinho da dove si
gode una splendida vista sulla citta’ e dintorni essendo un quartiere di
ricchi posizionato su una collina .. un po’ come Beverly Hills. Ho il tempo di
visitare anche il Maruti Temple consacrato al dio scimmia Indu’ Hanuman anche
se devo sloggiare velocemente per l’incombenza di una cerimonia, nessuno mi
dice nulla ma voglio evitare spiacevoli inconvenienti. Sinceramente non saprei
bene nemmeno come comportarmi e magari la semplice mia presenza potrebbe
infastidire qualcuno anche se trovo generalmente l’India un paese molto
tollerante con tutti. Non serve ricordare i sanguinosi scontri tra Indu’ e
Musulmani ma questo e’ un altro discorso.
Arrivo all’albergo che ormai e’ tardo pomeriggio e
prima della stra-necessaria doccia mi cerco un taxi che domattina presto mi
riporti in aeroporto; 500 Rupie mi sembra un furto ma qui sembra che tutti siano
concordi a chiedere le medesime tariffe senza margine di contratto e va bhe’
in fondo chissenefrega.
La via del ritorno e’ buia e poco illuminata e ogni
tanto qualche lampione getta luce nell’oscurita’ serale; noto la mia
immagine nella vetrina di un negozio e mi vedo stanco della lunga giornata,
impolverato e con lo zaino in condizioni pietose; mi rivedo cosi’ ragazzino
quando tornavo in casa pieno di terra del cortile dove giocavo e mi fermavo su
quelle famose scale a sentire i racconti di Goa, con la sola differenza che
allora non avevo uno zaino in mano ma il pallone di calcio.
Andrea