GIORDANIA e SIRIA
Diario di viaggio 2006
di Marco Penna
Si parte rilassati come al solito, incuranti dei timori sul medioriente in generale ma non superficiali: prese le dovute e corrette informazioni, capiamo che non stiamo certamente andando in guerra!
Cerchiamo di non fare di tutte le erbe un fascio, del resto le decine per non dire centinaia di italiani che incontreremo, sia in Giordania che in Siria,non possono essere tutti classificati come degli incoscienti!
Le sensazioni vanno riportate a caldo, una volta in passato con diari scritti a mano, unti e bisunti dalle macchie di sapone, di dentrificio, di birra, e soprattutto dell’immancabile tea regolarmente troppo bollente e raffreddato col latte freddo per non dire talvolta rancido nelle colazioni degli ostelli di mezzo mondo.
Oggi vado direttamente sulla tastiera e parto appunto dalla
capitale giordana di…
AMMAN
La capitale giordana di Amman ci vede arrivare nel cuore della notte, ci
vengono a prendere addirittura dall’ostello, in via eccezionale prenotato
prima causa arrivo notturno che renderebbe impossibile quell’affascinante e
casuale ricerca di un giaciglio dove dormire che ha costituito il sale di tanti
miei viaggi. La città esteticamente l’indomani si presenta ai nostri occhi
con un grigiore diffuso nei colori delle case che le conferiscono un aspetto
anonimo, ma bisogna girare per vedere il bello della capitale: il punto
d’osservazione più alto avviene nella collina del qalah, cioè la cittadella
dove,nell’ordine, vediamo un semidistrutto tempio di Ercole, un bel museo
archeologico ed il qasr, che sarebbe un bel palazzo omayade(sentiremo spesso
riparlare di questi omayadi…). In basso vediamo il teatro romano col relativo
foro, quindi discesi dalla collina andiamo dentro al teatro, con il simpatico
Lioar, che in perfetto stile locale ci propone di accompagnarci dappertutto a
prezzi, con tutto il rispetto, ridicoli per qualunque occidentale ma
evidentemente importanti per loro( fra l’altro scopriamo che pagano la
“mostruosità” dell’equivalente di 8 dollari americani per 34 litri di
benzina!).
Oltretutto Amman è enorme, siamo ben oltre il milione di abitanti, quindi la macchina di Lioar ci fa comodo, così come il fatto che scopriremo che è uno dei pochi locali che parla un perfetto inglese dopo i suoi 6 anni a Dubai, che ci aprono le porte ad un altro affascinante mondo che incuriosisce tanto l’occidente.
Siamo certi però che il vero medioriente lo troviamo qui e non a Dubai, quindi spendiamo un veloce pranzetto dalle parti del teatro romano col relativo foro, ci sono anche un paio di decenti piccoli musei rispettivamente delle tradizioni popolari e del folklore.
Nel pomeriggio vediamo le moschee più belle della città, mi colpisce molto che una è proprio accanto ad una chiesa cattolica, in tutte è possibile tranquillamente fare foto o riprese, cosa che difficilmente mi è accaduta in altre moschee. Lasciata l’unica non visitabile semplicemente perché era chiusa, ci spostiamo vicini alla bella galleria d’arte del darat al-funun, totalmente occidentale nel design interno, ma non nelle esposizioni che abbracciano tutte le nazioni mediorientali, una più affascinante dell’altra ai nostri occhi abituati ovviamente all’arte europea.
In questa città non ci sono dei veri e propri suq, ovvero i bazar strapieni che tanto affascinano l’occidente, ma ugualmente vediamo esposti in negozi di stile “mondiale” solo nella collocazione(cioè ai lati dei marciapiedi) della merce tipicamente locale in tutto e per tutto. Qui ricordo che Amman ha pure un’anima completamente occidentale nel quartiere di gebel, se non fosse per le scritte in arabo dei negozi sembrerebbe veramente di essere da noi, palazzi ed alberghi modernissimi e scintillanti, ma per fortuna nella splendida illuminazione artificiale della notte vediamo illuminata in cima a questo quartiere un’altra immensa moschea che ci ricorda con gli immancabili canti dei muezzin che siamo nel cuore dell’islam(a scanso di equivoci, un islam moderato e non come lo “temono” molti nell’occidente); qui pur essendo la prima moschea con separazione per donne ed uomini durante la preghiera è come sempre possibile fare foto o riprese o parlare con la gente del posto. Nel mentre Lioar ci fa notare di non sorprenderci per l’estremismo estetico e di conseguenza(secondo lui) mentale di pochissime donne che oltre alla bocca coperta portano anche dei guanti, neri pure quelli. La cena avviene nell’elegante ristorante libanese fakhr el-din dove facciamo la conoscenza dei mezzeh, gli straordinari antipasti che da soli valgono una cena, anche se fumano tutti pure dentro il locale, del resto dentro e fuori qualunque ambiente qui fumano proprio tutti ed ininterrottamente. Almeno è più pittoresco, nonché meno puzzolente, vederli ogni tanto passare dalle sigarette(o al sigaro) al famoso narghilé, cioè quella specie di alambicco che col tabacco profumato gradiscono proprio tutti da queste parti.
I narghilé me li ricordavo perfettamente dal mio viaggio
egiziano e mi fa piacere ritrovarli qui, mentre invece con gli alcolici ci
rendiamo conto che non sono certamente incoraggiati ma nemmeno si fanno problemi
per servirti la birra locale. Il resto della cena è altrettanto squisita e ci
avviamo addirittura a piedi all’ostello, dato che eravamo frattanto tornati
vicino al medesimo: da rimarcare l’assoluta tranquillità quasi nel cuore
della notte della capitale, qua è là vediamo altri stranieri che girano
tranquillamente da soli! L’indomani un bus di prima mattina ci porta a…
PETRA
Abbiamo deciso per tutto il viaggio di servirci dei bus locali, una
maniera concreta come sempre di entrare nel cuore di un paese, e dato che qui la
ferrovia è praticamente inesistente facciamo la conoscenza della perfetta rete
stradale, pur non dimenticando che ci siamo mossi praticamente solo tra le
grandi città della Giordania o della Siria(quindi non esprimeremo un giudizio
completo perché secondo me la vera anima di un paese la vedi nei piccoli
paesini). Per tastare il terreno cominciamo dalla compagnia ritenuta più
affidabile, ma poi scopriremo tutte le altre e praticamente nel rispetto degli
orari, nella pulizia e nella tenuta di strada si equivalgono tutte (addirittura
per le tratte più frequentate effettuano collegamenti ogni ora!). Ovviamente
rispetto all’occidente cambia la composizione della gente, ci sono sempre dei
viaggiatori immancabilmente bianchi da ogni angolo del mondo, ma sono una netta
minoranza tra una marea di uomini che sembrano spostarsi per lavoro date le loro
carte, e ci sono anche diverse donne più o meno velate e sempre con bambini al
seguito. E’capitato spesso che i bambini locali, quasi sempre vestiti
totalmente all’occidentale, avessero voglia di giocare coi ragazzi bianchi
accanto a loro, per le madri(invece vestite immancabilmente di nero) nessun
problema, ma si nota solo che se le madri devono parlare del più e del meno
preferiscono, o sono costrette a farlo, solo con la donna della coppia di turno.
Non riesco a far immaginare per iscritto la stranezza con la quale vengono guardati i viaggiatori solitari, e ciò indipendentemente dal fatto di essere donna o uomo. Preciso che se è una donna, da sola o in coppia, viene guardata più a lungo dagli uomini, ma mi sembra di non avere visto nemmeno una volta quel senso di aggressività negli sguardi maschili che le poverette devono sopportare ad altre latitudini. Sicuramente vedo gli occhi degli uomini che per prima cosa puntano i capelli femminili, in quanto a casa loro immagino che li vedano alla moglie, ma per il resto fuori non esiste vedere una sola donna coi capelli scoperti…se poi una ha dei bellissimi capelli come mia moglie allora vengono letteralmente “studiati”, da entrambi i sessi del posto. Queste le sensazioni del nostro primo bus, e praticamente di tutti gli altri, ma proprio il primo è stato quello con la maggiore presenza di bianchi in quanto portava appunto alla leggendaria città di Petra, della quale è quasi inutile dire che è patrimonio mondiale dell’Unesco. Mi sono dilungato a parlare di sensazioni di viaggio invece di cominciare a parlare di Petra perché tanto è…indescrivibile!
L’atmosfera è talmente unica che una semplice descrizione di quello che si vede non basta né quantitativamente né soprattutto qualitativamente: posso solo dare un paio di numeri circa i quasi 4 km di lunghezza delle rovine, da raddoppiare col ritorno ed ancor più da quadruplicare in termini di fatica con i quasi 800 gradini che portano al monastero in fondo all’intero complesso. Le quasi 800 tombe presenti renderebbero una visita completa al sito lunga una settimana, per fortuna per vedere le cose più importanti bastano un paio di giorni, come intensamente raccomandatomi da un viaggiatore mai visto, conosciuto nei meandri della rete e che ha vissuto esattamente con un viaggio individuale entrambe le nazioni da me viste in questo viaggio. Di mio ci volevo mettere il mitico deserto del Wadi Rum,ancora più a sud di Petra, ma avendo solo 2 giorni dopo Amman lui insisteva online che Petra meritava come minimo 2 giorni(e non ha avuto torto!). Il mitico Lawrence d’Arabia che rese famoso il deserto del Wadi Rum lo “ritroverò” più avanti ed in maniera inaspettata in questo viaggio, per adesso mi godo la cosiddetta “città rosa” ripensando all’omonima “pink city” di Jaipur che vidi nello stato indiano del Rajasthan.
Il paragone però finisce con il colore base delle due città, in quanto come quasi ogni città indiana l’aspetto umano sovrasta quello architettonico e/o naturale, mentre invece qui a Petra i pochissimi beduini che si aggirano in funzione dei turisti danno una nota malinconica a quello che una volta fu il grande impero dei Nabatei, sostituiti poi dagli immancabili romani. Invece le decine di romani di oggi si riconoscono tra le centinaia di turisti persi ad ammirare il connubio tra il lavoro dell’uomo e quello della natura, visibile soprattutto nello stretto siq (da non confondere col famoso suq, ovvero il mercato base di quasi ogni città orientale); per siq intendiamo il passaggio tra le rocce (in alcuni punti largo un paio di metri!) e che magicamente sbuca in quella che è nettamente la tomba più bella di Petra, ovvero il Khaznah(che significa tesoro, ottima scelta del nome), reso visivamente immortale dal film di Indiana Jones.
Ci viene difficile lasciare questo posto, come detto ancora più a sud ci sarebbe il Wadi Rum, ma di deserto(sia pure ovviamente più banale) ne vediamo ininterrottamente ai lati delle strade dell’intero viaggio, per la cronaca infine il sud del paese finisce con la famosa cittadina di Aqaba, sul mar morto dove molti vanno per le immersioni. Meno male che non siamo andati perché proprio questa sera l’immancabile CNN rimanda le immagini di un attentato che ha colpito un paio di ristoranti italiani ed un supermarket nella località egiziana sul mar morto che confina praticamente con Aqaba(se si eccettua una sottile striscia in terra di Israele).
Lascio immaginare la selva di sms ricevuti al telefonino da coloro che sapevano sì e no dove mi trovavo, e che come detto ogni volta fanno di tutto il medioriente un unico pericolo: se centinaia di turisti allo stato puro vanno a riscaldarsi in località troppo mondane nel contesto arabo-africano come Sharm el-sheik e immediate vicinanze vanno molto probabilmente incontro ad una bomba molto di più di quanto non facciano tutti i viaggiatori, individuali e non, che vanno nelle nostre due nazioni attuali ( o anche nel vicino Libano, anche quello ingiustamente temuto perché Beirut per anni ci è stata mediaticamente, e giustamente, propinata come città dalla guerra perenne, e non è stata ancora rimossa nell’immaginario collettivo).
Un esempio di quest’ultimo tipo per l’Europa è Sarajevo, e con questo credo di essermi spiegato ancora meglio! Ricordo che prima di partire per questo viaggio mia moglie mi disse insistentemente che Giordania e Siria erano per lei quasi un salto nel buio e che se proprio doveva essere un viaggio originale allora avrebbe preferito andare in…Egitto(!!!), ed io le dissi PRIMA DELLE BOMBE la teoria che ho scritto sopra circa i deficienti che si credono al sicuro nei villaggi turistici di Sharm e dintorni, solo perché popolati da individui della loro rinomatissima specie! Sfruttato il biglietto per entrambi i giorni tra le rovine di Petra, prendiamo il bus che ci riporta ad Amman, dove nemmeno un’ora dopo partiamo per la SIRIA , e precisamente nella leggendaria capitale di….
DAMASCO
Sconfinare con un bus di linea significa attendere che a TUTTI vengano
ispezionati i bagagli, poi per giunta noi il visto lo avevamo fatto in Italia (
e per questo paese lo raccomando a tutti, mentre in Giordania si può fare
all’arrivo), ma i nostri compagni di viaggio hanno varie difficoltà per
farselo sul posto, anche se alla fine la loro fortuna è che hanno un visto
lavorativo per i vicini Libano ed Egitto, e quindi alla fine sono più morbidi
con questi ragazzi francesi e tedeschi. Gli immancabili australiani, e persino
una neozeladense , hanno ancora più difficoltà, ma alla fine passano anche
loro grazie soprattutto all’insindacabile richiesta di non avere precedenti
timbri di Israele nel passaporto(praticamente chiunque va in Israele dovrebbe
farsi un passaporto a parte, visto che dà seri problemi in tanti altri paesi),
e per fortuna loro non hanno timbri israeliani. Come spesso capita tra
viaggiatori, ritroveremo per caso i simpatici australiani e neozelandesi a
Palmira, se si viaggia lungo città famose e si hanno più o meno gli stessi
giorni di percorrenza rincontrarsi è molto più frequente di quanto si possa
immaginare. Qui a Damasco, superato il solito assalto dei tassisti alla fermata
del bus, e lasciata la nostra roba stavolta in un hotel di medie dimensioni,
andiamo a cena dopo una giornata di viaggio e l’indomani belli freschi in una
giornata, partendo dal suq hamidiyah, ci facciamo TUTTI i suq della spettacolare
città. La moschea degli Omayadi poi ci lascia proprio senza fiato, di una
bellezza notevole, ed è sorprendente trovarvi tanti riferimenti al
cristianesimo, con tanto di tomba di San Giovanni battista all’interno della
moschea! Come sempre tutti pregano incuranti dei turisti, che qui sono veramente
tanti, noi ci accodiamo ad un gruppo di italiani in visita guidata e non ci
perdiamo una parola della guida locale che sembra aver imparato persino un
leggero accento romagnolo, forse perché il suo gruppo di oggi sono praticamente
dei nostri vicini di casa. Nel girare tra un suq e l’altro, cioè tra i bazar
quasi tutti scoperti in questa città, deviamo leggermente dal movimento perenne
per fiondarci alla leggendaria cappella di San Paolo, ben notoper la sua
conversione sulla cosiddetta via, per l’appunto, di Damasco! Piccola nelle
dimensioni e nei contenuti, la cappella si visita gratuitamente ed è triste
notare che in tardo pomeriggio noi siamo i primi visitatori della giornata, come
notiamo nel libro dove bisogna registrare le presenze. Nello stesso, solo 12
presenze il giorno prima, di cui ben 9 italiani.
Tra un suq e l’altro da rimarcare anche l’elegantissimo palazzo arabo-ottomano di Azem, dove addirittura con la solita disarmante gentilezza di tutti i custodi che abbiamo trovato in medioriente, al momento di fare una foto a mia moglie davanti ad un bel giardino centrale, lo stesso custode si affanna a fermarci per prendersi un minuto di tempo per aprire e chiudere il getto d’acqua della fontana in funzione della nostra foto!! Di episodi così ne abbiamo vissuti diversi, una delle cose che più mi ha colpito è che se chiedi un’indicazione, anche quando parlano bene inglese, escono letteralmente dal negozio ( o fermano qualunque loro attività anche se maleducatamente nella fretta non ci siamo accorti che stavano magari facendo altro) per accompagnarti almeno fino al primo incrocio: divertente quando ad esempio ci è capitato di chiederlo ad un barbiere che bello fresco ha lasciato il cliente sulla sedia ed è uscito per strada con la lama insaponatissima mentre nessuno dei passanti si stupiva minimamente della scena.
Da italiani furbi da morire avrete già pensato che quello voleva farci la pelle, ed invece dovreste guardarli negli occhi mentre ti fanno qualunque cortesia o, giusto per rimanere a Damasco, nel vedere il proprietario dell’albergo che sostituisce tranquillamente il facchino davanti a lui nel darci una mano a scaricare i bagagli. Quest’ultima operazione assume contorni imbarazzanti con qualunque tassista, che pur essendo già pagato ovviamente al raggiungimento dell’indirizzo, insiste per dargli tempo x parcheggiare magari alla buona lì vicino, perché possa portarti l’equivalente di due miseri e lordi zaini nei nostri giacigli: se si comportano così con noi cosa faranno mai ai clienti quantomeno più anziani di noi e che magari girano con valigie e non contrattano ogni prezzo come facciamo noi?!?!
Damasco presenta anch’essa una parte più moderna, anche se non come Amman (almeno così ci viene detto), quindi scartiamo la parte moderna, e distrutti dopo una giornata nei vari suq, uno più colorato e vivace dell’altro, decidiamo di riuscire dal suq iniziale di hamidiyah per andare verso la vecchia stazione di hijaz. Qui prendiamo uno degli immancabili e buonissimi succhi di frutta che ti fanno sul posto, anche se verso il ritorno all’ingresso del suq(che è accanto ad una tipica cittadella, ma chiusa quindi non visitabile) ci siamo già riempiti con l’imperdibile gelato al pistacchio della pasticceria bakdash! Vediamo che il pistacchio viene tritato sul posto ed aggiunto ad un gelato abbastanza cremoso ed al tempo stesso sorprendentemente consistente, a base di latte. Da un punto di vista dei dolci dal medioriente in generale, nel sud Italia in particolare, abbiamo importato quello che ritroviamo qui pari pari: pistacchio, mandorle, datteri, fichi, ed anche l’alimento base del mezzeh principale, che sarebbe l’hummus, ovvero una crema di ceci molto buona ( nel sud Italia alimento base delle leggendarie panelle). Esiste una variante di crema di melanzane mentre a seguire abbiamo provato quasi sempre gli eccellenti secondi piatti quasi sempre a base di agnello x non urtare i principi islamici che aboliscono la carne in senso stretto.
Inutile ricordare che l’alimento base è il felafel di
importazione turca, mangiato dentro la cosiddetta pita(stavolta di origine
greca) che sarebbe il pane dove talvolta ma non sempre viene mangiato il felafel
(polpette di carne finemente tritata con tanti condimenti, ormai diffusissima
anche in occidente), mentre invece l’originale shawarma non è altro che la
medesima pita piena di quei frammenti di carne che vengono tagliati da una
specie di spiedo verticale, nel formare la composizione viene sempre aggiunto
del formaggio fuso. Qui a Damasco, come in tutta la Siria si avverte
maggiormente la passata colonizzazione francese, dappertutto abbiamo una
traduzione trilingue(arabo-inglese-francese) di ogni monumento o altro e, giusto
per rimanere alla trasposizione gastronomica, l’ultima sera andiamo in un
locale siriano Doc nella composizione del personale, ma totalmente francese nel
menù e nelle forme che ricordano un bistrot parigino. I piatti locali ci
vengono serviti con quel tocco di eleganza cromatica e ricchezza di salse e
salsine che ben conosciamo della cucina francese, tra cui spicca una french
salad con abbondanza di palmito, un buonissimo cibo per me molto difficile da
trovare, e mia moglie non si fa scappare l’occasione di chiudere con un creme
caramel la cena. L’indomani di buonora ci facciamo le “solite” 3 ore medie
per spostarci da un punto all’altro del paese, la nostra destinazione è quasi
un miraggio, come viene correttamente detto da molti quando dopo tanto deserto
si vede l’oasi di….
PALMIRA
Il piccolo paesino vive in funzione delle superbe rovine del passato, noi
scegliamo di decentrarci quel tanto che basta per un cadente simil
ostello-bed&breakfast-pensione dove il simpaticissimo proprietario abu alaa
ci organizza nei minimi dettagli un giro delle rovine che solo a piedi sarebbe
quasi impossibile. Pur essendo quasi di fronte alla stesse, notiamo sulla destra
un’alta cittadella che sarebbe impossibile da raggiungere a piedi, se prima ci
andiamo a cuocere in mezzo al deserto tra le rovine romane del sito; l’oasi è
ai margini del sito ed è bello passare attraverso un paio di sentieri facendo
finta di non vedere un paio di alberghi troppo vicini alle rovine, tra cui stona
decisamente il Cham in stile Las Vegas mentre almeno lo Zenobia è più discreto
nella posizione e prende il nome dalla leggendaria regina Zenobia che da queste
parti ne ha combinate di cotte e crude, nel bene e nel male (se fosse nata
secoli dopo sarebbe stata un’icona mediatica tipo Lady Diana). Città che vide
un continuo ed intensissimo traffico delle merci e delle spezie, oggi Palmira
lascia indovinare la gloria passata appunto dalle rovine storiche ed umane
lasciate da racconti di personaggi ai limiti del mitologico che l’hanno
attraversata. Tira un leggero venticello e si sta benissimo, ancora meglio
veniamo a sapere che nei precedenti giorni il tempo era stato inclemente ed ora
siamo finalmente al sole dopo il solito freddo inverno italiano! Vai con le
creme solari e con la provvidenziale e veloce sosta al museo dopo un paio di
ore, da qui l’altrettanto simpaticissimo autista di abu, tale fuaz dagli occhi
chiarissimi come molti siriani di origine francese, ci porta dapprima alla valle
delle tombe, dove ci incolonniamo dietro una marea di italiani in viaggio
organizzato per non perderci una parola della guida locale, stavolta con accento
italiano “neutro”; poi la salita verso la cittadella con il piccolo pulmino
di fuaz che si porta dietro mezza famiglia compresi due bellissimi figli che
fanno subito amicizia col figlio della coppia di francesi che girano con noi col
piccolo mezzo di trasporto. Qui ovviamente l’unica lingua alla fine diventa il
perfetto inglese di fuaz, ma che tutti i bambini ancora non sanno bene ed è
divertente vedere due bimbi siriani (dagli occhi chiarissimi anche loro come il
padre) che non parlano una parola di francese, ed il bimbo francese di occhi e
pelle scura per via di un padre tunisino(che sa l’arabo ma non l’ha
insegnato al figlio) e di una madre bianca anche lei con occhi chiari.
All’arrivo alla cittadella, una coppia scambia i bimbi siriani per i figli
della francese, ci facciamo tante risate mentre ammiriamo Palmira dall’alto,
anche se non ha senso entrare nella modesta e piccola cittadella. Sfruttiamo la
posizione x girare dall’altro lato della piccola collinetta per vedere un
tramonto da urlo, mentre rincontriamo i simpatici australiani e li faccio morire
col classico “g’day mate, how yer doing?”, nonché con la finissima
battuta circa il fatto che stanno mangiucchiando qualcosa di spalmato su delle
fette di pane locale, ed io a dirgli che non è certamente il loro Vegemite, una
specie di salsa con la quale tutti in Australia si nutrono dall’infanzia alla
senilità!
Dopo una veloce doccia che rivela un’abbronzatura ai limiti
della scottatura, ecco che a sorpresa tutti insieme sia con abu che ovviamente
con fuaz che guida, e con loro larghe famiglie al seguito, andiamo con lo
strapieno pulmino a prendere i due francesi con pargolo per andare in
un’enorme tenda in mezzo al deserto. Qui un elegante ed infinito buffet di
soli mezzeh viene servito al centro della tenda, in cerchio disposti molti
bianchi dai vari alberghi, ma la cosa è molto meno “acchiappaturisti di
quanto mi aspettassi, l’atmosfera è rilassatissima e ci sono tantissimi
locali ed anche le mogli di tanti siriani entrano verbalmente a contatto con le
bianche di mezzo mondo, alla fine pur vestite in maniera diametralmente opposta
finiscono per parlare sempre e comunque di vestiti, stuzzicate ulteriormente da
un piccolo angolo dove in vendita ci sono alcune bellissime sciarpe. Le musiche
ed i balli sono tipicamente locali, mentre i secondi piatti assieme
all’immancabile tea ci vengono serviti direttamente mentre sediamo a gambe
accovacciate, molti ci lasciamo coinvolgere dall’atmosfera e si balla in mezzo
ai fumi dei vari narghilé in una notte stellatissima mentre il bimbo siriano di
origine francese ed il francese di origine tunisina hanno ormai fatto amicizia
pur non avendo una sola parola in comune! Lasciamo questa simpaticissima
compagnia a notte fonda e l’indomani, morti di sonno, ci avviamo
all’ennesimo bus che stavolta funge da tappa intermedia per la prossima meta,
raggiungibile solo con un minibus dalla città di Homs. Da Palmira ad Homs si
dorme alla grande, poi in quest’ultima cittadina prendiamo un minibus che ci
porta al….
KRAK DU CHEVALIER
Stavolta non si parla di una città o di un paese, siamo infatti nel più
bel castello crociato del mondo, per sicura definizione di chi li ha visti tutti
e mi basta paragonarlo ai tanti che ho visto tra i mitici cavalieri dell’isola
di Malta, x sostenere che almeno la posizione è veramente da mozzare il fiato,
e non solo per gli strapiombi che come al solito mia moglie teme, ma per la
visuale di un paio di montagne innevate in lontananza. Anche per il castello,
come per le rovine di Petra, parlano meglio le foto, la cosa che qui mi diverte
aggiungere è il fatto che essendo il venerdì l’equivalente della nostra
Domenica, ci sono una marea di bambini con i genitori. Sorprende notare la
piccola cappella dove proprio il venerdì viene officiata una cristianissima
messa, pur notando che il Krak venne poi perso dai francesi, ed il pulpito
musulmano è lì a ricordarci chi subentrò agli stessi( dal pulpito di
un’altra religione fotografo una marea di bianchi che intonano il classico, ed
imparato quasi a memoria a Lourdes, “Our Father, who art in heaven, hallowed
by Thy name. Thy kingdom
come. Thy will be done, on earth as it is in heaven. Give us this day our
daily bread.”, vi risparmio il resto, se vi interessa andate in chiesa!).
Bastano un paio d’ore per visitare bene il Krak, ridiscendere col minibus
quasi senza freni la ripida strada per tornare ad Homs, e da lì acchiappare al
volo uno dei tanti bus, regolarmente senza prenotazione del resto non
effettuabile in quanto non usano computer, che ci porta ad…
ALEPPO
La città scelta come capitale musulmana per il 2006 mostra un
abbellimento luminoso particolare di ogni angolo stradale, ma vuoi la giornata
festiva per i locali, vuoi l’arrivo quasi in serata ci spingono a concentrarci
sul nostro albergo pur non cenandovi dentro ma in un vicino ristorante dal bel
terrazzo del quale scegliamo la parte scoperta per il clima sempre straordinario
che ci ha accompagnato in questo viaggio! L’hotel lo conoscevamo di fama, ma
non avremmo mai pensato né ad una stanza libera né soprattutto a dei prezzi
così contenuti rispetto alla sua fama. Da notare che più che mai si parla di
fama passata, si parla di un recente restauro e meno male verrebbe da dire…il
vero fatto è che è concepito in stile totalmente old british x cui forse è
anche meglio che questo restauro non abbia tolto niente all’affascinante
decadenza del posto, che apparentemente sembra poco indicato per dei giovani ma
è ben messo nel cuore della città nuova e nemmeno tanto lontano dai suq della
città vecchia.
Finalmente lo nomino, parlo del Baron Hotel che in un’altrettanto città di transito quasi come Palmira, vide il soggiorno, anche per lunghissimi periodi di personaggi come Lawrence d’Arabia, Agatha Cristhie e tantissimi altri, ma solo dei primi due il culto è ancora vivo in rapporto alla loro fama ed alla loro lunga permanenza qui. L’antico e frequentatissimo (anche dai non ospiti) bar espone in teca di vetro ricevute originali dei sunnominati, altrettanto affascinanti gli scaloni all’ingresso e la nostra stanza con un enorme lume prima di entrare, sopra la porta, che è preso pari pari dai vicoli di Londra; infine il letto cadente al centro e l’enorme bagno con un sistema di ventilazione anni ’30 confermano, se ce ne fosse bisogno assieme al mobilio, che siamo in un’altra epoca. L’indomani prima partiamo dalla cittadella, stavolta visitabile a differenza di Damasco, poi da lì si comincia il giro dei suq, molto più coperti di quelli damasceni, e x copertura non s’immagini un’insieme di tendoni, ma una vera e propria serie di cunicoli in alcuni punti anche abbastanza bassi! Fortunatamente nei punti in cui invece il passaggio della gente è più difficoltoso, causa minore larghezza, il suq si presenta molto più alto. In generale, rispetto a Damasco, i suq ci sembrano molto più ordinati nella distribuzione delle merci, ma non per questo meno vivaci: nella sezione dei dolci, andiamo alla famosa pasticceria al-ghraoui che riforniva per posta nientemeno che la regina Vittoria, oltre ad un cospicuo ed attuale numero di ricchi clienti ai quattro angoli del mondo di oggi.
L’immancabile moschea omayade si presenta altrettanto spettacolare come la sua sorella damascena, ma forse nel complesso leggermente inferiore; ad ogni modo la cosa più elegante e bella che abbiamo visto nella parte vecchia è stata la madrasa al-sultaniyah.
Uscendo ci è capitato un episodio abbastanza curioso: per tutto il viaggio abbiamo usato una guida della routard siria+giordania+yemen ( sorvolando sul fatto che in quest’ultimo paese è veramente più difficile andare ma non sarebbe meno affascinante!), una tipologia di guida quella della casa francese perfetta per chi fa paesi con servizi “altalenanti” secondo gli standard alberghieri e mangerecci dell’occidente, ma affascinanti per chi vuole vedere paesi abbastanza diversi dall’Europa in generale(non a caso per l’India usai alla perfezione una guida della Routard). A ciò si aggiunge che nella biblioteca imolese era appena arrivata una guida Lonely Planet solo sulla Siria che presi in prestito giusto x ulteriori info su quello che era il paese che avremmo visto maggiormente dei due in questo viaggio.
Bene, usciamo dalla madrasa con la Lonely Planet in mano e un vecchietto dagli occhi celesti ci blocca di colpo quasi togliendoci di mano la guida e dicendo che voleva informarci di una cosa scritta nella stessa. Tante grazie, stiamo per rispondere, se vogliamo sapere qualcosa la guardiamo noi laddove ci interessa! Ma ecco il colpo di scena, mentre lui nota che essendo scritta in italiano quindi siamo italiani(ma che bravo) ad un certo punto ci fa vedere una colonna intera dove vengono magnificate le virtù della migliore guida di Aleppo, viene specificato che ha accompagnato diversi ambasciatori e che organizza escursioni nei paesi vicini. Il nome in grassetto dice Ahmed Modallal ed è lo stesso nome del biglietto da visita che il vecchietto ci mostra con un sorriso compiaciuto! Purtroppo gli facciamo notare che siamo alla fine del nostro viaggio e che l’indomani partiamo, e lui con la solita gentilezza della gente del posto, ci fa una breve guida parlata a distanza di ciò che abbiamo già visto e del poco che ancora potremmo vedere (un bellissimo parco pubblico ed il vecchio quartiere armeno diventato il moderno quartiere di jeddah dove ceniamo al ristorante beitwakel concludendo degnamente il nostro viaggio); lo salutiamo con sincera ammirazione!
Ne approfitto per spendere quindi un paio di parole “a distanza” nientemeno che col mitico Tiziano Terzani che nel suo ultimissimo libro “la fine è il mio inizio” contesta ferocemente l’uso delle guide Lonely planet come sintesi troppo breve per capire la storia di un paese e come servizio troppo preconfezionato per sapere dove mangiare e dormire! Caro Tiziano, viaggiatore di altri tempi nel senso letterale della parola, cioè quando la tua Asia in particolare era veramente un mondo nuovo da scoprire, ti rivolteresti nella tomba (anche se mi pare che hanno bruciato le tue ceneri) se vedessi come si sta uniformando il pianeta lasciando poco spazio alle diversità che sono il complemento ideale del creato. Da questa sempre maggiore omologazione ne scaturiscono esigenze sempre più simili tra quelli che alla fine sono sempre esseri umani, e poi nello specifico di tali guide in fondo il ventaglio di possibilità economiche e culturali delle stesse è talmente ampio che alla fine sta sempre al singolo viaggiatore ritagliarsi il suo viaggio.
Inoltre lasciati dire che pochi possiedono la tua straordinaria intelligenza, curiosità e cultura di base per la quale è necessario vivere la vita come un viaggio, o forse ogni singolo viaggio come la vita stessa che ci viene incontro con lingue, razze e suoni differenti ma non diversi(come ho abbondantemente spiegato nella homepage del mio sito circa la mia filosofia di viaggio). Bravo tu a trovare un giornale come Der Spiegel che ha sempre appoggiato ogni tuo spostamento, e bravi loro ad aver capito che giornalista avevano di fronte, reporter nel senso introspettivo di ogni cultura e non meramente descrittivo.
Chi ama viaggiare amerebbe essere pagato per quello che descrive, ma non a tutti riesce questa carriera, ammesso e non concesso che comunque lo si possa definire lavoro e non una vera e propria scelta di vita. Conosco molte persone che non sono professioniste dei viaggi ma hanno speso una vita intera in viaggio, ne rispetto ma non condivido tale filosofia tanto che persino uno spirito libero come te, che non si faceva vincolare nemmeno dal suo giornale, ha sempre avuto per sua libera scelta un punto fermo nella sua vita, quello rappresentato dalla sua compagna di sempre che in via del tutto straordinaria (e sicuramente inconcepibile praticamente per ogni donna) ti ha sempre lasciato andare da solo capendo che era l’unica maniera di esprimere il tuo talento e fare le tue esperienze.
Caro Tiziano e cari viaggiatori che mi leggete, sapete bene che sono sempre stato un grande fautore dei viaggi solitari come mezzo paradossale x interagire meglio coi locali, vi devo dire ( e non certo x quieto vivere domestico) che si sta rivelando ugualmente ricco di soddisfazioni il viaggiare in coppia, ovviamente se si tratta della compagna di una vita e non di un’altra persona a te legata “solo” dalla passione quasi egoistica del viaggiare sempre e comunque (ma in tal senso mi manca una controprova).
Ne approfitto qui per parlare della sistemazione negli ostelli,data la diversificazione di tale strategia legata appunto al mio nuovo status di viaggiatore sposato, con l’ulteriore nuovo status di viaggiatore con “troppa” elettronica a disposizione, ed infine in aggiunta le cautele della moglie….mi hanno portato ad un compromesso che consiglio a molti di voi, anche e soprattutto viaggiatori individuali:lLa tipologia degli ostelli è sempre la stessa nel mondo, orientativamente fino ai 30 anni circa consiglio sempre la bed room, ovvero il dormitorio più economico ed anche più divertente dove tanti letti, solitamente a castello, permettono di farsi delle vere amicizie con gente con cui dividi quello che non sarà mai il tuo esclusivo spazio. Per il libro dei record che nel mio sito mi vede a 194 ostelli per 552 notti in 25 anni di viaggi, la soluzione meno affollata in tal senso la ebbi con una piccola bed room australiana di soli 2 letti a castello che mi videro in compagnia di 3 puzzolentissimi inglesi che come me non avevano trovato posto nella bed room principale (probabilmente quelli dell’ostello ricavarono un’altra stanza dallo sgabuzzino!); il record opposto è stato il mega dormitorio, x giunta unico misto almeno in Europa, di Montecarlo dove riempimmo tutti i 16 letti a castello per un totale di 34 persone, anzi 36 dato che due coppie di fidanzati pagarono un letto e vi dormirono in due! La mia homepage resterà sempre ferma al numero di ostelli e di notti raggiunto la scorsa estate quando implementai il sito, non ha senso tenere una contabilità anche perché come vi spiegherò meglio, almeno per me, gli ostelli non saranno mai più come prima: si prenotano su internet e si trovano delle comode stanze doppie con bagno in camera come quelle nostra di questo viaggio, che di ostello mantengono solo il prezzo! Vi ricordo che almeno nel caso di arrivo in piena notte sarebbe da stupidi non organizzarsi prima, certo è che il fatto che si vedono pure le camere prima mi toglie un po’di fascino anche se lascia tranquilla la moglie(che magari sa benissimo che come ogni cosa pubblicizzata ti fanno vedere il meglio). Poi magari il tuo volo arriva in piena notte, come ritroverete nel mio diario indiano, e quell’ostello prenotato scoprii solo sul posto che era impraticabile per dei lavori cominciati in giornata!
A questo punto interviene la creatività, la flessibilità e la fortuna di un viaggiatore come in quel caso in cui trovai posto in quello vicino. Per il resto non ne ho mai prenotato uno, e sono sempre riuscito a dormire, ma credo che non si vada in viaggio per dormire anche se per esempio ricordo quasi divertito che gli unici viaggi con compagnia magari multipla sono anche gli unici dove, fidandomi ciecamente di chi viaggia e conoscendolo bene(quindi non avendo bisogno di parlargli per conoscerlo, come invece faccio con tutti i locali), finisco sempre per dormire! Nel caso di un bus, non devo più guardare i bagagli ad ogni fermata, nel caso di una macchina non devo più guidarla se non per brevi tratte; non parliamo poi nel caso di un viaggio preconfezionato per certi aspetti organizzativi, come mi è capitato praticamente solo in Venezuela: non mi sentii libero nel mio viaggio, sapevo più o meno cosa e chi avrei visto e molto spesso subentrò la noia che mi faceva dormire davanti agli allibiti compagni di viaggio che si domandavano come avessi girato mezzo mondo da solo. E’ proprio questo il punto, per quanto ben accompagnati, da carissimi amici come in quel caso o da una splendida donna come adesso, cercate tutti quanti di viaggiare soli e non sarete mai solitari, specialmente nei paesi paradossalmente più originali dove la gente vuole parlare con stranieri veramente diversi. A noi è capitato spesso di essere avvicinati da locali che volevano solo migliorare il loro inglese tanto quanto io mi sforzavo di imparare quelle 4 cose di arabo che servivano eccome, dato che poi non è che lo parlino proprio tutti questo inglese…pazienza se poi uno ci ha chiesto se eravamo contenti della “cattura del big-boss Provenzano così la Sicilia ora è libera”… L’ho detto durante questo racconto di viaggio: i luoghi comuni sono duri a morire, “noi” abbiamo paura degli islamici, e qualcuno di “loro” ci ha anche chiesto come mai in Sicilia non ci sono i cammelli dato che siamo così vicini all’Africa!!
Parlare ed ascoltare in viaggio serve a questo, poi guardare le meraviglie che magari rimangono nei secoli come Petra ti fa capire come la storia è molto più lunga dei decenni circa con cui tentiamo affannosamente di dare un senso alla vita. “Buonanotte, signor Terzani”, mi rimangono ancora diversi “giri di giostra” e spero di farmeli a Dio, Allah, Vishnu e compagnia bella piacendo.
Marco Penna