Mezzanotte e cinque a Bophal
India
Racconto di viaggio
Spesso
mi ritrovo a pensare a quante volte c’e’ corrispondenza tra un luogo che
decido di vistare durante un viaggio e un particolare ricordo che gli e’
legato.
Non
necessariamente si tratta di “deja-vu” perche’ in genere e’ la prima
volta che lo visito, nella maggior parte dei casi si tratta piuttosto di un
ricordo di scuola, di una lettura, di un film o di un documentario visto anni
prima. Ogni tanto pero’ lo stesso ricordo e’ legato ad una situazione
spiacevole che magari la tua memoria ha relegato in un angolo e del quale manco
ti ricordi del tutto, come se il processo cognitivo che il tuo cervello attiva
per l’acquisizione delle informazioni lo avesse registrato in maniera anomala
o non lo avesse acquisito affatto; il suo recupero risulta cosi’
particolarmente difficoltoso o quantomeno parziale fino ad essere in alcuni casi
completamente impossibile.
Credo
che questo sia una specie di meccanismo di difesa che attiviamo verso il dolore
o semplicemente verso qualcosa che vogliamo passi alla svelta, senza lasciare
traccia.
Io
ricordo solo la faccia di mia madre, quando la televisione diede l’annuncio di
quella tremenda tragedia.
Ricordo
anche che aveva il grembiule attorno alla vita come si usava una volta quando
preparavi da mangiare, avevamo un solo televisore in bianco e nero di quelli che
occupano un intero mobile da tanto sono grandi e che avevano bisogno di un
sostegno aggiuntivo perche’ pesavano quasi come una lavatrice.
Stavo
facendo dei compiti di non so che cosa con la tv accesa, come di rado mi
capitava ma non ci prestavo attenzione piu’ di tanto, infatti era sintonizzata
su un telegiornale … figuriamoci avevo altro per la testa, era anche il primo
anno delle superiori e avevo una gran voglia di finire il quadrimestre con il
piede giusto.
Altro
non ricordo se non che faceva un gran freddo e la stufa andava a mille, non
avevamo il riscaldamento a metano.
Mia
madre si asciugo’ le mani nel grembiule prima di girare la manopola del
volume, prima di vedere quella sua smorfia come non le avevo mai visto. Non
prestavo troppo l’orecchio alle voci di fondo pero’ capii che era successo
qualcosa di grave, qualche tragedia nel mondo, ma in fondo che mi importava,
avevo gia’ le mie di tragedie personali come i compiti in classe e non era
poco, anzi per me era tutto o quasi, un bel voto era motivo di gratificazione
come invece uno brutto lo era ma di preoccupazione, riguardo ai sicuri
rimproveri.
La
diossina di Seveso era un ricordo ancora vivo in quegli anni, era un tasto
ancora piuttosto sensibile per chi, come noi, abitava in Brianza e neanche tanto
lontano.
Non
chiesi nulla, non ho mai piu’ chiesto, solo a distanza di tempo mi sono reso
conto di cio’ che era successo e di quanto al mondo esistano sempre delle
persone di serie A e quelle di serie B, in fondo portiamo lavoro in un paese
sottosviluppato, in fondo e’ il prezzo da pagare all’industrializzazione.
Per me sono solo bestemmie, in fondo…
800
persone morte subito.
Piu’
di 30000 morte negli anni.
Piu’
di 600000 intossicate.
E
nessuno ha mai pagato.
Era
la notte tra il 3 e il 4 dicembre 1984, precisamente era mezzanotte e cinque a
Bophal.
GIORNO 1:
Sanchi ?? E dov’e’ Sanchi ??
Fu
questa la prima domanda che mi venne in mente sfogliando un libro di storia
indiana. La mappa, vicino alle foto, non era poi cosi’ dettagliata si notava
solo un punto colorato di giallo nell’India centrale, probabilmente nello
stato del Madhya Pradesh ma nulla di piu’. Cio’ che piu’ mi impressionava
non erano solo i grandi stupa, forse i piu’ antichi dell’India, ma
soprattutto le porte di accesso stracolme di raffigurazioni e bassorilievi che,
insieme alla balaustra esterna, formano un complesso di una bellezza
straordinaria.
Lì
per lì mi dimenticai di guardare dove fosse esattamente Sanchi ripromettendomi
di andarci in occasione di qualche viaggio di lavoro in India. Non avrei mai
pensato di prenotare un volo per Bophal …
Non
mi e’ mai piaciuto troppo arrivare in un posto di sera o di notte, non riesco
a trovare subito quel giusto feeling o quella confidenza di cui ho fortemente
bisogno con il luogo prescelto e devo aspettare la mattina successiva per
ambientarmi pienamente; eppure succede sempre cosi’ specie se sono in giro per
lavoro.
L’aereo
della Jet Airways mi lascia a Bophal quando ormai e’ sera inoltrata,
all’uscita dell’aeroporto c’e’ un caldo inaspettato ma piacevole, siamo
quattro gatti scesi da un volo breve che perdipiu’ ha fatto scalo a Indore
dove e’ rimasta la maggior parte dei passeggeri. Ognuno ha un familiare che lo
accoglie e ben presto rimango da solo a cercare un taxi non lontano
dall’uscita.
Il
Madhya Pradesh e’ lo stato con piu’ musulmani di tutta l’India e a Bophal
si raggiunge il 70% della popolazione. Gia’ si vede anche qui, barbe lunghe,
tuniche di lino bianche e diversi minareti nelle vicinanze che si specchiano
nella luce lunare sul lago.
“Which
hotel sir ?”
“…
bella domanda, bhooo’ ! Non ho prenotato nulla.”.
Sfoglio
velocemente la Lonely e indico un buon hotel di categoria media, , in fondo
chissenefrega di pagare qualche euro in piu’, in fondo faccio sempre cosi’
quando mi fermo una notte sola.
“Palash
Residency ???” “550 Rupiees !!”.
“Quanto
??” “Ma sei scemo ??” Non ci penso minimamente …
Si
avvicina un vecchio che ha l’aria di essere il capoccia, barba bianca e solita
tunica.
“What’s
the problem sir ?”
“Il
tuo amico cerca di fottermi” …
Ne
discutiamo e alla fine spunto 350 Rupie, ma ho la sensazione che sia molto
superiore a quanto normalmente richiesto per il tragitto, mi basterebbe
allontanarmi per cercare un taxi fuori dalla zona aeroporto o un tuc tuc, ma
sono stanco, non ne ho voglia e arrivo da una giornata di fuoco in ufficio, come
ogni venerdi che si rispetti. Si tratta pure sempre di 6 Euro …
Il
Palash Residency e’ un bell’hotel, un po’ decadente e mai rinnovato nella
zona del TT Nagar vicno al lago Superiore e mi accoglie con una simpatica
sorpresa: e’ rimasta una sola camera di categoria “Superior” a 2200 Rupie.
Ma
che caso ?? Vi siete messi d’accordo tutti oggi ??
Accetto
malvolentieri e’ una notte e 37 Euro non sono la fine del mondo, diciamo
pero’ che come inizio qui a Bophal non e’ male.
Lascio
velocemente i bagagli in camera e mi dirigo nel piccolo ristorante
dell’albergo, prima che chiuda, prima che rimanga a stomaco vuoto.
I
tavoli e le poltrone sono abbastanza lerci ma che importa … ho mangiato in
posti ben peggiori ed in piu’ ho una fame boia, anche se i piatti ricolmi di
spezie indiane mi danno il voltastomaco. Ho detto piu’ volte che amo tutto
dell’India tranne una cosa, il cibo. Non sopporto il cumino, il curry, il
coriandolo non e’ un problema di piccante (che io adoro) ma proprio di sapore,
di gusto.
Ordino
un pollo senza nulla sopra, con solo del Naan e cosa mi portano ? Una bella
coscia di pollo intrisa di salsine …
“Don’t
worry sir, it is special, I cooked for you, no cumin !”
Proprio
non ce la fanno a cucinarti una pietanza liscia senza nulla sopra.
Bhe’
non so cosa fosse quella crema ma … era buonissima !
Al
ritorno in camera mi fermo in una specie di hall interna dove c’e’ una festa
per un matrimonio.
Resto
sempre abbagliato dagli incredibili colori dei sari delle donne, dalla bellezza
degli abiti e dallo sfoggio di ori e gioielli per l’occasione.
I
due sposi sono su una piattaforma centrale, seduti su due poltrone che sembrano
dei troni fiabeschi, lui e’ vestito come un Maharaja
con quel simpatico copricapo con il pennacchio e lei avvolta in uno splendido
sari verde e rosso con una catenella d’oro che collega l’orecchino del naso
con quello sull’orecchio.
Sono
attorniati dagli invitati che ridono felici e si scambiano felicitazioni e il
profumo di incenso invade completamente la sala. I bambini, che in India sono
sempre tanti, scorazzano da un capo all’altro fregandosene del matrimonio,
cosi’ noioso, o dei cibi portati continuamente sulle tavolate. Semplicemente
e’ un’occasione per giocare … sono veramente tanti e cosi’ impacciati
nei vestitini eleganti che probabilmente costituiscono solo un impedimento per
loro.
Resto
una ventina di minuti, non di piu’, nella penombra del corridoio ad ammirare
tutta questa umanita’, tutto quel movimento cromatico che ti penetra
piacevolmente il cervello svuotandolo dalle tossine di una giornata pesante.
Mi
avvio verso la camera sorridente con ancora sotto il naso il forte profumo di
incenso, rischio quasi di perdermi tra i corridoi un po’ bui ma, qualunque
direzione prenda, sento sempre in lontananza il gran vociare di questa
bellissima festa, finche’ non chiudo la porta della camera alle mie spalle e
allora tutto si fa silenzio e forse anche un pochino di tristezza.
GIORNO 2: Ieri
sera guardavo la tv, solo cricket e film indiani di 4 ore, mi sono stufato e
sono andato a letto presto, cosi’ stamattina sono ben riposato e pronto per la
lunga giornata.
Non
faccio colazione, prendo direttamente un tuc tuc fuori dall’albergo per la
stazione degli autobus che, come spesso succede qui in India, si trova in pieno
centro, quasi irriconoscibile e persa nel budello dei vicoli sterrati della
citta’.
Una
volta lasciato il TT Nagat infatti, il centro di Bhopal si snoda in mille
stradine non asfaltate che spesso sono vere e proprie fogne a cielo aperto, tra
i mille negozietti e venditori ambulanti ai suoi lati; ad un certo punto non si
capisce neanche piu’ il senso di marcia ognuno procede dritto, nella direzione
opposta o trasversale senza far troppo caso a chi arriva e da dove. C’e’
talmente tanta gente che evito di sporgere i gomiti dal tuc tuc immerso come
sono in una folla colorata di persone e di mezzi. Non mancano mucche, cani,
capre e un paio di muli intenti a trasportare frutta con un carretto cosi’
vecchio da ricordarmi alcuni film western; e’ tutto un gran vociare, una
confusione di volti e di colori, sembra che il driver pero’ si orienti senza
difficolta’, sembra seguire la continua matassa di cavi elettrici sopra le
nostre teste che magari porta nella direzione giusta come una specie di stella
polare, messa li’ per dare una direzione, per farci uscire da quel labirinto
pazzesco.
Infine
eccola finalmente la stazione, ma se non e’ qualcuno ad indicartela manco la
riconosci; pago le 40 Rupie pattuite e mi faccio lasciare sulla parte opposta
della strada.
L’edificio
e’ vecchio e fatiscente di colore bianco, scrostato in vari punti dove
addirittura si vedono i poveri mattoni di cui e’ fatto, il pavimento e’
irriconoscibile sporco di liquami anche umani e mi faccio strada tra i poveri
derelitti che si stendono in ogni angolo.
Gli
orari e le indicazioni sono in Indy con qualche riferimento inglese, ma non
sufficienti per capirci qualcosa, chiedo al bigliettaio chiuso dietro una gabbia
di bambu’ …
“Sanchi
??” e mi fa cenno con le dita alla mia destra.
Bhooo’
probabilmente, come spesso succede, il biglietto si fa a bordo.
Ci
sono tre o quattro autobus tutti nelle medesime e penose condizioni, chiedo
finche’ non salgo su quello giusto, non prima di essermi fermato a comprare un
paio di banane da un carretto li’ vicino.
I
sedili hanno grossi buchi nell’imbottitura e il voltante e spezzato in due
parti, senza contare l’infinita’ di fili elettrici scoperti che vanno in
direzione del motore o meglio di cio’ che ne rimane. In questo caso pero’
c’e’ una particolarita’ in piu’: l’autobus e’ provvisto di radio con
cassette e la musica indiana è pompata al massimo per la delizia delle mie
orecchie.
Insomma
questa e’ India e questa e’ la sua classica stazione e il suo classico
autobus, c’e’ anche la musica, che volere di piu’ ??
Manca
qualcosa … ed, infatti, dopo circa 10 minuti dalla partenza sbucano da sotto
il sedile due volti di bambini sorridenti che giocano tra un posto e l’altro
tra la solita indifferenza vigile dei genitori che lasciano fare di tutto, ma
allo stesso tempo tengono le orecchie ben sintonizzate per capire dove sono.
Gli
sorrido, non ho nessun dolcetto da dargli. pero’ loro mi fissano
continuamente, guardano il mio bracciale, guardano i miei occhiali da sole mi
scrutano la faccia come fossi un extraterrestre. Probabilmente non sono abituati
a veder stranieri su quell’ autobus e per loro sono una grande attrazione,
lascio fare e ogni tanto gli faccio le linguacce, al che ridono e scappano per
poi ripresentarsi dopo qualche minuto, fino a quando la madre non li prende
entrambi e scendono in mezzo alla campagna.
Tra
continue fermate e attese ai passaggi a livello percorriamo i 50 Km in piu’ di
due ore, il caldo inizia a farsi sentire e i finestrini mancanti sono una specie
di benedizione, anche se in generale la temperatura e’ ideale e l’umidita’
e’ proprio bassa.
Il
Madhya Pradesh e’ una regione dell’India vasta poco piu’ dell’Italia e
non e’ famosa solo per Sanchi o i templi erotici di Khajuraho, ma anche per
numerosi altri siti come le pitture rupestri di Bhimbetka o le sculture nella
roccia di Vidisha o il Parco nazionale di Kanha dove sopravvivono la maggior
parte delle tigri indiane o la citta’ di Orcha, insomma una ricchezza e una
vastita’ che da sole valgono un viaggio e io al solito mi ritrovo con le ore
contate e con la decisione di fare un’unica scelta. Sanchi resta una meta
imperdibile, ma il rimpianto di avere sempre poco tempo mi frulla continuamente
nel cervello e non riesco mai ad assaporare l’India come vorrei, ma e’
spesso un mordi e fuggi.
Questo
ha pero’ dei lati positivi: l’India e’ di forte impatto, credo sia una
meta che richiede un minimo di preparazione, non e’ un luogo in cui sorvolare
sulle cose, ma un posto dove viverle, l’India e’ quel luogo dove sopravvive
e resiste ancora un certo tipo di spiritualita’ completamente sganciata dalla
globalizzazione e dai beni terreni come sosteneva Tiziano Terzani, i cui libri
sono stati per me bellissimi compagni di viaggio.
E’difficile
capire questo meccanismo o almeno lo e’ per me, sono abbastanza certo che se
fossi andato in India con un unico lungo viaggio forse non avrei potuto
apprezzare alcune sfumature che poi sfumature non sono, ma costituiscono la base
di un’intera cultura e le avrei archiviate con superficialita’ magari senza
serbargli il minimo ricordo. In questo modo invece ho assaporato l’India senza
averne un impatto tremendo e magari scioccante cogliendo i particolari poco alla
volta dando cosi’ il giusto tempo al mio cervello di elaborarli e farli parte
di me o quantomeno riuscire a fare entrare tutto cio’ che riesco a cogliere,
senza rifiutarlo a priori.
Eppure
anche in India le barriere contro il nostro modo di vivere sono spostate sempre
piu’ indietro come un piccolo esercito che indietreggia di fronte alla super
potenza e non restano che isole sempre piu’ piccole, finche’ anche queste un
giorno soccomberanno.
Inutile
pensare di apprendere la profonda spiritualita’ e cultura che si respira in
queste latiitudini, mi fanno un po’ sorridere quegli occidentali che si
convertono all’Induismo o al Buddismo magari per snobismo o solo perche’
credono di trovare qualche cosa in piu’ che gia’ la propria religione non
offre, e lo dice uno che non ha fatto certo della fede una scelta di valori,
credo che sia sufficiente solo saper cercare dentro di se’e qui, in India, si
cerca solo meglio.
Vengo
destato dai pensieri, nei quali ero caduto, dall’autista che con ampi gesti
delle braccia mi indica che devo scendere, che sono arrivato, sorrido a tutti e
imbocco la scaletta di uscita.
Scendo
in un incrocio dove c’e’ un via vai continuo di gente, anche se i dubbi
sulla direzione da prendere vengono presto fugati da un enorme cartello scritto
in indy che ovviamente non riesco a tradurre ma, i disegni presenti e il fatto
che qui a Sanchi di importante non c’e’ altro, mi convincono che quella e’
la direzione giusta per la zona archeologica.
Mi
incammino sotto un sole che si fa decisamente sentire e presto trovo il
gabbiotto dove vendono i biglietti di ingresso (250 Rupie); da qui
all’ingresso c’e’ circa 1 Km di salita che percorro velocemente preso
dalla solita ansia di arrivare.
I
visitatori sono molto pochi e quei pochi sono tutti indiani tra i quali
un’intera scolaresca, meglio dopotutto per me e’ una gran goduria godermi un
posto in beata solitudine o quasi, senza troppi schiamazzi o file di persone che
si accalcano davanti a qualcosa.
Il
grande stupa e’ ben visibile gia’ dall’ingresso come i magnifici fregi e
le decorazioni sulle porte della balaustra esterna.
L’imperatore
Asoka, unificatore per pochi decenni del sub-continente indiano, costrui’ il
nucleo originario nel III secolo A.C. dopo essersi pentito dell’enorme
massacro nella guerra di Kalinga. Si converti’ al buddismo nel tentativo di
rinnegare completamente la violenza, forse oppresso dai sensi di colpa o forse
per opportunismo politico, fatto sta’ che si prodigo’ nella diffusione del
Dharma in tutto l’impero e qui edifico’ il primo grande stupa sopra le
onnipresenti reliquie del Buddha.
Mi
rendo conto di diventare un po’ profano, ma spesso penso che se tutti gli
stupa o i grandi luoghi di culto buddisti dovessero contenere almeno una
reliquia, il Buddha non poteva essere una persona sola ma almeno un migliaio e
ad ogni modo da noi succede la stessa identica cosa in materia di resti sacri.
Le
porte di accesso sono una meraviglia unica, ricoperte come sono di fregi e
bassorilievi che rappresentano scene di vita comune o del Buddha, animali,
persone, oggetti si intersecano continuamente senza lasciare uno spazio al vuoto
come a dare una continuita’ all’insieme delle scene ritratte, come in un
film in poche parole.
Resto
con il naso per aria per diverso tempo percorrendo il corridoio circolare tra la
balaustra esterna e lo stupa centrale, incrocio qualcuno ogni tanto ma per il
resto si sente solo in lontananza il vociare degli scolari che, seduti sul
prato, ascoltano senza eccessiva attenzione le spiegazioni della maestra.
“Ma
vaff …. !!!!!!!”
Ammetto
che spesso di fronte ad imprevisti dico parolacce ad alta voce (ma chi mi
capisce tanto in India ??? ) , in questo caso mi scappa quando vedo il segnale
lampeggiante “Low Battery” sulla mia macchina fotografica …
“Eppure
mi sembrava di averla ricaricata”
“Ma
proprio adesso !!”
Sono
i classici pensieri che mi balenano nel cervello, poi, per sbollire il nervoso,
mi accomodo su una panchina all’ombra e ammiro cosi’ in silenzio questa
meraviglia architettonica, sono da solo anzi siamo in due … c’e’ uno
scoiattolo con cui condivido un pacchetto di cracker a farmi compagnia, mi da
pace questo luogo, sto bene …
La
strada del ritorno e’ piu’ veloce perche’ in discesa e mi fermo di fronte
ad un negozietto minuscolo che vende un po’ di tutto, da artigianato antico
(forse …) alle solite statuine di Ganesha e Parvati in legno di sandalo, da
vestiti un po’ kitsch a pashmine di ogni tipo e colore.
Chiedo
al negoziante se posso entrare a dare un’occhiata e allo stesso tempo di
caricare per qualche minuto la mia macchina fotografica; alcune volte mi
stupisco della mia faccia di tolla, in Italia sarei stato mandato subito e
garbatamente a quel paese ma qui siamo in India e l’accoglienza, l’ospitalita’,
il soccorso sono concetti molto radicati nella cultura, tanto che mi fa
accomodare, mi offre una coca fresca e anche l’uso del pc per controllare la
mail. E’ ovvio che alla fine comprero’ qualcosa ma il viso gentile di queste
persone e lo spirito che le animano spesso sbattono violentemente tutte le mie
sicurezze contro un muro, lasciandomi disarmato. Questa situazione si riconduce
a quanto dicevo prima, assaporare poco alla volta e in questo modo l’India vi
assicuro che e’ impagabile non ha raffronti con nulla e svuota la tua mente da
concetti che davi per consolidati …e in momenti come questi mi viene da
pensare che un altro modo di vivere e’ possibile o almeno un modo non
completamente alternativo al nostro ma che si integra.
“Where
‘re you from Sir”
“Italy
!!!!!!!! Wonderful place !!”
“First
time here ??”
“…”
“What’s
your opinion about India ??”
Quando
gli racconto dei miei piccoli viaggi itineranti e del mio amore spassionato per
l’India mi abbraccia, commosso, mi sorprende nell’abbraccio cosi’
spontaneo, sincero e inizia a parlarmi di filosofia e cultura indiana terminando
ogni periodo con “I know you can understand”, non riferendosi all’inglese
ma al concetto espresso.
In
realta’ invece faccio una gran fatica a seguirlo su dettagli cosi’ complessi
dove anche cambiare un articolo da determinativo a indeterminativo cambia
radicalmente il significato delle parole.
Bhe’,
non ci crederete, ma mi sono fermato per piu’ di due ore e quando ci siamo
salutati mi ha augurato “Buon viaggio” in italiano, strappandomi la promessa
di ripassare da quelle parti, promessa che probabilmente non saro’ mai in
grado di mantenere.
In
breve sono di nuovo sulla polverosa strada principale, mi siedo su un muretto ad
aspettare l’autobus, armato solo della solita pazienza che qualcosa prima o
poi arrivera’.
Diciamo
che il “qualcosa” un po’ mi preoccupa visto che spesso non si tratta di
autobus ma di veri e propri carri bestiame e una volta a Goa ho fatto il viaggio
di ritorno aggrappato alla scaletta posteriore.
Dopo
una decina di minuti ne arriva uno carico all’inverosimile e neanche
esteriormente c’e’ spazio per aggrapparsi, ci rinuncio subito e anche un
ragazzo vicino mi guarda sconsolato; che dire … aspettiamo il prossimo !
Nell’attesa
inizia a farmi domande in un inglese traballante e facciamo subito amicizia, in
realta’ si dimostra simpatico e molto sveglio, scopro che ha 16 anni e studia
vicino a Bophal qualcosa di simile a ragioneria.
Dopo
una ventina di minuti passa un secondo bus sempre stracolmo con persone appese
ovunque, ho come l’impressione che sara’ cosi’ fino a sera e quindi
rischio di perdermi il mio giro per Bophal.
Studio
delle alternative, Sanchi e’ una citta’ con una stazione ferroviaria, ma non
si sa bene e quando passera’ il treno percio’ mi guardo in giro ma non
c’e’ nessun taxi in zona solo qualche tuc tuc che si offre per portarmi a
Vidisha.
“No
grazie, no grazie magari !! Ma non ho tempo di visitare Vidisha …”
Preso
un po’ dallo sconforto mi viene un’idea: chiamo il mio nuovo e giovane amico
a gli faccio la seguente proposta: “ se mi trovi un taxi per Bophal, vieni
insieme a me e lo pago solo io”
In
meno di 10 secondi e’ gia’ sparito e torna dopo poco in tuc tuc assieme ad
un suo amico che avra’ pressappoco la sua eta’.
“
E adesso dovremmo farci 50Km in Tuc tuc ???”
“Yes
!!!” e ride come un matto …
E
va be’ tanto non ho molte alternative.
In
realta’ si rivelera’ uno dei piu’ bei viaggi che io abbia mai fatto,
abbiamo passato poco meno di due ore tra belle strade immerse nella campagna
dove abbiamo anche passato il cartello con scritto “Tropic of Cancer”, gli
regalo i biscotti burrosissimi che avevo acquistato a Sanchi e loro mi fanno
assaggiare della specie di semi di mais tostati, parliamo di scuola e di
religione e mi spiegano come loro vedono la religione musulmana, mi chiedono
qualcosa sullo sport e loro si esaltano nel descrivere la loro squadra di
cricket, insomma uno scambio continuo di pensieri e informazioni. Nonostante i
discorsi non ho mai dubitato sulla loro reale eta’, era troppo l’entusiasmo
per la vita, era troppa la loro fame di conoscere ed in piu’ che importava
veramente, il tempo e’ volato ed in breve eravamo gia’ immersi nel traffico
caotico di Bophal.
Mi
sono fatto lasciare vicino alla Taj-ul-Masjid, una delle più grandi moschee
dell’India, un enorme edificio rosato con due giganteschi minareti sormontati
da una cupola bianca ciascuno, con altre tre cupole dello stesso colore che ne
sovrastano il corpo principale.
Malgrado
l’imponente scalinata, l’ingresso alla moschea non è in Sultania Rd ma,
svoltato l’angolo, nella trafficata Royal Market Rd, ed e’ qui che saluto i
miei nuovi amici e gli lascio 500 Rupie per il passaggio.
Mi
carico lo zainetto in spalla ed attraverso velocemente un corridoio laterale non
prima di essermi tolto le scarpe ed essermi assicurato di poter entrare
nonostante la preghiera in corso.
Tutti
vestiti con la tunica bianca quasi tutti con la barba lunga, silenzio e lievi
mormorii.
Nella
parte laterale del piazzale ci sono anche alcune scuole coraniche ma al momento
sono chiuse penso per l’orario visto che ormai siamo nel tardo pomeriggio.
Cammino
in disparte, osservo e basta cercando di rispettare il piu’ possibile il luogo
di preghiera quando ad un certo punto … “ Biiip Biiip !!”
“Cazzo
il cellulare !! Ma porca p….”
Mi
guardo attorno come se la cosa non mi riguardasse, anche se qualcuno mi squadra
un po’ infastidito e ne ha ben donde .. cavolo sono stato in giro tutto il
giorno e niente, proprio adesso doveva arrivarmi il messaggio !
Pian
piano la moschea si svuota, resto quasi da solo e finalmente posso godermi in
pace questo luogo magnifico la cui tipica architettura araba mi ricorda molto la
Jama Msjid di Delhi, con quel bianco candido ricco di motivi geometrici del
tutto privi di raffigurazioni umane.
Esco
verso il tramonto e molti ragazzi che prima riempivano la moschea adesso sono
sul piazzale antistante a giocare a cricket, gli rilancio una palla che mi era
caduta vicino ai piedi mi sorridono e mi salutano, ricambio volentieri il saluto
e mi avvio alla ricerca di un altro tuc tuc.
Non
so bene cosa fare …
Chiedo
di portarmi nella zona industriale dove c’era la Union Carbide, da dove e’
scaturito il disastro di Bophal, l’origine dell’inferno per questa gente, ma
poi cambio idea.
Che
ci vado a fare ?
Per
assecondare una curiosita’ che mi porto dietro da quando ero ragazzino ?
Ho
sempre odiato quello che chiamo il “turismo della sofferenza”, ha suscitato
molto sdegno in me tutte quelle navi da crociera che quest’anno facevano sosta
a pochi km dalla costa di Haiti per vedere le condizioni terrificanti in cui era
ridotta Port-Au-Prince, e adesso faccio io qualcosa di simile ???
Mi
ritorna in mente la smorfia di mia madre come se fosse ieri …
“Sorry
! I changed my mind”
“Hotel
Palash regency, please.”
Il
tuc tuc a quel punto fa un inversione secca a U in mezzo al solito traffico,
voltando cosi’ le spalle all’area industriale e permettendo allo stesso
tempo anche a me di voltarle a quel lontano ricordo.
Andrea